SOFTWARE LIBERO PENSIEROLIBERO - LiNox - Novara LUG
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RICHARD STALLMAN<br />
<strong>SOFTWARE</strong> <strong>LIBERO</strong><br />
PENSIERO <strong>LIBERO</strong><br />
VOLUME PRIMO
Raramuri<br />
Sono super-maratoneti, detengono ogni record mondiale di corsa dai 100 km<br />
in su, ma vivono nell’anonimato e nella povertà più profondi nella Sierra<br />
Madre del Messico del Nord. Sono gli indios Tarahumara, una tribù dimenticata<br />
dai bianchi, da essi considerati il diavolo, e dal loro stesso Dio. Si sono<br />
dati un nome poetico, Raramuri, «piedi che corrono», perché su queste lunghissime<br />
distanze volano come se volessero salire al cielo.<br />
Non c’è nessuno che li batta, perché per loro i piedi sono delle ali. Vivono di<br />
agricoltura e di una strana caccia, quella ai cervi, non con l’arco e le frecce<br />
ma coi piedi, la loro unica arma: sfiancano gli animali correndo loro dietro<br />
giorni e giorni, finché la preda non si abbatte esausta. Roba da leggenda...<br />
Ennio Caretto<br />
“Corriere della Sera” - 31/07/2002<br />
Foto di copertina: Kerth Dannemiller (Corriere della Sera)
Introduzione<br />
Un esperimento globale per l’affermazione della libertà<br />
Offrire al mondo programmi informatici che possano essere liberamente<br />
usati e copiati, modificati e distribuiti, gratis o a pagamento. Questa<br />
la scommessa lanciata nell’ormai lontano 1984 da Richard Matthew<br />
Stallman. Qualcosa (apparentemente) impossibile perfino a concepirsi,<br />
in un’epoca in cui informatica era (ed è) sinonimo di monopoli, produzioni<br />
industriali, mega-coporation. Un approccio tanto semplice<br />
quanto rivoluzionario, il concetto stesso di software libero, che ci riporta<br />
finalmente con i piedi per terra. E la cui pratica quotidiana è ispirata<br />
a un principio anch’esso basilare ma troppo spesso dimenticato: la<br />
libera condivisione del sapere, qui e ora, la necessità di (ri)prendere in<br />
mano la libertà individuale di creare, copiare, modificare e distribuire<br />
qualsiasi prodotto dell’ingegno umano. Ponendo così le condizioni<br />
per un ribaltamento totale proprio di quell’apparato pantagruelico che<br />
ha piegato l’attuale ambito informatico alla mercé di un pugno di colossi,<br />
inarrivabili e monopolistici.<br />
Nella rapida trasformazione degli equilibri in gioco nell’odierna rivoluzione<br />
tecnologica e industriale, il software libero va dunque scardinando<br />
certezze antiche, aprendo al contempo le porte a scenari del tutto<br />
nuovi e inimmaginabili. Senza affatto escluderne i riflessi nel mondo<br />
della piccola e grande imprenditoria e a livello commerciale: basti<br />
ricordare l’ampio utilizzo del sistema operativo GNU/Linux (spesso<br />
indicato, in maniera imprecisa, solo come ‘Linux’) sia su macchine<br />
high-end come pure su quelle più economiche e dispositivi portatili vari,<br />
mentre il 70 per cento dei server web su internet girano su Apache, pro-<br />
3
gramma di software libero. Considerando insomma la centralità assunta<br />
dal software in quanto comparto industriale strategico all’interno di<br />
una poliedrica età dell’informazione, c’è da scommettere che la rivoluzione<br />
innescata da Richard Stallman continuerà a produrre un’onda<br />
assai lunga negli anni e nei decenni a venire.<br />
Predisposto all’isolamento sociale ed emotivo, fin da ragazzo Stallman<br />
dimostra un’acuta intelligenza unita a una sviscerata attrazione per le<br />
discipline scientifiche. Laureatosi in fisica ad Harvard nel 1974, alla<br />
carriera di accademico frustrato preferisce l’ambiente creativo degli<br />
hacker che danno vita al Laboratorio di Intelligenza Artificiale presso<br />
il prestigioso MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston.<br />
Si tuffa così nella cultura hacker di quegli anni, imparando i linguaggi<br />
di programmazione e lo sviluppo dei sistemi operativi. È qui che, poco<br />
più che ventenne, scrive il primo text editor estendibile, Emacs. Ma<br />
soprattutto abbraccia lo stile di vita anti-burocratico, creativo e insofferente<br />
di ogni autorità costituita, tipico della prima generazione di<br />
computer hacker al MIT. Nei primi anni ‘60 si deve a costoro, ad esempio,<br />
la nascita di Spacewar, il primo video game interattivo, che includeva<br />
tutte le caratteristiche dell’hacking tradizionale: divertente e<br />
casuale, perfetto per la distrazione serale di decine di hacker, dava però<br />
concretezza alle capacità di innovazione nell’ambito della programmazione.<br />
Ovviamente, era del tutto libero (e gratuito), di modo che il<br />
relativo codice venne ampiamente condiviso con altri programmatori.<br />
Pur se non sempre queste posizioni di apertura e condivisione erano<br />
parimenti apprezzate da hacker e ricercatori “ufficiali”, nella rapida<br />
evoluzione del settore informatico i due tipi di programmatori finirono<br />
per impostare un rapporto basato sulla collaborazione, una sorta di<br />
una relazione simbiotica. La generazione successiva, cui apparteneva<br />
Richard Stallman, aspirava a calcare le orme di quei primi hacker, particolarmente<br />
a livello etico. Onde potersi definire tale, all’hacker era<br />
4
ichiesto qualcosa in più che scrivere programmi interessanti; doveva<br />
far parte dell’omonima cultura e onorarne le tradizioni in maniera<br />
analoga alle corporazioni medievali, pur se con una struttura sociale<br />
non così rigida. Scenario che prese corpo in istituzioni accademiche d’avanguardia,<br />
quali MIT, Stanford e Carnegie Mellon, emanando al<br />
contempo quelle norme non ancora scritte che governavano i comportamenti<br />
dell’hacker – l’etica hacker.<br />
Proprio per garantire massima consistenza e aderenza a tale etica, dopo<br />
non poche vicissitudini, all’inizio del 1984 Stallman lascia il MIT per<br />
dedicarsi anima e corpo al lancio del progetto GNU e della successiva<br />
Free Software Foundation. Come scrive Sam Williams nella biografia<br />
‘ufficiosa’ di Stallman (Codice Libero, Apogeo, 2003), il «passaggio<br />
di Richard Matthew Stallman da accademico frustrato a leader politico<br />
nel corso degli ultimi vent’anni, testimonia della sua natura testarda<br />
e della volontà prodigiosa, di una visione ben articolata sui valori<br />
di quel movimento per il software libero che ha aiutato a costruire». A<br />
ciò va aggiunta l’alta qualità dei programmi da lui realizzati man<br />
mano, «programmi che ne hanno cementato la reputazione come sviluppatore<br />
leggendario». Un attivismo spietato, il suo, sempre al servizio<br />
della libertà di programmazione, di parola, di pensiero. Non certo<br />
casualmente alla domanda se, di fronte alla quasi-egemonia del<br />
software proprietario, oggi il movimento del software libero rischi di<br />
perdere la capacità di stare al passo con i più recenti sviluppi tecnologici,<br />
Stallman non ha dubbi: «Credo che la libertà sia più importante<br />
del puro avanzamento tecnico. Sceglierei sempre un programma libero<br />
meno aggiornato piuttosto che uno non-libero più recente, perché<br />
non voglio rinunciare alla libertà personale. La mia regola è, se non<br />
posso condividerlo, allora non lo uso».<br />
Questo in estrema sintesi il percorso seguito finora dall’ideatore del<br />
movimento del software libero, rimandando ulteriori approfondimen-<br />
5
ti alle risorse segnalate in appendice. Ma per quanti hanno scarsa familiarità<br />
con simili dinamiche e con lo Stallman-pensiero, oppure per chi<br />
vuole esplorare tematiche più ampie, questa collezione di saggi è certamente<br />
l’ideale. Primo, perché copre vent’anni di interventi pubblici da<br />
parte di colui che viene (giustamente) considerato il “profeta” del software<br />
libero. Secondo, perché nella raccolta vengono sottolineati gli aspetti<br />
sociali dell’attività di programmazione, chiarendo come tale attività possa<br />
creare davvero comunità e giustizia. Terzo, perché nel panorama dell’informazione<br />
odierna spesso fin troppo rapida e generica, ancor più in<br />
ambito informatico, è vitale tenersi correttamente aggiornati su faccende<br />
calde, tipo le crescenti potenzialità del copyleft (noto anche come “permesso<br />
d’autore”) oppure i pericoli dei brevetti sul software. La raccolta<br />
riporta inoltre una serie di documenti storici cruciali: il “Manifesto<br />
GNU” datato 1984 (leggermente rivisto per l’occasione), la definizione<br />
di software libero, la spiegazione del motivo per cui sia meglio usare la<br />
definizione ‘software libero’ anziché ‘open source’. Il tutto mirando ad un<br />
pubblico il più vasto possibile: “non occorre avere un background in computer<br />
science per comprendere la filosofia e le idee qui esposte”, come recita<br />
infatti la nota introduttiva del libro originale – Free Software, Free<br />
Society: Selected Essays of Richard M. Stallman.<br />
L’edizione italiana di quest’ultima è stata scomposta in due distinti<br />
volumi: quello che avete per le mani, dove sono raccolte le prime due<br />
sezioni della versione inglese, verrà seguito a breve da un secondo con i<br />
testi rimanenti. Tra questi, vanno fin d’ora segnalate le trascrizioni di<br />
alcuni importanti interventi dal vivo di Stallman (quali “Copyright e<br />
globalizzazione nell’epoca delle reti informatiche” e “Software libero:<br />
libertà e cooperazione”), oltre al testo integrale delle varie licenze GNU,<br />
a partire dalla più affermata, la GPL, General Public License.<br />
Si è optato per due volumi italiani onde rendere più agile e godibile<br />
l’intera opera originale, considerando lo spessore e la complessità spesso<br />
6
presenti nei vari saggi. Presi nella loro interezza, questi forniranno al<br />
lettore un quadro ampio e articolato su questioni pressanti, non soltanto<br />
per l’odierno ambito informatico. Proprio perché Stallman non<br />
si risparmia affatto, gettando luce sul passato e soprattutto sul futuro<br />
di tematiche al crocevia tra etica e legge, business e software, libertà<br />
individuale e società trasparente.<br />
Senza infine dimenticare come a complemento del tutto sia già attiva<br />
un’apposita area sul sito web di Stampa Alternativa (http://www.stampalternativa.it/freesoft/index.html)<br />
dove circolano interventi vari in<br />
tema di software libero e dove troverà spazio l’intera versione italiana<br />
del libro. Oltre naturalmente alle relative modifiche, ovvero le segnalazioni<br />
di lettori e utenti riguardo errori, contributi, aggiornamenti e<br />
quant’altro possibile. Il materiale qui raccolto sarà ulteriormente disponibile<br />
sul sito dell’Associazione Software Libero, il quale ospita il gruppo<br />
dei traduttori italiani dei testi del progetto GNU (http://www.softwarelibero.it/gnudoc/)<br />
che ha validamente contribuito alla stesura di questo<br />
lavoro. Un lavoro, va detto nel caso qualcuno avesse ancora dei dubbi,<br />
portato avanti interamente via internet tra i vari soggetti coinvolti,<br />
dalla fase di progettazione a quella di consegna dei materiali definitivi,<br />
e ricorrendo al software non proprietario per quanto possibile.<br />
Un progetto in evoluzione continua, quindi, in sintonia con la pratica<br />
di massima apertura e condivisione su cui vive e prospera il movimento<br />
del software libero a livello globale – espressione concreta di un<br />
esperimento teso all’affermazione della libertà di tutti e di ciascuno.<br />
Bernardo Parrella<br />
<br />
marzo 2003<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
7
Parte Prima<br />
Il progetto GNU<br />
e il software libero
Il progetto GNU<br />
La prima comunità di condivisione del software<br />
Quando cominciai a lavorare nel laboratorio di Intelligenza Artificiale<br />
del MIT [Massachusetts Institute of Technology] nel 1971,<br />
entrai a far parte di una comunità in cui ci si scambiavano i programmi,<br />
che esisteva già da molti anni. La condivisione del software<br />
non si limitava alla nostra comunità; è una cosa vecchia quanto<br />
i computer, proprio come condividere le ricette è antico come l’arte<br />
culinaria. Ma noi lo facevamo più di chiunque altro.<br />
Il laboratorio di Intelligenza Artificiale usava un sistema operativo<br />
a partizione di tempo (timesharing) chiamato ITS (Incompatible<br />
Timesharing System) che il gruppo di hacker del laboratorio aveva<br />
progettato e scritto in linguaggio assembler per il Digital PDP-10,<br />
uno dei grossi elaboratori di quel periodo. Come membro di questa<br />
comunità, hacker di sistema nel gruppo laboratorio, il mio compito<br />
era quello di migliorare il sistema.<br />
Non chiamavamo il nostro software “software libero”, poiché questa<br />
espressione ancora non esisteva, ma proprio di questo si trattava.<br />
Ogni volta che persone di altre università o aziende volevano<br />
convertire il nostro programma per adattarlo al proprio sistema e<br />
utilizzarlo, gliene davamo volentieri il permesso. Se si notava qualcuno<br />
usare un programma sconosciuto e interessante, gli si poteva<br />
sempre chiedere di vederne il codice sorgente, in modo da poterlo<br />
leggere, modificare, o cannibalizzarne alcune parti per creare un<br />
nuovo programma.<br />
11
L’uso del termine “hacker” per indicare qualcuno che “infrange i<br />
sistemi di sicurezza” è una confusione creata dai mezzi di informazione.<br />
Noi hacker ci rifiutiamo di riconoscere questo significato, e<br />
continuiamo a utilizzare il termine nel senso di “uno che ama programmare,<br />
e a cui piace essere bravo a farlo” 1 .<br />
La comunità si dissolve<br />
La situazione cambiò drasticamente all’inizio degli anni ‘80, con la<br />
dissoluzione della comunità hacker del laboratorio d’Intelligenza<br />
Artificiale seguita dalla decisione della Digital di cessare la produzione<br />
del computer PDP-10. Nel 1981 la Symbolics, nata da una<br />
costola del laboratorio stesso, gli aveva sottratto quasi tutti gli<br />
hacker e l’esiguo gruppo rimasto fu incapace di sostenersi (il libro<br />
Hackers di Steve Levy narra questi eventi, oltre a fornire una fedele<br />
ricostruzione della comunità ai suoi albori [in italiano: Hackers,<br />
Shake Edizioni Underground, 1996]). Quando nel 1982 il laboratorio<br />
di Intelligenza Artificiale acquistò un nuovo PDP-10, i sistemisti<br />
decisero di utilizzare il sistema timesharing non libero della<br />
Digital piuttosto che ITS. Poco tempo dopo la Digital decise di cessare<br />
la produzione della serie PDP-10. La sua architettura, elegante<br />
e potente negli anni ‘60, non poteva essere estesa in modo naturale<br />
ai maggiori spazi di intervento che andavano materializzando-<br />
1 È difficile dare una definizione semplice di qualcosa talmente variegato come l’hacking,<br />
ma credo che la maggior parte degli “hacks” abbiano in comune la giocosità, la bravura e<br />
l’esplorazione. Perciò hacking vuol dire esplorare i limiti di quel che è possibile fare, in uno<br />
spirito di scaltra giocosità. Quelle attività che evidenziano queste caratteristiche conquistano<br />
il valore di hacking. Si può aiutare a correggere le interpretazioni poco corrette ponendo<br />
la semplice distinzione tra intrusioni nei sistemi di sicurezza e hacking – usando il termine<br />
“cracking” per tali intrusioni. Coloro che si dedicano a quest’attività vengono definiti<br />
“cracker”. Alcuni di loro potrebbero anche essere degli hacker, come altri potrebbero giocare<br />
a scacchi o a golf; ma la maggior parte non lo sono. – On Hacking, RMS, 2002.<br />
12
si negli anni ‘80. Questo stava a significare che quasi tutti i programmi<br />
che formavano ITS divenivano obsoleti. Ciò rappresentò<br />
l’ultimo chiodo conficcato nella bara di ITS; 15 anni di lavoro andati<br />
in fumo.<br />
I moderni elaboratori di quell’epoca, come il VAX o il 68020, avevano<br />
il proprio sistema operativo, ma nessuno di questi era libero:<br />
si doveva firmare un accordo di non-diffusione persino per ottenerne<br />
una copia eseguibile.<br />
Questo significava che il primo passo per usare un computer era<br />
promettere di negare aiuto al proprio vicino. Una comunità cooperante<br />
era vietata. La regola creata dai proprietari di software proprietario<br />
era: «se condividi il software col tuo vicino sei un pirata.<br />
Se vuoi modifiche, pregaci di farle».<br />
L’idea che la concezione sociale di software proprietario – cioè il<br />
sistema che impone che il software non possa essere condiviso o<br />
modificato – sia antisociale, contraria all’etica, semplicemente sbagliata,<br />
può apparire sorprendente a qualche lettore. Ma che altro<br />
possiamo dire di un sistema che si basa sul dividere utenti e lasciarli<br />
senza aiuto? Quei lettori che trovano sorprendente l’idea possono<br />
aver data per scontata la concezione sociale di software proprietario,<br />
o averla giudicata utilizzando lo stesso metro suggerito dal<br />
mercato del software proprietario. I produttori di software hanno<br />
lavorato a lungo e attivamente per diffondere la convinzione che c’è<br />
un solo modo di vedere la cosa.<br />
Quando i produttori di software parlano di “difendere” i propri<br />
“diritti” o di “fermare la pirateria”, quello che dicono è in realtà<br />
secondario. Il vero messaggio in quelle affermazioni sta nelle assunzioni<br />
inespresse, che essi danno per scontate; vogliono che siano<br />
accettate acriticamente. Esaminiamole, dunque.<br />
Un primo assunto è che le aziende produttrici di software abbiano<br />
13
il diritto naturale indiscutibile di proprietà sul software e, di conseguenza,<br />
abbiano controllo su tutti i suoi utenti. Se questo fosse<br />
un diritto naturale, non potremmo sollevare obiezioni, indipendentemente<br />
dal danno che possa recare ad altri. È interessante notare<br />
che, negli Stati Uniti, sia la costituzione che la giurisprudenza<br />
rifiutano questa posizione: il diritto d’autore non è un diritto naturale,<br />
ma un monopolio imposto dal governo che limita il diritto<br />
naturale degli utenti a effettuare delle copie.<br />
Un’altra assunzione inespressa è che la sola cosa importante del<br />
software sia il lavoro che consente di fare – vale a dire che noi utenti<br />
non dobbiamo preoccuparci del tipo di società in cui ci è permesso<br />
vivere.<br />
Un terzo assunto è che non avremmo software utilizzabile (o<br />
meglio, che non potremmo mai avere un programma per fare questo<br />
o quell’altro particolare lavoro) se non riconoscessimo ai produttori<br />
il controllo sugli utenti di quei programmi. Quest’assunzione<br />
avrebbe potuto sembrare plausibile, prima che il movimento<br />
del software libero dimostrasse che possiamo scrivere quantità di<br />
programmi utili senza bisogno di metterci dei catenacci.<br />
Se rifiutiamo di accettare queste assunzioni, giudicando queste questioni<br />
con comuni criteri di moralità e di buon senso dopo aver messo<br />
al primo posto gli interessi degli utenti, tenendo conto che gli<br />
utenti vengono prima di tutto, arriviamo a conclusioni del tutto differenti.<br />
Chi usa un calcolatore dovrebbe essere libero di modificare<br />
i programmi per adattarli alle proprie necessità, ed essere libero di<br />
condividere il software, poiché aiutare gli altri è alla base della società.<br />
Una difficile scelta morale<br />
Una volta che il mio gruppo si fu sciolto, continuare come prima<br />
fu impossibile. Mi trovai di fronte a una difficile scelta morale.<br />
14
La scelta facile sarebbe stata quella di unirsi al mondo del software<br />
proprietario, firmando accordi di non-diffusione e promettendo di<br />
non aiutare i miei compagni hacker. Con ogni probabilità avrei<br />
anche sviluppato software che sarebbe stato distribuito secondo<br />
accordi di non-diffusione, contribuendo così alla pressione su altri<br />
perché a loro volta tradissero i propri compagni.<br />
In questo modo avrei potuto guadagnare, e forse mi sarei divertito<br />
a programmare. Ma sapevo che al termine della mia carriera mi sarei<br />
voltato a guardare indietro, avrei visto anni spesi a costruire muri<br />
per dividere le persone, e avrei compreso di aver contribuito a rendere<br />
il mondo peggiore.<br />
Avevo già sperimentato cosa significasse un accordo di non-diffusione<br />
per chi lo firmava, quando qualcuno rifiutò a me e al laboratorio<br />
d’Intelligenza Artificiale del MIT il codice sorgente del programma<br />
di controllo della nostra stampante (l’assenza di alcune<br />
funzionalità nel programma rendeva oltremodo frustrante l’uso della<br />
stampante). Per cui non mi potevo dire che gli accordi di nondiffusione<br />
fossero innocenti. Ero molto arrabbiato quando quella<br />
persona si rifiutò di condividere il programma con noi; non potevo<br />
far finta di niente e fare lo stesso con tutti gli altri.<br />
