recensioni e segnalazioni bibliografiche - Bretschneider Online
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RECENSIONI<br />
E SEGNALAZIONI<br />
BIBLIOGRAFICHE
ABITARE IN CITTÀ. LA CISALPINA TRA IMPERO E MEDIOEVO.<br />
LEBEN IN DER STADT. OBERITALIEN ZWISCHEN ROMISCHER KAISERZEIT UND<br />
MITTELALTER.<br />
Convegno tenuto a Roma il quattro e cinque novembre 1999.<br />
Kolloquium am vierten und fiinften November 1999in Rom.<br />
Edito su incarico dell'Istituto Archeologico Germanico Roma da J. Ortalli e M. Heizelmann<br />
Herausgegeben im Auftrag des DAI Rom von Iacopo Ortalli und Michael Heinzelmann<br />
Wiesbaden 2003, pp. 239.<br />
Le ricerche degli ultimi anni hanno dimostrato<br />
come per affrontare lo studio della città e della società<br />
romana nelle loro fasi più tarde, certamente le<br />
meno note, sia necessario avvalersi di approcci interdisciplinari<br />
che affrontino la complessità del fenomeno<br />
in tutte le sue sfaccettature. Le esigenze,<br />
in particolare, di definire le realtà urbane nella loro<br />
fisionomia durante i secoli della media e tarda età<br />
imperiale e di fare chiarezza, di conseguenza, sulle<br />
complesse trasformazioni che hanno interessato i<br />
singoli centri urbani, hanno stimolato un vivace e<br />
fecondo dibattito ancora in corso di svolgimento.<br />
La grande fase tardo antica costituisce di fatto una<br />
realtà difficile da inquadrare, sia per il suo carattere<br />
estremamente eterogeneo, sia per la frammentarietà<br />
delle fonti documentarie e archeologiche disponibili<br />
che ne ostacolano un' analisi puntuale.<br />
L'interesse per questo tema si è del resto accresciuto<br />
ulteriormente, come dimostrano l'acquisizione<br />
di molti dati nuovi, nonché l'apporto di importanti<br />
iniziative (Aurea Roma. Dalla città pagana<br />
alla città cristiana, a cura di S. ENSOLI ed E. LAROCCA,<br />
Roma 2000) e le recenti riflessioni critiche che hanno<br />
consentito di fare più luce sul paesaggio urbano<br />
della tarda antichità sia per il contesto italiano (Le<br />
città italiane tra la tarda antichità e l'alto medioevo, Atti<br />
del convegno, Ravenna 26-28 febbraio 2004, a cura<br />
di A. AUGENTI, Firenze 2006), che per la più ampia<br />
area del Mediterraneo (Housing in Late antiquity.<br />
From Palace to Shops, a cura di L. LAvAN,L. OZGENEL,<br />
A. SARANTIS, Leiden-Boston, c.s.).<br />
È dunque all'interno di questo rinnovato filone<br />
di studi che va a collocarsi il convegno Edilizia<br />
abitativa urbana e organizzazione della città nell'Italia<br />
settentrionale. Caratteri e trasformazioni tra età imperiale<br />
e tarda antichità (III-VI sec. d.C.), tenuto a Roma<br />
nel 1999 e che, ancora a tre anni di distanza dalla<br />
pubblicazione avvenuta nel 2003, si distingue per<br />
essere una delle più importanti<br />
che sul tema.<br />
iniziative scientifi-<br />
Lo scopo principale del convegno, ben esplicitato<br />
nella premessa, è stato quello di sottolineare<br />
la necessità di un nuovo approccio metodologico,<br />
12<br />
proponendo alcuni spunti di riflessione sulle trasformazioni<br />
urbane nel periodo compreso tra il III<br />
e il VI sec. d.C. e riservando un'attenzione preminente<br />
all'edilizia abitativa quale via preferenziale<br />
per cogliere le dinamiche di sviluppo e i cambiamenti<br />
economico-sociali che si dimostrano piuttosto<br />
eterogenei e diversificati a seconda delle zone<br />
considerate. La scelta dell'Italia settentrionale come<br />
area di interesse, a questo proposito, appare<br />
motivata, come chiaramente enunciato, da un criterio<br />
puramente geografico e funzionale, cui corrisponde<br />
la presentazione di una casistica mirata.<br />
Nella premessa del volume sono altresì indicati<br />
anche i limiti oggettivi della ricerca, dovuti per<br />
lo più al fatto che l'attenzione per il periodo medio<br />
e tardoimperiale, specialmente in termini di edilizia<br />
domestica, è stata per molto tempo oscurata da<br />
una lunga tradizione di studi che si è concentrata<br />
soprattutto sui grandi temi dell'urbanistica del periodo<br />
che va dalla fine dell' età tardorepubblicana<br />
fino alla media età imperiale o che, in ogni caso, ha<br />
manifestato un esclusivo interesse solo per gli elementi<br />
ornamentali di pregio; a discapito di ciò, va<br />
però ricordato che negli ultimi anni si sono imposti<br />
importanti studi che hanno aggiornato e arricchito<br />
la bibliografia esistente (si veda, per esempio, S.<br />
ELUS,Roman Housing, London 2000 o L LIPPOLIS, La<br />
Domus tardoantica. Forme e rappresentazioni dello<br />
spazio domestico nelle città del Mediterraneo, Imola<br />
2001 e, tra i più recenti, Secular Buildings and the<br />
Archaeology of Everyday Life in the Byzantin Empire, a<br />
cura di K. DARK,Oxford 2004). D'altra parte, la tendenza<br />
a valutare in termini assoluti di continuità o<br />
discontinuità la dinamica di sviluppo delle città<br />
tardoantiche costituisce un rischio non ancora del<br />
tutto superato, dovuto anche alla difficoltà di inquadrare<br />
cronologicamente l'insieme dei fenomeni<br />
che le contraddistinguono, aspetto sul quale è stata<br />
rivolta anche di recente una specifica attenzione<br />
(When did Late Antiquity end? Ed. M. DE Vas, Convegno<br />
Internazionale, Trento, 29-30 aprile 2005, c.s.).<br />
Il volume" Abitare in città. La cisalpina tra impero<br />
e medioevo" comprende diciassette contributi
178 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />
che, pur nella diversità delle ricerche proposte, determinata<br />
dalla specificità dei singoli casi di studio<br />
in cui prevalgono per lo più aspetti localistici o regionali,<br />
sono accomunati da una medesima impostazione<br />
metodologica, volta a interpretare i dati<br />
forniti dalla cultura materiale secondo un' ottica<br />
diacronica che intende privilegiare gli aspetti contestuali<br />
e, laddove sia possibile, la lettura integrata<br />
dei diversi tipi di fonte. I vari contributi sono "virtualmente"<br />
raggruppabili in tre parti, in cui vengono<br />
affrontati via via in modo diverso temi specifici<br />
basilari per il periodo tardoantico: il sistema difensivo<br />
urbano, i centri del potere, l'edilizia paleocristiana,<br />
i nuovi modelli abitativi e gli aspetti decorativi,<br />
la presenza delle sepolture nelle aree urbane.<br />
Una prima parte è dedicata alle trasformazioni<br />
urbane e abitative registrate nelle principali città<br />
dell'Italia settentrionale, di cui vengono definite le<br />
singole fasi di vita e, nel rispetto dei propositi formulati,<br />
appare particolarmente utile la presentazione<br />
anche delle fasi di fondazione e di quelle relative<br />
ai primi secoli dell'età imperiale, quali elementi<br />
introduttivi per analizzare in prospettiva gli<br />
eventi imputabili alle fasi più tarde, evitando di<br />
creare cesure forzate tra i singoli periodi storici. Secondo<br />
questa impostazione, vengono presi anzitutto<br />
in considerazione i casi più espliciti del Piemonte,<br />
di cui si tenta di offrire un quadro globale che<br />
evidenzia per la fase tardoantica la presenza di alcuni<br />
fenomeni generalizzati (L. MERCANDO): la variazione<br />
del tessuto urbano con la creazione dell'insula<br />
episcopalis in seguito alla formazione delle<br />
diocesi della fine del IV sec. d.C. (Novara, Torino),<br />
cui d'altra parte corrisponde la persistenza di altre<br />
strutture romane (Vercelli) e una piena aderenza<br />
degli stessi edifici religiosi cristiani all'impianto<br />
viario romano che, in talmodo, risulta ancora funzionale<br />
nel corso del V sec. d.C. (Alba, Asti); le modifiche<br />
strutturali che interessano sia gli edifici<br />
pubblici che privati, spesso e volentieri oggetti di<br />
spoliazione, seppure in tempi diversi, ma che acquisiscono<br />
una loro nuova vitalità; quindi, la drastica<br />
contrazione di alcuni centri con la costruzione<br />
di mura urbiche già dalla metà del III sec. d.C. (Susa)<br />
e in seguito fino all'età medievale (Acqui); il<br />
progressivo inserimento delle sepolture nell'area<br />
urbana a partire dal VI sec. d.C. (Alba, Torino);infine,<br />
la formazione di un ceto sociale elevato, probabilmente<br />
di origine rurale, testimoniato dall'importazione<br />
di vari oggetti pregiati e di monumenti<br />
funerari già a partire dal III e IV sec. d.C. (Ivrea,<br />
Industria).<br />
I ripetuti interventi di archeologia urbana che<br />
negli anni sono stati eseguiti nelle città di Brescia e<br />
di Trento, consentono invece di ricostruirne la fisionomia<br />
urbana, perlomeno nei tratti fondamentali,<br />
evidenziando le principali trasformazioni che<br />
hanno interessato entrambi i centri tra tardoantico<br />
e altomedioevo. Per quanto riguarda Brescia, in<br />
particolare, sulla scorta di un' attenta lettura anche<br />
di quanto già pubblicato sull'argomento, vengono<br />
segnalate le principali evidenze architettoniche e<br />
monumentali che contraddistinguono questa lunga<br />
fase di cambiamento, in cui si assiste a una vera e<br />
propria riorganizzazione del tessuto urbano (F.<br />
ROSSI). L'ampliamento del sistema difensivo, l'edificazione<br />
di nuovi edifici pubblici e di culto, tra cui<br />
il complesso episcopale, la realizzazione di un porto<br />
fluviale, sono tutti elementi che evidenziano<br />
l'affermarsi di un nuovo centro cittadino, riorganizzato<br />
nei suoi sistemi viari e nelle sue principali<br />
infrastrutture, seppure in un settore specifico della<br />
città, quello occidentale (a discapito di quello più<br />
antico che ruotava intorno al foro, situato nell'area<br />
orientale). Se alcune di queste trasformazioni sono<br />
in parte certamente imputabili alla discesa di Attila<br />
- si pensi proprio allo spostamento del polo cittadino<br />
verso il settore occidentale della città, più<br />
facilmente difendibile - vengono però giustamente<br />
considerate più esplicite manifestazioni ancora di<br />
una vivacità economica che perlomeno fino al V<br />
sec. d.C. coinvolge non solo il centro urbano, ma<br />
probabilmente anche l'area del suburbio. Nondimeno,<br />
altri segnali attestano un fenomeno di degrado<br />
specialmente per quel che riguarda il settore<br />
orientale della città, ove si collocava l'antico polo<br />
romano. Tutto ciò trova un' esplicita conferma<br />
anche sul versante dell'edilizia privata: da un lato,<br />
le note domus romane presso il complesso di S.<br />
Giulia, cui si aggiunge anche quella di via Alberto<br />
Mario, presentano trasformazioni (ristrutturazioni<br />
interne, modifiche degli apparati decorativi e architettonici,<br />
ecc.) che orientano verso un nuovo<br />
concetto dell'abitare, contraddistinto da una parcellizzazione<br />
degli spazi e dalla loro conseguente<br />
rifunzionalizzazione; dall'altro, la casa di piazza<br />
Duomo, che al contrario delle precedenti presenta<br />
un'ampliamento dei vani, sembra confermare l'importanza<br />
assunta tra IVe V sec. d.C. dal settore occidentale<br />
della città. Merita di essere segnalata,<br />
inoltre, l'attenzione che l'A. rivolge alle tracce di<br />
spoliazione e di destrutturazione, talora piuttosto<br />
labili, che a partire dal V sec. d.C. interessano l'area<br />
urbana orientale, investento non solo gli edifici<br />
pubblici, ma anche le strade.<br />
Un caso analogo è pure quello di Trento, di cui
2006] RECENSIONI 179<br />
viene ripercorsa, a grandi linee, la storia urbanistica<br />
nelle sue fasi principali, a partire dal II sec. d.C.<br />
- la prima fase documentabile con certezza -, fino<br />
al VI sec. d.C. (G. CIURLElTI). Ne emerge un quadro<br />
che, sostanzialmente, non differisce da quello delineato<br />
anche per Brescia e altri centri dell'Italia settentrionale,<br />
specialmente se si guarda alle trasformazioni<br />
urbane che tra III e IV sec. d.C. vedono<br />
il rafforzamento delle mura urbiche, motivato in<br />
questo caso dalla calata alamanna; al contempo, si<br />
assiste all' arresto dell'espansione extra moenia della<br />
città come immediata conseguenza del crollo di<br />
lussuosi edifici residenziali situati nel settore occidentale.<br />
Nonostante la frammentarietà dei dati disponibili,<br />
l'A. riesce a cogliere nella creazione dei<br />
nuovi edifici di culto cristiani e nell'uso dello spazio<br />
urbano come luogo di sepoltura, i due fenomeni<br />
principali che sembrano condizionare l'evoluzione<br />
urbana della città a partire dalla metà del IV<br />
sec. d.C. Altri indizi, inoltre, gli consentono di riconoscere<br />
per i due secoli successivi le tracce di una<br />
crisi economica e politica che colpisce la città nella<br />
sua interezza: la privatizzazione degli spazi e degli<br />
edifici pubblici, oltre che la frammentazione delle<br />
unità abitative, ne costituiscono gli aspetti più evidenti.<br />
L'intervento, tuttavia, si limita a illustrare<br />
questi fenomeni in modo piuttosto corsivo, poiché<br />
si basa quasi esclusivamente su considerazioni di<br />
tipo edilizio-strutturale, trascurando altri aspetti<br />
che potrebbero far luce sulle trasformazioni sociali<br />
ed economiche della città, come per esempio i materiali<br />
dei singoli contesti.<br />
Molto più articolato, in questo senso, il contributo<br />
sulla città di Verona, cui viene riservata<br />
un' ampia trattazione sulle testimonianze riferibili<br />
all'edilizia privata, tenendo conto anche dei dati<br />
propri della cultura materiale e dei contesti stratigrafici<br />
(G. CAVALIERJ MANASSE, B. BRUNO). La casistica<br />
offerta dalla città è piuttosto numerosa (sono una<br />
settantina le domus individuate) e questo permette<br />
una ricostruzione dettagliata dei principali fenomeni<br />
che scandiscono le trasformazioni urbane dai<br />
primi secoli dell'età imperiale fino addirittura al<br />
VII sec. d.C., ovvero fino all'età longobarda. Predomina,<br />
soprattutto nella prima parte del contributo,<br />
una puntuale attenzione per gli aspetti tipologici,<br />
quale per esempio l'affermarsi (nella prima metà<br />
del I sec. a.C,) della casa con cortile e peristilio centrale<br />
come modello di riferimento anche per i secoli<br />
successivi, ma soprattutto per quelli topografici:<br />
l'analisi della distribuzione degli spazi abitativi<br />
nel tessuto urbano e suburbano, supportata da<br />
un' attenta valutazione delle modifiche strutturali<br />
degli edifici, costituisce il principale criterio con<br />
cui vengono interpretate le diverse trasformazioni<br />
urbane. Oltre a sottolineare una vivace attività edilizia<br />
in età severiana, di cui sono testimonianza<br />
svariati pavimenti musivi, viene indicato nel rifacimento<br />
della cinta muraria a opera di Gallieno (265<br />
d.C.) l'evento focale che giustifica alcuni mutamenti<br />
nella pianificazione urbana della città. Se<br />
per i primi secoli dell'età imperiale, le mura urbiche<br />
mantengono ancora un valore puramente simbolico<br />
e monumentale, a partire dalla seconda metà<br />
del III sec. d.C. sembrano invece condizionare lo<br />
sviluppo edilizio, poiché solo ora emergono notevoli<br />
differenze tra gli edifici intra ed extra moenia,<br />
sia in termini di qualità che di distribuzione. D'altra<br />
parte, l'attenta valutazione dei contesti di abbandono,<br />
di cui vengono ricordate le principali sequenze<br />
stratigrafiche con le relative associazioni<br />
ceramiche, non solo registra una forte contrazione<br />
del tessuto urbano nell'area esterna alle mura, ma<br />
anche una situazione piuttosto diversificata all'interno<br />
della città. Vengono in questo modo meglio<br />
definite, seppur con qualche incertezza dovuta talora<br />
alla frammentarietà dei dati disponibili, le<br />
condizioni che nel IV sec. d.C. portano a una diversa<br />
destinazione dell'area esterna, ora adibita per<br />
scopi funerari o ecclesiastici, mentre vedono nell'area<br />
interna una ripresa (seppur limitata) dell'attività<br />
edilizia, accanto a casi di totale abbandono degli<br />
edifici. Pienamente condivisibile, quindi, l'ipotesi<br />
secondo cui le trasformazioni di III sec. d.C. costituirebbero<br />
il frutto di una pianificazione programmata,<br />
a differenza di quelle registrate per la fase<br />
tardoantica, giustificabili in seno a un graduale<br />
spopolamento che si può considerare concluso nel<br />
corso del VI sec. d.C.: i contesti abitativi evidenziano,<br />
di fatto, come' con l'età longobarda si apra un<br />
capitolo del tutto nuovo'.<br />
Per quanto riguarda l'area orientale dell'Italia<br />
settentrionale, i casi più rappresentativi sono costituiti<br />
dai centri romani di Concordia e Aquileia che<br />
continuano a rivestire anche per il periodo tardoantico<br />
un ruolo centrale. Di Concordia colpisce<br />
certamente il fatto che in età severiana rientri tra<br />
quei centri interessati, come il caso precedente di<br />
Verona, da una ripresa dell'attività edilizia tanto<br />
sul versante pubblico, quanto su quello privato (P.<br />
CROCEDAVILLA). Dai dati presi in considerazione, limitati<br />
a una serie di testimonianze sparse, emerge<br />
però un quadro ancora troppo frammentario, certamente<br />
condizionato dalla quantità e dalla qualità<br />
delle informazioni disponibili, ma che forse avrebbe<br />
meritato maggiori approfondimenti. In ogni ca-
180 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />
so, va riconosciuto all' A il merito di avere puntualizzato<br />
alcuni aspetti che non sembrano essere affatto<br />
occasionali, come per esempio la continuità<br />
d'uso tra III e V sec. d.C. di case situate in luoghi<br />
strategici della città dal punto di vista commerciale,<br />
la sopravvivenza della rete stradale romana, la<br />
precoce attività di spolio che interessa gli edifici<br />
pubblici di età classica, i cui elementi lapidei vengono<br />
reimpiegati nella nuova basilica paleocriatiana.<br />
È proprio intorno a quest'ultima, infine, che<br />
vengono individuati alcuni vani abitativi di Ve VI<br />
sec. d.C., di cui rimangono labili tracce.<br />
Certamente più complessa la situazione di<br />
Aquileia, essendo stata soggetta a una intensa attività<br />
di spoliazione, sia in tempi antichi che più recenti,<br />
oltre che a una lunga serie di scavi archeologici<br />
già partire dalla fine dell'Ottocento, solo negli<br />
ultimi anni di tipo stratigrafico: ciò comporta una<br />
serie di difficoltà che, in particolare per la fase tardoantica,<br />
rendono difficoltoso il recupero del materiale<br />
documentario e la possibilità di offrire un<br />
quadro interpretativo esaustivo. Dei due contributi<br />
che affrontano la "questione aquileiese", il primo<br />
mira principalmente a offrire un quadro generale<br />
sull'assetto urbano (M. VERZARBASS), soffermandosi<br />
su alcuni temi fondamentali, primo fra tutti quello<br />
ancora irrisolto delle mura urbiche, utile per definire<br />
l'effettiva estensione della città e la distribuzione<br />
delle aree abitative, argomento cui viene invece<br />
riservato un particolare approfondimento nel<br />
secondo contributo (G. MIAN).Riguardo alle mura<br />
della città urbiche, viene avanzata l'ipotesi che già<br />
a partire dal III sec. d.C. fossero più ampie rispetto<br />
a quelle di età tardorepubblicana, contrariamente a<br />
quanto finora sostenuto, come sembrano confermare<br />
pure i nuovi ritrovamenti di domus nella parte<br />
occidentale della città: queste considerazioni<br />
consentono di chiarire meglio le caratteristiche del<br />
tessuto urbano, che risulta allargato rispetto all'impianto<br />
originario, e di verificare come Aquileia si<br />
distinguesse ancora nel secolo successivo per essere<br />
una città molto fiorente. Opere di abbellimento,<br />
la costruzione di nuovi edifici, la creazione addirittura<br />
di un nuovo centro vicino al complesso basilicale,<br />
le attività di ristrutturazione nell' edilizia privata,<br />
sono tutti fattori percepibili nei dati materiali,<br />
ma confermati anche da fonti epigrafiche e storiche<br />
che l'A puntualmente riporta. Sempre attraverso<br />
un uso integrato delle fonti storiche e archeologiche,<br />
vengono quindi esaminate anche le<br />
ultime fasi del IV sec. d.C. e quelle iniziali del V,<br />
di cui viene ricostruito il quadro generale a partire<br />
