Ipertesto B – Fascismo e identità di genere - Sei
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<strong>Fascismo</strong> e <strong>identità</strong><br />
<strong>di</strong> <strong>genere</strong><br />
Il movimento fascista e le donne<br />
Nel programma <strong>di</strong> San Sepolcro, del 23 marzo 1919, insieme ad altre riven<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> evidente<br />
matrice socialista spiccava pure la richiesta del suffragio femminile. Del resto anche<br />
D’Annunzio, nella Carta del Carnaro, aveva previsto che tutti i citta<strong>di</strong>ni, al compimento<br />
del ventunesimo anno d’età, dovessero godere <strong>di</strong> pieni <strong>di</strong>ritti civili e politici, «senza <strong>di</strong>stinzione<br />
<strong>di</strong> sesso». Questa <strong>di</strong>sponibilità del movimento fascista delle origini a valorizzare le donne è<br />
determinato dal fatto che i Fasci, negli anni 1919-1921, avevano un carattere ambivalente,<br />
al tempo stesso nazionalista e socialista (o meglio, antiborghese), e volevano presentarsi come<br />
una forza moderna, capace <strong>di</strong> imprimere una spinta <strong>di</strong>namica alla società italiana.<br />
A riprova <strong>di</strong> un atteggiamento favorevole all’emancipazione femminile, nel 1925 venne concesso<br />
il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> voto, alle elezioni amministrative,<br />
a un gruppo ristretto e selezionato <strong>di</strong><br />
donne. Tra i requisiti che permettevano l’iscrizione<br />
alle liste elettorale vi erano l’istruzione,<br />
il red<strong>di</strong>to elevato, la prestazione <strong>di</strong> servizi<br />
particolari allo Stato in tempo <strong>di</strong> guerra,<br />
il fatto <strong>di</strong> essere madri o vedove <strong>di</strong> soldati<br />
caduti nel corso del primo conflitto mon<strong>di</strong>ale.<br />
In tal modo, a fronte <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> escluse<br />
dal voto, varie migliaia <strong>di</strong> donne poterono<br />
accedere al suffragio. Il nuovo provve<strong>di</strong>mento,<br />
però, fu privato <strong>di</strong> ogni significato nel<br />
settembre del 1926, allorché furono soppresse<br />
le elezioni amministrative e il sindaco venne<br />
sostituito dal podestà, nominato <strong>di</strong>rettamente<br />
dal governo centrale.<br />
Intanto, all’interno del movimento fascista,<br />
l’idea dell’eguaglianza fra i sessi stava lasciando<br />
rapidamente il posto a una rinnovata<br />
esaltazione della virilità e della mascolinità.<br />
Sotto questo profilo, il fascismo<br />
riprese e amplificò le posizioni già espresse<br />
in modo provocatorio, prima della guerra,<br />
da numerosi intellettuali italiani, primo<br />
fra tutti Filippo Tommaso Marinetti che, nel Manifesto del Futurismo del 1909, aveva scritto:<br />
«Noi vogliamo glorificare la guerra <strong>–</strong> sola igiene del mondo <strong>–</strong> il militarismo, il patriottismo,<br />
il gesto <strong>di</strong>struttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il <strong>di</strong>sprezzo della donna.<br />
Noi vogliamo <strong>di</strong>struggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere<br />
contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria».<br />
Dopo la guerra, gli ex combattenti spesso si percepirono come un gruppo <strong>di</strong> uomini eccezionali,<br />
la cui energia e determinazione avrebbe trasformato l’Italia in grande potenza.<br />
Molti <strong>di</strong> loro aderirono con entusiasmo all’impresa <strong>di</strong> Fiume o allo squadrismo fascista<br />
perché <strong>–</strong> temprati da anni <strong>di</strong> guerra, l’attività virile per eccellenza <strong>–</strong> si consideravano un’élite,<br />
superiore sia alle donne prese nel loro complesso, sia a quei maschi borghesi che non<br />
avevano partecipato in prima persona all’attività bellica.<br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro <strong>–</strong> Nuova e<strong>di</strong>zione © SEI, 2012<br />
STORIA<br />
E IDENTITÀ<br />
DI GENERE<br />
Riferimento<br />
storiografico 1<br />
pag. 6<br />
Benito Mussolini<br />
in una fotografia del<br />
1935. Il programma<br />
originario del fascismo<br />
prevedeva «voto<br />
ed eleggibilità per<br />
le donne»; <strong>di</strong> fatto<br />
però, sotto il regime,<br />
la donna non può<br />
votare e ha<br />
prevalentemente<br />
il ruolo <strong>di</strong> moglie<br />
e madre.<br />
IperTeSTo<br />
IPERTESTO B<br />
1<br />
<strong>Fascismo</strong> e <strong>identità</strong> <strong>di</strong> <strong>genere</strong>
IperTeSTo<br />
UNITÀ V<br />
2<br />
IL FASCISMO IN ITALIA<br />
➔Recupero<br />
del modello borghese<br />
e cattolico<br />
Cartolina<br />
propagan<strong>di</strong>stica che<br />
mostra un soldato<br />
italiano teneramente<br />
abbracciato a una<br />
giovane ragazza.<br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro <strong>–</strong> Nuova e<strong>di</strong>zione © SEI, 2012<br />
Lo squadrismo fascista ere<strong>di</strong>tò tutti questi elementi: da un lato, infatti, trasferì alla politica<br />
