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Il mercenario e il lupo sono gli unici a non avere un rapporto con Gesù<br />
Buon Pastore. Eppure anche essi servono alla sua identificazione – per<br />
contrasto. Il punto di divergenza è creato dall’atteggiamento di ciascuno<br />
rispetto alle pecore. Gesù è il «buon pastore», mentre il mercenario non è<br />
pastore affatto. Di questo ultimo le pecore «non sono proprie», mentre Gesù<br />
le chiama «le mie». Al mercenario non importa delle pecore, mentre Gesù si<br />
unisce a esse con una intima conoscenza reciproca. Al pericolo di morte il<br />
mercenario abbandona le pecore e fugge per salvare la propria vita,<br />
esponendo le pecore alla morte; Gesù invece dà la vita per le pecore. Allo<br />
stesso modo c’è un contrasto forte tra Gesù e il lupo. Il lupo rapisce e<br />
disperde le pecore, mentre Gesù dà loro la vita in abbondanza (v. 10) e le<br />
conduce all’unità di un solo gregge.<br />
Le pecore sono inserite nel tessuto dei rapporti con Gesù, il Buon Pastore,<br />
con il mercenario e con il lupo. Per tutti e quattro personaggi sono oggetto<br />
passivo delle loro azioni. Solo rispetto a Gesù svolgono un’attività propria,<br />
lo conoscono (supposta l’identificazione tra ta, pro,bata e ta. evma,).<br />
Le altre pecore hanno un solo rapporto, con Gesù: sono il suo patrimonio,<br />
devono essere condotte da lui e ascolteranno la sua voce.<br />
Il Padre viene determinato solo dal rapporto con Gesù: lo conosce, lo ama,<br />
gli ha dato l’evntolh, e (implicitamente) gli ridarà la yuch,.<br />
Dopo aver identificato i singoli personaggi e le loro relazioni e interazioni<br />
reciproche possiamo adesso seguire l’evoluzione della narrazione. All’inizio<br />
Gesù si presenta come il Buon Pastore. Poi definisce il buon pastore in<br />
generale (in terza persona) come colui che «dà la sua vita per le pecore».<br />
Dopo l’inserzione, che riguarda il mercenario e il lupo e che serve da<br />
contrasto (vv. 12.13), Gesù riprende l’autopresentazione (v. 14-15): si<br />
definisce di nuovo come il «buon pastore», svela il mistero della mutua<br />
conoscenza tra sé e le pecore e applica a sé la definizione del Buon Pastore,<br />
dicendo ora in prima persona: «Do la mia vita per le pecore».<br />
Le due autopresentazioni di Gesù «Io sono il buon pastore» (vv. 11.14)<br />
sono dunque accompagnate da due interpretazioni, ciascuna con la propria<br />
sfumatura: prima il pastore è buono perché è pronto a morire per le pecore;<br />
poi in quanto conosce intimamente le sue pecore. La prima caratteristica del<br />
Buon Pastore, il dono della vita, è più appariscente della seconda, la<br />
conoscenza mutua. La seconda caratteristica, la conoscenza reciproca, è più<br />
intima e rappresenta la quintessenza del rapporto tra il Pastore e i suoi.<br />
Rispetto a questa seconda, la prima caratteristica, il dono della vita, è<br />
l’espressione esterna e la prova più evidente che si tratta del buon pastore. Il<br />
rapporto reciproco della conoscenza tra Gesù e i suoi è collegato con un<br />
altro rapporto di conoscenza mutua, quello tra il Padre e Gesù. Sembra che<br />
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