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Apocalisse, il giorno dopo - Baskerville

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D ANELE P UGLIESE, APOCALISSE, IL GIORNO DOPO<br />

a proporzioni assai significative, ad ogni latitudine, almeno<br />

in Europa.<br />

Per quanto tautologico possa apparire, <strong>il</strong> grande<br />

protagonista della deprecatio temporis è <strong>il</strong> tempo: passato,<br />

presente e futuro possono essere più o meno reali, ma per<br />

lo più giocano ruoli chiave. Ruoli che a volte sono anche<br />

intercambiab<strong>il</strong>i. In linea di massima <strong>il</strong> passato è quello a cui<br />

vanno attribuite le qualità migliori, i valori più alti. Il<br />

presente merita di essere fustigato ed ha già in sé i germi di<br />

un futuro prossimo catastrofico se non addirittura<br />

dell’assenza completa di futuro. Talvolta invece – è <strong>il</strong> caso<br />

delle utopie negative – è proprio <strong>il</strong> futuro, un futuro<br />

ovviamente immaginario come altrimenti non può essere <strong>il</strong><br />

futuro, ad incarnare le caratteristiche peggiori, magari le<br />

stesse che si attribuiscono al presente o semplicemente una<br />

loro più marcata estensione.<br />

Nota Michela Nacci che tendenza tipica della<br />

letteratura della crisi è «quella ad argomentare per<br />

opposizioni, a muoversi fra dicotomie»: fra Ziv<strong>il</strong>isation e<br />

Kultur, fra meccanicismo e organicismo, fra progresso<br />

quantitativo e qualitativo, fra individualismo e<br />

ordinamento sociale, fra America ed Europa, fra novità e<br />

tradizione, fra artificiale e naturale, fra storia lineare e<br />

storia ciclica, fra capitalismo e precapitalismo, fra<br />

artigianato e produzione industriale, fra masse ed élites, fra<br />

tecnica e cultura. Ma in ultima analisi questi conflitti si<br />

riducono a quello fra presente e passato, perché ciò che<br />

sarebbe da buttare (anche se è troppo tardi per farlo), è<br />

quello che appartiene all’oggi, mentre ciò che c’è di buono<br />

se n’è andato. Si potrebbe dire, prendendo a prestito <strong>il</strong><br />

titolo dell’opera di Marcel Proust, che si va «alla ricerca del<br />

tempo perduto» – libro che, non è fuori luogo ricordarlo, fu<br />

pubblicato fra <strong>il</strong> 1913 e <strong>il</strong> 1927, cinque anni <strong>dopo</strong> la morte<br />

dell’autore – tarpandosi però la possib<strong>il</strong>ità di un «tempo<br />

ritrovato».<br />

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