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Il Cattivo Zelo - Virgilio e il segreto dell'Eneide - ANTICA MADRE

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Pirro, Eleno divenne signore di parte (la Caonia) del regno che era stato di Pirro. Qui fondò<br />

una nuova Troia 175 .║calor ossa reliquit ”<strong>il</strong> calore vitale abbandona le sue ossa” per gli<br />

antichi le ossa erano la sede dell’anima vegetativa; da qui tutta l’importanza della<br />

conservazione di queste nei riti funerari per <strong>il</strong> successivo “nutrimento” rituale dell’anima del<br />

trapassato 176 ║“{}” <strong>il</strong> verso 340 è uno di quelli incompiuti e doveva contenere forse un<br />

accenno diretto a Creusa, madre di Ascanio║caesis primum de more iuvencis “uccisi prima<br />

di tutto secondo <strong>il</strong> rito dei giovenchi”, Eleno sta per emettere <strong>il</strong> vaticinio richiesto da Enea<br />

ma non trascura le cerimonie preparatorie, la più importante delle quali era lo scannamento di<br />

animali di grossa taglia, affinchè col sangue versato si potesse creare l’adatto ambiente<br />

fluidico per la “materializzazione” della visione║Aeaeaeque insula Circae “l’isola di Circe<br />

Eea”; in questo caso Eea è aggettivo in quanto specificazione della sede di Circe. La<br />

localizzazione della sede della maga Circe presso <strong>il</strong> promontorio del Circeo è molto antica e<br />

viene data per certa già ai tempi di Tarquinio. Si noti che “isola” in greco aveva riferimento<br />

anche a località terrestri ma circondate dalle acque (come ancora adesso in alcuni toponimi<br />

italiani), per cui non vi sarebbe nulla di strano nel parlare del Circeo, considerando che già<br />

Esiodo la localizzava in una località “tirrena”. Omero però non specifica (anzi, in base alla<br />

sua descrizione si potrebbe pensare all’isola egea di Ikaria), ma nella saga dei “nostoi” di<br />

Odisseo già si parla di una località del Lazio 177 ║Eleno predice ad Enea <strong>il</strong> segno <strong>segreto</strong> che<br />

indicherà <strong>il</strong> termine del suo viaggio, cioè <strong>il</strong> rinvenimento del sito della futura nuova Troia:<br />

allorchè egli vedrà ingens sus alba “una grossa scrofa bianca” sdraiata, intenta ad allattare<br />

trenta porcelli. La scrofa era l’animale totem degli Eneadi poichè, stando al racconto di<br />

Licofrone (Alessandra v. 1257), se l’erano portata appresso fin dalla partenza da Troia. Noi<br />

crediamo che con questo simbolo <strong>Virg<strong>il</strong>io</strong> abbia voluto significare anche l’etimologia della<br />

parola Roma, da ruma mammella o rumen pancia. Una scrofa come animale eponimo dei<br />

Romani non dovette però esaltare la nob<strong>il</strong>tà patrizia che in seguito cercò di dignificare le<br />

proprie origini trasformando la scrofa che allatta in una lupa 178 che allatta, e nonostante che<br />

ancora con Cassio Emina la figura della scrofa fosse presente nella storia di Romolo e Remo.<br />

175 (*) Riferendo (v.349) che anche Eleno costruì una “piccola Troia”, <strong>Virg<strong>il</strong>io</strong> smentisce clamorosamente<br />

l’unicità della missione troiana! Anche questo dato è un messaggio cacozelico del poeta contro Augusto,<br />

secondo la sua tecnica di alludere spesso alle versioni scartate di un mito all’interno di quella da lui accolta.<br />

176 “le ossa di Anchise racchiudono ciò che sopravvive di quel padre venerato: le ceneri sono <strong>il</strong> luogo dei Mani;<br />

non sono ossa inerti, giacchè la vita continua in esse; lì, nel fondo del midollo, si rifugia la sensib<strong>il</strong>ità e, cosa più<br />

importante, da lì rinascono le generazioni. Per riprendere le parole di J. Bayet: si faceva affidamento sui morti,<br />

cremati o inumati, per suscitare e mantenere una corrente procreatrice tra la terra feconda e i vivi…anche se<br />

passate per <strong>il</strong> fuoco del rogo funerario, le ossa consacrate dei defunti erano gli agenti necessari a quel flusso<br />

vitale che collegava misteriosamente le generazioni” (P. Grimal: VIRGILIO, p.251. Rusconi, M<strong>il</strong>ano 1986).<br />

177 “La posizione di questa Aiaie, l’isola di Circe, viene data nell’Odissea con parole che la trasportano oltre<br />

occidente e oriente. Ebbe poi un suo particolare fondamento, un fondamento nella concezione mitologica della<br />

configurazione del paesaggio, quando i Greci credettero di riconoscere l’isola di Circe, davanti le coste<br />

occidentali d’Italia: nell’odierno monte Circeo. Questo è sì unito alla terraferma mediante una pianura<br />

paludosa – le scomparse paludi pontine -, tuttavia anticamente ne era separato appunto da essa, in modo da<br />

formare un’isola selvosa. In questo promontorio circondato dal mare e dalla palude, ricoperto ancora dai<br />

boschi quando io lo visitai, in un paesaggio che al chiarore lunare, come io l’ho visto, sembra fatato, poteva<br />

benissimo avere la sua dimora quella grande dea arcaica, di cui scopriamo le fattezze in Circe” (K. Kerényi,<br />

FIGLIE DEL SOLE Boringhieri, Torino 1991). In Servio, VII 19, Circe viene definita una “grandissima<br />

puttana” (clarissima meretrix) che si spacciava come figlia del Sole a causa di questa sua gran fama e degradava<br />

gli uomini ad una vita animalesca con le blandizie della lussuria.<br />

178 La vicenda della scrofa ha del tragicomico. Dionisio di Alicarnasso riferisce che essa, gravida e prossima al<br />

parto di ben trenta porcelli, stava per essere sacrificata quando riuscì con degli scarti a scappare dalle mani dei<br />

sacrificatori eneadi. Inseguita a lungo da Enea per qualche ch<strong>il</strong>ometro, fu colta dalle doglie del parto sulla cima<br />

di una collina, dove si sgravò esausta. Qui Enea la scannò assieme ai suoi trenta porcellini. Le sue traversie non<br />

finirono qui, però! Varrone (DE RE RUSTICA II,4) riferisce che ancora ai suoi giorni a Lavinio “i sacerdoti<br />

mostrano <strong>il</strong> suo corpo conservato in salamoia”…<br />

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