Belladentro, Roberta Tobbi - Quelli di ZEd
Belladentro, Roberta Tobbi - Quelli di ZEd
Belladentro, Roberta Tobbi - Quelli di ZEd
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
Questo libro è <strong>di</strong>sponibile anche in versione a stampa:<br />
PAGINE: 160<br />
PREZZO euro: 14,50<br />
ISBN: 978-88-6307-440-4
ROBERTA TOBBI<br />
BELLADENTRO<br />
www.0111e<strong>di</strong>zioni.com
www.0111e<strong>di</strong>zioni.com<br />
www.labandadelbook.it<br />
BELLADENTRO<br />
Copyright © 2012 Zerounoun<strong>di</strong>ci E<strong>di</strong>zioni<br />
ISBN: 978‐88‐6578-138‐8<br />
In copertina: immagine<br />
Shutterstock.com
A chi non sa leggere oltre<br />
l’apparenza<br />
A chi crede che il contenuto sia<br />
l’essenza<br />
A chi sa contare le stelle<br />
A chi legge l’anima<br />
A chi ama se stesso<br />
A chi non si conosce<br />
A chi si sta cercando<br />
A chi ama<br />
A chi ha il coraggio <strong>di</strong> o<strong>di</strong>are<br />
A chi non conosce il rancore<br />
A chi vive <strong>di</strong> rimpianti<br />
A chi vive coi rimorsi<br />
A chi vive nel rispetto<br />
A chi cerca la verità e<br />
Soprattutto a chi non la trova
A te che hai questo libro tra le<br />
mani<br />
A chi non lo leggerà mai<br />
A chi non mi conosce<br />
A chi crede <strong>di</strong> conoscermi<br />
A mio fratello, Filippo, che de‐<br />
sidero <strong>di</strong>venti anche amico<br />
A chi crede nell’amicizia<br />
A chi ha perso<br />
A chi ancora spera e non si af‐<br />
fligge<br />
A chi crede che ci sia sempre<br />
un senso<br />
E lo trova.<br />
Ma anche a chi non lo troverà<br />
mai.
PREFAZIONE<br />
<strong>Belladentro</strong> non è solo un <strong>di</strong>ario au‐<br />
tobiografico in cui l’autrice traccia le<br />
tappe fondamentali degli anni con‐<br />
trad<strong>di</strong>stinti dall’anoressia, ma è an‐<br />
che un racconto che <strong>di</strong>pinge con in‐<br />
tensità e con sguardo attento e in‐<br />
trospettivo il mondo della protago‐<br />
nista, fatto <strong>di</strong> relazioni familiari <strong>di</strong>f‐<br />
ficili, <strong>di</strong> quoti<strong>di</strong>anità, <strong>di</strong> speranza per<br />
un futuro libero dall’ossessione del
corpo, e <strong>di</strong> amore, primo fra tutti<br />
quello per Emiliano, il suo compa‐<br />
gno <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> avventura.<br />
Sono grata a <strong>Roberta</strong> per avermi of‐<br />
ferto la possibilità <strong>di</strong> presentare ai<br />
lettori la sua prima opera e nel farlo<br />
non posso che ricordare con affetto<br />
il nostro primo incontro. Ripenso a<br />
una donna dallo sguardo vivace e<br />
fiero e dall’aspetto curato, <strong>di</strong>etro al<br />
quale si celava un corpo gracile e<br />
sofferente.<br />
Era il 2007 e <strong>Roberta</strong> mi raccontò<br />
che la malattia e la sofferenza rap‐<br />
presentavano per lei l’unico modo<br />
per sentire <strong>di</strong> esistere, parole e‐<br />
spresse con tono duro e lapidario e
che rivelavano in modo forte quello<br />
che era <strong>di</strong>ventato il suo calvario.<br />
Ascoltarla parlare della malattia che<br />
la affliggeva fin dall’adolescenza e<br />
oggi leggere il suo <strong>di</strong>ario, mi ha<br />
permesso <strong>di</strong> comprendere che la<br />
forza <strong>di</strong> <strong>Roberta</strong> sta nella capacità <strong>di</strong><br />
raccontarsi in maniera autentica, <strong>di</strong><br />
dare forma ai fantasmi del passato<br />
attraverso immagini che arrivano<br />
dritte al cuore del lettore.<br />
Proprio in cucina, crocevia <strong>di</strong> delizie<br />
e tormenti, <strong>Roberta</strong> trova il corag‐<br />
gio <strong>di</strong> iniziare a scrivere la sua storia.<br />
Ecco allora che la memoria<br />
dell’autrice torna all’infanzia, a quel‐<br />
la bimba vivace dai boccoli castani,
alle prese con i primi amori, i giochi<br />
con il fratello e le amicizie. Dentro <strong>di</strong><br />
lei inizia a manifestarsi un <strong>di</strong>sagio si‐<br />
lenzioso che cresce sempre <strong>di</strong> più<br />
fino a trovare riscontro nella preoc‐<br />
cupazione dei genitori che la sotto‐<br />
pongono a logoranti visite me<strong>di</strong>che<br />
e iniezioni <strong>di</strong> ormoni per facilitare il<br />
processo <strong>di</strong> sviluppo <strong>di</strong> un corpo an‐<br />
cora troppo piccolo per essere quel‐<br />
lo <strong>di</strong> un’adolescente.<br />
Inizia così la malattia <strong>di</strong> <strong>Roberta</strong>, il<br />
suo rapporto <strong>di</strong> amore e o<strong>di</strong>o verso<br />
un corpo che sembrava destinato a<br />
rimanere quello <strong>di</strong> una bambina.<br />
A poco a poco il logorio del corpo si<br />
trasforma in logorio dell’anima ed
ecco che la magrezza appare come<br />
la soluzione a tutti i problemi: la ri‐<br />
vincita sui me<strong>di</strong>ci e la possibilità <strong>di</strong><br />
attrarre le attenzioni materne e gli<br />
sguar<strong>di</strong> maschili.<br />
Stare dalla parte dei vivi e quin<strong>di</strong><br />
mangiare o scegliere quella dei<br />
morti e smettere <strong>di</strong> nutrirsi? Inter‐<br />
rogativo che <strong>di</strong>viene trasversale ri‐<br />
spetto all’intera narrazione.<br />
Poi un barlume: il corpo come stru‐<br />
mento per fare esperienza della vi‐<br />
ta. Dal contenitore l’autrice si spo‐<br />
sta ai contenuti: il bisogno d’amare,<br />
prima se stessa e poi gli altri e <strong>di</strong> es‐<br />
sere “bella dentro”.