Un’altra possibile scelta, semplice ma spiacevole, sarebbe stata quella<br />
di abbandonare l’informatica. In tal modo le mie capacità non<br />
sarebbero state mal utilizzate, tuttavia sarebbero state sprecate. Non<br />
sarei mai stato colpevole di dividere o imporre restrizioni agli utenti<br />
di calcolatori, ma queste cose sarebbero comunque successe.<br />
Allora cercai un modo in cui un programmatore potesse fare qualcosa<br />
di buono. Mi chiesi dunque: c’erano un programma o dei programmi<br />
che io potessi scrivere, per rendere nuovamente possibile<br />
l’esistenza di una comunità?<br />
La risposta era semplice: innanzitutto serviva un sistema operativo.<br />
15
Questo è difatti il software fondamentale per iniziare a usare un<br />
computer. Con un sistema operativo si possono fare molte cose;<br />
senza, non è proprio possibile far funzionare il computer. Con un<br />
sistema operativo libero avremmo potuto avere nuovamente una<br />
comunità in cui hacker possono cooperare e invitare chiunque a<br />
unirsi al gruppo. E chiunque sarebbe stato in grado di usare un calcolatore,<br />
senza dover cospirare fin dall’inizio per sottrarre qualcosa<br />
ai propri amici.<br />
Essendo un programmatore di sistemi, possedevo le competenze<br />
adeguate per questo lavoro. Così, anche se non davo il successo per<br />
scontato, mi resi conto di essere la persona giusta per farlo. Scelsi<br />
di rendere il sistema compatibile con Unix, in modo che fosse portabile,<br />
e che gli utenti Unix potessero passare facilmente a esso. Il<br />
nome GNU fu scelto secondo una tradizione hacker, come acronimo<br />
ricorsivo che significa “GNU’s Not Unix” [GNU non è Unix].<br />
Un sistema operativo non si limita solo al suo nucleo, che è proprio<br />
il minimo per eseguire altri programmi. Negli anni ‘70, qualsiasi<br />
sistema operativo degno di questo nome includeva interpreti di<br />
comandi, assemblatori, compilatori, interpreti di linguaggi, debugger,<br />
editor di testo, programmi per la posta e molto altro. ITS li aveva,<br />
Multics li aveva, VMS li aveva e Unix li aveva. Anche il sistema<br />
operativo GNU li avrebbe avuti.<br />
Tempo dopo venni a conoscenza di questa massima, attribuita al<br />
sapiente ebraico Hillel:<br />
Se non sono per me stesso, chi sarà per me?<br />
E se sono solo per me stesso, che cosa sono?<br />
E se non ora, quando?<br />
La decisione di iniziare il progetto GNU si basò su uno spirito simile.<br />
Essendo ateo, non seguo alcuna guida religiosa, ma a volte mi trovo<br />
ad ammirare qualcosa che qualcuno di loro ha detto.<br />
16
“Free” come libero<br />
Il termine “free software” [il termine ‘free’ in inglese significa sia<br />
gratuito che libero] a volte è mal interpretato: non ha niente a che<br />
vedere col prezzo del software; si tratta di libertà. Ecco, dunque, la<br />
definizione di software libero. Un programma è software libero per<br />
un dato utente se:<br />
• l’utente ha la libertà di eseguire il programma per qualsiasi scopo;<br />
• l’utente ha la libertà di modificare il programma secondo i propri<br />
bisogni (perché questa libertà abbia qualche effetto in pratica,<br />
è necessario avere accesso al codice sorgente del programma, poiché<br />
apportare modifiche a un programma senza disporre del codice<br />
sorgente è estremamente difficile);<br />
• l’utente ha la libertà di distribuire copie del programma, gratuitamente<br />
o dietro compenso;<br />
• l’utente ha la libertà di distribuire versioni modificate del programma,<br />
così che la comunità possa fruire dei miglioramenti<br />
apportati.<br />
Poiché “free” si riferisce alla libertà e non al prezzo, vendere copie<br />
di un programma non contraddice il concetto di software libero. In<br />
effetti, la libertà di vendere copie di programmi è essenziale: raccolte<br />
di software libero vendute su CD-ROM sono importanti per<br />
la comunità, e la loro vendita è un modo di raccogliere fondi importante<br />
per lo sviluppo del software libero. Di conseguenza, un programma<br />
che non può essere liberamente incluso in tali raccolte non<br />
è software libero.<br />
A causa dell’ambiguità del termine “free” [vale solo per l’inglese], si<br />
è cercata a lungo un’alternativa, ma nessuno ne ha trovata una valida.<br />
La lingua inglese ha più termini e sfumature di ogni altra, ma<br />
non ha una parola semplice e non ambigua che significhi libero;<br />
“unfettered” è la parola più vicina come significato [termine di tono<br />
17
aulico o arcaico che significa libero da ceppi, vincoli o inibizioni].<br />
Alternative come “liberated”, “freedom” e “open” hanno altri significati<br />
o non sono adatte per altri motivi [rispettivamente liberato,<br />
libertà, aperto].<br />
Software GNU e il sistema GNU<br />
Sviluppare un intero sistema è un progetto considerevole. Per raggiungere<br />
l’obiettivo decisi di adattare e usare parti di software libero<br />
tutte le volte che fosse possibile. Per esempio, decisi fin dall’inizio<br />
di usare TeX come il principale programma di formattazione di<br />
testo; qualche anno più tardi, decisi di usare l’X Window System<br />
piuttosto che scrivere un altro sistema a finestre per GNU.<br />
Per questi motivi, il sistema GNU e la raccolta di tutto il software<br />
GNU non sono la stessa cosa. Il sistema GNU comprende programmi<br />
che non sono GNU, sviluppati da altre persone o gruppi<br />
di progetto per i propri scopi, ma che possiamo usare in quanto<br />
software libero.<br />
L’inizio del progetto<br />
Nel gennaio 1984 lasciai il mio posto al MIT e cominciai a scrivere<br />
software GNU. Dovetti lasciare il MIT, per evitare che potesse<br />
interferire con la distribuzione di GNU come software libero. Se<br />
fossi rimasto, il MIT avrebbe potuto rivendicare la proprietà del<br />
lavoro, e avrebbe potuto imporre i propri termini di distribuzione,<br />
o anche farne un pacchetto proprietario. Non avevo alcuna intenzione<br />
di fare tanto lavoro solo per vederlo reso inutilizzabile per il<br />
suo scopo originario: creare una nuova comunità di condivisione<br />
di software. A ogni buon conto, il professor Winston – allora<br />
responsabile del laboratorio d’Intelligenza Artificiale del MIT – mi<br />
18
propose gentilmente di continuare a utilizzare le attrezzature del<br />
laboratorio stesso.<br />
I primi passi<br />
Poco dopo aver iniziato il progetto GNU, venni a sapere del Free University<br />
Compiler Kit, noto anche come VUCK (la parola olandese<br />
che sta per “free” inizia con la V, “vrij”). Era un compilatore progettato<br />
per trattare più linguaggi, fra cui C e Pascal, e per generare codice<br />
binario per diverse architetture. Scrissi al suo autore chiedendo se<br />
GNU avesse potuto usarlo. Rispose in modo canzonatorio, dicendo<br />
che l’università era sì libera, ma non il compilatore. Decisi allora che<br />
il mio primo programma per il progetto GNU sarebbe stato un compilatore<br />
multilinguaggio e multipiattaforma.<br />
Sperando di evitare di dover scrivere da me l’intero compilatore,<br />
ottenni il codice sorgente del Pastel, un compilatore multipiattaforma<br />
sviluppato ai Laboratori Lawrence Livermore. Il linguaggio<br />
supportato da Pastel, in cui il Pastel stesso era scritto, era una<br />
versione estesa del Pascal, pensata come linguaggio di programmazione<br />
di sistemi. Io vi aggiunsi un frontend per il C, e cominciai il<br />
porting per il processore Motorola 68000, ma fui costretto a rinunciare<br />
quando scoprii che il compilatore richiedeva diversi megabyte<br />
di memoria sullo stack, mentre il sistema Unix disponibile per il<br />
processore 68000 ne permetteva solo 64K.<br />
Mi resi conto allora che il compilatore Pastel interpretava tutto il<br />
file di ingresso creandone un albero sintattico, convertiva questo in<br />
una catena di “istruzioni”, e quindi generava l’intero file di uscita<br />
senza mai liberare memoria. A questo punto, conclusi che avrei<br />
dovuto scrivere un nuovo compilatore da zero. Quel nuovo compilatore<br />
è ora noto come Gcc; non utilizza niente del compilatore<br />
Pastel, ma riuscii ad adattare e riutilizzare il frontend per il C che<br />
19
avevo scritto. Questo però avvenne qualche anno dopo; prima,<br />
lavorai su GNU Emacs.<br />
GNU Emacs<br />
Cominciai a lavorare su GNU Emacs nel settembre 1984, e all’inizio<br />
del 1985 cominciava a essere utilizzabile. Così potei iniziare a usare<br />
sistemi Unix per scrivere; fino ad allora, avevo scritto sempre su altri<br />
tipi di macchine, non avendo nessun interesse a imparare vi né ed.<br />
A questo punto alcuni cominciarono a voler usare GNU Emacs, il<br />
che pose il problema di come distribuirlo. Naturalmente lo misi sul<br />
server ftp anonimo del computer che usavo al MIT (questo computer,<br />
“prep.ai.mit.edu”, divenne così il sito ftp primario di distribuzione<br />
di GNU; quando alcuni anni dopo andò fuori servizio, trasferimmo<br />
il nome sul nostro nuovo ftp server). Ma allora molte delle<br />
persone interessate non erano su Internet e non potevano ottenere<br />
una copia via ftp, così mi si pose il problema di cosa dir loro.<br />
Avrei potuto dire: «trova un amico che è in rete disposto a farti una<br />
copia». Oppure avrei potuto fare quel che feci con l’originario<br />
Emacs su PDP-10, e cioè dir loro: «spediscimi una busta affrancata<br />
e un nastro, e io te lo rispedisco con sopra Emacs». Ma ero senza<br />
lavoro, e cercavo un modo di far soldi con il software libero. E<br />
così feci sapere che avrei spedito un nastro a chi lo voleva per 150<br />
dollari. In questo modo, creai un’impresa di distribuzione di software<br />
libero, che anticipava le compagnie che oggi distribuiscono interi<br />
sistemi GNU basati su Linux.<br />
Un programma è libero per tutti?<br />
Se un programma è software libero quando esce dalle mani del suo<br />
autore, non significa necessariamente che sarà software libero per<br />
20
chiunque ne abbia una copia. Per esempio, il software di pubblico<br />
dominio (software senza copyright) è software libero, ma chiunque<br />
può farne una versione modificata proprietaria. Analogamente,<br />
molti programmi liberi sono protetti da diritto d’autore, ma vengono<br />
distribuiti con semplici licenze permissive che permettono di<br />
farne versioni modificate proprietarie.<br />
L’esempio emblematico della questione è l’X Window System. Sviluppato<br />
al MIT e pubblicato come software libero con una licenza<br />
permissiva, fu rapidamente adottato da diverse società informatiche.<br />
Queste aggiunsero X ai loro sistemi Unix proprietari, solo in forma<br />
binaria, e coperto dello stesso accordo di non-diffusione. Queste<br />
copie di X non erano software più libero di quanto lo fosse Unix.<br />
Gli autori dell’X Window System non ritenevano che questo fosse un<br />
problema, anzi se lo aspettavano ed era loro intenzione che accadesse.<br />
Il loro scopo non era la libertà, ma semplicemente il “successo”, definito<br />
come “avere tanti utenti”. Non interessava loro che questi utenti<br />
fossero liberi, ma solo che fossero numerosi.<br />
Questo sfociò in una situazione paradossale, in cui due modi diversi<br />
di misurare la quantità di libertà risultavano in risposte diverse<br />
alla domanda «questo programma è libero?». Giudicando sulla base<br />
della libertà offerta dai termini distributivi usati dal MIT, si sarebbe<br />
dovuto dire che X era software libero. Ma misurando la libertà<br />
dell’utente medio di X, si sarebbe dovuto dire che X era software<br />
proprietario. La maggior parte degli utenti di X usavano le versioni<br />
proprietarie fornite con i sistemi Unix, non la versione libera.<br />
Il permesso d’autore [copyleft] e la GNU GPL<br />
Lo scopo di GNU consisteva nell’offrire libertà agli utenti, non solo<br />
nell’ottenere ampia diffusione. Avevamo quindi bisogno di termini<br />
di distribuzione che evitassero che il software GNU fosse tra-<br />
21
sformato in software proprietario. Il metodo che usammo si chiama<br />
copyleft.<br />
Il permesso d’autore [copyleft] usa le leggi sul diritto d’autore<br />
[copyright], ma le capovolge per ottenere lo scopo opposto: invece<br />
che un metodo per privatizzare il software, diventa infatti un mezzo<br />
per mantenerlo libero.<br />
Il succo dell’idea di permesso d’autore consiste nel dare a chiunque<br />
il permesso di eseguire il programma, copiare il programma, modificare<br />
il programma e distribuirne versioni modificate, ma senza<br />
dare il permesso di aggiungere restrizioni. In tal modo, le libertà<br />
essenziali che definiscono il “free software” sono garantite a chiunque<br />
ne abbia una copia, e diventano diritti inalienabili.<br />
Perché un permesso d’autore sia efficace, anche le versioni modificate<br />
devono essere libere. Ciò assicura che ogni lavoro basato sul<br />
nostro sia reso disponibile per la nostra comunità, se pubblicato.<br />
Quando dei programmatori professionisti lavorano su software<br />
GNU come volontari, è il permesso d’autore che impedisce ai loro<br />
datori di lavoro di dire: «non puoi distribuire quei cambiamenti,<br />
perché abbiamo intenzione di usarli per creare la nostra versione<br />
proprietaria del programma».<br />
La clausola che i cambiamenti debbano essere liberi è essenziale<br />
se vogliamo garantire libertà a tutti gli utenti del programma. Le<br />
aziende che privatizzarono l’X Window System di solito avevano<br />
apportato qualche modifica per portare il programma sui loro<br />
sistemi e sulle loro macchine. Si trattava di modifiche piccole<br />
rispetto alla mole di X, ma non banali. Se apportare modifiche<br />
fosse una scusa per negare libertà agli utenti, sarebbe facile per<br />
chiunque approfittare di questa scusa.<br />
Una problematica correlata è quella della combinazione di un programma<br />
libero con codice non libero. Una tale combinazione sareb-<br />
22
e inevitabilmente non libera; ogni libertà che manchi dalla parte<br />
non libera mancherebbe anche dall’intero programma. Permettere<br />
tali combinazioni aprirebbe non uno spiraglio, ma un buco grosso<br />
come una casa. Quindi un requisito essenziale per il permesso d’autore<br />
è tappare il buco: tutto ciò che venga aggiunto o combinato<br />
con un programma protetto da permesso d’autore, dev’essere tale<br />
che il programma risultante sia anch’esso libero e protetto da permesso<br />
d’autore.<br />
La specifica implementazione di permesso d’autore che utilizziamo<br />
per la maggior parte del software GNU è la GNU General Public<br />
License [licenza pubblica generica GNU], abbreviata in GNU<br />
GPL. Abbiamo altri tipi di permesso d’autore che sono utilizzati in<br />
circostanze specifiche. I manuali GNU sono anch’essi protetti da<br />
permesso d’autore, ma ne usano una versione molto più semplice,<br />
perché per i manuali non è necessaria la complessità della GPL.<br />
Nel 1984 o 1985, Don Hopkins, persona molto creativa, mi mandò<br />
una lettera. Sulla busta aveva scritto diverse frasi argute, fra cui questa:<br />
“Permesso d’autore – tutti i diritti rovesciati”. Utilizzai l’espressione<br />
“permesso d’autore” [copyleft] per battezzare il concetto di<br />
distribuzione che allora andavo elaborando.<br />
La Free Software Foundation<br />
Man mano che l’interesse per Emacs aumentava, altre persone parteciparono<br />
al progetto GNU, e decidemmo che era di nuovo ora di<br />
cercare finanziamenti. Così nel 1985 fondammo la Free Software<br />
Foundation (FSF), una organizzazione senza fini di lucro per lo sviluppo<br />
di software libero. La FSF fra l’altro si prese carico della distribuzione<br />
dei nastri di Emacs; più tardi estese l’attività aggiungendo<br />
sul nastro altro software libero (sia GNU che non GNU) e vendendo<br />
manuali liberi.<br />
23
La FSF accetta donazioni, ma gran parte delle sue entrate è sempre<br />
stata costituita dalle vendite: copie di software libero e servizi correlati.<br />
Oggi vende CD-ROM di codice sorgente, CD-ROM di programmi<br />
compilati, manuali stampati professionalmente (tutti con<br />
libertà di ridistribuzione e modifica), e distribuzioni Deluxe (nelle<br />
quali compiliamo l’intera scelta di software per una piattaforma a<br />
richiesta).<br />
I dipendenti della Free Software Foundation hanno scritto e curato la<br />
manutenzione di diversi pacchetti GNU. Fra questi spiccano la libreria<br />
C e la shell. La libreria C di GNU è utilizzata da ogni programma<br />
che gira su sistemi GNU/Linux per comunicare con Linux. È stata sviluppata<br />
da un membro della squadra della Free Software Foundation,<br />
Roland McGrath. La shell usata sulla maggior parte dei sistemi<br />
GNU/Linux è Bash, la Bourne Again Shell, che è stata sviluppata da<br />
Brian Fox, dipendente della FSF.<br />
Finanziammo lo sviluppo di questi programmi perché il progetto<br />
GNU non riguardava solo strumenti di lavoro o un ambiente di<br />
sviluppo: il nostro obiettivo era un sistema operativo completo, e<br />
questi programmi erano necessari per raggiungere quell’obiettivo.<br />
[“Bourne Again Shell” è un gioco di parole sul nome “Bourne<br />
Shell”, che era la normale shell di Unix; “Bourne again” richiama<br />
l’espressione cristiana “born again”, “rinato” (in Cristo)].<br />
Il supporto per il software libero<br />
La filosofia del software libero rigetta in particolare una diffusa pratica<br />
commerciale, ma non è contro il commercio. Quando un’impresa<br />
rispetta la libertà dell’utente, c’è da augurarle ogni successo.<br />
La vendita di copie di Emacs esemplifica un modo di condurre affari<br />
col software libero. Quando la FSF prese in carico quest’attività,<br />
dovetti trovare un’altra fonte di sostentamento. La trovai nella ven-<br />
24
dita di servizi relativi al software libero che avevo sviluppato, come<br />
insegnare argomenti quali programmazione di Emacs e personalizzazione<br />
di GCC, oppure sviluppare software, soprattutto adattamento<br />
di GCC a nuove architetture.<br />
Oggi tutte queste attività collegate al software libero sono esercitate<br />
da svariate aziende. Alcune distribuiscono raccolte di software libero<br />
su CD-ROM, altre offrono consulenza a diversi livelli, dall’aiutare<br />
gli utenti in difficoltà, alla correzione di errori, all’aggiunta di<br />
funzionalità non banali. Si cominciano anche a vedere aziende di<br />
software che si fondano sul lancio di nuovi programmi liberi.<br />
Attenzione però: diverse aziende che si fregiano del marchio “open<br />
source” in realtà fondano le loro attività su software non libero che<br />
funziona insieme con software libero. Queste non sono aziende di<br />
software libero, sono aziende di software proprietario i cui prodotti<br />
attirano gli utenti lontano dalla libertà. Loro li chiamano “a valore<br />
aggiunto”, il che riflette i valori che a loro farebbe comodo che<br />
adottassimo: la convenienza prima della libertà. Se riteniamo che<br />
la libertà abbia più valore, li dovremmo chiamare prodotti “a libertà<br />
sottratta”.<br />
Obiettivi tecnici<br />
L’obiettivo principale di GNU era essere software libero. Anche se<br />
GNU non avesse avuto alcun vantaggio tecnico su Unix, avrebbe<br />
avuto sia un vantaggio sociale, permettendo agli utenti di cooperare,<br />
sia un vantaggio etico, rispettando la loro libertà.<br />
Tuttavia risultò naturale applicare al lavoro le regole classiche di<br />
buona programmazione; per esempio, allocare le strutture dati<br />
dinamicamente per evitare limitazioni arbitrarie sulla dimensione<br />
dei dati, o gestire tutti i possibili codici a 8 bit in tutti i casi ragionevoli.<br />
25
Inoltre, al contrario di Unix che era pensato per piccole dimensioni<br />
di memoria, decidemmo di non supportare le macchine a 16 bit<br />
(era chiaro che le macchine a 32 bit sarebbero state la norma quando<br />
il sistema GNU sarebbe stato completo), e di non preoccuparci<br />
di ridurre l’occupazione di memoria a meno che eccedesse il<br />
megabyte. In programmi per i quali non era essenziale la gestione<br />
di file molto grandi, spingemmo i programmatori a leggere in<br />
memoria l’intero file di ingresso per poi analizzare il file senza doversi<br />
preoccupare delle operazioni di I/O.<br />
Queste decisioni fecero sì che molti programmi GNU superassero<br />
i loro equivalenti Unix sia in affidabilità che in velocità di esecuzione.<br />
Donazioni di computer<br />
Man mano che la reputazione del progetto GNU andava crescendo,<br />
alcune persone iniziarono a donare macchine su cui girava Unix.<br />
Queste macchine erano molto utili, perché il modo più semplice<br />
di sviluppare componenti per GNU era di farlo su di un sistema<br />
Unix così da sostituire pezzo per pezzo i componenti di quel sistema.<br />
Ma queste macchine sollevavano anche una questione etica: se<br />
