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Rapporto Annuale Federculture 2012

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Estratto distribuito da Biblet<br />

RAPPORTO ANNUALE FEDERCULTURE <strong>2012</strong><br />

CULTURA E SVILUPPO<br />

LA SCELTA PER SALVARE L’ITALIA<br />

Estratto della pubblicazione<br />

a cura di Roberto Grossi<br />

24 ORE Cultura


Estratto distribuito da Biblet<br />

Estratto della pubblicazione


Estratto distribuito da Biblet<br />

RAPPORTO ANNUALE FEDERCULTURE <strong>2012</strong><br />

CULTURA E SVILUPPO<br />

LA SCELTA PER SALVARE L’ITALIA<br />

a cura di Roberto Grossi<br />

con il sostegno di<br />

24 ORE Cultura


In copertina e nelle aperture<br />

Alessandro Mendini, Architetture per Domus<br />

(intero e particolari), 2000.<br />

© Atelier Mendini / Courtesy Biblioteca del Progetto.<br />

Fondazione la Triennale di Milano<br />

Realizzazione editoriale<br />

24 ORE Cultura srl<br />

© <strong>2012</strong> 24 ORE Cultura srl, Pero (Milano)<br />

Fedcerculture e l’Editore ringraziano gli autori dei testi<br />

per la gentile concessione<br />

Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi.<br />

Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata.<br />

Prima edizione maggio <strong>2012</strong><br />

Edizione eBook maggio <strong>2012</strong><br />

ISBN 978-88-6648-113-3<br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

FEDERCULTURE<br />

ORGANI DIRETTIVI<br />

presidente<br />

Roberto Grossi<br />

Fondazione maxxi - Vice Presidente<br />

tesoriere<br />

Carlo Fuortes<br />

Fondazione Musica per Roma - Amministratore Delegato<br />

presidente onorario<br />

Maurizio Barracco<br />

segretario generale<br />

Roberto Grossi<br />

consiglio direttivo<br />

Andrea Arcai<br />

Comune di Brescia - Assessore Cultura, Turismo, Pubblica<br />

Istruzione<br />

Luca Borzani<br />

Fondazione Palazzo Ducale di Genova - Presidente<br />

Maurizio Braccialarghe<br />

Comune di Torino - Assessore Cultura, Turismo<br />

e Promozione della Città<br />

Antonio Centi<br />

Istituzione Sinfonica Abruzzese - Presidente<br />

Andrea Colasio<br />

Comune di Padova - Assessore Cultura<br />

Domenico De Masi<br />

S 3 Studium s.r.l. - Presidente<br />

Sergio Escobar<br />

Fondazione Piccolo Teatro di Milano -<br />

Teatro d’Europa - Direttore<br />

Marcello Foti<br />

Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografi a -<br />

Direttore Generale<br />

Umberto Croppi<br />

Fondazione Valore Italia - Direttore Generale<br />

Carlo Fuortes<br />

Fondazione Musica per Roma - Amministratore Delegato<br />

Giorgio Galvagno<br />

Comune di Asti - Sindaco<br />

Dino Gasperini<br />

Comune di Roma - Assessore Politiche Culturali<br />

e Centro Storico<br />

Carmelo Grassi<br />

Consorzio Teatro Pubblico Pugliese - Presidente<br />

Pietro Marcolini<br />

Regione Marche - Assessore Beni ed Attività Culturali<br />

Albino Ruberti<br />

Zetema Progetto Cultura s.r.l. - Amministratore Delegato<br />

Fabiana Santini<br />

Regione Lazio – Assessore Cultura, Arte e Sport<br />

Angelo Tabaro<br />

Regione Veneto – Segretario alla Cultura<br />

Giuseppe Tota<br />

Lazio Service spa – Direttore Generale ad interim<br />

giunta esecutiva<br />

Roberto Grossi<br />

Marcello Foti<br />

Carlo Fuortes


presentazione<br />

la cultura come motore della crescita italiana 7<br />

Roberto Napoletano<br />

prefazione 11<br />

Lorenzo Ornaghi<br />

tre ministri in campo per la cultura 13<br />

Lorenzo Ornaghi, Corrado Passera, Francesco Profumo<br />

la cultura dall’emergenza allo sviluppo 15<br />

Roberto Grossi<br />

parte prima<br />

scenari internazionali. strategie e politiche tra recessione e crescita<br />

culture and creativity in the european union 55<br />

Androulla Vassiliou<br />

cultura, diversità ed economia creativa in brasile 61<br />

Ana de Hollanda<br />

parte seconda<br />

la cultura nell’italia che cambia<br />

sommario |<br />

il contributo dei privati allo sviluppo della cultura 71<br />

Ilaria Borletti Buitoni<br />

per una ricostruzione della cultura in italia 77<br />

Andrea Carandini<br />

carmina non dant panem? 85<br />

Pier Luigi Celli<br />

progettare il futuro: la competitività degli enti locali 95<br />

Graziano Delrio<br />

Estratto della pubblicazione


la misura del benessere e il ruolo della cultura 99<br />

Enrico Giovannini<br />

un’opportunità per la crescita 115<br />

Renzo Iorio<br />

lo spettacolo risorsa fondamentale del sistema paese 119<br />

Paolo Protti<br />

parte terza<br />

l’industria creativa per lo sviluppo. opinioni a confronto<br />

l’industria creativa per lo sviluppo. opinioni a confronto 127<br />

Roberto Grossi a colloquio con Gianluca Comin, Umberto Croppi, Sergio Escobar,<br />