La Pasqua, quasi un presagio <strong>di</strong> ri‐<br />
nascita, conduce a un epilogo che<br />
cambierà per sempre la vita della<br />
protagonista.<br />
L’esperienza <strong>di</strong> <strong>Roberta</strong>, narrata<br />
con intelligenza e intensità emotiva,<br />
può essere spunto <strong>di</strong> riflessione, <strong>di</strong><br />
conforto e <strong>di</strong> speranza per coloro<br />
che si trovano a vivere in una con<strong>di</strong>‐<br />
zione <strong>di</strong> sofferenza simile e quella<br />
dell’autrice <strong>di</strong> <strong>Belladentro</strong> e che<br />
come lei possono trovare il corag‐<br />
gio <strong>di</strong> scegliere una vita migliore.<br />
Dott.ssa Lorena Castano
10 gennaio 2005<br />
Ho bisogno <strong>di</strong> scrivere. Reduce da un<br />
attacco <strong>di</strong> rabbia, <strong>di</strong> quel tipo incon‐<br />
trollabile che ti fa smettere <strong>di</strong> pensa‐<br />
re. Credo che stessi covando<br />
l’arrabbiatura da una settimana al‐<br />
meno, sapevo che sarei esplosa pri‐<br />
ma o poi. Da giorni trascino<br />
l’insod<strong>di</strong>sfazione per il mio corpo che<br />
sta ingrassando, che prende forma,
che si deforma. Mi guardo con minu‐<br />
zia allo specchio mentre faccio la<br />
doccia e ciò che vedo sono cosce<br />
grosse, fianchi arrotondati, il sedere<br />
più sporgente con anche un accenno<br />
<strong>di</strong> cellulite. Mi tocco il seno e lo sento<br />
più gonfio, un po’ dolorante e allora<br />
penso che forse mi stanno per torna‐<br />
re le mestruazioni, ma non so se mi<br />
sento felice o abbattuta. Così com’è il<br />
mio corpo non mi piace. Sfoglio<br />
l’album del viaggio <strong>di</strong> nozze e osservo<br />
il mio ex corpo in costume da bagno:<br />
è magro, lineare. Posso contare le co‐<br />
stole, le braccia sono due steli, le<br />
gambe due tronchi esili senza musco‐<br />
li, le anche sporgenti, spigolose, ma
mi piace. Poi chiudo gli occhi e provo<br />
a rivivere le sensazioni che mi dava<br />
quel corpo. Sento freddo, mi sento<br />
immobile, cammino con rabbia ed<br />
euforia solo per consumare energia:<br />
la rabbia è l’unica energia che produ‐<br />
co. Non mi sento donna, non mi sen‐<br />
to moglie, non mi sento madre, sono<br />
un corpo malato; mio marito mi sor‐<br />
regge mentre salgo le scale del bar,<br />
mi sta <strong>di</strong>etro perché teme che io pos‐<br />
sa cadere. Facciamo l’amore una o<br />
due volte in <strong>di</strong>eci giorni, il mio ventre<br />
è contratto e dolorante, fatico a pro‐<br />
vare piacere. Non voglio provare pia‐<br />
cere. Quando riapro gli occhi dopo<br />
questo viaggio a ritroso nella memo‐
ia, ho comunque nostalgia del mio<br />
ex corpo. Mi manca la sua leggerezza,<br />
quella caratteristica un po’ mistica<br />
che possedeva, il suo levitare verso<br />
l’alto. Questo corpo non lo voglio, e<br />
penso spesso <strong>di</strong> strapparmelo via. Mi<br />
lavo con insistenza sulle cosce, o<strong>di</strong>o<br />
le mie cosce, sono bassa e si vede su‐<br />
bito che si fanno grosse. Non riesco<br />
ad accettarlo, non voglio mangiare.<br />
Ma è sofferenza anche la magrezza,<br />
anche il <strong>di</strong>giunare. Forse non so vive‐<br />
re, forse non voglio vivere. Così mi<br />
trascino pesantemente contando le<br />
ore delle giornate vuote.<br />
Domenica, ora <strong>di</strong> pranzo. Sbatto i<br />
pugni sul muro, piango, mi mordo un
accio, affondo con rabbia le mani<br />
nella verdura cotta, con schifo<br />
schiaccio tutto.<br />
«Non lo voglio mi fa schifo, mi fate<br />
schifo, mi fai schifo» <strong>di</strong>co a mio mari‐<br />
to.<br />
Ma lo schifo è verso <strong>di</strong> me, è me stes‐<br />
sa che vorrei schiacciare; il mio è un<br />
grido <strong>di</strong> aiuto. Dopo qualche minuto<br />
mi sento un po’ meglio. Piango anco‐<br />
ra, piango, sento il mio corpo grosso;<br />
anche ora che sono seduta mi sem‐<br />
bra <strong>di</strong> lievitare, percepisco il sedere<br />
grosso, le cosce cicciotte e la pancia<br />
gonfia, mi guardo le mani tozze…<br />
vorrei sparire. Poi penso, in un atti‐<br />
mo <strong>di</strong> luci<strong>di</strong>tà pura, che il corpo non è
tutta la mia vita, è solo uno strumen‐<br />
to che mi permette <strong>di</strong> fare esperienza<br />
della vita. Ma è un attimo, un attimo<br />
che non voglio approfon<strong>di</strong>re; dov’è la<br />
mia vita se non nel corpo, cos’è la<br />
mia vita? Perché mi è successo tutto<br />
questo? Dove sono i giorni felici? Do‐<br />
ve il coraggio <strong>di</strong> superare quelli tristi?<br />
Salgo sulla cyclette per dare ai pen‐<br />
sieri un’accelerata.<br />
Era solo un attimo <strong>di</strong> luci<strong>di</strong>tà, una<br />
frazione <strong>di</strong> secondo in <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong><br />
malattia, <strong>di</strong> maniacale devozione<br />
verso la morte del corpo: questa è<br />
l’anoressia.
In seconda elementare infilai<br />
nell’astuccio <strong>di</strong> Marco un bigliettino<br />
a quadretti gran<strong>di</strong>, sul quale avevo<br />
impresso ripetute volte un “ti voglio<br />
bene” con uno stampino <strong>di</strong> Poo‐<br />
chie. Ricordo che Marco, incurante<br />
del mio lavoro, l’aprì indelicatamen‐<br />
te strappando parte del biglietto e<br />
mi rispose a sua volta: “sei carina,<br />
ma un po’ cicciottella”. La definizio‐<br />
ne “cicciottella” mi ha perseguitata<br />
da allora. Il fatto che fossi carina<br />
non aveva importanza: ero cicciot‐<br />
tella, per questo non mi voleva. Non<br />
ricordo se piansi. Mi confidai con<br />
mia madre, che mi rassicurò sotto‐
valutando l’umiliazione che mi si era<br />
cicatrizzata sul cuore.<br />
Per mia madre ero bella, ne era cer‐<br />
ta perché tutti le facevano i com‐<br />
plimenti per la figlioletta che era ri‐<br />
uscita a mettere al mondo. Avevo la<br />
testa ricoperta <strong>di</strong> riccioli castani,<br />
due occhi gran<strong>di</strong> e scuri come i suoi,<br />
la bocca a cuore e un sorriso aperto<br />
e gentile. Era fiera della mia intelli‐<br />
genza, della mia educazione, del<br />
fatto che fossi una bimba posata e<br />
gentile. Io ricordo me stessa come<br />
una bambina silenziosa, che giocava<br />
con le barbie. Non rammento che<br />
mia madre abbia mai partecipato ai<br />
miei giochi; uno dei momenti <strong>di</strong>
con<strong>di</strong>visione era l’appuntamento<br />
del sabato pomeriggio, quando do‐<br />
po le pulizie guardava i cartoni ani‐<br />
mati con me e mio fratello sgranoc‐<br />
chiando crackers salati e cantando<br />
le sigle dei cartoni.<br />
Mia madre ci amava, ma era sempre<br />
troppo occupata per <strong>di</strong>mostrarcelo.<br />
Pencolava tra bagno camera e cuci‐<br />
na, oscillava tra piatti, bucato e ma‐<br />
rito. L’unico momento in cui potevo<br />
godere della sua presenza era la se‐<br />
ra, quando ci addormentavamo nel<br />
lettone. Mi accucciavo stretta stret‐<br />
ta a lei e sentivo il suo odore, solo<br />
allora ero sicura che mi amasse,<br />
quando potevo scaldarmi col suo
stesso corpo e lasciarmi cadere nel<br />
sonno carezzandole i capelli lisci.<br />
Nel silenzio della notte, nel buio del<br />
sonno potevo concedermi il <strong>di</strong>ritto<br />
<strong>di</strong> amarla.<br />
Di giorno mia madre strillava per il<br />
<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne che facevamo io e mio<br />
fratello. Mia madre era sempre ar‐<br />
rabbiata, ho visto i suoi primi sorrisi<br />
quando ero già adolescente e face‐<br />
vo delle simpatiche battute per<br />
conquistarla, ma prima i sorrisi era‐<br />
no solo per gli altri, per i conoscenti,<br />
per gli sconosciuti, sorrisi <strong>di</strong> cortesi‐<br />
a. Io nell’infanzia invece ero cortese<br />
sempre, anche in casa. Tutte le per‐<br />
sone adulte mi adoravano, ma non
piacevo ai miei coetanei. Mi rinchiu‐<br />
si in me stessa e nel mondo miniatu‐<br />
rizzato delle Barbie. Mi piacevano le<br />
Barbie, erano donnine perfette e<br />
per anni ho inseguito il sogno <strong>di</strong> a‐<br />
vere il loro corpo perfetto. Un cor‐<br />
po <strong>di</strong> plastica in<strong>di</strong>struttibile, immu‐<br />
tabile, intoccabile, insensibile. Ma<br />
allora volevo solo essere magra<br />
come una barbie perfetta, con tutto<br />
quello spazio tra le cosce, non pen‐<br />
sato per fecondare o partorire ma<br />
solo per compiacersi <strong>di</strong> se stessa.<br />
Inseguivo un modello che mi avreb‐<br />
be <strong>di</strong>strutta come donna; le bambo‐<br />
le sono solo caricature femminili e<br />
come tali hanno come unico fine
quello <strong>di</strong> trasformare l’essere uma‐<br />
no in oggetto. Un oggetto, una cosa<br />
da usare, da mostrare. La donna è<br />
ancora questo, purtroppo.<br />
* * *<br />
Trascorrevo l’estate a giocare in<br />
cortile con mio fratello e altri bam‐<br />
bini. Con noi c’erano Luca, Lauretta<br />
qualche volta sua cugina Veronica e<br />
Alessandro. Io ero la cicciottella,<br />
Lauretta la invi<strong>di</strong>avo tantissimo per‐<br />
ché era magrissima e poteva man‐<br />
giare tutte le meren<strong>di</strong>ne che voleva<br />
senza ingrassare, sua cugina aveva<br />
un corpo con forme molto simili a
quelle <strong>di</strong> una donna già sviluppata.<br />
Passavamo tutto il pomeriggio a<br />
correre; io ero un maschiaccio, mi<br />
piaceva fare un po’ la capobanda,<br />
ero aggressiva e prepotente. Forse<br />
più che comportarmi così per avere<br />
il dominio sugli altri, lo facevo per<br />
<strong>di</strong>mostrare a me stessa <strong>di</strong> valere<br />
qualcosa, <strong>di</strong> avere un minimo <strong>di</strong> im‐<br />
portanza, e poi visto che nessuno<br />
mi considerava per la mia grazia,<br />
scelsi <strong>di</strong> farmi notare per la mia pre‐<br />
sunzione. Lauretta mi voleva bene,<br />
era una bambina buona, capace <strong>di</strong><br />
sentimenti e con lei c’era complicità<br />
e <strong>di</strong>vertimento.