del tempo <strong>di</strong> pace meto<strong>di</strong> violenti e strategie tipiche del tempo <strong>di</strong> guerra, riproponendo<br />
l’immagine dell’eroe che aggre<strong>di</strong>sce ed elimina l’avversario; dall’altro, esaltò un tipo<br />
d’uomo che si considerava superiore anche ai valori e alla moralità borghese. Non a caso,<br />
riprendendo le polemiche espressioni <strong>di</strong> Marinetti (che in un testo del 1910 aveva chiamato<br />
la famiglia «soffocatoio delle energie vitali»), il movimento fascista della prima ora<br />
esaltava il libero amore, <strong>di</strong>sprezzava il matrimonio e si proclamava favorevole all’introduzione<br />
del <strong>di</strong>vorzio nella legislazione italiana.<br />
Libertà sessuale per i dominatori<br />
Una volta conquistato il potere, Mussolini iniziò ben presto a imbrigliare e frenare tutte<br />
le spinte eversive e gli elementi trasgressivi che avevano caratterizzato il movimento fascista<br />
dei primi anni Venti. Nel campo delle relazioni sessuali, ciò volle <strong>di</strong>re l’abbandono <strong>di</strong><br />
ogni comportamento che apparisse in contrasto con il rispettabile modello borghese e con<br />
la tra<strong>di</strong>zionale morale cristiana. In primo luogo, fu abbandonata ogni polemica nei confronti<br />
della famiglia e del matrimonio; mentre all’inizio degli anni Venti era normale celebrare<br />
le imprese erotiche dello squadrista, sul finire del decennio si mise l’accento soprattutto<br />
sul fatto che il fascista ideale doveva essere anche marito e padre, oltre che soldato<br />
de<strong>di</strong>to alla causa nazionale. Non era affatto escluso, da Mussolini<br />
e dagli altri fascisti, che il maschio potesse avere relazioni<br />
extraconiugali; esse, tuttavia, dovevano avvenire nella<br />
più assoluta <strong>di</strong>screzione, oppure compiersi all’interno delle<br />
case chiuse, nelle quali vennero concentrate tutte le prostitute.<br />
Solo del Duce e <strong>di</strong> pochi altri gerarchi la stampa continuò<br />
a descrivere per <strong>di</strong>verso tempo, senza alcun imbarazzo,<br />
l’estrema libertà sessuale. Anche in questo ambito, si lasciava<br />
intendere, il capo del fascismo è una figura <strong>di</strong>versa<br />
dai comuni mortali, sicché il suo comportamento può superare<br />
quello previsto per le masse dalla morale corrente.<br />
«Chi doveva rispondere <strong>di</strong> sé solo <strong>di</strong> fronte alla storia,<br />
chi era legibus solutus [signore assoluto, perché libero<br />
dall’obbligo <strong>di</strong> rispettare le leggi e le regole che ponessero<br />
un limite al suo potere] nella gestione della cosa<br />
pubblica, non poteva non esserlo anche rispetto ai modelli<br />
<strong>di</strong> comportamento correnti. In questo modo, per successive<br />
approssimazioni, la libertà sessuale <strong>di</strong>veniva non<br />
solo un attributo, ma ad<strong>di</strong>rittura uno dei segni <strong>di</strong>stintivi<br />
del potere» (p.G. Zunino).<br />
La propaganda fascista aprì questa libertà sessuale a tutti<br />
i dominatori <strong>–</strong> cioè, in sostanza, a tutti i maschi italiani<br />
<strong>–</strong> in occasione della campagna <strong>di</strong> etiopia (1935-<br />
1936). Da moltissime riviste, l’etiopia venne descritta come una specie <strong>di</strong> para<strong>di</strong>so sessuale,<br />
o meglio come un luogo in cui il maschio italiano avrebbe potuto facilmente appagare<br />
tutti i propri desideri erotici. Le donne africane furono spesso raffigurate a seno<br />
nudo, segno eloquente <strong>di</strong> una straor<strong>di</strong>naria <strong>di</strong>sponibilità a concedersi al conquistatore.<br />
Questo iniziale orientamento della propaganda fascista denota un razzismo e un<br />
maschilismo formidabili (la donna etiope non era una persona: era sempre e solo un<br />
oggetto, una merce, una preda); ben presto, però, il regime si rese conto dei pericoli<br />
<strong>di</strong> una simile impostazione e decise <strong>di</strong> cambiare completamente linea. A partire<br />
dal 1938, pertanto, furono vietati i matrimoni misti, mentre ogni forma <strong>di</strong> unione fra<br />
europei ed etiopi fu rifiutata, scre<strong>di</strong>tata e <strong>di</strong>sprezzata come contraria all’onore e alla<br />
purezza della razza italiana.
L’incremento della stirpe<br />
Il fascismo aveva iniziato a preoccuparsi per la qualità e la quantità della stirpe italiana,<br />
reputata superiore a tutte le altre, ben prima della svolta razzista del 1938. Fin dal 1927<br />
Mussolini lanciò la cosiddetta battaglia demografica, che nasceva da un’elementare constatazione:<br />
in tutto il paese, nelle famiglie si stava affermando con forza la tendenza a <strong>di</strong>minuire<br />
il numero <strong>di</strong> figli. Mentre negli anni ottanta dell’ottocento il tasso <strong>di</strong> natalità<br />
italiano era <strong>di</strong> 39 nati vivi per mille abitanti, negli anni 1921-1925 il livello delle nascite<br />
era sceso a 29,9 per mille. Agli occhi <strong>di</strong> Mussolini e, più in generale, dei nazionalisti,<br />