fosse giusto per noi anche solo possedere una copia di Unix.<br />
Unix era (ed è) software proprietario, e la filosofia del progetto<br />
GNU diceva che non avremmo dovuto usare software proprietario.<br />
Ma, applicando lo stesso ragionamento per cui la violenza è<br />
ammessa per autodifesa, conclusi che fosse legittimo usare un pacchetto<br />
proprietario, se ciò fosse stato importante nel crearne un<br />
sostituto libero che permettesse ad altri di smettere di usare quello<br />
proprietario.<br />
Tuttavia, benché fosse un male giustificabile, era pur sempre un<br />
male. Oggi non abbiamo più alcuna copia di Unix, perché le abbia-<br />
26
mo sostituite con sistemi operativi liberi. Quando non fu possibile<br />
sostituire il sistema operativo di una macchina con uno libero,<br />
sostituimmo la macchina.<br />
L’elenco dei compiti GNU<br />
Mentre il progetto GNU avanzava, e un numero sempre maggiore<br />
di componenti di sistema venivano trovati o sviluppati, diventò utile<br />
stilare un elenco delle parti ancora mancanti. Usammo questo<br />
elenco per ingaggiare programmatori che scrivessero tali parti, e l’elenco<br />
prese il nome di elenco dei compiti GNU. In aggiunta ai componenti<br />
Unix mancanti inserimmo nell’elenco svariati progetti utili<br />
di programmazione o di documentazione che a nostro parere non<br />
dovrebbero mancare in un sistema operativo veramente completo.<br />
Oggi non compare quasi nessun componente Unix nell’elenco dei<br />
compiti GNU; tutti questi lavori, a parte qualcuno non essenziale,<br />
sono già stati svolti. D’altro canto l’elenco è pieno di quei progetti<br />
che qualcuno chiamerebbe “applicazioni”: ogni programma che<br />
interessi a una fetta non trascurabile di utenti sarebbe un’utile<br />
aggiunta a un sistema operativo.<br />
L’elenco comprende anche dei giochi, e così è stato fin dall’inizio:<br />
Unix comprendeva dei giochi, perciò era naturale che così fosse<br />
anche per GNU. Ma poiché non c’erano esigenze di compatibilità<br />
per i giochi, non ci attenemmo alla scelta di giochi presenti in Unix,<br />
preferendo piuttosto fornire un elenco di diversi tipi di giochi<br />
potenzialmente graditi agli utenti.<br />
La licenza GNU per le librerie<br />
La libreria C del sistema GNU utilizza un tipo speciale di permesso<br />
d’autore, la “Licenza Pubblica GNU per le Librerie”, che permette l’u-<br />
27
so della libreria da parte di software proprietario. Perché quest’eccezione?<br />
Non si tratta di questioni di principio: non c’è nessun principio<br />
che dica che i prodotti software proprietari abbiano il diritto di<br />
includere il nostro codice (perché contribuire a un progetto fondato<br />
sul rifiuto di condividere con noi?). L’uso della licenza LGPL per la<br />
libreria C, o per qualsiasi altra libreria, è una questione di strategia.<br />
La libreria C svolge una funzione generica: ogni sistema operativo<br />
proprietario e ogni compilatore includono una libreria C. Di conseguenza,<br />
rendere disponibile la nostra libreria C solo per i programmi<br />
liberi non avrebbe dato nessun vantaggio a tali programmi liberi,<br />
avrebbe solo disincentivato l’uso della nostra libreria.<br />
C’è un’eccezione a questa situazione: sul sistema GNU (termine che<br />
include GNU/Linux) l’unica libreria C disponibile è quella GNU.<br />
Quindi i termini di distribuzione della nostra libreria C determinano<br />
se sia possibile o meno compilare un programma proprietario per<br />
il sistema GNU. Non ci sono ragioni etiche per permettere l’uso di<br />
applicazioni proprietarie sul sistema GNU, ma strategicamente sembra<br />
che impedirne l’uso servirebbe più a scoraggiare l’uso del sistema<br />
GNU che non a incoraggiare lo sviluppo di applicazioni libere.<br />
Ecco perché l’uso della licenza LGPL è una buona scelta strategica<br />
per la libreria C, mentre per le altre librerie la strategia va valutata<br />
caso per caso. Quando una libreria svolge una funzione particolare<br />
che può aiutare a scrivere certi tipi di programmi, distribuirla<br />
secondo la GPL, quindi limitandone l’uso ai soli programmi liberi,<br />
è un modo per aiutare gli altri autori di software libero, dando<br />
loro un vantaggio nei confronti del software proprietario.<br />
Prendiamo come esempio GNU Readline 2 , una libreria scritta per<br />
2 La libreria GNU Readline fornisce una serie di funzioni utilizzabili da applicazioni che<br />
consentono all’utente la modifica della linee di comando man mano che queste vengono<br />
composte.<br />
28
fornire a Bash la modificabilità della linea di comando: Readline è<br />
distribuita secondo la normale licenza GPL, non la LGPL. Ciò probabilmente<br />
riduce l’uso di Readline, ma questo non rappresenta<br />
una perdita per noi; d’altra parte almeno una applicazione utile è<br />
stata resa software libero proprio al fine di usare Readline, e questo<br />
è un guadagno tangibile per la comunità.<br />
Chi sviluppa software proprietario ha vantaggi economici, gli autori di<br />
programmi liberi hanno bisogno di avvantaggiarsi a vicenda. Spero che<br />
un giorno possiamo avere una grande raccolta di librerie coperte dalla<br />
licenza GPL senza che esista una raccolta equivalente per chi scrive<br />
software proprietario. Tale libreria fornirebbe utili moduli da usare<br />
come i mattoni per costruire nuovi programmi liberi e costituendo un<br />
sostanziale vantaggio per la scrittura di ulteriori programmi liberi.<br />
[Nel 1999 la FSF ha cambiato nome alla licenza LGPL che ora si<br />
chiama “Lesser GPL”, GPL attenuata, per non suggerire che si tratti<br />
della forma di licenza preferenziale per le librerie].<br />
Togliersi il prurito?<br />
Eric Raymond afferma che «ogni buon programma nasce dall’iniziativa<br />
di un programmatore che si vuole togliere un suo personale<br />
prurito». È probabile che talvolta succeda così, ma molte parti<br />
essenziali del software GNU sono state sviluppate al fine di completare<br />
un sistema operativo libero. Derivano quindi da un’idea e<br />
da un progetto, non da una necessità contingente.<br />
Per esempio, abbiamo sviluppato la libreria C di GNU perché un<br />
sistema di tipo Unix ha bisogno di una libreria C, la Bourne Again<br />
Shell (Bash) perché un sistema di tipo Unix ha bisogno di una shell,<br />
e GNU tar perché un sistema di tipo Unix ha bisogno un programma<br />
tar. Lo stesso vale per i miei programmi: il compilatore<br />
GNU, GNU Emacs, GDB, GNU Make.<br />
29
Alcuni programmi GNU sono stati sviluppati per fronteggiare specifiche<br />
minacce alla nostra libertà: ecco perché abbiamo sviluppato<br />
gzip come sostituto per il programma Compress, che la comunità<br />
aveva perduto a causa dei brevetti sull’algoritmo LZW 3 . Abbiamo<br />
trovato persone che sviluppassero LessTif, e più recentemente<br />
abbiamo dato vita ai progetti GNOME e Harmony per affrontare<br />
i problemi causati da alcune librerie proprietarie (come descritto<br />
più avanti). Stiamo sviluppando la GNU Privacy Guard per sostituire<br />
i diffusi programmi di crittografia non liberi, perché gli utenti<br />
non siano costretti a scegliere tra riservatezza e libertà.<br />
Naturalmente, i redattori di questi programmi sono coinvolti nel loro<br />
lavoro, e varie persone vi hanno aggiunto diverse funzionalità secondo<br />
le loro personali necessità e i loro interessi. Tuttavia non è questa<br />
la ragione dell’esistenza di tali programmi.<br />
Sviluppi inattesi<br />
All’inizio del progetto GNU pensavo che avremmo sviluppato l’intero<br />
sistema GNU e poi lo avremmo reso disponibile tutto insieme,<br />
ma le cose non andarono così.<br />
Poiché i componenti del sistema GNU sono stati implementati su<br />
un sistema Unix, ognuno di essi poteva girare su sistemi Unix molto<br />
prima che esistesse un sistema GNU completo. Alcuni di questi<br />
programmi divennero diffusi e gli utenti iniziarono a estenderli e a<br />
renderli utilizzabili su nuovi sistemi: sulle varie versioni di Unix,<br />
incompatibili tra loro, e talvolta anche su altri sistemi.<br />
Questo processo rese tali programmi molto più potenti e attirò finanziamenti<br />
e collaboratori al progetto GNU; tuttavia probabilmente<br />
ritardò di alcuni anni la realizzazione di un sistema minimo funzio-<br />
3 L’algoritmo Lempel-Ziv-Welch è usato per la compressione dei dati.<br />
30
nante, perché il tempo degli autori GNU veniva impiegato a curare<br />
la compatibilità di questi programmi con altri sistemi e ad aggiungere<br />
nuove funzionalità ai componenti esistenti, piuttosto che a proseguire<br />
nella scrittura di nuovi componenti.<br />
GNU Hurd<br />
Nel 1990 il sistema GNU era quasi completo, l’unica parte significativa<br />
ancora mancante era il kernel. Avevamo deciso di implementare<br />
il nostro kernel come un gruppo di processi server che<br />
girassero sul sistema Mach. Mach è un micro-kernel sviluppato alla<br />
Carnegie Mellon University e successivamente all’Università dello<br />
Utah; GNU Hurd è un gruppo di server (o “herd of gnus”: mandria<br />
di gnu) che gira su Mach svolgendo le funzioni del kernel Unix.<br />
L’inizio dello sviluppo fu ritardato nell’attesa che Mach fosse reso<br />
disponibile come software libero, come era stato promesso.<br />
Una ragione di questa scelta progettuale fu di evitare quella che sembrava<br />
la parte più complessa del lavoro: effettuare il debugging del<br />
kernel senza un debugger a livello sorgente. Questo lavoro era già<br />
stato fatto, appunto in Mach, e avevamo previsto di effettuare il<br />
debugging dei server Hurd come programmi utente con GDB. Ma<br />
questa fase si rivelò molto lunga, e il debugging dei server multithread<br />
che si scambiano messaggi si è rivelato estremamente complesso.<br />
Per rendere Hurd robusto furono così necessari molti anni.<br />
Alix<br />
Originariamente il kernel GNU non avrebbe dovuto chiamarsi<br />
Hurd; il suo nome originale era Alix – come la donna di cui ero<br />
innamorato in quel periodo. Alix, che era amministratrice di sistemi<br />
Unix, aveva sottolineato come il suo nome corrispondesse a un<br />
31
comune schema usato per battezzare le versioni del sistema Unix:<br />
scherzosamente diceva ai suoi amici: «qualcuno dovrebbe chiamare<br />
un kernel come me». Io non dissi nulla ma decisi di farle una sorpresa<br />
scrivendo un kernel chiamato Alix.<br />
Le cose non andarono così. Michael Bushnell (ora Thomas), principale<br />
autore del kernel, preferì il nome Hurd, e chiamò Alix una<br />
parte del kernel, quella che serviva a intercettare le chiamate di sistema<br />
e a gestirle inviando messaggi ai server che compongono Hurd.<br />
Infine io e Alix ci lasciammo e lei cambiò nome; contemporaneamente<br />
la struttura di Hurd veniva cambiata in modo che la libreria<br />
C mandasse messaggi direttamente ai server, e così il componente<br />
Alix scomparve dal progetto. Prima che questo accadesse, però, un<br />
amico di Alix si accorse della presenza del suo nome nel codice sorgente<br />
di Hurd e glielo disse. Così il nome raggiunse il suo scopo.<br />
Linux e GNU/Linux<br />
GNU Hurd non è pronto per un uso non sperimentale, ma per fortuna<br />
è disponibile un altro kernel: nel 1991 Linus Torvalds sviluppò<br />
un kernel compatibile con Unix e lo chiamò Linux. Attorno al<br />
1992, la combinazione di Linux con il sistema GNU ancora incompleto,<br />
produsse un sistema operativo libero completo (naturalmente<br />
combinarli fu un notevole lavoro di per sé). È grazie a Linux<br />
che oggi possiamo utilizzare una versione del sistema GNU.<br />
Chiamiamo GNU/Linux questa versione del sistema, per indicare<br />
la sua composizione come una combinazione del sistema GNU col<br />
kernel Linux.<br />
Le sfide che ci aspettano<br />
Abbiamo dimostrato la nostra capacità di sviluppare un’ampia<br />
gamma di software libero, ma questo non significa che siamo<br />
32
invincibili e inarrestabili. Diverse sfide rendono incerto il futuro<br />
del software libero, e affrontarle richiederà perseveranza e sforzi<br />
costanti, talvolta per anni. Sarà necessaria quella determinazione<br />
che le persone sanno dimostrare quando danno valore alla propria<br />
libertà e non permettono a nessuno di sottrargliela. Le quattro<br />
sezioni seguenti parlano di queste sfide.<br />
Hardware segreto<br />
Sempre più spesso, i costruttori di hardware tendono a mantenere<br />
segrete le specifiche delle loro apparecchiature; questo rende difficile<br />
la scrittura di driver liberi che permettano a Linux e XFree86 4<br />
di supportare nuove periferiche. Anche se oggi abbiamo sistemi<br />
completamente liberi, potremmo non averli domani se non saremo<br />
in grado di supportare i calcolatori di domani. Esistono due modi<br />
per affrontare il problema. Un programmatore può ricostruire le<br />
specifiche dell’hardware usando tecniche di reverse engineering.<br />
Oppure si può scegliere hardware supportato dai programmi liberi:<br />
man mano che il nostro numero aumenta, la segretezza delle specifiche<br />
diventerà una pratica controproducente.<br />
Il reverse engineering è difficile: avremo programmatori sufficientemente<br />
determinati da dedicarvisi? Sì, se avremo costruito una forte<br />
consapevolezza che avere programmi liberi sia una questione di<br />
principio e che i driver non liberi non sono accettabili. E succederà<br />
che molti di noi accettino di spendere un po’ di più o perdere un<br />
po’ più di tempo per poter usare driver liberi? Sì, se il desiderio di<br />
libertà e la determinazione a ottenerla saranno diffusi.<br />
4 XFree86 è un programma che fornisce un ambiente desktop che interfaccia con le periferiche<br />
dell’hardware, quali mouse e tastiera; gira su molte piattaforme diverse.<br />
33
Librerie non libere<br />
Una libreria non libera che giri su sistemi operativi liberi funziona<br />
come una trappola per i creatori di programmi liberi. Le funzionalità<br />
attraenti della libreria fungono da esca; chi usa la libreria<br />
cade nella trappola, perché il programma che crea è inutile come<br />
parte di un sistema operativo libero (a rigore, il programma potrebbe<br />
esservi incluso, ma non funzionerebbe, visto che manca la libreria).<br />
Peggio ancora, se un programma che usa la libreria proprietaria<br />
diventa diffuso, può attirare altri ignari programmatori nella<br />
trappola.<br />
Il problema si concretizzò per la prima volta con la libreria Motif 5 ,<br />
negli anni ‘80. Sebbene non ci fossero ancora sistemi operativi liberi,<br />
i problemi che Motif avrebbe causato loro erano già chiari. Il progetto<br />
GNU reagì in due modi: interessandosi presso diversi progetti<br />
di software libero perché supportassero gli strumenti grafici X liberi<br />
in aggiunta a Motif, e cercando qualcuno che scrivesse un sostituto<br />
libero di Motif. Il lavoro richiese molti anni: solo nel 1997 LessTif,<br />
sviluppato dagli “Hungry Programmers”, divenne abbastanza<br />
potente da supportare la maggior parte delle applicazioni Motif.<br />
Tra il 1996 e il 1998 un’altra libreria non libera di strumenti grafici,<br />
chiamata Qt, veniva usata in una significativa raccolta di software<br />
libero: l’ambiente grafico KDE.<br />
I sistemi liberi GNU/Linux non potevano usare KDE, perché non<br />
potevamo usare la libreria; tuttavia, alcuni distributori commerciali<br />
di sistemi GNU/Linux, non scrupolosi nell’attenersi solo ai programmi<br />
liberi, aggiunsero KDE ai lori sistemi, ottenendo così sistemi<br />
che offrivano più funzionalità, ma meno libertà. Il gruppo che<br />
sviluppava KDE incoraggiava esplicitamente altri programmatori a<br />
usare Qt, e milioni di nuovi “utenti Linux” non sospettavano mini-<br />
5 Motif è un’interfaccia grafica e manager di finestre che gira su X Windows.<br />
34
mamente che questo potesse costituire un problema. La situazione<br />
si faceva pericolosa.<br />
La comunità del software libero affrontò il problema in due modi:<br />
GNOME e Harmony.<br />
GNOME (GNU Network Object Model Environment, modello<br />
di ambiente per oggetti di rete) è il progetto GNU per l’ambiente<br />
grafico (desktop). Intrapreso nel 1997 da Miguel de Icaza<br />
e sviluppato con il supporto di Red Hat Software, GNOME si<br />
ripromise di fornire funzionalità grafiche simili a quelle di KDE,<br />
ma usando esclusivamente software libero. GNOME offre anche<br />
dei vantaggi tecnici, come il supporto per svariati linguaggi di programmazione,<br />
non solo il C++. Ma il suo scopo principale era la<br />
libertà: non richiedere l’uso di alcun programma che non fosse<br />
libero.<br />
Harmony è una libreria compatibile con Qt, progettata per rendere<br />
possibile l’uso del software KDE senza dover usare Qt.<br />
Nel novembre 1998 gli autori di Qt annunciarono un cambiamento<br />
di licenza che, una volta operativo, avrebbe reso Qt software<br />
libero. Non c’è modo di esserne certi, ma credo che questo fu in<br />
parte dovuto alla decisa risposta della comunità al problema posto<br />
da Qt quando non era libero (la nuova licenza è scomoda e iniqua,<br />
per cui rimane comunque preferibile evitare l’uso di Qt) 6 .<br />
Come risponderemo alla prossima allettante libreria non libera?<br />
Riuscirà la comunità in toto a comprendere l’importanza di evitare<br />
la trappola? Oppure molti di noi preferiranno la convenienza alla<br />
libertà, creando così ancora un grave problema? Il nostro futuro<br />
dipende dalla nostra filosofia.<br />
6 Nel settembre 2000 Qt venne ri-ridistribuito sotto la GNU GPL, il che ha sostanzialmente<br />
risolto questo problema.<br />
35
Brevetti sul software<br />
Il maggior pericolo a cui ci troviamo di fronte è quello dei brevetti<br />
sul software, che possono rendere inaccessibili al software libero<br />
algoritmi e funzionalità per un tempo che può estendersi fino a<br />
vent’anni. I brevetti sugli algoritmi di compressione LZW furono<br />
depositati nel 1983, e ancor oggi non possiamo distribuire programmi<br />
liberi che producano immagini GIF compresse. Nel 1998<br />
un programma libero per produrre audio compresso MP3 venne<br />
ritirato sotto minaccia di una causa per violazione di brevetto.<br />
Ci sono modi per affrontare la questione brevetti: possiamo cercare<br />
prove che un brevetto non sia valido oppure possiamo cercare<br />
modi alternativi per completare ugualmente il lavoro. Ognuna di<br />
queste tecniche, però, funziona solo in certe circostanze; quando<br />
entrambe falliscono, un brevetto può obbligare tutto il software libero<br />
a rinunciare a qualche funzionalità che gli utenti desiderano. Cosa<br />
dobbiamo fare quando ciò accade?<br />
Chi fra noi apprezza il software libero per il valore della libertà<br />
rimarrà comunque dalla parte dei programmi liberi; saremo in grado<br />
di svolgere il nostro lavoro senza le funzionalità coperte da brevetto.<br />
Ma coloro che apprezzano il software libero perché si aspettano<br />
che sia tecnicamente superiore probabilmente grideranno al<br />
fallimento quando un brevetto ne impedisce lo sviluppo. Perciò,<br />
nonostante sia utile parlare dell’efficacia pratica del modello di sviluppo<br />
“a cattedrale” 7 , e dell’affidabilità e della potenza di un dato<br />
programma libero, non ci dobbiamo fermare qui; dobbiamo parlare<br />
di libertà e di principi.<br />
7 Probabilmente intendevo scrivere “del modello a bazaar”, poiché era questa l’alternativa<br />
nuova e inizialmente controversa.<br />
36
Documentazione libera<br />
La più grande carenza nei nostri sistemi operativi liberi non è nel<br />
software, quanto nella carenza di buoni manuali liberi da includere<br />
nei nostri sistemi. La documentazione è una parte essenziale di<br />
qualunque pacchetto software; quando un importante pacchetto<br />
software libero non viene accompagnato da un buon manuale libero,<br />
si tratta di una grossa lacuna. E di queste lacune attualmente ne<br />
abbiamo molte.<br />
La documentazione libera, come il software libero, è una questione<br />
di libertà, non di prezzo. Il criterio per definire libero un manuale<br />
è fondamentalmente lo stesso che per definire libero un programma:<br />
si tratta di offrire certe libertà a tutti gli utenti. Deve essere<br />
permessa la redistribuzione (compresa la vendita commerciale),<br />
sia in formato elettronico che cartaceo, in modo che il manuale possa<br />
accompagnare ogni copia del programma.<br />
Autorizzare la modifica è anch’esso un aspetto cruciale; in generale,<br />
non credo sia essenziale permettere alle persone di modificare<br />
articoli e libri di qualsiasi tipo. Per esempio, non credo che voi o io<br />
dobbiamo sentirci in dovere di autorizzare la modifica di articoli<br />
come questo, articoli che descrivono le nostre azioni e il nostro punto<br />
di vista.<br />
Ma c’è una ragione particolare per cui la libertà di modifica è cruciale<br />