Lauretta è stata la mia prima vera<br />
amica del cuore. A <strong>di</strong>eci anni non ci<br />
sono gran<strong>di</strong> confidenze da rivelare,<br />
ma ci sono ancora una purezza e<br />
una ingenuità <strong>di</strong> fronte al mondo<br />
per cui tutto appare come un gran<br />
segreto, si fantastica sulle situazio‐<br />
ni, si inventano luoghi e persone. Io<br />
e lei, insieme, abbiamo con<strong>di</strong>viso i<br />
gran<strong>di</strong> sogni dei piccoli.<br />
Volevo fare la ballerina. Sono cre‐<br />
sciuta al ritmo <strong>di</strong> “Flashdance”, “Sa‐<br />
ranno famosi”, “Dirty dancing”. Per<br />
me ballare era sopra ogni cosa, mi<br />
liberava, mi faceva sentire viva, mi<br />
faceva sentire il mio corpo. Ma il<br />
mio corpo non era sottile e slancia‐
to come quello delle ballerine, per<br />
questo coltivavo quel sogno in gran<br />
segreto e mi lasciavo cullare dalle<br />
note solo quando la casa era vuota.<br />
Era il mio modo per essere donna,<br />
per essere la donna che avrei voluto<br />
<strong>di</strong>ventare. Il ballo è sensualità, ribel‐<br />
lione, sessualità, vitalità, al primo<br />
attacco musicale sentivo l’energia<br />
crescere in corpo. Sarebbe arrivato<br />
il giorno in cui senza corpo non a‐<br />
vrei più avuto energia.<br />
Se Laura era l’amica delle vacanze<br />
estive, Paola era quella <strong>di</strong> scuola.<br />
Ma in seconda o terza elementare,<br />
non ricordo con esattezza, mi ab‐<br />
bandonò. Dovette trasferirsi in
un’altra scuola a causa <strong>di</strong> un traslo‐<br />
co. Piansi quando tutta la classe la<br />
salutò. Tutti le <strong>di</strong>ssero qualcosa, io<br />
che ero la sua migliore amica non<br />
<strong>di</strong>cevo nulla, stavo seduta sulla seg‐<br />
giolina <strong>di</strong> legno dura e fredda in si‐<br />
lenzio con un groppo in gola e le la‐<br />
crime ferme ai bor<strong>di</strong> degli occhi. Poi<br />
Paola mi si avvicinò e mi strinse in<br />
un abbraccio. Solo allora cominciai a<br />
piangere e singhiozzare, senza riu‐<br />
scire a fermarmi. Poi non la vi<strong>di</strong> più.<br />
Ancora oggi ripensando a<br />
quell’ad<strong>di</strong>o provo una sensazione <strong>di</strong><br />
vuoto, <strong>di</strong> freddo, <strong>di</strong> smarrimento…<br />
Dio, mi si stringe lo stomaco.
* * *<br />
Mi piace guardare le foto <strong>di</strong> quando<br />
ero bambina, molto piccola. Stavo<br />
davanti alla macchina fotografica<br />
come una piccola top model, assu‐<br />
mevo pose per catturare l’obiettivo<br />
o più probabilmente l’occhio <strong>di</strong> mio<br />
padre. Era sempre lui <strong>di</strong>etro alla<br />
macchina. In una serie sono seduta<br />
su una se<strong>di</strong>a da regista con una<br />
salopette tre a quarti <strong>di</strong> velluto bei‐<br />
ge, i capelli ricci arruffati e una siga‐<br />
retta tra le <strong>di</strong>ta, senza scarpe; acca‐<br />
vallo le gambine sul bracciolo della<br />
se<strong>di</strong>a, guardo sorridente mio papà.<br />
O<strong>di</strong>o il fumo dalle scuole elementa‐
i, o<strong>di</strong>o mio padre che fuma con la<br />
bronchite, o<strong>di</strong>o mio marito che fu‐<br />
ma perché gli piace, o<strong>di</strong>o mio suo‐<br />
cero che fuma per vizio. O<strong>di</strong>avo mia<br />
madre che faceva qualche tiro dalla<br />
sigaretta <strong>di</strong> mio padre. O<strong>di</strong>avo ve‐<br />
dere i miei genitori farsi del male e<br />
farne a me e mio fratello. Fumavano<br />
e poi <strong>di</strong>cevano:<br />
«È un brutto vizio, meglio non co‐<br />
minciare.»<br />
A ogni sigaretta vedevo mio padre<br />
più vecchio, malato, mi sentivo sof‐<br />
focare dal fumo, da quel puzzo nau‐<br />
seante che mi si fissava sui vestiti,<br />
sui capelli, nelle tempie con un do‐<br />
lore acuto. Dopo un tiro anche mia
madre non sapeva più <strong>di</strong> mamma,<br />
non sapeva più <strong>di</strong> buono, sapeva <strong>di</strong><br />
bruciato. La famiglia era inquinata,<br />
puzzolente. Quando alle elementari<br />
la maestra ci informò sui rischi che<br />
corrono le persone che fumano,<br />
tornai a casa <strong>di</strong>sperata con la paura<br />
<strong>di</strong> rimanere orfana. I miei non lo ca‐<br />
pirono mai per davvero e sono certa<br />
che leggendo questa mia afferma‐<br />
zione la troverebbero insensata,<br />
magari si giustificherebbero così:<br />
“non avremmo mai abbandonato te<br />
e tuo fratello”. Già, solo che la mor‐<br />
te non ti guarda in faccia. A lei ser‐<br />
vono i tuoi organi, non l’anima. Un<br />
giorno mi arrabbiai tanto perché
mamma e papà mi sembravano<br />
sor<strong>di</strong> agli avvisi che lanciavo ogni<br />
tanto per metterli in allerta, e ruppi<br />
il pacchetto <strong>di</strong> sigarette <strong>di</strong> mio pa‐<br />
dre, lui si arrabbiò. Poi attuai un al‐<br />
tro piano; ogni volta che vedevo ac‐<br />
cesa una sigaretta la spegnevo, e lui<br />
si arrabbiava. Allora <strong>di</strong> nascosto<br />
riempivo d’acqua il posacenere e lui<br />
che fumava come un automa spes‐<br />
so si ritrovava con la sigaretta spen‐<br />
ta. Mia madre, che si considerava<br />
una fumatrice occasionale ma non<br />
<strong>di</strong>pendente, mi incitava in questa<br />
battaglia per far smettere mio pa‐<br />
dre. Così la vita <strong>di</strong> mio padre era una<br />
mia responsabilità, era mio compito
persuaderlo. Quando era partico‐<br />
larmente nervoso, <strong>di</strong> fronte a siga‐<br />
rette rotte o annegate <strong>di</strong>ceva:<br />
«Cazzo, costano!»<br />
E io pensavo:<br />
“Tua figlia invece non vale niente.”<br />
Un giorno gli <strong>di</strong>ssi che dava un cat‐<br />
tivo esempio e aggiunsi che era per<br />
questo che i ragazzi a volte si infila‐<br />
vano in brutte compagnie. Si imbe‐<br />
stialì e fu quasi sul punto <strong>di</strong> suo‐<br />
narmele <strong>di</strong> santa ragione. Io piansi<br />
ancor prima <strong>di</strong> essere sfiorata, non<br />
perché temevo le botte ma solo<br />
perché non comprendeva il mio ter‐<br />
rore <strong>di</strong> poter rimanere senza padre<br />
né madre, senza amore. Gli adulti si
sentono sempre autorizzati a farsi<br />
del male. “Troppi pensieri…” si giu‐<br />
stificano, senza capire che il male lo<br />
fanno principalmente a chi vuole lo‐<br />
ro bene, a chi si fida <strong>di</strong> loro, a chi <strong>di</strong>‐<br />
pende da loro. Come potevo affi‐<br />
darmi a un padre che non si rendeva<br />
conto della sofferenza che mi pro‐<br />
curava? Cominciai a detestarlo.<br />
Lo destavo quando rompeva le sto‐<br />
viglie mentre litigava con mia ma‐<br />
dre, quando spaventava me e mio<br />
fratello col gesto <strong>di</strong> metterle le mani<br />
addosso, quando bestemmiava,<br />
quando or<strong>di</strong>nava il caffè dalla sala<br />
davanti alla televisione mentre mia<br />
madre rassettava, quando stu<strong>di</strong>avo
e lui alzava il volume, quando <strong>di</strong>scu‐<br />
tevamo e <strong>di</strong>ceva che io volevo sem‐<br />
pre avere ragione. O<strong>di</strong>avo me stes‐<br />
sa perché a volte avrei voluto non<br />
avere un padre.<br />
* * *<br />
Le scuole me<strong>di</strong>e non mi piacevano,<br />
non mi piaceva stu<strong>di</strong>are. Passavo i<br />
pomeriggi a ballare, ad ascoltare<br />
musica, a rosicchiare qualche snack<br />
davanti alla tv. Sognavo. Sognavo<br />
un’altra vita, un altro corpo, la sera<br />
prima <strong>di</strong> addormentarmi speravo <strong>di</strong><br />
svegliarmi in un corpo <strong>di</strong>verso, quel‐<br />
lo <strong>di</strong> una modella o <strong>di</strong> una ballerina.
