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Apocalisse, il giorno dopo - Baskerville

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D ANELE P UGLIESE, APOCALISSE, IL GIORNO DOPO<br />

La conclusione che tira Ariés è che nella seconda metà<br />

del Medioevo la morte diviene «<strong>il</strong> luogo in cui l’uomo ha<br />

preso meglio coscienza di se stesso». O, come scrive poco<br />

più avanti,<br />

Dalla metà del Medioevo in poi, l’uomo occidentale ricco, potente, letterato,<br />

riconosce se stesso nella propria morte: ha scoperto la morte di sé.<br />

Da questa, nel volgere di alcuni secoli, l’uomo passa alla<br />

scoperta della morte dell’altro.<br />

Fra <strong>il</strong> XVI e <strong>il</strong> XVIII secolo, nota Ariés, si assiste a un<br />

fenomeno che avviene non nel mondo dei fatti reali,<br />

effettivi, indagati dallo storico, ma in quello «oscuro e<br />

stravagante dei fantasmi, nel mondo dell’immaginario»,<br />

indagato dallo psicanalista. I temi della morte si caricano di<br />

s’impone fino all’ossessione nel mondo avido di ricchezze e di onori dal XIV al<br />

XV secolo.<br />

Ma a quei tempi si esprimeva in modo diverso da oggi. L’uomo di oggi non<br />

collega la sua amarezza alla morte. Invece l’uomo della fine del Medievo<br />

identificava la sua impotenza con la sua distruzione fisica, con la morte. Si vede<br />

al tempo stesso fallito e morto, fallito in quanto mortale e portatore di morte.<br />

[...]<br />

Chi dice fallimento dice programma, progetto per l’avvenire. Perché vi fosse un<br />

programma, era necessario che una vita individuale fosse considerata come<br />

oggetto di una previsione volontaria. Non era sempre stato così. Non era<br />

ancora così nel xv secolo, per la gran massa della società, che non possedeva<br />

nulla. La vita del povero era sempre un destino imposto, sul quale egli non<br />

aveva presa. In compenso, a partire dal XII secolo circa, vediamo diffondersi<br />

l’idea che ciascuno possiede una propria biografia, e che si può agire fino<br />

all’ultimo momento sulla propria biografia. Se ne scrive la conclusione al<br />

momento della morte. E così si è creata una relazione fondamentale fra l’idea<br />

della propria morte e quella della propria biografia. Tuttavia bisogna osservare,<br />

senza timore di ripeterci, che allora la morte non faceva né paura né piacere,<br />

come invece accadrà nel XVII e nel XVIII secolo. Era prima di tutto, molto<br />

semplicemente, <strong>il</strong> momento della resa dei conti, in cui si faceva <strong>il</strong> b<strong>il</strong>ancio (la<br />

b<strong>il</strong>ancia) d’una vita. Per questo la prima manifestazione simbolica del rapporto<br />

fra l’idea della morte e la coscienza di sé è stata l’iconografia del giudizio<br />

universale, in cui la vita è pesata e valutata. Prima giudizio universale, e poi<br />

giudizio individuale, nella camera stessa del morente». PHILIPPE ARIÉS, Storia<br />

della morte in Occidente, cit., pp. 124-125.<br />

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