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Disertace Brož - Theses

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Il verbo ti,qhmi ha un significato primario che è locale, porre, mettere, e<br />

un secondo, traslato, quello di determinare la qualità di una cosa o di una<br />

persona, porre in uno stato, stabilire, rendere, costituire, destinare 218 . Nel<br />

NT il verbo ti,qhmi ricorre un centinaio di volte, di cui 18 in Gv. Gli autori<br />

del NT usano il verbo in entrambi i sensi. Anche Giovanni in alcuni casi<br />

segue questo uso comune 219 . Ciò che è però peculiare di Giovanni, è proprio<br />

la costruzione ti,qhmi th.n yuch,n mou u`per… «L’espressione sembra sia stata<br />

coniata dallo stesso Giovanni; è sconosciuta tanto alla lingua profana che al<br />

greco dei LXX e agli scritti neotestamentari anteriori al Quarto Vangelo» 220 .<br />

È vero che nel greco ellenistico e biblico troviamo delle espressioni simili 221 ,<br />

la costruzione giovannea presenta comunque un’originalità. Sul suo senso<br />

specifico si discute. Secondo Léon-Dufour essa ha all’interno del c. 10 un<br />

doppio significato: nel v. 11, che definisce il buon pastore come tale, si<br />

dovrebbe tradurre con «esporre» o «rischiare» la propria vita, mentre «la<br />

cosa è diversa nei versetti seguenti (vv. 15.17.18) dove il soggetto è l’Io di<br />

Gesù. Nei vv. 17 e 18 l’espressione significa chiaramente la morte effettiva,<br />

per il dato che si trova in opposizione a “riprendere la propria vita” (…)<br />

Gesù si riferisce all’atto della sua morte, visto nella prospettiva della sua<br />

risurrezione» 222 . La ragione di tale distinzione, appoggiata da una variante<br />

testuale (cf. la critica testuale), è forse il fatto che per un pastore non è<br />

comune dare la vita per le pecore. Ma così si perde il paradosso della<br />

locuzione di Gesù e anche il funzionamento della metafora stessa. Del resto<br />

fuori rispetto a quelle precedenti: si tratta della domanda impaziente, fatta a Gesù dai<br />

Giudei, insicuri riguardo alla sua identità: {Ewj po,te th.n yuch.n h`mw/n ai;reijÈ eiv su. ei= o`<br />

Cristo,j( eivpe. h`mi/n parrhsi,a| (10,24).<br />

218 Cf. C. MAUER, «ti,qhmi», in ThWNT, VIII, 152-153.<br />

219 «Ogni uomo serve (ti,qhsin) prima il vino buono…» (2,10); Gesù, alzatosi dalla<br />

tavola, depose le vesti (ti,qhsin ta. i`ma,tia) per lavare i piedi dei discepoli (13,4); Gesù<br />

dice ai discepoli: «Vi ho costituiti (e;qhka u`ma/j) perché andiate e portiate il frutto…»<br />

(15,16); Pilato ha fissato l’iscrizione sulla croce (e;qhken evpi. tou/ staurou/) (19,19).<br />

220 I. DE LA POTTERIE, «Il Buon Pastore», 99.<br />

221 Il greco ellenistico conosce la costruzione parati,qemai th.n yuch,n che indica non il<br />

sacrificio della vita effettivamente avvenuto, bensì un possibile rischio in cui la vita si<br />

espone a un pericolo. Sulla stessa linea sta la frase dell’AT greco: tiqe,nai th.n yuch,n evn<br />

ceiri. auvtou/, «mettere la vita sulla palma della propria mano» – per esporla al pericolo. I<br />

termini greci che esprimono l’effettivo abbandono della vita sono evkpne,w, avfi,hmi,<br />

proba,llw, protei,nw, nonché l’espressione, veramente importante in questo contesto,<br />

di,dwmi th.n yuch,n. Ad essa corrisponde l’ebraico rabbinico Avp.n: ntn che nella maggior<br />

parte dei casi va tradotto chiaramente dare la propria vita. Cf. C. MAUER, «ti,qhmi», 155.<br />

222 X. LÉON-DUFOUR, Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni, 654.<br />

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