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Testo in formato pdf - Testimonigeova

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Daniele/1-6 28-07-2004 9:52 Pag<strong>in</strong>a 118<br />

CAPITOLO 5<br />

3 Allora furono recati i vasi d’oro ch’erano stati portati via dal tempio,<br />

dalla casa di Dio, ch’era <strong>in</strong> Gerusalemme; e il re, i suoi grandi,<br />

le sue mogli e le sue concub<strong>in</strong>e se ne servirono per bere. 4 Bevvero<br />

del v<strong>in</strong>o e lodarono gli dèi d’oro, d’argento, di rame, di ferro, di legno<br />

e di pietra.<br />

L’ord<strong>in</strong>e del re è eseguito con prontezza. Nella sala del palazzo, dove si sta svolgendo<br />

un’orgia pagana, vengono portati i calici d’oro e d’argento (v. 2) che<br />

erano stati portati via dal tempio di Gerusalemme, “dalla casa di Dio”,<br />

()fhflE) ty"b-yiD di-veth ’elaha’) aggiunge Daniele come volendo sottol<strong>in</strong>eare la gravità<br />

del sacrilegio perpetrato da Belsazar.<br />

Quei vasi consacrati al culto di Jahvé che nessuno aveva più rimossi dal<br />

luogo dove rispettosamente li aveva custoditi Nabucodonosor, quei vasi mai<br />

prima d’ora profanati, adesso vengono usati come volgari vasi da tavola per una<br />

chiassosa libagione.<br />

E come se fosse poco, mentre si beve si esaltano <strong>in</strong> dispregio dell’Iddio immateriale<br />

che dom<strong>in</strong>a dall’alto del cielo gli dèi terreni e materiali che non vedono,<br />

non odono e non parlano. È difficile immag<strong>in</strong>are una sfida più audace !<br />

“È curioso - osserva J.DOUKHAN - che siano menzionati gli stessi metalli che formavano<br />

la statua vista <strong>in</strong> sogno da Nabucodonosor, e siano menzionati nello<br />

stesso ord<strong>in</strong>e, come se il banchetto offerto da Belsazar avesse <strong>in</strong>direttamente di<br />

mira il sogno del suo avo con l’<strong>in</strong>tenzione di contraddirlo” 169.<br />

5 In quel momento apparvero delle dita d’una mano d’uomo, che si<br />

misero a scrivere di faccia al candelabro, sull’<strong>in</strong>tonaco della parete<br />

del palazzo reale. E il re vide quel mozzicone di mano che scriveva.<br />

“In quel momento...” La risposta dell’Iddio offeso alla sfida dell’<strong>in</strong>cauto Belsazar<br />

non si fa attendere. È una risposta enigmatica, <strong>in</strong>decifrabile e perciò tanto più <strong>in</strong>quietante.<br />

Quelle dita senza mano, senza braccio, senza corpo che compaiono tutt’a<br />

un tratto alla luce <strong>in</strong>certa del grande candelabro, quei segni <strong>in</strong>comprensibili che<br />

esse tracciano sulla parete prima di scomparire, debbono essere parsi subito a<br />

Belsazar, che per primo se ne avvede (“il re vide quel mozzicone di mano...”)<br />

come un presagio nefasto, chissà, forse come la risposta severa del Dio che egli<br />

ha appena oltraggiato.<br />

È menzionato il “palazzo reale”. All’<strong>in</strong>izio del secolo, Robert KOLDEWEY riportò<br />

alla luce nella parte settentrionale dell’area dell’antica Babilonia le rov<strong>in</strong>e<br />

di un vasto complesso edilizio che l’archeologo <strong>in</strong>terpretò correttamente come il<br />

palazzo reale. Una sala lunga 52 metri e larga 17, che KOLDEWEY chiamò “la sala<br />

del trono”, si affacciava su un ampio cortile al centro della grande struttura. Sulla<br />

parete di fronte alla porta d’<strong>in</strong>gresso c’era una nicchia dove molto verosimil-<br />

169 - J. DOUKHAN, op. cit., p. 106.<br />

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