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Il Cattivo Zelo - Virgilio e il segreto dell'Eneide - ANTICA MADRE

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sottomesso a Mecenate e di essere l’inventore di una nuova cacozelia, nè retorica nè frivola,<br />

ma fatta di parole comuni, e perciò oscura.” (M. Vipsanius a Maecenate eum suppositum<br />

appellabat novae cacozeliae repertorem, non tumidae nec ex<strong>il</strong>is, sed ex communibus verbis,<br />

atque ideo latentis). Questo passo è stato interpretato da alcuni come la prova che nell’Eneide<br />

ci sia un senso nascosto, una seconda scrittura. Altri, ritengono trattarsi semplicemente di una<br />

accusa rivolta ad uno st<strong>il</strong>e letterario che avrebbe fatto uso di un linguaggio poco forbito 49 .<br />

Entrambe le chiavi di lettura non mancano di elementi a favore; la seconda si appoggia alla<br />

piccola letteratura anti-virg<strong>il</strong>iana da noi riferita in nota, la prima anche a ciò che noi stessi<br />

abbiamo ritenuto di configurare in questa “rivisitazione”. Sulla prima ipotesi pare che<br />

un’allusione vi sia in <strong>Virg<strong>il</strong>io</strong> stesso: “…dedico a quest’opera anche altri studi, molto più<br />

impegnativi” 50 , a meno di non volerla intendere esclusivamente rivolta ad argomenti di diritto<br />

pontificale e sim<strong>il</strong>i.<br />

Già <strong>il</strong> napoletano Carlo Vecchione nel 1850 aveva scritto un libro, Della Sapienza riposta<br />

della letteratura antica seguita da Dante, in cui mostrava di essersi accorto di una cacozelia<br />

latens, un senso nascosto: “Ho detto, che vi era un’interpretazione allegorica d’Omero, che<br />

si limitava al solo senso morale, <strong>il</strong> quale non era gelosamente custodito da’ dotti, e da’<br />

sapienti. Così parimente avveniva del poema di <strong>Virg<strong>il</strong>io</strong>. Egli certamente vi ripose de’ sensi<br />

assai profondi, poiché ad Augusto, che gli dava fretta, così rispondeva: ‘Quanto al mio Enea,<br />

se già mi paresse degno de’ tuoi orecchi, volentieri te lo manderei. Ma ho posto mano ad<br />

opra si grande che per poco non mi sembra folle l’impresa, tanto più che, come sai, mi sono<br />

immerso per l’uopo in altri studii, ed assai più gravi’. E Macrobio, <strong>il</strong> quale ci ha conservata<br />

questa lettera, dice incontamente: ‘Né da queste parole di <strong>Virg<strong>il</strong>io</strong> discorda l’abbondanza<br />

delle cose, che quasi tutti i letterati saltano a piè pari, come se non fosse lecito al<br />

grammatico di sapere altro che la dichiarazione delle parole. In tal modo questi graziosi si<br />

hanno circoscritti i confini della scienza, e quasi hanno posto <strong>il</strong> pomerio, e gli editti: e se<br />

nessuno si attenta ad uscir fuori, è giudicato colpevole come se avesse guardato nel tempio<br />

della Dea, dal quale sono scacciati i maschi. Ma noi, a’ quali non si addice <strong>il</strong> corto sapere<br />

degl’ingegni grossi, non dobbiamo tollerare che sieno chiusi gli aditi del poema sacro: ma<br />

investigando l’adito de’ sensi arcani, faremo che gli schiusi penetrali sieno frequentati dal<br />

concorso, e dagli studii de’ dotti’. Ma Fulgenzio Planciade, autore d’un libro intorno alle<br />

allegorie contenute nella Eneide, non volle usar la stessa intrepidezza. Scrisse anch’egli,<br />

come Macrobio, che da molti era ripreso lo studio d’indagare gli arcani sensi di quel poema:<br />

ma più cauto, e più timido di lui si sottomise alla legge del s<strong>il</strong>enzio; e tralasciando le cose di<br />

maggior peso, si contentò di esporre una poco importante allegoria, ch’egli stesso affermò<br />

essere insegnata a’ fanciulli da’ maestri di scuola. Ma se mostrò di tenere in poco pregio<br />

questa allegoria, in modo assai solenne fece palese la sua riverenza per le cose che non<br />

credè di poter toccare. Infatti rivolgendosi allo stesso <strong>Virg<strong>il</strong>io</strong>, lo pregò di discendere<br />

dall’altezza de’ suoi ardui concetti. ‘Stantechè non cerchiamo nella tua opera quelle parti, in<br />

cui Pitagora mise le armoniche misure, o Eraclito i fuochi, o Platone le idee, o Ermete gli<br />

astri, o Crisippo i numeri, o Aristot<strong>il</strong>e le entelechie; né le cose di cui trattarono Dardano nei<br />

Dinameri, o Battiade nei Paredri, o Campestre nei Parabolici, e negl’Infernali: ma<br />

solamente cerchiamo ciò che in compenso de’ salarii mens<strong>il</strong>i i grammatici insegnano<br />

storpiamente ai fanciulli’. Se potesse domandarsi a Fulgenzio, come mai, essendo consigliato<br />

dalla prudenza di non dire le cose di maggior peso, credè esser pregio dell’opra di esporre<br />

una dottrina da fanciulli, credo risponderebbe, che sotto la corteccia di questa um<strong>il</strong>e dottrina<br />

49 E’ quanto scrive P. Grimal, cit. p.173, che pur annoverando Agrippa fra i detrattori di <strong>Virg<strong>il</strong>io</strong> si limita a<br />

segnalare che “giudicava affettato lo st<strong>il</strong>e virg<strong>il</strong>iano e diceva che in una creatura di Mecenate la cosa non<br />

doveva stupire!”.<br />

50 lettera ad Augusto citata da Macrobio: Sat. I, 24, 13<br />

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