dalle mura urbiche, per poi presentare, nell'ultima<br />
parte del contributo, la notevole varietà delle tipologie<br />
abitative individuate (domus residenziali riservate<br />
a personaggi di elevato lignaggio, una probabile<br />
residenza palaziale e case più modeste).<br />
Il tentativo di offrire, a questo proposito, un<br />
quadro generale dell'edilizia privata, pur tenendo<br />
conto di quanto siano lacunose le informazioni archeologiche<br />
e dello scarso aiuto offerto dalle fonti<br />
letterarie, costituisce un carattere innovativo nell'ambito<br />
della storia degli studi aquileiesi che vede<br />
già da tempo impegnata l'A (G. MIAN)in un progetto<br />
di ricerca di più ampio respiro (si veda, per<br />
esempio, Le domus di Aquileia, in AAAd, XLIX, 2,<br />
2001, pp. 599-628). L'attenzione dell' A si concentra,<br />
in questa sede, soprattutto sulle trasformazioni<br />
che contraddistinguono le domus di età tardoantica,<br />
dando risalto alle nuove soluzioni planimetriche<br />
adottate, in particolare l'abside, per la cui introduzione<br />
viene suggerita, a ragion veduta, un<br />
motivo di carattere funzionale, oltre che di moda,<br />
legato alla necessità di organizzare meglio lo spazio<br />
dei vani di rappresentanza. Sempre in un' ottica<br />
di carattere funzionale viene interpretata, per<br />
esempio, la sopraelevazione dei piani di calpestio<br />
tramite suspensurae, utili per ovviare al problema<br />
dell'umidità, mentre la costruzione di nuovi pavimenti<br />
sopra altri già esistenti risponderebbe più all'esigenza<br />
di avere nuove forme di abbellimento.<br />
Si verrebbe dunque a modificare, come dichiara la<br />
stessa A, l'idea secondo cui ad Aquileia solo l'edilizia<br />
pubblica in età tardoantica avrebbe presentato<br />
dei caratteri di rinnovamento, a differenza di quella<br />
privata che, al contrario, avrebbe mantenuto gli<br />
schemi tradizionali. Naturalmente, rimangono ancora<br />
aperte molte questioni, tra cui il numero delle<br />
domus effettivamente contenuto nelle singole insulae,<br />
la completa articolazione interna delle case,<br />
una più puntuale definizione cronologica basata<br />
quasi esclusivamente sulle caratteristiche stilistiche<br />
dei mosaici; ciò nonostante, le linee di ricerca<br />
seguite sembrano aprire nuove prospettive di indagine.<br />
Un approccio più mirato a ricostruire la fisionomia<br />
socio-economica della società tardoantica,<br />
grazie anche all'incremento delle più recenti scoperte<br />
e all'apporto di numerosi dati materiali, di<br />
cui le caratteristiche degli insediamenti abitativi<br />
costituiscono uno dei principali aspetti considerati,<br />
è quello che invece viene proposto per l'antica Cispadana<br />
(J. ORTALU).I dati materiali raccolti consentono,<br />
in queso caso, di documentare con mag-
2006] RECENSIONI 181<br />
giore dettaglio i principali cambiamenti dell' edilizia<br />
residenziale urbana a partire dalla media età<br />
imperiale fino al pieno VI sec. d.C. e di potervi riconoscere<br />
gli esiti più immediati, evidenti nelle<br />
modifiche strutturali degli edifici che talora cadono<br />
in disuso e vengono completamente abbandonati,<br />
ma anche fenomeni meno espliciti, quali per<br />
esempio 'l'emergere di differenze sempre più radicali<br />
tra i vari ambiti territoriali' e tra i diversi quartieri<br />
all'interno della città, cui corrisponde un sempre<br />
più netto distacco tra ceti aristocratici, da un<br />
lato, e quelli medio-bassi, dall'altro. L'esigenza di<br />
assumere, in questo contesto di studio, un approccio<br />
retrospettivo viene dichiaratamente indicato<br />
come strumento essenziale per poter comprendere<br />
le radici di un processo che si presenta tutt'altro<br />
che lineare: punto di partenza è la media età imperiale,<br />
per certi aspetti ancora vitale, in cui è da<br />
identificare la fase formativa del periodo successivo,<br />
le cui tappe principali sono ripercorse dall' A<br />
in modo sistematico, fino agli eventi più significativi<br />
del VI sec. d.C. Vengono così messi in evidenza<br />
alcuni aspetti fondamentali, come la progressiva<br />
disarticolazione dell' originario spazio organizzativo,<br />
la contrazione delle aree abitative in seguito a<br />
un probabile calo demografico; una diffusa crisi<br />
dell' edilizia residenziale, tangibile anche nel progressivo<br />
scadimento delle tecniche costruttive e<br />
dei materiali utilizzati, cui sembrano opporsi solo<br />
alcune singole e sporadiche committenze - si vedano,<br />
per esempio, i complessi di Faenza, Cesena,<br />
Rimini e Ravenna - che, in ogni caso, non riescono<br />
a restituire al panorama cittad ino quell' aspetto di<br />
omogeneità e compattezza che invece contraddistinguevano<br />
il sistema di organizzazione spaziale<br />
di impostazione romana. Si tratta di un processo<br />
innarestabile, di cui l'A coglie anche delle sfumature<br />
nuove rispetto a quanto già evidenziato per<br />
altre realtà, in particolare per quel che concerne i<br />
mutamenti dell' apparato funzionale e giuridico: il<br />
paragrafo sugli' assetti catastali' assume, in tal senso,<br />
un carattere innovativo, specialmente se si considera<br />
che solo di recente la legislazione tardoantica<br />
sull'edilizia privata è divenuta oggetto di indagini<br />
specifiche (L BALDINILIPPOLlS,Gli spazi privati<br />
nelle città tardoantiche: norme e pratiche della costruzione,<br />
c.s.). Le trasformazioni registrate dai dati<br />
materiali per il periodo tardoantico e per il successivo<br />
momento di ripiegamento vengono infine motivate<br />
non solo alla luce dei processi di degrado e<br />
di consunzione che interessano i singoli edifici per<br />
via interna e naturale, ma anche in ragione dei devastanti<br />
effetti provocati dalla guerra greco-gotica<br />
del VI sec. d.C. che ne accelerano il tracollo definitivo,<br />
aprendo definitivamente le porte all' altomedioevo.<br />
Altri tre differenti contributi sono invece dedicati<br />
a importanti centri di antica fondazione romana<br />
situati nella Liguria costiera, per quanto risulti<br />
ancora oggi piuttosto difficoltoso delinearne un<br />
quadro coerente: come sottolineato dalle stesse A,<br />
l'impossibilità di utilizzare dati aggiornati e soprattutto<br />
la necessità di ridefinire la cronologia dei<br />
siti attraverso un riesame dei materiali dei vecchi<br />
scavi ottocenteschi e pure novecenteschi, limita<br />
fortemente la possibilità di ricostruire i caratteri e<br />
le trasformazioni che hanno interessato i centri urbani<br />
di quest' area tra la media età imperiale e il<br />
periodo tardoantico.<br />
L'antica Albintimilium, caso noto nella letteratura<br />
per essere stato uno dei primi siti di applicazione<br />
del metodo stratigrafico a opera di N. Lamboglia,<br />
costituisce un sito pluristratificato che lascia<br />
aperte molte questioni ancora per l'età romana,<br />
in particolare l'effettiva espansione dell'impianto<br />
urbano di II e I sec. a.C, e presenta svariate<br />
lacune per le epoche successive (G. SPADEA).Per<br />
quanto condizionata dalla qualità dei dati disponibili,<br />
l'A ha ripartito in modo poco equilibrato i diversi<br />
periodi presi in considerazione, dilungandosi<br />
eccessivamente per le fasi di età repubblicana e di<br />
prima età imperiale, allontanandosi un po' troppo<br />
dai limiti (anche cronologici) fissati dal convegno.<br />
L'attenzione per le fasi più tarde viene relegata infatti<br />
solo all'ultima parte del contributo, piuttosto<br />
ridotta, in cui si limita a evidenziare come nel IV<br />
sec. d.C. si assista a una progressiva contrazione<br />
dell'area abitata, ulteriormente accentuata da un<br />
evento traumatico non identificato, di cui però ne<br />
sono rintracciabili le tracce archeologiche. Segue<br />
l'abbandono dei principali edifici publici romani,<br />
anche se alcuni dati sembrano attestare una rinascita,<br />
seppur minima, di attività edilizia. Da quanto<br />
esposto dall' A pare, in effetti, che per quanto<br />
sia oramai avviata la destrutturazione della città<br />
romana, si registrino ancora segnali di vita suggeriti<br />
anche dalla circolazione delle merci che perdura<br />
nel V sec. d.C., destinata poi a declinare nel VI<br />
sec. d.C.<br />
Un caso di analoga difficoltà è quello di Genova,<br />
di cui tuttavia viene delineato un quadro più<br />
articolato (P. MELLI). I numerosi interventi di archeologia<br />
urbana, per quanto occasionali, consentono<br />
di ricostruire, a grandi linee, l'assetto della<br />
città nelle sue vari fasi, mettendo in evidenza le<br />
principali trasformazioni. Per quel che riguarda le
182 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />
fasi tardoantiche, in particolare, si registrano ancora<br />
una volta forme di contrazione degli spazi, cui<br />
segue necessariamente una riorganizzazione dell'area<br />
urbana e suburbana, già a partire dalla fine<br />
del III sec. d.C. Due sono gli elementi che sembrano<br />
condizionare lo sviluppo della città nei secoli<br />
successivi: l'importanza assunta dal porto, contestualmente<br />
alla riattivazione della via Postumia, e<br />
il ruolo sempre più importante che la città assume<br />
in qualità di centro ecclesiastico, la cui manifestazione<br />
più evidente è la costruzione dell'antica cattedrale<br />
nel corso del IV sec. d.C. Nei secoli successivi,<br />
il tessuto urbano, di fatto, subisce profondi<br />
mutamenti che contemplano, da un lato, forme di<br />
ruralizzazione degli spazi residenziali, talora utilizzati<br />
anche come aree cimiteriali, dall'altro una<br />
tendenza centrifuga che porta a cercare nelle aree<br />
più esterne i luoghi più adatti per abitare.<br />
L'ultimo sito preso in considerazione per l'area<br />
ligure è l'antica colonia di Luni che, a differenza<br />
dei casi precedenti, non ha conosciuto una continuità<br />
di vita fino ai giorni nostri, preservando in<br />
questo modo le stratigrafie antiche (A. M. DURAN-<br />
TE).Oltre a considerazioni generali sull'impianto<br />
della città, molte delle quali devono la loro definizione<br />
ai numerosi studi compiuti negli anni dall'Università<br />
Cattolica del Sacro Cuore di Milano,<br />
l'A. prende in esame i contesti abitativi identificati<br />
a partire dal I sec. a.c., per seguirne le diverse trasformazioni.<br />
Variazioni del tessuto urbano e soprattutto<br />
la monumentalizzazione del centro cittadino<br />
hanno addirittura comportato la demolizione<br />
di un'insula residenziale, mentre altre case vengono<br />
notevolmente ridimensionate. Nel corso del II e<br />
del III sec. d.C. si registrano varie ristrutturazioni,<br />
mentre alcune abitazioni crollano a causa di un sisma<br />
alla fine del IV sec. d.C. Importanti rifacimenti<br />
si hanno ancora nel V sec. d.C., quando la città gode<br />
di un periodo di floridezza che vede anche la<br />
costruzione di un edificio liturgico, prima di subire<br />
nel secolo successivo la dominazione gota. Nel<br />
complesso, l'A. offre un quadro piuttosto esaustivo<br />
sui caratteri dell'edilizia residenziale lunense, per<br />
la quale, del resto, può contare sia su una notevole<br />
quantità di attestazioni riferibili a una serie di case<br />
interamente scavate (la Domus orientale e la Domus<br />
di Oceano) o comunque esplorate per la maggior<br />
parte (la Domus degli affreschi), sia su un'approfondita<br />
bibliografia che si è già occupata in passato<br />
del tema (si veda, tra gli altri, A. ZACCARlA RUGGIU,<br />
La casa degli affreschi a Luni: fasi edilizie per successione<br />
diacronica, Quaderni. Centro Studi Lunensi 8,<br />
1983,pp. 3-38), rispetto alla quale non paiono aggiungersi<br />
particolari novità.<br />
Per quanto le osservazioni emerse da ogni singolo<br />
intervento appaiano per certi versi incerte e<br />
piuttosto variegate, i contributi fin qui esaminati<br />
risultano fortemente correlati tra loro: da una parte<br />
il comune interesse per lo studio della tarda antichità<br />
e dall'altra la condivisa convinzione dell'importanza<br />
di adottare un approccio integrato che<br />
miri alla ricostruzione della realtà storica, riconducono<br />
l'insieme delle ricerche all'esigenza di definire<br />
la società tardoantica nelle sue numerose sfaccettature.<br />
Per questo la molteplicità di temi e approcci<br />
può costituire non solo un elemento di ulteriore<br />
arricchimento, ma anche uno strumento di<br />
verifica dei diversi metodi d'indagine. In quest'ottica<br />
si inseriscono pienamente anche alcuni saggi<br />
di particolare spessore critico che affrontano le<br />
complesse questioni sulle diverse tipologie architettoniche<br />
residenziali, analizzate nella loro reciproca<br />
interazione in termini di convergenze e divergenze,<br />
e sulle cause che hanno portato alla fine<br />
del sistema edilizio privato delle domus.<br />
Nel primo contributo di questa seconda sezione<br />
dedicata a problematiche più generali, 1.'A. analizza<br />
le forme della residenzialità tardoantica in<br />
quanto espressione degli status più elevati, riconducibili<br />
essenzialmente alle abitazioni urbane (domus),<br />
a quelle extraurbane (villae) e alle sedi dei<br />
poteri pubblici (palatia), accogliendo l'idea che tra<br />
le dimore imperiali e quelle dei potentiores vi siano<br />
delle analogie o, quanto meno, delle reciproche influenze<br />
(D. SCAGLIARINI CORLÀITA). L'efficaceimmagine<br />
della Lautverrschiebung, a questo proposito, consente<br />
all'A. di chiarire le modalità di interazione<br />
tra i diversi tipi di edifici, che risultano interconnessi<br />
tra loro sul piano formale e sociale: se le domus<br />
tramandano il modello canonico di residenza<br />
e le ville ispirano invece soluzioni architettoniche<br />
innovative, è poi in realtà il palatium a recepire entrambe<br />
le esperienze e a riformularle su un piano<br />
più prestigioso, che a sua volta diviene un modello<br />
da emulare per l'edilizia privata. Nel prendere in<br />
esame i palazzi imperiali di Milano e Ravenna, l'A.<br />
evidenzia relazioni non solo di carattere tipologico,<br />
ma anche topografico: uno sviluppo, sul piano urbanistico,<br />
che coinvolge anche un altro importante<br />
punto di riferimento costituito dagli edifici religiosi.<br />
Tutto ciò, naturalmente, comporta una riorganizzazione<br />
del tessuto urbano che risente inevitabilmente<br />
di una mutata concezione non solo del<br />
potere pubblico, ma soprattutto del rapporto che
2006] RECENSIONI 183<br />
esso instaura col privato. Non è un caso che le dimore<br />
abitative più umili siano relegate in spazi secondari<br />
o che, addirittura, alcune parti degli impianti<br />
pubblici siano sacrificate per garantire una<br />
più ampia estensione agli edifici residenziali. Nell'ambito<br />
di questa analisi, non mancano nemmeno<br />
di essere presi in considerazione il rapporto con lo<br />
spazio esterno (sia urbano che territoriale), così come<br />
viene recepito e rappresentato simbolicamente<br />
all'interno degli edifici, e soprattutto i diversi tipi<br />
di ambienti e le relative funzioni, riservando una<br />
particolare attenzione a quegli aspetti che più di<br />
tutti, forse, possono indicare analogie o divergenze<br />
tra domus, villae e palatia, e le modalità di ricezione<br />
dei modelli: i percorsi interni e l'introduzione tra<br />
le nuove soluzioni architettoniche della sala trichora,<br />
in combinazione con quella absidata.<br />
Si orienta nel medesimo tema anche il secondo<br />
contributo, con l'intento però di identificare le<br />
dinamiche della crisi che ha investito domus e palatia<br />
e l'inevitabile involuzione del tessuto urbano<br />
che ne è conseguita, differente per tempi e modalità<br />
a seconda delle aree considerate (I. BALDINI LIP-<br />
POLls). L'attenzione dell' A, che sottolinea all' inizio<br />
del suo intervento le difficoltà di analisi dei dati<br />
archeologici dichiarando al contempo il proprio<br />
orientamento metodologico, viene rivolta principalmente<br />
ai tempi e alle modalità di abbandono,<br />
con lo scopo di individuare eventuali cesure o forme<br />
di progressiva recessione. Il quadro, in realtà,<br />
appare molto complesso ed eterogeno perché legato<br />
alle diverse situazioni di singoli casi isolati. Passando<br />
in rapida rassegna i casi di Aosta, del Piemonte,<br />
di Luni in particolare per la Liguria, del<br />
territorio padano e delle Venezie, viene rilevata<br />
una sostanziale disomogeneità di fondo nei processi<br />
di mutamento dovuta, tra le altre cose, anche alla<br />
differenziazione di ruolo che le singole città vengono<br />
ad assumere specialmente nel corso del IV e<br />
del V sec. d.C. In questo quadro di instabilità politica<br />
e sociale, che si viene a definire in modo sempre<br />
più evidente, anche le cesure traumatiche,<br />
identificabili per lo più con episodi bellici, detengono<br />
un ruolo importante; tuttavia, viene sottolineata<br />
con enfasi come siano soprattutto i fenomeni<br />
amministrativo-giuridici, oltre che sociali, a costituire<br />
uno strumento privilegiato con cui guardare<br />
alla storia degli edifici residenziali: la scomparsa di<br />
alcune case di prestigio potrebbe essere stata condizionata,<br />
per esempio nei casi di Ravenna e Rimini,<br />
dalla progressiva acquisizione pubblica sotto<br />
forma di donazioni o testamenti a favore della<br />
Chiesa. L'A segue poi a considerare altri aspetti<br />
che, ricorrendo piuttosto frequentemente, divengono<br />
veri e propri indicatori della crisi che investe il<br />
periodo in esame: si veda, per esempio, la frammentazione<br />
degli spazi abitativi, attestata sia in<br />
Occidente che in Oriente, la costruzione di case<br />
modeste sopra grandi domus di età imperiale, fino<br />
all'inserimento delle tombe nel tessuto urbano,<br />
senza trascurare altre possibili cause che hanno<br />
concorso a determinare il tracollo delle strutture<br />
residenziali, come quelle dovute a eventi naturali.<br />
A questi contributi, più specificatamente dedicati<br />
a tematiche di interesse più generale, si aggiunge<br />
il tentativo di indagare la cultura abitativa<br />
della Cisalpina sulla scia di alcune impostazioni<br />
metodologiche atte a sottolineare il ruolo socio-culturale<br />
della casa e il suo valore auto-rappresentativo,<br />
superando in questo modo il puro approccio<br />
descrittivo (M. GEORGE). Un'indagine di questo tipo<br />
non era stata mai applicata all' edilizia residenziale<br />
dell'Italia settentrionale, soprattutto in ragione della<br />
frammentarietà della documentazione, della<br />
scarsa attestazione degli apparati decorativi e della<br />
varietà tipologica architettonica. L'A cerca di superare<br />
questi ostacoli proponendo un confronto<br />
delle case prese in esame con quelle di altri ambiti<br />
provinciali, individuando nella Gallia e nell' Africa<br />
settentrionale i principali riferimenti. In particolare,<br />
l'A sembra riconoscere nelle grandi stanze di<br />
ricevimento di cui sono dotate le case della Cisalpina<br />
la stessa predominanza assunta dal triclinio<br />
in quelle delle Province occidentali; tuttavia, lamenta<br />
l'impossibilità di ricostruire in modo completo<br />
l'articolazione interna delle planimetrie, a<br />
causa della frammentarietà dei dati disponibili, e<br />
dunque di cogliere il rapporto tra funzione spaziale<br />
e ruolo sociale dei singoli ambienti: in alcuni casi,<br />
una lettura più legata alla personalità del committente<br />
difficoltà.<br />
potrebbe forse risolvere alcune apparenti<br />
Un altro grande tema piuttosto significativo<br />
cui è stato riservato spazio in questo convegno, riguarda<br />
gli agglomerati insediativi minori, in particolare<br />
le strutture vicane, di cui viene proposta<br />
un' accurata e puntuale analisi, essendo gli esiti in<br />
età tardoantica molto vari, oltre che piuttosto persistenti,<br />
fino al V sec. d.C. (G. SENACHIESA). Immediatamente<br />
dopo una nota introduttiva sull' argomento,<br />
in cui si sottolinea l'importanza di queste<br />
entità territoriali in ragione soprattutto del ruolo<br />
che esse rivestono a partire dall' età romana, l'A<br />
approfondisce i casi specifici di Angera e alcuni vici<br />
pedemontani, tra cui Mariano Comense, e altri<br />
della bassa pianura, come il vicus di Bedriacum.
