Testo in formato pdf - Testimonigeova

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Daniele/1-6 28-07-2004 9:52 Pagina 150 CAPITOLO 6 gelo che in un’altra circostanza (vedi 3:24, 25) ha neutralizzato l’ardore di una fornace ?... Certo è che ancora una volta l’Iddio del cielo ha spiegato la sua forza irresistibile per impedire che fosse stroncata la vita di un innocente il cui “torto” era stato di avere anteposto il Creatore alla creatura. Il primo pensiero di Daniele è stato dunque di testimoniare la potenza e la benevolenza di Dio a suo riguardo. Soltanto dopo egli manifesta la sua serenità interiore per sentirsi assolto da Lui: “Perché io sono stato trovato innocente nel suo cospetto”. Come dire che non sarebbe certamente sopravvissuto se il Giudice supremo degli uomini avesse riconosciuto giusta la pena severa che gli è stata inflitta. Per conseguenza egli è netto di qualsiasi colpa pure nei confronti del re: “Anche davanti a te, o re, non ho fatto alcun male”. È insieme una pacata protesta d’innocenza e un garbato rimprovero al sovrano che non ha saputo scagionarlo dall’imputazione infamante di non aver voluto tenere conto della sua persona e della sua autorità. Può sembrare privo di senso che Daniele si discolpi dopo che è stato condannato e non lo abbia fatto prima. Invece c’è una logica in questa postuma rivendicazione d’innocenza. I nemici lo avevano accusato di ribellione contro il sovrano e la sua legge (v. 13), e tutto faceva credere che avessero ragione giacché in effetti Daniele aveva contravvenuto al decreto reale. L’accusa però era calunniosa perché si fondava su una interpretazione distorta dei fatti, ma Daniele non aveva alcun modo di dimostrarlo. La sua protesta d’innocenza sarebbe dunque stata vana; egli non aveva altra scelta che accettare di subire l’iniqua condanna e rimettere la sua sorte nelle mani di Dio (e non era poco!). Adesso la prova della sua innocenza c’è ed è irrefutabile: è la sua sopravvivenza. In Babilonia come nel resto dell’Oriente antico nei casi di dubbia colpevolezza si faceva ricorso all’ordalia giudiziaria o giudizio degli dèi 215. L’accusato veniva gettato nelle acque di un fiume e la sua colpevolezza o innocenza veniva stabilita secondo che il suo corpo sprofondasse o galleggiasse. Nel caso di Daniele c’è stato un normale giudizio del sovrano, non un’ordalia giudiziaria, comunque ha funzionato quello che si credeva essere il principio su cui si fondava questa pratica. L’essere Daniele scampato miracolosamente alla morte cui era stato legalmente condannato, non poteva non essere interpretato come il giudizio favorevole della divinità e dunque come una prova della sua innocenza. 23 Allora il re fu ricolmo di gioia, e ordinò che Daniele fosse tratto fuori dalla fossa; e Daniele fu tratto fuori dalla fossa, e non si trovò su di lui lesione di sorta, perché s’era confidato nel suo Dio. La benevolenza di Dario verso Daniele e la sincerità del suo dolore per non avere potuto evitare la sua condanna, si palesano nella sua intensa reazione 215 - Vedi F.PINTORE, L’alba della Civiltà, vol. I, pp. 490, 491; R.DE VAUX, Le Istituzioni dell’Antico Testamento, pp. 164, 165. 150

Daniele/1-6 28-07-2004 9:52 Pagina 151 CAPIRE DANIELE emotiva all’udire la voce del prigioniero: “Fu ricolmo di gioia” (aramaico b"):+ )yiGa& saggî’ t’ev, letteralmente “fu sommamente felice”). Secondo il giudizio del re l’esigenza della legge dei Medi e dei Persiani è stata soddisfatta con l’aver gettato Daniele nella fossa dei leoni. Il non essere egli stato assalito dalle belve è un segno inequivocabile del giudizio di Dio favorevole al condannato, un giudizio cui nessuna autorità umana può opporsi. Se prima Dario ha dovuto esercitare con gran pena i suoi poteri regali per sentenziare la condanna capitale di Daniele, adesso se ne avvale con somma gioia per ordinarne l’immediata liberazione. I sigilli che dovevano rimanere intatti a testimoniare l’avvenuta esecuzione del condannato, ora vengono infranti per ordine di colui stesso che li aveva apposti affinché il condannato sia liberato. Ora veramente è stata fatta giustizia. Come al tempo del re Nabucodonosor non era stata riscontrata alcuna ustione sui corpi di Shadrac, Meshac e Abed-nego usciti vivi dalla fornace, così ora non si scorge la più piccola lesione sul corpo di Daniele tratto vivo dal serraglio delle belve. Il miracolo appare in tutta la sua irrefutabile realtà e concretezza. Daniele è stato protetto dall’aggressione dei felini perché è innocente e perché si è “confidato nel suo Dio”. Molto tempo dopo, il miracolo che ha fatto rifulgere la potenza di Dio e la fede del suo servo devoto sarebbe stato riproposto alla riflessione dei cristiani (Eb 11:33), e più in là ancora avrebbe ispirato capolavori di arte figurativa. 24 E per ordine del re furon menati quegli uomini che avevano accusato Daniele, e furon gettati nella fossa dei leoni, essi, i loro figliuoli e le loro mogli; e non erano ancora giunti in fondo alla fossa, che i leoni furono loro addosso, e fiaccaron loro tutte le ossa. L’oscuro disegno dei capi e dei satrapi quando costoro hanno denunciato Daniele si è svelato in tutta la sua nefandezza. Il re si è accorto che col falso pretesto di salvaguardare la sua autorità essi gli hanno estorto un decreto iniquo, giacché mirava soltanto a colpire senza motivo il più fidato e capace dei suoi ministri. Il complotto contro un uomo incolpevole ha dunque un risvolto non meno grave: esso ha offeso la dignità del sovrano poiché lo ha coinvolto a sua insaputa in un atto di suprema ingiustizia. Allora però Dario non ha potuto reagire in conformità della legge, giacché nessuno sarebbe stato in grado di scagionare Daniele dall’imputazione di ribellione. Ma ora che il giudizio divino ha messo in piena luce l’innocenza dell’accusato (vedi commento al v. 22), nulla potrà impedire al re di agire col massimo rigore nei confronti dei cospiratori. Saranno loro a sperimentare l’inflessibile durezza della legge dei Medi e dei Persiani che avevano invocata contro Daniele (vedi v. 15). Saranno loro, e i loro familiari purtroppo, a subire la pena atroce che avevano preparato per il loro avversario. Più o meno come sarebbe accaduto ad Haman, l’implacabile nemico di Mardocheo e dei Giudei (vedi Et 6:9, 10). È proprio vero che “chi scava una 151

