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Testo in formato pdf - Testimonigeova

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Daniele/7-8 28-07-2004 9:55 Pag<strong>in</strong>a 238<br />

CAPITOLO 8<br />

Gabriele conclude col domandare al profeta di mantenere segreta la visione giustificando<br />

la richiesta con la circostanza che essa “si riferisce ad un tempo lontano”,<br />

ebraico: {yiBar {yimæy:l yiK }Ozfxeh {ot:s hfTa)ºw )Uhhû’ we’attah setom hechazôn kî<br />

leyamîm rabîm, letteralmente: “ora tu nascondi la visione perché (essa concerne)<br />

giorni lontani”. Ciò che Daniele dovrà mantenere segreta è la visionechazôn,<br />

vale a dire la rivelazione nella sua totalità.<br />

E dovrà farlo perché essa non riguarda il presente o il futuro immediato ma<br />

concerne un futuro remoto. I “tempi lontani” si rapportano evidentemente non<br />

alle implicazioni <strong>in</strong>iziali della rivelazione (l’avvento del regno di Persia, oramai<br />

prossimo) ma alle implicazioni f<strong>in</strong>ali.<br />

27 E io, Daniele, svenni, e fui malato vari giorni; poi m’alzai, e feci gli<br />

affari del re. Io ero stupito della visione, ma nessuno se ne avvide.<br />

La rivelazione è f<strong>in</strong>ita; Daniele chiude il racconto con un riferimento allo stato di<br />

prostrazione fisica <strong>in</strong> cui essa lo ha lasciato. Il profeta ha perso i sensi e ha dovuto<br />

trascorrere diversi giorni a letto prima di riprendere le sue mansioni pubbliche<br />

<strong>in</strong> Babilonia.<br />

È un <strong>in</strong>dice del forte stress fisico ed emotivo a cui una prolungata esperienza<br />

estatica sottopone i profeti di Jahvé. Daniele è tornato ai suoi <strong>in</strong>carichi<br />

abituali ma gli è rimasto un forte turbamento “a motivo della visione”, <strong>in</strong> ebraico:<br />

}yib"m }y")ºw he):raMah-la({"mOT:$e)æw û’eshthômem ‘al hammar’eh we’ên mevîn, “ma provavo<br />

un opprimente stupore sulla visione perché non la potevo <strong>in</strong>tendere” (R<strong>in</strong>aldi).<br />

La traduzione rende con precisione l’orig<strong>in</strong>ale.<br />

Daniele non aveva motivo di stupirsi per la visione-chazôn, ovvero per le<br />

cose viste nella rivelazione, giacché questa gli era stata <strong>in</strong>terpretata. Era la visione-mar’eh<br />

(egli lo dice), vale a dire la rivelazione sulle 2300 sere-matt<strong>in</strong>e ricevuta<br />

nell’audizione, quella che gli cagionava turbamento, giacché su di essa<br />

erano rimasti dei lati oscuri che l’angelo non aveva chiarito. Il profeta si crucciava<br />

per non capire (e’en mevîn) tutto il senso e la portata di quel dettaglio<br />

della rivelazione.<br />

Il verbo byn (“<strong>in</strong>tendere”) e il sostantivo mar’eh (“visione-apparizione”)<br />

sono importanti elementi di collegamento con la rivelazione successiva riportata<br />

nel cap. 9.<br />

238

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