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Il Cattivo Zelo - Virgilio e il segreto dell'Eneide - ANTICA MADRE

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Secondo un mito l’acanto che sorse sotto una lastra posta a protezione delle offerte votive<br />

della tomba di una fanciulla, ispirò un architetto nella creazione del famoso capitello<br />

corinzio. In realtà la pianta veniva ammirata per le forme variegate e la simmetria dei fiori.<br />

Qui i fiori sono detti biondi (crocei) probab<strong>il</strong>mente perché sono tessuti in f<strong>il</strong>o d’oro. <strong>Il</strong> fiore<br />

dell’acanto in natura è bianco. Dal punto di vista medicinale le sue proprietà sono analoghe a<br />

quelle della malva. Secondo Servio (VII 188) quest’abito faceva parte delle sette cose fatali <strong>il</strong><br />

cui possesso avrebbe garantito per sempre a Roma <strong>il</strong> dominio universale. 128 ║Helenae Elena,<br />

figlia di Leda e Giove mutatosi in cigno, è colei che per la sua bellezza fu causa della guerra<br />

di Troia. Nell’<strong>Il</strong>iade (III,180) Omero la fa autodefinirsi: kunopidos, ”faccia di<br />

cagna”… 129 ║(*) Ecco un’altra stranezza virg<strong>il</strong>iana, di quelle che ipoteticamente possono far<br />

pensare ad una ideologia sotterranea parallela a quella ufficiale dell’Eneide voluta da<br />

Augusto: lo sceptrum scettro che Enea dona a Didone. Pare davvero strano che <strong>il</strong> duce<br />

troiano vada a donare alla regina di Cartagine lo scettro che aveva impugnato <strong>Il</strong>iona, la figlia<br />

primogenita di re Priamo! Chiunque avrebbe interpretato come una consegna di dignità e<br />

prerogative, come un passaggio di poteri, <strong>il</strong> trasferimento a Cartagine dell’imperium di Troia<br />

– e <strong>il</strong> fatto che una figlia primogenita fosse, secondo <strong>Virg<strong>il</strong>io</strong>, dotata della potestà di<br />

impugnare uno scettro, potrebbe dirla lunga sulla vera concezione virg<strong>il</strong>iana della potestà<br />

governativa! <strong>Il</strong> dato è ancor più significativo perchè <strong>Il</strong>iona, una volta andata sposa al re di<br />

Tracia Polimestore 130 , avrebbe consegnato lo scettro a Enea. Non solo, ma tra i doni di Enea<br />

a Didone ve ne sono altri non meno significativi e regali: una doppia corona di oro e gemme<br />

ed un mantello trapunto d’oro. Una cosa del genere non poteva naturalmente sfuggire a chi<br />

segnalò a Vipsanio Agrippa la generale cacozelia del testo virg<strong>il</strong>iano. Un moderno estimatore<br />

della Romanità romulea, Marco Baistrocchi, ha cercato di ovviare non negando<br />

128 E’ curioso notare come Servio (VII, 188…”velum <strong>Il</strong>ionae”) non si accorga che nel testo virg<strong>il</strong>iano l’abito non<br />

è di <strong>Il</strong>iona ma di Leda che lo donò poi ad Elena e non è un “velum” (velo) ma appunto un “velamen” (abito).<br />

Precedentemente, commentando <strong>il</strong> verso 649 del I libro, cioè la parola virg<strong>il</strong>iana “velamen”, Servio la riconosce<br />

come tale e infatti specifica: “cycladem significat” cioè “si tratta di una ciclade” (tipica veste femmin<strong>il</strong>e di<br />

lusso). Dal momento che Servio è l’unico autore antico assieme a Rut<strong>il</strong>io Namaziano a parlarci di questi sette<br />

oggetti fatali dell’antica Roma (pur commettendo l’erorre di confondere l’Agdus, <strong>il</strong> simulacro litico della grande<br />

Madre con un acus, un ago…) tale equivoco – un velo al posto di un abito e Leda/Elena al posto di <strong>Il</strong>ione – getta<br />

un’ombra sulla genuinità di tutta questa storia! Di tale confusione (ago compreso) non sembra essersi voluto<br />

accorgere un moderno e dotto continuatore della religione augustea: Marco Baistrocchi (ARCANA URBIS<br />

p.312, Ecig, Genova 1987). Tralasciamo poi la sua pietas allorchè scrive contro ogni buon senso che “dal passo<br />

di Servio si dovrebbe presumere che <strong>il</strong> velo fu trasferito a Roma, probab<strong>il</strong>mente a seguito dell’espugnazione di<br />

Cartagine, ma si ignora in quale tempio fosse custodito” (cit. p.324, n.44). Baistrocchi non si è accontentato<br />

delle sette paria quae imperium Romanum tenent di Servio ed è convinto che ce ne siano molte di più (cit.<br />

p.319, n.3) e che, anzi, c’è chi le custodisce – alcune almeno - tutt’ora (cit. p.308)! “Chi più ne ha più ne metta”<br />

verrebbe da dire, e allora perchè non aggiungervi quei Libri Sib<strong>il</strong>lini che secondo Rut<strong>il</strong>io Namaziano (IL<br />

RITORNO II, 52-56) erano anch’essi dei pignora imperii? Traducendo correttamente <strong>il</strong> passo di Namaziano si<br />

legge infatti che St<strong>il</strong>icone distrusse oltre ai Libri Sib<strong>il</strong>lini tutti gli altri pignora imperii così come più tardi Vitige<br />

e Teia distruggeranno fisicamente gli ultimi patrizi di Roma; non c’è spazio per quell’ingenua ipotesi del nostro<br />

autore che vorrebbe una sopravvivenza sia degli oggetti che delle famiglie fino ai nostri giorni, poiché Rut<strong>il</strong>io<br />

era testimone contemporaneo. Inoltre <strong>il</strong> cristiano Prudenzio proclamò poco dopo con superbia che questi non si<br />

sarebbero più potuti usare (Apoth. 4, 39). Ma ecco <strong>il</strong> passo di Rut<strong>il</strong>io: “…bruciò i responsi d’aiuto della Sib<strong>il</strong>la<br />

(…) e volle distruggere i fatali pegni di eterno dominio e i fusi avvolti [del Destino di Roma; nel senso che non<br />

era posto un termine a quest’ultimo]”.<br />

129 Questa suppergiù la traduzione data dagli studiosi. Noi però vogliamo ricordare l’espressione: kunotòs<br />

“orecchio di cane”, che era un tipo di lancio coi dadi, poiché Elena fu tratta a sorte, in una variante del suo mito<br />

(Plutarco: Teseo, 31), fra Teseo e Piritoo. Ai dadi fu vinta dal dio Ercole anche la romana Acca Larenzia. Tutto<br />

ciò rimanda a rituali di prostituzione dotale (M. Duichin: IEROPORNIA, cap.II. <strong>Il</strong> Mondo 3, Roma 1996).<br />

Anche l’espressione faccia di cagna è comunque connessa al tema della prostituzione sacra, poichè in Licofrone<br />

(v.1385) la figlia di Neleo, “vergine puttana”, viene detta “abbaiare oscenità”. Tra i Romani, popolo meno<br />

domestico dei Greci, la lupa faceva le veci della cagna.<br />

130 Caduta Troia, Polimestore la uccise, così come uccise anche suo fratello Polidoro.<br />

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