Testo in formato pdf - Testimonigeova

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Daniele/9-12 28-07-2004 9:57 Pagina 315 CAPIRE DANIELE suo incarico ufficiale, e in 6:28 ha incluso in modo generico “il regno di Ciro il Persiano” nell’arco di tempo della sua lunga e onorata attività pubblica. In 10:1 per la prima e unica volta riferisce al regno di questo monarca un episodio importante dell’esperienza di profeta. È stato osservato che il titolo di “re di Persia” che Daniele attribuisce a Ciro non è conforme all’uso antico, giacché su 1560 contratti babilonesi datati agli anni di regno dei re persiani soltanto uno reca l’espressione “re di Persia”. Risponde con ragione H.C.Leupold: “Quando l’eccezione compare nelle tavolette amministrative babilonesi non la si giudica immediatamente anacronistica. Perché mai non dovrebbe essere consentito a uno scrittore biblico di usare tale costruzione eccezionale, tanto più se egli scrive in un’altra lingua...?” 407. Anche se il titolo “re di Persia” non era d’uso comune ai suoi giorni, Daniele col riferirlo a Ciro ne riconosce, d’accordo con la Storia, la sovranità su tutto l’impero persiano (si confronti il titolo subalterno di “re del regno dei Caldei” che egli dà a Dario il Medo in 9:1). “Emerso da una relativa oscurità quale principe del minuscolo stato di Anshan, sull’altopiano iranico, in pochi anni Ciro rovesciò l’uno dopo l’altro i regni di Media, di Lidia e di Babilonia e li riunì sotto la sua sovranità fondando l’impero più vasto che si fosse mai visto. Con un monarca di siffatta levatura dovranno adesso confrontarsi Daniele e il suo popolo...” 408 . Ancora una volta Daniele parla di sé in terza persona 409 (“una parola fu rivelata a Daniele”) e fa seguire al suo nome d’origine il nome babilonese (Beltsasar), quasi a voler rilevare ancora una volta il persistere della sua condizione di esule in terra straniera. Con un’espressione inconsueta, davar, “una parola” (davar può anche tradursi “una cosa”), il profeta ha voluto designare l’ampia rivelazione che verrà esponendo nel capitolo seguente e nei primi 3 versetti del cap. 12. Egli ha anche voluto testimoniare la sua convinzione riguardo alla veracità della profezia che gli è stata rivelata (“la parola è verace”, rfbfDah temE)åw we’emeth haddavar) e della quale ha compreso la tematica centrale: “essa predice una gran lotta” (lOdfg )fbfcºw wetzava’ gâdôl). Tzava’, il termine corrente per “esercito” (vedi 8:10-12), può anche significare “guerra”, “lotta”, e con tale accezione il vocabolo è usato in questo contesto. A differenza delle profezie che sono state rivelate a Daniele con i simboli enigmatici delle visioni (vedi i cc. 7 e 8), la rivelazione riportata in questa parte finale del libro, come quella del cap. 9, gli è stata recata da un angelo con linguaggio piano e letterale, ond’egli può dire di avere capito la “parola” (rfbfDah-te) }yibU ûvîn ’eth haddavar) ed avere avuto intelligenza della visione (he):raMaB Ol 407 - Exposition of Daniel, pp. 442- 443. 408 - S.D.A. Bible Commentary, vol. IV, p. 857. 409 - Per una delucidazione su questa particolarità letteraria , vedi il commento a 7:1-2. 315

Daniele/9-12 28-07-2004 9:57 Pagina 316 CAPITOLO 10 hænyibU ûvîna lô bammar’eh), in altre parole di non avere avuto bisogno d’una interpretazione. Allo stesso modo che in 9:26 è qui adoperato il termine mar’eh per indicare l’apparizione di un angelo che viene a recare a viva voce una rivelazione divina. 2 In quel tempo, io, Daniele, feci cordoglio per tre settimane intere. “In quel tempo”: letteralmente “in quei giorni” ({"hfh {yimæYaB bayyamîm hâhem), cioè nei giorni che precedettero la rivelazione che sta per narrare. In quei giorni l’anziano profeta è stato colto da una gran pena della quale non spiega il motivo. Ma avendoci egli indicato con precisione l’epoca dei fatti che verrà esponendo, non è difficile indovinarlo. Correva dunque l’anno terzo di Ciro - il 536/35 a.C. - quando il primo e più cospicuo scaglione dei rimpatriati da Babilonia da pochissimo tempo era giunto nella desolata terra di Giuda col sommo sacerdote Giosuè e con Zorobabele. Il libro di Esdra ci ragguaglia su un aspro conflitto fra i giudei rimpatriati e i vicini samaritani sorto dal rifiuto dell’offerta di collaborazione fatta da questi ultimi ai capi dei Giudei mentre ponevano mano alla ricostruzione del Tempio 410. Le vicissitudini dei reduci erano seguite con viva partecipazione dai connazionali che avevano scelto di rimanere nei luoghi dell’esilio (vedi Ne 1:1-4). La notizia dei momenti difficili che stavano vivendo i rimpatriati nella lontana Gerusalemme certamente giunse alle orecchie di Daniele in Babilonia e non poté non suscitare ansia nell’animo del vecchio profeta. Non tanto il conflitto in sé stesso, tuttavia, deve avere provocato la pena di Daniele, quanto piuttosto i riflessi negativi che tale conflitto poteva avere sui rapporti dei reduci dall’esilio con le autorità centrali persiane. Poteva accadere - come di fatto avvenne 411 - che la situazione agitata in quella provincia periferica dell’impero inducesse il sovrano di Persia a revocare o quanto meno a sospendere l’editto favorevole ai Giudei (vedi Ed 1: 1-4). Era messa a repentaglio più che la ripresa della vita sociale ed economica della comunità dei rimpatriati; era esposto a serio pericolo il ripristino della vita religiosa intorno al tempio ricostruito. Questa fosca prospettiva deve avere cagionato l’afflizione di Daniele 412 che si è protratta per tre settimane (letteralmente “tre settimane di giorni”, {yimæy {yi(ubf$ hf$ol:$ sheloshah shavu‘îm yâmîm). Il termine “settimane” è comparso 4 volte nel cap. 9 (ai vv. 24, 25 e 26) nella usuale forma femminile (shavu‘oth). In questo versetto (10:2) compare nella inconsueta forma maschile (shavu‘îm) e per di più seguito dalla specificazione “di giorni”. “Giorni” in apposizione rispetto a “settimane” conferisce alla 410 - Vedi Esdra 4:1-5; cfr. col commento di Dn 9:25 e con le note relative. 411 - Vedi Esdra 4: 24. 412 - Vedi S.D.A. Bible Commentary, vol. IV, pp. 857-858; J. DOUKHAN, Le Soupîr de la terre, p. 225; H.C.LEUPOLD, Exposition of Daniel, p. 445. 316

