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Daniele/9-12 28-07-2004 9:57 Pagina 275 Il pensiero del protestante Charles Boutflower sulla profezia delle settimane è stato riportato nelle pagine precedenti (l’opera dalla quale è stato attinto, In and Around the Book of Daniel, è del 1923). Ancora un pensiero di fonte protestante sull’interpretazione di Dn 9:24-27: CAPIRE DANIELE “L’interpretazione messianica tradizionale - scrive il prof. Edward J. Young - comporta difficoltà minori rispetto alle altre interpretazioni e nel medesimo tempo rende giustizia al testo. Secondo questa interpretazione ‘settanta settimaneí è un’espressione simbolica per indicare il periodo nel quale dovrà compiersi la salvezza messianica che è stata decretata (v. 24). Nel v. 25 si dice che due segmenti di tempo dovranno trascorrere tra l’uscita di una parola da parte di Dio riguardo la ricostruzione di Gerusalemme e l’apparizione del Cristo. Dopo che saranno trascorsi questi due segmenti di tempo, il Messia sarà messo a morte e Gerusalemme e il tempio saranno distrutti dalle milizie romane di Tito. Il Messia farà cessare con la sua morte i sacrifici giudaici e questo avverrà a metà della settantesima settimana” 362. Un’esposizione dettagliata dell’interpretazione messianica diretta di Dn 9:24-27 confermerà il giudizio del prof. Young sulla maggiore aderenza di questa spiegazione al linguaggio del testo danielico. La “parola” (davar), dalla uscita della quale dovrà iniziare il conteggio delle 7 e 62 settimane, è il primo elemento di cui è essenziale cogliere il significato per una retta intelligenza della profezia. Se “parola” si riferisse ad una dichiarazione già nota 363 - dunque al passato - davâr dovrebbe avere l’articolo. Invece questo vocabolo non è preceduto dall’articolo: min motzah davar... (“dall’uscita di ‘una’ parola...”). “Parola” in 9:25 essendo indeterminato deve perciò riferirsi ad una dichiarazione non ancora conosciuta, una dichiarazione futura. Dovrà essere una risposta umana a quella “parola” divina “uscita” in cielo a seguito della preghiera di Daniele, quella “parola” che Gabriele è venuto a comunicargli: “Al principio delle tue supplicazioni una parola è uscita; ed io son venuto a comunicartela” (9:23) 364. La profezia anticipa gli eventi, non li determina, come le previsioni meteorologiche annunciano i cambiamenti del tempo ma non ne sono la causa. Per fare risorgere dalle rovine una città ribelle come Gerusalemme (Ed 4:12; Ne 6:5- 6) in un paese come Giuda tuttora sottoposto a sudditanza verso uno Stato straniero (Ne 9:36-37), ci voleva imprescindibilmente un editto reale. I Giudei rimpatriati da Babilonia dopo il decreto di Ciro formavano una comunità religiosa 362 - E.J. YOUNG, The New Bible Commentary, Londra 1970. commento a Dn 9:27, p. 700. 363 - Vedi Appendice B a fine capitolo. 364 - Cfr. C.BOUTFLOWER, op. cit., p. 187. 275

Daniele/9-12 28-07-2004 9:57 Pagina 276 CAPITOLO 9 raccolta intorno al suo ricostruito santuario, non una nazione indipendente. La ricostruzione della città senza l’espresso consenso del sovrano di Persia avrebbe costituito praticamente un’implicita dichiarazione di indipendenza che il Gran Re non avrebbe certo tollerato. Siamo a conoscenza di almeno tre decreti imperiali persiani in favore dei Giudei deportati in Babilonia o rimpatriati da essa. I. IL DECRETO DI CIRO II. Fu il primo editto reale favorevole ai Giudei; esso verosimilmente fu emanato un anno dopo la conquista persiana di Babilonia, cioè nel 538 a.C. Di questo editto abbiamo nell’Antico Testamento due versioni, una abbreviata in 2Cr 36:23 ed una più estesa in Ed 1:2-4, ambedue introdotte da una nota redazionale quasi identica contenente la data del documento ed una notazione teologica. L’estensore (probabilmente lo stesso per le due versioni) vede nel decreto reale il compimento della profezia di Gr 29:10. Il documento persiano, redatto in termini molto rispettosi verso la fede ebraica, autorizza: 1) il rimpatrio da Babilonia degli esuli giudei; 2) la ricostruzione del tempio di “Yahweh, l’Iddio dei cieli” in Gerusalemme; 3) l’assistenza materiale ai rimpatriandi da parte delle popolazioni di cui essi percorreranno i territori. Nell’editto di Ciro manca qualsiasi accenno ad una ricostruzione di Gerusalemme. II. IL DECRETO DI DARIO I. I reduci da Babilonia in seguito al decreto di Ciro ricostruirono subito l’altare e ripristinarono i sacrifici, compreso l’olocausto quotidiano (Ed 3:3). Poi gettarono le fondamenta del tempio (Ed 3:10-11), ma l’opposizione tenace dei nemici li costrinse a sospendere i lavori (Ed 4:4). La ricostruzione del sacro edificio fu ripresa una quindicina di anni dopo - l’anno secondo di Dario I, il 520 a.C. - per l’incoraggiamento dei profeti Aggeo e Zaccaria (Ed 4:5, 24; 5:1- 2). L’intervento dell’autorità persiana, probabilmente sollecitato dai nemici dei Giudei, non comportò un’interruzione immediata dei lavori (Ed 5:3-5). Dietro una relazione obiettiva dei funzionari reali (Ed 5:7-17), il re Dario promosse un’indagine negli archivi reali di Babilonia e di Ecbatana e in quest’ultima località fu rintracciata la copia del decreto di Ciro (Ed 6:1-5). Con un suo editto Dario ratificò il decreto di Ciro ordinando perentoriamente: 1) che si lasciassero proseguire i lavori per la ricostruzione del tempio dei Giudei in Gerusalemme; 2) che le spese necessarie si detraessero dalle imposte reali riscosse nella satrapia transeufratica; 3) che si fornisse ai sacerdoti giudei di Gerusalemme tutto il necessario per lo svolgimento regolare delle pratiche cultuali. L’editto termina con minacce di sanzioni molto severe per gli inadempienti e con l’ordine di esecuzione immediata delle disposizioni reali (Ed 6:6-12). Anche questo documento ufficiale della cancelleria reale persiana omette ogni riferimento alla ricostruzione di Gerusalemme. Il tempio fu riscotruito in 4 anni. L’anno sesto di Dario, il 515 a.C., fu solennemente dedicato al culto (Ed 6:15-16). Ma le mura della città rimasero demolite per il resto del regno di Dario, per tutto il tempo del regno di Serse I (486-465) e 276