Spesso in sogno mi vedevo già adul‐<br />
ta. Era sempre la stessa visione,<br />
quella <strong>di</strong> una me non molto alta, ma<br />
con tacchi altissimi e un abito ade‐<br />
rente che metteva in evidenza un<br />
corpo magro, molto magro, con gli<br />
occhi <strong>di</strong> oggi potrei <strong>di</strong>re anoressico.<br />
A quei tempi non sapevo cosa fosse<br />
l’anoressia, non se ne parlava, o for‐<br />
se io ero troppo piccola per poter‐<br />
mene interessare. L’anoressia è un<br />
progetto che sia conscio o inconscio<br />
avanza per tappe definibili, <strong>di</strong> pro‐<br />
cessi che si succedono, <strong>di</strong> regole ri‐<br />
gide, <strong>di</strong> schemi fissi. Troppo per la<br />
ragazzina ingenua che ero. Io man‐<br />
giavo assaporando il gusto dei cibi.
Ingurgitavo forse troppe schifezze,<br />
però il cibo non aveva ancora una<br />
valenza emotiva. Sgranocchiavo<br />
snack come tutti gli adolescenti,<br />
adoravo i panini, la pizza, le focacce,<br />
il cioccolato, il gelato. Mangiavo po‐<br />
chissima pasta perché mia madre<br />
sosteneva che facesse irrime<strong>di</strong>abil‐<br />
mente ingrassare. Per anni ho te‐<br />
muto la pasta. Dopo la scuola io e<br />
mio fratello pranzavamo dalla non‐<br />
na materna.<br />
«Mangiate, che chi non mangia<br />
muore» ci ripeteva ogni volta che<br />
appoggiavamo la forchetta per una<br />
tregua.
In famiglia siamo tutti piccoletti, in‐<br />
torno a do<strong>di</strong>ci anni mi sottoposero a<br />
dei controlli perché il pe<strong>di</strong>atra notò<br />
un rallentamento nella crescita. Do‐<br />
po <strong>di</strong>versi esami mi fu prescritta la<br />
somministrazione <strong>di</strong> ormoni della<br />
crescita, ero più piccola dei miei co‐<br />
etanei. Ero anche più grassa, mi<br />
<strong>di</strong>edero una <strong>di</strong>eta da seguire. Da<br />
quel momento sarò per me sempre<br />
grassa e bassa.<br />
Il mio problema restava comunque<br />
quello della grassezza, perché per<br />
l’altezza non c’era alternativa, non<br />
c’erano altre possibilità, solo<br />
l’accettazione. Ma evidentemente
non ci sono mai riuscita ed ecco<br />
sfociare il controllo sul corpo.<br />
Quando andavo ai controlli l’altezza<br />
non aumentava, il peso non <strong>di</strong>mi‐<br />
nuiva. Mi sentivo un totale fallimen‐<br />
to, schernita dai me<strong>di</strong>ci che mi ri<strong>di</strong>‐<br />
colizzavano a proposito della mia<br />
incapacità <strong>di</strong> seguire una banale cu‐<br />
ra <strong>di</strong>magrante. Non riuscivo a esse‐<br />
re una bambina che mangiava come<br />
un adolescente fissata con la linea.<br />
E quando mi son fatta adolescente<br />
ho voluto la rivincita, e con una <strong>di</strong>e‐<br />
ta tutta personale ho voluto rientra‐<br />
re nel corpo <strong>di</strong> una bambina.<br />
* * *
Non ho mai parlato a nessuno delle<br />
iniezioni ormonali, la mia famiglia mi<br />
aveva chiesto <strong>di</strong> non farlo, così mi<br />
sono portata dentro questo segreto<br />
per anni come fosse una terribile<br />
vergogna. Ancora oggi mi chiedo<br />
perché mai mi avessero raccoman‐<br />
dato <strong>di</strong> non svelare questo fatto. La<br />
terapia ormonale è durata per circa<br />
sei mesi, non <strong>di</strong> più, e dopo l’ultimo<br />
controllo i risultati erano evidenti:<br />
piccola perché così stava scritto nel<br />
mio patrimonio genetico. Con un<br />
padre alto un metro e sessanta e<br />
una madre <strong>di</strong> un metro e mezzo non<br />
vedo <strong>di</strong> cosa abbiano potuto mera‐<br />
vigliarsi i me<strong>di</strong>ci. La scienza parla
chiaro, il DNA è tutto ciò che siamo.<br />
Forse si aspettavano qualche mira‐<br />
colo, forse serviva una cavia su cui<br />
testare gli effetti degli ormoni. La<br />
me<strong>di</strong>cina esclude l’esistenza<br />
dell’anima, per questo per anni non<br />
sono riusciti a curarmi. Ricordo an‐<br />
cora quando sono uscita<br />
dall’ospedale dopo l’ennesima fle‐<br />
bo. Era inverno, il cielo era sereno,<br />
limpido. Un’aria gelida mi sfiorava la<br />
faccia, mia madre era alla mia destra<br />
e <strong>di</strong>ssi:<br />
«Basta non voglio mai più entrare in<br />
un ospedale.»<br />
E mia madre:<br />
«Mai <strong>di</strong>re mai…»
Pronunciò quelle parole per scara‐<br />
manzia, ma io non ne avevo paura.<br />
Ero così arrabbiata e <strong>di</strong>sillusa… sa‐<br />
rei rimasta bassa, e forse anche cic‐<br />
ciottella. Mia nonna per consolarmi<br />
aggiunse del suo:<br />
«Be’, metterai i tacchi alti…»<br />
La gente parla sempre a sproposito.<br />
Inoltre, piccolina come sono, ho <strong>di</strong>f‐<br />
ficoltà a trovare scarpe con i tacchi<br />
della mia misura, quelle da donna<br />
vera, da femme fatale, scarpe<br />
all’ultima moda; il DNA mi ha voluta<br />
bambina. Torno bambina anche<br />
quando biologicamente mi trasfor‐<br />
mo in donna. Rifiuto il ciclo mestru‐<br />
ale, mi è estraneo, è irregolare.
“Non voglio mangiare. Sono grassa,<br />
andate via, tutti fuori dalla mia vita,<br />
non c’è più spazio per nessuno, nean‐<br />
che per me stessa.”<br />
Io volevo <strong>di</strong>ventare grande.<br />
Mi sentivo rifiutata, con la famiglia<br />
intorno che mi <strong>di</strong>ceva <strong>di</strong> non preoc‐<br />
cuparmi, che l’altezza non contava,<br />
che ero bella, che ero perfetta. Se<br />
ero perfetta, perché loro per primi<br />
mi avevano affidata ai me<strong>di</strong>ci? Se<br />
ero bella, perché mi costringevano a<br />
una <strong>di</strong>eta forzata in età dello svilup‐<br />
po? Perché non dovevo preoccu‐<br />
parmi visto che loro per primi mi<br />
consigliavano degli escamotages<br />
per apparire più alta? Fu così che un
giorno chiusi a chiave la porta della<br />
cameretta e proclamai che avrei <strong>di</strong>‐<br />
giunato. Volevo <strong>di</strong>magrire. Dovevo<br />
<strong>di</strong>magrire.<br />
* * *<br />
La prima a preoccuparsi fu mia non‐<br />
na. Dopo qualche giorno <strong>di</strong> alimen‐<br />
tazione ridotta all’estremo: due me‐<br />
le al giorno e qualche galletta <strong>di</strong> ri‐<br />
so, mia madre si convinse e mi con‐<br />
segnò a un <strong>di</strong>etologo. Inizia così il<br />
mio rapporto d’amore e o<strong>di</strong>o col ci‐<br />
bo. Avevo se<strong>di</strong>ci anni.<br />
Ho sempre amato mangiare, quel<br />
piacevole desiderio <strong>di</strong> coccolarsi
con qualcosa <strong>di</strong> buono, con<strong>di</strong>videre<br />
argomenti gustando una coscia <strong>di</strong><br />
pollo, leccare un cono gelato facen‐<br />
do un giro in centro, succhiare una<br />
caramella in attesa del bus, stuzzi‐<br />
care patitine e bere coca cola spet‐<br />
tegolando, sorseggiare un frullato<br />
raccontando pene d’amore, una<br />
pizza con i compagni prima delle<br />
vacanze estive, la chantilly per fe‐<br />
steggiare il compleanno, i datteri a<br />
Natale, i biscotti con la marmellata<br />
<strong>di</strong> fichi della nonna paterna, il riso in<br />
bianco quando si ha l’influenza.<br />
Mi sono spesso interrogata sul per‐<br />
ché all’improvviso una <strong>di</strong>eta sia <strong>di</strong>‐<br />
venta lo scopo della mia vita, e co‐
me tutti gli obiettivi frustranti mi<br />
abbia spossata fino a desiderare la<br />
fine, il logorio del corpo e<br />
dell’anima.<br />
Ero una se<strong>di</strong>cenne iscrittasi per caso<br />
al liceo linguistico, frequentavo il<br />
secondo anno. Non legavo molto<br />
coi compagni <strong>di</strong> classe, tutti molto<br />
