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suoi grandi atti e nelle sue apparizioni. L’essenza di Dio, in sé invisibile,<br />
diviene percepibile attraverso la sua gloria. Usato per la manifestazione di<br />
Dio stesso, il termine greco, do,xa, riceve, con i LXX, un nuovo significato,<br />
che non aveva nel suo ambiente originale greco e che poi mantiene nel<br />
NT 146 . I LXX dunque hanno fatto una rivoluzione nell’uso di do,xa,<br />
designando con esso la manifestazione di Dio. Il NT compie ancora un altro<br />
ulteriore decisivo passo avanti: riferisce il concetto della gloria, in<br />
quest’ultimo senso della manifestazione divina, anche a Gesù 147 .<br />
La gloria (e glorificazione) è uno dei concetti caratteristici della teologia<br />
giovannea. Il sostantivo in Gv ricorre 19 volte (9 volte riferito a Gesù o al<br />
Figlio o al Logos 148 , 2 volte al Padre, 3 volte si tratta della «gloria dagli<br />
uomini», con cui si glorificano a vicenda), il verbo 23 volte (Gesù ne è<br />
soggetto 9 volte, il Padre 12 volte, il Paraclito una volta e una volta Pietro).<br />
Giovanni usa il concetto di gloria, sia nella forma di sostantivo che in<br />
quella verbale, nel doppio senso biblico: onore reso a qualcuno o<br />
manifestazione-rivelazione. Nel primo senso, quello di glorificare e onorare<br />
146 G. KITTEL, «doke,w, do,xa, doxa,zw…», 248.250: «Dort, wo zum erstenmal ein<br />
Übersetzer des AT auf den Gedanken kam, dAbK' mit do,xa wiederzugeben, vollzog er<br />
einen Eingriff in die Gestaltung des Sprachgebrauchs von ungewöhnlicher Tragweite. Es<br />
begann eine Umprägung des griechischen Wortes, wie sie stärker nicht gedacht werden<br />
kann. Mit einem Begriff des Denkens und Meinens, zu dessen Inhalt alle Subjektivität<br />
und damit alle Schwankung menschlichen Denkens und Vermutens gehört, ist die<br />
Aussage des Objektivismus schlechthin geworden, der Gotteswirklichkeit […] Dass die<br />
nt.liche Verwendung von do,xa nicht dem griechischen, sondern dem Septuaginta-<br />
Sprachgebrauch entspricht, ist offenkundig».<br />
147 Si tratta della glorificazione di Gesù dopo la Pasqua. Se viene usato già durante la<br />
vita terrena di Gesù, allora è solo come anticipazione della sua glorificazione pasquale,<br />
come nella trasfigurazione (Lc 9,31) o per indicare la sua parusia (Mc 8,38; 10,37; 13,26<br />
par. Mt 19,28; 25,31). In Luca (2,9.14) do,xa figura anche nei racconti della nascita di<br />
Gesù esprimendo la sua provenienza divina. Cf. G. KITTEL, «doke,w», 251s.<br />
148 Riferita a Gesù, la do,xa è un concetto cristologico fondamentale: essa gli appartiene<br />
dall’eternità in quanto è l’«unigenito dal Padre» (1,14), egli l’ha manifestata a Cana<br />
(2,11), lui stesso però non la cerca (8,50), se glorificasse se stesso la sua gloria non<br />
sarebbe nulla (8,54). Isaia stesso ha visto la sua gloria! (12,41). È la gloria che Gesù<br />
aveva presso il Padre prima che il mondo fosse e di cui vuole essere di nuovo glorificato<br />
(17,5), che il Padre gli ha dato (17,22) e Gesù vuole che la vedano anche i suoi (17,24).<br />
Questa do,xa di Gesù dunque abbraccia tutta la sua esistenza, eterna, terrena e di nuovo<br />
eterna, la sua missione che ha iniziato, a Cana, proprio manifestando la sua gloria, e che<br />
di nuovo sbocca nella do,xa. Essa esprime il rapporto tra Gesù e il Padre: Gesù non la<br />
cerca per sè (l’altro la cerca per lui): la sua gloria gli è data da Dio. Due volte Gesù parla<br />
della «gloria di Dio» che si deve manifestare attraverso il segno della risurrezione di<br />
Lazzaro, operata da lui (11,4.40).<br />
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