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gennaio - Accademia dei Concordi

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trascendente. Per lui, non ci sono mai state sfide titaniche, ma soltanto un continuo,<br />

sapiente rimboccarsi le maniche e tanta paziente assiduità. Il lungo dialogo con la ricerca<br />

fitoterapeutica è tutto trasferito nelle pagine del Teatro di Piante in cui trovarono ospitalità<br />

anche esemplari avuti in cambio dai frati missionari e dai più noti botanici del tempo.<br />

Nella prefazione si legge che gli esemplari provenivano“non solamente razzolando que’<br />

vegetabili, che con man salda recuperiamo da’ nostri territorij, e dalle vicine contrade,<br />

ma stendendo ancor più e dilungando le ali de’ miei ardentissimi desiderij fino da capo<br />

delle due Indie.” Le specie, raccolte nel territorio veronese, erano piante poco esigenti<br />

“razzolate con man salda nei nostri territori”, scriveva il frate infermiere, ove spesso vi<br />

era una “frammistione di piante”, provviste di grande adattabilità. Per lo più si trattava di<br />

piante spontanee che vivevano nei più disparati ambienti, nei luoghi incolti, sul limitare<br />

delle siepi, sulle macerie, sugli argini, alla periferia di orti dismessi, ovunque il terreno<br />

consentiva alle radici di penetrare e di riprodursi “camminando” sotto terra per poi<br />

spuntare quando e dove meno ci si aspetta, oppure di produrre una grande quantità di<br />

semi, in grado di rimanere vitali nel terreno anche dopo una decina di anni. Quelle specie<br />

erano i farmaci naturali che Dio aveva dato agli uomini per comporre unguenti e pozioni,<br />

decotti ed impiastri. Per ogni pianta, il Teatro di Piante ne dà la nomenclatura, il preciso<br />

fine terapeutico e induce ora gli studiosi, conoscendo l’ecologia della specie, a intuire<br />

quali fossero le condizioni ambientali in cui aveva operato il frate raccoglitore. Il più delle<br />

volte, a margine di ogni foglio, su cui sono appoggiate le piante essiccate, vi sono aggiunte<br />

delle brevissime note. Una volta deposte sulla pagina, è come se l’esemplare essiccato<br />

non possa più fare a meno di quello scritto, che diventa in tal modo parte integrante ed<br />

essenziale. Ognuno di quei fogli documenta una minima storia che sa di case di legno<br />

coperte dal gelo, di angoli battuti dal sole, di malattie, di speranze perdute, di una cultura<br />

tramandata assieme alle memorie collettive, ai minimi rituali, alle intriganti cerimonie,<br />

alle reciproche curiosità, alle nostalgie: un mondo vario che pregava e sperava. Sono<br />

letture che hanno tutta la suggestione di un racconto ascoltato in quei luoghi ove fu. Le<br />

fonti sono poche, su tante cose tacciono, e recuperare la trama di una storia diventa arduo.<br />

Tutte assieme comunque rappresentano l’alfabeto della vita di un frate in cui si sono<br />

sempre rincorse la memoria, la fiducia e la conferma che chi soffriva doveva avere sempre<br />

qualcuno accanto.<br />

Nel filtrare quelle storie, attraverso il presente, e, nell’immergerle nel quotidiano, fra<br />

Fortunato consente di intuire un ordito di discipline che solitamente percorrono, in modo<br />

parallelo, strade diverse e che, in questo contesto, invece, si frequentano, si richiamano, si<br />

raccordano offrendo occasioni per riflettere su un patrimonio di rigorosa cultura “botanica”,<br />

sociale e spirituale. In questo silenzioso lavoro ci sono volute la mano e l’intelligenza<br />

di un uomo che era riuscito a raccogliere echi di letture, di curiosità, di sentimenti, di<br />

esperienze altrui e a trasferirli nel Teatro di Piante che, nel tempo, è divenuto un vero e<br />

proprio documento scientifico, ricco di memorie destinate a crescere in silenzio e su cui<br />

esprimere un giudizio, non è sempre il punto d’arrivo.<br />

All’interno delle mura del convento di Verona avvenne l’incontro con fra Petronio, anche<br />

lui infermiere, laico, con cui condivise la cura degli ammalati e lo studio <strong>dei</strong> semplici<br />

vegetali. Insieme continuarono a raccogliere erbe, andando dai prati veronesi fino alla<br />

sommità del monte Bondone, là dove conduceva la curiosità per il mondo della natura.<br />

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