184 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />
Questo le consente non solo di ribadire alcune realtà<br />
assodate, come la loro funzione spiccatamente<br />
commerciale e di transito, più che non agricola, ma<br />
di rilevare alcune costanti che, specie per comprenderne<br />
la continuità d'uso fino all'età tardoantica e<br />
il successivo abbandono o cambiamento di funzione,<br />
possono costituire per il futuro nuovi indirizzi<br />
di ricerca: così la vitalità di molti vici viene colta<br />
nella trasformazione di quartieri residenziali<br />
e commerciali in manifatturieri e artigianali, nella<br />
conservazione di un' organizzazione paraurbana<br />
con spazi pubblici e religiosi, nell' eventuale presenza<br />
di porti fluviali che consentono di intensificare<br />
quella rete di comunicazione e di flussi commerciali<br />
che si dimostrano ancora attivi perlomeno<br />
per tutto il IV sec. d.C.; d'altra parte, quando queste<br />
funzioni legate al transito vengono meno, molti<br />
di essi sono abbandonati, oppure si trasformano in<br />
centri fortificati o in villaggi di produzione agricola,<br />
perdendo la loro originaria vocazione.<br />
Segue, infine, una terza parte dedicata ad altri<br />
aspetti dell' edilizia residenziale, quali gli apparati<br />
decorativi, utili per ricostruire non solo le immagini<br />
che i proprietari delle case vogliono dare di sé,<br />
ma anche il gusto di una società in continuo divenire.<br />
Appropriata, dunque, la scelta di esaminare i<br />
mosaici tra le tipologie pavimentali attestate per il<br />
IVe V sec. d.C., in ragione della notevole varietà<br />
iconografica, cromatica e tecnica che li contraddistingue<br />
(G. MAIOU).L'A, solita a trattare questo tipo<br />
di argomento, ne affronta con notevole disinvoltura<br />
diverse tematiche, concentrandosi limitatamente<br />
ad alcuni aspetti essenziali: nella volontà di<br />
definire il rapporto tra tipo di decorazione e funzione<br />
dell'ambiente attraverso l'analisi compositiva<br />
e tecnica, anche l'aspetto simbolico può costituire<br />
un valido strumento di analisi. Secondo questo<br />
approccio, vengono messi a confronto alcuni tipi di<br />
raffigurazione presenti sia nelle aule basilicali di<br />
Milano, forse pertinenti al palazzo imperiale, e nella<br />
villa di Desenzano, sia nelle basiliche teodoriane<br />
e nei c.d. oratori di Aquileia. A seconda dei contesti,<br />
la medesima immagine può rispondere a esigenze<br />
differenti: le scene degli amorini pescatori o<br />
quella del C.d. Buon Pastore, per esempio, possono<br />
mantenere un valore più proprianente legato alla<br />
tradizione classica oppure assumere un nuovo significato<br />
alla luce del pensiero cristiano. L'analisi<br />
dei motivi compositivi spinge l'A ad affrontare<br />
anche la questione delle maestranze e della derivazione<br />
dei modelli, di cui riconosce due diverse tradizioni:<br />
una connessa per lo più all'ambito nord africano,<br />
in particolare tunisino, esplicita soprattutto<br />
per quei mosaici che presentano motivi marmi e<br />
scene di caccia, l'altra più vicina a tradizioni locali:<br />
i mosaici di tipo geometrico, di cui i rinvenimenti<br />
di Rimini e Ravenna sono tra gli esempi di più recente<br />
rinvenimento,<br />
più evidente.<br />
ne costituiscono l'espressione<br />
Anche per ciò che riguarda i materiali di arredo<br />
mobile, quali sculture, suppellettili e oggetti di<br />
vario tipo, viene proposta un' analisi contestuale -<br />
limitatamente ai casi per cui si dispongono di dati<br />
certi (F. SLAVAZZI). Per quel che riguarda le sculture,<br />
in particolare, colpisce il fatto che solo la statuetta<br />
di Apollo della villa di Desenzano sia attribuile<br />
con certezza al periodo tardoantico, mentre tutte le<br />
altre testimonianze rinvenute in loco siano riferibili<br />
al II sec. d.C.: l'analisi dei dati stratigrafici, oltre<br />
che stilistici, consente in questo caso all' A di sottolineare<br />
giustamente come si tratti per lo più di<br />
opere da collezione trasmesse per via ereditaria,<br />
secondo un fenomeno che si ripropone per questo<br />
periodo anche per altri contesti nel Mediterraneo.<br />
L'A non manca, poi, di rivolgere la propria attenzione<br />
anche agli arredi marmorei, a quelli lignei e<br />
ad altri tipi di infissi, seppur solo pregia ti, riservando<br />
una ripartizione equilibrata per ciascuno<br />
degli argomenti trattati, secondo un approccio ormai<br />
consolidato che evita di privilegiare unicamente<br />
solo le attestazioni scultoree (si veda, per<br />
esempio, Vivere come consoli a Roma e nelle province:<br />
le domus urbane e le viZZesuburbane. Arredi scultorei,<br />
argenti e marmi colorati, in Aurea Roma, a cura di S.<br />
ENSOLIed E. LA ROCCA,Roma 2000, pp. 134-173).<br />
A concludere questa ricca e articolata rassegna<br />
è, infine, l'analisi della presenza di sepolture in relazione<br />
agli spazi abitativi (C. LAMBERT), secondo<br />
un fenomeno che vede la progressiva occupazione<br />
delle aree urbane per scopi funerari che, come si è<br />
potuto constatare anche per molti dei casi considerati<br />
nei precedenti contributi, interessa diffusamente<br />
numerosi centri dell'Italia settentrionale, ma in<br />
modo diversificato. Si tratta di un tema piuttosto<br />
complesso, sul quale vi sono anche più recenti trattazioni<br />
(F. MARAZZI,Cadavera urbium. Nuove capitali<br />
e Roma aeterna: l'identità urbana in Italia fra crisi,<br />
rinascita e propanganda (secoli III-V), in Die Stadt in<br />
der Spiitantike - Niedergang oder Wandel?, Akten des<br />
internationalen Kolloquiums in Miinchen am 30. und<br />
31. Mai 2003, a cura di J.-D. KRAUSE,CH. WITSCHEL,<br />
Stuttgart 2006, pp. 33-65) e che, perlo meno nell'ambito<br />
di questo convegno, avrebbe forse necessitato<br />
di un maggiore approfondimento. In ogni caso,<br />
paiono interessanti e utili sia la tabella con cui<br />
l'A tenta di proporre un quadro di sintesi del fe-
2006] RECENSIONI 185<br />
nomeno, mettendo in evidenza il rapporto tra spazi<br />
abitativi e sepolture (oltre che con gli spazi episcopali)<br />
nei siti dell'Italia settentrionale, sia le pianimetrie<br />
dei diversi contesti esaminati con l'ubicazione<br />
delle tombe.<br />
Da quanto abbiamo presentato, emerge chiaramente<br />
l'ampiezza delle problematiche trattate, anche<br />
da angolazioni differenti, ma tutte ugualmente<br />
utili per fare il punto su quella vitale fase tardoantica<br />
che, anche alla luce dei nuovi dati, acquisisce<br />
sempre più precise connotazioni e che risulta continuamente<br />
arricchita e aggiornata anche nell'ambito<br />
della pubblicistica scientifica, come risulta pure<br />
dal ricco apparato bibliografico riportato alla fine<br />
di ogni contributo. Certamente, appare meritevole<br />
l'aver sottolineato come lo studio della cultura<br />
abitativa e costruttiva rappresenti un'importante<br />
cartina di tornasole per comprendere modelli e<br />
caratteri di una società che, pur manifestandosi in<br />
modo eterogeneo, appare contraddistinta da aspetti<br />
stabili e codificati, cui fanno riferimento precisi<br />
elementi tipologici: le scelte e i comportamenti socio-economici<br />
delle diverse classi sociali si riflettono<br />
pienamente nelle forme e nelle funzioni della<br />
casa tardoantica e perciò lo studio dell' architettura<br />
residenziale costituisce anche per questo periodo<br />
un efficace strumento di indagine. D'altra parte, si<br />
può forse lamentare una certa corsività nella trattazione<br />
di alcuni aspetti, come per esempio quelli legati<br />
al ruolo esercitato dalle chiese e dalle dimore<br />
episcopali nella riorganizzazione del tessuto urbano<br />
- si pensi a Brescia, Concordia e Aquileia -, ma<br />
la parzialità della documentazione, da un lato, e<br />
l'esigenza di ricostruire i tratti fondamentali della<br />
società tardoantica dell'Italia settentrionale attraverso<br />
la lettura integrata di tutte le tracce disponibili<br />
giustificano il mancato approfondimento di alcuni<br />
temi specifici che, diversamente, avrebbe<br />
comportato un eccessivo allontanamento dai propositi<br />
iniziali del convegno.<br />
Ci sentiamo di sottolineare, infine, come una<br />
simile iniziativa venga ad acquisire un peso davvero<br />
notevole per il progredire degli studi in quest'<br />
ambito, specialmente perché finora la grande fase<br />
tardoantica ha interessato più i medievisti che i<br />
classicisti, e ci si auspica che iniziative di questo<br />
genere si ripetano ancora in futuro, coinvolgendo<br />
discipline e competenze differenti che possano interagire<br />
tra loro.<br />
IL TEATRO E L'ANFITEATRO DI CIVIDATE CAMUNO.<br />
SCAVO, RESTAURO E ALLESTIMENTO DI UN PARCO ARCHEOLOGICO<br />
Firenze, All'insegna del Giglio 2004, pp. 408, ilI. bln e colori, con CD<br />
V. MARIOTTI (a cura di)<br />
EL TEATRO Y EL ANFITEATRO DE AUGUSTA EMERITA<br />
BAR International Series 1207, Oxford 2004, pp. 275, ilI. bI n, con CD.<br />
R.-M. DURAN CABELLO<br />
GLI EDIFICI PER SPETTACOLI NELL'ITALIA ROMANA<br />
Roma, Edizioni Quasar 2003, 2 voI., pp. 1004+430, ilI. b/n.<br />
Raffaella Bortolin<br />
G. TOSI con contributi di L. Baccelle Scudeler, P. Basso, J. Bonetto, G. De Vecchi, M. Nardelli, P. Zanovello<br />
L'attenzione per l'architettura da spettacolo<br />
nel mondo antico - e in particolare per i teatri e gli<br />
anfiteatri - è cresciuta in maniera significativa ne-<br />
gli ultimi anni, facendo registrare, accanto a un<br />
certo incremento nell'edizione di singoli monumenti<br />
I, un rinnovato interesse nella produzione di<br />
I In riferimento alla sola produzione monografica degli ultimi anni: S. CASCELLA, Il teatro romano di Sessa Aurunca, Marina di<br />
Minturno 2002; P. PALA, L'anfiteatro romano di Cagliari, Nuoro 2002; El teatro romano de C6rdoba, Cérdoba 2002; O. J. GILKES et al.,
186 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />
studi di sintesi. Si tratta di un filone di ricerca nel<br />
quale diverse tendenze di indagine trovano un valido<br />
campo di applicazione, in un dibattito scientifico<br />
continuamente ravvivato da proposte che<br />
giungono da varie nazioni, come le monografie appena<br />
pubblicate da Enno Burmeister 2 e Frank<br />
Sear', o quella in corso di stampa di Katherine E.<br />
Wilch4, fino al recente convegno siracusano Teatri<br />
antichi nell'area del Mediterraneo'. In questo ricco<br />
panorama i contributi di Valeria Mariotti, Rosalìa-<br />
Maria Duran Cabello e Giovanna Tosi che qui si<br />
presentano costituiscono un' espressione significativa<br />
di alcuni indirizzi d'indagine sull'architettura<br />
da spettacolo di età romana, con prospettive e approcci<br />
diversificati.<br />
Il volume curato da Valeria Mariotti, Il teatro e<br />
l'anfiteatro di Cividate Camuno. Scavo, restauro e allestimento<br />
di un parco archeologico, conclude un lungo<br />
programma di ricerche iniziato nel 1984 con i primi<br />
scavi nell'area del teatro romano e terminato<br />
con l'apertura di un grande parco archeologico6.<br />
La scoperta del quartiere destinato agli edifici per<br />
spettacoli nell'antica cioitas Camunnorum ha offerto<br />
l'occasione per un riesame complessivo dell'intero<br />
comprensorio camuno dalla preistoria all'età imperiale,<br />
con un taglio multidisciplinare che nell'organizzazione<br />
del volume non ha disdegnato gli<br />
aspetti divulgativi di alcune ricostruzioni grafiche.<br />
Nella prima parte del libro una serie di contributi<br />
analizza sotto vari aspetti la lunga continuità<br />
d'uso del sito, forse iniziata già nel Paleolitico Superiore<br />
con la capanna infossata individuata sotto<br />
le strutture di una domus romana a breve distanza<br />
dai due edifici per spettacoli. Di particolare interesse,<br />
per l'ampio spettro di suggestioni generato<br />
dall'uso di fonti epigrafiche e archeologiche spesso<br />
di recente acquisizione, è il contributo di Gian Lu-<br />
ca Gregori (pp. 19-36)sul rapido processo di romanizzazione<br />
dei Camunni a partire dalla conquista<br />
augustea del 16 a.c., quando furono adtributi forse<br />
alla vicina Brixia. Ben definito è il quadro economico<br />
presentato dall'A, con riferimenti sia alle produzioni<br />
locali e all'impiego di materiali lapidei e<br />
marmorei provenienti dalla coltivazione di cave<br />
vicine (tra cui, rispettivamente, le officine laterizie<br />
e l'impiego del marmo di Vezza d'Oglìo '). sia agli<br />
oggetti d'importazione, come le ceramiche invetriate<br />
di produzione orientale rinvenute nella necropoli<br />
di Breno. Per quanto riguarda, poi, la vita<br />
religiosa della comunità camuna in età romana,<br />
appare stimolante, anche sulla scia di studi precedenti,<br />
è il tentativo di identificare un santuario di<br />
Iside e Serapide nelle strutture recentemente rinvenute<br />
sotto la chiesa romanica di S. Stefano", Si tratterebbe<br />
di un'ulteriore attestazione di insediamento,<br />
su un' area consacrata alle divinità egizie, del<br />
culto del protomartire responsabile della prima repressione<br />
del culto isiaco a Canopo.<br />
L'analisi della Val Camonica in età romana è il<br />
tema del contributo offerto da Filli Rossi (pp. 37-<br />
47), profonda conoscitrice di questi territori e da<br />
anni occupata nello scavo del grande santuario di<br />
Minerva in località Spinera di Breno. Facendo interagire<br />
dati noti con altri derivanti dalle più recenti<br />
scoperte archeologiche, l'A struttura il testo su tre<br />
"canali di ricerca" principali: le dinamiche insediative<br />
nella prima età imperiale, la creazione della civitas<br />
Camunnorum e il suo significato nel panorama<br />
sociale ed economico dell'intera valle, l'integrazione<br />
dell'elemento indigeno nel modello culturale<br />
romano. Su questa traccia si inserisce il lavoro di<br />
Furio Sacchi sui reperti architettonici provenienti<br />
dall' area urbana. Tra le proposte di attribuzione<br />
avanzate dell'A, molto attraente appare quella riguardante<br />
una serie di elementi lapidei e marmo-<br />
The Theatre at Butrini. Luigi Maria Ugolini's Excauaiions at Butrint. 1928-1932, London 2003; C. Srosrro, L'anfiteatro romano di Catania.<br />
Conoscenza, recupero e valorizzazione, Palermo 2003; P. BRlDEL,Aventicum. 13. L'amphithéiìtre d'Auenches, Lausanne 2004; O. Ro-<br />
DRfGUEZGUTlÉRREZ,El teatro romano de ltdlica. Estudio aroueoarchiiectonico, Madrid 2004; G. MONTAU, 11 teatro romano di Cortina, Padova<br />
2006.<br />
2 E. BURMEISTER, Antike griechische und riimische Theaier, Darmstadt 2006.<br />
3 F. SEAR,Roman Theatres. An Architectural Study, Oxford 2006.<br />
4 K. E. WlLCH, The Roman Ampitheatre. From its Origine to the Colosseum, Cambridge in c.d.s.<br />
5 Teatri antichi nell'area del Mediterraneo. Conservazione programmata e fruizione sostenibile, Siracusa, 13-17 ottobre 2004. Atti in c.d.s,<br />
6 Note preliminari sul teatro e l'anfiteatro erano state presentate in: V. Mxmorrt, Cividate Camuno. Gli edifici da spettacolo, Caesarodunum<br />
25, 1991, 137-140; V. Mxxrorn, Va/camonica romana. Teatro e anfiteatro di Cividate Camuno, in Spettacolo in Aquileia e nella<br />
Cisalpina romana (AAAd 41), Udine 1994, 367-379.<br />
7 Sul marmo di Vezza d'Oglio si veda il recente lavoro di D. POCG1,Analisi de/ marmo. Identificazione ed attribuzione di provenienza,<br />
in Principe ed eroe. L'immagine ideale del potere. Scoperta e restauro di una statua marmo rea dal Foro di Civitas Camunnorum, a cura<br />
di F. Rossi, Milano 2006, 49-58.<br />
S M. MIRABELLARODERTl,La chiesa antica di Santo Stefano in Cividale Camuno (Val Camonica), Caesarodunum 25, 1991, 141-146.
2006] RECENSIONI 187<br />
rei recuperati nel 2000nell'alveo dell'Oglio. Si tratta<br />
di alcune cornici, di un blocco di altare, di un<br />
fusto in granito e di una base in marmo bianco,<br />
nonché della nota lastra frammentaria con la titolatura<br />
Augus[ - -], tutti pezzi che l'A attribuisce all'area<br />
forense, in particolare al Capitolium e alla relativa<br />
porticus da collocare nell'area alle pendici dell'altura<br />
di S. Stefano. Questo settore della città, già<br />
noto per il rinvenimento nel 1938 di un frammento<br />
di figura maschile in seminudità e di altri pezzi architettonici,<br />
contemporaneamente alla pubblicazione<br />
del volume è stato al centro di alcune novità archeologiche.<br />
Si tratta nello specifico dello scavo effettuato<br />
all'estremità meridionale di Via Palazzo,<br />
che ha restituito, nel contesto di un edificio monumentale<br />
di età flavia, una bella statua maschile con<br />
Hùftmantel datata in età giulio-claudia 9, definendo<br />
meglio l'immagine del foro della città romana. Tornando<br />
allo studio di Sacchi, gli elementi raccolti<br />
permettono all'A di formulare alcune considerazioni<br />
sul programma urbanistico e architettonico<br />
avviato in città tra la fine del I e gli inizi del II secolo<br />
d.C. Esso avrebbe coinvolto i principali monumenti<br />
urbani, dal foro, forse frutto dell'evergetismo<br />
di personaggi locali come Placidius Casdianus,<br />
M. Teudicius Verus o Laronius Octavianus, ai due<br />
edifici da spettacolo e alle terme di via Casdiano,<br />
fino al grande santuario extraurbano di Breno. A<br />
preludio del quadro topografico relativo ai due<br />
edifici da spettacolo della città antica, la prima<br />
parte del volume si conclude con il contributo di<br />
Fulvia Abelli Condina sull'impianto urbanistico di<br />
Cividate (pp. 59-66). Con esso l'A ritorna sul tema<br />
della forma del centro antico, con verifiche e ipotesi<br />
ora rinforzate dai recenti rinvenimenti (raccolti<br />
nella Carta allegata), specie in rapporto al sistema<br />
viario ad assi ortogonali e a un eventuale piano<br />
programmatico relativo alla localizzazione dei<br />
principali segni urbani a partire dai primi decenni<br />
del I secolo d.C.<br />
La seconda sezione del volume, riservata a La<br />
città e il quartiere degli edifici da spettacolo (pp. 68-<br />
132), si apre con il contributo di Valeria Mariotti<br />
dedicato alle diverse fasi di questo settore della<br />
città antica, a partire da quella relativa alle due<br />
abitazioni - la prima di età augusteo-tiberiana, la<br />
seconda claudio-neroniana - che occupavano l'area<br />
del teatro prima dell'edificazione del monumento.<br />
Da qui l'interesse a indagare il cambiamento di destinazione<br />
d'uso dell'isolato, avvenuto con la distruzione<br />
della domus più tarda e la costruzione<br />
del complesso teatrale, secondo processi che per<br />
l'area cisalpina sono stati recentemente oggetto di<br />
indagine da parte di Elisa Panero 10. Dal teatro all'anfiteatro,<br />
un attento scavo stratigrafico ha messo<br />
in evidenza la successione cronologica tra la conclusione<br />
dei lavori di costruzione del primo complesso<br />
e l'avvio del cantiere del secondo, avvenuta<br />
senza sostanziali soluzioni di continuità. Le due<br />
strutture, con l'aggiunta di un piccolo edificio termale<br />
a Sud dell'anfiteatro durante il II secolo d.C.,<br />
rimasero in uso fino ai primi decenni del IV secolo<br />
d.C., quando anche la civitas Camunnorum fu coinvolta<br />
nel generale fenomeno di decadenza della<br />
gladiatura e nel processo di cristianizzazione, segnato<br />
dalla distruzione intenzionalmente anti-idolatra<br />
del grande santuario di Breno tra la fine del<br />
IV e gli inizi del V secolo d.C.<br />
L'A, impegnata - pur con qualche imprecisione<br />
nella resa grafica di alcuni dettagli 11 - nello studio<br />
dei due monumenti e delle varie fasi edilizie,<br />
ne presenta l'analisi architettonica, le ipotesi ricostruttive<br />
e i confronti tipologici e archeologici. Il<br />
teatro, la cui capienza è stata calcolata in circa 1700<br />
spettatori, presentava una cavea semicircolare realizzata<br />
in appoggio al pendio e su terrapieni verso<br />
gli aditus maximi, secondo un modello nel quale la<br />
Studiosa intende riconoscere il noto theatrum terra<br />
exaggeratum. Purtroppo le indagini archeologiche,<br />
per la presenza di alcune costruzioni moderne, si<br />
sono limitate a circa un terzo dell'estensione del<br />
complesso, portando alla luce gran parte dell'edificio<br />
scenico ma lasciando ancora interrati la cavea,<br />
l'orchestra e il pulpitum, con una pesante mutilazione<br />
nella conoscenza del monumento. Così, gli<br />
unici dati certi riguardano gli spazi meridionali<br />
del post scaenium, con porticus inserita tra due ampie<br />
scalinate, e le strutture relative alla versura<br />
• F. ROSSI, Principe ed eroe: una statua romana da Cividate Camuno, in Principe ed eroe. L'immagine ideale ..., cit., 9-26. Alla bibliografia<br />
proposta aggiungo, oltre allo studio di S. MACC1, Augusto e la politica delle immagini. Lo Hiiftmanteltypus. Sul significato di una<br />
iconografia e sulla sua formazione, RdA 14, 1993, 63-76, il recente lavoro di A. POST, Rbmische Hiiftmantelstatuen. Studien zur Kopientiitigkeit<br />
um die Zeitenuiende, Mùnster 2004.<br />
IO E. PANERO, Pars publica e pars privata. Utilizzazione di aree residenziali per l'edilizia pubblica in alcuni centri delle Regiones IX e XI, in<br />
Abitare in Cisalpina. L'edilizia privata nelle città e nel territorio in età romana (AAAd 49), Trieste 2001, 103-126.<br />
11 Si pensi al caso dell'inserimento di una scaletta all'estremità occidentale della porticus post scaenam e raffigurata come terminante<br />
contro un muro cieco nella ricostruzione di p. 76, Tav. 3 (poi corretta nella pianta di p. 89, Tav. 2).
188 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />
orientale e alla relativa basilica, all' aditus maximus<br />
corrispondente e all' ala della cavea. Suggestiva appare<br />
l'ipotesi di organizzazione delle gradirIate in<br />
cinque cunei, interrotti nel loro sviluppo radiale da<br />
un maenianum, e la proposta di un ambulacro in<br />
summa gradatione. Alcune perplessità riguardano<br />
non tanto la volontà di integrare la pianta del teatro<br />
nei settori ancora non indagati archeologicamente<br />
- l'A. fa riferimento alla theatri conformatio<br />
proposta da Vitruvio (in V 6, 1 e non in VI, 1) per<br />
la posizione e l'impianto rettilineo sia della scaenae<br />
frons sia del pulpiium - quanto piuttosto la ricerca<br />
dello schema progettuale di Tav. 4, ricerca che, nonostante<br />
la scelta di un' evidente e inspiegata eccentricità<br />
fra il cerchio orchestrale e la figura geometrica<br />
con i quattro triangoli inscritti 12, si conclude<br />
affermando che la pianta del teatro romano di<br />
Cividate Camuno "presenta anomalie rispetto allo<br />
schema di Vitruvio" (p. 90).<br />
Sempre attenta anche a un inquadramento più<br />
generale delle tipologie architettoniche, la Mariotti<br />
passa ad analizzare l'anfiteatro della città antica. Si<br />
trattava di un edificio a struttura piena in parte su<br />
pendio e in parte su terrapieni compartimentati<br />
dagli accessi assiali all' arena. Esso raggiungeva le<br />
dimensioni di m 73,2x63,6 (160x130 pedes), per<br />
una capienza totale di circa 5500 persone. Lo scavo<br />
ha permesso di datare il monumento tra la fine<br />
dell' età flavia e il principato di Traiano, in un momento<br />
di poco successivo alla costruzione del vicino<br />
teatro. Anche in questo caso grande attenzione<br />
viene posta sia sugli aspetti architettonici, come le<br />
soluzioni adottate per lo smalti mento delle acque,<br />
sia sui dettagli più propriamente tecnico-costruttivi.<br />
A esempio, due differenti sistemi di realizzazione<br />
dei sedili della cavea portano l'A. a formulare<br />
alcune riflessioni: alcuni settori, con gradini in<br />
blocchi di calcare grigio ben tagliati e messi in opera<br />
con grande precisione, sarebbero stati riservati<br />
ai personaggi più importanti (in un contributo successivo<br />
si parla di ordo decurionum), altri, con gradinate<br />
caratterizzate da una struttura in mura tura<br />
e lastre di rocce fossili locali dal taglio irregolare,<br />
sarebbero stati probabilmente destinati alla gente<br />
comune. Di grande interesse è la conformazione di<br />
un vano dotato di nicchia, posto all' esterno della<br />
galleria assiale sud e interpretato come sacello, e<br />
dei due carceres posti ai lati dell' accesso nord all' arena,<br />
dettagliatamente ricostruiti grazie al buono<br />
stato di conservazione delle strutture. Si tratta di<br />
un piccolo ambiente quadrangolare (m 3x2,5) e di<br />
una galleria pavimentata in lastre (largh. m 2,60), i<br />
cui muri conservano una rara testimonianza dei<br />
blocchi verticali appositamente forati per la creazione<br />
di gabbie a sbarramenti lignei. Tra i pochi<br />
confronti noti, l'A. rimanda all' anfiteatro di Urbs<br />
Salvia e, per l'ambito provinciale, a quello di Mactaris<br />
nell' Africa Proconsularis o di Aquincum e di<br />
Carnuntum lungo il limes danubiano.<br />
Lo studio della decorazione architettonica dei<br />
due edifici da spettacolo è affidato a un ulteriore<br />
contributo di Furio Sacchi (pp. 113-124). Con un'evidenza<br />
materiale forzatamente ridotta dalla mancanza<br />
di scavi presso il pulpitum del teatro, l'A.<br />
non esita a far riferimento alle fonti d'archivio, utilizzando<br />
la menzione di "molti pezzi di pietre in<br />
marmo bianco lavorate in cornici e architravi d'ordine<br />
Dorico" presente in un documento del XVII<br />
secolo per tentare di restituire l'immagine della<br />
porticus post scaenam del complesso. Più feconde,<br />
nonostante lo spoglio capillare avviato già in età<br />
tardoantica, sono state le ricerche nell' area dell' anfiteatro,<br />
che hanno restituito circa 400 frammenti<br />
architettonici. Il catalogo, diviso per classi e corredato<br />
da rilievi grafici (quasi tutti con riferimento<br />
metrico), riguarda i reperti più significativi, mentre<br />
i restanti frammenti sono stati inseriti in una serie<br />
di tabelle. È stato così possibile ricostruire la conformazione<br />
del podio della cavea, che raggiungeva<br />
un'altezza di circa m 2,25 (7,5 pedes). Articolato con<br />
zoccolo e cornici di coronamento modanate, esso<br />
probabilmente si concludeva con una transenna<br />
protettiva dotata di montanti in legno e metallo.<br />
Dopo il contributo di Simona Morretta, Note<br />
sui giochi e spettacoli nella Regio X (Venetia et Histria),<br />
il volume presenta la corposa sezione dedicata a Lo<br />
scavo e i materiali (pp. 133-327). Dalla storia della ricerca<br />
archeologica, che affonda le sue radici nei<br />
due frammenti epigrafici segnalati da Mommsen<br />
nel 1872, si passa ai risultati degli scavi e all' analisi<br />
dei periodi d'uso dell' area presentati da James Bishop<br />
e Barbara Setti. Sono state individuate otto<br />
diversi fasi, tre delle quali (I fase insediativa di<br />
epoca romana; Fase degli edifici da spettacolo; Tar-<br />
12 Sul problema per brevità si rimanda alle note dell'edizione del De Architectura a cura di P. GI'OS, Torino 1997, 697-724, alla<br />
cui bibliografia aggiungo i recenti studi di F. CERE5A,Geometrie formali per il rilievo del leatro di Hierapolis, in Hierapolis. Scavi e ricerche.<br />
4. Saggi in onore di Paolo Verzone, Roma 2002,51-68; P. SPANti,Il teatro, in Elaiussa Sebaste. 2. Un parlo tra Oriente e Occidente,<br />
Roma 2003, 93-100.
