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Disertace Brož - Theses

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intradivini di cui possiamo parlare solo con grande rispetto e riverenza,<br />

sapendo che il nostro linguaggio è sempre un balbettio da bambini.<br />

Applicare ciò che sappiamo della nostra conoscenza umana a quella di Gesù<br />

significa fare un discorso analogico e dobbiano dunque tener conto che in<br />

esso «per quanto sia grande la somiglianza, maggiore è la differenza», come<br />

ci ha avvertito il Concilio Lateranense IV. nel 1215 378 . Sapendo di questo<br />

limite del nostro liguaggio umano possiamo comunque azzardarci a entrare<br />

nel mistero della conoscenza di Gesù.<br />

Gesù si lascia determinare da quanto conosce. Che cosa conosce? Dio.<br />

Dio stesso è il contenuto della sua conoscenza, riempie tutto il suo essere,<br />

ne diventa contenuto. Ciò presuppone, da parte di Gesù, un atteggiamento<br />

di povertà di spirito, apertura infinita, ricettività assoluta e obbedienza<br />

totale. Gesù si lascia determinare da quanto conosce, da Dio. Non solo nel<br />

suo agire, ma ancora prima nel suo essere. Il Figlio, conoscendo il Padre,<br />

accoglie in sé tutto ciò che il Padre gli mostra e dà, ed è Lui stesso, Dio. Per<br />

la sua appertura infinita Gesù è capace di accogliere tutto l’essere di Dio, da<br />

«diventare» lui stesso Dio (si diventa infatti quanto si conosce).<br />

Conoscendo Dio, Gesù accoglie tutto ciò che il Padre gli mostra, tutto Dio,<br />

e questo Dio diventa il contenuto di Gesù, la sua identità. In tal modo Gesù,<br />

stando di fronte a Dio nell’atteggiamento filiale di un’apertura assoluta, è<br />

lui stesso Dio, cosicché la sua povertà assoluta è nello stesso momento<br />

anche la ricchezza assoluta. Il Figlio non è niente senza il Padre. Tanto è<br />

quanto è dal Padre. Non è niente di più di quanto è dal Padre, ma anche<br />

niente di meno. Tutto quanto il Padre ha (ed è) viene comunicato al Figlio:<br />

pa,nta o[sa e;cei o` path.r evma, evstin (16,15; cf. 17,7.10). Tutto l’essere del<br />

Padre viene condiviso dal Figlio. Nel caso del Figlio vale in senso pieno e<br />

ontologico che il conoscente deve la sua esistenza al conosciuto. Egli è da<br />

Dio e si riconosce come tale. Egli è in quanto conosce Dio. Egli è in quanto<br />

conosce e quanto conosce. Lui è questa conoscenza. Nella sua persona<br />

l’essere e la conoscenza coincidono, l’ontologia e la noetica sono lo stesso.<br />

Gesù è quanto conosce. Conosce Dio, perciò è lui stesso Dio. Ma questa<br />

identificazione del conoscente, Gesù, con il conosciuto, Dio, non si risolve<br />

in una semplice identità. «Io» ≠ «Tu», ma «Io» = «colui che conosce Te».<br />

Si tratta di un’identità con l’alterità mantenuta. Gesù non conosce Dio come<br />

sé ma come un Altro di sé. La conoscenza stessa suppone un’identità, ma<br />

anche un’alterità, siccome deve avere due momenti: il sogetto e l’oggetto.<br />

Gesù conoscendo Dio, non conosce se stesso, ma suo Padre e solo in lui<br />

378 DS 806: «Quia inter creatorem et creaturam non potest tanta similitudo notari,<br />

quin inter eos maior dissimilitudo notanda».<br />

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