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CAPIRE DANIELE<br />

suo <strong>in</strong>carico ufficiale, e <strong>in</strong> 6:28 ha <strong>in</strong>cluso <strong>in</strong> modo generico “il regno di Ciro il<br />

Persiano” nell’arco di tempo della sua lunga e onorata attività pubblica. In 10:1<br />

per la prima e unica volta riferisce al regno di questo monarca un episodio importante<br />

dell’esperienza di profeta.<br />

È stato osservato che il titolo di “re di Persia” che Daniele attribuisce a Ciro<br />

non è conforme all’uso antico, giacché su 1560 contratti babilonesi datati agli<br />

anni di regno dei re persiani soltanto uno reca l’espressione “re di Persia”. Risponde<br />

con ragione H.C.Leupold: “Quando l’eccezione compare nelle tavolette<br />

amm<strong>in</strong>istrative babilonesi non la si giudica immediatamente anacronistica. Perché<br />

mai non dovrebbe essere consentito a uno scrittore biblico di usare tale costruzione<br />

eccezionale, tanto più se egli scrive <strong>in</strong> un’altra l<strong>in</strong>gua...?” 407.<br />

Anche se il titolo “re di Persia” non era d’uso comune ai suoi giorni, Daniele<br />

col riferirlo a Ciro ne riconosce, d’accordo con la Storia, la sovranità su<br />

tutto l’impero persiano (si confronti il titolo subalterno di “re del regno dei Caldei”<br />

che egli dà a Dario il Medo <strong>in</strong> 9:1).<br />

“Emerso da una relativa oscurità quale pr<strong>in</strong>cipe del m<strong>in</strong>uscolo stato di Anshan,<br />

sull’altopiano iranico, <strong>in</strong> pochi anni Ciro rovesciò l’uno dopo l’altro i regni<br />

di Media, di Lidia e di Babilonia e li riunì sotto la sua sovranità fondando l’impero<br />

più vasto che si fosse mai visto. Con un monarca di siffatta levatura dovranno<br />

adesso confrontarsi Daniele e il suo popolo...” 408 .<br />

Ancora una volta Daniele parla di sé <strong>in</strong> terza persona 409 (“una parola fu rivelata<br />

a Daniele”) e fa seguire al suo nome d’orig<strong>in</strong>e il nome babilonese (Beltsasar),<br />

quasi a voler rilevare ancora una volta il persistere della sua condizione di<br />

esule <strong>in</strong> terra straniera. Con un’espressione <strong>in</strong>consueta, davar, “una parola” (davar<br />

può anche tradursi “una cosa”), il profeta ha voluto designare l’ampia rivelazione<br />

che verrà esponendo nel capitolo seguente e nei primi 3 versetti del cap.<br />

12. Egli ha anche voluto testimoniare la sua conv<strong>in</strong>zione riguardo alla veracità<br />

della profezia che gli è stata rivelata (“la parola è verace”, rfbfDah temE)åw we’emeth<br />

haddavar) e della quale ha compreso la tematica centrale: “essa predice una<br />

gran lotta” (lOdfg )fbfcºw wetzava’ gâdôl). Tzava’, il term<strong>in</strong>e corrente per “esercito”<br />

(vedi 8:10-12), può anche significare “guerra”, “lotta”, e con tale accezione il vocabolo<br />

è usato <strong>in</strong> questo contesto.<br />

A differenza delle profezie che sono state rivelate a Daniele con i simboli<br />

enigmatici delle visioni (vedi i cc. 7 e 8), la rivelazione riportata <strong>in</strong> questa parte<br />

f<strong>in</strong>ale del libro, come quella del cap. 9, gli è stata recata da un angelo con l<strong>in</strong>guaggio<br />

piano e letterale, ond’egli può dire di avere capito la “parola” (rfbfDah-te)<br />

}yibU ûvîn ’eth haddavar) ed avere avuto <strong>in</strong>telligenza della visione (he):raMaB Ol<br />

407 - Exposition of Daniel, pp. 442- 443.<br />

408 - S.D.A. Bible Commentary, vol. IV, p. 857.<br />

409 - Per una delucidazione su questa particolarità letteraria , vedi il commento a 7:1-2.<br />

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