Testo in formato pdf - Testimonigeova
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Daniele/1-6 28-07-2004 9:52 Pagina 96 CAPITOLO 4 esige da loro che indovinino il sogno come nell’episodio precedente perché stavolta il sogno non lo ha dimenticato (“io dissi loro il sogno”). Tuttavia i professionisti della divinazione ancora una volta rimangono muti davanti alla richiesta del re. Essi avranno certamente intuito il significato infausto del sogno, ma non avrebbero saputo dire più di questo. Oltretutto non era piacevole, e poteva anche essere pericoloso per loro, annunciare al sovrano un presagio nefasto, sia pure senza poterne precisare la natura. 8 Alla fine si presentò davanti a me Daniele, che si chiama Beltsatsar, dal nome del mio dio, e nel quale è lo spirito degli dèi santi; e io gli raccontai il sogno. Daniele riappare per la prima volta sulla scena dopo l’episodio del cap. 2. Non è chiaro se sia stato convocato dal re o se si sia presentato di sua iniziativa. Se è valida la prima ipotesi, che effettivamente sembra la più verosimile, Nabucodonosor può aver voluto prima ascoltare il responso degli specialisti nazionali della divinazione, poi, visto il silenzio di questi, avrebbe consultato l’esperto straniero. Ma si può anche supporre che Daniele fosse stato convocato insieme con gli altri sapienti, ma che qualche motivo a noi sconosciuto gli abbia impedito di ottemperare subito all’ordine del re. L’ipotesi di una presentazione spontanea di Daniele sembra la meno probabile. Bisognerebbe ammettere che il re Nabucodonosor lo avesse messo da parte dopo averlo investito di un alto incarico che tuttora riconosceva (cfr. 2:48 con 4:9). Nabucodonosor prima nomina Daniele col suo nome giudaico, poi col nome babilonese che egli stesso gli ha imposto (vedi commento a 1:7). Osserva giustamente Leupold 135 che dopo la lezione che gli era stata impartita attraverso l’esperienza narrata in questo capitolo, è comprensibile che Nabucodonosor si preoccupasse di non dire e fare nulla che potesse apparire come un’offesa verso il Dio di Daniele, ciò che appunto avrebbe significato il non tenere conto del nome originale di quest’uomo (Dani’el = “Dio è il mio giudice”) dopo averlo sostituito con un nome che onorava la sua divinità personale. La forma plurale dell’espressione aramaica }yi$yiDaq }yihflE) ’elahîn qaddîshîn, “gli dèi santi”, può anche tradursi al singolare, “l’iddio santo” come rileva il S.D.A. Bible Commentary 136, il quale propende per questa traduzione tanto più che la versione greca di Teodozione rende la frase: “il quale ha in sé lo spirito santo di Dio”. Leupold, Rinaldi e altri, come il Luzzi, preferiscono la forma plurale, la quale in effetti, oltre ad attenersi alla letteralità dell’aramaico, tiene conto del fatto che chi parla è un politeista, anche se rispetta il Dio di Daniele. 135 - Ibidem, pp. 175, 176. 136 - Vol. IV, p. 789. 96
Daniele/1-6 28-07-2004 9:52 Pagina 97 CAPIRE DANIELE 9 Beltsatsar, capo dei magi, siccome io so che lo spirito degli dèi santi è in te, e che nessun segreto t’è difficile, dimmi le visioni che ho avuto nel mio sogno, e la loro interpretazione. “Capo dei magi” ()æYaMu+:rax bar rav chartummayyâ’), traducibile anche “capo degli indovini” (vedi commento a 2:2-3), deve essere l’equivalente di “capo supremo di tutti i savi di Babilonia” (cfr. 2:48). Nabucodonosor si rivolge a Daniele quale suo eminente ministro. Per la seconda volta riconosce la presenza in lui dello “spirito degli dèi santi”, ed esprime la convinzione che non ci sono per lui segreti impenetrabili. “Dimmi la visione che ho avuto...” Poiché nei versetti seguenti Nabucodonosor descrive il sogno, non si capisce il motivo di questa richiesta rivolta a Daniele. Teodozione traduce: “Ascolta la visione del sogno che ho avuto...” Questa lezione è senz’altro più coerente. Varie versioni ed espositori moderni seguono Teodozione. La Bible de Jérusalem corregge l’aramaico y¢wºzex hezwê, “visioni”, in hazî, “ecco”, e traduce: “Ecco il sogno che ho avuto...” Il testo italiano della C.E.I., Rinaldi, Bernini e altri si attengono a questo modo di leggere il passo. 