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gennaio - Accademia dei Concordi

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Durante il fascismo l’urbanistica è andata poi consolidandosi come disciplina che,<br />

attraverso il controllo della crescita della città, doveva evitare la destabilizzazione<br />

del sistema e ottenere un consenso universale; il regime cercò di accreditare la sua<br />

autorità attraverso una poderosa attività di realizzazione di edifici pubblici e di<br />

progetti di piani regolatori.<br />

Alle due cause sopra indicate di distruzione del patrimonio storico e di perdita di<br />

identità <strong>dei</strong> centri urbani di Italia, e cioè alla frenetica attività della rendita fondiaria e<br />

alla scarsa efficacia reale del potere centrale e amministrativo si potrebbe aggiungere<br />

anche la mancata partecipazione delle realtà locali alle proprie trasformazioni.<br />

I centri storici sono il frutto dell’attiva azione delle forze ivi residenti: le trasformazioni<br />

sostanziali del tessuto urbano furono da sempre oggetto di un approfondito dibattito<br />

tra le forze politiche ed economiche ivi residenti. Al contrario, con l’avvento dello<br />

stato unitario e della specializzazione <strong>dei</strong> compiti (e con il conseguente linguaggio<br />

gergale che ha ridotto la possibilità di comprensione da parte del ‘popolo’ delle<br />

decisioni fondamentali) le comunità locali sono state allontanate dalla possibilità di<br />

intervenire attivamente.<br />

Ma se la città non si realizza attraverso un processo consapevole, fondato su un’ampia<br />

base partecipata, il risultato sarà quello di una città priva di una precisa identità.<br />

Rovigo all’inizio del XX secolo<br />

La città, come l’architettura, rappresenta un progetto di volontà insediativa che deve<br />

tener conto per il suo evolversi di molti dati di partenza: tra questi, fondamentali<br />

sono il sito che è il luogo fisico in cui essa si attua e la situazione economica e<br />

demografica della comunità che in essa è insediata.<br />

Leobaldo Traniello così riassume la condizione di Rovigo agli inizi del 1900:<br />

“La stagnazione economica italiana nell’ultimo quarto del XIX secolo aveva pesato<br />

anche su Rovigo, caduta in una situazione di crisi tale da far registrare al censimento<br />

del 1901 una popolazione (sul territorio comunale) di 10.375 abitanti, con un calo di<br />

oltre l’8% rispetto a vent’anni prima. Ma già nel 1911 il numero degli abitanti era<br />

salito a 12.150 <strong>dei</strong> quali, però, solo poco più di metà risiedeva nel capoluogo: la città,<br />

dunque, non aveva avuto ragione di espandersi significativamente oltre la cerchia<br />

delle mura medievali”.<br />

Nella pianta del Bocchi (foto 2) Rovigo si presenta ben riconoscibile con la forma<br />

pentagonale dell’antica città murata: diciannove torri e cinque porte: 1) Porta San<br />

Giovanni ad ovest, palazzo Minelli dove ora sorge l’edificio della Banca Commerciale;<br />

2) Porta Arquà a sud ovest, all’uscita di via Badaloni (all’ospedale vecchio); 3) Porta<br />

S. Agostino a sud, in corrispondenza di via Casalini; 4) Porta S. Bortolo, allo sbocco<br />

di via Cavour, via X Luglio e piazza Merlin; 5) porta S. Francesco all’incrocio tra<br />

via Garibaldi e viale Trieste subito dopo piazza XX Settembre.<br />

Di queste cinque porte attualmente ne sopravvivono solo due: porta S. Agostino e<br />

porta S. Bortolo. La cinta muraria è stata quasi totalmente demolita o inglobata in<br />

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