tale orientamento era pericoloso per il futuro della stirpe italiana, che i più pessimisti ritenevano<br />
vicina all’estinzione.<br />
Tralasciando il fatto che l’Italia era stata, per decenni, terra <strong>di</strong> emigranti e che il flusso<br />
era cessato solo perché gli Stati Uniti si rifiutavano <strong>di</strong> accogliere altri italiani poveri<br />
(nel 1927, ne furono ammessi solo 4000), l’opinione più ra<strong>di</strong>cata negli ambienti<br />
fascisti era quella secondo cui lo sciopero delle culle non fosse dettato da motivi economici,<br />
bensì da carenze morali, da egoismo e da mancanza <strong>di</strong> virtù civiche: in una<br />
parola, dal rifiuto <strong>di</strong> contribuire allo sforzo comune, che avrebbe trasformato l’Italia<br />
in grande potenza. Nel 1928, Mussolini stesso pubblicò un saggio intitolato Il numero<br />
come forza. Solo un popolo in continua crescita demografica, a parere del Duce, avrebbe<br />
avuto le energie per espandersi e lanciarsi in gran<strong>di</strong> imprese imperiali. Così, nel 1927,<br />
scriveva un alto funzionario del Ministero della stampa: «Se si<br />
<strong>di</strong>minuisce non si fa l’impero. Se le donne daranno i frutti loro,<br />
l’impero è solo questione <strong>di</strong> tempo».<br />
Quest’ultima osservazione è in<strong>di</strong>cativa <strong>di</strong> un atteggiamento mentale<br />
<strong>di</strong>ffuso nel mondo fascista, per aggirare il problema dell’eccesso<br />
<strong>di</strong> popolazione, che in assenza <strong>di</strong> risorse avrebbe provocato un imponente<br />
fenomeno migratorio. proprio la carenza <strong>di</strong> mezzi <strong>–</strong> si <strong>di</strong>ceva<br />
<strong>–</strong> sarebbe stata uno stimolo poderoso all’espansione imperiale,<br />
che sarebbe risultata inarrestabile proprio perché dettata dalla<br />
necessità.<br />
Fra le numerose misure attivate per rilanciare l’incremento demografico<br />
dev’essere ricordata la cosiddetta tassa sui celibi. Approvata<br />
il 19 <strong>di</strong>cembre 1926, essa colpiva tutti gli scapoli tra i<br />
26 e i 65 anni, in misura inversamente proporzionale rispetto<br />
all’età. Il celibe, insomma, era considerato una specie <strong>di</strong> <strong>di</strong>sertore,<br />
che non compiva il proprio dovere nei confronti del popolo<br />
italiano e della grandezza nazionale, la quale risultava danneggiata<br />
dal suo rifiuto <strong>di</strong> procreare. A maggior ragione, fu proibita<br />
la ven<strong>di</strong>ta degli anticoncezionali, mentre l’aborto fu solennemente<br />
condannato come un delitto «contro la integrità<br />
e la sanità della stirpe», nel nuovo co<strong>di</strong>ce penale approvato il<br />
19 ottobre 1930.<br />
Nel 1933, il 24 <strong>di</strong>cembre, fu celebrata per la prima volta la Giornata della madre e del fanciullo,<br />
creata al fine <strong>di</strong> rendere onore alle madri più prolifiche. Le 92 donne premiate, complessivamente<br />
avevano avuto 1380 figli! Comunque, non pare che lo sforzo fascista per<br />
rilanciare l’incremento demografico abbia sortito gran<strong>di</strong> successi: negli anni 1936-1940,<br />
il tasso <strong>di</strong> natalità scese ulteriormente, toccando il livello nazionale <strong>di</strong> 23,4 nati vivi per<br />
mille abitanti. Sotto questo profilo, l’Italia si stava adeguando agli altri Paesi industrializzati,<br />
come emerge dal fatto che i tassi <strong>di</strong> natalità dei gran<strong>di</strong> centri urbani del Nord<br />
(19,8 per mille) erano notevolmente più bassi rispetto alla me<strong>di</strong>a nazionale appena citata.<br />
Non a caso, nella propaganda <strong>di</strong> regime, la città fu <strong>di</strong>pinta a tinte sempre più cupe,<br />
fino a essere definita «luogo <strong>di</strong> ogni male, mostro, palude», contrapposta a una campagna<br />
ampiamente idealizzata, i cui abitanti <strong>–</strong> <strong>di</strong>ceva la stampa fascista <strong>–</strong> erano moralmente<br />
più sani, consapevoli dei doveri nazionali, e quin<strong>di</strong> più prolifici.<br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro <strong>–</strong> Nuova e<strong>di</strong>zione © SEI, 2012<br />
➔Il numero<br />
come forza<br />
Manifesto del 1939<br />
per celebrare la sesta<br />
e<strong>di</strong>zione della Giornata<br />
della madre e del<br />
fanciullo.<br />
IperTeSTo<br />
IPERTESTO B<br />
3<br />
<strong>Fascismo</strong> e <strong>identità</strong> <strong>di</strong> <strong>genere</strong>
IperTeSTo<br />
UNITÀ V<br />
4<br />
IL FASCISMO IN ITALIA<br />
La battaglia demografica del regime<br />
fascista<br />
DOCUMENTI<br />
Riportiamo alcuni passi <strong>di</strong> un opuscolo pubblicato nel 1928. Si tratta <strong>di</strong> uno degli innumerevoli testi<br />
<strong>di</strong>vulgativi tramite i quali il regime <strong>di</strong>ffuse le proprie idee e le proprie aspirazioni.<br />
Nel suo gran<strong>di</strong>oso <strong>di</strong>scorso dell’Ascensione<br />
[del 26 maggio 1927, n.d.r.] il Duce<br />
<strong>di</strong>sse: «Affermo che, dato non fondamentale,<br />
ma pregiu<strong>di</strong>ziale della potenza politica<br />