2006] RECENSIONI 189<br />
do antica) suddivise in tre ulteriori sottofasi. Corredato<br />
di un ricco e utilissimo apparato iconografico,<br />
il contributo non solo elabora tutti i dati stratigrafici,<br />
ma descrive ciascuna struttura archeologica<br />
rivolgendo una cura particolare agli aspetti tecnico-costruttivi<br />
e all'individuazione dei materiali da<br />
costruzione. Segue lo studio delle classi di reperti,<br />
con contributi redatti da diversi autori, spesso corredati<br />
di disegni, grafici e tabelle: un gruppo di erme<br />
ritratto e tre iscrizioni provenienti dall'anfiteatro<br />
(V. Mariotti, pp. 179-182); le 38 monete rinvenute<br />
negli scavi, presentate insieme ai 41 reperti<br />
monetali trovati tra il 1988 e il 1999 durante le indagini<br />
nel vicino santuario di Breno (M. Chiaravalle,<br />
pp. 183-202); i 684 esemplari di bolli laterizi<br />
provenienti dal centro urbano e da altre località<br />
della Val Camonica (F. Condina, pp. 203-222); lo<br />
studio archeometrico di 17 campioni di tegole bollate<br />
che ha permesso di collocare il centro di produzione<br />
(o uno dei centri) a qualche chilometro<br />
dalla città antica, fra i moderni centri di Malegno e<br />
Ossimo (F. Condina, B. Fabbri, S. Gualtieri, pp.<br />
223-230); le ceramiche e i contesti di rinvenimento<br />
(B. Fabbri, S. Gualtieri, S. Massa, pp. 231-253); le<br />
anfore, perlopiù produzioni di origine nord italica/<br />
adriatica e istriana, sebbene non manchino anche<br />
qui, come nel resto della Cisalpina, importazioni<br />
dall' area egeo-orientale, ispanica e africana<br />
(S. Bocchio, pp. 255-265); i circa 200 reperti in vetro,<br />
databili fra il I e il IV secolo d.C. (M. Uboldi,<br />
pp. 267-276); le lucerne (A Bonini, pp. 277-282);<br />
Yinstrumenium (M. Carrara, pp. 283-306); gli intonaci<br />
dipinti pertinenti non solo ai due edifici da<br />
spettacolo ma anche alla domus che precedette il<br />
teatro (E. Mariani, pp. 307-322); i resti scheletrici<br />
umani (C. Ravedoni, S. Di Martino, pp. 323-327).<br />
Il volume si conclude con la sezione dedicata a<br />
Il restauro degli edifici e l'allestimento del parco archeologico<br />
(pp. 329-373), una scelta certamente vincente<br />
nell' organizzazione dell'intero lavoro. Dall' analisi<br />
dello stato di conservazione delle strutture murarie<br />
alle metodologie di rilievo archeologico e topografico,<br />
dalle indagini chimico-fisiche effettuate sui<br />
materiali lapidei fino ad alcuni esempi di schedatura<br />
degli interventi conservativi, il lettore può ricostruire<br />
tutti i passaggi di una esperienza certamente<br />
fortunata se inserita nel panorama dei can-<br />
tieri archeologici. Come si è accennato, il programma<br />
di ricerche si è concluso con la musealizzazione<br />
dell'intera area, in un progetto che appare maturato<br />
su riflessioni che hanno saputo combinare<br />
gli aspetti didattici alle esigenze funzionali dei<br />
percorsi di visita, dell'illuminazione o della copertura<br />
protettiva dei settori più facilmente deteriorabili.<br />
Utile, oltre ai brevi summaries conclusivi, è il<br />
CD allegato al volume, contenente la bibliografia<br />
divisa in aree tematiche e i pannelli redatti per il<br />
percorso didattico dell' area archeologica.<br />
Passando allo studio di Rosalia-Marìa Duran<br />
Cab elio, El teatro y el anfiteatro de Augusta Emerita,<br />
esso conclude le ricerche avviate dall' A sugli edifici<br />
da spettacolo della capitale della Lusitania per<br />
la tesi di dottorato discussa presso l'Università<br />
Autonoma di Madrid. In molti aspetti, l'approccio<br />
adottato in questo lavoro si allontana da quello<br />
scelto dall' équipe camuna nel volume precedente,<br />
specie per l'attenzione rivolta alle tecniche e ai materiali<br />
impiegati per la costruzione dei due monumenti,<br />
certamente predominante rispetto a quella<br />
relativa agli aspetti compositivi e progettuali. L'obiettivo<br />
enunciato sarebbe quello di evidenziare le<br />
caratteristiche proprie dell' architettura nell' Hispania<br />
romana attraverso l'approfondimento dei problemi<br />
metro logici ed edilizi, in modo da definire<br />
un quadro cronologico specifico per questo ambito<br />
provinciale. La carenza di fonti letterarie o l'assenza<br />
di documenti utili all'integrazione e all'interpretazione<br />
dell' evidenza archeologica - ad esempio, si<br />
fa riferimento ai frammenti della Forma Urbis Romae<br />
- induce l'A a una Bauforschung che, "sin ningun<br />
tipo de prejuicios" (p. 14), si basi sull' analisi e<br />
l'elaborazione dei dati materiali delle strutture architettoniche,<br />
inquadrandone solo in un secondo<br />
momento i risultati nel contesto più ampio della<br />
città antica.<br />
L'A, affiancando ricerche più ampie e da tempo<br />
avviate sul territorio 13, organizza la propria indagine<br />
secondo criteri metodologici ben definiti e<br />
per alcuni aspetti originali. Partendo dall' analisi<br />
autoptica delle costruzioni e non potendo effettuare<br />
alcuna attività di scavo, l'A esplora la sfera delle<br />
tecniche edilizie e dei materiali da costruzione,<br />
esaminando ogni singola struttura muraria attra-<br />
13 A. BERMUDEZ MEDEL, lnterés, probtemdtica !J metodologia del esiudio del material de construccion de tipo ceramico en la arquiieciura romana<br />
de Tdrraco, BATarr 4-5, 1982-83, 197-234; L. ROLDAN G6MEZ, Aproximacion metodokigica al estudio de la tecnica edilicia romana en<br />
Hispania, en pariicular el opus testaceum, Lucenlum 6, 1987, 101-122; M. BENDALA GALAN, Materiales de consiruccion romanos. Peculiaridades<br />
de Hispania, in Ciencias, metodotooias y técnicas aplicadas a la arqueoìogia, Barcelona 1992, 215-226.
190 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />
verso i suoi paramenti. Allo stesso tempo individua<br />
i numerosi restauri effettuati sulle murature,<br />
la loro datazione e gli effetti conservativi allo stato<br />
attuale, distinguendo le parti originali da quelle<br />
contaminate da interventi moderni. Infine, con il<br />
riferimento ad analisi di laboratorio sui materiali<br />
da costruzione (dalle argille usate per la fabbricazione<br />
dei mattoni alle malte impiegate nelle murature)<br />
approfondisce notevolmente i dati raccolti,<br />
permettendo, all'interno di una problematica già<br />
nota 14, approfondimenti e confronti con altri monumenti<br />
della città.<br />
Il volume si apre con un'introduzione nella<br />
quale l'A. specifica coraggiosamente alcune riflessioni,<br />
forse maturate autonomamente ma di chiericiana<br />
memoria nella teoria del restauro 15: "Puede<br />
decirse, sin temor a exagerar, que una vez que se<br />
ha ensefiado a la vista a diseccionar y estudiar paramentos,<br />
cualquier edificio habla por si solo y, en<br />
buenas condiciones de conservacién, puede 'respender'<br />
a casi todas las peguntas que seamos capaces<br />
de formularle" (p. 16).La medesima introduzione<br />
si conclude con una breve, ma attenta storia<br />
degli studi e della ricerca archeologica, a partire<br />
dalla prima identificazione degli edifici da spettacolo<br />
della città antica nel De Emerita Restituta di<br />
Antonio de Nebrija del 1491.<br />
L'analisi di ciascun monumento occupa i due<br />
successivi capitoli del volume. Lo studio del teatro<br />
(pp. 31-129) e quello dell'anfiteatro (pp. 131-221)<br />
seguono una scansione coerente: all'inquadramento<br />
topografico, alla composizione architettonica e<br />
ai riferimenti alle tecniche costruttive segue la presentazione<br />
dei risultati di quella che viene definita<br />
"una diseccién arquitecténica del edificio" (p. 41),<br />
con un catalogo di schede che raccoglie tutti i dati<br />
desumibili dall'esame autoptico delle strutture:<br />
tecnica e materiali da costruzione, stato conservativo,<br />
eventuali interventi di restauro, documentazione<br />
grafica e fotografica, nonché una dettagliata descrizione<br />
delle murature con riferimenti alle modalità<br />
di lavorazione e di posa in opera degli elementi<br />
edilizi. Particolarmente utili all'indagine sono alcune<br />
suggestive fotografie che ritraggono le strut-<br />
ture del teatro prima degli interventi di restauro<br />
del secolo scorso.<br />
Il capitoli si concludono, rispettivamente, con<br />
un'indagine sugli aspetti progettuali del teatro e<br />
dell'anfiteatro, nonché sulla successione delle operazioni<br />
che portarono alla realizzazione dei due<br />
complessi. Anche la Duran Cabello non si esime al<br />
richiamo dello schema vitruviano, entrando seppur<br />
brevemente nel dibattito internazionale sulla<br />
sua applicazione con qualche acuta osservazione<br />
su alcune proposte precedenti 16. Una particolare attenzione<br />
infine viene rivolta alle coperture voltate,<br />
come quella della crvpta semianulare del teatro,<br />
con confronti però curiosamente riferiti - pur<br />
con l'eccezione del Teatro di Marcello - non tanto<br />
a edifici della medesima tipologia o datazione,<br />
quanto a monumenti, come il santuario di Giove<br />
Anxur a Terracina o quello della Fortuna Primigenia<br />
a Palestrina, morfologicamente diversi e anche<br />
molto precedenti nel quadro dell'elaborazione dell'opus<br />
caementicium romano 17.<br />
A chiusura del volume l'A. sintetizza, nelle<br />
conclusioni della sua ricerca (pp. 223-248),l'elaborazione<br />
dei dati più significativi relativi alle tecniche<br />
costruttive, alla metrologia e all'analisi architettonica<br />
dei due monumenti, nonché alle rispettive<br />
fasi edilizie. Così, all'impianto del teatro, datato<br />
epigraficamente al 16-15 a.c., seguì il completamento<br />
della prima fase della scaenae frons durante<br />
il principato di Claudio, quando anche il retrostante<br />
peristilio col sacellum per il culto imperiale aveva<br />
ormai ricevuto le finiture decorative. La costruzione<br />
del sacrarium si inserisce nella terza fase del<br />
complesso, inquadrabile tra l'età traianea e quella<br />
adrianea, affiancandosi a varie trasformazioni che<br />
interessarono l'edificio scenico. Infine, un'ultima<br />
fase si riferisce ai restauri promossi da Costantino<br />
nel IV secolo d.C., che compresero alcuni interventi<br />
all'apparato decorativo e alla copertura del pulpitum.<br />
Anche la realizzazione dell'anfiteatro risalirebbe<br />
all'età augustea, quando nell'8 a.c. al di fuori<br />
delle mura della città sarebbe stato eretto un podium<br />
in granito a delimitare l'harena. Dopo l'ampliamento<br />
del perimetro urbano, l'anfiteatro diven-<br />
14 C. BLASCO,R. DURA.N,et al., Datacion por iermoluminiscencia de la arquiteciura de ladri Ilo. El caso de Màida. Resultados y problemduca,<br />
CuadPrehistA 20, 1993, 239-254.<br />
15 Cfr. L. GALLI,11restauro nell'opera di Gino Chierici (1877-1961), Milano 1989.<br />
16 In particolare su S. LARA,El trazado vitruviano como mecanismo abietto de implantacion y ampliacion de los teatros romanos, AEspA<br />
65, 1992, 151-179. Dello stesso A., El trazado vitrubiano y la eoolucion de los teatros romanos, in La tradici6n en la antigiiedod tardia,<br />
Murcia 1997, 571-589.<br />
17 Sulle volte nell' architettura romana si veda il recente volume di L. C. LANCASTER, Concrete Vaulted Construction in Imperia l Rome.<br />
lnnouations in Context, Cambridge 2005.
2006] RECENSIONI 191<br />
ne oggetto di un importante processo di monumentalizzazione<br />
in età flavia, quando fu trasformato<br />
in un grande edificio dotato di un impianto<br />
idrico funzionale allo svolgimento di naumachiae.<br />
Un ultima fase, prima del repentino abbandono alla<br />
fine del V secolo d.C., comprese la costruzione<br />
del Nemeseion, che la dedica di un liberto di Caracalla<br />
permette di datare negli anni di passaggio tra<br />
il II e il III secolo d.C.<br />
Concludendo col corposo lavoro di Giovanna<br />
Tosi, Gli edifici per spettacoli nell'Italia romana, pubblicato<br />
in due volumi per i tipi delle Edizioni Quasar,<br />
esso in realtà raccoglie, oltre agli scritti dell' A,<br />
altri validi contributi di studiosi d'ambito patavino.<br />
Si tratta di un'opera di sintesi di ampio spessore,<br />
nella quale la Tosi, da tempo interessata alle architetture<br />
da spettacolo di età romana sia nelle<br />
emergenze archeologiche 18 sia nelle fonti letterarie<br />
antiche e nella tradizione grafica rinascimentale 19,<br />
raccoglie tutta la documentazione relativa non solo<br />
ai teatri e agli anfiteatri, ma anche ai circhi, agli<br />
stadi, alle naumachiae, ai ludi gladiatori e ai campi<br />
per esercitazioni dell'Italia romana. L'attenzione rivolta<br />
a ogni forma di documentazione, da quella<br />
archeologica ed epigrafica a quella letteraria e antiquaria,<br />
e il coinvolgimento dei diversi caratteri<br />
edilizi dei monumenti (stabili o temporanei, in elementi<br />
lapidei o in materiali leggeri come il legno)<br />
ha permesso di comporre un quadro completo della<br />
produzione architettonica per questa classe di<br />
edifici nel territorio oggetto di analisi e di fornire<br />
al contempo un utile strumento di approfondimento<br />
per le singole realtà topo grafiche, superando<br />
ogni esperienza precedente".<br />
La prima sezione del volume (pp. 11-650) è affidata<br />
al lungo catalogo degli edifici per spettacoli<br />
di età romana in Italia. Le schede, raggruppate per<br />
regiones con l'aggiunta delle due provinciae insulari<br />
di Sicilia e Sardinia, mostrano un allestimento flessibile<br />
funzionale alla documentazione disponibile<br />
per ogni singolo caso: si passa da una forma di-<br />
scorsiva per i monumenti noti solo da fonti letterarie<br />
(dal doppio teatro-anfiteatro di Curione a Roma<br />
al teatro di Kroton, attestato solo da un passo della<br />
Vita pitagorica di Giamblico) a scansioni analitiche,<br />
composte con una profonda cura verso gli aspetti<br />
costruttivi e stati ci degli edifici. Così, un valido approccio<br />
metodologico diversifica la registrazione<br />
dei dati nelle voci di ciascuna scheda, mentre un<br />
commento di sintesi viene posto a chiusura di ogni<br />
singola realtà topo grafica allo scopo di presentare,<br />
accanto a qualche breve cenno storico sull' abitato,<br />
eventuali valutazioni, problemi interpretativi e<br />
nuove riflessioni sull' evidenza. La bibliografia di<br />
riferimento ha carattere esaustivo; delle poche lacune,<br />
riguardanti i contesti più periferici, mostra<br />
coscienza la stessa A nella Premessa al catalogo (p.<br />
6), prima di introdurre alcune suggestive e fertili<br />
precisazioni in riferimento al lessico tecnico-costruttivo<br />
adottato nelle schede.<br />
La seconda parte del volume, dedicata ai saggi<br />
di sintesi, si apre con un primo contributo della Tosi<br />
volto a ritrarre un Profilo storico e tipologico delle<br />
strutture ludiche in Roma (pp. 653-686). Viene messo<br />
in evidenza il ruolo giocato dall' Urbs nella formazione<br />
e diversificazione dei modelli architettonici<br />
per ciascuna classe di edifici da spettacolo sulla<br />
base di una suggestiva indagine sulle fonti antiche,<br />
a partire dai ludi organizzati, nella tradizione raccolta<br />
in Livio (I 9,6-7), da Romolo per attrarre i Sabini.<br />
Dai ludi circenses a quelli scaenici, dai munera<br />
gladiatoria alle uenaiiones, l'uso di ogni testimonianza<br />
letteraria ed epigrafica conduce l'indagine verso<br />
la ricostruzione del "divenire" di ogni singola tipologia<br />
architettonica sulla traccia della storia edilizia<br />
dei monumenti di Roma. Un' attenzione particolare<br />
viene rivolta alla genesi della forma anfiteatrale<br />
ellittica, all'interno di un dibattito che ha visto<br />
come protagonisti tra gli altri Filippo Coarelli,<br />
Jean-Claude Golvin, Katherine Welch e Mark Wilson<br />
[ones, L'A propone, accanto alla tradizionale<br />
teoria di derivazione forum-amphitheatrum, l'ipotesi<br />
di circus-amphitheatrum, "con una nuova struttura<br />
18 G. TOSI,Il teatro romano di Padova. Lo stato del problema, AVen 11, 1988, 79-102; G. TOSI,Gli edifici per spettacolo di Verona, in Spettacolo<br />
in Aquileia e nella Cisalpina romana (AAAd 41), Udine 1994, 241-257; G. TOSI,Gli edifici per spettacolo di Verona, in Forum et basilica<br />
in Aquileia e nella Cisalpina romana (AAAd 42), Udine 1995, 467-491.<br />
19 G. TOSI,L'Anfiteatro castrense nei disegni di Andrea Palladio (RTBA X, 17, verso; XV, 5, verso), XeniaAnt 4, 1995, 77-96; G. TOSI,Il<br />
teatro antico nel "De architectura" di Vitruvio, RdA 21, 1997, 49-75; G. TOSI,Teatri e anfiteatri dell'Italia romana nella tradizione grafica<br />
rinascimentaie. Commento archeologico, Padova 1999.<br />
20 Basti pensare ai tre tomi dell'opera curata da G. Pisani Sartoria e P. Ciancio Rossetto, Teatri greci e romani. Alle origini del linguaggio<br />
rappresentato. Censimento analitico, Torino 1994, ora aggiornato e rielaborato in formato multimediale con l'aggiunta di<br />
numerosi ricostruzioni virtuali nell'edizione Teatri antichi greci e romani, Roma 2006.
192 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />
che pur mantenendo le due componenti fondamentali,<br />
pista-arena e cavea, venne modificata in<br />
base al principio di funzionalità" (p. 658).<br />
Tra i numerosi fili che intrecciano i vari contributi<br />
del volume, la storia del theatrum et proscaenium<br />
ad Apollonis eretto a Roma dal censore M.<br />
Emilio Lepido ritrova ampio spazio nel testo successivo,<br />
La carpenteria negli edifici da spettacoli (pp.<br />
687-708),al pari del complesso del Teatro di Pompeo<br />
sia nel saggio La tipologia del Teatro-Tempio: un<br />
problema aperto (pp. 721-750),sia in quello Il ruolo<br />
delle "basilicae" e della "porticus post scaenam" (pp.<br />
751-782),tutti frutto della Tosi. Il primo di questi<br />
lavori approfondisce il ruolo della carpenteria lignea<br />
nelle varie architetture realizzate ad tempus,<br />
compresa quella apprestata, appunto, nel 179 a.c.<br />
accanto all'aedes Apollinis e fino al 55 a.c. caratterizzata,<br />
già secondo CoareUi21, da gradationes permanenti<br />
e da scaenae in tempus structae. In una ripartizione<br />
del testo per tipologie, tra le varie osservazioni<br />
l'A. esprime, a proposito del Teatro di<br />
Scauro, il disaccordo con alcune precedenti ipotesi<br />
sulla natura della columnatio della scena, riportando<br />
la differenziazione di materiali tramandata da<br />
Plinio al rivestimento delle strutture lignee dei tre<br />
livelli delle scaenae parietes. Il secondo dei contributi<br />
citati, che nel volume segue un'ulteriore ricerca<br />
sul foro e sui munera gladiatoria nel De archiieciura<br />
di Vitruvio, ripropone l'annoso problema dei Roman<br />
iheaier-temples", Il complesso legame tra ludi<br />
scaenici e culti, che caratterizzò composizioni architettoniche<br />
spesso diverse nella loro organizzazione,<br />
porta la Tosi a classificare tre diverse articolazioni<br />
del rapporto tra teatro e tempio, basate sui principi<br />
di unità strutturale, giustapposizione e contiguità<br />
senza connessioni strutturali. All'interno di ciascuna<br />
classe di teatri-templi si evidenzia la necessità<br />
di analizzare la forma architettonica di ciascun monumento<br />
in funzione alla storia edilizia e al significato<br />
dei singoli corpi di fabbrica, "da verificare caso<br />
per caso su prove documentarie, se non sicure,<br />
almeno probabili" (p. 746). Il testo offre l'occasione<br />
per riesaminare approfonditamente il tema del<br />
Teatro di Pompeo quale esempio più significativo<br />
di teatro-tempio, con una ricerca mirata a restitui-<br />
re l'immagine del tempio di Venere Victrix al momento<br />
dell'inaugurazione nel 55 a.c. L'A. raccoglie<br />
tutti i dati sull' edificio, rinforzando l'ipotesi che<br />
il tempio potesse svilupparsi allo stesso piano di<br />
spiccato del complesso e dell'orchestra, a mo' di<br />
portico non perfettamente assiale ma diretto verso<br />
la domus di Pompeo.<br />
Dense e ricche di suggestioni sono le proposte<br />
interpretative sulle due principali parti annesse all'edificio<br />
scenico nei teatri romani, ovvero le basilicae<br />
e gli spazi del postscaenium. L'indagine, che viene<br />
condotta con una serie di schede scandita cronologicamente<br />
e topograficamente, giunge a una<br />
"valutazione su quanto la presenza di queste due<br />
componenti (...) possa modificare la staticità del rigido<br />
modello di un cosiddetto teatro-imitazione<br />
della gerarchia sociale" (p. 752).Un'organizzazione<br />
per schede è anche alla base degli ultimi due contributi<br />
presentati nel volume dalla Tosi, uno dedicato<br />
a Gli edifici per spettacoli nelle residenze private<br />
(pp. 783-813),l'altro rivolto al tema Il significato storico<br />
delle naumachie (pp. 815-833). L'A. dapprima<br />
conduce il lettore lungo un percorso che, partendo<br />
dalle più antiche attestazioni di architetture per<br />
spettacoli a carattere privato relative ad alcune ville<br />
di età augustea (Ponza, Bacoli, Pianosa, Posillipo),<br />
tocca i numerosi problemi legati a questa classe<br />
di edifici, specie quando la loro presenza è nota<br />
solo da fonti antiquarie 23. Successivamente raccoglie<br />
le varie attestazioni letterarie e archeologiche<br />
sulle simulazioni di combattimenti navali e sulle<br />
strutture allestite per il loro svolgimento. Dal quadro<br />
proposto la naumachia emerge come lo speciaculum<br />
più raro e costoso del mondo romano, con rappresentazioni<br />
cronologicamente comprese tra i ludi<br />
publici organizzati da Cesare nel 46 a.c. e il ludus<br />
Dacicus allestito da Traiano nel 109 d.C. 24 • La rarità<br />
delle naumachie come spettacolo anfiteatrale nella<br />
stessa Roma, con due sole attestazioni nell' Anfiteatro<br />
Flavio (prima della realizzazione degli ipogei<br />
sotto Domiziano), spinge l'A. a esortare alla prudenza<br />
tutte le volte che si propone una funzione<br />
analoga per le arene di altri anfiteatri e ancor più<br />
per le orchestre dei teatri.<br />
Paola Zanovello apre la serie di contributi di<br />
21 F. COARELU, 11Capo Marzio. Dalle origini alla fine della Repubblica, Roma 1997, 603-606.<br />
22 L'argomento viene affrontato anche nel recente volume di I. NIELSEN, Cultic Theatres and Ritua/ Drama. A Study in Regiona/ Developmenl<br />
and Religious lnterchange between East and West in Antiquity (ASMA 4), Aarhus 2002.<br />
23 Il tema è stato trattato anche in R. TADDE1, Gli edifici teatrali privati in Italia tra il I secolo a.c. e i/Il secolo d.C. Funzioni e tipologia,<br />
Annlìerugi« 33, 1997-2000, 285-389.<br />
24 Il dibattito sulle naumachiae di Roma è destinato a essere ravvivato dalla prossima pubblicazione del lungo contributo di P.<br />
MAZZEI, Una nuova epigrafe da S. Cosimato in Mica Aurea. Traiano restaura la Naumachia di Augusto?, RM 113, in c.d.s,
2006] RECENSIONI 193<br />
altri autori con il saggio Il ruolo storico dei circhi e<br />
degli stadi (pp. 835-899). Dalla tradizione mitica dei<br />
funerali di Patroclo in Omero (Il., XXIII 262-897) e<br />
dalle differenze di significato dei termini circus,<br />
hippodromus, stadium e campus, l'A. focalizza l'attenzione<br />
sull'evoluzione dei circhi e degli stadi, secondo<br />
un processo di differenziazione che viene ricostruito<br />
analizzando in successione i singoli monumenti:<br />
il Circo Massimo, con le sue numerose<br />
fasi edilizie, i culti e le varie rappresentazioni iconografiche;<br />
il Circo Flaminio; il Circus Gai et Neronis;<br />
il Circo Variano; il Circo di Massenzio. Questi<br />
grandi complessi, affiancati da quelli eretti in altre<br />
grandi città romane, mostrano quanto l'edificio circense<br />
fosse "profondamente radicato nella vita sociale,<br />
politica e religiosa del popolo romano" (p.<br />
878), nonostante giudizi, come quello espresso da<br />
Plinio il Giovane (Ep., IX 6, 1), verso queste forme<br />
di spettacolo nelle quali "nihil nouum, nihil varium,<br />
nihil quod non semel spectasse sufficiat".<br />
Patrizia Basso, nella scia della recente monografia<br />
sugli edifici da spettacolo della X regio 25, nell'interessante<br />
saggio Gli edifici da spettacolo nella città<br />
medievale (pp. 901-921) indaga il destino di teatri,<br />
anfiteatri e circhi dopo la loro defunzionalizzazione<br />
tardoantica. Questo processo, inquadrato tra gli<br />
ultimi decenni del III e il IV secolo d.C. (ma che in<br />
alcuni casi raggiunse anche gli inizi del VI secolo),<br />
segnò l'inizio di "una nuova storia e una nuova vitalità"<br />
(p. 903) per queste costruzioni monumentali,<br />
laddove lo spoglio per il recupero di nuovo materiale<br />
da costruzione e per fare calce non fu totale.<br />
L'A. classifica cinque diversi tipi di reimpieghi<br />
dell' architettura da spettacolo in età tardoantica I<br />
altomedievale, con alcuni fenomeni di reciproche<br />
osmosi: il militare-difensivo, l'abitativo, il produttivo,<br />
il funerario e il sacrale. Il quadro proposto si<br />
arricchisce ulteriormente per le numerose attestazioni,<br />
spesso occasionali, di continuità funzionale<br />
dei complessi antichi per manifestazioni pubbliche<br />
o per l'allestimento di spettacoli, nonché per il con-<br />
dizionamento determinato dalla mole e dalla forma<br />
planimetrica di questi edifici nella trasformazione<br />
dei tessuti urbani in età medievale e moderna.<br />
Ricerche recenti nel teatro di Scolacium (III regio,<br />
Bruttiiì> permettono di annoverare anche questo<br />
complesso tra i casi di reimpiego abitativo delle<br />
strutture, esemplificati dalla Basso nei teatri di Bologna,<br />
Alba Fucens e Ventimiglia. Lo stesso vale per<br />
i monumenti di Cividate Camuno pubblicati da<br />
Valeria Mariotti nel primo volume oggetto di questa<br />
presentazione 27, dove gli scavi hanno individuato<br />
tracce di abitazioni installatesi sulle strutture<br />
romane nel Ve VI secolo d.C. Suggestive considerazioni<br />
riguardano, infine, gli anfiteatri quali attive<br />
sedi di condanne ad feras e di martiri e per<br />
questo oggetto di riuso cultuale a fini religiosi. Se<br />
il caso del complesso di Tarraco viene menzionato<br />
quale esempio in ampio provinciale", la chiesa di<br />
S. Gregorio Minore de Griptis costruita sull' arena<br />
dell' anfiteatro di Spoleto e quella di S. Gennaro<br />
sorta nell'anfiteatro di Pozzuoli costituiscono due<br />
importanti testimonianze del fenomeno di sacralizzazione<br />
dei luoghi di martirio in Italia, fenomeno<br />
che raggiunse il suo culmine nel 1749 quando Benedetto<br />
XIV dedicò a Cristo e ai suoi martiri l'intero<br />
Colosseo, dichiarandolo chiesa pubblica.<br />
Jacopo Bonetto e Marina Nardelli riconducono<br />
il lettore all' età romana, il primo con un contributo<br />
di natura topografica incentrato sul rapporto tra<br />
Gli edifici per spettacolo e la viabilità nelle città dell'Italia<br />
romana (pp. 923-939), la seconda con un saggio<br />
sul binomio "Natura loci" e "aedificaiio". Il rapporto<br />
fra terreno e strutture negli edifici per spettacoli romani<br />
in Italia (pp. 942-960). L'indagine sulle "modalità di<br />
interrelazione tra complessi ludici e singoli elementi<br />
costitutivi dell' organismo città" (p. 925) è il<br />
tema del primo saggio, con interessanti suggestioni<br />
generate dall' approfondimento analitico di un<br />
problema già ampiamente discusso da altri studiosi,<br />
ma che resta ancora aperto. L'A. affronta il dibattito<br />
da una posizione originale quanto solida<br />
25 P. BASSO,Architettura e memoria dell 'a Il tico. Teatri, anfiteatri e circhi della Venezia romana, Roma 1999. Si veda anche P. BASSO,La<br />
memoria dell'antico nelle città. Teatri, anfiteatri e circhi della Venetia romana, in 11 passato riproposio. Continuità e recupero dall'antichità<br />
ad oggi, Atti della X Giornata archeologica (Genova, 28 novembre 1997), Genova 1999,31-68.<br />
26 Sul teatro di Scolacium si veda C. G. MALACRlNO, Il teatro romano di Scolacium. Contributo per una rùettura architettonica e topografica,<br />
RdA 29, 2005, 97-141, in particolare 106, con bibliografia precedente.<br />
27 V. Mxruorn (a cura di), 11 teatro e l'anfiteatro di Cividate Camuno, cit., 78.<br />
28 A esso si può affiancare quello di Gortina di Creta, dove la piccola chiesa degli Hagh! Deka (i Dieci Santi) condivide ancora<br />
oggi il piano di calpestio interno con il livello antico dell'arena anfiteatrale, luogo del martirio dei dieci cristiani cretesi uccisi<br />
sotto Decio nel 250 d.C. Sull'anfiteatro di Gortina e sulla chiesa di Haghi Deka vedi: A. DI VITA,M. RlCClARDI, L'anfiteatro ed<br />
il grande teatro romano di Cortino, ASAtene 64-65 (1986-87), 327-351; M. RICCIARDI, Cortina. Ipotesi di restituzione dell'anfiteatro, in<br />
Ilexçavuévo H' .1~éevovç KQ17ro).oy~)(OV 2vve6Q{ov (Irakleio, 9-14 septembriou 1996), Irakleio 2000, 139-154.