per la documentazione dei programmi liberi. Quando qualcuno<br />
esercita il proprio diritto di modificare il programma, aumentandone<br />
o alterandone le funzionalità, se è coscienzioso modificherà<br />
anche il manuale, in modo da poter fornire una documentazione<br />
utile e accurata insieme al programma modificato. Un manuale che<br />
non permetta ai programmatori di essere coscienziosi e completare<br />
il loro lavoro, non soddisfa i bisogni della nostra comunità.<br />
Alcuni limiti sulla modificabilità non pongono alcun problema; per<br />
37
esempio, le richieste di conservare la nota di copyright dell’autore<br />
originale, i termini di distribuzione e la lista degli autori vanno<br />
bene. Non ci sono problemi nemmeno nel richiedere che le versioni<br />
modificate dichiarino esplicitamente di essere tali, così pure<br />
che intere sezioni non possano essere rimosse o modificate, finché<br />
queste sezioni vertono su questioni non tecniche. Restrizioni di<br />
questo tipo non creano problemi perché non impediscono al programmatore<br />
coscienzioso di adattare il manuale perché rispecchi il<br />
programma modificato. In altre parole, non impediscono alla comunità<br />
del software libero di beneficiare appieno dal manuale.<br />
D’altro canto, deve essere possibile modificare tutto il contenuto tecnico<br />
del manuale e poter distribuire il risultato in tutti i formati usuali,<br />
attraverso tutti i normali canali di distribuzione; diversamente, le<br />
restrizioni creerebbero un ostacolo per la comunità, il manuale non<br />
sarebbe libero e avremmo bisogno di un altro manuale.<br />
Gli sviluppatori di software libero avranno la consapevolezza e la<br />
determinazione necessarie a produrre un’intera gamma di manuali<br />
liberi? Ancora una volta, il nostro futuro dipende dalla nostra filosofia.<br />
Dobbiamo parlare di libertà<br />
Stime recenti valutano in dieci milioni il numero di utenti di sistemi<br />
GNU/Linux quali Debian GNU/Linux e Red Hat Linux. Il<br />
software libero ha creato tali vantaggi pratici che gli utenti stanno<br />
approdando a esso per pure ragioni pratiche.<br />
Gli effetti positivi di questa situazione sono evidenti: maggior interesse<br />
a sviluppare software libero, più clienti per le imprese di<br />
software libero e una migliore capacità di incoraggiare le aziende a<br />
sviluppare software commerciale libero invece che prodotti software<br />
proprietari.<br />
38
L’interesse per il software, però, sta crescendo più in fretta della<br />
coscienza della filosofia su cui è basato, e questa disparità causa<br />
problemi. La nostra capacità di fronteggiare le sfide e le<br />
minacce descritte in precedenza dipende dalla determinazione<br />
nell’essere impegnati per la libertà. Per essere sicuri che la nostra<br />
comunità abbia tale determinazione, dobbiamo diffondere l’idea<br />
presso i nuovi utenti man mano che entrano a far parte della<br />
comunità.<br />
Ma in questo stiamo fallendo: gli sforzi per attrarre nuovi utenti<br />
nella comunità sono di gran lunga maggiori degli sforzi per<br />
l’educazione civica della comunità stessa. Dobbiamo fare<br />
entrambe le cose, e dobbiamo mantenere un equilibrio fra i due<br />
impegni.<br />
“Open Source”<br />
Parlare di libertà ai nuovi utenti è diventato più difficile dal 1998,<br />
quando una parte della comunità decise di smettere di usare il termine<br />
“free software” e usare al suo posto “open source”.<br />
Alcune delle persone che suggerirono questo termine intendevano<br />
evitare che si confondesse “free” con “gratis”, un valido obiettivo.<br />
D’altra parte, altre persone intendevano mettere da parte lo spirito<br />
del principio che aveva dato la spinta al movimento del software<br />
libero e al progetto GNU, puntando invece ad attrarre i dirigenti e<br />
gli utenti commerciali, molti dei quali afferiscono a una ideologia<br />
che pone il profitto al di sopra della libertà, della comunità, dei<br />
principi. Perciò la retorica di “open source” si focalizza sulla possibilità<br />
di creare software di buona qualità e potente, ma evita deliberatamente<br />
le idee di libertà, comunità, principio.<br />
Le riviste che si chiamano “Linux...” sono un chiaro esempio di ciò:<br />
sono piene di pubblicità di software proprietario che gira sotto<br />
39
GNU/Linux; quando ci sarà il prossimo Motif o Qt, queste riviste<br />
avvertiranno i programmatori di starne lontano o accetteranno la<br />
sua pubblicità? L’appoggio delle aziende può contribuire alla comunità<br />
in molti modi; a parità di tutto il resto è una cosa utile. Ma<br />
ottenere questo appoggio parlando ancor meno di libertà e principi<br />
può essere disastroso; rende ancora peggiore lo sbilanciamento<br />
descritto tra diffusione ed educazione civica.<br />
“Software libero” (free software) e “sorgente aperto” (open source)<br />
descrivono più o meno la stessa categoria di software, ma dicono<br />
cose differenti sul software e sui valori. Il progetto GNU continua<br />
a usare il termine “software libero” per esprimere l’idea che la libertà<br />
sia importante, non solo la tecnologia.<br />
Provaci!<br />
La filosofia di Yoda (“Non esiste provarci”) suona bene, ma per<br />
me non funziona. Ho fatto la maggior parte del mio lavoro angustiato<br />
dal timore di non essere in grado di svolgere il mio compito<br />
e nel dubbio, se fossi riuscito, che non fosse sufficiente per<br />
raggiungere l’obiettivo. Ma ci ho provato in ogni caso perché nessuno<br />
tranne me si poneva tra il nemico e la mia città. Sorprendendo<br />
me stesso, qualche volta sono riuscito.<br />
A volte ho fallito, alcune delle mie città sono cadute; poi ho trovato<br />
un’altra città minacciata e mi sono preparato a un’altra battaglia.<br />
Con l’andar del tempo ho imparato a cercare le possibili<br />
minacce e a mettermi tra loro e la mia città, facendo appello ad<br />
altri hacker perché venissero e si unissero a me.<br />
Oggigiorno spesso non sono da solo. È un sollievo e una gioia quando<br />
vedo un reggimento di hacker che scavano trincee per difendere<br />
il confine e quando mi rendo conto che questa città può sopravvivere;<br />
per ora. Ma i pericoli diventano più grandi ogni anno, e ora<br />
40
Microsoft ha esplicitamente preso di mira la nostra comunità. Non<br />
possiamo dare per scontato il futuro della libertà; non diamolo per<br />
scontato! Se volete mantenere la vostra libertà dovete essere pronti<br />
a difenderla.<br />
La versione originale inglese di questo saggio è apparsa nel libro Open Sources:<br />
Voices from the Open Source Revolution (O’Reilly, 1999), e in italiano<br />
in Open Sources: Voci dalla rivoluzione open source (Apogeo, 1999).<br />
Questa versione fa parte del libro Free Software, Free Society: The Selected<br />
Essays of Richard M. Stallman, GNU Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
41
Il manifesto GNU<br />
Il manifesto GNU venne scritto all’inizio del progetto GNU, per stimolarne<br />
la partecipazione e il sostegno. Nei primi anni è stato aggiornato<br />
in maniera ridotta per documentarne gli sviluppi, ma oggi sembra<br />
meglio lasciarlo inalterato per come lo ha visto la maggior parte della<br />
gente. Da allora, ci siamo accorti di alcuni equivoci comuni che l’uso di<br />
una diversa terminologia potrebbe aiutare a evitare. Nel corso degli anni<br />
sono state aggiunte delle note a chiarimento di tali equivoci.<br />
Cos’è GNU? Gnu non è Unix!<br />
GNU, che sta per “Gnu’s Not Unix” (Gnu Non è Unix), è il nome<br />
del sistema software completo e Unix-compatibile che sto scrivendo<br />
per distribuirlo liberamente a chiunque lo possa utilizzare 1 . Molti altri<br />
volontari mi stanno aiutando. Abbiamo gran necessità di contributi<br />
in tempo, denaro, programmi e macchine.<br />
Fino a ora abbiamo un editor Emacs fornito di Lisp per espanderne<br />
i comandi, un debugger simbolico, un generatore di parser com-<br />
1 Qui la scelta delle parole è stata poco accurata. L’intenzione era che nessuno dovesse pagare<br />
per il permesso di usare il sistema GNU. Ma le parole non lo esprimono chiaramente, e<br />
la gente le interpreta spesso come asserzione che GNU debba sempre essere distribuito in<br />
forma gratuita o a basso prezzo. Non è mai stato questo l’intento; più oltre il manifesto parla<br />
della possibile esistenza di aziende che forniscano il servizio di distribuzione a scopo di<br />
lucro. Di conseguenza ho imparato a distinguere tra “free” nel senso di libero e “free” nel<br />
senso di gratuito. Il software libero è il software che gli utenti sono liberi di distribuire e<br />
modificare. Alcuni lo avranno gratuitamente, altri dovranno pagare per ottenere le loro<br />
copie, e se dei finanziamenti aiutano a migliorare il software tanto meglio. La cosa importante<br />
è che chiunque ne abbia una copia sia libero di cooperare con altri nell’usarlo.<br />
42
patibile con yacc, un linker e circa 35 utility. È quasi pronta una<br />
shell (interprete di comandi). Un nuovo compilatore C portabile e<br />
ottimizzante ha compilato se stesso e potrebbe essere pubblicato<br />
quest’anno. Esiste un inizio di kernel, ma mancano molte delle<br />
caratteristiche necessarie per emulare Unix. Una volta terminati il<br />
kernel e il compilatore sarà possibile distribuire un sistema GNU<br />
utilizzabile per lo sviluppo di programmi. Useremo TeX come formattatore<br />
di testi, ma lavoriamo anche su un nroff. Useremo inoltre<br />
il sistema a finestre portabile libero X. Dopo di che aggiungeremo<br />
un Common Lisp portabile, il gioco Empire, un foglio elettronico<br />
e centinaia di altre cose, oltre alla documentazione in linea.<br />
Speriamo di fornire, col tempo, tutte le cose utili che normalmente<br />
si trovano in un sistema Unix, e anche di più.<br />
GNU sarà in grado di far girare programmi Unix, ma non sarà identico<br />
a Unix. Apporteremo tutti i miglioramenti che sarà ragionevole<br />
fare basandoci sull’esperienza maturata con altri sistemi operativi.<br />
In particolare, abbiamo in programma nomi più lunghi per<br />
i file, numeri di versione per i file, un filesystem a prova di crash,<br />
forse completamento automatico dei nomi dei file, supporto indipendente<br />
dal terminale per la visualizzazione e forse col tempo un<br />
sistema a finestre basato sul Lisp, attraverso il quale più programmi<br />
Lisp e normali programmi Unix siano in grado di condividere<br />
lo schermo. Sia C che Lisp saranno linguaggi per la programmazione<br />
di sistema. Per le comunicazioni vedremo di supportare<br />
UUCP, Chaosnet del MIT e i protocolli di Internet.<br />
GNU è inizialmente orientato alle macchine della classe<br />
68000/16000 con memoria virtuale, perché sono quelle su cui è<br />
più facile farlo girare. Lasceremo agli interessati il lavoro necessario<br />
a farlo girare su macchine più piccole.<br />
Vi preghiamo, per evitare confusioni, di pronunciare la ‘G’ nella<br />
43
parola ‘GNU’ quando indica il nome di questo progetto [questa<br />
avvertenza serve a chiarire che in inglese “GNU” va pronunciato<br />
con la g dura, gh-nu, piuttosto che come “new”, niu; identica la<br />
pronuncia italiana].<br />
Perché devo scrivere GNU<br />
Credo che il punto fondamentale sia che, se a me piace un programma,<br />
io debba condividerlo con altre persone a cui piace. I venditori<br />
di software usano il criterio “divide et impera” con gli utenti,<br />
facendo sì che non condividano il software con altri. Io mi rifiuto<br />
di spezzare così la solidarietà con gli altri utenti. La mia coscienza<br />
non mi consente di firmare un accordo per non rivelare informazioni<br />
o per una licenza d’uso del software. Ho lavorato per anni<br />
presso il Laboratorio di Intelligenza Artificiale per resistere a queste<br />
tendenze e ad altri atteggiamenti sgradevoli, ma col tempo queste<br />
sono andate troppo oltre: non potevo rimanere in una istituzione<br />
dove ciò viene fatto a mio nome contro la mia volontà. Per<br />
poter continuare a usare i computer senza disonore, ho deciso di<br />
raccogliere un corpus di software libero in modo da andare avanti<br />
senza l’uso di alcun software che non sia libero. Mi sono dimesso<br />
dal Laboratorio di Intelligenza Artificiale per togliere al MIT ogni<br />
scusa legale che mi impedisca di distribuire GNU.<br />
Perché GNU sarà compatibile con Unix<br />
Unix non è il mio sistema ideale, ma non è poi così male. Le caratteristiche<br />
essenziali di Unix paiono essere buone e penso di poter<br />
colmare le lacune di Unix senza rovinarne le caratteristiche. E adottare<br />
un sistema compatibile con Unix può risultare pratico anche<br />
per molti altri.<br />
44
Come sarà reso disponibile GNU<br />
GNU non è di pubblico dominio. A tutti sarà permesso di modificare<br />
e ridistribuire GNU, ma a nessun distributore sarà concesso di<br />
porre restrizioni sulla sua ridistribuzione. Questo vuol dire che non<br />
saranno permesse modifiche proprietarie (18k caratteri). Voglio essere<br />
sicuro che tutte le versioni di GNU rimangano libere.<br />
Perché molti altri programmatori desiderano essere d’aiuto<br />
Ho trovato molti altri programmatori molto interessati a GNU che<br />
vogliono dare una mano.<br />
Molti programmatori sono scontenti della commercializzazione del<br />
software di sistema. Li può aiutare a far soldi, ma li costringe in generale<br />
a sentirsi in conflitto con gli altri programmatori, invece che<br />
solidali. L’atto di amicizia fondamentale tra programmatori è condividere<br />
programmi; le politiche di commercializzazione attualmente<br />
in uso essenzialmente proibiscono ai programmatori di trattare<br />
gli altri come amici. Gli acquirenti del software devono decidere<br />
tra l’amicizia e l’obbedienza alle leggi. Naturalmente molti decidono<br />
che l’amicizia è più importante. Ma quelli che credono nella<br />
legge non si sentono a proprio agio con queste scelte. Diventano<br />
cinici e pensano che programmare sia solo un modo per fare soldi.<br />
Lavorando e utilizzando GNU invece che programmi proprietari,<br />
possiamo comportarci amichevolmente con tutti e insieme rispettare<br />
la legge. Inoltre GNU è un esempio che ispira gli altri e una<br />
bandiera che li chiama a raccolta perché si uniscano a noi nel condividere<br />
il software. Questo ci può dare una sensazione di armonia<br />
che sarebbe irraggiungibile se usassimo software che non sia libero.<br />
Per circa la metà dei programmatori che conosco è una soddisfazione<br />
importante, che il denaro non può sostituire.<br />
45
Come si può contribuire<br />
Chiedo ai produttori di computer donazioni in denaro e macchine,<br />
e ai privati donazioni in programmi e lavoro.<br />
Donare delle macchine può far sì che su di esse giri ben presto<br />
GNU. Le macchine devono essere sistemi completi e pronti all’uso<br />
approvati per l’utilizzo in aree residenziali e non devono richiedere<br />
raffreddamento o alimentazione di tipo sofisticato.<br />
Ho conosciuto moltissimi programmatori desiderosi di contribuire<br />
a GNU a metà tempo. Per la gran parte dei progetti, un lavoro<br />
a metà tempo distribuito risulterebbe troppo difficile da coordinare,<br />
perché le varie parti scritte indipendentemente non funzionerebbero<br />
insieme. Ma per scrivere un sostituto di Unix questo problema<br />
non si pone, perché un sistema Unix completo contiene centinaia<br />
di programmi di servizio, ognuno con la propria documentazione<br />
separata, e con gran parte delle specifiche di interfaccia date<br />
dalla compatibilità con Unix. Se ogni partecipante scrive un solo<br />
programma da usare al posto di una utility di Unix, il quale funzioni<br />
correttamente al posto dell’originale su un sistema Unix, allora<br />
questi programmi funzioneranno bene una volta messi assieme.<br />
Anche considerando qualche imprevisto dovuto a Murphy 2 , assemblare<br />
tali componenti è un lavoro fattibile. Il kernel invece richiederà<br />
una più stretta cooperazione, e verrà sviluppato da un gruppo<br />
piccolo e affiatato.<br />
Donazioni in denaro possono mettermi in grado di assumere alcune<br />
persone a tempo pieno o a metà tempo. Lo stipendio non sarà alto<br />
rispetto agli standard dei programmatori, ma io cerco persone per le<br />
quali lo spirito della comunità GNU sia importante quanto il dena-<br />
2 Questo è un riferimento alla “Legge di Murphy”, una legge umoristica secondo la quale,<br />
qualora esista la possibilità che qualcosa vada male, allora andrà male.<br />
46
o. Io lo vedo come un modo di permettere a degli appassionati di<br />
dedicare tutte le loro energie al lavoro su GNU senza essere costretti<br />
a guadagnarsi da vivere in un altro modo.<br />
Perché tutti gli utenti dei computer ne trarranno beneficio<br />
Una volta scritto GNU, ognuno potrà avere liberamente del buon<br />
software di sistema, così come può avere l’aria 3 .<br />
Questo significa molto di più che far risparmiare a ciascuno il costo<br />
di una licenza Unix: vuol dire evitare l’inutile spreco di ripetere ogni<br />
volta lo sforzo della programmazione di sistema. Queste energie<br />
possono essere invece impiegate ad avanzare lo stato dell’arte.<br />
I sorgenti completi del sistema saranno a disposizione di tutti. Di<br />
conseguenza, un utente che abbia necessità di apportare dei cambiamenti<br />
al sistema sarà sempre in grado di farlo da solo o di commissionarne<br />
le modifiche a un programmatore o a un’impresa. Gli<br />
utenti non saranno più in balìa di un solo programmatore o di una<br />
impresa che, avendo la proprietà esclusiva dei sorgenti, sia la sola a<br />
poter fare le modifiche.<br />
Le scuole avranno la possibilità di fornire un ambiente molto più<br />
educativo, incoraggiando gli studenti a studiare e migliorare il<br />
software di sistema. I laboratori di informatica di Harvard avevano<br />
una politica per cui nessun programma poteva essere installato nel<br />
sistema senza che i sorgenti fossero pubblicamente consultabili, e<br />
la praticarono rifiutandosi effettivamente di installare alcuni programmi.<br />
Questo comportamento mi è stato di grande ispirazione.<br />
Infine, scompariranno le necessità burocratiche di tener conto di<br />
3 Questo è un altro punto dove non sono riuscito a distinguere chiaramente tra i due significati<br />
di “free”. La frase, così com’è, non è falsa – si possono ottenere gratuitamente copie del<br />
software GNU, o dagli amici o attraverso la rete. Ma in effetti suggerisce un’idea sbagliata.<br />
47
chi sia il proprietario del software di sistema e di chi abbia il diritto<br />
di farci cosa.<br />
Ogni sistema per imporre tariffe d’uso di un programma, comprese<br />
le licenze d’uso per le copie, è sempre estremamente costoso in<br />
termini sociali a causa del complesso meccanismo necessario per<br />
decidere quanto (cioè per quali programmi) ognuno debba pagare,<br />
e solo uno stato di polizia può costringere tutti all’obbedienza.<br />
Immaginate una stazione spaziale dove l’aria deve essere prodotta<br />
artificialmente a un costo elevato: far pagare ogni litro d’aria consumato<br />
può essere giusto, ma indossare la maschera col contatore<br />
tutto il giorno e tutta la notte è intollerabile, anche se tutti possono<br />
permettersi di pagare la bolletta. E le videocamere poste in ogni<br />
dove per controllare che nessuno si tolga mai la maschera sono<br />
offensive. Meglio finanziare l’impianto di ossigenazione con una<br />
tassa pro capite e buttar via le maschere.<br />
Copiare un programma in tutto o in parte è tanto naturale per un<br />
programmatore quanto respirare ed è altrettanto produttivo.<br />
Dovrebbe essere altrettanto libero.<br />
Alcune obiezioni facilmente confutabili agli obiettivi GNU<br />
“La gente non lo userà se è gratuito, perché non potrà avere l’assistenza”.<br />
“Un programma deve essere a pagamento, per poter fornire supporto<br />
adeguato”.<br />
Se la gente preferisse pagare per GNU più l’assistenza piuttosto che<br />
avere GNU gratis senza assistenza, allora un’impresa che fornisse<br />
assistenza a chi si è procurato GNU gratis potrebbe operare con<br />
profitto.<br />
Si deve distinguere tra il supporto sotto forma di lavoro di pro-<br />
48
grammazione e la semplice gestione. Il primo non è ottenibile da<br />
un venditore di software. Se il problema non è sentito da un numero<br />
sufficiente di clienti allora il venditore dirà al cliente di arrangiarsi.<br />
Per chi deve poter contare su questo tipo di supporto l’unica soluzione<br />
è di disporre dei sorgenti e degli strumenti necessari, in<br />
modo da poter commissionare il lavoro a chi sia disposto a farlo,<br />
invece che rimanere in balìa di qualcuno. Con Unix il prezzo dei<br />
sorgenti rende ciò improponibile per la maggior parte delle imprese.<br />