e quin<strong>di</strong> economica e morale delle nazioni,<br />
è la loro potenza demografica. Parliamoci<br />
chiaro: che cosa sono 40 milioni d’Italiani <strong>di</strong><br />
fronte a 90 milioni <strong>di</strong> Tedeschi e a 200 milioni<br />
<strong>di</strong> slavi? Volgiamoci a occidente: che<br />
cosa sono 40 milioni d’Italiani <strong>di</strong> fronte a 40<br />
milioni <strong>di</strong> Francesi, più i 60 milioni <strong>di</strong> abitanti<br />
delle colonie, o <strong>di</strong> fronte ai 46 milioni <strong>di</strong> Inglesi,<br />
più i 450 milioni che stanno nelle colonie?<br />
Signori, l’Italia, per contare qualche<br />
cosa, deve affacciarsi sulla soglia della seconda<br />
metà <strong>di</strong> questo secolo con una popolazione<br />
non inferiore ai 60 milioni <strong>di</strong> abitanti».<br />
Con queste parole il Primo Ministro <strong>di</strong>chiarava<br />
aperta la battaglia demografica,<br />
tendente all’incremento della stirpe. La battaglia assume, nei suoi sviluppi successivi, un<br />
triplice aspetto. Da un lato si tratta <strong>di</strong> conservare e possibilmente <strong>di</strong> potenziare la forza<br />
espansiva insita nella razza per effetto <strong>di</strong> una notevole natalità. Secondariamente è necessario<br />
<strong>di</strong>minuire la mortalità, aumentando la durata me<strong>di</strong>a della vita nel nostro Paese.<br />
Quin<strong>di</strong> dobbiamo tendere a conservare la razza nel proprio alveo, rendendo minime le per<strong>di</strong>te<br />
dovute all’emigrazione corrispondente ad un sistematico <strong>di</strong>ssanguamento.<br />
Per quanto si riferisce alla natalità, i provve<strong>di</strong>menti già attuati dal Presidente, o da lui<br />
già ideati ed in corso d’attuazione, sono <strong>di</strong> varia natura. Esistono in Italia 5700 istituzioni<br />
benefiche che si occupano della maternità e dell’infanzia. Per provvedere al loro finanziamento,<br />
il Capo del Governo ha istituito la tassa sui celibi il cui gettito è dai 40 ai 50 milioni<br />
annui. Né il tributo <strong>di</strong> quanti <strong>di</strong>sertano la battaglia giova solo a tale scopo. «Ho approfittato<br />
<strong>di</strong> questa tassa <strong>–</strong> <strong>di</strong>sse il Duce <strong>–</strong> per dare una frustata demografica alla Nazione».<br />
Quasi come contraltare ai provve<strong>di</strong>menti fiscali contro il celibato, stanno i provve<strong>di</strong>menti<br />
in favore delle famiglie numerose. Il Duce stesso fa giungere il suo premio ai genitori attorniati<br />
da una fitta e gioconda ni<strong>di</strong>ata. Per quanto non ancora attuata, non è però nemmeno<br />
ancora esclusa la tassa sui matrimoni sterili. L’urbanesimo <strong>–</strong> cioè il congestionamento<br />
progressivo della popolazione dei maggiori centri industriali <strong>–</strong> porta ad una<br />
sensibilissima <strong>di</strong>minuzione della natalità. Anche in considerazione <strong>di</strong> questo, Benito Mussolini<br />
è uno strenuo fautore del ruralismo. [...]<br />
Sopra tutto, i risultati brillantissimi già ottenuti, nel primo trimestre del 1928, della battaglia<br />
demografica, si comprendono per il fatto che essa si svolge nell’atmosfera mistica<br />
della nuova Italia. Allo Stato ateo [lo Stato liberale, per il quale la religione è una questione<br />
puramente privata del singolo citta<strong>di</strong>no, n.d.r.] si è sostituito lo Stato cattolico, cioè corrispondente<br />
ai sentimenti religiosi dell’assoluta maggioranza del popolo italiano. [...] Benito<br />
Mussolini ha saputo ristabilire rapporti <strong>di</strong> cor<strong>di</strong>alità fra la Chiesa e lo Stato. Il Vaticano<br />
non ignora più la Nazione che lo ospita. Con la fede cattolica, ritorna nei costumi la morale<br />
cattolica. Nell’ambito <strong>di</strong> questa morale, la gente dell’Italia rinascente ha costituito la<br />
sua prima, la sua più semplice, la sua incrollabile istituzione: la famiglia. Nell’ambito <strong>di</strong><br />
questa morale <strong>–</strong> rinnovata, rinsaldata, vivificata dal Duce <strong>–</strong> la gente nuova dell’Italia fascista<br />
ricompone le belle famiglie numerose, come manipoli in marcia verso l’aurora imperiale.<br />
r. MANDeL, Il Duce. Gli atti e le opere, i <strong>di</strong>scorsi e le <strong>di</strong>rettive, l’azione <strong>di</strong> governo, Sonzogno,<br />
Milano 1928, pp. 104-105, 108<br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro <strong>–</strong> Nuova e<strong>di</strong>zione © SEI, 2012<br />
Il fascismo<br />
incoraggiava la<br />
creazione <strong>di</strong> famiglie<br />
numerose, come quelle<br />
della fotografia qui<br />
sotto. La politica<br />
demografica del<br />
regime si ricollegava al<br />
noto slogan coniato<br />
dal Duce «Il numero è<br />
potenza».<br />
Quale giu<strong>di</strong>zio dava<br />
il fascismo sulle<br />
città? Sotto questo<br />
profilo, il fascismo<br />
appare un<br />
movimento<br />
moderno?<br />
La politica<br />
demografica del<br />
fascismo andava<br />
contro la morale<br />
della Chiesa<br />
cattolica?