Fabrizio Grifasi, Alessandro Massarenti, Alberto Vanelli, Dario Edoardo Viganò<br />

parte quarta<br />

esperienze per lo sviluppo territoriale<br />

l’italia che funziona: esperienze e idee nuove per la competitività 151<br />

Flavia Camaleonte<br />

l’esperienza e i programmi della regione marche 157<br />

Pietro Marcolini<br />

la fondazione di venezia per la riqualificazione urbana di mestre 165<br />

Giuliano Segre, Giuliano Gargano<br />

la cultura nelle politiche europee di sviluppo territoriale 169<br />

Claudio Bocci<br />

dati e ricerche<br />

la cultura nelle città: analisi dei bilanci 177<br />

delle amministrazioni comunali e delle aziende culturali<br />

Ludovico Solima<br />

cultura e comunicazione d’impresa in tempo di crisi 183<br />

Francesco Moneta, Laura Cantoni<br />

la cultura per lo sviluppo dell’economia romana 195<br />

Giancarlo Cremonesi<br />

dati e analisi sulle dinamiche del settore cultura - turismo 199<br />

Emanuela Berna Berionni<br />

contenuti extra in formato e-book<br />

dossier legislativo<br />

Daniela La Marca<br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

Estratto della pubblicazione


la cultura come motore della crescita italiana*<br />

Roberto Napoletano**<br />

Una rivoluzione copernicana. Per ricollocare il sapere – tutti i saperi: quelli storico-artistici<br />

e scientifi ci, la ricerca delle università e delle imprese così come l’attività quotidiana<br />

della scuola, di ogni ordine e grado – al centro dell’attenzione pubblica in Italia. E farne<br />

una leva poderosa di sviluppo sociale, civile ed economico. Senza cultura non si genera<br />

sviluppo: lo ha scritto «Il Sole 24 Ore» lanciando domenica 19 febbraio il Manifesto per<br />

la Costituente della cultura. Lo evidenzia con grande forza la scelta di <strong>Federculture</strong> di<br />

dedicare questo suo <strong>Rapporto</strong> annuale proprio al binomio cultura-sviluppo, in coerenza<br />

con l’impegno istituzionale di mettere in sinergia tutte le competenze che nel nostro<br />

Paese operano su questo campo.<br />

Abbiamo un tesoro immenso non solo da salvare, ma soprattutto da valorizzare: il<br />

nostro patrimonio artistico, la bellezza del paesaggio, la tradizione, una presenza diff usa<br />

di conoscenze, know how e innovazione. E non possiamo più subire passivamente la<br />

sindrome del declino, lo spreco di risorse, le sovrapposizioni di energie e competenze<br />

o le ferite quotidiane che il degrado infl igge ai nostri monumenti. C’è oggi un’energia<br />

nuova, un desiderio diff uso di riscattare la nostra inestimabile ricchezza culturale, un<br />

* Domenica 19 febbraio <strong>2012</strong> «Il Sole 24 Ore» ha pubblicato il Manifesto per la Costituente della cultura:<br />

Niente cultura, niente sviluppo, cinque punti per far rinascere la cultura in Italia, ripreso da Roberto<br />

Napoletano nel presente articolo. All’intenso dibattito che ne è seguito tra i principali esponenti della<br />

cultura e dell’economia, sia italiani che internazionali, hanno partecipato anche i tre Ministri Lorenzo<br />

Ornaghi, Corrado Passera e Francesco Profumo, rispondendo alle sollecitazioni del Manifesto con una<br />

lettera aperta che riportiamo a seguito della Prefazione del Ministro Ornaghi.<br />

** Direttore «Il Sole 24 Ore»<br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

Estratto della pubblicazione


8 | rapporto annuale federculture <strong>2012</strong><br />

invito sempre più pressante per un profondo cambiamento di mentalità. L’appello rivolto<br />

dalle pagine del nostro giornale ha ricevuto, infatti, una risposta entusiasmante, con<br />

migliaia di adesioni da parte di ministri, esponenti del mondo della cultura italiana e<br />

internazionale, manager, docenti universitari, insegnanti e soprattutto tanti, tantissimi,<br />

cittadini. Una richiesta corale e appassionata perché l’investimento del Paese nella<br />

cultura venga fi nalmente considerato in tutte le sue potenzialità, come il vero motore<br />

della crescita italiana.<br />

La cultura deve entrare a far parte dell’agenda del Governo. E non si tratta soltanto<br />

di dare qualche fi nanziamento in più per la tutela del patrimonio, di proteggere un<br />

paesaggio profondamente martoriato, di aumentare la platea dei programmi di ricerca<br />

da sovvenzionare. Interventi non disprezzabili, e comunque fondamentali, ma di corto<br />

respiro. Ciò che occorre è un rovesciamento di prospettiva e sensibilità. Impegno ancora<br />

più diffi cile in tempi di crisi, ma ineludibile. Bisogna avere il coraggio di pensare la cultura<br />

come orizzonte di sviluppo. Non si può fare altrimenti.<br />

Rinunciare a una simile sfi da, relegare la cultura all’evento occasionale, alla visita di un<br />

museo, all’intervento spot, mettersi in una posizione conservativa e rinunciataria, sarebbe<br />

un grave pericolo. Ne va della nostra identità, del collante sociale, delle eccellenze con cui<br />

il mondo ci conosce. È a queste eccellenze che si richiama «Il Sole 24 Ore» con il suo<br />

stile, assai concreto, di investire in cultura attraverso il supplemento culturale «Domenica»<br />

e le iniziative di 24Ore Cultura.<br />

Economia e cultura, sotto questa prospettiva, non possono che esaltarsi a vicenda, come<br />

sottolinea l’impegno di <strong>Federculture</strong>. Il made in Italy ha dietro di sé secoli d’intelligenza<br />

e creatività. I manufatti dei nostri artigiani, i prodotti dell’alta moda, le idee imprenditoriali,<br />

sono anche il risultato del “bello” diff uso che ognuno di noi può respirare nella<br />

grande città come nel centro storico di un piccolo Comune, nell’attraversare paesaggi<br />

ineguagliabili così come nel visitare una chiesa o un museo.<br />

Il Belpaese non è solo uno slogan. Viviamo in un territorio ricchissimo di storia e d’arte<br />

che, nonostante la diff usa e perpetua incuria, continua a richiamare milioni di visitatori<br />

stranieri. La prima mossa è arrestare l’improvvisazione che da tempo contraddistingue<br />