194 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />
per la documentazione di riferimento, basata sull'individuazione<br />
di uno stretto legame tra gli edifici<br />
da spettacolo e la rete viaria delle città romane.<br />
Secondo l'A. le ragioni di tale fenomeno risiederebbero<br />
in particolare in tre classi di fattori, rispettivamente<br />
riconducibili: a esigenze logistiche connesse<br />
all'impianto del cantiere di costruzione e<br />
successivamente all' afflusso e deflusso di masse<br />
spesso imponenti di spettatori; a esigenze funzionali<br />
legate alla vita della città, come assemblee, feste<br />
o liturgie religiose; e infine a esigenze 'comunicative'<br />
per il carattere delle architetture da spettacolo<br />
come segno di urbanitas dei centri o come luogo<br />
per il consenso e la propaganda.<br />
Dal contesto ai monumenti, il tema della con-<br />
[ormatio delle grandi architetture da spettacolo torna<br />
nel saggio della Nardelli, incentrato sull'analisi<br />
delle due varianti strutturali adottate in rapporto<br />
alla natura loci dell'impianto: gli edifici in montibus,<br />
con cavea addossata a un pendio naturale (si pensi<br />
L'ARCHITETTURA ROMANA NELLE CITTÀ DELLA SARDEGNA<br />
"Antenor, Quaderni" 4, Roma, Edizioni Quasar, 2004, pp. 268.<br />
A. R. G HlOTTO<br />
Il libro L'architettura romana nelle città della Sardegna<br />
di Andrea Raffaele Ghiotto trova le sue radici<br />
più profonde nell'esperienza di scavo che l'autore<br />
ha maturato per un decennio nell'ambito della<br />
missione archeologica a Nora condotta da un pool<br />
di Università, fra le quali un ruolo importante ha<br />
avuto l'Ateneo patavino, con l'équipe diretta da<br />
Francesca Ghedini e Iacopo Bonetto: nelle 268 pagine<br />
che compongono l'opera si respira, infatti, come<br />
la conoscenza dell'isola si sia andata via via<br />
ampliando sulla scorta della sollecitazione dei problemi<br />
emersi dal lavoro sul campo e insieme sostanziando<br />
di letture attente, di osservazioni dirette<br />
dei luoghi, ma anche di quell'entusiasmo che<br />
può venire solo da un'intensa partecipazione "sentimentale",<br />
oltre che da un vivo interesse scientifico.<br />
Il lavoro mi pare, insomma, una sorta di rigoroso,<br />
ma anche affettuoso "omaggio" a questa terra,<br />
volto a colmare uno dei tanti vuoti di studi che<br />
ancora la affliggono: in effetti, se le indagini urbanistiche<br />
in Sardegna sono finalmente in evoluzione<br />
(si pensi in particolare al recente lavoro A. M. Colavitti,<br />
Cagliari. Forma e urbanistica, Roma 2003), le<br />
analisi sui complessi edilizi restano scarse e spesso<br />
al teatro di Tusculum o alla prima fase di quello di<br />
Venafrum), e gli edifici in plano, con cavea sostenuta<br />
da strutture praticabili interamente realizzate in<br />
muratura (ad esempio, il più volte citato Teatro di<br />
Pompeo). L'A. evidenzia la frequente attestazione<br />
di complessi nei quali ad alcuni settori su pendio<br />
si associavano in vario modo ad altri autoportanti,<br />
in una tipologia che definisce "mista" (p. 948) e<br />
che coinvolse sia i teatri che gli anfiteatri, in un arco<br />
cronologico che dalla tarda Repubblica si spinse<br />
fino all' avanzata età imperiale. Un valido approfondimento<br />
riguarda i sistemi di consolidamento<br />
del terreno nei casi degli edifici realizzati, come ricorda<br />
Vitruvio, in palustri loco, con un'ampia casistica<br />
di soluzioni che trova l'esempio più monumentale<br />
nelle fondazioni anulari a platea dell' Anfiteatro<br />
Flavio.<br />
Carmelo G. Malacrino<br />
datate. Soprattutto mancava finora una sintesi monografica<br />
sull'architettura romana delle città, se si<br />
fa eccezione per alcuni lavori su particolari aspetti<br />
decorativi e monumentali, quali G. Nieddu, La<br />
decorazione architettonica della Sardegna romana, Oristano<br />
1992 o C. Cossu, G. Nieddu, Terme e ville<br />
extraurbane della Sardegna romana, Oristano 1998.<br />
Pur nella consapevolezza che le testimonianze<br />
architettoniche di età romana presenti nell'isola sono<br />
indubbiamente piuttosto modeste dal punto di<br />
vista monumentale rispetto anche ad altre realtà<br />
provinciali minori, il lavoro vuole proporne una<br />
panoramica completa e dettagliata, offrendone una<br />
lettura diacronica dalla fase di romanizzazione al<br />
tardoantico e cercando di comprenderne le motivazioni<br />
più profonde. A questo mirano i primi dieci<br />
capitoli del volume, dedicati rispettivamente alle<br />
tecniche edilizie e alle varie classi di monumenti<br />
attestate sull'isola, ognuna delle quali viene affrontata<br />
secondo uno schema comune: esemplificazioni<br />
concrete, visualizzate anche in molto utili e innovative<br />
tabelle di sintesi; riflessioni sulle soluzioni<br />
tecnico - edilizie / architettoniche / spaziali - urbanistiche<br />
adottate; considerazioni conclusive che rias-
2006] RECENSIONI 195<br />
sumono i dati emersi, contestualizzandoli in un<br />
preciso quadro sociale, economico, culturale, e insieme<br />
aprono ulteriori problemi storici e interpretativi.<br />
Il procedimento metodologico risulta serrato<br />
e rigoroso: esso prende avvio da una puntuale revisione<br />
della bibliografia sul tema trattato e si amplia<br />
poi al riscontro attento delle fonti epigrafiche,<br />
spesso foriere di fondamentali notizie in merito, al<br />
controllo autoptico delle testimonianze strutturali,<br />
a un meticoloso confronto con analoghe testimonianze<br />
individuate nel resto dell'Impero.<br />
Infine, negli ultimi due capitoli l'autore evidenzia<br />
le tappe più significative nelle quali si venne<br />
concretizzando la monumentalizzazione delle<br />
città dell'isola, offrendo una ricca e innovativa rielaborazione<br />
critica sulla scorta della documentazione<br />
discussa nei capitoli precedenti e prestando<br />
particolare attenzione agli aspetti socio-politici (influenza<br />
dei negotiaiores e dei governatori italici: fenomeni<br />
di evergetismo) e culturali (persistenza del<br />
sostrato punico: modalità e tempi della romanizzazione)<br />
connessi con tale sviluppo. In questa parte<br />
conclusiva, in cui viene posta con equilibrata e intelligente<br />
prudenza la centrale questione delle diverse<br />
sollecitazioni che pervasero la Sardegna in<br />
età romana, il libro di Andrea Raffaele Ghiotto dimostra<br />
con particolare evidenza di non essere solo<br />
un lavoro di sintesi sull'argomento, ma di aprirsi<br />
anche a tematiche storiche e culturali di più ampio<br />
respiro. Nel complesso, come ben evidenziato nella<br />
Presentazione di Francesca Ghedini, si tratta di un<br />
punto fermo per chi intenderà affrontare lo studio<br />
dell'architettura romana dell'isola e, nello stesso<br />
tempo, di un utile manuale di riferimento per lo<br />
sviluppo delle ricerche sull'archeologia delle province<br />
occidentali.<br />
Un grande storico come Lucien Febvre, affrontando<br />
i problemi dell'insularità attraverso un dettagliato<br />
paragone fra la Sicilia, quadrivio naturale<br />
del Mediterraneo, aperta all'influsso di tutte le nu-<br />
merose civiltà che vi si insediarono, e la Sardegna,<br />
volle sottolineare in particolare l'isolamento e la<br />
chiusura di quest'ultima, un esempio - a suo dire<br />
- di "isola prigione", ove sopravvivono "vecchie<br />
razze eliminate, vecchi usi, vecchie forme sociali<br />
bandite dal continente" in una sorta di "immagine<br />
didattica della preistoria nella storia". E il conservatorismo<br />
di un contesto fortemente pervaso da<br />
una secolare tradizione fenicia e poi punica è un<br />
tema forte del lavoro di Andrea Raffaele Ghiotto,<br />
un tema che permea in filigrana ogni capitolo del<br />
libro, emergendo prepotentemente via via nelle<br />
tecniche edilizie, nell'architettura, nell'organizzazione<br />
urbana delle città dell'isola. Ma c'è un altro<br />
filo conduttore che lega il lavoro e si afferma con<br />
altrettanta forza: l'apertura della cultura architettonica<br />
locale alle precise "influenze edilizie, monumentali,<br />
funzionali e tipologiche di evidente derivazione<br />
romana" (p. 213) che pervennero dall'ambito<br />
italico e insieme l'importazione di modelli riconducibili<br />
all'influenza africana, profondamente<br />
assimilati pur con la mediazione del sostrato autoctono.<br />
E così dal libro, accanto al conservatorismo<br />
sottolineato, come si è detto, da L. Febvre, emerge<br />
anche l'immagine di una Sardegna che invece - come<br />
scrive Fernand Braudel - "si vuole descrivere<br />
quasi impenetrabile, ma in realtà ebbe le finestre<br />
aperte sull'esterno, così che si può talora scoprire<br />
di lì, come da un osservatorio, la storia generale<br />
del mare". Si tratta di una dicotomia legata alla<br />
geografia della regione, distinta nettamente fra una<br />
fascia costiera aperta e accessibile e un territorio<br />
montuoso interno aspro, isolato e spesso ostile, ma<br />
comunque tale da condizionare fortemente quella<br />
storia frammentata e dispersiva dell'isola, di cui<br />
questo libro riesce a rendere con tanta evidenza alcune<br />
delle pagine più vitali.<br />
Patrizia Basso
196 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />
IASOS E LA CARIA. NUOVI STUDI E RICERCHE<br />
["La Parola del Passato" 60, 2005, fasc. II-VI], Napoli, Macchiaroli 2005, pp. 81-464.<br />
a cura di R. PIEROBON<br />
A qualche anno dai fascicoli su Gli scavi italiani<br />
a Iasos in Caria, usciti nel 1999-2000 in memoria di<br />
Clelia Laviosa, la "Parola del Passato" dedica ancora<br />
un numero monografico alle ricerche italiane<br />
in Caria, la cui base storica, dal 1960, è appunto Iasos.<br />
A Raffaella Pierobon Benoit, responsabile di<br />
una missione di survey nel Golfo di Mandalya,<br />
spetta il merito d'aver riunito i contributi, esito di<br />
un incontro di studi tenuto si a Napoli nel 2003: essi<br />
forniscono una visione aggiornata e critica della<br />
ricerca, allargata appunto da Iasos a comprendere<br />
la regione circostante. Nella lucida Introduzione, accompagnata<br />
da una preziosa nota di aggiornamento<br />
bibliografico (pp. 81-87), la curatrice evidenzia<br />
subito come principale novità degli ultimi anni<br />
l'ampliamento dell' orizzonte cronologico considerato,<br />
che spazia ormai dalla protostoria all' età bizantina<br />
ed oltre. È questo il segno del trapasso da<br />
un'indagine incentrata sul mondo classico ad uno<br />
studio totale del territorio, capace di fornire indicazioni<br />
storiche di rilievo anzitutto dall' evidenza di<br />
superficie. Uno sguardo insomma capace di tenere<br />
insieme realtà diverse, il generale con il particolare,<br />
il centro (anche minore) con la periferia, e che<br />
proprio da questa convergenza trae argomento per<br />
ripensare problemi complessi come, per l'area considerata,<br />
il rapporto tra Cari e Greci.<br />
Eccellente riprova delle potenzialità dello studio<br />
serrato del territorio è fornita dal contributo<br />
d'apertura di A. Peschlow-Bindokat, che sintetizza<br />
la ventennale indagine sul Latrno (pp. 88-103). L'area<br />
dell'impervio monte ospitò una [acies culturale<br />
risalente al Neolitico, le cui pitture rupestri sono<br />
l'aspetto ormai più noto, ma restò per millenni al<br />
centro di una frequentazione a carattere religioso<br />
che ben illustra la continuità tra la Caria antichissima<br />
e le epoche storiche. Un'efficace messa a punto<br />
sulle ricerche condotte sopra Iasos nell' età del<br />
Bronzo è proposta da P. Belli, N. Momigliano e G.<br />
Graziadio (pp. 104-115), che illustrano i risultati di<br />
una complesso lavoro svolto a partire dal 1999 sui<br />
rinvenimenti e i dati di scavo. Oltre al riconoscimento<br />
delle differenti fasi insediative fino al 1100<br />
a.c., scoperte nei saggi stratigrafici aperti sul sito<br />
di Iasos, a alla individuazione sicura nell'agorà di<br />
uno strato di ceneri vulcaniche risultanti dall' eruzione<br />
di Thera, la ricerca esamina le tracce monu-<br />
mentali e i materiali ceramici dell' età del Bronzo,<br />
che mostrano importanti relazioni con la produzione<br />
micenea ma anche una prevalenza di ceramica<br />
di produzione locale. Ai frammenti di anfore panatenaiche<br />
rinvenuti nello scavo dell' agorà, nei pressi<br />
di un edificio sacro convenzionalmente denominato<br />
"santuario delle doppie asce" è dedicato il contributo<br />
di F. Berti, attuale direttrice dello scavo di<br />
Iasos (pp. 116-129). Lo studio del materiale, reso<br />
particolarmente arduo dallo stato frammentario<br />
dei reperti, consente di datare alcuni esemplari al<br />
IV sec. a.C: l'area di rinvenimento lascia supporre<br />
una destinazione votiva, coerente con la funzione<br />
degli spazi pubblici circostanti e con i materiali<br />
rinvenuti presso il santuario, appunto le "doppie<br />
asce" ed altri oggetti in piombo. La vicinanza di<br />
un heroon e la presenza di una dedica iscritta a<br />
Zeus Meilichios (purtroppo priva di un contesto<br />
preciso) aprono importanti prospettive sulla interazione<br />
tra culti ed etnie.<br />
E. Pagello prosegue la riflessione sull' agorà<br />
(pp. 135-143), già avviata in lavori precedenti: ripercorrendo<br />
la storia del monumento a partire dai<br />
primi viaggiatori che in età moderna s'avventurarono<br />
sul suolo di Iasos, si discute la progressiva<br />
strutturazione dell' area, fino alla monumentale sistemazione<br />
in età imperiale romana del colonnato,<br />
rimasto poi incompiuto. La villa romana nota con<br />
il nome di "casa dei mosaici" è oggetto dell'intervento<br />
di S. Angiolillo, M. Giuman, M. A. Ibba e A.<br />
Stigliz (pp. 144-149), che presentano i risultati degli<br />
scavi degli anni successivi al 1996. La struttura e la<br />
vicenda di occupazione dell' edificio appaiono ora<br />
con maggiore chiarezza: la pubblicazione dei materiali<br />
fornirà ulteriori informazioni anche sulle<br />
strutture produttive annesse alla ricca abitazione, i<br />
cui vani erano ornati da affreschi e mosaici. Alle<br />
strutture idrauliche della città, così decisive alla<br />
esistenza stessa dell'insediamento, è stata dedicata<br />
una campagna di rilevamento nel 2003, di cui riferisce<br />
F. Bosso (pp. 150-155). L'analisi topografica è<br />
raccordata con le riflessioni antiche e con la vicenda<br />
urbanistica della città, come mostra la rilevata<br />
complementarità tra l'apporto dell' acquedotto di<br />
età romana e le numerose cisterne insistenti sul sito.<br />
Il saggio di U. Serin sulla piccola chiesa situata<br />
all' esterno delle mura cittadine, fuori della porta
2006) RECENSIONI 197<br />
Est (pp. 156-178) si rifà ad un più ampio lavoro<br />
sulle chiese bizantine di Iasos [U, Serin, Early Christian<br />
and Byzantine Churches at Iasos in Caria, Città<br />
del Vaticano 2004]. Sei, come ricorda l'A. sono le<br />
chiese finora identificate in città, di cui solo alcune<br />
indagate. Parzialmente scavata a partire dal 2001,<br />
la chiesa ha una pianta quadrata con struttura cruciforme<br />
e tre piccole absidi, secondo una tipologia<br />
tardobizantina: lo scavo ha rilevato decorazioni ad<br />
affresco, uso di mattoni, frammenti di spoglio, elementi<br />
architettonici e liturgici, che individuano<br />
una cronologia successiva al X secolo, con probabili<br />
interventi di età lascaride, nel XIII secolo. La bellezza<br />
del sito di Iasos e la forza pedagogica di Doro<br />
Levi hanno generato negli anni scritti memoriali<br />
di quanti ebbero giovanissimi, attraverso la Scuola<br />
Archeologica di Atene, l'esperienza dello scavo in<br />
Caria: le note di F. Tomasello (pp. 180-199) si riferiscono<br />
agli anni '70, e rappresentano uno stato del<br />
paesaggio alquanto differente dall' attuale, su cui<br />
fortemente ha inciso l'antropizzazione. Interessante<br />
è il racconto del primo approccio al territorio:<br />
seguono alcune riflessioni relative all'acquedotto,<br />
alla cinta di terraferma, ad edifici "lelegi" della<br />
chora, a strutture funerarie: in alcuni casi si tratta<br />
di resti non più visibili, il cui rilievo assume particolare<br />
importanza.<br />
Della chora di Iasos, delle sue risorse, della difficoltà<br />
di inquadrarne le caratteristiche parla R.<br />
Pierobon Benoit nel quadro di un ripensamento<br />
complessivo del rapporto tra città e territorio, a<br />
sintesi anche di numerosi approfondimenti parziali<br />
pubblicati in anni recenti (pp. 200-244). Per ricchezza<br />
e ampiezza di dati e riflessioni si tratta del<br />
contributo principale del volume. Punto di partenza<br />
quasi obbligato è il passo di Strabone su Iasos<br />
(14.2.1), riconsiderato insieme ad alcune testimonianze<br />
dei primi viaggiatori giunti sul sito dell'antica<br />
città. Oggetto di verifica sul campo è il giudizio<br />
antico sulla estrema povertà della chora iasia: in<br />
effetti la storia delle ricerche mostra che fino ad<br />
anni recenti il territorio ha "conservato un certo carattere<br />
di 'estraneità' rispetto alla storia urbana"<br />
(p. 209), e ciò ha rallentato una sistematica analisi.<br />
Tra gli aspetti storici maggiori chiariti da questo<br />
approccio vi è evidentemente non solo la storia degli<br />
insediamenti e delle attività produttive diffuse<br />
sul territorio, ma anche la vicenda del rapporto tra<br />
Greci e non Greci, di cui diviene possibile rintracciare<br />
l'evoluzione sulla lunga durata. La survey<br />
condotta negli ultimi anni ha evidenziato una frequentazione<br />
diffusa, con insediamenti di varia natura<br />
ed estensione, fino al tardo antico. Sono emer-<br />
si i segni di possibili modifiche ecologiche: l'attuale<br />
macchia mediterranea prevalente nell' area, spesso<br />
impraticabile, potrebbe non corrispondere alla<br />
facies antica di un territorio sfruttato per esigenze<br />
agropastorali. La "conquista" scientifica della chora<br />
ribalta l'approccio a Iasos dal mare, che ha imposto<br />
la sua suggestione fin dall'antichità: le modalità<br />
antiche di cabotaggio all'interno del Golfo di Mandalya<br />
si sono riproposte fino all'età moderna, se<br />
ancora nei primi anni '60 del secolo scorso Doro<br />
Levi giunse a Iasos in barca, da Cullùk, non essendo<br />
allestita ancora la strada carrozzabile da Milas.<br />
Anche l'attuale percorso di accesso terrestre ha in<br />
qualche modo indirizzato le ricerche, perché ha<br />
marginalizzato la via antica verso Mileto, e modificato<br />
la percezione delle relazioni spaziali. L'analisi<br />
del territorio ha chiarito, pur nella difficoltà di datare<br />
i materiali, la maggiore presenza di fasi tardoantiche<br />
e bizantine, e approfondito le conoscenze<br />
sul marmo rosso iasio, oggetto di molti studi<br />
negli ultimi anni. La dimensione delle cave individuate<br />
