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Disertace Brož - Theses

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cosciente della sua conoscenza. Nell’atto di conoscere il soggetto arriva a<br />

conoscere non solo l’oggetto ma anche se stesso come soggetto conoscente,<br />

però sempre mediante l’oggetto conosciuto. In altre parole, nell’atto di<br />

conoscere il soggetto conoscente, identificandosi con l’oggetto, si identifica<br />

anche attraverso l’oggetto, distinguendosi da esso. Nel momento in cui<br />

l’oggetto diventa una parte del soggetto stesso, quest’ultimo si rende conto<br />

di essere un altro rispetto all’oggetto. Ma questa presa di coscienza di sé è<br />

dovuta proprio alla presenza dell’oggetto 377 .<br />

Il fatto che il conoscente deve se stesso al conosciuto svela uno stato<br />

fondamentale del soggetto, quello di povertà di spirito. Il soggetto è tanto<br />

capace di conoscere, quanto sa essere povero, aperto, accogliente per<br />

l’oggetto. Facendo spazio dentro di sé accoglie la realtà che è esteriore<br />

rispetto a esso ma che diventa suo contenuto e parte di lui stesso, del suo<br />

mondo interiore. Più è povero di spirito e aperto per conoscere, più è ricco<br />

alla fine. In un certo senso infatti si diventa quanto si conosce. L’Io del<br />

conoscente trova se stesso solo perdendo se stesso come un individuo<br />

autonomo, chiuso in sé, autosufficiente e autosoddisfatto, e lasciando vivere<br />

in sé l’altro, il conosciuto. L’Io conoscente vive solo morendo a se stesso e<br />

vivendo per il conosciuto.<br />

Se quanto detto finora vale generalmente, in ogni processo conoscitivo,<br />

allora vale tanto più e in un senso molto più profondo nel caso di Gesù.<br />

Anche Gesù si lascia determinare da quanto conosce, anche lui, e lui in un<br />

senso veramente unico, si identifica con il conosciuto, anche lui è quanto<br />

conosce. Descrivendo la conoscenza che Gesù ha del Padre dobbiamo però<br />

tener conto che non è una semplice conoscenza umana di un oggetto<br />

afferrabile con l’intelletto umano. Stiamo di fronte a un mistero dei rapporti<br />

377 H.U. VON BALTHASAR, Theologik. I. Wahrheit der Welt, 64: «Das Subjekt bedarf<br />

des Objekts, um sich zu entfalten und zu seiner eigenen Wahrheit zu gelangen. Ohne ein<br />

in Raum seiner Rezeptivität sich anzeigendes Objekt bleibt das Subjekt unfähig, seine<br />

Erkenntnismöglichkeiten in wirkliche Erkenntnis überzuführen. Die aufgeschlagene<br />

Bühne bleibt leer; das Drama der Erkenntnis wird nicht gespielt. Erst wenn das Fremde<br />

in den Raum des Subjekts eintritt, erwacht es aus dem Dornröschenschlaf: zugleich zur<br />

Welt und zu sich selbst. Diese Selbsterkenntnis ist nicht nur äußerlich angeregt durch die<br />

Erscheinung des Objekts. Die Subjektivität des Subjekts ist keine fertige Größe, die je<br />

schon latent vorhanden wäre und durch die Ankunft des Objekts nur in Erscheinung<br />

träte. Wie das Objekt im Subjekt zu sich selber kommt, so kommt das Subjekt erst durch<br />

die sich in ihm aufbauende und vollendende Welt zu sich selber. Es findet sich nicht nur<br />

im Spiegel der Dinge, es erkennt sich nicht nur in dem, was es nicht ist, sondern es wird<br />

in der erkennenden Leistung selbst allererst gebildet. Ohne Welt bleibt es ein<br />

ungebildetes Ich. Es hat keine Form, keinen Umriss, keine Prägung, keinen Charakter.<br />

Bildung erhält es im Maße, als es Welt in sich aufnimmt und gestalten hilft».<br />

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