la gestione della cultura. Fare in modo che non ci siano più monumenti che cadono a<br />

pezzi o cervelli che fuggono oltreconfi ne.<br />

Ma questa azione difensiva non basta. Finora abbiamo vissuto di rendita grazie all’enorme<br />

patrimonio di sapere e reperti che il passato ci ha tramandato, senza essere neanche<br />

in grado di tutelarlo a dovere. Non riusciamo più, però, a produrre cultura. Questo è il<br />

secondo passo: tornare a creare, a scrivere, a progettare. Fare in modo che il made in Italy<br />

si alimenti di nuova linfa.<br />

Due mosse che possono contare su segnali confortanti. Negli ultimissimi anni, dopo<br />

un periodo di contrazione, la domanda di cultura è cresciuta: i visitatori dei musei sono<br />

aumentati, le mostre registrano migliaia di presenze, la spesa delle famiglie per cinema,<br />

musica e libri ha ripreso un po’ fi ato nonostante i tempi diffi cili.<br />

La rivoluzione copernicana è, insomma, a portata di mano. Occorre crederci e studiare,<br />

con intelligenza e decisione, politiche che chiamino la pubblica amministrazione e i<br />

privati a collaborare, ognuno secondo le proprie competenze.<br />

Estratto della pubblicazione


i cinque punti del manifesto<br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

la cultura come motore della crescita italiana | 9<br />

Sintesi del Manifesto per la Costituente della cultura pubblicato dal «Sole 24 Ore-<br />

Domenica» il 19 febbraio <strong>2012</strong><br />

1. Una Costituente per la cultura<br />

Niente cultura, niente sviluppo. Cultura e ricerca secondo l’articolo 9 della Costituzione<br />

sono i capisaldi che vanno salvaguardati e procedono insieme.<br />

2. Strategia di lungo periodo<br />

Pensare a un’ottica di medio-lungo periodo, simile alla ricostruzione economica che sancì<br />

la svolta del Dopoguerra<br />

3. Cooperazione tra ministeri<br />

La funzione dello sviluppo sia al centro dell’azione di Governo. Collaborazione tra i<br />

ministri competenti.<br />

4. L’arte a scuola e la cultura scientifi ca<br />

A tutti i livelli educativi<br />

5. Pubblico-privato, sgravi ed equità fi scale<br />

Pratica e cultura del merito, intervento dei privati nel patrimonio per una cultura diff usa.<br />

Estratto della pubblicazione


Estratto distribuito da Biblet<br />

Estratto della pubblicazione


prefazione<br />

Lorenzo Ornaghi*<br />

Cresce ed è sempre più forte – in larghe fasce della società, particolarmente nelle sue élite<br />

intellettuali e dirigenti – la volontà di favorire una diretta, effi cace e trasparente collaborazione<br />

con le istituzioni dello Stato, al fi ne di tradurre in atto e praticare nel miglior<br />

modo possibile quell’imprescindibile valore rappresentato per il nostro Paese dalla cultura.<br />

È un’espressione di volontà da cui nascono motivi non solo di grande soddisfazione,<br />

ma anche di incoraggiamento. Il <strong>Rapporto</strong> <strong>Annuale</strong> <strong>Federculture</strong> – strumento prezioso<br />

e ormai consolidato nel panorama del pubblico dibattito – va esattamente in questa<br />

direzione. E signifi cativamente, quest’anno, si è scelto di declinare il tema della cultura<br />

in rapporto a quello, altrettanto decisivo per l’Italia di oggi e per i suoi cittadini, dello<br />

sviluppo. In questa stagione storica, segnata dall’incertezza e dalla diffi coltà di guardare<br />

oltre le nebbie che avvolgono il futuro, Cultura e Sviluppo si intrecciano indissolubilmente.<br />

Dentro lo scenario globale, lo stato di ‘crisi’ sembra diventare una realtà permanente,<br />

anziché una pur rischiosa fase puntuale. Le dolorose conseguenze della crisi economicofi<br />

nanziaria sull’esistenza delle persone e delle comunità sono sempre più accompagnate<br />

da una grave forma di consunzione dei legami collettivi, da un preoccupante logoramento<br />

delle relazioni interpersonali e degli obblighi intergenerazionali. Le società si rannicchiano<br />

nella conservazione del presente e nella difesa, per quanto possibile, dei singoli tornaconti<br />

individuali o di gruppo. Al declinare della speranza in un domani migliore dell’oggi, si<br />

alimentano e diff ondono inquietudini e invidia sociale.<br />

Per oltrepassare le mal ferme e pericolose condizioni in cui da troppo tempo versano il<br />

nostro Paese e gran parte dell’Europa, è sempre più indispensabile recuperare e rinnovare<br />

* Ministro per i Beni e le Attività Culturali<br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

Estratto della pubblicazione


12 | rapporto annuale federculture <strong>2012</strong><br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

una solida e profonda visione culturale, capace di interpretare e orientare adeguatamente<br />

le odierne accelerazioni tecnico-scientifi che e i rapidi spostamenti degli assi geo-politici<br />

planetari. Il ruolo della cultura, intesa anche come conoscenza e ricerca, diventa sempre<br />

più cruciale nel determinare gli equilibri socio-economici delle nazioni e nel costruire<br />

il benessere duraturo delle società. Molti sono gli esempi di popoli che, proprio sugli<br />

investimenti in cultura e conoscenza, stanno ottenendo il loro riscatto, così da off rire ai<br />

propri cittadini opportunità più giuste di crescita.<br />

Cultura e Sviluppo sono i due pilastri su cui dev’essere edifi cato il progresso dell’Italia:<br />

la dimensione spirituale e intellettuale, con quella economico-produttiva, sono – insieme<br />

