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Testo in formato pdf - Testimonigeova

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Daniele/9-12 28-07-2004 9:57 Pag<strong>in</strong>a 256<br />

CAPITOLO 9<br />

19 O Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, sii attento ed agisci;<br />

non <strong>in</strong>dugiare, per amor di te stesso, o mio Dio, perché il tuo nome è<br />

<strong>in</strong>vocato sulla tua città e sul tuo popolo!”<br />

L’<strong>in</strong>calzare delle richieste sembra tradire un senso di urgenza. La forza della supplicazione<br />

è comunque accresciuta dall’aggiunta della f<strong>in</strong>ale âh ai primi tre<br />

verbi: shem‘âh, selachâh, haqshivâh.<br />

Questa particella ebraica ha una funzione paragonabile a quella dell’<strong>in</strong>teriezione<br />

italiana “deh” ! Il prof. Giovanni R<strong>in</strong>aldi, molto attento al testo orig<strong>in</strong>ale, ha<br />

tradotto il v. 19: “Signore, deh, ascolta! Signore, deh, perdona ! Signore, deh,<br />

presta attenzione, agisci...!”. L’ultimo verbo, ’achar (“<strong>in</strong>dugiare”, “ritardare”) preceduto<br />

dall’avverbio di negazione ’al, “non”, sembra tradire il timore che la f<strong>in</strong>e<br />

delle angustie dei deportati e l’<strong>in</strong>izio della restaurazione nazionale allo scadere<br />

dei 70 anni predetti da Geremia (vedi il commento del v. 3) possano essere differiti<br />

a causa del persistere del peccato <strong>in</strong> seno alla comunità degli esuli. Daniele<br />

<strong>in</strong>voca il perdono confidando nella bontà del signore: “per amore di te stesso”,<br />

cioè: perché perdonare è conforme alla tua natura. “Lo spirito di questa preghiera<br />

- osserva Boutflower - è ciò che deve guidare alla retta comprensione<br />

della rivelazione da cui venne ad essa la risposta”. 337<br />

20 Mentre io parlavo ancora, pregando e confessando il mio peccato<br />

e il peccato del mio popolo d’Israele, e presentavo la mia supplicazione<br />

all’Eterno, al mio Dio, per il monte santo del mio Dio,<br />

Ancora una volta l’orante ricorda il duplice scopo della sua preghiera: confessare<br />

e supplicare. Nella confessione collettiva Daniele si è sempre co<strong>in</strong>volto nel peccato<br />

del suo popolo. Da questo versetto si capisce che non è stato un atto formale:<br />

“...confessando il mio peccato e il peccato del mio popolo”.<br />

Riferendosi al Signore il profeta usa il nome proprio della Div<strong>in</strong>ità: Yahweh,<br />

Colui che è, che ha <strong>in</strong> sé medesimo la causa della sua esistenza, che esiste fuori<br />

dal tempo. Al nome proprio aggiunge l’appellativo familiare “mio Dio” (’Elohay).<br />

E alludendo a Gerusalemme, <strong>in</strong> modo pert<strong>in</strong>ente usa l’espressione “il monte<br />

santo del mio Dio” perché effettivamente della città e del santuario non è rimasto<br />

che un monte cosparso di rov<strong>in</strong>e.<br />

21 mentre stavo ancora parlando <strong>in</strong> preghiera, quell’uomo, Gabriele,<br />

che avevo visto nella visione da pr<strong>in</strong>cipio, mandato con rapido volo,<br />

s’avvic<strong>in</strong>ò a me, verso l’ora dell’oblazione della sera.<br />

Nel versetto precedente il narratore ha <strong>in</strong>trodotto con un avverbio temporale<br />

(‘ôd, “mentre”) un riferimento all’istante <strong>in</strong> cui è avvenuto un fatto <strong>in</strong>atteso e<br />

straord<strong>in</strong>ario che ha <strong>in</strong>terrotto la sua preghiera; ma la frase si è prolungata <strong>in</strong> un<br />

337 - C. BOUTFLOWER, op. cit., p. 180.<br />

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