benestanti, mentre i miei genitori<br />
erano degli acrobati nella gestione<br />
delle spese familiari e pur <strong>di</strong> darmi<br />
un futuro rinunciavano ai loro sogni,<br />
alla loro agiatezza.<br />
Al liceo non ero particolarmente<br />
brava. Ero sveglia e attenta, ma il<br />
mio <strong>di</strong>fetto è sempre stato la timi‐<br />
dezza. Avevo le risposte ma mi si
fermavano in gola, mi spaventava<br />
parlare a voce alta davanti a tutta la<br />
classe. Ero riservata, mi sentivo<br />
brutta. Non ero brutta, anzi ero<br />
davvero bella con la mia massa <strong>di</strong><br />
ricci sulla testa, gli occhi gran<strong>di</strong>. Ero<br />
bella, ma bassa e cicciottella. Men‐<br />
tre le mie compagne raccontavano<br />
<strong>di</strong> esperienze sessuali, io ancora so‐<br />
gnavo <strong>di</strong> fare la ballerina, <strong>di</strong> cantare<br />
su un palco. Solo la danza mi rende‐<br />
va istintiva, tutto il resto lo tenevo a<br />
bada sotto un rigido autocontrollo.<br />
Avevo una sola amica del cuore, mia<br />
cugina Sara. Era magra, aveva delle<br />
cosce snelle e asciutte come quelle<br />
delle Barbie, i capelli lisci e cascanti
sulle spalle, era socievole e simpati‐<br />
ca, piaceva ai ragazzi. Al suo fianco<br />
mi sembrava <strong>di</strong> essere il brutto ana‐<br />
troccolo, aveva sempre tutti gli oc‐<br />
chi su <strong>di</strong> sé. Io mi sentivo la dama <strong>di</strong><br />
compagnia che la accompagnava<br />
nel weekend a mietere vittime per<br />
le vie del centro. Sara era sempre<br />
solare e aveva un sorriso per tutti.<br />
Io <strong>di</strong> natura sono piuttosto schiva,<br />
non amo troppo dare confidenza.<br />
Lei era tutto il contrario <strong>di</strong> me, e io<br />
desideravo assomigliarle. È in quel<br />
periodo che si insi<strong>di</strong>a nella mia testa<br />
quel tarlo, che mi vuole magra e a<br />
<strong>di</strong>eta. Il tarlo si ciba della mia adole‐<br />
scenza, poi della giovinezza, finché
non resta più nulla. E anche quando<br />
desidero tornare in<strong>di</strong>etro, il tarlo si<br />
è già mangiato tutto il tempo.<br />
Una sera la principessa Sara incon‐<br />
tra il principe azzurro, la dama <strong>di</strong><br />
compagnia non serve più.<br />
La dama vuole una rivincita dalla vi‐<br />
ta, il tarlo le si offre come consiglie‐<br />
re. Con la magrezza avrebbe potuto<br />
<strong>di</strong>mostrare ai me<strong>di</strong>ci che lei poteva<br />
<strong>di</strong>magrire senza <strong>di</strong> loro, anzi che lei<br />
poteva arrivare laddove loro non<br />
erano riusciti: controllare il corpo.<br />
Con la <strong>di</strong>eta finalmente la mamma si<br />
preoccupava per lei, e non solo del<br />
fratello gracilino. La magrezza<br />
l’avrebbe resa donna agli occhi ma‐
schili. La magrezza avrebbe suscita‐<br />
to l’invi<strong>di</strong>a delle compagne ricche.<br />
La magrezza le avrebbe finalmente<br />
dato uno spazio sociale, fisico, intel‐<br />
lettivo. La magrezza che ti cambia la<br />
vita, e in cambio ti chiede la vita.<br />
* * *<br />
Mi <strong>di</strong>plomo in lingue. Trovo un po‐<br />
sto fisso come cassiera in un su‐<br />
permercato. Emiliano parte per il<br />
militare. Mi sento sola. Non ho ami‐<br />
ci, ho tenuto tutti lontani, ho allon‐<br />
tanato tutte le cose belle della vita.<br />
Non ho bisogno della felicità, non<br />
ho bisogno <strong>di</strong> provare piacere. Ogni
giorno mi sottopongo a<br />
un’estenuante attività fisica: faccio<br />
step, ballo, vado in giro per negozi<br />
alla ricerca <strong>di</strong> tutto senza comprare<br />
nulla. Non posso stare ferma, non<br />
ho bisogno <strong>di</strong> riposo. Il riposo mi<br />
annoia. Non ho bisogno <strong>di</strong> nutrirmi,<br />
il cibo è sporco. Mi faccio schifo. Ri‐<br />
cerco spasmo<strong>di</strong>camente la mia im‐<br />
magine nello specchio, nel riflesso<br />
delle vetrine, nell’ombra che si al‐<br />
lunga sulla strada, in quella che mi<br />
segue sulle pareti. La casa dei miei<br />
genitori è piena <strong>di</strong> specchi, in salot‐<br />
to mi guardo i pie<strong>di</strong>, le caviglie, mi<br />
inginocchio e mi osservo le cosce,<br />
sogno <strong>di</strong> avere mani scheletriche
mentre guardo quelle che il vetro<br />
arcuato riproduce. Nella vetrina del<br />
mobile bar mi guardo il busto, la<br />
pancia, il seno. Voglio appiattire tut‐<br />
to.<br />
Le mie giornate sono scan<strong>di</strong>te dal<br />
ritmo del lavoro e dal movimento.<br />
Non mangio quasi mai, uno yogurt a<br />
colazione, una banana a pranzo, un<br />
tè sul lavoro con mezzo cracker ‐ gli<br />
altri li butto o li offro ‐ la sera yo‐<br />
gurt. Un vasetto, <strong>di</strong> quello magro<br />
naturalmente. Mangio sola. Quando<br />
mi capita <strong>di</strong> mangiare con la famiglia<br />
mi porto in tavola la banana e la<br />
mangio a piccoli pezzi con forchetta<br />
e coltello, e per evitare commenti
parlo <strong>di</strong> tutto quello che mi accade<br />
sul lavoro, parlo senza tregua cer‐<br />
cando <strong>di</strong> creare un clima felice, mi<br />
<strong>di</strong>lungo nei particolari e aggiungo<br />
effetti speciali. L’umore alterato dal‐<br />
la scarsità <strong>di</strong> cibo mi permette <strong>di</strong> te‐<br />
nerli a bada e sotto controllo per<br />
parecchio tempo. Non so se non fa‐<br />
cessero caso al mio comportamen‐<br />
to, se fiduciosi nelle mie qualità in‐<br />
tellettive non volessero pensare al<br />
peggio o forse attendessero solo<br />
che il “capriccio” passasse così co‐<br />
me era arrivato.<br />
Il tempo si consuma velocemente, il<br />
corpo anche. Per tenere lontana la<br />
fame bevo molto durante la giorna‐
ta, bevande calde con l’aggiunta <strong>di</strong><br />
dolcificante, uso anche tisane depu‐<br />
rative per sciacquare via dal corpo<br />
tutto lo sporco. Mastico cicche in<br />
continuazione, a volte il masticare<br />
continuo causa forti mal <strong>di</strong> testa; nei<br />
perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> stress, quando abuso<br />
senza limiti <strong>di</strong> gomme da masticare,<br />
mi scatta persino la mascella. Emi‐<br />
liano mi chiama tutte le sere, par‐<br />
liamo poco; gli invio anche dei mes‐<br />
saggi sul cellulare, ma lui non è un<br />
gran comunicatore, non risponde<br />
quasi mai. Io amo parlare, comuni‐<br />
care, ho un bisogno fisico della pa‐<br />
rola per riempire tutti i vuoti delle<br />
mente, per buttare fuori la rabbia,
per scaricare le energie. A volte par‐<br />
lo così tanto che mi fanno male le<br />
corde vocali. Parlo per niente in re‐<br />
altà, solo perché non sopporto il si‐<br />
lenzio. Mi avvolge, mi annichilisce,<br />
mi mette <strong>di</strong> fronte a me stessa, ma<br />
non ho il coraggio <strong>di</strong> affrontarmi.<br />
Non so più se amo Emiliano, è lon‐<br />
tano, al militare, non si preoccupa <strong>di</strong><br />
come sto. Se non parlo lui non chie‐<br />
de.<br />
Una sera chatto e mi innamoro. La<br />
sera dopo chatto con un altro e mi<br />
innamoro <strong>di</strong> nuovo. Sera dopo sera<br />
mi innamoro dell’amore, ho in testa<br />
un uomo fatto <strong>di</strong> tanti uomini <strong>di</strong>ver‐<br />
si, ho in testa l’uomo che vorrei mi
tirasse fuori dalla merda. E non è<br />
Emiliano, lui nemmeno si rende con‐<br />
to <strong>di</strong> essere finito nella merda con<br />
me. Mi innamoro <strong>di</strong> ragazzi che vi‐<br />
vono in altre città, ognuno ha una<br />
caratteristica <strong>di</strong>versa, tutti cercano<br />