– la chiave per conseguire un reale incremento della complessiva qualità della vita<br />

di singoli e aggregazioni.<br />

Alla luce di un tale convincimento, insieme con Corrado Passera e Francesco Profumo,<br />

ministri rispettivamente dello Sviluppo Economico e dell’Istruzione, Università e Ricerca,<br />

abbiamo scritto una lettera a «Il Sole 24 Ore», a proposito del Manifesto per la Costituente<br />

della cultura che il quotidiano ha lanciato nel febbraio scorso. E abbiamo così ribadito<br />

l’intenzione di lavorare in modo coeso e senza esitazioni, proprio perché la cultura e la<br />

conoscenza chiedono attenzione e partecipazione da parte dell’intera comunità. Lo Stato,<br />

lungi dall’arretrare di fronte alle crescenti diffi coltà di produrre e assicurare il benessere<br />

dei cittadini, deve assumere un ruolo di coordinamento e garanzia in ogni iniziativa che<br />

enti pubblici e privati intraprendano in quella direzione.<br />

Nel nostro Paese, in particolare, dobbiamo far tesoro delle profonde radici e dei meravigliosi<br />

frutti di una cultura che continua a vivere grazie a un’eredità plurimillenaria<br />

su cui si fonda anche il continente europeo. La nostra tradizione culturale – umanistica<br />

e scientifi ca, laica e religiosa, con il contributo di letteratura e poesia, storia e geografi a,<br />

fi losofi a e arti, insieme con le scienze ‘esatte’, talvolta ‘dure’, ciascuna secondo le proprie<br />

specifi cità disciplinari – ci consente di guardare al futuro con la serena consapevolezza di<br />

chi può costruirlo su fondamenta ben salde. Poiché, come ha osservato Johan Huizinga,<br />

esiste «un’irrefragabile verità: se vogliamo conservare la cultura dobbiamo continuare a<br />

creare cultura». Adesso tocca a noi.<br />

Estratto della pubblicazione


Estratto distribuito da Biblet<br />

tre ministri in campo per la cultura<br />

Lorenzo Ornaghi, Corrado Passera, Francesco Profumo*<br />

Gentile Direttore, ringraziamo «Il Sole 24 Ore» per l’articolo di domenica. I cinque punti<br />

«per una costituente della cultura» off rono elementi di rifl essione non convenzionali e, per<br />

questo, fortemente degni di attenzione. Riteniamo meritevole ogni iniziativa che sappia<br />

riportare al centro del dibattito pubblico il valore della cultura, della ricerca scientifi ca,<br />

dell’innovazione e dell’educazione a vantaggio del progresso nel nostro Paese. Potrebbe<br />

sembrare paradossale cercare di mettere la cultura al centro del dibattito politico in un<br />

momento n cui l’Italia è sottoposta a tensioni di natura fi nanziaria e si trova nel bel<br />

mezzo di una nuova recessione, con un disagio occupazionale in crescita. ll Sole 24 Ore<br />

ha lanciato un Manifesto in cinque punti e una Costituente affi nché la cultura diventi<br />

un motore per lo sviluppo Eppure oggi, come in altre occasioni della storia del Paese,<br />

le prospettive di ripresa e di tenuta della coesione sociale sono legate a processi virtuosi<br />

di cambiamento che scaturiscono e sono guidati, se vogliono farsi fondamenta solide di<br />

sviluppo duraturo, soprattutto da una spinta di natura culturale: spinta che interessa le<br />

nostre prospettive, il nostro civismo, il nostro senso di responsabilità, il contenuto della<br />

nostra democrazia, il nostro rapporto con la cosa pubblica e il bene comune.<br />

Assai suggestivo e appropriato appare il richiamo al discorso di De Gasperi alla Scala<br />

di Milano. Lo spirito che caratterizzò l’Italia e le sue leadership nel secondo dopoguerra<br />

va oggi arricchito ancora una volta da una illuminata visione culturale. L’investimento<br />

in cultura, ricerca ed educazione nel nostro Paese è insuffi ciente, se confrontato su scala<br />

* Lorenzo Ornaghi, Ministro Ministro per i Beni e le Attività Culturali; Corrado Passera, Ministro dello<br />

Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e Trasporti; Francesco Profumo, Ministro dell’Istruzione<br />

Estratto della pubblicazione


14 | rapporto annuale federculture <strong>2012</strong><br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

internazionale. Di fronte alle scelte di spending review,che comporteranno una rivisitazione<br />

del mix della nostra spesa pubblica, la componente impiegata nella sfera della<br />

conoscenza non può essere considerata un costo da tagliare, ma rappresenta uno dei<br />

bacini in cui spendere di più e meglio creando sviluppo e occupazione. In quest’ambito,<br />

lo Stato è chiamato a svolgere un’imprescindibile funzione pubblica, non a caso sancita<br />

e garantita dalla nostra stessa Costituzione.<br />

Un investimento che deve interessare lo straordinario patrimonio culturale italiano,<br />

inteso non solo come risorsa da tutelare e preservare, ma da animare e valorizzare sempre<br />

di più, perché elemento costitutivo dell’identità del Paese, della sua storia, della sua civiltà,<br />

del suo “saper fare”, della sua stessa competitività. La conoscenza è fattore dinamico e<br />

generativo, è il terreno comune per la convivenza civile, fondamentale mezzo di promozione<br />

sociale: la prima responsabilità della politica è la cura della “Repubblica della<br />

conoscenza”. È questa la condizione per una società aperta e moderna.


