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Il Cattivo Zelo - Virgilio e il segreto dell'Eneide - ANTICA MADRE

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e ognuno sarà debitore per decine » (III, 350). « O Italia, a te non verrà nessun Marte<br />

straniero (a soccorrerti), <strong>il</strong> sangue tanto sciagurato e non fac<strong>il</strong>e a distruggere del tuo<br />

stesso popolo devasterà te, celebre e svergognata. E tu, giacendo presso le ceneri ancor<br />

calde, impreveggente nell'animo tuo, ti darai la morte. Sarai madre di uomini senza<br />

bontà, sarai la nutrice di belve » (III, 460-470). E qui fa seguito tutto un f<strong>il</strong>m di sciagure e<br />

di catastrofi, descritte con sadica compiacenza. I riferimenti all'ebraismo si fanno sempre più<br />

distinti verso la fine del III libro e sul principio del IV. La profezia diviene storia in IV, 115:<br />

« Anche a Gerusalemme verrà una malvagia tempesta di guerra dall'Italia e abbatterà <strong>il</strong> gran<br />

tempio di Dio ». Ma da catastrofi di ogni genere « essi dovranno riconoscere l'ira del Dio<br />

celeste, perché distrussero l'innocente popolo di Dio». Che la Bab<strong>il</strong>onia di cui, in relazione a<br />

ciò, con tinte granguignolesche sim<strong>il</strong>i a quelle dell'Apocalissi giovannea, si descrive <strong>il</strong> crollo<br />

agognato, perché essa, insieme all'Italia, fece perire fra gli ebrei molti santi fedeli e <strong>il</strong> popolo<br />

verace (cioè Israele); fosse Roma, anche agli antichi era perfettamente chiaro. Lattanzio, per<br />

es., scrive (Div. Inst., VII, 15, 18): « Sibyllae tamen aperte interitum esse Romam locuntur et<br />

quidem iudicio dei quod nomen eius habuerit invisum et inimica iustitiae alumnum veritatis<br />

populum trudidarit ». In IV, 167 segg. si continua: « Ahi, o città tutta impura della terra<br />

latina, mènade che ama le vipere, vedova ti sederai sulle alture e <strong>il</strong> fiume Tevere<br />

piangerà te, la sua consorte, che hai cuore omicida e animo impuro. Non sai che cosa<br />

può Dio e che cosa egli ti prepara? Ma tu dici: Io sola sono e nessuno mi distruggerà. Ed<br />

ora te e tutti i tuoi distruggerà invece <strong>il</strong> Dio imperituro, e non vi sarà traccia di re in<br />

quella terra, come prima, quando <strong>il</strong> gran Dio inventò le tue glorie. Rimani sola, o<br />

iniqua; immersa nel fuoco divampante, abita la tua iniqua regione tartarea di Ade ». Di<br />

contro alla città romulea e alla terra italica condannate sta invece la « razza divina dei celesti<br />

beati giudei » (248). Nel libro III (703-5) si ripete: « Ma gli uomini del gran Dio tutti quanti<br />

vivranno intorno al tempio rallegrandosi di quelle cose che ad essi darà <strong>il</strong> creatore, giudice<br />

solo sovrano... e tutte le città esclameranno: Quanto ama questi uomini, l'Immortale! ». I<br />

passi 779 segg. riproducono quasi alla lettera le note profezie di Isaia, vi prende forma <strong>il</strong><br />

sogno messianico e imperialista ebraico, che per centro ha <strong>il</strong> Tempio: i «profeti del Gran<br />

Dio» terranno, dopo <strong>il</strong> ciclo delle catastrofi e delle distruzioni, la spada, e saranno re e<br />

giustizieri delle genti. Questi nuovi profeti, tutti discendenti da Israele, son destinati di essere<br />

« guide di vita per l'intero genere umano » (580). È singolare <strong>il</strong> contrasto proprio al fatto che,<br />

mentre da una parte, come si è accennato, gli autori di questi scritti tentano un alibi pagano,<br />

vogliono cioè dare alle loro espressioni profetiche l'autorità procedente dall'antica tradizione<br />

sib<strong>il</strong>lina romana, nel libro quarto (1-10) essi vanno a tradire completamente le loro vere<br />

posizioni. In questo passo i Libri Sib<strong>il</strong>lini contengono infatti una viva polemica contro le<br />

sib<strong>il</strong>le pagane rivali e colei, nella bocca della quale si mette l'espressione delle speranze<br />

d'odio e di vendetta del popolo eletto, dice di esser profetessa non del « bugiardo Febo », del<br />

dio apollineo « che uomini sciocchi dissero un dio e chiamarono a torto profeta, ma di Dio<br />

grande »; del Dio, che non tollera imagini; cosa che vuoi palesemente dire Jehova, <strong>il</strong> dio del<br />

Mosaismo. Con ciò — si direbbe in linguaggio hegeliano — la negazione va a negare la<br />

negazione, epperò a mettere in luce <strong>il</strong> fatto essenziale di tutta questa « tradizione ». <strong>Il</strong> «<br />

bugiardo Febo » che <strong>il</strong> Dio d'Israele vuole soppiantare è in realtà <strong>il</strong> falso Apollo, poiché,<br />

anche se la religione sib<strong>il</strong>lina ha riferimenti ad Apollo, non si tratta qui, della pura divinità<br />

della luce, del simbolo del culto solare d'origine iperborea (nordico-aria), bensì dell'Apollo<br />

dionisizzato, che si assoda all'elemento femin<strong>il</strong>e e soprattutto questo prende ad organo delle<br />

sue rivelazioni, riesumando <strong>il</strong> principio dell'antica ginecocrazia demetrico-pelasgica. Ciò che<br />

rimane, è dunque la continuità di una influenza antiromana che sempre più si precisa e che<br />

nel periodo fra <strong>il</strong> I e <strong>il</strong> III secolo va incontestab<strong>il</strong>mente a far capo o, almeno, a far causa<br />

comune con l'elemento semitico-giudaico, in relazione al quale essa assume le sue forme più<br />

estremistiche e, per cosi dire, rivela finalmente <strong>il</strong> terminus ad quem, lo scopo finale di tutta<br />

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