solo <strong>di</strong> fare sesso. Ma io offro solo<br />
uno scambio <strong>di</strong> parole, <strong>di</strong> emozioni.<br />
Il mio corpo è sacro. Mia madre<br />
questa cosa non la comprende, mi<br />
insulta, mi <strong>di</strong>ce che sono una sgual‐<br />
drina; come posso rinnegare un ra‐<br />
gazzo buono come Emiliano per<br />
uno sconosciuto? Mi ferisce come<br />
non ha fatto mai, ma mi apre gli oc‐<br />
chi questa sua sfuriata. Mia madre<br />
non sa chi sono, non mi conosce, mi
spezza il cuore come un amore che<br />
s’infrange. Mia madre.<br />
Emiliano è sempre dolce, accetta<br />
tutto lui. Accetta i miei <strong>di</strong>giuni, i miei<br />
vomiti, accetta i miei insulti, accetta<br />
i miei schiaffi, accetta i miei silenzi,<br />
accetta la mia astinenza sessuale,<br />
accetta tutto <strong>di</strong> <strong>Roberta</strong>. Non accet‐<br />
ta <strong>Roberta</strong>. Ora mi fermo; chi è Ro‐<br />
berta? Mi sono persa. Lui no, sa chi<br />
sono e me lo <strong>di</strong>mostrerà col tempo.<br />
Sul lavoro sono efficiente, mi piace<br />
il contatto con le persone, mi piace<br />
la vecchietta che mi saluta ancora<br />
prima <strong>di</strong> passare dalla mia cassa, mi<br />
cerca prima <strong>di</strong> fare la spesa; mi pia‐<br />
ce Denise, la bambina down che mi
chiede se voglio bene al mio papà.<br />
Non mi piace per niente lo sbruffo‐<br />
ne che ci prova, l’adolescente male‐<br />
ducato e più <strong>di</strong> tutti la madre che<br />
raccomanda al figlio <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are per<br />
non finire a fare il commesso in un<br />
centro commerciale. Questa la o<strong>di</strong>o<br />
proprio.<br />
La gente valuta sempre chi sei in<br />
base a quello che fai. Io non sono<br />
una cassiera, faccio la cassiera per<br />
mettere via i sol<strong>di</strong> e sposarmi. Io<br />
sono una poetessa. Mi cullavo con<br />
questo pensiero, scrivere <strong>di</strong><br />
un’emozione mi strappava il cuore,<br />
mi frugava nello stomaco; improvvi‐<br />
samente tornavo umana. Ricono‐
scevo i bisogni del corpo, ricono‐<br />
scevo il bisogno <strong>di</strong> piacere, <strong>di</strong> calo‐<br />
re.<br />
Emiliano finisce il militare, gli chiedo<br />
un figlio. Dice <strong>di</strong> no, ma aggiunge<br />
anche coscienziose ragioni da bravo<br />
ragazzo. Dimagrisco a vista<br />
d’occhio. Un giorno in cassa passa<br />
una bambina con una bambola, ma<br />
è senza co<strong>di</strong>ce a barre, se la vuole<br />
deve aspettare che mi venga comu‐<br />
nicato; qui ogni cosa è un numero.<br />
La madre va <strong>di</strong> fretta, la bambola<br />
viene abbandonata. Sistemo la<br />
bambola in una ciotola e le metto<br />
sopra un tovagliolo che le fa da co‐<br />
pertina. Finisco il turno immaginan‐
do che sia viva, che sia la mia bam‐<br />
bina. Rasento la follia. Quando il<br />
corpo non ce la fa più chiede aiuto<br />
alla mente, che senza risorse delira.<br />
A giugno partiamo per le vacanze,<br />
facciamo una settimana in Puglia.<br />
Mi porto lo step e la bilancia per a‐<br />
limenti. L’ultima cosa che trattengo<br />
in pancia senza sensi <strong>di</strong> colpa è la<br />
brioche dell’autogrill; non saprei né<br />
come né dove vomitarla. Una volta<br />
arrivati decido che mangerò pochis‐<br />
simo perché altrimenti in bikini si<br />
vedrà la pancia. Poi però non resisto<br />
alle mozzarelline, al cocco, e allora li<br />
mangio ma poi vomito tutto. Vomi‐<br />
to anche il buonissimo pane puglie‐
se e quei pomodorini piccoli come<br />
ciliegie. Vomito la pizza, il gelato.<br />
Tengo solo la granita al limone,<br />
quella che gustiamo la sera sul lun‐<br />
go mare. Mi preoccupo <strong>di</strong> mangiare<br />
lo yogurt a colazione per riuscire a<br />
scaricarmi, compro anche dei lassa‐<br />
tivi. La mia pancia è vuota, piatta,<br />
ma le cosce sono orrende, molli e<br />
grasse. O<strong>di</strong>o la curva dei fianchi, il<br />
seno rotondo, il sedere sporgente,<br />
o<strong>di</strong>o tutte le prominenze del mio<br />
corpo. Ricordo un’unica cena non<br />
vomitata, avevamo scelto un risto‐<br />
rante in riva al mare, era una serata<br />
calda e l’aria era dolce. Avevo fame,<br />
sembrava tutto perfetto, tutto pos‐
sibile, così mi sono concessa un po’<br />
<strong>di</strong> pesce. Delizioso. Dopo cena ab‐<br />
biamo passeggiato sul lungo mare,<br />
io correvo da una bancarella all’altra<br />
come presa da un irrefrenabile de‐<br />
siderio <strong>di</strong> muovermi, sentivo<br />
l’adrenalina pulsarmi nelle tempie,<br />
ero nervosa ma sorridevo come una<br />
stupida, sorridevo per nascondere il<br />
delirio che mi agitava, mi toccavo <strong>di</strong><br />
continuo la pancia, era più grossa<br />
era piena. Mi sembrava <strong>di</strong> lievitare,<br />
tutte le donne intorno a me erano<br />
magre, molto più magre <strong>di</strong> me, io<br />
ero un’ingorda cicciona. Mi sembra‐<br />
va <strong>di</strong> impazzire pensando al grasso<br />
sul mio corpo. Mi sembrava che non
ci fosse alternativa al <strong>di</strong>giuno. Anzi,<br />
sì, c’era la morte.<br />
Emiliano non mi dava alternative <strong>di</strong><br />
pensiero, lui zitto, ragazzo buono <strong>di</strong><br />
poche parole, io persa nel vorticoso<br />
rincorrersi <strong>di</strong> ossessioni. Pensavo al<br />
grasso, pensavo a come uccidermi,<br />
immaginavo il mio suici<strong>di</strong>o. Un ge‐<br />
sto teatrale accompagnato da una<br />
lettera d’ad<strong>di</strong>o ai miei genitori e una<br />
ben più appassionata a questo pre‐<br />
sunto amore della mia vita. Ma<br />
l’amore non ti salva? L’amore non ti<br />
fa gioire? L’amore non ti dona spe‐<br />
ranza? Forse ci si <strong>di</strong>mentica <strong>di</strong> un<br />
aspetto dell’amore, fondamentale è<br />
quello per se stessi. Sì, la metto ne‐
o su bianco questa banale afferma‐<br />
zione che viene sciorinata in tutte le<br />
salse, la sottoscrivo e firmo. Perché<br />
vera. Io non mi sono mai amata, an‐<br />
cora oggi faccio fatica a volermi be‐<br />
ne, ancora oggi lotto contro questa<br />
insopportabile <strong>Roberta</strong>.<br />
Quando torno dalla settimana <strong>di</strong> va‐<br />
canza, la prima cosa che faccio è<br />
mangiare una porzione <strong>di</strong> yogurt ge‐<br />
lato. Mia madre mi vede visibilmen‐<br />
te <strong>di</strong>magrita, ma io <strong>di</strong>co che va tutto<br />
bene. Comincio a non mangiare.<br />
Meno mangi, meno sembra <strong>di</strong> aver<br />
bisogno <strong>di</strong> cibo. Meno mangi più il<br />
cibo <strong>di</strong>venta il tuo ossessivo pensie‐<br />
ro, dalla mattina alla sera, anche du‐
ante la notte. Mi capitava spesso <strong>di</strong><br />
sognare <strong>di</strong> mangiare troppo, <strong>di</strong> es‐<br />
sere costretta a mangiare da altre<br />
persone, <strong>di</strong> essere incapace <strong>di</strong> smet‐<br />
tere <strong>di</strong> mangiare. Mi svegliavo in<br />
preda al panico, per attutire il vuoto<br />
della pancia mi preparavo qualcosa<br />
<strong>di</strong> caldo da bere. Poi mi rimettevo a<br />
letto con la speranza <strong>di</strong> riuscire a<br />
dormire. C’è un momento della ma‐<br />
lattia in cui devi decidere da che<br />
parte stare. Tra i vivi? Cominci a<br />
mangiare. Tra i morti? Smetti <strong>di</strong> nu‐<br />
trirti. Io sono sempre stata a metà,<br />
mangiavo appena, quel poco suffi‐<br />
ciente a tenermi in pie<strong>di</strong>. Non per<br />
codar<strong>di</strong>a, ma per indecisione.
