Testo in formato pdf - Testimonigeova
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Daniele/7-8 28-07-2004 9:55 Pagina 205 “... e fu profanato il luogo del suo santuario...” (G. Rinaldi). “... e fu profanata la santa dimora...” (TOB). “... e fu rovesciato il fondamento del suo santuario...” (Bibbia Concordata). CAPIRE DANIELE Hushlak è la forma hofal del verbo shalak, “gettare”, “abbattere”, “rovesciare”, “distruggere”, sia in senso letterale che in senso metaforico. “Fu abbattuto” (Luzzi) e “ fu gettata a basso” (Diodati) sono dunque traduzioni coerenti di hushlâk. Ma poiché questo verbo non consente di armonizzare il passo danielico col modello della persecuzione di Antioco, giacché il re di Siria profanò ma non distrusse il tempio giudaico di Gerusalemme 287, si è proceduto ad un’arbitraria sostituzione della forma verbale originale hushlak, attestata dai manoscritti più antichi, con una forma verbale totalmente diversa: tirmos (“contaminato”, “profanato”, “dissacrato”) la quale mette d’accordo il testo biblico col modello storico scelto dagli esegeti storico-critici 288. La RINALDI e la TOB seguono il testo ebraico così modificato. Mekôn è il complemento del verbo hushlak. Luzzi e Rinaldi traducono “luogo” il sostantivo mekôn, Diodati “stanza” e Bernini e la Concordata “fondamento”. La TOB lo omette. Dal verbo kwn, “stabilire”, “fissare”, “confermare”, mekôn significa “dimora”, “luogo”, “fondamento”. Quest’ultimo è il senso preferito da Hasel 289 il quale rileva che su 17 volte che mekôn ricorre nell’Antico Testamento, 16 volte si trova in contesti cultuali: in 7 casi come designazione del luogo della dimora di Dio in cielo (1Re 8:39, ecc.), cioè del suo santuario, come si vede da Es 15:17 dove l’equivalenza “dimora (di Dio)” - “santuario” è attestata dal parallelismo poetico. In 3 casi mekôn è riferito alla “dimora” terrestre di Jahvé, il santuario mosaico (Es 15:17), e il tempio salomonico (1Re 8:13; 2Cr 6:2); due volte, infine, è associato metaforicamente al trono celeste di Dio: nei Sl 89:14 (15 nell’ebraico) e 97:2, dove si dice che “giustizia ed equità sono le basi (mekôn) del suo trono”. Ulteriori indicazioni, nota ancora l’Hasel, emergono da un’analisi dei contesti cultuali di mekôn. “Dal luogo della sua celeste dimora - dice testualmente - cioè dal suo santuario nel cielo, Egli ascolta le preghiere dei suoi fedeli, israeliti e non (1Re 8:39, 41, 43), e da esso elargisce il perdono e rende giustizia” 290. 287 - Vedi I Maccabei capitolo 1; G. RICCIOTTI, Storia d’Israele, vol. II, pagg. 270-271. 288 - Cfr. G. HASEL, op.cit., pp. 410-411. 289 - Ibidem, p. 412. 290 - Ibidem, pp. 412-413. 205
Daniele/7-8 28-07-2004 9:55 Pagina 206 CAPITOLO 8 L’azione ostile del corno è diretta precisamente contro questa attività divina. “Ma l’atto del corno di abbattere il mekôn (‘fondamento’) del santuario celeste - osserva ancora il nostro autore - è una interferenza nell’atto di Dio di ascoltare le preghiere dei suoi devoti e di offrire il perdono, base/fondamento del santuario di Dio nei cieli. L’atto del corno implica dunque un’intromissione nel senso che esso rende inefficace il ‘fondamento’ o la ‘base’ (mekôn) del santuario celeste dal quale procede la giustizia divina” 291. Secondo la cristologia del Nuovo Testamento il Figlio di Dio, esaltato alla destra del Padre dopo la risurrezione (At 5:55-56; Rm 8:34; Eb 1:3,8), svolge nel suo celeste santuario (Eb 8:1-2; 9:11-12) un ministero continuo di mediazione e intercessione a favore nostro (1Tm 2:5; Rm 8:34; Eb 7:25; 1Gv. 2:1). “Questo ‘abbattere’ è un modo di trasmettere in un linguaggio grafico metaforico, l’idea che il potere del ‘piccolo corno’ giunge, per così dire, al centro stesso dell’attività divina nel santuario del cielo, un’attività che comporta il perdono del peccato. Siffatta azione tocca il cuore dell’intercessione e del ministero continui del ‘Principe dell’esercito’ (il Cristo) che ministra nel santuario celeste. In altri termini il potere del corno anti-divino attacca la base stessa dell’intercessione del celeste santuario con le sue attività mediatoria e salvifica a beneficio dell’uomo fedele” 292. Mekôn miqdashô è il complemento del verbo hushlak, è ciò che il corno ha abbattuto. Miqdash, dal verbo qadâsh, “essere santo”, è il termine col quale il Pentateuco designa il santuario mosaico (cfr. Es 25:8; Le 12:4; 21:12; Nu 10:21; 18:1 ecc.) e con cui