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CAPITOLO 6<br />

gelo che <strong>in</strong> un’altra circostanza (vedi 3:24, 25) ha neutralizzato l’ardore di una<br />

fornace ?... Certo è che ancora una volta l’Iddio del cielo ha spiegato la sua forza<br />

irresistibile per impedire che fosse stroncata la vita di un <strong>in</strong>nocente il cui “torto”<br />

era stato di avere anteposto il Creatore alla creatura.<br />

Il primo pensiero di Daniele è stato dunque di testimoniare la potenza e la<br />

benevolenza di Dio a suo riguardo. Soltanto dopo egli manifesta la sua serenità<br />

<strong>in</strong>teriore per sentirsi assolto da Lui: “Perché io sono stato trovato <strong>in</strong>nocente nel<br />

suo cospetto”. Come dire che non sarebbe certamente sopravvissuto se il Giudice<br />

supremo degli uom<strong>in</strong>i avesse riconosciuto giusta la pena severa che gli è<br />

stata <strong>in</strong>flitta. Per conseguenza egli è netto di qualsiasi colpa pure nei confronti<br />

del re: “Anche davanti a te, o re, non ho fatto alcun male”. È <strong>in</strong>sieme una pacata<br />

protesta d’<strong>in</strong>nocenza e un garbato rimprovero al sovrano che non ha saputo scagionarlo<br />

dall’imputazione <strong>in</strong>famante di non aver voluto tenere conto della sua<br />

persona e della sua autorità.<br />

Può sembrare privo di senso che Daniele si discolpi dopo che è stato condannato<br />

e non lo abbia fatto prima. Invece c’è una logica <strong>in</strong> questa postuma rivendicazione<br />

d’<strong>in</strong>nocenza. I nemici lo avevano accusato di ribellione contro il<br />

sovrano e la sua legge (v. 13), e tutto faceva credere che avessero ragione giacché<br />

<strong>in</strong> effetti Daniele aveva contravvenuto al decreto reale. L’accusa però era calunniosa<br />

perché si fondava su una <strong>in</strong>terpretazione distorta dei fatti, ma Daniele<br />

non aveva alcun modo di dimostrarlo. La sua protesta d’<strong>in</strong>nocenza sarebbe dunque<br />

stata vana; egli non aveva altra scelta che accettare di subire l’<strong>in</strong>iqua condanna<br />

e rimettere la sua sorte nelle mani di Dio (e non era poco!).<br />

Adesso la prova della sua <strong>in</strong>nocenza c’è ed è irrefutabile: è la sua sopravvivenza.<br />

In Babilonia come nel resto dell’Oriente antico nei casi di dubbia colpevolezza<br />

si faceva ricorso all’ordalia giudiziaria o giudizio degli dèi 215. L’accusato<br />

veniva gettato nelle acque di un fiume e la sua colpevolezza o <strong>in</strong>nocenza veniva<br />

stabilita secondo che il suo corpo sprofondasse o galleggiasse.<br />

Nel caso di Daniele c’è stato un normale giudizio del sovrano, non un’ordalia<br />

giudiziaria, comunque ha funzionato quello che si credeva essere il pr<strong>in</strong>cipio<br />

su cui si fondava questa pratica. L’essere Daniele scampato miracolosamente alla<br />

morte cui era stato legalmente condannato, non poteva non essere <strong>in</strong>terpretato<br />

come il giudizio favorevole della div<strong>in</strong>ità e dunque come una prova della sua <strong>in</strong>nocenza.<br />

23 Allora il re fu ricolmo di gioia, e ord<strong>in</strong>ò che Daniele fosse tratto<br />

fuori dalla fossa; e Daniele fu tratto fuori dalla fossa, e non si trovò<br />

su di lui lesione di sorta, perché s’era confidato nel suo Dio.<br />

La benevolenza di Dario verso Daniele e la s<strong>in</strong>cerità del suo dolore per non<br />

avere potuto evitare la sua condanna, si palesano nella sua <strong>in</strong>tensa reazione<br />

215 - Vedi F.PINTORE, L’alba della Civiltà, vol. I, pp. 490, 491; R.DE VAUX, Le Istituzioni dell’Antico<br />

Testamento, pp. 164, 165.<br />

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