Mia madre era spaventata dal mio<br />
aspetto, ma io non lasciavo trapela‐<br />
re nulla, nascondevo la sofferenza<br />
con chiacchiere inutili, con un conti‐<br />
nuo parlare <strong>di</strong> niente. Stavo in casa<br />
tutto il giorno, quando arrivava mia<br />
madre uscivo, andavo da Emiliano,<br />
cenavo da lui. Non cenavo in realtà.<br />
Non sapevo più cosa potevo man‐<br />
giare, non avevo più il coraggio<br />
nemmeno <strong>di</strong> assaggiare il cibo,<br />
quando lo facevo lo sputavo. Smisi<br />
<strong>di</strong> vomitare. Un giorno, dopo<br />
un’abbuffata <strong>di</strong> dolci, latte, ciocco‐<br />
lato, pane, prosciutto, poi ancora<br />
gelato, latte, latte, perché i liqui<strong>di</strong><br />
facilitano il rigetto, quel giorno a un
certo punto il mio stomaco si rifiutò<br />
<strong>di</strong> liberarsi del cibo. Mi sembrò <strong>di</strong><br />
perdere la testa. Cominciai a cam‐<br />
minare per casa, sudata, col cuore<br />
che batteva a mille. Facevo avanti e<br />
in<strong>di</strong>etro dal bagno alla cucina dove<br />
mi fermavo per bere, tornavo in ba‐<br />
gno mi infilavo il manico del cucchia‐<br />
io giù per la gola e… niente, qual‐<br />
che lacrima mischiata a un po’ <strong>di</strong> lat‐<br />
te. Non capivo, non riuscivo a darmi<br />
alcuna spiegazione, ero fuori <strong>di</strong> me,<br />
fuori dal mondo, mi controllavo allo<br />
specchio lo stomaco gonfio <strong>di</strong> cibo,<br />
volevo morire. Poi cercai <strong>di</strong> rior<strong>di</strong>na‐<br />
re i pensieri, tirai un sospiro, andai<br />
<strong>di</strong> nuovo in bagno e infilai il manico
del cucchiaio fino in fondo, allora<br />
tutto uscì. Mi sforzai fino a che le<br />
gambe non cedettero, dovevo esse‐<br />
re sicura che nessuna traccia <strong>di</strong> cibo<br />
fosse rimasta nel mio stomaco.<br />
Quando la pancia tornò piatta mi<br />
guardai allo specchio. Avevo gli oc‐<br />
chi gonfi, rossi, infossati, la bocca<br />
screpolata ai lati. Mi buttai sul letto<br />
e piansi sussurrando “mamma dove<br />
sei, perché mi hai lasciata sola” alle<br />
mura della camera. Un’ora dopo ero<br />
sulla cyclette e litigavo con mia ma‐<br />
dre che mi implorava <strong>di</strong> scendere.<br />
* * *
Durante gli anni del liceo mi piaceva<br />
fare merenda con le focacce della<br />
Gina. Erano <strong>di</strong> un sapore strano; non<br />
erano dolci, non erano salate, sape‐<br />
vano <strong>di</strong> vita. Di una vita incerta. Io<br />
ero la più bassa della classe; c’era<br />
un’altra ragazza poco più alta <strong>di</strong> me,<br />
ma lei era magra come una stecca e<br />
mangiava parecchio. Era brutta,<br />
sembrava una miniatura <strong>di</strong> Olivia,<br />
ma la magrezza conta più della bel‐<br />
lezza, e piuttosto che bella come<br />
Shirley Temple avrei preferito esse‐<br />
re secca come Olivia. Ero bella, ero<br />
la prima a volte a sorprendermi del‐<br />
la mia bellezza, ma mi sentivo vitti‐<br />
ma <strong>di</strong> un maleficio: <strong>di</strong>etro alla dol‐
cezza <strong>di</strong> uno sguardo o alla fragilità<br />
<strong>di</strong> un sorriso si cela un dolore in‐<br />
spiegabile.<br />
Mio cugino Simone da bambino mi<br />
scherniva chiamandomi “mucca”.<br />
Ricordo che un giorno mi sentii par‐<br />
ticolarmente umiliata, mi gridava<br />
mucca davanti a tutti gli amichetti<br />
del cortile e anche davanti a un altro<br />
cugino, Marcello, del quale mi ero<br />
anche invaghita, e mentre mi insul‐<br />
tava con quella parola mi rincorreva<br />
per frustarmi con una corda. Io ero<br />
dura e non piangevo, mi tenevo le<br />
lacrime serrate negli occhi e il ma‐<br />
gone stretto nella gola, e correvo<br />
cercando <strong>di</strong> sfuggirgli. Mi sentivo
schifosamente grassa, inaccettabile.<br />
Mi sono sempre sentita nel modo in<br />
cui gli altri mi definivano: bassa,<br />
grassa, bella, brutta, riccia, magra.<br />
Incapace <strong>di</strong> definirmi da sola, non<br />
mi sono mai sentita me stessa. Ero<br />
una bambina da amare, in pochi mi<br />
hanno concesso il beneficio del loro<br />
cuore. Ero deforme, per questo<br />
nessuno riusciva ad amarmi. Che<br />
vergogna, il mio corpo era una in‐<br />
sopportabile vergogna, soprattutto<br />
quando cominciarono a spuntare i<br />
seni, a sorgere i fianchi, ad arroton‐<br />
darsi i glutei. Mi vergognavo al pun‐<br />
to da non volere uscire <strong>di</strong> casa. Invi‐<br />
<strong>di</strong>avo le coetanee che si lasciavano
guardare mentre io mi nascondevo<br />
sotto i vestiti <strong>di</strong> mia madre assu‐<br />
mendo le forme <strong>di</strong> un fagotto. De‐<br />
testavo le mestruazioni, erano dolo‐<br />
rose e avevo sempre il terrore <strong>di</strong><br />
sporcarmi o <strong>di</strong> sporcare dove mi se‐<br />
devo. Ero sporca. Macchiata <strong>di</strong> mille<br />
colpe, più <strong>di</strong> tutte quella <strong>di</strong> non ri‐<br />
conoscere le cause delle accuse.<br />
Quando mi sono scomparse le me‐<br />
struazioni è stata una liberazione,<br />
un sollievo. Non mi servivano più in<br />
fondo. Non mi serviva essere don‐<br />
na, il mio compagno non voleva dei<br />
figli da me, io non volevo esserci.<br />
Era per dare la vita che io volevo e‐<br />
sistere, <strong>di</strong>menticarmi <strong>di</strong> me e de<strong>di</strong>‐
carmi al figlio che avrei dato alla lu‐<br />
ce, salvarmi dalla spietata empietà<br />
dell’esistenza restituendole un sor‐<br />
so <strong>di</strong> poesia con il parto. Partorire<br />
una poesia. Se tentare <strong>di</strong> re<strong>di</strong>mermi<br />
era impossibile, allora le mestrua‐<br />
zioni potevano svanire, io potevo<br />
<strong>di</strong>ssolvermi all’ombra <strong>di</strong> una femmi‐<br />
nilità negata, forse mai voluta. Con‐<br />
trad<strong>di</strong>zioni del caso. Anoressia.<br />
* * *<br />
È chiaro che la mia malattia si evolse<br />
come un progetto incerto. Sapevo<br />
come partire: la <strong>di</strong>eta. Non sapevo<br />
come finire: non potevo smettere <strong>di</strong>
seguire la <strong>di</strong>eta. Su consultazione <strong>di</strong><br />
un <strong>di</strong>etologo comincio una <strong>di</strong>eta,<br />
restringo, perdo <strong>di</strong>eci chili in tre<br />
mesi, restringo, perdo le mestrua‐<br />
zioni, restringo, perdo la voglia <strong>di</strong><br />
mangiare, restringo perdo la voglia<br />
<strong>di</strong> vivere. L’anoressia è uno stile <strong>di</strong><br />
morte. La scelta <strong>di</strong> morire con stile,<br />
un epilogo drammatico: corpo ema‐<br />
ciato, corpo evanescente, corpo <strong>di</strong>‐<br />
sperato. Tutto è corpo, ma il corpo<br />
non c’è più. Prima <strong>di</strong> tutto<br />
l’anoressia è la <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> una<br />
forza superiore, della capacità inu‐<br />
mana <strong>di</strong> vivere senza nutrimento, è<br />
lo sfoggio dell’abilità <strong>di</strong> sapersi con‐<br />
trollare. Di riuscire a imporsi con la
mente sul corpo. L’illusione <strong>di</strong> poter<br />
comandare la vita e i suoi processi<br />
biologici.<br />
Le anoressiche sono vanitose, ego‐<br />
centriche, intolleranti. Le anoressi‐<br />
che vivono solo per l’anoressia. O‐<br />
gni scelta, ogni gesto, ogni pensie‐<br />
ro, ogni parola, ogni persona, ogni<br />
amico, amante, è funzionale alla<br />
malattia. Le anoressiche sono falla‐<br />
ci, purtroppo inconsapevoli ipocrite,<br />
perché le prime a raccontare men‐<br />
zogne a se stesse. Le anoressiche<br />
sono vittime e come tutti i deboli<br />
cercano una rivalsa, perché non<br />
sanno accettare la sconfitta, non<br />
possono concedersi <strong>di</strong> essere per‐
denti. Per vincere occorre essere<br />
potenti, le anoressiche trovano il<br />
potere nel controllare la fame, il ci‐<br />
bo, l’attività fisica, il corpo fisico e<br />
morale. L’anoressia <strong>di</strong>venta l’arma<br />
con cui sfidare il mondo, un’arma a<br />