il cronista indica il tempio di Yahweh in Gerusalemme (1Cr 22:19; 2Cr 29:21). “Santuario” è dunque la traduzione corretta di miqdash e non “oblazione” come nella versione del Bernini. La TOB traduce miqdashô “la santa dimora”, non tenendo conto del suffisso di terza persona maschile unito a miqdâsh. Daniele ha voluto dire che fu il santuario del “Principe dell’esercito”, e non il santuario in senso indefinito, che il corno empio abbatté. “La dimensione cosmica del rovesciamento della base celeste del santuario - citiamo ancora Hasel - esprime la realtà del tentativo di vanificare il ministero di Cristo in cielo mediante l’instaurazione di un rivale sistema mediatorio che distoglie l’attenzione degli uomini dall’opera sommo-sacerdotale di Cristo, privandoli così dei benefici continui del suo ministero nelle corti celesti” 293. 291 - Ibidem, p. 414. 292 - Ibidem. 293 - Ibidem, p. 415. 206
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CAPITOLO 8<br />
L’azione ostile del corno è diretta precisamente contro questa attività div<strong>in</strong>a.<br />
“Ma l’atto del corno di abbattere il mekôn (‘fondamento’) del santuario celeste -<br />
osserva ancora il nostro autore - è una <strong>in</strong>terferenza nell’atto di Dio di ascoltare le<br />
preghiere dei suoi devoti e di offrire il perdono, base/fondamento del santuario<br />
di Dio nei cieli. L’atto del corno implica dunque un’<strong>in</strong>tromissione nel senso che<br />
esso rende <strong>in</strong>efficace il ‘fondamento’ o la ‘base’ (mekôn) del santuario celeste dal<br />
quale procede la giustizia div<strong>in</strong>a” 291.<br />
Secondo la cristologia del Nuovo Testamento il Figlio di Dio, esaltato alla<br />
destra del Padre dopo la risurrezione (At 5:55-56; Rm 8:34; Eb 1:3,8), svolge nel<br />
suo celeste santuario (Eb 8:1-2; 9:11-12) un m<strong>in</strong>istero cont<strong>in</strong>uo di mediazione e<br />
<strong>in</strong>tercessione a favore nostro (1Tm 2:5; Rm 8:34; Eb 7:25; 1Gv. 2:1).<br />
“Questo ‘abbattere’ è un modo di trasmettere <strong>in</strong> un l<strong>in</strong>guaggio grafico metaforico,<br />
l’idea che il potere del ‘piccolo corno’ giunge, per così dire, al centro<br />
stesso dell’attività div<strong>in</strong>a nel santuario del cielo, un’attività che comporta il perdono<br />
del peccato. Siffatta azione tocca il cuore dell’<strong>in</strong>tercessione e del m<strong>in</strong>istero<br />
cont<strong>in</strong>ui del ‘Pr<strong>in</strong>cipe dell’esercito’ (il Cristo) che m<strong>in</strong>istra nel santuario celeste.<br />
In altri term<strong>in</strong>i il potere del corno anti-div<strong>in</strong>o attacca la base stessa dell’<strong>in</strong>tercessione<br />
del celeste santuario con le sue attività mediatoria e salvifica a beneficio<br />
dell’uomo fedele” 292.<br />
Mekôn miqdashô è il complemento del verbo hushlak, è ciò che il corno ha<br />
abbattuto. Miqdash, dal verbo qadâsh, “essere santo”, è il term<strong>in</strong>e col quale il<br />
Pentateuco designa il santuario mosaico (cfr. Es 25:8; Le 12:4; 21:12; Nu 10:21;<br />
18:1 ecc.) e con cui il cronista <strong>in</strong>dica il tempio di Yahweh <strong>in</strong> Gerusalemme (1Cr<br />
22:19; 2Cr 29:21).<br />
“Santuario” è dunque la traduzione corretta di miqdash e non “oblazione”<br />
come nella versione del Bern<strong>in</strong>i. La TOB traduce miqdashô “la santa dimora”,<br />
non tenendo conto del suffisso di terza persona maschile unito a miqdâsh. Daniele<br />
ha voluto dire che fu il santuario del “Pr<strong>in</strong>cipe dell’esercito”, e non il santuario<br />
<strong>in</strong> senso <strong>in</strong>def<strong>in</strong>ito, che il corno empio abbatté.<br />
“La dimensione cosmica del rovesciamento della base celeste del santuario -<br />
citiamo ancora Hasel - esprime la realtà del tentativo di vanificare il m<strong>in</strong>istero di<br />
Cristo <strong>in</strong> cielo mediante l’<strong>in</strong>staurazione di un rivale sistema mediatorio che distoglie<br />
l’attenzione degli uom<strong>in</strong>i dall’opera sommo-sacerdotale di Cristo, privandoli<br />
così dei benefici cont<strong>in</strong>ui del suo m<strong>in</strong>istero nelle corti celesti” 293.<br />
291 - Ibidem, p. 414.<br />
292 - Ibidem.<br />
293 - Ibidem, p. 415.<br />
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