10 Ed ecco le visioni della mia mente quand’ero sul mio letto. Io guardavo, ed ecco un albero in mezzo alla terra, la cui altezza era grande. “Io guardavo...” La forma aramaica del verbo esprime azione progressiva (“io stavo guardando”) e attenta considerazione di ciò che si sta guardando 137. Anche Ezechiele e Isaia usano l’immagine dell’albero per raffigurare una nazione (Ez 17:22, 23; 19: 10-14; 31: 3-14; Is 10: 33, 34). In una delle iscrizioni rinvenute a Wadi Brissa, nel Libano, e pubblicata da F. H. WEISSBACH nel 1906, Babilonia è paragonata a un grande albero che fa ombra a tutti i popoli 138. Erodoto, in Storie I, 108, riporta un fatto che ha qualche somiglianza con la storia narrata da Daniele. Egli dice che Astiage re dei Medi sognò che sua figlia Mandane, andata in sposa a Cambise, principe persiano, partorì una vite che crebbe fino a coprire tutta l’Asia. Sollecitato il responso degli interpreti dei sogni, costoro gli predissero che il figlio di sua figlia avrebbe regnato in vece sua. L’albero visto in sogno da Nabucodonosor, l’albero che si erge forte e maestoso nel bel mezzo della terra e estende i suoi rami in tutte le direzioni potrebbe essere una figura idonea della nuova Babilonia creata da Nabucodonosor. 137 - Cfr. LEUPOLD, op. cit., p. 178. 138 - Cfr. G. RINALDI, op. cit., pp. 78, 79 e G. PETTINATO, op. cit., p. 17. 97
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il sogno non lo ha dimenticato (“io dissi loro il sogno”). Tuttavia i professionisti<br />
della div<strong>in</strong>azione ancora una volta rimangono muti davanti alla richiesta<br />
del re. Essi avranno certamente <strong>in</strong>tuito il significato <strong>in</strong>fausto del sogno, ma non<br />
avrebbero saputo dire più di questo. Oltretutto non era piacevole, e poteva anche<br />
essere pericoloso per loro, annunciare al sovrano un presagio nefasto, sia<br />
pure senza poterne precisare la natura.<br />
8 Alla f<strong>in</strong>e si presentò davanti a me Daniele, che si chiama Beltsatsar,<br />
dal nome del mio dio, e nel quale è lo spirito degli dèi santi; e io<br />
gli raccontai il sogno.<br />
Daniele riappare per la prima volta sulla scena dopo l’episodio del cap. 2. Non è<br />
chiaro se sia stato convocato dal re o se si sia presentato di sua <strong>in</strong>iziativa. Se è<br />
valida la prima ipotesi, che effettivamente sembra la più verosimile, Nabucodonosor<br />
può aver voluto prima ascoltare il responso degli specialisti nazionali della<br />
div<strong>in</strong>azione, poi, visto il silenzio di questi, avrebbe consultato l’esperto straniero.<br />
Ma si può anche supporre che Daniele fosse stato convocato <strong>in</strong>sieme con<br />
gli altri sapienti, ma che qualche motivo a noi sconosciuto gli abbia impedito di<br />
ottemperare subito all’ord<strong>in</strong>e del re. L’ipotesi di una presentazione spontanea di<br />
Daniele sembra la meno probabile. Bisognerebbe ammettere che il re Nabucodonosor<br />
lo avesse messo da parte dopo averlo <strong>in</strong>vestito di un alto <strong>in</strong>carico che<br />
tuttora riconosceva (cfr. 2:48 con 4:9).<br />
Nabucodonosor prima nom<strong>in</strong>a Daniele col suo nome giudaico, poi col<br />
nome babilonese che egli stesso gli ha imposto (vedi commento a 1:7). Osserva<br />
giustamente Leupold 135 che dopo la lezione che gli era stata impartita attraverso<br />
l’esperienza narrata <strong>in</strong> questo capitolo, è comprensibile che Nabucodonosor si<br />
preoccupasse di non dire e fare nulla che potesse apparire come un’offesa verso<br />
il Dio di Daniele, ciò che appunto avrebbe significato il non tenere conto del<br />
nome orig<strong>in</strong>ale di quest’uomo (Dani’el = “Dio è il mio giudice”) dopo averlo<br />
sostituito con un nome che onorava la sua div<strong>in</strong>ità personale.<br />
La forma plurale dell’espressione aramaica }yi$yiDaq }yihflE) ’elahîn qaddîshîn,<br />
“gli dèi santi”, può anche tradursi al s<strong>in</strong>golare, “l’iddio santo” come rileva il<br />
S.D.A. Bible Commentary 136, il quale propende per questa traduzione tanto più<br />
che la versione greca di Teodozione rende la frase: “il quale ha <strong>in</strong> sé lo spirito<br />
santo di Dio”. Leupold, R<strong>in</strong>aldi e altri, come il Luzzi, preferiscono la forma plurale,<br />
la quale <strong>in</strong> effetti, oltre ad attenersi alla letteralità dell’aramaico, tiene conto<br />
del fatto che chi parla è un politeista, anche se rispetta il Dio di Daniele.<br />
135 - Ibidem, pp. 175, 176.<br />
136 - Vol. IV, p. 789.<br />
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