1. una rivoluzione culturale<br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

la cultura dall’emergenza allo sviluppo<br />

Roberto Grossi<br />

Le domande per cambiare<br />

Serve una rivoluzione culturale. È ormai evidente che un progetto per il Paese, che<br />

guardi davvero in avanti, aff rontando le emergenze dell’economia e delle fi nanze ma in<br />

una prospettiva di sviluppo complessivo della società, deve portare a scelte coraggiose e<br />

imprimere cambiamenti radicali. L’Italia sta attraversando una crisi economica, politica<br />

e sociale che non ha precedenti, almeno nella storia recente degli ultimi cinquant’anni.<br />

In uno scenario europeo e mondiale nel quale vengono scompaginati gli stili di vita,<br />

la produzione e i consumi e messi in crisi gli equilibri economici tra i Paesi. Anche la<br />

mappa delle competitività territoriali, i livelli d’innovazione dei sistemi, il peso dei diversi<br />

comparti produttivi non sono e non potranno più essere quelli che hanno dominato il<br />

ciclo degli ultimi decenni. Ma entrano in gioco altri elementi che non possono essere<br />

trascurati. I profondi cambiamenti demografi ci, tra cui l’invecchiamento della popolazione<br />

nella società italiana, gli inarrestabili fl ussi migratori e il fermento nei Paesi del<br />

nord Africa, l’esplosione della bolla speculativa fi nanziaria che ha messo a nudo i limiti<br />

dell’economia reale, la crisi di fi ducia nella politica, l’aumento delle diff erenze sociali e<br />

delle povertà, l’assenza di prospettive per le giovani generazioni. Per progettare il futuro<br />

occorre, dunque, comprendere i grandi mutamenti in atto e dare le risposte giuste. Forse<br />

la gravità del momento storico rimette in moto idee ed energie nuove, sradica logiche e<br />

convinzioni superate, può aprire a orizzonti lunghi di riforma. Perché ciò accada serve<br />

una rifl essione ampia che superi luoghi comuni e approfondisca alcune questioni centrali.<br />

«Giudica un uomo dalle sue domande piuttosto che dalle sue risposte» diceva Voltaire.


16 | rapporto annuale federculture <strong>2012</strong><br />

Il dibattito aperto recentemente da «Il Sole 24 Ore», con il Manifesto per la Costituente<br />

della cultura: Niente cultura, niente sviluppo conferma che l’arte può farsi reddito senza<br />

perdere l’anima. Qualche mese fa <strong>Federculture</strong> con le sue aziende, l’anci e il fai hanno<br />

lanciato un appello al Governo per ottenere le riforme indispensabili a valorizzare un<br />

settore vitale e favorire la ripresa. Emerge, dunque, un forte movimento d’idee che pone<br />

domande essenziali e avanza proposte. Siamo tutti d’accordo che un Paese come l’Italia<br />

non può programmare il proprio futuro e non potrà presentarsi nel confronto internazionale<br />

senza un profondo rinnovamento delle politiche, che siano fondate sul valore della<br />

propria vocazione artistica e culturale. Sgombriamo allora il campo da alcuni equivoci.<br />

Di quale ricchezza parliamo?<br />

La cultura non è il petrolio. La cultura è un’altra cosa. Ancora ricorre nel dibattito recente<br />

l’aff ermazione che la cultura è il nostro petrolio. Per favore, lasciamo stare i pozzi. Le<br />

suggestioni di ricchezze improvvise in Kuwait, nel Kazakistan o in Arabia Saudita sono<br />

fi glie di una società industriale basata sul consumo dell’ambiente, che ha accentuato le<br />

disparità tra poveri e ricchi, e aperto nel mondo terribili confl itti per il possesso di questa<br />

materia prima inquinante, ma tuttora indispensabile nel modello di sviluppo fordista,<br />

non ancora del tutto superato. E, per favore, mettiamo da parte anche il concetto dei<br />

“giacimenti culturali” – lanciato negli anni Settanta e Ottanta soprattutto con riferimento<br />

al Sud – che, pur avendo avuto il merito di far comprendere il valore, anche economico,<br />

del nostro patrimonio abbandonato, non è bastato a far evolvere la diaspora tra tutela<br />

dei nostri beni culturali e valorizzazione in una visione più moderna e dinamica dell’industria<br />

culturale e creativa. I giacimenti evocano luoghi e cose (oro, diamanti, petrolio,<br />

carbone, marmo) che sono lì, statici, il cui valore è dato solo dal mercato, cioè dalla loro<br />

richiesta nel circuito produttivo e nei consumi. Così il carbone quando era utilizzato<br />

per le locomotive a vapore e per riscaldare le case nell’inverno, poi caduto in disgrazia e<br />

soppiantato dalle nuove fonti energetiche. E per la conquista di questi giacimenti, nella<br />

storia dell’umanità si sono consumate distruzioni e stragi come la corsa all’El Dorado in<br />

Perù o la competizione per i fi loni d’oro nel Klondike, diventata un classico nella storia<br />

degli Stati Uniti e raccontata anche dai personaggi di Walt Disney.<br />

La cultura di cui parliamo e sulla quale richiamiamo l’attenzione è un’altra ricchezza e<br />

porta in sé altri valori. È stratifi cata nel tempo – dai dipinti nelle caverne preistoriche alla<br />

lingua contemporanea – ed è diff usa ovunque, perché accompagna il percorso dell’uomo<br />

nella storia. Ha a che fare con la religione e con la visione dell’essere umano nella natura<br />

e nell’universo, con la scienza e lo sviluppo delle tecnologie, con l’identità e i legami di un<br />

popolo e di una nazione, con la costruzione delle città (le case, i templi, i teatri, le scuole),<br />

con le regole sociali e le leggi. Insomma la cultura, anche quando non ce ne rendiamo<br />

conto, determina tutto ciò che è intorno a noi. Nel bene e nel male. Dalle nostre scelte<br />

individuali, alle azioni quotidiane, ai comportamenti collettivi. E crea quel fl usso continuo<br />

e inarrestabile all’interno della storia, tra tradizione e progresso. Il genio di Leonardo da<br />

Vinci, pittore, scienziato, astrologo, ingegnere può essere l’emblema di quanto sia stretto<br />

il rapporto tra ricerca, arte, scienza, tecnologia. Cioè tra umanesimo e sviluppo.<br />

Quindi il problema che abbiamo davanti non è solo quello di trovare i soldi necessari<br />

per restaurare i monumenti che cadono o per tenere aperti teatri e musei. Una rivoluzione<br />

culturale è necessaria per riaff ermare che nella società del XXI secolo, in piena recessione<br />

