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del dialogo è determinata, sin da 8,31, dal rapporto vicendevole tra gli<br />
interlocutori e dal rapporto tra loro e i due personaggi menzionati.<br />
Il dialogo si apre nel v. 48 con l’insulto fatto a Gesù da parte dei Giudei:<br />
«Non diciamo noi bene che sei un Samaritano e hai un demonio?». Così<br />
reagiscono all’aspro discorso precedente di Gesù, in cui egli ha negato la<br />
paternità di Dio e di Abramo nei loro confronti, affermando invece che il<br />
diavolo è loro padre. Essi riconfermano il loro giudizio su Gesù, espresso già<br />
precendentemente (7,20), che sarà poi ripetuto ancora più avanti (8,52;<br />
10,20), cioè che lui ha un demonio. Il secondo termine dell’insulto,<br />
«Samaritano», appare invece qui per la prima volta. L’offesa fa di Gesù un<br />
nemico di Dio e lo mette al di là delle frontiere del vero popolo di Dio. Gesù<br />
nella sua replica (v. 49) nega di avere un demonio, senza dimostrarlo;<br />
afferma invece che il contrario è vero: lui onora Dio, chiamato «il Padre<br />
mio», sta dunque dalla sua parte. Ma poiché i Giudei lo disonorano, stanno,<br />
in tal modo, loro stessi dalla parte opposta. Infatti, non onorando il Figlio<br />
non onorano neanche il Padre (5,23)! Si contrappongono qui due visioni del<br />
tutto opposte della realtà: i Giudei giudicano Gesù come un empio, mentre<br />
lui chiama Dio «suo Padre» e lo onora, accusando i Giudei d’empietà.<br />
Gesù prosegue nel suo discorso offrendo il criterio per riconoscere la<br />
genuinità del suo atteggiamento: non cerca la propria gloria (cf. 5,41; 7,18).<br />
A questo criterio «negativo» corrisponde uno positivo: un altro cerca la<br />
gloria per lui. Gesù che non cerca la propria gloria si richiama a Dio che è<br />
giudice (o` kri,nwn) e gli darà ragione. Anche se la frase e;stin o` zhtw/n non<br />
esprime esplicitamente né soggetto, né oggetto, si tratta di sicuro di Dio che<br />
cerca la gloria per Gesù, dandogli credito (v. 50). Da questa posizione Gesù<br />
osa esprimere una promessa ardita: l’osservanza della sua parola preserva<br />
dalla morte (v. 51). Questo conferma i Giudei ancora di più nella loro<br />
convinzione circa lo stato d’animo di Gesù: loro sanno, hanno conosciuto<br />
(nu/n evgnw,kamen). Se finora il loro giudizio su Gesù poteva essere ancora<br />
preliminare, adesso (nu/n) sono arrivati alla certezza. Questa loro certezza<br />
poggia sulla contraddizione tra la promessa di Gesù e il destino comune di<br />
tutti i mortali, incluso Abramo e i profeti. Come può Gesù assicurare con la<br />
sua parola l’immortalità, se anche l’uomo più grande e più vicino a Dio che<br />
loro conoscano, Abramo, è morto, similmente ai profeti (v. 52)? Quasi tutti i<br />
commentatori osservano che i Giudei si trovano qui, come spesso in Gv, in<br />
una tipica situazione d’incomprensione, intendendo la promessa di Gesù nel<br />
senso di un prolungamento infinito della vita terrestre. Gesù parla invece<br />
della preservazione dalla morte eterna e del dono della vita eterna, il che non<br />
esclude la morte corporale. In base alla loro incomprensione i Giudei<br />
pongono a Gesù una domanda offensiva con cui vogliono svelargli<br />
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