Testo in formato pdf - Testimonigeova
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Daniele/7-8 28-07-2004 9:55 Pagina 203 CAPIRE DANIELE presentata dal simbolo unico del corno, vale a dire Roma. Qualcuno di loro - G.M. PRICE per esempio - ha visto in 8:9-12 uno svolgimento simultaneo delle fasi politico-pagana ed ecclesiastico-papale. G.H.HASEL 283 propende per uno svolgimento consecutivo: nei vv. 9-10 egli scorge Roma nella fase politico-pagana (premedievale) e nei vv. 11-12 la stessa entità storica nella fase ecclesiastico-papale (medievale e post-medievale). Il commento che segue, improntato al pensiero di questo autore, fornirà argomenti validi (filologici soprattutto) a supporto di questa visione, in particolare per quanto attiene al v. 11. “S’elevò fino al capo di quell’esercito...”, ebr. lyiD:gih)fbfCah-ra& da(ºw we ‘ad sar hazzavâ’ higgdîl, letteralmente: “fino al principe dell’esercito s’ingrandì”. Hasel facendo riferimento a R. MOSIS 284, osserva che usato in questa forma (cioè nella forma hifil) il verbo gadâl esprime l’idea che farsi grande “è un atto arrogante, presuntuoso e illegale”. Il “piccolo corno” si appropria in modo illegale, arrogante e presuntuoso le prerogative che appartengono in maniera esclusiva al “Principe dell’esercito” 285. Chi è il “Principe dell’esercito” (sar hazzavâ’)? I commentatori che applicano ad Antioco Epifane Dn 8:9-14 vi identificano il sommo sacerdote Onia III assassinato nel 171 a.C. HASEL 286 osserva con ragione che sebbene il termine sar (“principe”) nell’Antico Testamento sia talvolta riferito al sommo sacerdote (vedi 1Cr 24:5; Ed 8:24,29), l’espressione sar hazzavâ (“principe dell’esercito”) in nessun caso è applicata ad un sommo sacerdote. In Gs 5:14 è un Essere sovrumano che si presenta al leader delle tribù israelitiche con l’attributo di “Principe dell’esercito di Yahweh” (sar zevâ’ YHWH). In Dn 10:13 Micael è chiamato “uno dei primi principi” (’achad hassârîm hari’shshonîm) e 11:1 menziona “Micael vostro principe” (mîkâ’el sarkem), principe cioè del popolo di Dio. In 12:1 si annuncia il levarsi di “Micael, il gran principe” (mika’el hassar haggâdôl), in difesa del suo popolo (qui il principe Micael appare rivestito di potere giudiziale e lo si può con fondati motivi identificare con la figura del Figlio dell’uomo che esercita lo stesso potere in 7:13,14,26). Nel Nuovo Testamento Micael riceve il titolo di “arcangelo” (archangelos) ed è identificato con Gesù Cristo (Gd 9; 1Te 4:16; Ap 12:7,8). In Daniele tutto lascia credere che Mika’el e il sar hazzavâ siano la stessa figura celeste. È dunque contro il Figlio di Dio e non contro un sacerdote giudaico che si fa grande il “piccolo corno”. 283 - Op. cit., p. 401. 284 - “gadhal”, TDOT, 1975, 2:404. 285 - HASEL, op. cit., p. 402. 286 - Idem, p. 403. 203
Daniele/7-8 28-07-2004 9:55 Pagina 204 CAPITOLO 8 “...gli tolse il sacrificio perpetuo...”, ebr. dyimfTah {yaruh UNeMimU umimmennû hûraym hattamîd, letteralmente: “e a lui fu tolta la perpetuità”. L’antecedente più prossimo a cui possa essere riferita l’espressione ebraica mimmennû (“a lui”) è “principe dell’esercito”. È dunque a questo Essere celeste che fu tolto il tamîd. La forma verbale hûraym è difficile da tradurre. Dalla radice verbale rwm, “togliere via”, “rimuovere”, la traduzione più plausibile sembra essere “fu tolto”, “fu rimosso”. Tamîd nell’Antico Testamento ricorre invariabilmente con funzione di aggettivo (“continuo”, “perpetuo”) o di avverbio (“del continuo”, “perpetuamente”). In 8:11-13, 11:31 e 12:11 tamîd è preceduto dall’articolo (hattamîd) e di conseguenza ha valore di sostantivo (“la continuità”, “la perpetuità”). Dandosi per scontato senza motivi plausibili che tamîd in 8,11 e 12 si riferisca al sacrificio quotidiano (Es 29:38-42; Nu 28 e 29), tutte le versioni suppliscono in 8:11-13, 11:31 e 12:11 il vocabolo “sacrificio” (Rinaldi ha: “il sacrificio quotidiano”, altre versioni: “il sacrificio continuo” o “perpetuo”). Daniele conosce ed usa a proposito la terminologia liturgica del santuario: in 9:21 menziona “l’oblazione della sera” (minchath ‘erev). Se in 8:11-13, 11:31 e 12:11 avesse voluto riferirsi al sacrificio continuo, avrebbe usato il termine tecnico ‘olath hattamîd (“olocausto continuo”) proprio della terminologia del santuario (cfr. Nu 28 e 29 nell’ebraico). Sembra ovvio che con l’usare tamîd come sostantivo Daniele abbia voluto dire una cosa diversa. Tamîd nella legislazione cultuale del Pentateuco, oltre che all’olocausto quotidiano come aggettivo (‘olath hattamîd, “l’olocausto perpetuo”: vedi Es 29:42; Nu 28:3,6,10 ecc.), è applicato con funzione di avverbio a svariati atti liturgici, come il mantenimento del fuoco sacro sull’altare dei sacrifici (Le 6:13 - 6:6 nell’ebraico -), il mantenimento delle luci del candelabro del santuario (Le 24:2, vedi anche Es 27:20), il cambio settimanale dei pani di presentazione nel tabernacolo (Le 24:8). In 1Cr 16:37 tamîd con valore di avverbio è riferito al servizio dei sacerdoti davanti all’arca dell’Alleanza. In 8:11-13, 11:31 e 12:11 semmai sarebbe più logico supplire il termine generico “servizio” piuttosto che quello restrittivo “sacrificio”. Ma a prescindere da tutto questo, tenendo conto dell’uso che ne fa Daniele con funzione di sostantivo (una forma che non ricorre altrove nell’Antico Testamento), hattamîd (“la continuità”, “la perpetuità”) non può riferirsi ad altra cosa che ad una attività del celeste “Principe dell’esercito” che si svolge senza interruzione. L’ultima frase del v. 11 (nell’ebraico O$fD:qim }Ok:m \al:$uhºw wehushlak mekôn miqdashô) nelle versioni in lingua italiana è resa con notevoli varianti: 204 “... e il luogo del suo santuario fu abbattuto...” (G. Luzzi).
