Apocalisse, il giorno dopo - Baskerville
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D ANELE P UGLIESE, APOCALISSE, IL GIORNO DOPO<br />
... Ormai non erano che mozziconi di candela e a me sembravano<br />
simboleggiare la fine del mondo, che io sapevo cominciava ora a<br />
compiersi. [...] Le fiammelle vac<strong>il</strong>lavano. Gettavano una luce inquieta<br />
sulla tavola e generavano ombre altrettanto inquiete, che vac<strong>il</strong>lavano<br />
sulle pareti tinte in azzurro scuro. 102<br />
Ciò di cui lui parla è invece la fine di un mondo. È <strong>il</strong><br />
testimone della fine della sua classe e del suo Impero:<br />
«abbiamo perduto un mondo, <strong>il</strong> nostro mondo», l’imperialregia<br />
monarchia, patria sì, ma qualcosa di più di terra<br />
natia.<br />
[...] per quanto fossi preparato all’ignoto, e anzi a qualcosa di<br />
estremamente remoto, <strong>il</strong> più mi parve consueto e fam<strong>il</strong>iare. Solo molto<br />
più tardi, molto tempo <strong>dopo</strong> la grande guerra che giustamente, a mio<br />
parere, viene chiamata ‘guerra mondiale’, e non già perché l’ha fatta<br />
tutto <strong>il</strong> mondo, ma perché noi tutti, in seguito ad essa, abbiamo perduto<br />
un mondo, <strong>il</strong> nostro mondo, solo molto più tardi, dicevo, dovevo<br />
accorgermi che perfino i paesaggi, i campi, le nazioni, le razze, le<br />
capanne e i caffè del genere più diverso e della più diversa origine<br />
devono sottostare alla legge del tutto naturale di uno spirito potente che<br />
è in grado di accostare ciò che è distante, di rendere affine l’estraneo e di<br />
conc<strong>il</strong>iare l’apparentemente divergente. Parlo del frainteso e anche<br />
abusato spirito della vecchia monarchia, che in questo caso faceva sì che<br />
io fossi di casa a Zlotogrod non meno che a Sipolje o a Vienna. L’unico<br />
caffè di Zlotogrod, <strong>il</strong> caffè Asburgo, al pianterreno dell’albergo dell’Orso<br />
d’oro dove io avevo preso alloggio, non mi sembrò diverso dal caffè<br />
Wimmerl nella Josefstadt, dove ero solito incontrarmi <strong>il</strong> pomeriggio coi<br />
miei amici. Anche qui, dietro <strong>il</strong> banco, sedeva la fam<strong>il</strong>iarissima cassiera,<br />
bionda e grassoccia come ai miei tempi solo le cassiere potevano esserlo,<br />
una specie di candida dea del vizio, un peccato che si rivela solo per<br />
accenni, vogliosa, corruttib<strong>il</strong>e e, in pari tempo, vig<strong>il</strong>e affarista. Avevo già<br />
visto lo stesso a Zagabria, a Olmütz, a Brno, a Kecskemet, a<br />
Szombathely, a Ödenburg, a Sternberg, a Müglitz. Le scacchiere, le<br />
tessere del domino, le pareti annerite dal fumo, i lumi a gas, <strong>il</strong> tavolo da<br />
cucina nell’angolo, vicino ai gabinetti, la cameriera col grembiule<br />
azzurro, <strong>il</strong> gendarme con l’elmo giallo-arg<strong>il</strong>la che entrava per un attimo,<br />
102 JOSEPH ROTH, La cripta dei Cappuccini, cit., da cui sono tratte anche le successive<br />
citazioni.<br />
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