doppio taglio perché per prime<br />
mettono a rischio la propria incolu‐<br />
mità. Si feriscono per ferire.<br />
Quando persi il ciclo sentii <strong>di</strong> avere<br />
sfiorato l’onnipotenza: il controllo<br />
del mio corpo e la sottomissione<br />
degli altri. La per<strong>di</strong>ta del mestruo è<br />
un campanello d’allarme che mette<br />
in agitazione i familiari, i quali si<br />
preoccupano, ti curano, ti amano, ti<br />
viziano, ti parlano dell’amore che
provano, della tua unicità. Poi e‐<br />
splodono vedendo che ti lusinga<br />
giocare con la morte, ma a te piace<br />
anche essere maltrattata, scatenare<br />
emozioni <strong>di</strong> dolore, <strong>di</strong> sofferenza.<br />
Non ti arren<strong>di</strong> nemmeno <strong>di</strong> fronte<br />
alle lacrime <strong>di</strong> tua madre. Di tuo pa‐<br />
dre. Tutti devono pagare, tutti ti<br />
devono qualcosa, vuoi che tutti ri‐<br />
conoscano la tua immolazione. Non<br />
ha senso la vita, molto più intrigan‐<br />
te giocare con la morte. La famiglia<br />
subisce le contrad<strong>di</strong>zioni della ma‐<br />
lattia, è succube <strong>di</strong> ripicche, ricatti<br />
morali e affettivi, viene portata<br />
all’esasperazione, alla <strong>di</strong>struzione. I<br />
genitori si scontrano, tu ti scontri
con entrambi, poi ne scegli uno che<br />
ti crederà sempre anche davanti alla<br />
falsa verità e l’altro continua a <strong>di</strong>‐<br />
sapprovare. Li dominerai entrambi<br />
facendo in modo che mai collabori‐<br />
no tra loro. Tu devi rimanere la più<br />
forte, è l’unico modo perché<br />
l’anoressia sopravviva. Perché lei<br />
deve vivere, tu vivi <strong>di</strong> lei, rischierai<br />
l’esistenza per lei. Non c’è altro.<br />
L’anoressia è il tentativo ultimo <strong>di</strong><br />
trovare la propria identità, nasce da<br />
un vuoto interiore, dall’incapacità <strong>di</strong><br />
stimare il proprio valore, dalla sen‐<br />
sazione <strong>di</strong> inadeguatezza nei con‐<br />
fronti del mondo e degli altri, da<br />
un’impotenza che spesso si genera
dall’esser donna. Forse anche dal<br />
desiderio inconscio <strong>di</strong> essere ma‐<br />
schio.<br />
Avrei rinunciato ai miei seni, ai fian‐<br />
chi, al ventre fecondo, avrei livellato<br />
tutte le curve, appiattito le spor‐<br />
genze, annullato me stessa. Prima<br />
della vita nuova c’è la <strong>di</strong>struzione.<br />
* * *<br />
Fu durante gli anni del liceo che co‐<br />
minciai a credere che potevo a‐<br />
marmi <strong>di</strong> più e farmi amare.<br />
Rinunciai alle focacce della Gina, agli<br />
snack, rinunciai alla mia adolescen‐<br />
za, mi concentrai su un unico obiet‐
tivo: il <strong>di</strong>magrimento. Dimagrire si‐<br />
gnifica non solo seguire un rigido<br />
schema alimentare, ma anche ri‐<br />
nunciare ai possibili contatti sociali<br />
che il cibo crea. Sono molte le ado‐<br />
lescenti che non amano il proprio<br />
corpo, ma fortunatamente non tut‐<br />
te lo o<strong>di</strong>ano al punto da volerselo<br />
strappare <strong>di</strong> dosso. Mi mettevo in<br />
posizione eretta davanti allo spec‐<br />
chio ed esaminavo con cura la mia<br />
pancia. All’inizio della <strong>di</strong>eta mi inte‐<br />
ressava solo avere una pancia piat‐<br />
ta. Una pancia sempre piatta, quin<strong>di</strong><br />
appena notavo anche il minimo ri‐<br />
gonfiamento pensavo <strong>di</strong> aver man‐<br />
giato troppo
“Fai schifo, come hai potuto mangia‐<br />
re tutta quell’insalata e perfino il pa‐<br />
ne? Sei schifosamente ingorda!”<br />
A volte per espiare il senso <strong>di</strong> colpa<br />
mi sdraiavo in camera sul pavimen‐<br />
to e facevo ginnastica. Mi concen‐<br />
travo sugli addominali, poi mi rilas‐<br />
savo e <strong>di</strong>stesa supina controllavo<br />
che tutte le ossa fossero sporgenti.<br />
Ma non era mai abbastanza.<br />
All’inizio non fu semplice perdere<br />
peso. Ricordo che durante una visi‐<br />
ta <strong>di</strong> controllo il <strong>di</strong>etologo mi chiese:<br />
«Non hai mai fatto nessuno sgarro?»<br />
«No.»<br />
«Sicura? Nemmeno una patatina?»<br />
«No.»
Era vero. Ero troppo orgogliosa per<br />
lasciarmi tentare da una patata.<br />
Quando uscii dallo stu<strong>di</strong>o mi inter‐<br />
rogai se davvero una patatina po‐<br />
tesse compromettere drasticamen‐<br />
te l’esito <strong>di</strong> una <strong>di</strong>eta. Non ho mai<br />
sgarrato, mai, piuttosto buttavo il<br />
cibo che mi tentava. Arrivai anche a<br />
ridurre l’apporto calorico previsto<br />
dalla <strong>di</strong>eta perché volevo <strong>di</strong>mostra‐<br />
re che ero anche più brava. La mi‐<br />
gliore. In casa ero la migliore a se‐<br />
guire una <strong>di</strong>eta. Osservavo schifata<br />
il modo <strong>di</strong> alimentarsi <strong>di</strong> mio padre,<br />
<strong>di</strong> mia madre, mio fratello invece lo<br />
invi<strong>di</strong>avo, mangiava senza mai in‐<br />
grassare. Filippo era quello che io
volevo essere. Col passare degli an‐<br />
ni mi sono resa conto dell’invi<strong>di</strong>a<br />
che provavo nei suoi confronti. Lui è<br />
sempre stato un ragazzo molto in‐<br />
<strong>di</strong>pendente, capace <strong>di</strong> scegliere da<br />
sé e per sé senza bisogno né <strong>di</strong> con‐<br />
sultazioni né <strong>di</strong> approvazioni. Ha<br />
trovato nello sport la sua strada,<br />
negli amici la sua famiglia, nella fi‐<br />
danzata la consolazione e l’amore.<br />
Più volte mi sono chiesta cosa pro‐<br />
vasse per me, quale posizione oc‐<br />
cupavo nella sua vita, e credo che<br />
per anni non mi abbia nemmeno<br />
considerata. Ero solo<br />
un’adolescente complessata, men‐<br />
tre lui un bambino che non poteva
capire. Forse aveva bisogno <strong>di</strong> so‐<br />
stegno da parte mia, <strong>di</strong> solito i mag‐<br />
giori sono un punto <strong>di</strong> riferimento.<br />
Sono felice che non mi abbia mai<br />
preso a modello e che anzi abbia<br />
sempre contestato le mie posizioni,<br />
perché da me non aveva nulla da<br />
imparare. Ha percorso la sua strada<br />
da solo, con la sicurezza <strong>di</strong> un pre‐<br />
datore, poche volte l’ho visto titu‐<br />
bante, insicuro. Ha applicato alla vi‐<br />
ta lo stesso rigore tecnico che utiliz‐<br />
za nelle arti marziali. Il karate è sta‐<br />
to la sua salvezza, ha combattuto<br />
con energia e col desiderio <strong>di</strong> vince‐<br />
re. A scuola ero migliore io e spesso<br />
me ne vantavo mortificandolo, era
l’unico settore in cui valevo qualco‐<br />
sa, e valevo <strong>di</strong> più se lo offendevo<br />
mettendolo in cattiva luce davanti ai<br />
miei genitori. Mi <strong>di</strong>spiace tanto che<br />
mi duole il cuore. Come ho potuto<br />
essere capace <strong>di</strong> cattiverie simili? E<br />
<strong>di</strong>re che gli volevo un gran bene.<br />
Quando usciva vincente dalle gare<br />
mi commuovevo e avrei voluto urla‐<br />
re “ehi, quello è mio fratello!”. In‐<br />
vece stavo lì, silenziosa e raccolta<br />
sui gra<strong>di</strong>ni della tribuna con le la‐<br />
crime agli occhi. Per me lui era il mi‐<br />
gliore. Lui è migliore <strong>di</strong> me, perché<br />
prima <strong>di</strong> me ha capito che la vita è<br />
una palestra dove i muscoli si alle‐<br />
nano, non si consumano; dove la te‐
sta controlla l’azione, dove la prima<br />
gara l’affronti con te stesso e vinci<br />
quando accetti i tuoi limiti.<br />
Oggi quando guardo Filippo ho da‐<br />
vanti ai miei occhi un uomo, anche<br />
se spesso vorrei abbracciarlo e coc‐<br />
colarlo come non ho mai fatto. Vor‐<br />
rei che mi perdonasse per il rumore<br />
che ho creato nella sua adolescen‐<br />
za, per lo scompiglio che ha dovuto<br />
affrontare da solo, per avergli se‐<br />
questrato la madre e aizzato contro<br />
il padre. Per non esserci mai stata, e<br />
per quando c’ero ma contavo solo<br />
io. Confido nella sua capacità <strong>di</strong><br />
perdono.<br />
FINE ANTEPRIMA