Estratto della pubblicazione


la cultura dall’emergenza allo sviluppo | 17<br />

economica, occorre davvero voltare pagina puntando a un cambiamento di mentalità e a<br />

una nuova idea di progresso, che ricongiunga il benessere economico alla qualità della vita,<br />

il mercato a un sistema di maggiore uguaglianza delle opportunità, l’interesse generale alla<br />

facoltà di esercitare la libera espressione di ogni individuo. In fondo il declino del XX secolo<br />

altro non è stato che la dissociazione tra progresso scientifi co e progresso morale. L’idea<br />

stessa di progresso che dal 1700 alimenta la cultura del pensiero umanistico e scientifi co –<br />

libertà, giustizia, pace e benessere che nemmeno Auschwitz aveva fatto venir meno – oggi<br />

sembra rattrappita. Secondo Norberto Bobbio con la fi ne della civiltà moderna ha inizio<br />

l’età post moderna. Ma la domanda è: cos’è il “post”? Qualcosa che viene dopo ma della cui<br />

essenza ancora non sappiamo nulla. Sappiamo solo che nel nostro Paese ci sono più telefoni<br />

cellulari che abitanti. Assistiamo a una caduta di ottimismo verso il futuro e al radicamento<br />

di un confuso senso di timore per il presente e per il domani. Il cittadino sembra diventato<br />

un consumatore di detersivi, di ideologie o di leader politici “usa e getta”. Alle paure per<br />

il terrorismo, a quelle ecologiche e per le migrazioni incontrollate si aggiungono dal 2009<br />

l’ansia economica e i timori di perdere il proprio status al crollo dell’occupazione, sopratutto<br />

giovanile, all’impoverimento reale delle famiglie e alla benzina che arriva a costare 2 euro al<br />

litro. In questo quadro, in l’Italia come in gran parte dell’Europa la disoccupazione strutturale<br />

va di pari passo con le crepe dello Stato sociale e con la inadeguatezza concorrenziale nei<br />

settori avanzati. La sfi ducia nella capacità dei professionisti della politica di governare gli<br />

eventi e di assicurare l’anelito di un futuro migliore è perché a essi si correla il desiderio di<br />

mantenere le cose come sono, in una visione antistorica del cambiamento necessario, anche<br />

quando vengono agitati gli spettri di antichi orrori per mantenere il consenso. Non agitano<br />

più le sette trombe, la grandine, le cavallette o la bestia che esce dal mare, ma nuove paure,<br />

degli stranieri o dei nemici di partito, per alimentare odio e insicurezza. Sono come Capitan<br />

Uncino che odia Peter Pan perché rifi uta di crescere, cioè di ammettere che l’attuale è il<br />

migliore dei mondi possibili. E non intende rinunciare al sogno.<br />

Verso un nuovo modello di società<br />

Cultura – e con essa etica – e sviluppo possono e devono marciare insieme. Per ritrovare<br />

nuove strade e nuovi orizzonti del progresso nella società della conoscenza. Nell’era di<br />

internet e della tecnologia che stravolgono la produzione e l’esistenza di ciascuno, la poesia,<br />

l’arte, la lingua non vanno in naftalina. Non solo non sono in contrasto con l’economia e<br />

con i meccanismi fi nanziari, ma sulla cultura – non certo i monumenti in sé – cioè sulle<br />

espressioni dell’arte e dei saperi si pongono le basi per ricostruire un modello di società.<br />

Quando l’Imperatore di Bisanzio, convertitosi, ordinò la chiusura dei templi e proibì i<br />

riti pagani, la città di Efeso decadde, i commerci languirono, la cultura e la tecnologia<br />

andarono perse. Al contrario la grandezza di Persepolis, di Luxor con la compresenza di<br />

templi e chiese di tutte le grandi religioni, dell’antica Roma e oggi di città come Berlino o<br />

Barcellona è interamente legata a un intreccio tra culture diverse che spingono in avanti.<br />

Buone pratiche scaturite, è bene ricordarlo, da classi dirigenti responsabili e intelligenti<br />

che hanno inserito la “spina” dello sviluppo nella “presa” della cultura, capace di generare<br />

ricchezza, occupazione, una nuova mentalità.<br />

D’altronde la grande recessione, la paura tremenda di un “eff etto domino” per il default<br />

della Grecia hanno mandato defi nitivamente in soffi tta la sfi da Est-Ovest, cioè una lotta<br />

Estratto della pubblicazione


18 | rapporto annuale federculture <strong>2012</strong><br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

tra due modelli di società per l’egemonia del cielo e della terra. Le missioni spaziali o<br />

i carri armati per il dominio delle fonti energetiche ora sembrano lasciare il posto ad<br />

altri problemi. Ma anche la sfi da tra nord (la visione del successo) e sud (emblema del<br />

fallimento) va del tutto riconsiderata. L’india e la Cina crescono a ritmi vertiginosi, così<br />

come il Brasile. Gli Stati Uniti e l’Europa, con la maggior parte dei Paesi che fanno parte<br />

del G8, arrancano.<br />

L’India supera l’Italia. Si modifi cano gli equilibri dell’economia e dello sviluppo nel<br />

mondo. Siamo dentro un processo storico. Fino al 2009 quella italiana era la settima<br />

economia al mondo. Dall’anno scorso ci ha sorpassato il Brasile. Nei prossimi mesi il<br />

fatturato totale dell’India sarà sopra quello dell’Italia. Noi siamo in recessione, l’India<br />

cresce di circa l’8%; anche se oltre 500 milioni di persone vivono con meno di due dollari<br />

al giorno, vi sono gruppi industriali come Tata e Infosys e Reliance che competono con<br />

eni e enel. Produce più auto e ha dieci volte più miliardari. Il punto è che le locomotive<br />

di alcuni Paesi lontani dall’Europa camminano molto di più e supereranno a breve le<br />

antiche potenze coloniali di Londra, Parigi, Roma. Nelle previsioni di metà decennio<br />

solo la Germania sarà, tra i Paesi europei, nella classifi ca delle prime sei economie al<br />

mondo. Gli imperi dove non tramontava mai il sole rimangono nei libri di storia. Come<br />

il tavolo del G7, nel quale si decidevano i destini del pianeta, nato tra uomini cresciuti<br />

leggendo Dante, Voltaire, Adam Smith, Shakespeare o ascoltando Beethoven e Verdi.<br />