Con GNU questo sarà invece facile. Si darà sempre il caso che<br />
non siano disponibili persone competenti, ma questo non potrà<br />
essere imputato al sistema di distribuzione. GNU non elimina<br />
tutti i problemi del mondo, solo alcuni.<br />
Allo stesso tempo, gli utenti che non sanno nulla di computer hanno<br />
bisogno di manutenzione, cioè di cose che potrebbero fare facilmente<br />
da soli ma che non sono in grado di fare.<br />
Servizi di questo genere potrebbero essere forniti da aziende che<br />
vendono solo gestione e manutenzione. Se è vero che gli utenti sono<br />
disposti a pagare per un prodotto con servizio, allora saranno anche<br />
disposti a pagare per il servizio avendo avuto il prodotto gratuitamente.<br />
Le aziende di servizi si faranno concorrenza sul prezzo e sulla<br />
qualità; gli utenti d’altra parte non saranno legati a nessuna di<br />
esse in particolare. Nel frattempo, coloro che non avranno bisogno<br />
del servizio saranno sempre in grado di usare il programma senza<br />
pagare il servizio.<br />
“Non si può raggiungere molta gente senza pubblicità, e per finanziarla<br />
si deve far pagare il programma”.<br />
“È inutile reclamizzare un programma gratuito”.<br />
Ci sono molte forme di pubblicità gratuita o a basso costo che pos-<br />
49
sono essere usate per informare un gran numero di utenti di computer<br />
riguardo a cose come GNU. Ma può essere vero che la pubblicità<br />
può raggiungere molti più utenti di microcomputer. Se fosse<br />
veramente così, una ditta che reclamizzasse il servizio di copia e<br />
spedizione per posta di GNU a pagamento dovrebbe aver abbastanza<br />
successo commerciale da rientrare dai costi della pubblicità<br />
e da guadagnarci. In questo modo, pagano la pubblicità solo gli<br />
utenti che ne beneficiano.<br />
D’altro canto, se molta gente ottiene GNU da amici e queste aziende<br />
non hanno successo, vorrà dire che la pubblicità non era necessaria<br />
per diffondere GNU. Perché tutti questi difensori del libero<br />
mercato non vogliono lasciare che sia il libero mercato a decidere? 4 .<br />
“La mia azienda ha bisogno di un sistema operativo proprietario<br />
per essere più avanti della concorrenza”.<br />
Con GNU, i sistemi operativi non rientreranno più fra gli elementi<br />
di concorrenza. La vostra azienda non potrà essere concorrenziale<br />
in quest’area, ma egualmente non potranno esserlo i concorrenti.<br />
Vi farete concorrenza in altre aree, mentre in questa godrete di<br />
mutui benefici. Se vendete sistemi operativi non apprezzerete<br />
GNU, ma è un problema vostro. Se avete un’attività di altro tipo,<br />
GNU vi può evitare di essere spinti nel costoso campo della vendita<br />
di sistemi operativi.<br />
Mi piacerebbe che lo sviluppo di GNU fosse sostenuto da dona-<br />
4 La Free Software Foundation raccoglie la maggior parte dei suoi fondi da un servizio di<br />
distribuzione, anche se è più un ente senza fini di lucro che un’azienda. Se nessuno sceglie<br />
di ottenere copie del software ordinandole alla FSF, questa sarà impossibilitata a proseguire<br />
la propria opera. Ma questo non vuole dire che siano giustificate restrizioni proprietarie<br />
per costringere gli utenti a pagare. Se una piccola frazione degli utenti ordina le sue copie<br />
dalla FSF, questo sarà sufficiente per tenerla a galla. Quindi chiediamo agli utenti di aiutarci<br />
in questo modo. Hai fatto la tua parte?<br />
50
zioni da parte di numerosi produttori e utenti, riducendo così la<br />
spesa per tutti 5 .<br />
“Ma i programmatori non meritano una ricompensa per la loro<br />
creatività?”.<br />
Se qualcosa merita una ricompensa questo è il contribuire al bene<br />
sociale. La creatività può essere un contributo al bene sociale, ma<br />
solo nella misura in cui la società è libera di usarne i risultati. Se i<br />
programmatori meritano una ricompensa per la creazione di programmi<br />
innovativi, allora con la stessa logica meritano una punizione<br />
se pongono restrizioni all’uso di questi programmi.<br />
“Un programmatore non dovrebbe poter chiedere una ricompensa<br />
per la sua creatività?”.<br />
Non c’è niente di male nel chiedere di esser pagati per il proprio<br />
lavoro, o mirare a incrementare le proprie entrate, fintanto che non<br />
si utilizzino metodi che siano distruttivi. Ma i metodi comuni nel<br />
campo del software, al giorno d’oggi, sono distruttivi.<br />
Spremere denaro dagli utenti di un programma imponendo restrizioni<br />
sull’uso è distruttivo perché riduce i modi in cui il programma<br />
può essere usato. Questo diminuisce la quantità di ricchezza che<br />
l’umanità ricava dal programma. Quando c’è una scelta deliberata<br />
di porre restrizioni, le conseguenze dannose sono distruzione deliberata.<br />
La ragione per cui un buon cittadino non usa questi metodi distruttivi<br />
per diventare più ricco è che, se lo facessero tutti, diventeremmo<br />
tutti più poveri a causa delle distruzioni reciproche. Questa è<br />
etica kantiana, la Regola Aurea: poiché non mi piacciono le conse-<br />
5 Un gruppo di imprese di software ha recentemente costituito dei finanziamenti per sostenere<br />
la manutenzione del nostro compilatore C.<br />
51
guenze che risulterebbero se tutti impedissero l’accesso alle informazioni,<br />
devo considerare sbagliato che uno lo faccia. In particolare,<br />
il desiderio di una ricompensa per la propria creatività non giustifica<br />
il privare il mondo nel suo insieme di tutta o parte di questa<br />
creatività.<br />
“Ma i programmatori non moriranno di fame?”.<br />
Potrei rispondere che nessuno è obbligato a fare il programmatore.<br />
La maggior parte di noi non è in grado di andare per strada a fare<br />
il mimo, ma ciò non vuol dire che siamo condannati a passare la<br />
vita per strada a fare i mimi, e morire di fame. Facciamo un altro<br />
lavoro.<br />
Ma è la risposta sbagliata, perché accetta l’assunzione implicita di<br />
chi pone la domanda, e cioè che senza proprietà del software non<br />
è possibile pagare ai programmatori il becco di un quattrino. Un’assunzione<br />
del tipo tutto o niente.<br />
La vera ragione per cui i programmatori non moriranno di fame è<br />
che sarà per loro egualmente possibile essere pagati per programmare,<br />
solo non pagati così tanto come ora.<br />
Porre restrizioni sulle copie non è l’unico modello di affari nel campo<br />
del software. È il modello più comune perché è il più redditizio.<br />
Se fosse vietato, o rifiutato dagli utenti, l’industria del software si<br />
sposterebbe su altri modelli organizzativi, adottandone altri ora<br />
meno comuni. Ci sono sempre numerosi modi per organizzare un<br />
qualunque tipo di affari.<br />
Probabilmente, programmare nel nuovo modello organizzativo<br />
non sarà più così redditizio come lo è ora. Ma questo non è un argomento<br />
contro il cambiamento. Che gli addetti alle vendite ricevano<br />
i salari che ora ricevono non è considerata un’ingiustizia. Se i<br />
programmatori avessero gli stessi stipendi (in pratica guadagnerebbero<br />
molto di più), non sarebbe nemmeno quella un’ingiustizia.<br />
52
“Ma le persone non hanno diritto di controllare come la loro creatività<br />
viene usata?”.<br />
Il “controllo sull’uso delle proprie idee” in realtà costituisce un controllo<br />
sulle vite degli altri; e di solito viene usato per rendere più<br />
difficili le loro vite.<br />
Le persone che hanno studiato con cura i vari aspetti del diritto alla<br />
proprietà intellettuale (come gli avvocati) dicono che non c’è alcun<br />
diritto intrinseco alla proprietà intellettuale. I tipi dei supposti diritti<br />
alla proprietà intellettuale riconosciuti dal governo furono creati<br />
da specifici atti legislativi per scopi specifici.<br />
Per esempio, la legislazione sui brevetti fu introdotta per incoraggiare<br />
gli inventori a rivelare i dettagli delle loro invenzioni. Lo scopo<br />
era avvantaggiare la società, più che avvantaggiare gli inventori.<br />
A quel tempo la validità di 17 anni per un brevetto era breve se confrontata<br />
con la velocità di avanzamento dello stato dell’arte. Poiché<br />
i brevetti riguardano solo i produttori, per i quali il costo e lo sforzo<br />
degli accordi di licenza sono piccoli in confronto all’organizzazione<br />
della produzione, spesso i brevetti non costituiscono un gran<br />
danno. E non ostacolano la gran parte degli individui che usano<br />
prodotti coperti da brevetto.<br />
L’idea del copyright non esisteva in tempi antichi, quando gli autori<br />
copiavano estesamente altri autori in opere non narrative. Questa<br />
pratica era utile, ed è il solo modo attraverso cui almeno parte<br />
del lavoro di alcuni autori è sopravvissuto. La legislazione sul copyright<br />
fu creata espressamente per incoraggiare l’originalità. Nel<br />
campo per cui fu inventata, cioè i libri, che potevano essere copiati<br />
a basso costo solo con apparecchiature tipografiche, non fece molto<br />
danno e non pose ostacoli alla maggior parte dei lettori.<br />
Tutti i diritti di proprietà intellettuale sono solo licenze concesse<br />
dalla società perché si riteneva, correttamente o meno, che conce-<br />
53
derle avrebbe giovato alla società nel suo complesso. Ma data una<br />
situazione particolare dobbiamo chiederci: facciamo realmente<br />
bene a concedere queste licenze? Che atti permettiamo di compiere<br />
con esse?<br />
Il caso dei programmi ai giorni nostri differisce enormemente da<br />
quello dei libri un secolo fa. Il fatto che la via più facile per passare<br />
una copia di un programma sia da persona a persona, che il programma<br />
abbia un codice sorgente e un codice oggetto che sono cose<br />
distinte, e infine il fatto che un programma venga usato più che letto<br />
e gustato, combinandosi creano una situazione in cui qualcuno<br />
che impone un copyright minaccia la società nel suo insieme, sia<br />
materialmente che spiritualmente, una situazione in cui quel qualcuno<br />
non dovrebbe farlo, che la legge lo permetta o no.<br />
“La competizione fa sì che le cose siano fatte meglio”.<br />
Il paradigma della competizione è la gara: premiando il vincitore<br />
incoraggia ognuno a correre più veloce. Quando veramente il capitalismo<br />
funziona in questo modo, fa un buon lavoro; ma chi lo<br />
difende ha torto nell’asserire che agisce sempre così. Se i corridori<br />
dimenticano il motivo per cui è offerto il premio e si concentrano<br />
solo sul vincere non curandosi di come, possono trovare altre strategie,<br />
come ad esempio attaccare gli altri concorrenti. Se i corridori<br />
si azzuffano, arrivano tutti in ritardo al traguardo.<br />
Il software proprietario e segreto è l’equivalente morale dei corridori<br />
che si azzuffano. Triste a dirsi, l’unico arbitro che abbiamo pare<br />
non muovere alcuna obiezione alle zuffe, al più le regolamenta<br />
(“ogni dieci metri puoi tirare un pugno”). Dovrebbe invece dividerli<br />
e penalizzarli anche se solo provassero a combattere.<br />
“Ma senza un incentivo economico non smetterebbero tutti di programmare?”.<br />
54
In realtà molta gente programmerebbe senza alcun incentivo economico.<br />
Programmare ha un fascino irresistibile per alcune persone,<br />
solitamente per quelli che ci riescono meglio. Non mancano<br />
certo i musicisti professionisti che insistono pur non avendo speranza<br />
di guadagnarsi da vivere suonando.<br />
Ma in realtà questa domanda, benché posta spesso, non è appropriata.<br />
La paga per i programmatori non sparirà, semplicemente<br />
diminuirà. Quindi la domanda corretta è: “qualcuno si metterà mai<br />
a programmare per un minore incentivo economico?”.<br />
La mia esperienza dice che sì, ci si metterà.<br />
Per più di dieci anni molti tra i migliori programmatori del mondo<br />
hanno lavorato nel Laboratorio di Intelligenza Artificiale per<br />
molti meno soldi di quanti ne avrebbero potuti ricevere in ogni altro<br />
posto. Hanno avuto soddisfazioni non economiche di moltissimi<br />
tipi, ad esempio fama e riconoscenza. E la creatività è anche divertente,<br />
un premio di per sé.<br />
Poi molti se ne sono andati quando hanno avuto la possibilità di<br />
fare lo stesso interessante lavoro per un mucchio di soldi.<br />
Ciò che i fatti mostrano è che la gente programma per altre ragioni che<br />
non siano il denaro; ma se viene data la possibilità di fare la stessa cosa<br />
per un mucchio di soldi, allora cominceranno ad aspettarseli e a richiederli.<br />
Le organizzazioni che pagano poco sono svantaggiate in confronto<br />
a quelle che pagano molto, ma non sarebbero necessariamente<br />
in questa posizione se quelle che pagano molto fossero bandite.<br />
“Abbiamo un disperato bisogno dei programmatori. Se ci chiedono<br />
di smettere di aiutare i nostri vicini dobbiamo obbedire”.<br />
Non si è mai così disperati da dover obbedire a questo genere di<br />
pretese. Ricorda: milioni in difesa, ma non un centesimo in tributi<br />
[è una famosa frase di George Washington].<br />
55
“I programmatori devono guadagnarsi da vivere in qualche modo”.<br />
A breve termine è vero. Ma ci sono un’infinità di modi in cui i programmatori<br />
possono guadagnarsi da vivere senza vendere i diritti<br />
d’uso dei programmi. Questo metodo è comune ai giorni nostri<br />
perché porta la maggior quantità di denaro a programmatori e<br />
aziende, non perché sia l’unica strada per guadagnarsi da vivere. È<br />
facile trovarne altre, nel caso lo si voglia.<br />
Ecco una serie di esempi:<br />
- Un produttore che immette sul mercato un nuovo computer<br />
pagherà per il porting dei sistemi operativi sul nuovo hardware.<br />
- I servizi a pagamento di insegnamento, gestione e manutenzione<br />
possono impiegare dei programmatori.<br />
- Persone con idee nuove possono distribuire i programmi gratuitamente<br />
chiedendo donazioni agli utenti soddisfatti, o vendendo<br />
servizi di gestione. Ho incontrato persone che già lavorano con<br />
successo in questo modo.<br />
- Utenti con necessità simili possono formare gruppi e pagare. Un<br />
gruppo potrebbe stipulare un contratto con un’impresa di programmazione<br />
per scrivere i programmi che i membri del gruppo<br />
vorrebbero usare.<br />
Tutti i tipi di sviluppo possono essere finanziati da una Tassa per il<br />
Software:<br />
• Supponiamo che chiunque compri un computer debba pagare un<br />
x per cento del costo del computer come tassa per il software. Il<br />
governo girerebbe questi fondi a un’agenzia come la NSF [più o<br />
meno l’equivalente del nostro CNR] per impiegarli nello sviluppo<br />
del software.<br />
56
• Ma se è lo stesso acquirente a fare una donazione per lo sviluppo<br />
del software, potrebbe ottenere un credito nei confronti di queste<br />
tasse. Potrebbe fare una donazione a un progetto di sua scelta –<br />
tipicamente, scelto perché spera di usarne i risultati quando questo<br />
verrà completato. Potrebbe ottenere un credito per ogni donazione<br />
fatta, fino al valore totale della tassa che dovrebbe pagare.<br />
• Il gettito complessivo di questa tassa potrebbe essere deciso dal<br />
voto di chi la paga, pesato secondo l’ammontare pagato.<br />
Le conseguenze:<br />
• La comunità degli utenti di computer sosterrebbe lo sviluppo del<br />
software.<br />
• La comunità sceglierebbe il livello di sostegno necessario.<br />
• Gli utenti che fossero interessati a sapere su che progetto vengano<br />
spesi i loro soldi avrebbero la possibilità di gestire personalmente<br />
la cosa.<br />
Nel lungo periodo, rendere liberi i programmi è un passo verso l’epoca<br />
della fine del bisogno, quando nessuno sarà obbligato a lavorare<br />
molto duramente solo per guadagnarsi di che vivere. La gente<br />
sarà libera di dedicarsi ad attività divertenti, come programmare,<br />
dopo aver passato le dieci ore settimanali necessarie in compiti come<br />
legiferare, fare consulenza familiare, riparare i robot e prevedere il<br />
moto degli asteroidi. Non ci sarà bisogno di guadagnarsi da vivere<br />
con la programmazione.<br />
Abbiamo già ridotto moltissimo la quantità di lavoro che la società<br />
nel suo complesso deve fare per ottenere la sua produttività attuale,<br />
ma poco di questo si è tradotto in benessere per i lavoratori perché<br />
è necessario accompagnare l’attività produttiva con molta attività<br />
non produttiva. Le cause principali sono la burocrazia e gli sforzi<br />
a tutto campo contro la concorrenza. Il software libero ridurrà di<br />
57
molto questo drenaggio di risorse nell’area della produzione del<br />
software. Dobbiamo farlo affinché i guadagni tecnici in produttività<br />
si traducano in meno lavoro per noi.<br />
Originariamente scritto nel 1984. Questa versione fa parte del libro Free<br />
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU<br />
Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
58
La definizione<br />
di software libero<br />
Sosteniamo questa definizione di software libero per indicare chiaramente<br />
ciò che deve essere vero di un particolare programma<br />
software perché sia considerato software libero.<br />
Il “software libero” è una questione di libertà, non di prezzo. Per<br />
capire il concetto, bisognerebbe pensare alla “libertà di parola” e non<br />
alla “birra gratis” [il termine ‘free’ in inglese significa sia ‘gratuito’<br />
che ‘libero’, in italiano il problema non esiste].<br />
L’espressione “software libero” si riferisce alla libertà dell’utente di<br />
eseguire, copiare, distribuire, studiare, cambiare e migliorare il<br />
software. Più precisamente, esso si riferisce a quattro tipi di libertà<br />
per gli utenti del software:<br />
• Libertà di eseguire il programma, per qualsiasi scopo (libertà 0).<br />
• Libertà di studiare come funziona il programma e adattarlo alle<br />
proprie necessità (libertà 1). L’accesso al codice sorgente ne è un<br />
prerequisito.<br />
• Libertà di ridistribuire copie in modo da aiutare il prossimo<br />
(libertà 2).<br />
• Libertà di migliorare il programma e distribuirne pubblicamente<br />
i miglioramenti, in modo tale che tutta la comunità ne tragga<br />
beneficio (libertà 3). L’accesso al codice sorgente ne è un prerequisito.<br />
Un programma è software libero se l’utente ha tutte queste libertà.<br />
In particolare, se è libero di ridistribuire copie, con o senza modi-<br />
59
fiche, gratis o addebitando delle spese di distribuzione a chiunque<br />
e ovunque. Essere liberi di fare queste cose significa (tra l’altro) che<br />
non bisogna chiedere o pagare nessun permesso.<br />
Bisogna anche avere la libertà di fare modifiche e usarle privatamente<br />
nel proprio lavoro o divertimento senza doverlo dire a nessuno.<br />
Se si pubblicano le proprie modifiche, non si deve essere tenuti<br />
a comunicarlo a qualcuno in particolare o in qualche modo particolare.<br />
La libertà di usare un programma significa libertà per qualsiasi tipo<br />
di persona od organizzazione di utilizzarlo su qualsiasi tipo di sistema<br />
informatico, per qualsiasi tipo di attività e senza dover successivamente<br />
comunicare con lo sviluppatore o con qualche altra entità<br />
specifica.<br />
La libertà di ridistribuire copie deve includere le forme binarie o<br />
eseguibili del programma e anche il codice sorgente, sia per le<br />
versioni modificate che non modificate. (La distribuzione di programmi<br />
in forma eseguibile è necessaria per consentire un’agevole<br />
installazione dei sistemi operativi liberi). È legittimo anche<br />
se non c’è alcun modo di produrre una forma binaria o eseguibile,<br />
ma si deve avere la libertà di ridistribuire tali forme nel caso<br />
si trovi o si sviluppi un modo per farlo.<br />
Affinché le libertà di fare modifiche e di pubblicare versioni migliorate<br />
abbiano senso, si deve avere accesso al codice sorgente del programma.<br />
Perciò, l’accessibilità al codice sorgente è una condizione<br />
necessaria per il software libero.<br />
Queste libertà per essere reali devono essere irrevocabili fin tanto<br />
che non si fa qualcosa di sbagliato: se lo sviluppatore del software<br />
ha il potere di revocare la licenza anche senza che l’utente sia causa<br />
di tale revoca, il software non è libero.<br />
Tuttavia, certi tipi di regole sul come distribuire il software libero<br />
60
sono accettabili quando non entrano in conflitto con le libertà principali.<br />
Per esempio, il permesso d’autore [copyleft] è (detto in due<br />
parole) la regola per cui, quando il programma è ridistribuito, non<br />
è possibile aggiungere restrizioni per negare ad altre persone le<br />
libertà principali. Questa regola non entra in conflitto con le libertà<br />
principali, anzi le protegge.<br />
Indipendentemente dal fatto che si siano ottenute copie di software<br />
GNU a pagamento o gratuitamente, si ha sempre la libertà di<br />
