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Il Cattivo Zelo - Virgilio e il segreto dell'Eneide - ANTICA MADRE

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di mercato”. Inoltre Iarba si lamenta con Giove di avere offerto terra, mezzi e addirittura<br />

norme istituzionali (sic!) 188 ai Cartaginesi per fondare la loro nuova sede. In I, 368 però<br />

Venere, sotto spoglie di giovane cacciatrice punica, aveva raccontato una versione differente,<br />

quella appunto della pelle di toro, in base alla quale i Cartaginesi avevano dovuto fare tutto<br />

da sé. Infine Iarba quasi ricatta Giove: che faccia qualcosa, altrimenti lui e <strong>il</strong> suo popolo lo<br />

riterranno un Dio senza autorità (“io nei tuoi templi t’offro vittime, e nutro una stolida<br />

fede”)║Iarba paragona con disprezzo Enea a Paris “Paride” - e così infatti lo apostrofa -,<br />

poiché Paride era noto per avere sedotto Elena║(*) Giove ode la supplica di Iarba e volge<br />

quindi lo sguardo giù a Cartagine, dove vede oblitos famae melioris amantis “gli amanti non<br />

curarsi di un più glorioso destino”. Non si capisce bene <strong>il</strong> senso di questa espressione<br />

plurale (oblitos), poiché <strong>il</strong> destino glorioso comune a entrambi sarebbe stato proprio nelle<br />

nozze fra Didone ed Enea. Una incongruenza voluta apposta da <strong>Virg<strong>il</strong>io</strong> a beneficio del<br />

lettore più accorto?║Giove ordina a Mercurio di intervenire su Enea, <strong>il</strong> quale non si cura dei<br />

fatis “fati”, cioè non rispetta i dettami della religione augustea e monoteista del Destino e<br />

vorrebbe trasgredirla con <strong>il</strong> suo libero arbitrio.║Giove è perentorio e lapidario, molto<br />

romano: naviget: haec summa est “che navighi: questo è quanto”║Mercurio scorge Enea<br />

intento a fundantem arces ac tecta novantem “fondar la rocca e costruire nuovi edifici”, un<br />

atteggiamento che mal si conc<strong>il</strong>ia con chi vuole andar via. Enea dunque, si vedeva già come<br />

stab<strong>il</strong>ito definitivamente a Cartagine!║Enea se ne andava in giro adorno di un “mantello di<br />

porpora di Tiro” e di una spada gemmata di “diaspro rosso”, munera “doni” che gli aveva<br />

fatto Didone; doni regali, che equivalevano a quelli altrettanto regali che <strong>il</strong> troiano gli aveva<br />

fatto in precedenza. Enea era dunque <strong>il</strong> sovrano di Cartagine, <strong>il</strong> paredro di Didone (Mercurio<br />

lo apostrofa infatti col termine uxorius: proprietà della moglie).║Quando Didone apprende<br />

dalla Fama delle segrete manovre dei troiani, comincia a vagare per tutta la città in preda ad<br />

uno stato dell’animo che <strong>Virg<strong>il</strong>io</strong> esprime col verbo bacchatur “baccheggiare”. Non è forse a<br />

caso che tutto <strong>il</strong> brano rievoca i selvaggi rituali misterici dionisiaci, quasi una prefigurazione<br />

del rito auto-sacrificale che la regina compirà di lì a poco║Enea è detto perfide “perfido” da<br />

Didone, cioè mancante al giuramento fattogli. Non si può dubitare delle parole che <strong>Virg<strong>il</strong>io</strong><br />

mette in bocca a Didone: c’era stata da parte del duce troiano una esplicita promessa di<br />

matrimonio, sancita dal gesto rituale di avergli porto la mano destra 189 . Più in là Didone parla<br />

apertamente di unione nuziale (hymenaeos).║saltem si qua mihi de te suscepta fuisset ”se<br />

almeno fossi rimasta incinta di te” si rammarica Didone. Dopo numerosi rapporti, Didone<br />

non è rimasta incinta. Del resto la regina non aveva avuto figli dal precedente marito (non<br />

sono mai menzionati in alcun racconto), per cui è giocoforza supporla ster<strong>il</strong>e, o sacralmente<br />

ster<strong>il</strong>e, come Artemide║<strong>Il</strong>le Iovis monitis immota tenebat lumina et obnixus curam sub corde<br />

premebat ”Quello [Enea] aveva <strong>il</strong> pensiero fisso ai moniti di Giove e soffocava duro la<br />

pena che gli stringeva <strong>il</strong> cuore”. In pratica, nel cercare delle risposte da dare a Didone, Enea<br />

ha <strong>il</strong> pelo sullo stomaco e trova appena poche, affettate parole║nec coniugis unquam<br />

praetendi taedas ”né mai accesi le fiaccole del fidanzamento”, modo di dire per significare<br />

che Enea non aveva mai parlato apertamente di matrimonio. E’ vero, ma <strong>il</strong> suo<br />

comportamento a Cartagine e con Didone non poteva dare adito a diversa congettura. <strong>Virg<strong>il</strong>io</strong><br />

vuol far intravedere cacozelicamente un Enea sornione, pronto a gettare via da sé <strong>il</strong> fardello<br />

del Fato (ed è proprio ciò che Giove gli rimprovera) alla prima occasione”║et nos fas extera<br />

quaerere regna ”è fatale anche per noi cercare regno in luogo straniero”. Enea vuol dare<br />

188 “Fra gli stati non greci, l’unico o quasi che possedesse una costituzione ammirata da molti scrittori politici<br />

greci era Cartagine. La sua era l’unica costituzione non greca che fosse stata inclusa in una raccolta di saggi<br />

sulle costituzioni fatte sugli ordinamenti di Aristotele” (B. Warmington: LA STORIA DI CARTAGINE.<br />

Einaudi, Torino 1968).<br />

189 La stretta di mano sanciva ritualmente <strong>il</strong> contratto matrimoniale fra i due sposi nell’ordinamento romano. E’<br />

curioso notare che la stretta di mano è stata poi sostituita dal bacio.<br />

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