Allora la domanda: è possibile recuperare competitività? E come?<br />

Anche i singoli sistemi territoriali frantumano i vecchi stereotipi. La città di Salerno,<br />

prima simbolo di bruttezza e degrado, in poco tempo è totalmente cambiata e nei prossimi<br />

anni, grazie a un piano straordinario di interventi, diventerà uno dei luoghi più dinamici e<br />

innovativi del Mediterraneo. Contemporaneamente le delocalizzazioni industriali creano<br />

città fantasma. Occorre allora identifi care, in una visione che guardi ai prossimi decenni,<br />

i contenuti della società che vogliamo. In che tipo di città intendiamo vivere. Il piccolo<br />

borgo medievale, bello, tranquillo ma senza vita né lavoro, o una delle stupende città d’arte,<br />

magari sito unesco, invasa da turisti, rumorosa, con gli spazi, le piazze, i vicoli occupati<br />

da tavolini o da autobus? Oppure cittadine dinamiche solo nel riempire di cemento i<br />

litorali e le colline e che sostituiscono negozi di qualità, librerie, bar storici con fast food<br />

e catene commerciali? C’è un’altra strada possibile? Qualcosa di diverso dal conoscere il<br />

signifi cato dello “spread” o rifugiarsi nella fi losofi a del “vivere sani e belli”. Porsi queste<br />

domande sarebbe già un passo avanti, uno sforzo culturale straordinariamente diffi cile,<br />

anche se indispensabile. Ma non basta. Di fronte all’eclissi della classe operaia, che ha<br />

contribuito ai grandi cambiamenti del secolo scorso, e allo sfi lacciamento di una politica<br />

che ha perso autorevolezza, sembra che le reazioni e le spinte vengano solo dalle corporazioni<br />

di interessi specifi ci come i taxisti, gli autotrasportatori o i “no tav”. Il Paese Italia<br />

invece mostra segnali di rifi uto di un’accettazione passiva della realtà e prefi gura l’entrata<br />

in campo di nuove intelligenze ed energie per provare a cambiare. Per cogliere i molti<br />

malesseri della società italiana e aprire un orizzonte nuovo. Cominciando col guardare la<br />

vita reale, conoscere davvero il Paese per interpretarne le esigenze, scongiurando tuttavia<br />

che la nuova quotidianità possa apparire come l’unico dei mondi possibili. Allora «che<br />

fare?» chiedeva Gramsci nel 1923. E la risposta era combattere «l’indiff erenza che è il<br />

peso morto della storia… è la palude che recinge la vecchia città». Far crescere uomini<br />

Estratto della pubblicazione


Estratto distribuito da Biblet<br />

la cultura dall’emergenza allo sviluppo | 19<br />

che non siano estranei alla città, cioè al bene comune, e che siano attivi e responsabili:<br />

la capacità della classe politica deve essere illuminata da «un’attività fantastica e da una<br />

forza morale». Serve cioè un pensiero etico e spirituale profondo, una simpatia verso la<br />

condizione umana, che abbia la forza di immaginare e di costruire il futuro. Il carattere<br />

italiano più malefi co per l’effi cienza della vita pubblica del nostro Paese è, infatti, la<br />

mancanza di fantasia drammatica; quella capace di armonizzare gli elementi della vita<br />

reale (lavoro, gioia, soff erenza) innanzitutto nel pensiero, traducendoli poi in previsioni di<br />

cambiamento e in azioni. È il contrario di una visione retorica. O di quella cinica di molti<br />

politici e intellettuali che, con travestito realismo, hanno abdicato al loro ruolo critico.<br />

Aff rontare l’emergenza educativa per contrastare incuria e indiff erenza<br />

Gli educatori – il maestro Abreu in Venezuela, i parroci nelle frontiere dei quartieri<br />

malavitosi di Napoli e di paesini siciliani, molti insegnanti e genitori – sanno che la<br />

bellezza è un valore morale. L’ex vescovo di Locri, Mons. Giancarlo Maria Bregantini,<br />

nella sua pubblicazione «Non possiamo tacere» ripete con forza che «i paesi più brutti<br />

e trascurati sono quelli segnati dalla mafi a». L’apertura di un teatro illumina le strade<br />

nella notte, anima le attività economiche del quartiere, fa acquistare valore alle proprietà<br />

immobiliari. Stimola alla cura delle strade e dei giardini. Ma soprattutto è un centro<br />

di incontro tra le persone, trasmette signifi cati e messaggi culturali, fa ridere, piangere,<br />

pensare. E intorno a un luogo culturale vivo, non a una rovina abbandonata, si vince<br />

l’incuria e l’indiff erenza. È la storia di tutti i giorni. I bambini che crescono nel degrado<br />

e nella bruttezza sanno aff rontare di meno la corruzione e la violenza. Viceversa, il bello<br />

e la diff usione della cultura aiutano a considerare il rispetto degli altri e delle cose e a<br />

proiettarsi verso l’innovazione. La scuola di musica Al Kamandjati di Ramallah è uno<br />

straordinario esempio di superamento dell’odio tra giovani israeliani e palestinesi che,<br />

suonando insieme, traggono consistenza nelle ragioni della comprensione e dell’amicizia.<br />