copiare e cambiare il software, e anche di venderne copie.<br />
“Software libero” non vuol dire “non-commerciale”. Un programma<br />
libero deve essere disponibile per uso commerciale, sviluppo<br />
commerciale e distribuzione commerciale. Lo sviluppo commerciale<br />
di software libero non è più inusuale: questo software commerciale<br />
libero è molto importante.<br />
Regole su come fare un pacchetto di una versione modificata sono<br />
accettabili, a meno che esse in pratica non blocchino la libertà di<br />
distribuire versioni modificate. Regole del tipo «se rendi disponibile<br />
il programma in questo modo, lo devi rendere disponibile<br />
anche in quell’altro modo» possono essere pur esse accettabili, con<br />
le stesse condizioni. (Si noti che tale regola lascia ancora aperta la<br />
possibilità di distribuire o meno il programma). È anche accettabile<br />
che la licenza richieda che, se avete distribuito una versione modificata<br />
e un precedente sviluppatore ne richiede una copia, dobbiate<br />
inviargliene una.<br />
Nel progetto GNU, noi usiamo il “copyleft” [permesso d’autore]<br />
per proteggere queste libertà legalmente per tutti. Ma esiste anche<br />
software libero senza copyleft. Crediamo che ci siano importanti<br />
ragioni per cui sia meglio usare il permesso d’autore, ma se un programma<br />
è software libero senza il permesso d’autore, possiamo<br />
comunque utilizzarlo.<br />
61
Qualche volta le leggi sul controllo delle esportazioni e le sanzioni<br />
sul commercio possono limitare la libertà di distribuire copie di programmi<br />
verso paesi esteri. I programmatori non hanno il potere di<br />
eliminare o di aggirare queste restrizioni, ma quello che possono e<br />
devono fare è rifiutare di imporle come condizioni d’uso del programma.<br />
In tal modo, le restrizioni non influiranno sulle attività e<br />
sulle persone al di fuori della giurisdizione degli stati che applicano<br />
tali restrizioni.<br />
Quando si parla di software libero, è meglio evitare di usare espressioni<br />
come “gratuito”, perché esse pongono l’attenzione sul prezzo, e<br />
non sulla libertà. Parole comuni quali “pirateria” implicano opinioni<br />
che speriamo non vogliate sostenere. [Al riguardo, il secondo volume<br />
dei saggi conterrà il testo Termini da evitare]. Abbiamo inoltre stilato<br />
un elenco di traduzioni del termine “free software” in varie lingue<br />
(http://www.gnu.org/philosophy/fs-translations.html).<br />
Infine, si noti che criteri come quelli indicati in questa definizione<br />
di software libero richiedono un’attenta interpretazione. Per decidere<br />
se una determinata licenza software si qualifichi come licenza<br />
per il software libero, noi la consideriamo basata su questi criteri al<br />
fine di determinare se corrisponde al loro spirito così come alle precise<br />
parole. Se una licenza include restrizioni irragionevoli, la rifiutiamo,<br />
anche se in questi criteri non anticipiamo il problema. Qualche<br />
volta le richieste di una licenza sollevano un problema che<br />
richiede un’analisi dettagliata, oltre a discussioni con un avvocato<br />
prima di poter decidere se la richiesta sia accettabile. Quando raggiungiamo<br />
una conclusione riguardo a un nuovo problema, spesso<br />
aggiorniamo questi criteri per fare in modo che sia più facile capire<br />
perché determinate licenze siano adeguate o meno.<br />
Se siete interessati a sapere se una determinata licenza abbia le caratteristiche<br />
per essere una licenza di software libero, consultate il nostro<br />
62
elenco delle licenze (http://www.gnu.org/licenses/license-list.html). Se<br />
la licenza che vi interessa non vi è elencata, potete interpellarci inviandoci<br />
un’e-mail a .<br />
Originariamente scritto nel 1996. Questa versione fa parte del libro Free<br />
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU<br />
Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
63
Perché il software<br />
non dovrebbe avere<br />
padroni<br />
La tecnologia dell’informazione digitale contribuisce al progresso<br />
mondiale rendendo più facile copiare e modificare le informazioni.<br />
I computer promettono di rendere questo più facile per tutti<br />
noi.<br />
Non tutti vogliono che sia così facile. Il sistema del copyright [diritto<br />
d’autore] dà ai programmi software dei “proprietari”, molti dei<br />
quali mirano a nascondere i potenziali vantaggi del software ad altri.<br />
Vorrebbero essere i soli a poter copiare e modificare il software che<br />
usiamo.<br />
Il sistema del diritto d’autore è nato e cresciuto con la stampa, una<br />
tecnologia per la produzione di massa di copie. Il copyright si adatta<br />
bene a questa tecnologia perché pone restrizioni solo ai produttori<br />
di massa di copie. Non riduce le libertà dei lettori di libri. Un<br />
lettore ordinario, che non possiede una sua tipografia, può copiare<br />
i libri solo a mano e pochi lettori sono stati perseguiti per questo.<br />
La tecnologia digitale è più flessibile della stampa tipografica: quando<br />
l’informazione è in forma digitale, la si può copiare facilmente<br />
per condividerla con altri. Questa grande flessibilità si adatta male<br />
ad un sistema come quello del diritto d’autore. Questo spiega le<br />
misure sempre più sgradevoli e draconiane che vengono oggi usate<br />
per far rispettare il diritto d’autore sul software. Consideriamo queste<br />
quattro regole della Software Publishers Association (SPA):<br />
• Propaganda massiccia per dire che è sbagliato disobbedire ai proprietari<br />
per aiutare gli amici.<br />
64
• Richieste insistenti di informatori che forniscano informazioni su<br />
compagni di lavoro e colleghi.<br />
• Incursioni (con l’aiuto della polizia) in scuole e uffici, durante le<br />
quali viene detto alle persone che devono provare che non fanno<br />
copie illegali.<br />
• Citazione in giudizio (da parte del governo degli Stati Uniti, su<br />
richiesta della SPA) di persone come David LaMacchia del MIT,<br />
non per aver copiato software (non è stato accusato di averne<br />
copiato), ma per avere lasciato senza sorveglianza strumenti per la<br />
copia e per non averne censurato l’uso. (Il 27 gennaio 1975 il caso<br />
su David LaMacchia è stato archiviato e non è stato ancora presentato<br />
appello).<br />
Tutte queste quattro pratiche assomigliano a quelle usate nella ex<br />
Unione Sovietica dove ogni fotocopiatrice aveva una guardia per<br />
impedire le copie proibite e dove le persone dovevano copiare le<br />
informazioni in segreto e passarsele di mano in mano come “samizdat”.<br />
Naturalmente c’è una differenza: il motivo per il controllo dell’informazione<br />
nell’Unione Sovietica era politico; negli Stati Uniti<br />
il motivo è il profitto. Quello che ci riguarda sono le azioni, non il<br />
loro motivo. Ogni tentativo di bloccare la condivisione delle informazioni,<br />
quale ne sia il motivo, porta agli stessi metodi e alla stessa<br />
severità.<br />
I proprietari di software usano vari tipi di argomenti per ottenere il<br />
potere di controllare in che modo usiamo l’informazione.<br />
L’uso dei nomi<br />
I proprietari di software usano sia parole calunniose come “pirateria”<br />
e “furto”, sia terminologia tecnica come “proprietà intellettuale”<br />
e “danneggiamento”, per suggerire al pubblico una certa linea<br />
65
di pensiero, un’analogia semplicistica fra i programmi e gli oggetti<br />
fisici.<br />
Le nostre idee e intuizioni a proposito della proprietà di oggetti<br />
materiali riguardano se sia giusto portar via un oggetto a qualcuno.<br />
Non si applicano direttamente al fatto di fare una copia di qualcosa.<br />
Ma i proprietari ci chiedono di applicarle lo stesso.<br />
Esagerazioni<br />
I proprietari di software dicono che subiscono “danni” o “perdite<br />
economiche” quando gli utenti copiano i programmi per conto<br />
loro. Ma la copia non ha un effetto diretto sul proprietario e non<br />
danneggia nessuno. Il proprietario ha una perdita solo quando chi<br />
ha fatto la copia ne avrebbe acquistata una da lui se non l’avesse<br />
copiata.<br />
Una piccola riflessione ci mostra che la maggior parte di queste persone<br />
non avrebbe comprato la copia. Tuttavia i proprietari calcolano<br />
le loro “perdite” come se invece tutti ne avrebbero comprato una.<br />
Questa è, a metterla gentilmente, esagerazione.<br />
La legge<br />
I proprietari spesso descrivono la legislazione vigente e le dure sanzioni<br />
con cui possono minacciarci. Implicito in questo approccio c’è<br />
il suggerimento che la legge attuale riflette un’idea indiscutibile della<br />
moralità, e allo stesso tempo siamo invitati a vedere queste sanzioni<br />
come fatti di natura per i quali non si può biasimare nessuno.<br />
Questa linea argomentativa non è progettata per affrontare un pensiero<br />
critico; è intesa a rafforzare il modo di pensare comune.<br />
È ovvio che non è la legge che decide cosa è giusto e cosa è sbagliato.<br />
Ogni americano dovrebbe sapere che, quaranta anni fa, era<br />
66
contro la legge, in molti stati, che una persona di colore si sedesse<br />
in un autobus nei posti anteriori; ma solo i razzisti avrebbero detto<br />
che fosse sbagliato sedersi lì.<br />
Diritti naturali<br />
Gli autori spesso rivendicano un legame speciale con i programmi<br />
che hanno scritto e affermano che, come conseguenza, i loro desideri<br />
e i loro interessi rispetto al programma superano quelli di chiunque<br />
altro, perfino quelli di tutto il resto del mondo. (In genere sono<br />
le aziende, non gli autori, che detengono il copyright sul software,<br />
ma ci si aspetta che non si faccia caso a questa differenza).<br />
Per quelli che lo propongono come un assioma etico – l’autore è<br />
più importante di voi – posso solo dire che io stesso, noto autore<br />
di software, lo considero una fandonia.<br />
Ma in generale è probabile che si provi simpatia solo per la rivendicazione<br />
dei diritti naturali, per due ragioni.<br />
Una ragione è la forzata analogia con gli oggetti materiali. Quando<br />
mi cucino degli spaghetti reclamerò se a mangiarli è qualcun<br />
altro, perché non posso più mangiarmeli io. La sua azione mi danneggia<br />
esattamente nello stesso modo in cui favorisce chi li mangia;<br />
solo uno di noi può mangiare gli spaghetti, così la domanda è:<br />
chi? La più piccola differenza fra di noi è sufficiente a spostare l’ago<br />
della bilancia da un punto di vista etico.<br />
Ma se viene eseguito o modificato un programma che ho scritto io,<br />
questo riguarda voi direttamente e me solo indirettamente. E se date<br />
una copia a un vostro amico, questo riguarda voi e il vostro amico<br />
molto di più di quanto riguardi me. Io non dovrei avere il potere<br />
di dirvi di non fare queste cose. Nessuno dovrebbe averlo.<br />
La seconda ragione è che è stato detto che i diritti naturali dell’autore<br />
sono una tradizione accettata e indiscussa della nostra società.<br />
67
Ma a guardare la storia, è vero l’opposto. L’idea dei diritti naturali<br />
degli autori è stata discussa e fermamente respinta quando venne<br />
stesa la Costituzione degli Stati Uniti. Ecco perché la Costituzione<br />
permette soltanto un sistema di diritto d’autore e non lo richiede;<br />
ecco perché dice che il diritto d’autore deve essere temporaneo. Stabilisce<br />
anche che lo scopo del diritto d’autore è di promuovere il<br />
progresso, non di premiare l’autore. Il copyright premia infatti in<br />
qualche modo l’autore e più ancora l’editore, ma è inteso come un<br />
mezzo per modificare il loro comportamento.<br />
La tradizione radicata nella nostra società è che il diritto d’autore<br />
riduce i diritti naturali del pubblico, e questo può essere giustificato<br />
solo per il bene del pubblico.<br />
Economia<br />
L’ultimo argomento usato per l’esistenza di proprietari del software<br />
è che questo porta alla produzione di più software.<br />
Al contrario degli altri, questo argomento almeno usa un approccio<br />
legittimo al problema. È basato su un fine valido: soddisfare gli<br />
utenti del software. Ed empiricamente è chiaro che le persone producono<br />
di più se vengono pagate bene per farlo.<br />
Ma l’argomento economico ha un difetto: è basato sull’assunto che<br />
la differenza è solo questione di quanti soldi dobbiamo pagare. Presuppone<br />
che la “produzione di software” sia ciò che vogliamo, sia<br />
che il software abbia proprietari sia che non li abbia.<br />
Le persone accettano prontamente questo assunto perché si accorda<br />
con le nostre esperienze relative agli oggetti materiali. Si consideri<br />
un panino, per esempio. Si può avere uno stesso panino sia gratis<br />
che a pagamento. In questo caso la sola differenza è la cifra che<br />
si paga. Sia che lo si debba pagare o meno, il panino avrà lo stesso<br />
sapore, lo stesso valore nutritivo e in entrambi i casi lo si potrà man-<br />
68
giare solo una volta. Che il panino sia stato acquistato da un proprietario<br />
o meno non ha conseguenze dirette su niente eccetto che<br />
sulla quantità di denaro che si avrà successivamente.<br />
Ciò vale per qualunque oggetto materiale – il fatto che abbia o meno<br />
un proprietario non riguarda direttamente ciò che è o ciò che ci si<br />
può fare se lo si acquista.<br />
Ma il fatto che un programma abbia un proprietario ha molte conseguenze<br />
su ciò che è e su ciò che si può fare con una copia, quando<br />
se ne compra una. La differenza non è solo una questione di<br />
denaro. Il sistema di proprietà del software incoraggia i proprietari<br />
del software a produrre qualcosa, ma non quello di cui la società ha<br />
realmente bisogno. E causa un intangibile inquinamento etico che<br />
ha conseguenze su tutti noi.<br />
Di cosa ha bisogno la società? Ha bisogno di una informazione che<br />
sia realmente disponibile ai suoi cittadini - per esempio programmi<br />
che si possano leggere, correggere, adattare e migliorare, non soltanto<br />
usare. Ma quello che viene consegnato di solito dai proprietari del<br />
software è una scatola nera che non si può studiare o cambiare.<br />
La società ha anche bisogno di libertà. Quando un programma ha<br />
un proprietario, gli utenti perdono la libertà di controllare parte<br />
della loro stessa vita.<br />
Ma soprattutto la società ha bisogno di stimolare nei propri cittadini<br />
lo spirito di cooperazione volontaria. Quando i proprietari del<br />
software ci dicono che aiutare i nostri vicini in maniera naturale è<br />
“pirateria”, essi inquinano lo spirito civico della nostra società.<br />
Questo è il motivo per cui diciamo che il software libero è una questione<br />
di libertà, non di prezzo.<br />
L’argomento economico a favore dei proprietari di software è sbagliato,<br />
ma la questione economica è reale. Alcune persone scrivono<br />
software utile per il piacere di scriverlo o per ammirazione e amo-<br />
69
e; ma se vogliamo più software di quanto già si scriva, bisogna raccogliere<br />
fondi.<br />
Da dieci anni gli sviluppatori di software libero provano vari metodi<br />
per trovare fondi, con un certo successo. Non c’è bisogno di far diventare<br />
tutti ricchi, il reddito medio di una famiglia americana, circa<br />
35.000 dollari annui, ha dimostrato di essere un incentivo sufficiente<br />
per molti lavori che sono meno soddisfacenti del programmare.<br />
Per anni, fin quando un’associazione lo ha reso non necessario, mi<br />
sono guadagnato da vivere con miglioramenti a richiesta del software<br />
libero che avevo scritto. Ciascun miglioramento è stato aggiunto<br />
alla versione standard rilasciata e reso così disponibile al pubblico.<br />
I clienti mi pagavano perché lavorassi sui miglioramenti che<br />
volevano loro, piuttosto che sulle funzionalità che altrimenti avrei<br />
considerato di più alta priorità.<br />
La Free Software Foundation (FSF), una fondazione senza scopo di<br />
lucro per lo sviluppo del software libero, raccoglie fondi con la vendita<br />
di CD-ROM, magliette, manuali, e confezioni Deluxe di GNU<br />
(che gli utenti sono liberi di copiare e modificare), e anche con<br />
donazioni. Attualmente ha un organico di cinque programmatori,<br />
più tre impiegati che gestiscono gli ordini postali.<br />
Alcuni sviluppatori di software libero guadagnano offrendo servizi di<br />
supporto. Cygnus Support, che ha circa 50 impiegati [quando questo<br />
articolo è stato scritto, nel 1994], stima che circa il 15 per cento<br />
delle attività del suo personale riguarda lo sviluppo del software libero<br />
– una percentuale rispettabile, per una società di software.<br />
(Cygnus Support ha continuato ad avere successo, ma poi ha accettato<br />
investimenti esterni, è diventata avida, e ha iniziato a sviluppare<br />
software non-libero. Infine è stata acquistata da Red Hat, che ha<br />
ri-ridistribuito gran parte di quei programmi come software libero).<br />
Un gruppo di imprese che comprende Intel, Motorola, Texas Instru-<br />
70
ments e Analog Devices si sono unite per finanziare il continuo sviluppo<br />
del compilatore libero GNU per il linguaggio C. Nel frattempo<br />
il compilatore GNU per il linguaggio Ada viene finanziato dalla<br />
US Air Force, che ritiene questa la modalità di spesa più efficace per<br />
ottenere un compilatore di alta qualità. [Il finanziamento della US<br />
Air Force è finito un po’ di tempo fa; il compilatore GNU Ada è ora<br />
in servizio e la sua manutenzione è finanziata commercialmente].<br />
Tutti questi sono piccoli esempi; il movimento del software libero è<br />
ancora piccolo e ancora giovane. Ma in questo paese [gli USA] l’esempio<br />
di radio sostenute dagli ascoltatori mostra che è possibile<br />
sostenere una grande attività senza costringere gli utenti a pagare.<br />
Come utenti di computer oggi ci si può trovare ad usare un programma<br />
proprietario. Se un amico ti chiede una copia sarebbe sbagliato<br />
rifiutare. La cooperazione è più importante del diritto d’autore.<br />
Ma una cooperazione nascosta e segreta non contribuisce a<br />
rendere giusta la società. Una persona dovrebbe aspirare a vivere<br />
una vita onesta, apertamente e con fierezza, e questo comporta dire<br />
“No” al software proprietario.<br />
Meritate di poter cooperare apertamente e liberamente con altre<br />
persone che usano software. Meritate di poter imparare come funziona<br />
il software e con esso di insegnare ai vostri studenti. Meritate<br />
di poter assumere il vostro programmatore favorito per aggiustarlo<br />
quando non funziona.<br />
Meritate il software libero.<br />
Originariamente scritto nel 1994. Questa versione fa parte del libro Free<br />
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU<br />
Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
71
Cosa c’è in un nome?<br />
I nomi trasmettono significati; la scelta che facciamo dei nomi<br />
determina il significato di ciò che diciamo. Un nome inappropriato<br />
comunica agli interlocutori un’idea sbagliata. Una rosa, qualsiasi<br />
nome abbia, avrebbe comunque un buon profumo, ma se la chiamiamo<br />
penna, gli interlocutori saranno piuttosto disorientati quando<br />
la utilizzeranno per scrivere. E se chiamiamo “rose” le penne,<br />
può darsi che gli interlocutori non capiscano a che cosa servano. Se<br />
chiamiamo “Linux” il nostro sistema operativo, verrà trasmessa<br />
un’idea sbagliata dell’origine, storia e scopo del sistema. Se lo chiamiamo<br />
GNU/Linux, verrà trasmessa (anche se non in dettaglio)<br />
un’idea accurata.<br />
Questo è forse importante per la nostra comunità? È importante<br />
che si conoscano l’origine, la storia e lo scopo del sistema? Sì, perché<br />
chi dimentica la storia è spesso condannato a ripeterla. Il Mondo<br />
Libero che si è sviluppato intorno a GNU/Linux non è sicuro; i<br />
problemi che ci hanno portato a sviluppare GNU non sono stati<br />
completamente eliminati e minacciano di ripresentarsi.<br />
Quando spiego perché è più appropriato chiamare il sistema operativo<br />
“GNU/Linux” invece che “Linux”, a volte ottengo questa<br />
risposta:<br />
“Ammesso che il Progetto GNU meriti riconoscimento per questo<br />
lavoro, vale davvero la pena di preoccuparsi quando non gli viene<br />
dato credito? La cosa importante non è forse che il lavoro sia stato<br />
fatto, non chi l’abbia fatto? Dovete rilassarvi, essere orgogliosi del<br />
lavoro ben fatto e non preoccuparvi del riconoscimento”.<br />
72
Questo sarebbe un saggio consiglio, se solo la situazione fosse questa<br />
– se il lavoro fosse terminato e fosse il momento di rilassarsi. Se<br />
soltanto questo fosse vero! Ma le sfide abbondano e questo non è il<br />
momento di ipotecare il futuro. La forza della nostra comunità sta<br />
nel dedicarsi alla libertà e alla cooperazione. Utilizzare il nome<br />
GNU/Linux è un modo perché le persone si ricordino e informino<br />