L’ideale femminile fascista<br />
L’insistenza sulla necessità <strong>di</strong> procreare rilanciò una concezione quanto mai tra<strong>di</strong>zionale<br />
della donna, concepita prima <strong>di</strong> tutto come moglie e come madre. Secondo la concezione<br />
fascista, solo l’uomo avrebbe dovuto lavorare e proprio la crescente presenza delle<br />
donne nelle fabbriche e negli uffici fu considerata la principale causa del calo demografico.<br />
Negli anni Trenta, quando la grande crisi economica internazionale provocò un<br />
pesante aumento della <strong>di</strong>soccupazione maschile, il regime fascista prese una serie <strong>di</strong> provve<strong>di</strong>menti<br />
per limitare il più possibile il lavoro delle donne; fra queste misure, la più drastica<br />
fu il decreto del 5 settembre 1938, che vietò una presenza femminile negli uffici (pubblici<br />
e privati) superiore al 10% del totale dei lavoratori impiegati. D’altra parte, per un<br />
numero crescente <strong>di</strong> famiglie italiane, il lavoro della donna <strong>di</strong>venne un’assoluta necessità.<br />
Il fascismo, insomma, si trovò in una specie <strong>di</strong> vicolo cieco: nel momento in cui non poteva<br />
rinunciare all’appoggio e all’alleanza con la grande industria, era costretto a rinunciare<br />
al proprio progetto <strong>di</strong> incremento numerico della nazione e ad ammettere il fallimento<br />
<strong>di</strong> quella battaglia demografica che aveva come presupposto il ritorno della maggioranza<br />
delle donne al suo ruolo più tra<strong>di</strong>zionale.<br />
L’insuccesso fu totale anche tra le donne <strong>di</strong> ceto me<strong>di</strong>o-alto. Un sondaggio realizzato a<br />
roma nel 1937 rivelò che le ragazze iscritte agli istituti magistrali avrebbero desiderato<br />
un lavoro extradomestico e rifiutavano <strong>di</strong> esaurire nella maternità i loro progetti <strong>di</strong> vita.<br />
Le ragazze italiane, dunque, erano molto lontane dall’ideale femminile perseguito dal fascismo.<br />
paradossalmente, a questo risultato aveva in parte contribuito il fascismo stesso,<br />
che aveva lanciato alle italiane delle nuove generazioni un messaggio decisamente contrad<strong>di</strong>ttorio.<br />
Da un lato, esse erano invitate fin da piccole a prendere come esempio rosa<br />
Maltoni (la madre del Duce, morta nel 1905), «donna all’antica» <strong>di</strong>sposta a realizzarsi completamente<br />
nella maternità. Nello stesso tempo, tuttavia, alle giovani furono<br />
offerte varie occasioni <strong>di</strong> socializzazione, che offrirono loro inaspettate e ine<strong>di</strong>te<br />
occasioni <strong>di</strong> libertà.<br />
Negli anni Trenta, l’orizzonte <strong>di</strong> una ragazza molto raramente<br />
era più vasto <strong>di</strong> quello familiare. Il regime, al contrario,<br />
creò per le giovani donne nuovi spazi<br />
che <strong>–</strong> pur essendo rigidamente inseriti nel progetto<br />
totalitario <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zionare in senso fascista<br />
le nuove generazioni <strong>–</strong> comunque rompevano<br />
con la tra<strong>di</strong>zione, visto che le ragazze, per<br />
la prima volta, si trovarono a fronteggiare, lontane<br />
dai genitori, esperienze come gli esercizi<br />
ginnici <strong>di</strong> gruppo, le parate e le adunanze<br />
<strong>di</strong> massa, a roma o in altre città, <strong>di</strong>verse<br />
da quella <strong>di</strong> abituale residenza. Che una giovane<br />
(senza nessuno della famiglia presente come<br />
accompagnatore) viaggiasse in treno da sola,<br />
o insieme ad altre ragazze, era per l’epoca qualcosa<br />
<strong>di</strong> assolutamente nuovo e, secondo l’opinione<br />
<strong>di</strong> molti benpensanti, <strong>di</strong> inammissibile,<br />
<strong>di</strong> sconveniente, <strong>di</strong> scandaloso.<br />
In molte ragazze, al contrario, quelle esperienze<br />
generarono una nuova fiducia in se stesse, uno<br />
straor<strong>di</strong>nario desiderio <strong>di</strong> libertà e <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza,<br />
che il regime mise in moto, malgrado<br />
l’innegabile contrasto con l’immagine<br />
della donna passiva e remissiva che altre<br />
componenti della propaganda <strong>di</strong> regime cercavano<br />
<strong>di</strong> trasmettere.<br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro <strong>–</strong> Nuova e<strong>di</strong>zione © SEI, 2012<br />
➔La donna<br />
moglie-madre<br />
Riferimento<br />
storiografico 2<br />
pag. 7<br />
Una donna italiana<br />
circondata dai suoi<br />
numerosi figli.<br />
IperTeSTo<br />
IPERTESTO B<br />
5<br />
<strong>Fascismo</strong> e <strong>identità</strong> <strong>di</strong> <strong>genere</strong>
IperTeSTo<br />
UNITÀ V<br />
IL FASCISMO IN ITALIA<br />
6 Un’impiegata al lavoro<br />
alle poste durante il<br />
periodo fascista.<br />
Benché Mussolini non<br />
vedesse con favore<br />
l’occupazione delle<br />
donne, <strong>di</strong>versi<br />
industriali preferirono<br />
avvalersi <strong>di</strong><br />
manodopera<br />
femminile, perché il<br />
loro salario era più<br />
basso rispetto a quello<br />
degli uomini.<br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro <strong>–</strong> Nuova e<strong>di</strong>zione © SEI, 2012<br />
Riferimenti storiografici<br />
1<br />
Donna e famiglia nell’ideologia fascista<br />
Uno dei tratti più tipici del fascismo fu il rifiuto del principio egualitario. Pertanto, anche se la politicizzazione<br />
della componente femminile della popolazione (soprattutto a livello giovanile) spingeva<br />
<strong>di</strong> fatto in altre e più moderne <strong>di</strong>rezioni, l’orientamento prevalente fu quello che insisteva sulla supremazia<br />
maschile.<br />
L’or<strong>di</strong>ne e la <strong>di</strong>sciplina che devono regnare<br />