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CAPITOLO 9<br />

raccolta <strong>in</strong>torno al suo ricostruito santuario, non una nazione <strong>in</strong>dipendente. La<br />

ricostruzione della città senza l’espresso consenso del sovrano di Persia avrebbe<br />

costituito praticamente un’implicita dichiarazione di <strong>in</strong>dipendenza che il Gran Re<br />

non avrebbe certo tollerato. Siamo a conoscenza di almeno tre decreti imperiali<br />

persiani <strong>in</strong> favore dei Giudei deportati <strong>in</strong> Babilonia o rimpatriati da essa.<br />

I. IL DECRETO DI CIRO II. Fu il primo editto reale favorevole ai Giudei;<br />

esso verosimilmente fu emanato un anno dopo la conquista persiana di Babilonia,<br />

cioè nel 538 a.C. Di questo editto abbiamo nell’Antico Testamento due versioni,<br />

una abbreviata <strong>in</strong> 2Cr 36:23 ed una più estesa <strong>in</strong> Ed 1:2-4, ambedue <strong>in</strong>trodotte<br />

da una nota redazionale quasi identica contenente la data del documento<br />

ed una notazione teologica.<br />

L’estensore (probabilmente lo stesso per le due versioni) vede nel decreto<br />

reale il compimento della profezia di Gr 29:10. Il documento persiano, redatto <strong>in</strong><br />

term<strong>in</strong>i molto rispettosi verso la fede ebraica, autorizza: 1) il rimpatrio da Babilonia<br />

degli esuli giudei; 2) la ricostruzione del tempio di “Yahweh, l’Iddio dei cieli”<br />

<strong>in</strong> Gerusalemme; 3) l’assistenza materiale ai rimpatriandi da parte delle popolazioni<br />

di cui essi percorreranno i territori. Nell’editto di Ciro manca qualsiasi accenno<br />

ad una ricostruzione di Gerusalemme.<br />

II. IL DECRETO DI DARIO I. I reduci da Babilonia <strong>in</strong> seguito al decreto di<br />

Ciro ricostruirono subito l’altare e riprist<strong>in</strong>arono i sacrifici, compreso l’olocausto<br />

quotidiano (Ed 3:3).<br />

Poi gettarono le fondamenta del tempio (Ed 3:10-11), ma l’opposizione tenace<br />

dei nemici li costr<strong>in</strong>se a sospendere i lavori (Ed 4:4). La ricostruzione del<br />

sacro edificio fu ripresa una qu<strong>in</strong>dic<strong>in</strong>a di anni dopo - l’anno secondo di Dario I,<br />

il 520 a.C. - per l’<strong>in</strong>coraggiamento dei profeti Aggeo e Zaccaria (Ed 4:5, 24; 5:1-<br />

2). L’<strong>in</strong>tervento dell’autorità persiana, probabilmente sollecitato dai nemici dei<br />

Giudei, non comportò un’<strong>in</strong>terruzione immediata dei lavori (Ed 5:3-5). Dietro<br />

una relazione obiettiva dei funzionari reali (Ed 5:7-17), il re Dario promosse<br />

un’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e negli archivi reali di Babilonia e di Ecbatana e <strong>in</strong> quest’ultima località<br />

fu r<strong>in</strong>tracciata la copia del decreto di Ciro (Ed 6:1-5).<br />

Con un suo editto Dario ratificò il decreto di Ciro ord<strong>in</strong>ando perentoriamente:<br />

1) che si lasciassero proseguire i lavori per la ricostruzione del tempio<br />

dei Giudei <strong>in</strong> Gerusalemme; 2) che le spese necessarie si detraessero dalle imposte<br />

reali riscosse nella satrapia transeufratica; 3) che si fornisse ai sacerdoti giudei<br />

di Gerusalemme tutto il necessario per lo svolgimento regolare delle pratiche<br />

cultuali.<br />

L’editto term<strong>in</strong>a con m<strong>in</strong>acce di sanzioni molto severe per gli <strong>in</strong>adempienti<br />

e con l’ord<strong>in</strong>e di esecuzione immediata delle disposizioni reali (Ed 6:6-12). Anche<br />

questo documento ufficiale della cancelleria reale persiana omette ogni riferimento<br />

alla ricostruzione di Gerusalemme.<br />

Il tempio fu riscotruito <strong>in</strong> 4 anni. L’anno sesto di Dario, il 515 a.C., fu solennemente<br />

dedicato al culto (Ed 6:15-16). Ma le mura della città rimasero demolite<br />

per il resto del regno di Dario, per tutto il tempo del regno di Serse I (486-465) e<br />

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