induce un ripensamento di natura economica<br />
e ripropone la questione amministrativa relativa<br />
all' estensione della chora municipale di Iasos. Si<br />
viene così meglio chiarendo il retroterra (in senso<br />
concreto e metaforico) della grande legge sul portorium<br />
Asiae ["Epigraphica Anatolica", 14, 1989], nella<br />
quale Iasos compare tra le stazioni doganali dopo<br />
Mileto, prima di Bargylia (1. 25): in qualche misura<br />
anche la piccola Iasos entra così nel quadro ridisegnato<br />
dalla "Ecological Economie History" (P.<br />
Horden, N. Purcell, The Corrupting sea. A study of<br />
Mediterranean History, Oxford, Blackwell 2000). Altro<br />
aspetto rilevato è la difesa del territorio, con le<br />
torri di avvistamento e i terrazzamenti, e soprattutto<br />
la grande cinta di terraferma, in corso di studio<br />
e oggetto di lungo dibattito. Allo stato delle conoscenze<br />
non è ancora possibile stabilire un raccordo<br />
sicuro tra la "grande storia" e il monumento, e<br />
ciò ben corrisponde alle caratteristiche di un' area<br />
che si lascia studiare meglio nei tempi "lunghi"<br />
del territorio che nelle strette determinate degli<br />
eventi: resta l'auspicio che l'indagine ulteriore sulla<br />
cinta possa chiarire i tanti aspetti incerti del<br />
grande monumento (di fatto inedito: v. provvisoriamente<br />
R. Pierobon Benoit, in "Bollettino dell' Associazione<br />
Iasos di Caria", 13, 2007, 7-8). Ulteriore<br />
esempio di continuità insediative è dato dalla topografia<br />
del sacro, che si può seguire fino alle chiese<br />
bizantine disseminate nel territorio, ed oltre, in<br />
età ottomana. La conclusione per cui "l'immagine<br />
trasmessa da Strabone non ha riscontro nella realtà"<br />
(p. 243) merita grande considerazione anche in
198 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />
rapporto agli sforzi recenti di recuperare una lettura<br />
storica della colossale opera del geografo (A.-M.<br />
Biraschi, G. Salmeri (ed.), Strabone e l'Asia Minore,<br />
Napoli 2001).<br />
La prospettiva generale del saggio principale<br />
inquadra gli approfondimenti particolari affidati ai<br />
contributi successivi, che riprendono analiticamente<br />
singoli aspetti. Alla topografia si richiama anche<br />
il lavoro di N. Masturzo (pp. 245-56), che propone<br />
di individuare in una complessa struttura non scavata<br />
presso il centro di Iasos un' area sacra, della<br />
quale si esaminano anche alcune evidenze, mentre<br />
D. Baldoni riferisce sui luoghi di culto individuati<br />
nella chora, dall'importante santuario extra-urbano<br />
del Canacik Tepe (di cui si attende la pubblicazione),<br />
dedicato alla Meter Theon, ad altre aree sacre<br />
che hanno restituito soprattutto materiali fittili, in<br />
una combinazione tra culti indigeni e forme ellenizzate.<br />
Sugli edifici cosiddetti "lelegi" torna L.<br />
Cianciulli (pp. 271-81), sottolineando che la denominazione<br />
ormai invalsa nasce dalla identificazione<br />
delle strutture a pianta ovale diffuse tra Mileto<br />
e la Caria, con i Lelegon taphoi kai erymata ricordati<br />
a Strabone (7.7.2). Dislocate in punti strategici lungo<br />
direttrici importanti di mobilità, le strutture<br />
sembrano essere state legate all' economia agropastorale,<br />
e in uso per lungo tempo. La survey ha<br />
condotto anche all'identificazione e al rilievo di<br />
strutture isolate. Di un sepolcro ellenistico F. Longobardo<br />
fornisce una pubblicazione preliminare,<br />
soffermandosi in particolare su un acroterio a sfinge<br />
(pp. 281-298). Ampia la serie dei reperti di superficie,<br />
presentati in chiara sintesi da A. Caracaiso<br />
(pp. 299-314), soprattutto anfore e ceramica che illustrano<br />
frequentazione della chora iasia tra età ellenistica<br />
e prima età imperiale. Importante il rinvenimento<br />
di scarti di fornace, che rafforza l'ipotesi<br />
che esistessero strutture di produzione locale. All'intervento<br />
antropico indirettamente si collega anche<br />
il regesto delle presenze botaniche attuali, ad<br />
opera di G. Scopece (pp. 315-319). Una utile sintesi<br />
delle ricerche sul marmo iasio, dalla individuazione<br />
e analisi delle cave alla mappa aggiornata della<br />
sua diffusione nel Mediterraneo, è presentata da L.<br />
Lazzarini, S. Cancelliere, R. Pierobon, a complemento<br />
di indagini precedenti (pp. 320-331).<br />
Poi lo sguardo si allarga decisamente oltre Iasos,<br />
corrispondendo alla proposta originaria del<br />
Convegno che invitava a "leggere" il territorio della<br />
Caria. H. Lohmann presenta in sintesi i risultati<br />
di una survey nell' area di Kazikli, che implica non<br />
solo l'analisi delle strutture rilevate, ma anche<br />
un' approfondita discussione sul sito di Teichiussa,<br />
per il quale è proposta una nuova localizzazione<br />
(pp. 332-356). Segue il notevolissimo contributo di<br />
P. Debord sul problema della cultura in Caria (pp.<br />
357-378): partendo da un ripensamento storico e<br />
storiografico, affiancato dall'analisi di alcuni siti<br />
dell'interno, si delinea con maestria e chiarezza il<br />
quadro di una Caria "plurale". Plurale perché variamente<br />
definita nel tempo dal punto di vista geografico,<br />
e perché caratterizzata da una complessa<br />
varietà di facies culturali (comprese quella lidia o<br />
licia). Ciò conduce a ridefinire il carattere della Caria<br />
interna (p. 377), soprattutto per quanto riguarda<br />
la presenza ellenica, superando le pur feconde<br />
schematizzazioni espresse alcuni anni or sono da<br />
S. Hornblower (v. C. Franco, L'ellenizzazione della<br />
Caria: problemi di metodo, in C. Antonetti (ed.), Il dinamismo<br />
della colonizzazione greca, Napoli 1997, 145-<br />
154). E. Miranda presenta un assaggio del catalogo<br />
epigrafico del Museo di Denizli-Pamukkale (pp.<br />
379-390), con particolare riferimento ai pezzi inediti.<br />
L'ultima sezione del volume conduce a Bargylia.<br />
Entro il quadro più ampio della survey nel golfo di<br />
Mandalya, E. La Rocca illustra ampiamente i dati<br />
relativi alla città, finora largamente trascurata: per<br />
questo le notizie, le foto, le piante e le ricostruzioni<br />
fornite nell' ampio contributo costituiscono elementi<br />
di sicuro interesse. Lo stesso vale, più in dettaglio,<br />
per la dettagliata analisi cui M. Falla Castelfranchi<br />
sottopone gli edifici basilicali di Bargylia<br />
(pp. 419-464), partendo dell' attento studio delle<br />
evidenze e discutendo l'inquadramento artistico<br />
della decorazione superstite, che per la basilica<br />
principale s'inquadra nella produzione caria del VI<br />
secolo.<br />
Come questa rassegna prova, la ricchezza delle<br />
ricerche è notevole: l'allargamento dello sguardo in<br />
senso tipologico (oltre il "monumentale") e cronologico<br />
(oltre l'età imperiale) rivela la propria fecondità<br />
proprio nell'integrazione dei dati. La ripresa<br />
di alcuni argomenti da prospettive diverse fa della<br />
sovrapposizione tematica un' occasione di ricerca e<br />
confronto. Il faticoso raccordo tra situazioni locali<br />
e problemi maggiori spiega il fatto che le acquisizioni<br />
siano lente, e marcate con salutari cautele: ciò<br />
risulta particolarmente appropriato in un contesto<br />
complesso come la Caria. La ricerca infatti va oltre<br />
la catalogazione dei reperti, o la loro sistemazione<br />
in griglie interpretati ve preesistenti, e si spinge a<br />
riconsiderare il noto alla luce del nuovo, ribadendo<br />
costantemente lo stretto legame tra città e territorio,<br />
base per ogni storica comprensione dell' antico.<br />
Carlo Franco
2006] RECENSIONI 199<br />
DELICIAE FICTILES III. ARCHITECTURAL TERRACOTTAS IN ANCIENT ITALY: NEW<br />
DISCOVERIES AND INTERPRETATIONS<br />
Exeter, Oxbow Books, 2006. pp. X[X, 508, tavv.<br />
Edited by L EOLUNo-BERRY, G. GRECO, J. KENFTELD<br />
Il volume Deliciae Fictiles, edito da Ingrid Edlund-Berry,<br />
Giovanna Greco e [ohn Kenfield, pubblica<br />
gli Atti della Terza Conferenza Internazionale<br />
sulle terrecotte architettoniche tenutasi a Roma,<br />
presso l'Accademia Americana, nelle giornate del 7<br />
ed 8 novembre 2002.<br />
I curatori hanno distribuito le relazioni in sei<br />
sezioni, dedicate alla "Nuova ricerca sulle terrecotte<br />
architettoniche" (I), all' "Etruria" (II), ad "Umbria ed<br />
Abruzzo" (III), ai "Patisci, Roma e Lazio" (IV), alla<br />
"Campania e Magna Grecia" (V) ed alla "Sicilia" (VI),<br />
facendole precedere da un ampio e dettagliato capitolo<br />
introduttivo, che si articola in cinque paragrafi.<br />
La prima sezione, che comprende, tra altre, le<br />
relazioni di [ohn Kenfield, Nancy Winter, Charlotte<br />
ed Orjan Wikander, organizzatori di questa e delle<br />
precedenti Conferenze (Oeliciae Fictiles I e II), raccoglie<br />
riflessioni di carattere generale sul tema delle<br />
terrecotte architettoniche e alcune sintesi su classi<br />
specifiche di materiali.<br />
Come sottolineano i curatori del volume (p.<br />
XIII), "sebbene solo la prima sezione [...] contenga nel titolo<br />
la parola nuovo, il focus dell'intera Conferenza era<br />
diretto sia sulle nuove scoperte che sulle nuove interpretazioni<br />
basate sul lavoro sul campo, sullo studio nei<br />
depositi e sulla ricerca, nei Musei e all'Università". La<br />
misura della novità si registra già nel primo paragrafo<br />
dell'Introduzione (p. XI), nel quale gli autori<br />
sostengono che lo studio delle terrecotte architettoniche<br />
include tutto il sistema di copertura e di rivestimento,<br />
con tegole funzionali e con elementi<br />
decorativi, che adornavano templi, edifici civili importanti<br />
e case private.<br />
Con questa affermazione, che tocca due aspetti<br />
fondamentali inerenti al tema della coroplastica architettonica<br />
(a - la copertura fittile di un tetto intesa<br />
come un sistema unitario e b - il possibile valore<br />
delle terrecotte architettoniche come elemento<br />
discriminante nelle coppie semantiche sacrale/ civile<br />
e pubblico / privato), Deliciae Fictiles III risponde,<br />
all'apertura del terzo millennio, alle aspettative<br />
ed agli auspici con i quali si erano concluse le prime<br />
due Conferenze Internazionali. Sottolineando<br />
la necessità di "stabilire una continuità" tra gli studi<br />
che segnano le tappe fondamentali del progresso<br />
nella conoscenza delle terrecotte architettoniche, la<br />
Wikander (Deliciae Fictiles II, 1997) rimarcava l'esigenza<br />
di sviluppare "alcune riflessioni formulate già<br />
nel 1990 (Deliciae FictiZes I) sui diversi modi di studiare<br />
le terrecotte architettoniche", dando "maggiore enfasi"<br />
alle "caratteristiche tecniche, funzionali e regionali",<br />
come lo "studio di interi complessi di tetti" in luogo<br />
dell'analisi di pezzi isolati. La studiosa aderiva<br />
così alle indicazioni fornite da R. Knoop in Deliciae<br />
Fictiles I, in base alle quali le terrecotte architettoniche<br />
devono essere studiate come parte di un tetto,<br />
del suo sistema di rivestimento, in base al principio<br />
secondo il quale "una pubblicazione di terrecotte<br />
dovrebbe essere una pubblicazione di tetti". Per comprendere<br />
la mutata prospettiva degli studi recenti,<br />
è sufficiente sottolineare come sia pienamente affermata,<br />
all'interno del volume, una terminologia<br />
differente da quella tradizionale, che adopera sistematicamente<br />
formule apparentemente neutre come<br />
"sistema di rivestimento". In merito alle connessioni<br />
istituibili tra terrecotte architettoniche ed edifici,<br />
lo stesso titolo dell'opera di Andrén: "Terrecotte<br />
dai templi etrusco-italici", in un periodo - la fine<br />
degli anni '30 del secolo scorso - in cui l'unico referente<br />
possibile delle terrecotte architettoniche pareva<br />
quello del tempio, rivela la misura del cambiamento<br />
intercorso. Oggi, sottolineava Nancy<br />
Winter in Deliciae Fictiles II (1997), noi "sappiamo<br />
che i tetti decorati appartenevano anche a case e ad edifici<br />
civili".<br />
Che tale ripensamento sia ormai quasi generalizzato<br />
emerge anche dagli interventi di altri studiosi<br />
in altre parti del volume. Ad esempio, Marina<br />
Castoldi (Riflessioni su due antefisse gorgoniche di<br />
Gela, p. 388 ss.) dopo aver ricordato che a lungo la<br />
letteratura archeologica sulla Sicilia greca ha correlato<br />
la coroplastica architettonica agli edifici sacri,<br />
osserva che ultimamente sembra sempre più solido<br />
il riconoscimento che era uso comune, nel mondo<br />
greco, decorare anche gli edifici civili, privati o<br />
pubblici; e Luigi Cicala, nella V sezione riservata<br />
alla Campania (Terrecotte architettoniche del sistema<br />
campano da contesti di scavo dell'acropoli di Elea, p.<br />
362 ss.), riconosce che si comincia ad accettare l'ipotesi<br />
dell'impiego delle terrecotte architettoniche<br />
verosimilmente raccolte in "sistemi semplificati"<br />
anche nell'architettura privata.<br />
Alla luce delle osservazioni che precedono, le
200 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />
riflessioni di Charlotte ed Orjan Wikander (p. 42<br />
s.) sembrano assumere il valore di un proclama,<br />
nel ribadire che "l'intero tetto [...] dovrebbe essere considerato<br />
come una entità [...] l'analisi stilistica degli<br />
elementi decorativi è solo una parte di questo processo":<br />
l'analisi di un tetto deve includere "tutti i suoi<br />
elementi", il contesto archeologico, le tradizioni regionali<br />
e il fattore di produzione (production [actor),<br />
cui dovrebbero aggiungersi le analisi chimiche<br />
delle argille, vernici ed altre caratteristiche tecniche.<br />
Queste ultime hanno assunto in effetti - nel<br />
corso degli ultimi decenni - un rilievo progressivamente<br />
crescente, in perfetta consonanza con quanto<br />
auspicato da Arvid Andrén nel 1940 sulle orme<br />
di Alessandro Della Seta, che, già nel 1918,fondava<br />
la sua classificazione delle terrecotte architettoniche<br />
conservate nel Museo di Villa Giulia, su criteri<br />
"tecnici e stilistici", quali l'analisi: a) della qualità<br />
dell'argilla; b) della fattura; c) della posizione<br />
sul tetto; d) della forma e del soggetto.<br />
Al "contesto archeologico", inteso come parte<br />
dei "criteri tecnici", già Knoop, nella prima Conferenza<br />
(1990),attribuiva un ruolo fondamentale, riconoscendo<br />
al tempo stesso nell'insieme dei criteri<br />
stilistici e tecnici i migliori strumenti di classificazione.<br />
Se Alessandro Della Seta rilevava che "nel<br />
complesso il materiale decorativo permette per ogni tempio<br />
di rintracciare la sua storia, di riconoscere in che età<br />
è sorto, quali rifacimenti ha subito", a quasi un secolo<br />
di distanza, i curatori del volume nell'Introduzione<br />
affermano che oggi i rivestimenti dei tetti, al<br />
pari delle ceramiche e delle monete, possono essere<br />
utilizzati come evidenza datante e, pur in assenza<br />
dell'alzato di un edificio, essere valorizzati addirittura<br />
come documento della tecnica costruttiva<br />
dell'edificio stesso, in quanto capace di sostenere<br />
un determinato rivestimento fittile.<br />
Anche il problema del concreto operare degli<br />
ateliers è stato affrontato nella parte introduttiva.<br />
Nel suo intervento del 1990 (Deliciae Fictiles I)<br />
Knoop definiva "sensata" la nozione di "tradizione<br />
regionale" elaborata da J. P. Riis nel 1938, nella<br />
convinzione della relativa autonomia delle tradizioni<br />
stilistiche dei diversi comprensori dell'Italia<br />
antica; a queste ultime anche Nancy Winter, nella<br />
prima Conferenza sulle terrecotte architettoniche<br />
greche arcaiche, tenutasi ad Atene nel 1988,esortava<br />
gli studiosi a rivolgere maggiore attenzione.<br />
Quasi memori di tali richiami, i curatori del volume<br />
ricordano nell'Introduzione che all'interno di<br />
queste tradizioni diversificate la continua ricerca e<br />
le Conferenze hanno consentito di precisare la conoscenza<br />
delle sequenze e della cronologia.<br />
Il "fattore di produzione" è riconsiderato nelle<br />
sue linee generali da Charlotte ed Orjan Wikander<br />
(Architectural Terracottas in Theory and Practice, p.<br />
42 ss.) ed esaminato in relazione al sito di Selvasecca<br />
(VT)da Martin Soderlind (The Function of ihe<br />
Terracottas from Seluasecca, p. 116 ss.): il fuoco delle<br />
indagini è portato sull'uso e il riuso delle singole<br />
matrici nonché sul movimento delle botteghe ed il<br />
commercio degli stampi: si tratta di una tematica<br />
di fondamentale importanza, che inerisce al problema<br />
dell'esistenza di officine locali presso gli<br />
edifici da decorare o del trasferimento di intere<br />
equipes artigianali dall'esterno, e alla questione dell'importazione<br />
dei materiali (matrici, argille, sgrassanti)<br />
fino alla possibilità dell'importazione di interi<br />
"tetti finiti".<br />
La centralità dell'apporto campano (evidente<br />
nei rivestimenti di seconda fase degli edifici di satricum),<br />
sostenuta da Knoop nella prima Conferenza<br />
del 1990, è confermata anche dal fatto che nel<br />
presente volume "i contributi sulla Campania formano<br />
la maggior parte degli Atti".<br />
Su tale presupposto si fonda il contributo di<br />
Nancy Winter, The Origin of the Recessed Gable in<br />
Etruscan Architecture (p. 45 ss.), nel quale la studiosa<br />
evidenzia la "crescente consapevolezza del prestito e<br />
dell'adattamento dai Greci della Campania ai popoli dell'Italia<br />
Centrale e dell'Etruria".<br />
Considerato uno dei caratteri peculiari del<br />
tempio tuscanico, il timpano "incassato" ebbe origine<br />
probabilmente nella Campania etrusca, su tetti<br />
di templi etrusco-italici con caratteristiche di stile<br />
greco-dorico (cioè con frontone e peristilio), che<br />
erano però realizzati in mattoni crudi e legno e che<br />
richiedevano pertanto un rivestimento fittile. Quest'ultimo<br />
prevedeva l'inserimento di un tetto interno<br />
di tegole sul piano pavimentale del timpano incassato,<br />
ornato con un tipo di decorazione da subito<br />
differenziata rispetto a quella delle gronde: se<br />
ad esempio le antefisse degli spioventi erano del<br />
tipo con testa nimbata, quelle timpanali erano più<br />
piccole e prive del nimbo.<br />
Sorto nella Campania etrusca, il timpano "incassato"<br />
attraversa il Lazio come parte di uno stile<br />
architettonico campano e raggiunge l'Etruria propria<br />
nel tardo arcaismo, divenendo parte di un sistema<br />
coerente ed unificato di tetto (corrispondente<br />
al tetto di II fase di Della Seta).<br />
Alla questione centrale dei rapporti tra Campania,<br />
Lazio ed Etruria sono dedicati altri saggi distribuiti<br />
nelle diverse sezioni del volume.