gli altri di questi obiettivi.<br />
È possibile scrivere del buon software libero senza pensare a<br />
GNU; parecchio buon lavoro è stato fatto anche nel nome di<br />
Linux. Ma “Linux” è stato associato fin dalla sua creazione a una<br />
filosofia che non è vincolata alla libertà di cooperare. E avremo<br />
ancora più problemi a farlo associare allo spirito comunitario, dal<br />
momento che il nome viene utilizzato sempre di più dal mondo<br />
degli affari.<br />
Una grande sfida al futuro del software libero viene dalla tendenza<br />
delle società che distribuiscono “Linux” ad aggiungere<br />
software non libero a GNU/Linux nel nome della convenienza e<br />
del potere. Lo fanno tutti gli sviluppatori delle maggiori distribuzioni<br />
commerciali: tra queste, solamente Red Hat offre un prodotto<br />
in CD completamente libero, ma non lo si trova in nessun<br />
negozio; le altre società non producono nemmeno qualcosa del<br />
genere. La maggior parte delle società non permette di identificare<br />
chiaramente i pacchetti non liberi delle loro distribuzioni;<br />
molte perfino sviluppano software non libero e lo aggiungono al<br />
sistema.<br />
La gente giustifica l’inserimento di software non libero in nome della<br />
“popolarità di Linux”, dando in effetti maggior valore alla popolarità<br />
rispetto alla libertà. Talvolta viene ammesso apertamente. Per<br />
esempio la rivista Wired, dice Robert McMillan, editore di Linux<br />
Magazine, “percepisce che lo spostamento verso il software open<br />
73
source dovrebbe essere alimentato da decisioni tecniche piuttosto<br />
che politiche”. E l’amministratore delegato (CEO) di Caldera ha<br />
apertamente esortato gli utenti ad abbandonare l’obiettivo della<br />
libertà e a lavorare invece per la “popolarità di Linux”.<br />
Inserire software non libero nel sistema GNU/Linux può aumentarne<br />
la popolarità, se per popolarità intendiamo il numero di persone<br />
che utilizza alcuni GNU/Linux insieme a software non libero.<br />
Ma, allo stesso tempo, incoraggia implicitamente la comunità<br />
ad accettare software non libero come fatto positivo e a dimenticare<br />
l’obiettivo della libertà. Non ha senso guidare più velocemente<br />
per poi uscire di strada.<br />
Quando l’“add-on” non libero è una libreria o uno strumento di<br />
programmazione, può diventare una trappola per gli sviluppatori<br />
di software libero. Quando scrivono del software che dipende dal<br />
pacchetto non libero, il loro software non può essere parte di un<br />
sistema completamente libero.<br />
(In passato le librerie grafiche Motif e Qt hanno intrappolato in<br />
questo modo grandi quantità di software libero, creando problemi<br />
la cui soluzione ha richiesto anni. Il problema Qt è risolto perché<br />
oggi Qt è libero; il problema Motif non è ancora completamente<br />
risolto, dal momento che il suo sostituto libero, LessTif, ha bisogno<br />
di qualche rifinitura – offritevi volontari! L’implementazione<br />
Java non libera e le librerie Java non standard della Sun vanno ora<br />
causando un problema analogo, e la loro sostituzione con software<br />
libero è attualmente un importante sforzo di GNU).<br />
Se la nostra comunità continua a muoversi in questa direzione,<br />
potrebbe mutare il futuro di GNU/Linux in un mosaico di componenti<br />
liberi e non liberi. Fra cinque anni avremo sicuramente<br />
ancora moltissimo software libero; ma se non faremo attenzione<br />
sarà a malapena utilizzabile senza il software non libero con cui gli<br />
74
utenti si aspettano di trovarlo. Se succederà, la nostra campagna per<br />
la libertà sarà fallita.<br />
Se rilasciare alternative libere fosse semplicemente un problema di<br />
programmazione, la soluzione di problemi futuri potrebbe diventare<br />
più facile dal momento che aumentano le risorse per lo sviluppo<br />
della nostra comunità. Ma dovremo affrontare ostacoli che<br />
minacciano di renderla più difficile: le leggi che proibiscono il<br />
software libero. Dato che i brevetti sul software sono in aumento e<br />
leggi come il DMCA (Digital Millennium Copyright Act) vengono<br />
utilizzate per proibire lo sviluppo del software libero per importanti<br />
compiti come guardare un DVD o ascoltare una trasmissione<br />
RealAudio, per combattere i formati di dati brevettati e segreti non<br />
avremo altro modo se non rifiutare i programmi non liberi che li<br />
utilizzano.<br />
(Il Digital Millennium Copyright Act del 1998 punta ad aggiornare<br />
le leggi statunitensi in tema di copyright; tra le questioni ivi<br />
incluse troviamo norme relative alla circonvenzione della protezione<br />
di sistemi a tutela del copyright, uso legittimo, responsabilità dei<br />
fornitori di servizi online. Per ulteriori dettagli sul DMCA, si veda<br />
più avanti il testo L’interpretazione sbagliata del copyright – una serie<br />
di errori).<br />
Affrontare queste sfide richiederà molti sforzi di diverso genere. Ma<br />
ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno, per fronteggiare qualsiasi<br />
tipo di sfida, è ricordare l’obiettivo della libertà di cooperare. Non<br />
possiamo aspettarci che il solo desiderio di avere del software potente<br />
e affidabile motivi le persone a impegnarsi molto. Abbiamo bisogno<br />
del tipo di determinazione che si ha quando si combatte per la<br />
libertà e la comunità, la determinazione a continuare per anni e a<br />
non mollare.<br />
Nella nostra comunità, questo obiettivo e questa determinazione<br />
75
provengono principalmente dal Progetto GNU. Siamo noi quelli<br />
che parlano della libertà e della comunità come qualcosa su cui non<br />
cedere; le organizzazioni che parlano di “Linux” normalmente non<br />
lo dicono. Le riviste su “Linux” sono normalmente piene di annunci<br />
che pubblicizzano il software non libero; le società che mettono<br />
insieme dei pacchetti “Linux” aggiungono al sistema software non<br />
libero; altre società “supportano Linux” con applicazioni non libere;<br />
gli user group di “Linux” invitano normalmente i fornitori a presentare<br />
queste applicazioni. È probabile che anche persone di rilievo<br />
della nostra comunità si imbattano nell’idea di libertà e nella<br />
determinazione che c’è nel Progetto GNU.<br />
Ma quando le persone vi si imbattono, sentono che riguarda anche<br />
loro?<br />
Chi sa che sta utilizzando un sistema proveniente dal Progetto<br />
GNU riesce a vedere una relazione diretta tra se stesso e GNU. Non<br />
sarà automaticamente d’accordo con la nostra filosofia, ma vedrà<br />
almeno un motivo per pensarci seriamente. Al contrario, chi si considera<br />
un “utente Linux” e crede che il Progetto GNU “abbia sviluppato<br />
strumenti che si sono rivelati utili per Linux”, percepisce<br />
normalmente soltanto una relazione indiretta tra sé e GNU. Questo<br />
tipo di persona potrebbe semplicemente ignorare la filosofia<br />
GNU quando vi si imbatte.<br />
Il Progetto GNU è idealistico e chiunque incoraggi l’idealismo oggi<br />
deve affrontare un grande ostacolo: l’ideologia prevalente incoraggia<br />
a rifiutare l’idealismo in quanto “irrealizzabile”. Il nostro idealismo<br />
è stato estremamente pratico: è il motivo per cui abbiamo un<br />
sistema operativo GNU/Linux libero. Chi ama questo sistema deve<br />
sapere che è il nostro idealismo divenuto reale.<br />
Se “il lavoro” fosse davvero già terminato, se non ci fosse niente in<br />
gioco oltre al riconoscimento, forse sarebbe più saggio lasciar cade-<br />
76
e la questione. Ma non siamo in questa posizione. Per stimolare le<br />
persone a fare il lavoro che deve essere fatto, abbiamo bisogno che<br />
ci venga riconosciuto il lavoro fatto finora. Per favore aiutateci, chiamando<br />
GNU/Linux il sistema operativo.<br />
Originariamente scritto nel 2000. Questa versione fa parte del libro Free<br />
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU<br />
Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
77
Perché “software<br />
libero” è da preferire<br />
a “open source”<br />
Mentre il software libero chiamato in qualunque altro modo offrirebbe<br />
le stesse libertà, fa una grande differenza quale nome utilizziamo:<br />
parole differenti hanno significati differenti.<br />
Nel 1998, alcuni sviluppatori di software libero hanno iniziato a<br />
usare l’espressione “software open source” (http://www.opensource.org)<br />
invece di “software libero” per descrivere quello che fanno.<br />
Il termine “open source” è stato rapidamente associato a un approccio<br />
diverso, una filosofia diversa, valori diversi e perfino un criterio<br />
diverso in base al quale le licenze diventano accettabili. Oggi il<br />
movimento del Software Libero e il movimento dell’Open Source<br />
sono due movimenti diversi con diversi punti di vista e obiettivi,<br />
anche se possiamo lavorare, e in effetti lavoriamo, insieme su alcuni<br />
progetti concreti.<br />
La differenza fondamentale tra i due movimenti sta nei loro valori,<br />
nel loro modo di guardare il mondo. Per il movimento Open<br />
Source, il fatto che il software debba essere Open Source o meno è<br />
un problema pratico, non un problema etico. Come si è espresso<br />
qualcuno, “l’Open Source è una metodologia di sviluppo; il Software<br />
Libero è un movimento di carattere sociale”. Per il movimento<br />
Open Source, il software non libero è una soluzione non ottimale.<br />
Per il movimento del Software Libero, il software non libero è un<br />
problema sociale e il software libero è la soluzione.<br />
78
La relazione tra il movimento del Software Libero e il movimento<br />
Open Source<br />
Il movimento del Software Libero e quello Open Source sono come<br />
due partiti politici all’interno della comunità del Software Libero.<br />
Negli anni ‘60 i gruppi radicali si sono fatti la reputazione di essere<br />
faziosi: le organizzazioni si dividevano per disaccordi sui dettagli<br />
della strategia da utilizzare e poi si odiavano reciprocamente.<br />
O per lo meno questa è l’immagine che si ha di essi, vera o falsa<br />
che sia.<br />
La relazione tra il movimento del Software Libero e quello Open<br />
Source è semplicemente l’opposto di questa situazione. Siamo in<br />
disaccordo sui principi di base, ma siamo più o meno d’accordo<br />
sugli aspetti pratici. Perciò possiamo lavorare e in effetti lavoriamo<br />
assieme su molti progetti specifici. Non vediamo il movimento<br />
Open Source come un nemico. Il nemico è il software proprietario.<br />
Noi non siamo contro il movimento Open Source, ma non vogliamo<br />
essere confusi con loro. Riconosciamo che hanno contribuito<br />
alla nostra comunità, ma noi abbiamo creato questa comunità<br />
e vogliamo che si sappia. Vogliamo che quello che abbiamo realizzato<br />
sia associato con i nostri valori e la nostra filosofia, non<br />
con i loro. Vogliamo che ci sentano, non vogliamo sparire dietro<br />
a un gruppo con punti di vista diversi. Per evitare che si pensi che<br />
facciamo parte del movimento Open Source, ci preoccupiamo di<br />
evitare di utilizzare il termine “open” per descrivere il software<br />
libero, o il suo contrario, “closed”, per parlare di software non<br />
libero.<br />
Quindi, per favore, menzionate il movimento del Software Libero<br />
quando parlate del lavoro che abbiamo fatto e del software che<br />
abbiamo sviluppato – come il sistema operativo GNU/Linux.<br />
79
I due termini a confronto<br />
Il resto di questo articolo confronta i due termini “software libero”<br />
e “open source”. Spiega perché il termine “open source” non risolve<br />
i problemi, anzi di fatto ne crea alcuni.<br />
Ambiguità<br />
L’espressione “software libero” ha un problema di ambiguità [il termine<br />
“free” in inglese può significare sia “libero” sia “gratis”, in italiano<br />
non succede]: un significato non previsto, “software che si può<br />
avere senza spendere niente” corrisponde a quell’espressione altrettanto<br />
bene del significato previsto, cioè software che dà all’utente<br />
certe libertà. Abbiamo risolto questo problema pubblicando una<br />
definizione più precisa di software libero, ma questa non è la soluzione<br />
perfetta. Non può eliminare completamente il problema.<br />
Sarebbe meglio un termine corretto e non ambiguo, presupponendo<br />
che non ci siano altri problemi.<br />
Sfortunatamente, tutte le alternative in inglese presentano problemi.<br />
Abbiamo considerato molte alternative che ci sono state suggerite,<br />
ma nessuna è così completamente “corretta” che sia una buona<br />
idea sceglierla. Tutte le soluzioni proposte per “software libero”<br />
hanno un qualche tipo simile di problema semantico, se non peggio,<br />
incluso “software open source”.<br />
La definizione ufficiale di “software open source”, come pubblicata<br />
dalla Open Source Initiative, si avvicina molto alla nostra definizione<br />
di software libero; tuttavia, per certi aspetti è un po’ più<br />
ampia, ed essi hanno accettato alcune licenze che noi consideriamo<br />
inaccettabilmente restrittive per gli utenti. Tuttavia, il significato<br />
ovvio di “software open source” è «puoi guardare il codice sorgente».<br />
Questa è una espressione meno vigorosa di “software libero”;<br />
80
include il software libero, ma include anche software semi-libero<br />
come ad esempio Xv e perfino qualche software proprietario, inclusa<br />
Qt nella sua licenza originale (prima della QPL).<br />
Questo significato ovvio di “open source” non è quello inteso dai<br />
suoi sostenitori. Il risultato è che la maggior parte delle persone<br />
fraintende quello che quei sostenitori sostengono. Ecco come lo<br />
scrittore Neal Stephenson ha definito “open source”:<br />
Linux è software “open source” e questo significa, semplicemente,<br />
che chiunque può ottenere le copie del suo codice sorgente.<br />
Non penso che abbia cercato deliberatamente di rifiutare o contrastare<br />
la definizione “ufficiale”. Penso che abbia semplicemente<br />
applicato le convenzioni della lingua inglese per arrivare al significato.<br />
Lo stato del Kansas ha pubblicato una definizione simile:<br />
«Utilizzare software open source (SOS). SOS è software il cui codice<br />
sorgente è disponibile liberamente e pubblicamente, anche se gli<br />
specifici accordi di licenza variano relativamente a quanto sia permesso<br />
fare con quel codice».<br />
Ovviamente, chi si occupa di open source ha cercato di affrontare<br />
questo problema pubblicando una definizione precisa del termine,<br />
proprio come abbiamo fatto noi per “software libero”.<br />
Ma la spiegazione di “software libero” è semplice: chi ha capito il<br />
concetto di “libertà di parola, non birra gratis” non sbaglierà più<br />
[in inglese, l’espressione “free speech, not free beer” mette sinteticamente<br />
in contrasto i due significati della parola “free”]. Non c’è<br />
un modo più breve per spiegare il significato di “open source” e<br />
indicare chiaramente perché la definizione ovvia è quella sbagliata.<br />
La paura della libertà<br />
Il principale argomento a favore dell’espressione “software open<br />
source” è che “software libero” può far sentire a disagio. Ed è vero:<br />
81
parlare di libertà, di problemi etici, di responsabilità, così come di<br />
convenienza, è chiedere di pensare a cose che potrebbero essere<br />
ignorate. Questo può causare imbarazzo e alcune persone possono<br />
rifiutare l’idea di farlo. Questo non vuol dire che la società starebbe<br />
meglio se smettessimo di parlare di questi argomenti.<br />
Anni fa, gli sviluppatori di software libero si accorsero di queste reazioni<br />
di disagio e iniziarono a cercare una soluzione a questo problema.<br />
Pensarono che mettendo in secondo piano l’etica e la libertà<br />
e parlando piuttosto dei benefici pratici immediati di qualche<br />
software libero, sarebbero stati in grado di “vendere” il software più<br />
efficacemente a una determinata utenza, in particolar modo alle<br />
aziende. Il termine “open source” viene offerto come un modo per<br />
venderne di più – un modo per essere “più accettabili alle aziende”.<br />
Il punto di vista e i valori del movimento Open Source derivano da<br />
questa decisione.<br />
Questo approccio al problema ha dimostrato di funzionare, alle sue<br />
condizioni. Oggi molte persone passano al software libero per ragioni<br />
puramente pratiche. Questa è una buona cosa, di per sé, ma non<br />
è tutto quello che dobbiamo fare! Non basta attirare gli utenti verso<br />
il software libero: questo è solo il primo passo.<br />
Prima o poi questi utenti saranno invitati a utilizzare nuovamente<br />
software proprietario per alcuni vantaggi pratici. Un enorme numero<br />
di aziende cerca di offrire questa tentazione, e perché gli utenti<br />
dovrebbero rifiutare? Solo se hanno imparato a valorizzare la libertà<br />
che viene offerta loro dal software libero di per sé. Tocca a noi<br />
diffondere quest’idea – e per farlo, dobbiamo parlare di libertà. Una<br />
parte dell’approccio “teniamole tranquille” nei confronti delle<br />
aziende può essere utile per la comunità, ma dobbiamo comunque<br />
parlare molto di libertà.<br />
Attualmente, è molto diffuso l’approccio “teniamole tranquille”,<br />
82
ma non si parla abbastanza della libertà. La maggior parte delle persone<br />
coinvolte nel software libero parla molto poco della libertà –<br />
di solito perché cerca di essere “più accettabile per le aziende”. I<br />
distributori di software sono quelli che più seguono questa regola.<br />
Alcune distribuzioni del sistema operativo GNU/Linux aggiungono<br />
pacchetti di software proprietario al sistema libero di base e invitano<br />
gli utenti a considerarlo un vantaggio, invece che un passo<br />
indietro rispetto alla libertà.<br />
Non riusciamo a rimanere alla pari rispetto all’afflusso di utenti di<br />
software libero, non riusciamo a insegnare alle persone cosa siano<br />
queste libertà e cosa sia la nostra comunità man mano che vi entrano.<br />
Questo è il motivo per cui software non libero (come lo era Qt<br />
la prima volta che divenne popolare) e le distribuzioni di sistemi<br />
operativi parzialmente non liberi, trovano un terreno così fertile.<br />
Smettere di utilizzare la parola “libero” adesso sarebbe un errore.<br />
Abbiamo bisogno che si parli di più, e non di meno, di libertà.<br />
Che coloro che usano il termine “open source” portino più utenti alla<br />
nostra comunità è senz’altro un contributo, ma significa che dobbiamo<br />
impegnarci ancora di più per portare il problema della libertà all’attenzione<br />
di quegli utenti. Dobbiamo dire “è software libero e ti dà<br />
libertà!” sempre di più e più forte che mai.<br />
Un marchio registrato può aiutare?<br />
I sostenitori del “software open source” hanno tentato di rendere<br />
questo un marchio registrato, pensando di poter così prevenire utilizzi<br />
scorretti. Il tentativo è fallito quando, nel 1999, la richiesta è<br />
stata fatta decadere. Per cui lo status legale di “open source” è lo<br />
stesso di quello del “software libero”: non esiste nessuna restrizione<br />
legale per il suo utilizzo. Ho sentito, talvolta di persona, molte<br />
aziende chiamare “open source” i loro pacchetti software anche se<br />
83
questi non rientravano, per le loro caratteristiche, nella definizione<br />
ufficiale.<br />
Ma avrebbe davvero fatto questa grande differenza usare un termine<br />
che fosse un marchio registrato? Non necessariamente.<br />
Le aziende inoltre hanno fatto annunci che danno l’impressione che<br />
un programma sia “software open source” senza dirlo esplicitamente.<br />
Ad esempio, un annuncio di IBM riguardo a un programma<br />
che non rientrava nella definizione ufficiale diceva questo:<br />
«Come è comune fare nella comunità open source, gli utenti della<br />
... tecnologia saranno inoltre in grado di collaborare con IBM ...»<br />
Questa frase non dice che il programma è “open source”, ma molti<br />
lettori non hanno notato quel dettaglio. (Devo comunque far<br />
notare che IBM era sinceramente interessata a rendere questo programma<br />
software libero e ha successivamente adottato una nuova<br />
licenza che lo rendeva tale e “open source”. Ma quando questo<br />
annuncio è stato fatto, il programma non si qualificava come nessuno<br />
dei due).<br />
Ed ecco come Cygnus Solutions, che fu creata come azienda di<br />
software libero e successivamente estese la sua attività (per così dire)<br />
al software proprietario, pubblicizzava alcuni prodotti software proprietari:<br />
«Cygnus Solution è una azienda leader nel mercato open source e ha<br />
appena lanciato due prodotti sul mercato [GNU/]Linux».<br />
Diversamente da IBM, Cygnus non stava tentando di rendere questi<br />
pacchetti software libero e questi pacchetti non si avvicinavano<br />
minimamente a poter essere definiti tali. Ma Cygnus non ha in realtà<br />