nella società sono il riflesso speculare della soli<strong>di</strong>tà<br />
granitica assicurata al nucleo familiare.<br />
Fuori dalla famiglia se non è solo il regno del<br />
gaudente e del libertino, quantomeno è il<br />
campo d’azione <strong>di</strong> quel tale in<strong>di</strong>viduo, il celibe,<br />
che «non sente la vita come missione e responsabilità,<br />
bensì come speculazione e avventura».<br />
Con tono minaccioso vi era chi affermava<br />
che intorno ai celibi e alle nubili il<br />
«cerchio» si stava stringendo. La famiglia si<br />
presentava dunque come un potentissimo<br />
stabilizzatore sociale. Fuori da quelle mura, anche<br />
quando non imperava il vizio, c’era la mutabilità<br />
e l’irregolarità <strong>di</strong> fenomeni da cui, in<br />
qualche modo, avrebbero potuto scaturire<br />
scintille incontrollabili. E non era neppure ben<br />
chiaro se l’in<strong>di</strong>viduo non incar<strong>di</strong>nato nella famiglia<br />
fosse ancora pienamente un citta<strong>di</strong>no.<br />
Il singolo doveva necessariamente essere un probo lavoratore e un buon padre; gli uomini e le<br />
donne isolati non potevano costituire le cellule autentiche della società. Insomma, l’asse sociale<br />
passava attraverso la famiglia e sul capo <strong>di</strong> chi non si faceva trovare a quell’appuntamento si<br />
addensava una non trascurabile deminutio [<strong>di</strong>minuzione <strong>di</strong> prestigio e <strong>di</strong> ruolo sociale, n.d.r.]. Possiamo<br />
ben <strong>di</strong>re, allora, che anche osservata attraverso lo spiraglio della famiglia, la società fascista<br />
si presentava con i suoi inconfon<strong>di</strong>bili tratti <strong>di</strong> immobilità e <strong>di</strong> controllo dall’alto.<br />
Con un passo abbiamo scavalcato un primo fondamentale aspetto <strong>di</strong> questo tratto dell’ideologia<br />
fascista. Un secondo salto ci porta nel mezzo del problema della donna, dove le<br />
perturbazioni e le variabilità incominciano a farsi più sensibili. […] Il ritratto della donna che<br />
prende forma sotto i colpi <strong>di</strong> penna <strong>di</strong> talune giornaliste fasciste ci presenta infatti una donna<br />
attiva, cui deve pur toccare «qualche officio sociale». Le donne <strong>di</strong> cui talvolta si reclama la<br />
presenza sono quelle che non stanno solo intorno al focolare. Occorrono donne, si osa <strong>di</strong>re,<br />
«che sappiano anche guardare più lontano rispetto al cerchio della famiglia e ammirare l’ampio<br />
orizzonte della patria». Contro le donne agnostiche [prive <strong>di</strong> fede nel fascismo, n.d.r.],<br />
contro la loro asocialità e apoliticità: talvolta ricorrono parole d’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> questo <strong>genere</strong>. È<br />
<strong>di</strong>fficile trattenersi dall’etichettare questa vena come una sorta <strong>di</strong> femminismo fascista; tanto<br />
più nel momento in cui accade che la esecrata espressione venga aggirata ma, sostanzialmente,<br />
non rigettata quando si parla <strong>di</strong> un femminismo vero, <strong>di</strong> un femminismo sano <strong>di</strong><br />
fronte al quale il fascismo non deve ritrarsi inorri<strong>di</strong>to. La formula era edulcorata nell’espressione<br />
irredentismo spirituale della donna, ma la sostanza era a un <strong>di</strong> presso la medesima e<br />
dava energie ad un vigoroso contrattacco in campo avverso, come allorché si affermava che<br />
le donne non potevano essere solo un oggetto passivo o come quando, cosa inau<strong>di</strong>ta, si<br />
poneva all’or<strong>di</strong>ne del giorno della volontà riformatrice del fascismo il problema maschile.<br />
Placato il primo stupore, sarà opportuno intendere queste intonazioni così poco conformi<br />
ai presupposti del regime come un effetto della profonda opera <strong>di</strong> attivazione politica cui<br />
venne sottoposta la società italiana da parte del fascismo <strong>–</strong> in particolare nella prima metà<br />
della sua parabola. Diamo pure per scontato che certe tematiche, soprattutto dopo lo scuotimento<br />
bellico, fossero nell’aria, ma un’idea della politica <strong>–</strong> come quella fascista <strong>–</strong> che soffiava<br />
inesausta su tutti i territori della società e che sembrava dovesse rivoltare dal più<br />
profondo se<strong>di</strong>mentazioni, consuetu<strong>di</strong>ni e pigrizie mentali, non è dubbio che dovesse investire<br />
anche certi settori femminili, attizzando l’idea che, anche per quanto riguardava la con<strong>di</strong>zione<br />
della donna, si fosse giunti sul punto <strong>di</strong> una svolta decisiva. C’era, al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> que-
sta illusoria attesa, una fiducia autentica nella forza trasformatrice del fascismo; è qui che<br />
dobbiamo andare a scavare se vogliamo trovare le ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> talune espressioni poco intonate,<br />
<strong>di</strong>ciamolo pure, ad una visione tra<strong>di</strong>zionale della donna. […]<br />
Attese, speranze, illusioni, si doveva essere mossi da una inestinguibile sete per nutrirle allorché<br />
un’altra parte del fascismo dal tema femminile faceva scaturire suoni che pure per quei<br />
tempi erano talvolta stridenti. [Il giornalista e politologo italiano] Sergio Pannunzio <strong>di</strong>ceva che<br />
la donna «ha il suo posto nel sistema fascista», ed erano parole che si sarebbero prestate ad<br />
ogni lettura. Ma altre voci non si avviluppavano neppure in quelle lievi ambiguità e giungevano<br />
a <strong>di</strong>chiarare riprovevole persino il lavore femminile. La donna che lavora si mascolinizza, tende<br />
alla sterilità. Occorre quin<strong>di</strong> favorire il ritorno alla casa, frenando con tutti i mezzi l’invadenza femminile<br />
in ambito professionale (con cipiglio severo si riportavano i dati che rilevavano il progressivo<br />