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CAPITOLO 8<br />
“...gli tolse il sacrificio perpetuo...”, ebr. dyimfTah {yaruh UNeMimU umimmennû hûraym<br />
hattamîd, letteralmente: “e a lui fu tolta la perpetuità”. L’antecedente più<br />
prossimo a cui possa essere riferita l’espressione ebraica mimmennû (“a lui”) è<br />
“pr<strong>in</strong>cipe dell’esercito”. È dunque a questo Essere celeste che fu tolto il tamîd.<br />
La forma verbale hûraym è difficile da tradurre.<br />
Dalla radice verbale rwm, “togliere via”, “rimuovere”, la traduzione più<br />
plausibile sembra essere “fu tolto”, “fu rimosso”.<br />
Tamîd nell’Antico Testamento ricorre <strong>in</strong>variabilmente con funzione di aggettivo<br />
(“cont<strong>in</strong>uo”, “perpetuo”) o di avverbio (“del cont<strong>in</strong>uo”, “perpetuamente”).<br />
In 8:11-13, 11:31 e 12:11 tamîd è preceduto dall’articolo (hattamîd) e di conseguenza<br />
ha valore di sostantivo (“la cont<strong>in</strong>uità”, “la perpetuità”). Dandosi per<br />
scontato senza motivi plausibili che tamîd <strong>in</strong> 8,11 e 12 si riferisca al sacrificio<br />
quotidiano (Es 29:38-42; Nu 28 e 29), tutte le versioni suppliscono <strong>in</strong> 8:11-13,<br />
11:31 e 12:11 il vocabolo “sacrificio” (R<strong>in</strong>aldi ha: “il sacrificio quotidiano”, altre<br />
versioni: “il sacrificio cont<strong>in</strong>uo” o “perpetuo”).<br />
Daniele conosce ed usa a proposito la term<strong>in</strong>ologia liturgica del santuario:<br />
<strong>in</strong> 9:21 menziona “l’oblazione della sera” (m<strong>in</strong>chath ‘erev). Se <strong>in</strong> 8:11-13, 11:31 e<br />
12:11 avesse voluto riferirsi al sacrificio cont<strong>in</strong>uo, avrebbe usato il term<strong>in</strong>e tecnico<br />
‘olath hattamîd (“olocausto cont<strong>in</strong>uo”) proprio della term<strong>in</strong>ologia del santuario<br />
(cfr. Nu 28 e 29 nell’ebraico). Sembra ovvio che con l’usare tamîd come<br />
sostantivo Daniele abbia voluto dire una cosa diversa.<br />
Tamîd nella legislazione cultuale del Pentateuco, oltre che all’olocausto<br />
quotidiano come aggettivo (‘olath hattamîd, “l’olocausto perpetuo”: vedi Es<br />
29:42; Nu 28:3,6,10 ecc.), è applicato con funzione di avverbio a svariati atti liturgici,<br />
come il mantenimento del fuoco sacro sull’altare dei sacrifici (Le 6:13 - 6:6<br />
nell’ebraico -), il mantenimento delle luci del candelabro del santuario (Le 24:2,<br />
vedi anche Es 27:20), il cambio settimanale dei pani di presentazione nel tabernacolo<br />
(Le 24:8). In 1Cr 16:37 tamîd con valore di avverbio è riferito al servizio<br />
dei sacerdoti davanti all’arca dell’Alleanza. In 8:11-13, 11:31 e 12:11 semmai sarebbe<br />
più logico supplire il term<strong>in</strong>e generico “servizio” piuttosto che quello restrittivo<br />
“sacrificio”.<br />
Ma a presc<strong>in</strong>dere da tutto questo, tenendo conto dell’uso che ne fa Daniele<br />
con funzione di sostantivo (una forma che non ricorre altrove nell’Antico Testamento),<br />
hattamîd (“la cont<strong>in</strong>uità”, “la perpetuità”) non può riferirsi ad altra cosa<br />
che ad una attività del celeste “Pr<strong>in</strong>cipe dell’esercito” che si svolge senza <strong>in</strong>terruzione.<br />
L’ultima frase del v. 11 (nell’ebraico O$fD:qim }Ok:m \al:$uhºw wehushlak mekôn<br />
miqdashô) nelle versioni <strong>in</strong> l<strong>in</strong>gua italiana è resa con notevoli varianti:<br />
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“... e il luogo del suo santuario fu abbattuto...” (G. Luzzi).