2006] RECENSIONI 201<br />
Particolarmente importante appare il contributo<br />
dedicato a "Piihekoussai e Kyme: il contesto produttivo<br />
e una nuova testa femminile da Kyme" (p. 268<br />
ss.), nel quale Carlo Rescigno delinea sinteticamente<br />
le tappe della storia della produzione dall'epoca<br />
tardo-orientalizzante alla metà del VI sec. a.c.,<br />
con la definizione del sistema campano canonico<br />
che si "congela come prototipo a seguito dell'ampia diaspora<br />
dei plasticatori campani" (p. 269) e costituisce<br />
la base per il passaggio, nei tetti etrusco-laziali, alla<br />
II fase di Della Seta, caratterizzata da antefisse<br />
nimbate a testa femminile, a palmetta diritta e rovescia,<br />
a maschera gorgonica; da tegole di gronda,<br />
lastre di rivestimento, sime rampanti, acroteri a disco.<br />
A Cuma, dove è documentato "tutto il sistema<br />
tecnico e iconografico", spetta con certezza un ruolo<br />
di primo piano nella elaborazione dei tetti campani<br />
di II fase, come centro propulsore e di sperimentazione.<br />
A fronte delle richieste avanzate da una<br />
committenza di eliies residente nella piana campana<br />
e nello scacchiere tirrenico, Cuma risponde, dopo<br />
la metà del VI sec. a.c. (550-530/10 a.C,), con il<br />
trasferimento di equipes di artigiani, con l'esportazione<br />
di prodotti finiti, con la circolazione dei prototipi.<br />
Gli intensi contatti stabiliti tra Cuma e Capua<br />
determinano il trasferimento di artigiani dalla costa<br />
verso l'interno e conducono alla creazione di<br />
una tradizione locale, che affianca la lezione cumana<br />
fino alla fine del VI sec. a.c.<br />
La nuova trasformazione del sistema campano,<br />
alla fine del VI sec. a.c. (con l'introduzione delle<br />
antefisse a testa femminile entro loto - affiancate<br />
dalle maschere gorgoni che con capelli a chiocciola,<br />
dalle lastre e dagli anthemia figurati, dai rivestimenti<br />
dei geisa, fra i quali si affermano le "cassette")<br />
è forse ancora ascrivibile a Cuma, dove l'attività<br />
delle botteghe non si esauriva all'interno delle<br />
fabbriche tempi ari.<br />
Anche l'articolo di Giovanna Greco sull' antefissa<br />
nimbata di tipo campano (L'antefissa a nimbo<br />
di tipo campano. Circolazione e sopravvivenza di un<br />
modello, p. 378 ss.), pur sviluppando una indagine<br />
soprattutto rivolta alla diffusione dei modelli campani<br />
alle popolazioni del Sannio e dell' Apulia (accennando<br />
anche alla ripresa su motivazioni ideologiche<br />
di schemi arcaici da parte dei decoratori del<br />
santuario di Rossano di Vaglio nella media età ellenistica),<br />
offre però una ampia panoramica che<br />
sintetizza le principali posizioni degli studiosi in<br />
merito primariamente all' eventuale derivazione<br />
greco-orientale del modello, nonché alla diffusione<br />
di questo tipo caratteristico del sistema di copertura<br />
"campano".<br />
Molti sono gli studiosi che sostengono l'apporto<br />
ionico nella genesi del modello campano, assegnando<br />
un ruolo decisivo a Velia; una ipotesi inaccettabile<br />
dato che recenti ricerche hanno dimostrato<br />
che la colonia focea, nella decorazione dei tetti<br />
di prima generazione, adotta uno schema adoperato<br />
nell' area del golfo cumano, e non quello in uso<br />
nella madre patria, dove è attestato l'impiego di lastre<br />
di fregio a stampo. Nel VI sec. a.c., tra Pitecusa<br />
e Cuma, si sperimentano forme e motivi decorativi<br />
che avranno larga diffusione e circolazione. L'antefissa<br />
nimbata troverà a Capua realizzazioni e varianti<br />
assai ricche: matrici e prototipi circoleranno<br />
in area etrusca e laziale con grande fioritura nei<br />
tetti diII fase.<br />
Vera e propria "cartina di Tornasole" delle influenze<br />
campane verso l'Italia centrale, l'articolo<br />
"Roofs from the South. Campanian Architectural Terracottas<br />
in Satricum" (p. 235 ss.), Patricia Lulof discute<br />
il cosiddetto "sistema di tetto campano", esaminando<br />
la copertura del tempio 1 di Sairicum (525 a.Ci)<br />
dedicato a Mater Matuta, nella quale sono state individuate<br />
ben ventidue classi di tipi decorativi comprendenti<br />
antefisse, lastre, acroteri, tegole. Tecniche,<br />
tipi, materiali omogenei riconducono ad una bottega<br />
campana, cumana in particolare, il cui legame<br />
con Satricum è stato chiarito da Carlo Rescigno.<br />
In relazione al tetto di Sairicum, che porta un<br />
contributo importante alla questione delle "botteghe<br />
itineranti", la studiosa formula tre ipotesi: 1)<br />
commissione del tetto ad una bottega campana itinerante,<br />
che porta con sé materiale e matrici, 2) ad<br />
una bottega affiliata ad una campana, che opera a<br />
Satricum con materiali importati dalla Campania,<br />
3) importazione dalla Campania del tetto completo,<br />
prefabbricato.<br />
Se la prima ipotesi è valida - secondo la Lulof<br />
- per il periodo tardo-arcaico, il rinvenimento lungo<br />
la costa tirrenica, in relitti di età ellenistica, di<br />
terrecotte architettoniche insieme a carichi di tegole,<br />
indurrebbe a ritenere che, in certi periodi, fossero<br />
esportati via mare interi sistemi di copertura dei<br />
tetti. Il tetto del tempio 1 di Sairicum, commissionato<br />
in Campania, sarebbe potuto arrivare per via<br />
marittima accompagnato da un team di tecnici specializzati<br />
per montare la copertura fittile sul posto.<br />
Al problema delle botteghe, visto sia nella diatopia<br />
che nella dimensione diacronica, è dedicato<br />
anche lo studio di Claudia Carlucci, Osservazioni
202 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />
sulle associazioni e sulla distribuzione delle antefisse di<br />
II fase appartenenti ai sistemi decorativi etrusco-laziali<br />
(p. 2 ss.). I risultati si concretano in primo luogo<br />
nella formulazione di una tipologia che comprende<br />
due serie di antefisse - limitate alla sola testa maschile<br />
o femminile ed a figura intera - distinte rispettivamente<br />
in sette e quattro tipi, dei quali la<br />
studiosa segue la distribuzione tra Etruria meridionale<br />
e Lazio; istituendo poi alcune correlazioni<br />
tra i principali accadimenti storici e le vicende delle<br />
botteghe, la studiosa distingue la produzione di<br />
fine VI sec. a.c., in cui ciascun centro principale<br />
realizza un proprio sistema decorativo originale<br />
(Caere nei templi di Pyrgi, Veio in quello di Apollo<br />
al Portonaccio e Lanuvio nel tempio di Iuno Sospita),<br />
con scarsa circolazione del sistema al di fuori<br />
dei limiti del singolo centro, e quella dei primi decenni<br />
del V sec. a.c., che riflette una situazione fortemente<br />
mutata, caratterizzata dalla grande diffusione<br />
dei sistemi decorativi o di parte di essi su<br />
un'area che accomuna Lazio, Agro Falisco ed Etruria<br />
del sud.<br />
La seconda sezione, riservata all'Etruria, si<br />
apre con il contributo di Gilda Bartoloni (Veio: l'abitato<br />
di Piazza d'Armi.Le terrecotte architettoniche, p.<br />
50 ss.) che espone i risultati degli scavi condotti a<br />
Veio-Piazza d'Armi fino all' ottobre 2002. Essi hanno<br />
consentito l'individuazione di tre edifici nella<br />
zona ovest del pianoro, che documentano l'esistenza<br />
di una fase antica risalente alla seconda metà<br />
del VII sec. a.C, in cui, come a Megara Hyblea, si<br />
definisce lo spazio abitato, indiziato anche a Veio<br />
dalla presenza del rituale del solco praticato per la<br />
fondazione della città. Alla metà del VII sec. a.c.<br />
Piazza d'Armi diviene la sede di un gruppo aristocratico,<br />
caratterizzata dalla presenza di un luogo di<br />
culto (oikos) vicino ad una probabile torre (affine<br />
all'hestiatorion del Portonaccio), che non conosce -<br />
a differenza dell' area urbana - una fase successiva<br />
di monumentalizzazione. Lo studio delle terrecotte<br />
architettoniche dell' edificio di Piazza d'Armi ha<br />
condotto alla ricostruzione di sistemi decorativi diversi<br />
da quelli ipotizzati dallo Stefani e più vicini a<br />
quelli proposti da Francesca Melis, nei quali la<br />
quasi totalità degli elementi è riferita alla prima fase<br />
decorativa (fine VII sec. a.C),<br />
L'edizione di documenti inediti caratterizza<br />
anche le relazioni di Volker Kàstner (Ikonographische<br />
bemerkenswerte Fragmente von sdtarchaischen Terrakottajriesen<br />
aus Cerveteri in der Berliner Antikensammlung,<br />
p. 77 ss.) e di Adriano Maggiani-Vincenzo<br />
Bellelli (Terrecotte architettoniche da Cerveteri,<br />
Vigna parrocchiale: nuove acquisizioni, p. 83 ss.) che<br />
presentano materiali ceretani, provenienti rispettivamente<br />
da vecchi scavi (come i frammenti di lastre<br />
con arcieri a cavallo e con altare a gradini conservati<br />
a Berlino, che trovano stretti paralleli iconografici<br />
nell' arte greca) e dalle recenti indagini alla<br />
Vigna Parrocchiale, che hanno restituito sime rampanti,<br />
lastre di rivestimento, acroteri a ritaglio.<br />
Con le sue testimonianze tardo-orientalizzanti<br />
ed alto-arcaiche (tra le quali antefisse con triangolo<br />
traforato confrontabili con quelle di Acquarossa),<br />
Vigna Parrocchiale offre un dossier documentale rilevante<br />
per la conoscenza delle terrecotte architettoniche<br />
etrusche di I fase, "inquadrando il ruolo giocato<br />
da Caere nell'elaborazione delle prime esperienze di<br />
coroplastica architettonica in Etruria". In particolare<br />
"le nuove evidenze ceretane forniscono materia per la<br />
dibattuta questione dell'origine e lo sviluppo della sima<br />
in Etruria", per la quale finora ha giocato un ruolo<br />
importante solo il sito di Acquarossa grazie all' abbondanza<br />
della documentazione. Per l'età ellenistica,<br />
il frammento di sima con testa fuoriuscente da<br />
cespo d'acanto fra semipalmette si situa in una posizione<br />
intermedia fra i modelli campani e le successive<br />
elaborazioni romane, suggerendo che Caere<br />
abbia svolto una funzione di primo piano nella<br />
mediazione del repertorio figurativo della coroplastica<br />
architettonica campana di età ellenistica nel<br />
resto d'Italia.<br />
Altre novità emergono dal contributo di Annamaria<br />
Sgubini Moretti e Laura Ricciardi, dedicato a<br />
"Vulci: materiali architettonici di vecchi e nuovi scavi"<br />
(p. 103 ss.). Al recupero dell'antefissa più antica sinora<br />
ritrovata nella città sul Fiora, configurata a testa<br />
di Gorgone, da confrontare con il noto esemplare<br />
dalla Regia di Roma, si unisce quello di un<br />
frammento di lastra delimitata inferiormente da<br />
guilloche a rilievo: il tipo, la cui creazione va probabilmente<br />
attribuita a Vulci, fu da questo centro trasmesso<br />
non solo a Murlo e Poggio Buco, come affermano<br />
le autrici, ma anche a Roselle, come indica<br />
il frammento di lastra rinvenuto nell'area dell'anfiteatro<br />
(D. Canocchi, in Roselle. Gli scavi e la mostra,<br />
Pisa, s.d., p. 40, n. 4, tav. 5, d). Infine, alle numerose<br />
testimonianze dell' antefissa a testa femminile entro<br />
nimbo con ovoli, si affianca ora l'acquisizione<br />
della controparte maschile rappresentata dal sileno<br />
calvo.<br />
Prende nuova consistenza la presenza a Vulci<br />
di una scuola di coroplasti aperti ai contatti con gli<br />
altri centri dell'Etruria meridionale e con Roma,<br />
capaci di elaborazioni originali che trasmettono<br />
nella seconda metà del VI sec. a.c. al territorio del-
2006) RECENSIONI 203<br />
la città e all'Etruria interna. Si registrano due tendenze<br />
diverse forse rapportabili a botteghe differenti,<br />
l'una identificabile con le maestranze attive<br />
presso il Tempio Grande (I fase), capaci di recepire<br />
e rielaborare tendenze provenienti dall' area magno-greca<br />
giunte attraverso il Lazio e l'Etruria meridionale,<br />
e, l'altra, riconoscibile negli artigiani<br />
operanti al tempio di Ponte Sodo, più conservatori<br />
e dediti alla riproduzione di temi largamente diffusi<br />
anche nel repertorio ceramografico, come<br />
quello dei fregi animalistici.<br />
L'analisi del funzionamento delle botteghe ripropone<br />
con forza l'attenzione su] "fattore di produzione",<br />
a lungo - secondo Charlotte ed Orjan<br />
Wikander - trascurato, che si estende dall'individuazione<br />
delle cave di argilla al reperimento degli<br />
artigiani e degli spazi di lavoro. Prediligendo l'ipotesi<br />
della bottega itinerante, rispetto a quella de]<br />
possibile trasporto del prodotto finito, gli studiosi<br />
riconoscono nella produzione "in loco" la normalità<br />
operativa nel periodo arcaico, che non escludeva il<br />
temporaneo afflusso di artigiani, matrici, argilla<br />
dall'esterno. I luoghi di produzione, anche se ancora<br />
scarsamente documentati, dovevano essere, al<br />
pari di quanto avveniva in Grecia e Magna Grecia,<br />
vicini all'abitato, come sembrano attestare la "bottega"<br />
di Murlo, adiacente al palazzo e, ad Acquarossa,<br />
l'uso di argille locali.<br />
Nella medesima ottica, il ruolo del sito di Selvasecca<br />
(Blera), che era stato guardato come probabile<br />
luogo di produzione di terrecotte architettoniche<br />
per il territorio, è stato ridimensionato da Martin<br />
Soderlind (p. 116), che ritiene la produzione del<br />
sito funzionale esclusivamente alla villa etrusca,<br />
poi romana, lì rinvenuta.<br />
Mentre, infatti, secondo lo studioso, motivi<br />
iconografici e processo di produzione rimandano a<br />
Tarquinia (che già in età arcaica esportava le sue<br />
matrici a Roselle e Capua), "luogo di rinvenimento,<br />
contesto e analisi delle argille", cui si somma la presenza<br />
di matrici per la maggior parte costituite da<br />
calchi di seconda generazione, "suggeriscono che la<br />
decorazione fittile fosse fatta ed usata per la villa". La<br />
presunta funzione di atelier di produzione per altri<br />
centri avrebbe comportato, a parere di Soderlind,<br />
una differente ubicazione del sito, da immaginarsi<br />
in prossimità di incroci viari, centri urbani o edifici<br />
sacri di rilievo.<br />
Nuovi risultati emergono da alcuni scavi recenti<br />
condotti ai limiti del territorio toscano, tra To-<br />
scana ed Umbria, nei siti di Ossaia, presso Cortona,<br />
e di Castiglion Fiorentino.<br />
Il contributo di Helena Fracchia e Maurizio<br />
Gualtieri (Late Hellenistic-Roman Terracottas from<br />
Cortona, p. 97 ss.) presenta i dati relativi a due aree<br />
santuariali, ubicate, rispettivamente, nel territorio<br />
extra-urbano di Camucia, ai piedi di Cortona, e nel<br />
comprensorio rurale di Ossaia. La posizione topografica<br />
di queste aree sacre si rivela di fondamentale<br />
importanza ai fini dello studio della loro "frequentazione"<br />
ed utilizzo cultuale da parte degli<br />
abitanti del territorio e dei frequentatori occasionali,<br />
in viaggio lungo la via Cassia, una delle principali<br />
direttrici di traffico commerciale verso l'interno.<br />
Le nuove scoperte effettuate nel Cassero di Castiglion<br />
Fiorentino, illustrate nella relazione coordinata<br />
da Paola Zamarchi Grassi (Le terrecotte architettoniche<br />
del tempio etrusco del piazzale del Cassero, p.<br />
136 ss.), hanno guadagnato alla conoscenza del territorio<br />
tra Arezzo e Cortona un nuovo insediamento<br />
etrusco, importante snodo viario verso la Val Tiberina<br />
e l'Adriatico. Il santuario etrusco contava<br />
più edifici, con un arco di vita tra la seconda metà<br />
del VI ed il III - II sec. a.c. Il complesso delle terrecotte<br />
architettoniche rivela strette affinità, al pari<br />
della pianta del tempio (riconosciuto, soltanto con<br />
gli scavi del 2000, come probabile tempio canonico<br />
vitruviano), con l'ambiente orvietano (in particolare<br />
con il. tempio del Belvedere); le antefisse a protome<br />
leonina richiamano invece quelle dei centri<br />
costieri di Populonia, Roselle, Pisa e, nell'interno,<br />
quelle dell'agro chiusino, di Arezzo e Fiesole.<br />
All' aspetto iconografico, con implicazioni di<br />
carattere socio-politico-culturale, fanno riferimento<br />
gli interventi di Margareta Strandberg Olofsson<br />
(Herakles revisited. On the interpretation of the mouldmade<br />
architectural terracottas fron Acquarossa, p. 122<br />
ss.) e di Antony Tuck (The Social and Poliiical Context<br />
of the 7th Century Architectural Terracottas at<br />
Poggio Civitate, p. 130 ss.), relativi ai siti di Acquarossa<br />
e Murlo.<br />
L'analisi condotta sulle lastre di rivestimento<br />
della "Regia" di Acquarossa, distinte in quattro tipi,<br />
sottolinea l' "effetto di massa" derivante dalla<br />
ripetizione dei soggetti e rivela il carattere emblematico<br />
della figura di Herakles che diviene figura<br />
"inserto". Herakles, l'eroe del mito che tutti conoscono<br />
e riconoscono, racchiude, nella sua figura, significati<br />
mitologici unitamente ai valori ideologico-politici<br />
e rituale-iniziatici, rispondenti alla fisionomia<br />
della classe dominante etrusca.
204 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />
I coroplasti di Acquarossa utilizzano set di immagini<br />
note ed emblematiche, come quella dell'eroe,<br />
per creare un'imagerie carica di allusioni, un<br />
programma figurativo in cui si descrive una celebrazione<br />
in un modo tipizzato. La ripetizione della<br />
figura di Herakles tra gli armati a piedi e a cavallo<br />
- che formano le schiere del ceto aristocratico -<br />
sottolinea indubitabilmente la loro forza, il loro coraggio,<br />
la loro assoluta ed eterna invincibilità.<br />
La riflessione di Anthony Tuck scaturisce dall'analisi<br />
dell' apparato decorativo del Palazzo più<br />
antico di Murlo, che include antefisse a testa femminile<br />
(la potnia theron, secondo l'A) tra gocciolatoi<br />
a protome felina. La controparte maschile è rappresentata<br />
dall' antefissa "canopica", da interpretarsi<br />
sia come figura paredra della dèa della fertilità,<br />
una sorta di despotes theron, sia come maschera<br />
ancestrale.<br />
"Ancestry", come fonte dell' autorità socio-politica<br />
del leader, e fertilità, come strumento per detenere<br />
e perpetuare questa autorità, sono alla base<br />
dell'ideologia della comunità aristocratica in sediata<br />
a Murlo, che è insieme residenza principesca,<br />
centro di produzione, sede religiosa. Questi due<br />
concetti confluiscono e si coniugano nell'iconografia<br />
dello hieros gamos, dove l'unione del mortale<br />
con la divinità investe l'uomo di quell'autorità che<br />
la parte divina garantisce ed assicura in eterno.<br />
I medesimi concetti sono ribaditi nel sistema<br />
decorativo dell' edificio più recente di Murlo, in cui<br />
le teste femminili, corrispondenti alla potnia theron,<br />
ornano la sponda della sima alternate alle rosette,<br />
e i grandi acroteri, le immagini ancestrali, rappresentano<br />
"l'amplificazione dell'idea implicita nelle antefisse<br />
canoniche" e dove la più chiara ipostasi del<br />
matrimonio sacro è offerta dal consesso di personaggi<br />
seduti raffigurato sulle lastre, nel quale l'unica<br />
figura divina (secondo l'A), la dèa su trono,<br />
siede alle spalle del personaggio maschile investito<br />
dell' autorità politica che ella è posta a legittimare.<br />
Alle nuove scoperte effettuate nel territorio orvietano<br />
sono dedicati gli articoli di Anna Eugenia<br />
Feruglio (Le terrecotte architettoniche dall'area del Palazzo<br />
del capitano del popolo a Orvieto, p. 152 ss.) e Simonetta<br />
Stopponi (Volsiniensia disiecta membra, p.<br />
210 ss.).<br />
Le terrecotte architettoniche (antefisse a testa<br />
maschile e femminile, lastre di rivestimento, frammenti<br />
di tegole di gronda con ornato dipinto) illustrate<br />
dalla Feruglio costituiscono un complesso<br />
decorativo coerente, che ribadisce l'uniformità dello<br />
stile orvietano e dei suoi sistemi decorativi alla<br />
fine del IV - inizi del III sec. a.c., già evidenziata<br />
dalla Stopponi per l'età arcaica. Quest'ultima presenta<br />
le novità dagli scavi in corso dal 2000 al<br />
Campo della Fiera, nonché i risultati dei riscontri<br />
effettuati sui pezzi rinvenuti nei vecchi scavi orvietani,<br />
ora distribuiti tra i Musei di Berlino, Toronto,<br />
Philadelphia. L'individuazione di attacchi<br />
fra i pezzi messi in luce di recente e quelli conservati<br />
nei Musei americani e tedeschi, conduce a due<br />
risultati di rilievo. Da una parte, ne esce confermata<br />
l'identità delle aree indagate dai vecchi scavi e<br />
dalle ricerche in corso, consentendo, dall' altra, la<br />
ricostruzione di elementi del)' apparato decorativo<br />
fittile, grazie ai quali Orvieto "porta un ulteriore<br />
aspetto di novità nella fabbricazione di tali elementi architettonici"<br />
(p. 212). Lo dimostrano, fra le altre,<br />
l'antefissa a testa di Gorgone, che presenta attacchi<br />
con un' antefissa conservata a Berlino, e la lastra di<br />
columen? a bassorilievo che, come quella di Satricum,<br />
potrebbe rappresentare il "missing link" tra le<br />
lastre frontonali dipinte e quelle ad altorilievo, con<br />
alcune parti - generalmente le teste - modellate a<br />
tutto tondo.<br />
Il confronto di alcune antefisse a testa femminile<br />
con tipi noti nel Lazio meridionale e in Campania<br />
(Velia, Capua, Minturno, satricum) consente<br />
di estendere l'analisi anche al problema della circolazione<br />
dei modelli, in particolare ai tempi, modi,<br />
itinerari della loro trasmissione a Orvieto. Nel<br />
quadro di distribuzione dei tipi campani formulato<br />
da Carlo Rescigno, che prevede un percorso dalla<br />
Campania a Roma, al distretto ceretano-pyrgense,<br />
quindi all'Etruria settentrionale tramite i centri costieri<br />
(Roselle?) o quelli della Val Tiberina, Orvieto<br />
potrebbe configurarsi come centro di trasmissione<br />
grazie ad artigiani itineranti verso la costa (Roselle<br />
e l'Etruria settentrionale in genere) tramite il comprensorio<br />
aretino.<br />
Accanto al ruolo di trasmissione, Orvieto svolse<br />
certo anche quello di centro di produzione, attestato<br />
da alcuni frammenti che "testimoniano, al momento,<br />
la fase iniziale dell'attività di coroplasti a Orvieto"<br />
(p. 219).<br />
Assai numerosi sono anche i contributi che<br />
trattano le problematiche della produzione coroplastica<br />
in età ellenistica in area centroitalica. Sulla<br />
tecnica di realizzazione delle terrecotte architettoniche<br />
e sulla ricostruzione ed interpretazione di alcuni<br />
gruppi frontonali figurati si basano i contributi<br />
su Chieti di Gabriele Iaculli (Note sulla tecnica di<br />
esecuzione di alcune terrecotte della Civitella di Chieti,<br />
p. 164 ss.) e di Daniela Liberatore (Le terrecotte architettoniche<br />
della Civitella di Chieti: il frontone delle
2006] RECENSIONI 205<br />
Muse, p. 181 ss.), che del materiale della Civitella,<br />
recentemente restaurato, fornisce una ricostruzione<br />
e una lettura inedite.<br />
Iaculli si sofferma sull' analisi di frammenti di<br />
sime e lastre che forniscono documentazione relativa<br />
sia all'uso prolungato di una stessa matrice, sia<br />
alla tecnica di realizzazione dei positivi a stampo o<br />
modellati a mano.<br />
Emerge, nell'intervento di Iaculli, il rapporto<br />
dialettico che esiste fra maestranze itineranti e botteghe<br />
locali; le terrecotte teatine evidenziano infatti<br />
l'intervento di maestranze provenienti dall'esterno<br />
per la prima decorazione degli edifici, come sembrano<br />
provare, da un lato, l'affinità delle stesse<br />
matrici con quelle delle serie urbane e, dall' altro, i<br />
chiari influssi delle botteghe campane, ravvisabili,<br />
in primo luogo, nella composizione delle argille,<br />
ricche di inclusi vulcanici provenienti dall'area flegrea.<br />
D'altro canto, le maestranze esterne non riuscirono<br />
a dar vita ad una scuola locale di "alto artigianato",<br />
né a favorire la nascita di una bottega di<br />
coroplasti locali contrassegnata da un buon livello<br />
artistico.<br />
Novità di grande interesse emergono anche<br />
dalla presentazione di due lotti di terrecotte (soprattutto<br />
lastre di rivestimento) provenienti rispettivamente<br />
da un santuario identificato a Pale di<br />
Foligno (PG), "lungo la via Plestina", analizzato da<br />
Maria Romana Picuti (p. 194 ss.), e dagli scavi in<br />
corso nella valle del Sangro, in Abruzzo, studiate<br />
da Susan Kane (Terracotta dolphin plaques from Monte<br />
Pallano, p. 176 ss.).<br />
Apre la sezione dedicata a Falisci, Roma e Lazio<br />
Francesco M. Cifarelli (p. 224 ss.), che analizza<br />
il sistema di rivestimento del tempio di Iuno Moneta<br />
a Segni, riferibile alla quarta fase decorativa -<br />
tardorepubblicana - (II sec. a.Ci) dell'edificio, successiva<br />
a quelle di VI, di inizi Vedi III sec. a.c. Lo<br />
studio porta all'individuazione di un nuovo edificio<br />
(forse un portico assimilabile a quello di Falerii)<br />
ubicato accanto al tempio, al quale rimanderebbero<br />
frammenti di sime diverse da quelle impiegate<br />
nella decorazione dell'edificio principale. Un tipo<br />
di antefissa particolare, con figura femminile che si<br />
svela (nota solo a Segni e ad Ardea), sembra attestare<br />
la presenza di un modello creato appositamente<br />
per questo tempio e correlato iconograficamente<br />
al culto di Iuno.<br />
Alla nuova ricostruzione ed alla nuova esegesi<br />
di gruppi frontonali, rispettivamente del tempio di<br />
Celle a Falerii e di via San Gregorio a Roma, sono<br />
dedicati gli interventi di Françoise Hélène Massa<br />
Pairault (Considerazioni su un gruppo frontonale da<br />
Faleri, p. 243 ss.) e di Laura Ferrea (La ricomposizione<br />
del frontone da Via di S. Gregorio, p. 232 ss.)<br />
Analizzando l'importanza della tradizione artistica<br />
greca nella scultura frontonale etrusco-italica<br />
e affrontando il problema delle modalità di trasposizione<br />
e di interpretazione di temi e di soluzioni<br />
tecniche che risalgono alla scultura architettonica<br />
post-fidiaca, la Pairault giunge ad una nuova<br />
lettura del gruppo plastico figurato dal tempio<br />
di Iuno a Falerii, oggetto di diverse interpretazioni<br />
da parte degli studiosi, da Arvid Andrén a Mauro<br />
Cristofani. Riprendendo la lettura di Tobias Dohrn<br />
(gruppo uomo-donna), la studiosa interpreta la<br />
scena come ratto / hierogamia, identificando i due<br />
personaggi con Haleso - l'eroe fondatore di Falerii<br />
- e la ninfa locale e chiamando a confronto le figure<br />
mitiche di Tibur, fondatore di Tivoli, e della ninfa<br />
Albunea.<br />
Dopo la nuova "restituzione" del gruppo plastico<br />
frontonale di via San Gregorio, scoperto nel<br />
1878 e presentato in un nuovo allestimento nei<br />
Musei Capitolini nel novembre 2002, la Ferrea propone<br />
una lettura in chiave cerimoniale-sacrificale<br />
del soggetto, che prevede al centro le figure di<br />
Marte e di due divinità femminili, verso le quali<br />
convergono un offerente togato, tre vittimari e sei<br />
animali sacrificali. L'indagine condotta sia sui materiali<br />
pertinenti al tempio ma mai esposti e sui<br />
documenti di archivio ha consentito inoltre alla<br />
Ferrea di ricostruire numerose lastre di sima frontonale,<br />
che presentano all'apice del timpano il<br />
gruppo figurato composto da Ercole, Hesione e il<br />
mostro marino.<br />
La centralità di Roma emerge con particolare<br />
evidenza nel contributo di Maria [osè Strazzulla<br />
(Le terrecotte architettoniche nei territori italici, p. 25<br />
ss.) che, per quanto inserito nella prima sezione,<br />
tratta argomenti che meglio avrebbero trovato posto<br />
nella quarta, nel quale la studiosa analizza "le<br />
terrecotte architettoniche nei territori italici" durante il<br />
periodo ellenistico, quando il ruolo di Roma nella<br />
trasmissione dei modelli e nell' acquisizione e sviluppo<br />
dei sistemi di rivestimento, si afferma ulteriormente<br />
per effetto della romanizzazione, del<br />
contatto con Etruria e Lazio e della fondazione di<br />
colonie latine.<br />
Prendendo in esame i complessi di terrecotte<br />
italiche, la Strazzulla tende ad esaltarne l'originalità,<br />
che a suo avviso risalta in primo luogo nelle<br />
scelte e nelle preferenze esercitate sui modelli da<br />
imitare. L'adeguamento alle tipologie "ufficiali"
206 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />
della Capitale, facendo ricorso a maestranze campane<br />
(cf. ad es. il Tempio B di Pietrabbondante - III<br />
sec. a.C.), comporta una successiva rielaborazione<br />
locale degli schemi con l'introduzione di particolari<br />
privi di riscontro altrove e destinati localmente a<br />
grande fortuna, come sembrano provare le antefisse<br />
di Chieti con "Ercole seduto nell' atto di disvelarsi",<br />
prive di confronto in ambito etrusco-laziale<br />
e forse volute dalla committenza o dalle maestranze<br />
locali come latrici di un messaggio solitamente<br />
affidato ad altre parti del rivestimento, quali il timpano<br />
o gli acroteri.<br />
L'ampio resoconto che nelle pagine che precedono<br />
si è dato delle prime sezioni del volume è<br />
sufficiente a illustrare il gradiente di novità e l'ampiezza<br />
dei problemi affrontati nel corso del convegno<br />
romano sulle terrecotte architettoniche. Non è<br />
possibile in questa sede dar conto ulteriore dei<br />
molti contributi contenuti nelle altre sezioni, dedicate<br />
alla Campania e alla Magna Graecia (ben tredici<br />
saggi, undici dei quali trattano materiali e problematiche<br />
relative alle aree di Cuma-Pitecusa, Capua,<br />
Teano, Elea e due quelli relativi a Crotone e a<br />
altre località magno-greche) e alla Sicilia (sette lavori,<br />
che si concludono con un importante contributo<br />
di Paola Pelagatti sulle antefisse di Sicilia).<br />
In conclusione, gli atti del terzo convegno segnano<br />
un notevole passo in avanti per la conoscenza<br />
dei sistemi di copertura nell'antichità e costituiscono<br />
una adeguata premessa al prossimo convegno,<br />
Deliciae fictiles IV, la cui preparazione è stata<br />
già annunciata da Ingrid Edlund-Berry.<br />
Simona Rafanelli<br />
ESTE II. LA NECROPOLI DI VILLA BENVENUTI<br />
Monumenti Antichi, Accademia Nazionale dei Lincei, serie monografica vol. VII, (LXIVdella serie generale),<br />
Roma, Giorgio <strong>Bretschneider</strong> Editore 2006, pp. 536, tavole di grafici 1-223, tavole fotografiche I-LXIV.<br />
L. CAPUIS, A. M. CHIECO BIANCHI<br />
Nell'ambito di un ampio progetto volto all'edizione<br />
sistematica delle necropoli atestine, è stato<br />
pubblicato Este II, a ventuno anni dall'uscita di<br />
Este I, e a cura delle medesime Autrici.<br />
Este I presentava i corredi dei nuclei sepolcrali<br />
della Casa di Ricovero, di Casa Alfonsi e di Casa<br />
Muletti Prosdocimi t, mentre in Este II sono inquadrati<br />
i corredi delle sepolture rinvenute all'interno<br />
del parco della Villa Benvenuti tra il 1879 e il 1904.<br />
I quattro tratti di necropoli rappresentano in realtà<br />
un unico complesso ininterrotto, come illustrato e<br />
documentato dalle Autrici nella introduzione, che<br />
mira a ricomporre efficacemente il quadro topografico<br />
di questo settore centrale delle necropoli settentrionali<br />
atestine. Le due opere, che sono sostanzialmente<br />
complementari, offrono uno sguardo di<br />
insieme ormai ampio e significativo sulle necropoli<br />
di Este, quale campione rappresentativo non solo<br />
delle sequenze crono-tipologiche, ma soprattutto<br />
dell' articolazione sociale e delle dinamiche di sviluppo<br />
nel Veneto antico.<br />
Nel secolo scorso, la ripresa dell'interesse sulle<br />
necropoli del Veneto antico è iniziata nel 1981 con<br />
il volume Necropoli e usi funerari, a cura di Renato<br />
Peroni 2, che ha dato l'avvio ad uno studio sistematico<br />
delle associazioni, pur nei limiti di quanto<br />
sino ad allora edito, soprattutto se confrontato con<br />
quanto veniva presentato quattro anni più tardi in<br />
Este I. Se dunque NecropoZi e usi funerari ha risvegliato<br />
una nuova attenzione per la valutazione delle<br />
associazioni, del costume, del rituale e della conseguente<br />
evoluzione sociologica, l'edizione di Este<br />
I invitava alla cautela nell'interpretazione. L'edizione<br />
sistematica dei dati, infatti, palesava un panorama<br />
straordinariamente ampio e diversificato,<br />
da non considerare ancora tuttavia un campione<br />
rappresentativo. Una serie di nuove considerazioni<br />
si devono alla ripresa degli scavi (1983-1993)nell'area<br />
della necropoli della Casa di Ricovero, in<br />
uno spazio adiacente a quello indagato da Alfonsi.<br />
La ricerca ha restituito non solo nuovi corredi, ma<br />
evidenze sull' articolazione dello spazio funerario<br />
1 Cfr. A. M. CHIECO BIANCHI, L. CALZAVARA CAPUIS 1985, Este I. Le necropoli della Casa di Ricovero, Casa Muletli Prosdocimi e Casa Al-<br />