espandersi della presenza femminile tra gli insegnanti). Quanto alla politica, al Korherr [Riccardo<br />
Korherr, autore del saggio <strong>di</strong> demografia Regresso delle nascite: morte dei popoli (1928), n.d.r.],<br />
pre<strong>di</strong>letto dal duce, scappa <strong>di</strong> <strong>di</strong>re: l’unica vera politica della donna «è la conquista dell’uomo».<br />
Quel certo inaspettato ardore quasi femministico l’abbiamo spiegato come l’effetto <strong>di</strong> fermenti<br />
che erano nell’aria; queste altre valutazioni (che talvolta assumevano sapori postribolari)<br />
appaiono, dal canto loro, incar<strong>di</strong>nate in uno degli ingranaggi essenziali della macchina ideologica<br />
fascista, vale a <strong>di</strong>re la sua fondamentale concezione antiegualitaria. L’insaziabile fame<br />
<strong>di</strong> gerarchie e <strong>di</strong> <strong>di</strong>versità, la <strong>di</strong>suguaglianza non solo riconosciuta e accettata, ma ad<strong>di</strong>rittura<br />
esaltata, era inevitabile trovasse una esemplare applicazione proprio in una delle più tra<strong>di</strong>zionali<br />
e ra<strong>di</strong>cate forme <strong>di</strong> <strong>di</strong>scriminazione, quella appunto tra uomo e donna.<br />
p.G. ZUNINo, L’ideologia del fascismo. Miti, credenze e valori nella stabilizzazione<br />
del regime, il Mulino, Bologna 1995, pp. 289-294<br />
2<br />
I paradossali esiti della mobilitazione<br />
femminile<br />
Diversamente dalle <strong>di</strong>ttature tra<strong>di</strong>zionali, il fascismo tentò <strong>di</strong> trasmettere il suo messaggio ideologico<br />
a tutte le componenti della popolazione e <strong>di</strong> tenere le masse in stato <strong>di</strong> perenne mobilitazione. Anche<br />
le ragazze italiane furono investite da tali nuovi processi, che tuttavia entrarono in contrasto con<br />
le abitu<strong>di</strong>ni tra<strong>di</strong>zionali. Inoltre, promuovendo un ine<strong>di</strong>to spirito <strong>di</strong> autonomia rispetto alla famiglia, finirono<br />
per generare in molte giovani un atteggiamento verso la vita che era in contrad<strong>di</strong>zione con quello<br />
spirito passivo e remissivo che il fascismo chiedeva alle donne.<br />
Nel giugno del 1930 Augusto Turati, segretario del Partito nazionale fascista, convoca<br />
1200 Giovani fasciste <strong>di</strong> Roma e della provincia, in occasione della consegna della tessera.<br />
È la prima volta che il Partito fascista, attraverso il suo segretario, riunisce le iscritte della<br />
nuova organizzazione, ragazze dai <strong>di</strong>ciotto ai ventidue anni. Vi è una certa curiosità intorno<br />
all’incontro: quali sono gli scopi <strong>di</strong> quest’ennesimo raggruppamento, che si propone come<br />
evidente prolungamento dei gruppi giovanili delle Piccole e Giovani italiane e quali compiti<br />
ricadranno sulle Giovani fasciste? L’evento dà origine a un piccolo ma espressivo fuori programma.<br />
Fuori dal Teatro Argentina, dove si svolge la cerimonia, gli organizzatori si trovano<br />
<strong>di</strong> fronte a una massa rumoreggiante <strong>di</strong> madri che preme per entrare; sono arrivate lì per<br />
accompagnare le figlie e non intendono <strong>di</strong> certo essere messe da parte e perdersi lo spettacolo.<br />
Impossibile resistere alle pressioni: le madri, sia pure pigiate nei palchi, conquistano<br />
il <strong>di</strong>ritto ad assistere alla consegna delle tessere e ad ascoltare quanto ha da <strong>di</strong>re alle figlie<br />
il segretario del partito. Lo stesso Turati, nel suo <strong>di</strong>scorso, è costretto a fare ammenda della<br />
miopia degli organizzatori: «Poiché è la prima volta che questa vostra organizzazione si riunisce<br />
e si raccoglie… ed è la prima volta che io vi parlo, avrei voluto che la manifestazione<br />
fosse per voi sole; ma poiché tutto questo aveva l’aria <strong>di</strong> una congiura, abbiamo aperto le<br />
porte del teatro anche alle mamme. Noi vogliamo solamente essere i continuatori dell’educazione<br />
saggia che i vostri genitori vi hanno data e speravamo che per un giorno vi avrebbero<br />
lasciate sole: ma le mamme non hanno voluto: siano le benvenute». […]<br />
Il <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> Turati è una perfetta espressione <strong>di</strong> quell’ambigua misoginia che connota, come<br />
sappiamo, il programma politico fascista, così come le migliaia <strong>di</strong> madri, che avvolgenti e intrusive<br />
impongono una deroga al copione previsto, offrono una testimonianza para<strong>di</strong>gmatica<br />
del clima e della mentalità familiare del tempo. Dietro tanta <strong>di</strong>ffidenza s’intuiscono varie motivazioni:<br />
in primo luogo, l’ostilità con cui le famiglie guardano a ogni forma <strong>di</strong> intrusione da parte<br />
dei poteri dello stato su un terreno che ritengono <strong>di</strong> loro esclusiva pertinenza, vale a <strong>di</strong>re l’educazione<br />
dei figli; in secondo luogo, lo strisciante boicottaggio per forme <strong>di</strong> inquadramento e<br />
<strong>di</strong> attivismo <strong>di</strong> cui non si con<strong>di</strong>vidono scopi e obiettivi. Un boicottaggio che si trasforma in vero<br />
e proprio allarme quando a essere coinvolte sono anche bambine e ragazze.<br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro <strong>–</strong> Nuova e<strong>di</strong>zione © SEI, 2012<br />
Per quali motivi<br />
il fascismo guardava<br />
ai celibi con timore<br />
e <strong>di</strong>sprezzo?<br />
Per quali ragioni<br />
«femminismo» era<br />
un’espressione<br />
«esecrata» dal<br />
fascismo?<br />
Per quali ragioni<br />
l’autore definisce<br />
«illusorie» le<br />
aspettative delle<br />
donne fasciste?<br />
IperTeSTo<br />
IPERTESTO B<br />
7<br />
<strong>Fascismo</strong> e <strong>identità</strong> <strong>di</strong> <strong>genere</strong>