Sconfi ggendo l’odio ideologico e razziale. Le bande musicali, per rimanere a casa<br />

nostra, che ancora oggi accompagnano la vita nei paesi, le ricorrenze civili e le cerimonie<br />

religiose, compresi i funerali dei compaesani, sono le più attuali forme d’integrazione<br />

e di partecipazione sociale. Tramandano le tradizioni della musica locale e avvicinano<br />

alle popolazioni i suoni e le parole degli inni sacri e patriottici. Peraltro i nostri tecnici<br />

della pubblicità, gli stilisti, gli artigiani hanno assorbito le bellezze dei paesaggi, i colori<br />

delle piazze, gli aff reschi dei palazzi storici, i marmi variopinti nelle basiliche romane<br />

passeggiandovi tutti i giorni. Da questa osmosi hanno prodotto linee grafi che, scarpe,<br />

abiti, forme di lampade, profi li e colori di mobili. Anche questo è il capitale culturale.<br />

Anche questo crea sviluppo.<br />

Serve una visione della storia, della società, del progresso. Se Gobetti vivesse oggi,<br />

lui che negli anni Venti sognava per l’Italia un capitalismo industriale d’avanguardia<br />

sull’idea della rivoluzione liberale, penso che sposerebbe l’idea di un nuovo fondamento<br />

basato sull’industria culturale e creativa. Dunque, un altro grande problema è<br />

identifi care un nuovo soggetto della trasformazione. Non può che essere il cittadino<br />

stesso che si riappropria dell’esercizio del pensiero, degli strumenti della formazione<br />

umana, delle modalità di espressione della propria libertà e del proprio essere. Come<br />

non pensare al coraggio di Prometeo, nella tragedia di Eschilo, che rubò il fuoco a<br />

Estratto della pubblicazione


20 | rapporto annuale federculture <strong>2012</strong><br />

Estratto distribuito da Biblet<br />

Zeus per donarlo agli uomini e per questo fu incatenato a una roccia e costretto al<br />

supplizio? Nella dichiarazione “fu mia, quella scelta”, “io non mi piegherò”, rivolta al<br />

Dio dell’Olimpo, Prometeo aff erma la sua decisione cosciente, autonoma e irriducibile.<br />

È proprio questa la forza drammaturgica che ha reso mito eterno un personaggio eroico<br />

rappresentato nelle arti fi gurative, nella cultura popolare e nella musica, da Beethoven<br />

a Lizst. Simboleggia ancora oggi il desiderio del progresso, la spinta a un’evoluzione<br />

culturale che aff ronta la volontà di dominio del potere, sfi da i cambiamenti, riaff erma<br />

la dignità dell’individuo e il senso di giustizia. Per questo, in piena recessione, il grande<br />

regista Ridley Scott ha deciso di realizzare “Prometheus”, kolossal fantascientifi co di<br />

straordinario valore simbolico anche oggi. Dice Ermanno Olmi: «Il consumo come<br />

propulsore di ricchezze è stato un inganno. L’economia dei grandi numeri un abbaglio.<br />

Cresce la voce di quanti, nelle piazze o nelle reti sono pronti ad aff rontare la sfi da per<br />

una nuova idea di società, un nuovo concetto di vita».<br />

La cultura, dunque, è come la vecchia fontana del villaggio. Luogo di incontro e di<br />

conoscenza, capace di dissetare generazioni e trasformare la storia. Noi cambiamo, la<br />

fontana resta. A questa visione di Ivan Sergeevič Turgenev, il grande scrittore drammaturgo<br />

russo, qualcuno potrebbe obiettare che è ottocentesca e che tanto la vecchia fontana<br />

che il villaggio oggi non esistono più. Che l’unico villaggio è ormai quello globale. Ma<br />

al di là della metafora è evidente che il legame tra l’identità e la promessa di futuro è<br />

davvero indispensabile per l’uomo, tanto quanto l’acqua per la sopravvivenza. Allora di<br />

fronte all’indiff erenza e all’ignoranza, madri del degrado e del declino, occorre resistere.<br />

Per difendere quei beni preziosi che si scoprono, come la salute e la felicità, solo quando<br />

si perdono e se ne comprende il valore.<br />

E allora serve una rivoluzione culturale per risalire la china e aff ermare un modello di<br />

sviluppo che faccia stare meglio gli italiani, premi la qualità e il lavoro, ridia l’orgoglio a<br />

una Nazione raff orzando il senso d’appartenenza dei cittadini. Per sfuggire alla morsa<br />

che attanaglia le imprese, deprime l’innovazione e la creatività, ci allontana dall’estetica e<br />

dall’etica. Quella morsa dell’incultura e dell’incuria che pone al centro della scena clientele<br />

e nepotismi, comitati di aff ari che riempiono di cemento abusivo i luoghi e i paesaggi<br />

più belli, aff ermando così la dittatura dell’indiff erenza e del brutto. Insomma, Gomorra.<br />

Allora dobbiamo aggiungere alle emergenze del Paese, oltre a quella del lavoro e della<br />

riduzione del debito pubblico, l’emergenza educativa. Che, potremmo dire, è l’emergenza<br />

delle emergenze. È quell’ambito della vita delle famiglie che, se non viene aff rontato,<br />

rischia di limitare o rendere asfi ttica ogni soluzione ai tanti problemi che abbiamo. Come<br />

si può essere bravi operatori turistici senza amare la propria storia e conoscere Michelangelo?<br />

Come si può essere buoni imprenditori se non si acquisiscono le metodologie<br />

dell’analisi scientifi ca e gli enzimi della creatività? Come si può svolgere bene il mandato<br />

di sindaco, parlamentare o amministratore regionale se non si conosce e non si è capaci<br />

di interpretare il bene comune? L’ultima indagine censis mostra un’Italia divisa in due<br />

tra Palazzo e Paese. Il primo ci porta verso un Paese più triste, barbaro, brutto. La deriva<br />

dell’impoverimento, anche economico, verso comportamenti della classe politica che sono<br />

purtroppo nelle cronache di tutti i giorni. L’Italia delle persone punta invece al riscatto<br />

attraverso la bellezza (la famosa frase pronunciata dal principe Myškin, nell’Idiota di<br />

Dostoevskij, secondo una categoria più etica che estetica, è più che mai attuale), la cul-<br />

Estratto della pubblicazione

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