[onsi, MAL II (LI serie generale).<br />
2 Cfr. R. PERONI (a cura di) 1981, Necropoli e usi funerari nell'età del ferro, Bari.
2006) RECENSIONI 207<br />
in tumuli, nonché sulla complessa ritualità della<br />
progressiva riapertura delle sepolture e degli stessi<br />
ossuari, con conseguente commistione dei resti<br />
combusti. Gli esiti di questo lavoro, ancora solo<br />
parzialmente editi, ma illustrati nelle loro linee<br />
fondamentali 3, sono stati recepiti nello studio della<br />
necropoli Benvenuti e nella sua edizione, non<br />
solo per gli aspetti interpretativi, ma anche nell'inserimento<br />
di alcune significative Appendici nel<br />
nuovo volume Este II. Alla redazione del catalogo<br />
sistematico delle sepolture si accompagnano, infatti,<br />
quattro Appendici, oltre alla serie di tavole sinottiche<br />
e all'indice analitico (a cura di V. Lecce),<br />
già presenti in Este I e di straordinaria utilità per<br />
gli studiosi. All' analisi dei resti ossei umani della<br />
necropoli Benvenuti è dedicata l'Appendice I (a<br />
cura di A. G. Drusini, N. Carrara e N. Onisto);<br />
l'Appendice II prende in esame i resti ossei animali<br />
della necropoli Benvenuti, con una considerazione<br />
del loro ruolo nel rituale funerario (a cura di L<br />
Fiore e A. Tagliacozzo), l'Appendice III rappresenta<br />
un rilevante contributo sulla situla Benvenuti<br />
dal punto di vista della storia del suo stato di conservazione,<br />
dei diversi restauri subiti nel tempo e<br />
di una serie di consideraioni tecnologiche che meglio<br />
consentono al lettore di comprendere le specifiche<br />
caratteristiche di questo manufatto (a cura di<br />
S. Buson); l'Appendice IV, nel riproporre l'analisi<br />
antropologica delle ossa combuste (almeno quelle<br />
conservate) della necropoli della Casa di Ricovero<br />
(a cura di L. Ovidi), ribadisce la profonda complementarità<br />
dei due volumi. Tra le molte osservazioni<br />
possibili, si sottolinea, nei risultati delle analisi<br />
antropologiche, il ricorrere della presenza di più<br />
individui all'interno di un unico ossuario anche<br />
nelle necropoli di scavo ottocentesco, coerentemente<br />
con guanto individuato tra i risultati dello scavo<br />
recente.<br />
Nonostante il tempo trascorso tra le due imprese<br />
l'omogeneità nella trattazione è garantita<br />
non solo dalla identità delle Autrici, ma anche dalla<br />
solidità dell'impostazione metodologica iniziale,<br />
da ricollegare all' ampio progetto di studio delle<br />
necropoli dell'Italia preromana, nella collana dei<br />
Monumenti Antichi dei Lincei. In questo studio la<br />
presentazione dei corredi segue sostanzialmente lo<br />
schema già sperimentato, caratterizzato da una netta<br />
divisione tra l'esposizione dei dati di scavo, recu-<br />
perati dalla bibliografia precedente e, per lo più, dal<br />
ricco archivio storico del museo, il catalogo dei materiali<br />
e l'interpretazione; il catalogo dei materiali di<br />
corredo ripropone, dove possibile, l'ordine della deposizione<br />
originaria degli oggetti nella tomba, mentre<br />
le note interpretati ve sottopongono a discussione<br />
la cronologia, le associazioni, il rituale, evidenziando<br />
le caratteristiche locali e alloctone e recuperando,<br />
dove esistenti, i dati delle analisi antropologiche<br />
e / o archeozoologiche. Quindi, lo schema iniziale,<br />
sostanzialmente inalterato, riassorbe al suo<br />
interno dati che provengono da una nuova impostazione<br />
di studio, cresciuta negli ultimi venti anni<br />
ad arricchire in particolare la conoscenza della ritualità<br />
funeraria e delle caratteristiche della gestione<br />
delle necropoli del Veneto preromano.<br />
Nell'ambito del catalogo, è da sottolineare che<br />
in questo volume figurano alcuni dei più famosi<br />
contesti sepolcrali atestini, che assumono una differente<br />
rilevanza alla luce della contestualizzazione<br />
complessiva.<br />
Rientra in questo panorama la tomba 126, nella<br />
quale l' ossuario fittile era contenuto nella situla<br />
di bronzo, nota come situla Benvenuti. Proprio<br />
l'acquisizione delle determinazioni antropologiche,<br />
che identificano l'individuo defunto come un infans<br />
tra 1 e 3 anni, rappresenta un dato di estremo<br />
interesse per i risvolti in termini sociologici.<br />
L'insieme delle novità, anche solo dal punto di<br />
vista della tipologia dei materiali e dalle inferenze<br />
che se ne possono trarre in termini di contatti, risulta<br />
così cospicuo che appare impossibile trattarne<br />
in poche pagine. Per scegliere una tematica su<br />
cui concentrare l'interesse, ci si rivolge a quei contesti<br />
che risultano essenziali per documentare e<br />
comprendere alcune svolte nella composizione sociale<br />
e i connessi mutamenti storici, fornendo dati<br />
significativi in particolare per i periodi IIID2-IV<br />
(350 a.C.-inizi I sec. a.C,), fase ancora tra le più critiche<br />
e meno definite nella storia dei Veneti antichi.<br />
In questa chiave si collocano alcune sepolture che<br />
testimoniano le più antiche influenze di carattere<br />
laténiano, ben ravvisabili dalla distribuzione dei<br />
ganci traforati, ad esempio le tombe 110, 116, 117,<br />
ma anche i due grandi contesti plurideposizionali<br />
(tombe 123 e 125), che documentano nella loro lunga<br />
durata il fenomeno della progressiva integrazione<br />
dell' elemento celtico e di quello romano nella<br />
J Cfr. E. BIANCHIN, G. GAMllACURTA, A. RUTA SERAFlNl (a cura di) 1998, ...Presso l'Adige ridente ... Recenti rinpenimenti archeologici da<br />
Este a Montagnana, catalogo della mostra, Padova.
208 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />
compagine sociale. Di particolare rilievo risulta la<br />
trattazione sistematica della tomba 123per la scansione<br />
delle deposizioni, ipotizzata nell'ambito di<br />
un contesto non distinto all'atto del rinvenimento.<br />
Nel complesso il volume suscita una serie di<br />
spunti di riflessione tanto più rilevanti e significa-<br />
tivi, quanto più si mantiene una lettura / consultazione<br />
integrata con Este I, per la possibilità di ricostruire<br />
un quadro unitario delle necropoli atestine<br />
settentrionali.<br />
Giovanna Gambacurta<br />
CERAMICA IN ARCHEOLOGIA 2.<br />
ANTICHE TECNICHE DI LAVORAZIONE E MODERNI METODI DI INDAGINE<br />
Studia Archaeologica 144,Roma, «L'Erma» di <strong>Bretschneider</strong> 2007,pp. 752, figg. 181,tavv. 11.<br />
NININA CUOMO DI CAPRIO<br />
Coloro che a vario titolo, sia per studio sia per<br />
passione, si occupano di ceramica antica ben conoscono<br />
il manuale di Ninina Cuomo di Caprie, edito<br />
nel 1985.Ora, a distanza di molti anni, ne esce<br />
una nuova edizione profondamente riveduta e ampliata,<br />
che costituisce di fatto un libro completamente<br />
nuovo. Della versione precedente rimangono<br />
alcuni fondamentali tratti, come la suddivisione<br />
in due parti (Antiche tecniche di lavorazione e Moderni<br />
metodi di indagine), con il corollario dell'appendice<br />
sulle Fonti letterarie. Inalterata rimane anche la<br />
successione dei capitoli della Parte Prima: la trattazione<br />
inizia dall'argilla, descrivendone le caratteristiche<br />
mineralogiche e tecnologiche (capitoli 1-5) e<br />
i differenti procedimenti di preparazione a cui può<br />
essere sottoposta prima della lavorazione vera e<br />
propria (capitolo 6). Un corposo approfondimento<br />
è dedicato alle differenti tecniche di modellazione,<br />
a mano, a tornio e da matrice, con la descrizione<br />
degli arnesi da lavoro (capitolo 7, pp. 163-252).Dopo<br />
l'essiccamento (capitolo 8), l'Autrice passa a<br />
trattare i rivestimenti, iniziando dalle materie prime<br />
(capitolo 9) per arrivare poi ai rivestimenti argillosi,<br />
semi- o non sinterizzati, esaminati nelle loro<br />
componenti mineralogiche (capitolo lO), e ai rivestimenti<br />
vetrificati caratteristici del Medioevo<br />
(capitolo 11). Il capitolo 12 prende in esame le differenti<br />
decorazioni dei manufatti allo stato crudo;<br />
la Parte Prima si chiude con l'esame del complesso<br />
processo della cottura e delle strutture destinate a<br />
questa importante fase della produzione ceramica<br />
(capitolo 13). La Parte Seconda (Moderni metodi<br />
d'indagine) presenta, entro una nuova strutturazione<br />
della materia, una panoramica delle analisi di<br />
laboratorio" che possono contribuire ad individuare<br />
la produzione ceramica del mondo antico, accertando<br />
l'area di origine del reperto, le caratteristiche<br />
tecniche, e ciò principalmente attraverso la valutazione<br />
quantitativa e qualitativa della composizione<br />
mineralogica e chimica" (p. 573). Dalle analisi mineralogico-petrografiche,<br />
molto utili per gli studi<br />
di provenienza (capitolo 16), si passa alle analisi<br />
termiche, utilizzate per determinare la temperatura<br />
di cottura (capitolo 17), a quelle chimico-fisiche,<br />
che consentono la verifica qualitativa e quantitativa<br />
degli elementi chimici (capitolo 18) ed alle microanalisi<br />
che forniscono indicazioni su minime<br />
zone del manufatto (capitolo 19). Seguono alcune<br />
analisi volte ad accertare particolari problematiche,<br />
quali ad esempio il grado di ossidazione del ferro,<br />
la porosità e durezza dei reperti, la datazione assoluta<br />
(capitoli 20-22).Si riflette poi sulle possibilità<br />
offerte dall'elaborazione statistica dei dati raccolti<br />
(capitolo 23), quindi viene preso in considerazione<br />
il colore (capitolo 24), uno dei parametri fondamentali<br />
per la classificazione dei reperti archeologici.<br />
La strumentazione, spesso molto complessa, è<br />
resa comprensibile grazie a una serie di chiari disegni<br />
illustrativi.<br />
Lo schema della trattazione ricalca, dunque,<br />
quanto già proposto dalla precedente edizione del<br />
manuale. Tuttavia una differenza sostanziale consiste<br />
anzitutto nelle proporzioni quantitative: lo spazio<br />
dedicato alle antiche tecniche di lavorazione è<br />
infatti enormemente ampliato sia nell'orizzonte<br />
cronologico, che è stato esteso oltre il limite dell'età<br />
classica, sia nella considerazione concreta delle<br />
produzioni ceramiche. Tale incremento trova importante<br />
corrispondenza nel vasto apparato di riferimenti<br />
bibliografici, accompagnati da una critica<br />
ragionata: i rimandi sono quasi sempre integrati da<br />
osservazioni sul piano tecnico, che mettono in evidenza<br />
problemi aperti, divergenze d'opinione, contraddizioni,<br />
imprecisioni terminologiche. La lettura
2006] RECENSIONI 209<br />
dell'apparato bibliografico è possibile anche in forma<br />
continuativa: se ne ricava una panoramica dello<br />
stato degli studi molto estesa, che sottolinea<br />
l'importanza di un approccio pienamente consapevole<br />
degli aspetti tecnici della ceramica. A titolo di<br />
esempio si possono ricordare le numerose pagine<br />
dedicate al tornio a mano (pp. 179-184)e a bastone<br />
(pp. 185-188),e la revisione critica delle relative<br />
fonti iconografiche (riferimenti bibliografici pp.<br />
239-242).<br />
Emergono dal libro con la massima evidenza<br />
(e ne costituiscono il tratto più caratteristico e nuovo)<br />
l'attenzione verso gli aspetti pratici del lavoro<br />
del vasaio e il rispetto per la sapienza manuale degli<br />
artigiani antichi. Alla capacità di osservazione<br />
si unisce l'attitudine alla sperimentazione, come<br />
già messo in evidenza in lavori precedenti (ad<br />
esempio Quando "nasce" Euphronios vasaio? in RdA<br />
15, 1991,pp. 55-60).Particolari problemi tecnologici,<br />
come il processo di cottura della Terra Sigillata<br />
(pp. 339-347)o la produzione di un vaso del tipo<br />
Aco decorato a Kommaregen (pp. 455-457), sono<br />
trattati richiamando esperimenti realizzati ad hoc.<br />
In altri casi invece la sperimentazione punta a verificare<br />
ipotesi formulate dalla stessa Autrice. È il<br />
caso delle decorazioni a rilievo applicato: per esse<br />
si propone che fossero ottenute mediante la modellazione<br />
di una matrice singola a crudo la quale, essendo<br />
priva del consolidamento indotto dalla cottura,<br />
non avrebbe lasciato traccia archeologica (pp.<br />
222-223).<br />
Per comprendere le reali condizioni di lavoro<br />
all'interno di una bottega da vasaio vengono esaminate<br />
le evidenze archeologiche, ma vengono anche<br />
proposte testimonianze ed immagini relative a<br />
botteghe tradizionali pugliesi del XXsecolo (Inserti<br />
G e H). Aspetti che un'archeologia "estetica" potrebbe<br />
considerare marginali diventano qui centrali<br />
e inducono a porre domande molto concrete:<br />
quanta argilla è necessaria per modellare un vaso e<br />
quale è il suo peso da crudo e poi da cotto? Quanto<br />
e quale combustibile occorre per la cottura?<br />
Quale esperienza e competenza sono necessarie<br />
per "condurre" una fornace a combustibile solido<br />
naturale? Come funziona la fornace? Quali spazi e<br />
quali strutture caratterizzano una bottega artigianale?<br />
Quando narra le esperienze degli artigiani<br />
tradizionali l'Autrice rivela non solo un' attenzione<br />
rigorosa ai fatti ma anche una intensa partecipazione<br />
alla dimensione umana del lavoro di bottega.<br />
Accanto ai successi nel realizzare manufatti belli<br />
ma spesso tecnicamente molto difficili, vengono<br />
messi in rilievo le difficoltà e gli errori del vasaio<br />
(pp. 193-205),il duro lavoro del fornaciaio nel caldo<br />
soffocante e nel riverbero accecante della fornace<br />
(pp. 532-537).Il lettore è costantemente chiamato<br />
a riflettere sull'organizzazione del lavoro (per<br />
specifiche annotazioni riferite al mondo antico si<br />
vedano pp. 178, 184, 190,218).<br />
Tutto ciò viene proposto con un tono notevolmente<br />
diverso da quello che spesso si incontra nei<br />
manuali. Anzitutto per la chiarezza, che è perseguita<br />
sempre, anche a prezzo di ripetizioni, poi per<br />
l'assenza di proclami cattedratici e di dogmi. Questo<br />
nasce certo dalla disposizione personale dell'Autrice,<br />
ma diviene opportunità per il lettore,<br />
messo di fronte ai diversi livelli delle attuali conoscenze,<br />
comprese le ipotesi, sempre dichiarate come<br />
tali, e le questioni ancora irrisolte. Non si dimentichi<br />
che il libro nasce da due spunti diversi:<br />
comprendere i fondamenti tecnologici della lavorazione<br />
dell'argilla, che erano largamente ignoti all'artigiano<br />
antico, e comprendere la dimensione<br />
pratica della lavorazione ceramica, che è spesso<br />
trascurata dall'archeologo moderno. Il dialogo con<br />
la ricerca contemporanea è vivace, a tratti polemico:<br />
muovendo da una prospettiva "primitivista" e<br />
fortemente orientata verso il buonsenso l'Autrice<br />
ha buon gioco nell'evidenziare le contraddizioni in<br />
cui incorrono le ricerche "modernizzanti" e troppo<br />
poco consapevoli del fare antico. Un tema spesso<br />
dibattuto, come quello della classificazione delle<br />
fornaci, consente non solo importanti chiarimenti,<br />
ma anche qualche messa a punto metodologica ferma<br />
seppur non severa (pp. 525-526). Si ritrova<br />
dunque nel libro un atteggiamento "leggero", talvolta<br />
ironico: a pagina 658 una fotografia di giocatori<br />
d'azzardo a Las Vegas esemplifica i rischi di<br />
un uso superficiale dei dati statistici, talvolta utilizzati<br />
come panacea per conferire carattere "scientifico"<br />
a ricerche strutturalmente deboli. Il libro<br />
guida il lettore verso una riflessione autonoma, anche<br />
per quanto riguarda l'uso terminologico. Molte<br />
volte sono evidenziate, con bonarietà ma con chiarezza,<br />
le oscillazioni lessicali riscontrabili in letteratura.<br />
L'auspicio è che si possa arrivare ad un uso<br />
più cosciente e coerente di termini quali, ad esempio,<br />
vetrina, ingobbio, impasto, graffito, che acquistano<br />
un significato specifico a seconda del contesto<br />
cronologico dei manufatti ai quali vengono riferiti<br />
(per il graffito si veda pp. 443-444).<br />
Per favorire "una consultazione a salti ogniqualvolta<br />
il lettore voglia verificare uno specifico<br />
argomento" (p. 34),il manuale è corredato da un Indice<br />
Analitico molto dettagliato, redatto da Daniele<br />
F. Maras. che consente di orientarsi all'interno della
210 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />
vastissima materia trattata (pp. 735-748).Aiutano la<br />
comprensione del testo gli schemi e la grafica di<br />
Walter Caponi e, per la Parte Seconda, i disegni illustrativi<br />
della strumentazione di Andrea Arcari.<br />
In tutto il libro dunque le finalità didattiche<br />
non sono trascurate e consentono l'approccio all'argomento<br />
anche da parte di lettori non ancora<br />
esperti. Fin dalla prima edizione del 1985 il manuale<br />
si basa, infatti, sull'attività didattica svolta<br />
da Ninina Cuomo di Caprio presso l'Università di<br />
Venezia per iniziativa di Gustavo Traversari, che<br />
ora presenta il volume insieme a Sauro Gelichi.<br />
Studenti e studiosi interessati alla ceramica antica<br />
che si accostano alla lettura di questo libro incontrano<br />
sicuramente una guida molto valida, seria<br />
ma non "seriosa". critica ma non dogmatica.<br />
Tiziana Marinig