IperTeSTo<br />
UNITÀ V<br />
8<br />
IL FASCISMO IN ITALIA<br />
Un gruppo <strong>di</strong> “Giovani<br />
italiane” partecipano<br />
a un saggio ginnico nel<br />
Parco della Farnesina<br />
a Roma, fotografia del<br />
1939.<br />
Spiega l’espressione<br />
«ambigua misoginia»,<br />
usata per in<strong>di</strong>care<br />
l’atteggiamento tenuto<br />
verso le donne dal<br />
regime fascista.<br />
Che cosa significa<br />
l’affermazione<br />
secondo cui la morale<br />
familiare corrente<br />
negli anni Trenta era<br />
«asimmetrica»?<br />
Su quale punto le<br />
memorie <strong>di</strong> coloro che<br />
erano giovani donne<br />
negli anni del<br />
fascismo sono<br />
praticamente<br />
unanimi?<br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro <strong>–</strong> Nuova e<strong>di</strong>zione © SEI, 2012<br />
Agnese Pitrelli, nata a Brin<strong>di</strong>si nel 1929, laureata alla facoltà <strong>di</strong> Magistero <strong>di</strong> Roma, e in seguito<br />
de<strong>di</strong>catasi all’insegnamento, ricorda: «Mio padre e mia madre erano furibon<strong>di</strong> quando dovevo<br />
mettermi in <strong>di</strong>visa e andare alle riunioni delle Piccole e delle Giovani italiane, perché non stava<br />
bene che una donna andasse fuori casa. Mia madre era in<strong>di</strong>gnata perché non stava bene che<br />
le donne si mettessero in mostra. Marciare tutte insieme, partecipare alle sfilate, ai saggi ginnici<br />
era una cosa scandalosa per la mentalità tra<strong>di</strong>zionale mentre io ne ero entusiasta». Principali imputate<br />
sono, dunque, le frequenti uscite <strong>di</strong> casa che la ritualità fascista imponeva. «A quell’epoca<br />
le ragazze erano tenute sotto stretta sorveglianza. Fino all’università non potevo andarmene in<br />
giro da sola e fino alla terza liceo sono andata a letto alle nove», aggiunge Carla Rossini, nata<br />
nel 1922, che riuscì ad allontanarsi da casa solo in occasione dei Littoriali della cultura. Per la<br />
morale familiare corrente, profondamente asimmetrica quanto a libertà e <strong>di</strong>vieti concessi ai due<br />
sessi e restia, come <strong>di</strong>mostrano i commenti appena riportati, ad accettare comportamenti non<br />
appropriati per le ragazze, appariva del tutto naturale che ragazze tra i <strong>di</strong>ciotto e i ventidue anni<br />
non potessero nemmeno ricevere la consegna della tessera attestante la loro iscrizione a un partito,<br />
senza essere accompagnate dalle madri. […]<br />
Sbagliavano dunque le madri e le famiglie a guardare con tanto allarme gli obblighi imposti<br />
alle figlie o nel sentirsi minacciate da forme <strong>di</strong> partecipazione in definitiva così blande e innocue?<br />
Non del tutto. Per ragazze sottoposte a <strong>di</strong>vieti e limitazioni d’ogni tipo, costrette a vivere chiuse<br />
nella routine casalinga <strong>–</strong> come «farfalla nel bozzolo» si rappresenterà la scrittrice Milena Milani<br />
ripensando alla sua adolescenza <strong>–</strong> e sulle quali anche un fratello minore aveva un’autorità riconosciuta,<br />
le adunate, l’obbligo allo sport, in seguito il viaggio a Roma o a Predappio, paese che<br />
aveva dato i natali a Mussolini e che <strong>di</strong>venne a partire dal 1926 sede <strong>di</strong> pellegrinaggio da parte<br />
delle <strong>di</strong>verse associazioni giovanili, i soggiorni nelle colonie estive, le settimane d’agonismo sportivo<br />
o la partecipazione ai Littoriali della cultura, la frequentazione delle riunioni dei GUF [Gruppi<br />
universitari fascisti, n.d.r.] per le poche e fortunate studentesse universitarie, rappresentavano<br />
un effettivo spiraglio per sfuggire alla tirannia familiare. Diventano, in altre parole, il surrogato <strong>di</strong><br />
tutto ciò cui gran parte delle bambine e delle giovani non poteva ambire o che mancava nel loro<br />
habitat, consentendo al contempo una <strong>di</strong>latazione degli spazi dell’esperienza oltre i limiti delle<br />
comunità familiare o <strong>di</strong> quartiere. Su questo punto i ricor<strong>di</strong> autobiografici <strong>–</strong> ahimè troppo pochi,<br />
grazie a una storiografia che si è per molto tempo <strong>di</strong>sinteressata del lungo viaggio nel fascismo<br />
delle giovani donne <strong>–</strong> sono pressoché unanimi. Solo un esempio: «Non mancavano le novità.<br />
La possibilità <strong>di</strong> viaggiare nel caso dei Littoriali, andarsene per i fatti propri a Bologna, cosa che<br />
in famiglia non mi avrebbero mai lasciato fare. Ricordo la prima volta che sono tornata per conto<br />
mio da Sanremo. Mia madre mi accolse esclamando: “<strong>Sei</strong> tornata da sola in treno?!”», ricorderà<br />
una. Nel mondo claustrofobico in cui vivono le più giovani, «l’obbligatorietà <strong>di</strong> certe manifestazioni<br />
finiva per costituire una piccola liberazione in rapporto a qualcosa <strong>di</strong> peggio», <strong>di</strong>rà un’altra.<br />
Per le più avventurose inoltre, le <strong>di</strong>vise, le adunate, la gran<strong>di</strong>osità <strong>di</strong> alcuni riti, il saluto<br />
alle ban<strong>di</strong>ere, significa liberazione dell’immaginazione in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> quei movimenti plurimi<br />
<strong>di</strong> conquista dell’io, <strong>di</strong> crescita sentimentale e ideale, che appare un connotato <strong>di</strong> parte delle<br />
generazioni femminili tra le due guerre. […] Sia pure per una minoranza <strong>di</strong> Giovani italiane<br />
e <strong>di</strong> Giovani fasciste, le nuove aggregazioni erano vissute non solo con sentimenti liberatori<br />
nei confronti dell’enclave familiare ma anche come fonte per alimentare una fiducia in se<br />
stesse, trampolino <strong>di</strong> lancio <strong>di</strong> futuri protagonismi.<br />
M. D’AMeLIA, La mamma, il Mulino, Bologna 2005, pp. 209-212, 220-222