detto che questo è “software open source”, ha soltanto utilizzato questo<br />
termine per dare quest’impressione a un lettore poco attento.<br />
Queste osservazioni suggeriscono che un marchio registrato non<br />
avrebbe risolto sul serio i problemi legati al termine “open source”.<br />
84
Le errate interpretazioni di “open source”<br />
La definizione di open source è abbastanza chiara ed è abbastanza<br />
chiaro che il tipico programma non libero non rientra in questa<br />
definizione. Quindi penserete che una “azienda Open Source” produca<br />
software libero (o qualcosa del genere), giusto? Non sempre è<br />
vero, molte aziende stanno anche cercando di dargli un differente<br />
significato.<br />
All’incontro “Open Source Developers Day” svoltosi nell’agosto<br />
1998, molti degli sviluppatori commerciali invitati dissero che erano<br />
intenzionati a creare come software libero (o “open source”) solo<br />
una parte del loro lavoro. Il fulcro del loro business è lo sviluppo di<br />
aggiunte proprietarie (software o documentazione) da vendere agli<br />
utenti di questo software libero. Ci chiedono di considerarlo come<br />
legittimo, come parte della nostra comunità, poiché parte del denaro<br />
viene donato per lo sviluppo di software libero.<br />
In effetti, queste aziende tentano di guadagnare una favorevole<br />
immagine “open source” per i loro prodotti software proprietari –<br />
anche se questi non sono software “open source” – poiché hanno<br />
una qualche relazione con il software libero o perché la stessa azienda<br />
mantiene anche un qualche software libero. (Il fondatore di una<br />
azienda ha esplicitamente detto che avrebbero messo, nei pacchetti<br />
di software libero da loro supportati, un po’ del loro lavoro per<br />
poter far parte della comunità).<br />
Negli anni, molte aziende hanno contribuito allo sviluppo del<br />
software libero. Alcune di queste aziende sviluppavano principalmente<br />
software non libero, ma le due attività erano separate. Per<br />
questo potevamo ignorare i loro prodotti non liberi e lavorare con<br />
loro sui progetti di software libero. Quindi potevamo poi onestamente<br />
ringraziarli per i loro contributi al software libero, senza parlare<br />
degli altri prodotti che portavano avanti.<br />
85
Non possiamo fare altrettanto con queste nuove aziende, poiché<br />
loro non lo accetterebbero. Queste aziende cercano attivamente di<br />
portare il pubblico a considerare senza distinzione tutte le loro attività.<br />
Vogliono che noi consideriamo il loro software non libero<br />
come se fosse un vero contributo, anche se non lo è. Si presentano<br />
come “aziende open source” sperando che la cosa ci interessi, che le<br />
renda attraenti ai nostri occhi e che ci porti ad accettarle.<br />
Questa pratica di manipolazione non sarebbe meno pericolosa se<br />
fatta utilizzando il termine “software libero”. Ma le aziende non<br />
sembrano utilizzare il termine “software libero” in questo modo.<br />
Probabilmente la sua associazione con l’idealismo lo rende non<br />
adatto allo scopo. Il termine “open source” ha così aperto tutte le<br />
porte.<br />
In una mostra specializzata di fine 1998, dedicata al sistema operativo<br />
spesso chiamato “Linux”, il relatore di turno era un alto dirigente<br />
di una importante azienda di software. Era stato probabilmente<br />
invitato poiché la sua azienda aveva deciso di “supportare”<br />
questo sistema. Sfortunatamente, la forma di “supporto” consisteva<br />
nel rilasciare software non libero che funziona con il sistema –<br />
in altre parole, utilizzava la nostra comunità come un mercato ma<br />
non vi contribuiva affatto.<br />
Disse: “Non renderemo mai il nostro prodotto open source, ma forse<br />
lo renderemo tale ‘internamente’. Se permetteremo al nostro staff<br />
di supporto ai clienti di avere accesso al codice sorgente, potrà risolvere<br />
gli errori per i clienti e potremo quindi fornire un prodotto e un<br />
servizio migliori”. (Questa non è la trascrizione esatta del discorso, poiché<br />
non avevo preso nota delle parole, ma rende comunque l’idea).<br />
Alcune persone tra il pubblico mi dissero successivamente “non ha<br />
capito il senso del nostro lavoro”. Era forse vero? Quale senso non<br />
aveva colto?<br />
86
In realtà aveva colto il significato del movimento Open Source.<br />
Questo movimento non dice che gli utenti dovrebbero avere libertà,<br />
dice solo che permettendo a più persone di guardare il codice sorgente<br />
e di aiutare a migliorarlo, consentirà uno sviluppo più veloce<br />
e migliore. Il dirigente ha colto perfettamente quel significato:<br />
non ha voluto utilizzare questo approccio nella sua interezza, utenti<br />
inclusi, pensando di utilizzarlo parzialmente all’interno della sua<br />
azienda.<br />
Il significato che non ha colto è quello che l’“open source” ha progettato<br />
di non sollevare: cioè che l’utente merita la libertà.<br />
Diffondere l’idea della libertà è un lavoro difficile: ha bisogno del<br />
vostro aiuto. Per questo il progetto GNU rimarrà legato al significato<br />
di “software libero”, per aiutare a diffondere l’idea di libertà.<br />
Se sentite che libertà e comunità sono importanti in quanto tali –<br />
non soltanto per la convenienza implicita in esse – unitevi a noi nell’utilizzare<br />
il termine “software libero”.<br />
Joe Barr ha scritto un articolo intitolato “Live and let license” dove illustra il<br />
proprio punto di vista su questo argomento: http://www.itworld.com/App-<br />
Dev/350/LWD010523vcontrol4/<br />
Originariamente scritto nel 1998. Questa versione fa parte del libro Free<br />
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU<br />
Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
87
Rilasciare software<br />
libero se lavorate<br />
all’università<br />
All’interno del movimento del software libero, crediamo che gli<br />
utenti informatici debbano godere della libertà di modificare e<br />
distribuire il software che usano. Il termine “free”, riferito al software<br />
libero, indica la libertà: in altre parole, gli utenti hanno la libertà<br />
di eseguire, modificare e ridistribuire il software. Il software libero<br />
contribuisce alla conoscenza umana, al contrario di quanto fa il<br />
software non libero. Le università dovrebbero perciò incoraggiare<br />
il software libero per l’avanzamento della conoscenza umana, così<br />
come dovrebbero incoraggiare ricercatori e studenti a pubblicare i<br />
propri lavori.<br />
Ahimè, molti amministratori universitari dimostrano una tendenza<br />
caratterizzata dall’avidità verso il software (e verso la scienza); vedono<br />
nei programmi l’opportunità per trarne dei profitti, non per contribuire<br />
alla conoscenza umana. Gli sviluppatori di software libero<br />
hanno dovuto far fronte a questa tendenza per almeno vent’anni.<br />
Quando iniziai a sviluppare il sistema operativo GNU, il primo passo<br />
fu quello di lasciare il mio posto al MIT. Lo feci proprio per<br />
impedire all’ufficio licenze del MIT di interferire con il rilascio di<br />
GNU come software libero. Avevo pianificato un approccio preciso<br />
per licenziare programmi GNU in modo che fosse assicurato il<br />
mantenimento delle versioni modificate come software libero, un<br />
approccio concretizzatosi nella GNU General Public License<br />
(GNU GPL), e non volevo supplicare l’amministrazione del MIT<br />
perché me lo lasciasse fare.<br />
88
Nel corso degli anni, spesso esponenti universitari hanno contattato<br />
la Free Software Foundation per chiedere consiglio su come convincere<br />
gli amministratori che considerano il software soltanto<br />
come qualcosa da vendere. Un buon metodo, applicabile anche a<br />
progetti finanziati ad hoc, è basare il vostro lavoro su un programma<br />
già esistente rilasciato sotto la licenza GNU GPL. A quel punto<br />
potete dire agli amministratori: “Non possiamo rilasciare la versione<br />
modificata con una licenza che non sia la GNU GPL, qualsiasi<br />
altro modo violerebbe il diritto d’autore”. Quando l’immagine<br />
del dollaro sfumerà davanti ai loro occhi, generalmente acconsentiranno<br />
a rilasciarlo come software libero.<br />
Potete anche chiedere aiuto allo sponsor che finanzia. Quando un<br />
gruppo della NYU [New York University] sviluppò il compilatore<br />
GNU Ada con i fondi della US Air Force, il contratto prevedeva<br />
esplicitamente la donazione del codice risultante alla Free Software<br />
Foundation. Contrattate prima lo sponsor, poi chiarite gentilmente<br />
all’amministrazione dell’università che non è possibile rinegoziare<br />
l’accordo preso. Preferiranno avere un contratto per sviluppare<br />
software libero piuttosto che non averne affatto, così molto<br />
probabilmente acconsentiranno.<br />
Per tutto ciò che fate, sollevate presto la questione – sicuramente<br />
prima che il programma sia stato sviluppato per metà. A questo<br />
punto, l’università avrà ancora bisogno di voi e potrete giocare le<br />
vostre carte: dite all’amministrazione che finirete il programma, lo<br />
renderete utilizzabile, se accetterà per iscritto che sia software libero<br />
(e accoglierà la vostra scelta di licenziarlo come software libero).<br />
In caso contrario, ci lavorerete sopra quel tanto che basta per scriverne<br />
una ricerca, e senza mai creare una versione sufficientemente<br />
evoluta da poter essere distribuita. Quando gli amministratori si<br />
renderanno conto che la scelta è tra avere pacchetti di software libe-<br />
89
o che porteranno credito all’università o non avere proprio niente,<br />
generalmente sceglieranno la prima opzione.<br />
Non tutte le università seguono politiche basate sull’avidità. La<br />
politica comunemente seguita alla University of Texas prevede il<br />
rilascio come software libero sotto GNU General Public License di<br />
tutto il software sviluppato al suo interno. La Univates in Brasile e<br />
l’International Institute of Information Technology di Hyderabad<br />
(India) seguono entrambe una politica favorevole al rilascio di<br />
software sotto GPL. Sviluppando prima il supporto per la facoltà,<br />
potrete riuscire a instaurare una politica analoga nella vostra università.<br />
Presentatela come una questione di principio: l’università<br />
ha la missione di stimolare l’avanzamento della conoscenza umana,<br />
o il suo unico scopo è quello di perpetuare se stessa?<br />
Qualunque approccio usiate, aiuta mostrarsi determinati e adottare<br />
una prospettiva etica, come facciamo nel movimento del software<br />
libero. Per trattare il pubblico in modo eticamente corretto, il<br />
software dovrebbe essere libero – nel senso della libertà – per chiunque.<br />
Molti sviluppatori di software libero professano ragioni strettamente<br />
pratiche per farlo: sostengono di voler consentire ad altri di<br />
condividere e modificare il software come espediente per renderlo<br />
potente e affidabile. Se questi valori vi spingono a sviluppare software<br />
libero, funzionante e utile, vi ringraziamo per il contributo. Ma<br />
tali valori non vi offrono una forte presa per resistere quando gli<br />
amministratori universitari tentano di convincervi a scrivere<br />
software non-libero.<br />
Possono, ad esempio, sostenere che: “Potremmo renderlo ancora<br />
più potente e affidabile con tutto il denaro che potremmo farci”.<br />
Questa pretesa può o meno rivelarsi valida alla fine, ma è dura da<br />
confutare a priori. Possono suggerire una licenza che offra copie<br />
90
“gratuite, esclusivamente a uso accademico”, sottintendendo così<br />
che il pubblico generico non meriti la libertà e che ciò solleciterà la<br />
cooperazione dei ricercatori, che è tutto quello di cui (dicono) avete<br />
bisogno.<br />
Se partite da valori “pragmatici”, è difficile trovare una buona ragione<br />
per rifiutare queste proposte senza via d’uscita, ma potete riuscirci<br />
facilmente se basate la vostra fermezza su valori etici e politici. Cosa<br />
c’è di positivo nel creare un programma potente e affidabile a spese<br />
della libertà degli utenti? Non si dovrebbe applicare la libertà sia all’interno<br />
che all’esterno delle istituzioni accademiche? Le risposte sono<br />
ovvie se la libertà e la comunità rientrano tra i vostri obiettivi. Il<br />
software libero rispetta la libertà degli utenti, mentre il software non<br />
libero la nega.<br />
Non c’è nulla che rafforzi la vostra risolutezza come sapere che la<br />
libertà della comunità dipende, in primo luogo, da voi stessi.<br />
Originariamente scritto nel 2002. Questa versione fa parte del libro Free<br />
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU<br />
Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
91
Vendere software<br />
libero<br />
Molta gente crede che lo spirito del progetto GNU sia che non si<br />
debba far pagare per distribuire copie del software, o che si debba<br />
far pagare il meno possibile – solo il minimo per coprire le spese.<br />
In realtà noi incoraggiamo chi ridistribuisce il software libero a far<br />
pagare quanto vuole o può. Se vi sembra sorprendente, per favore<br />
continuate a leggere.<br />
Il termine “free’’ ha due legittimi significati comuni: può riferirsi<br />
sia alla libertà che al prezzo. Quando parliamo di “free software’’,<br />
parliamo di libertà, non di prezzo. Ci si rammenti di considerare<br />
“free” come in “free speech” (libertà di parola) anziché in “free beer”<br />
(birra gratis). In particolare, significa che l’utente è libero di eseguire<br />
il programma, modificarlo, e ridistribuirlo con o senza modifiche.<br />
I programmi liberi sono talvolta distribuiti gratuitamente, e talvolta<br />
a un prezzo consistente. Spesso lo stesso programma è disponibile<br />
in entrambe le modalità in posti diversi. Il programma è libero<br />
indipendentemente dal prezzo, perché gli utenti sono liberi di<br />
utilizzarlo.<br />
Programmi non-liberi vengono di solito venduti a un alto prezzo,<br />
ma talvolta un negozio vi darà una copia senza farvela pagare. Questo<br />
non rende comunque il software libero. Prezzo o non prezzo, il<br />
programma non è libero perché gli utenti non hanno libertà.<br />
Dal momento che il software libero non è una questione di prezzo,<br />
un basso prezzo non vuol dire che il programma sia più libero o più<br />
vicino a esserlo. Perciò, se state ridistribuendo copie di software libe-<br />
92
o, potreste anche venderle a un prezzo consistente e guadagnarci.<br />
Ridistribuire il software libero è una attività buona e legale; se la<br />
fate, potete anche trarne profitto.<br />
Il software libero è un progetto comunitario, e chiunque vi dipenda<br />
dovrebbe cercare modalità per contribuire a costruire la comunità.<br />
Per un distributore il modo di farlo è dare parte del profitto<br />
alla Free Software Foundation o a qualche altro progetto di sviluppo<br />
di software libero. Finanziando lo sviluppo, potete far progredire<br />
il mondo del software libero.<br />
Distribuire software libero è un’opportunità per raccogliere fondi<br />
per lo sviluppo. Non sprecatela!<br />
Per contribuire ai fondi, avete bisogno di avere un sovrappiù. Se<br />
fate pagare un prezzo troppo basso, non vi avanzerà niente per sostenere<br />
lo sviluppo.<br />
Può un prezzo della distribuzione più alto danneggiare alcuni<br />
utenti?<br />
La gente talvolta si preoccupa del fatto che un alto compenso per<br />
la distribuzione possa mettere il software libero fuori dalla portata<br />
degli utenti che non hanno molto denaro. Con il software proprietario,<br />
un alto compenso fa esattamente questo – ma il software<br />
libero è diverso.<br />
La differenza è che il software libero tende naturalmente a diffondersi,<br />
e ci sono molti modi per procurarselo.<br />
Coloro che fanno incetta di software cercheranno in tutti i modi di<br />
impedirvi di eseguire un programma proprietario senza pagare il<br />
prezzo stabilito. Se questo prezzo è alto, sarà difficile per alcuni<br />
utenti utilizzare il programma.<br />
Con il software libero, gli utenti non devono pagare il costo della<br />
distribuzione per utilizzare il software. Possono copiare il pro-<br />
93
gramma, da un amico che ne abbia una copia o con l’aiuto di un<br />
amico che abbia accesso alla rete. Oppure diversi utenti possono<br />
unirsi, dividere il prezzo di un CD-ROM e a turno installare il<br />
software. Un alto prezzo del CD-ROM non è un grosso ostacolo<br />
quando il software è libero.<br />
Può un prezzo della distribuzione più alto scoraggiare l’uso del<br />
software libero?<br />
Un altro problema comune è la popolarità del software libero. La<br />
gente pensa che un prezzo alto per la distribuzione riduca il numero<br />
di utenti o che un prezzo basso è probabile che li incoraggi.<br />
Questo è vero per il software proprietario – ma il software libero è<br />
diverso. Con così tanti modi di procurarsi le copie, il prezzo del servizio<br />
di distribuzione ha meno effetto sulla sua popolarità.<br />
Alla fine, il numero di persone che utilizza il software libero è determinato<br />
principalmente da quanto il software può fare, e dalla facilità<br />
di utilizzo. Molti utenti continueranno a utilizzare software proprietario<br />
se il software libero non può fare tutto ciò che essi vogliono.<br />
Perciò, se vogliamo aumentare il numero di utenti a lungo andare,<br />
dobbiamo soprattutto sviluppare più software libero.<br />
Il modo più diretto per farlo è scrivere da sé il software libero o i<br />
manuali necessari. Ma se voi li distribuite piuttosto che scriverli, il<br />
miglior modo di aiutare è raccogliere i fondi perché altri li scrivano.<br />
Anche l’espressione “vendere software” può confondere<br />
A rigor di termini, “vendere” significa commerciare prodotti per<br />
denaro. Vendere una copia di un programma libero è legale, e noi<br />
lo incoraggiamo.<br />
Tuttavia, quando la gente pensa di “vendere software”, di solito<br />
94
immagina di farlo nel modo in cui lo fa la maggior parte delle<br />
società: facendo software proprietario piuttosto che libero.<br />
Così, a meno che non vogliate fare precise distinzioni – come le fa<br />
questo articolo – noi suggeriamo sia meglio evitare di utilizzare l’espressione<br />
“vendere software” e scegliere invece qualche altra espressione.<br />
Per esempio, potreste dire “distribuire software libero dietro<br />
compenso” – che non è ambiguo.<br />
Compensi alti o bassi, e la GPL GNU<br />
Tranne che per una situazione particolare, la General Public Licence<br />
GNU (GPL GNU) non detta condizioni su quanto potete chiedere<br />
per distribuire una copia di software libero. Potete non chiedere<br />
niente, chiedere dieci lire, mille lire, o un miliardo di lire. Decidete<br />
voi, e il mercato, perciò non lamentatevi con noi se nessuno<br />
vuole pagare un miliardo di lire per una copia.<br />
L’unica eccezione si ha nel caso in cui i binari vengono distribuiti<br />
senza il corrispondente codice sorgente completo. A coloro che lo<br />
fanno la GPL GNU impone di fornire il codice sorgente a una successiva<br />
richiesta. Senza un limite al compenso per il codice sorgente,<br />
loro potrebbero stabilire un compenso troppo alto da pagare per<br />
chiunque – per esempio, un miliardo – e così fingere di rilasciare il<br />
codice sorgente che in realtà continuano a mantenere segreto. Perciò,<br />
in questo caso, dobbiamo mettere un limite al compenso del<br />
sorgente, per assicurare la libertà dell’utente. In situazioni normali,<br />
tuttavia, non c’è nessuna giustificazione simile per limitare i compensi<br />
per le distribuzioni, perciò non li limitiamo.<br />
Qualche volta le aziende, le cui attività oltrepassano il limite di quello<br />
che la GPL GNU permette, richiedono l’autorizzazione, dicendo<br />
di “non chiedere nessun pagamento per il software GNU” o<br />
simili. In questo modo non vanno da nessuna parte. Il software libe-<br />
95
o riguarda la libertà, e far rispettare la GPL vuol dire difendere la<br />
libertà. Quando difendiamo la libertà dell’utente, non siamo sviati<br />
da questioni secondarie come per esempio quanto compenso venga<br />
richiesto per una distribuzione. La libertà è il problema, l’intero<br />
e solo problema.<br />
Originariamente scritto nel 1996. Questa versione fa parte del libro Free<br />
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU<br />
Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
96
Il software libero<br />
ha bisogno di<br />
documentazione libera<br />
Il più grande difetto nei sistemi operativi liberi non sta nel software<br />
– è la mancanza di buoni manuali liberi da poter includere in<br />
questi sistemi. Molti dei programmi più importanti non hanno un<br />
manuale completo. La documentazione è una parte essenziale di<br />
qualunque pacchetto di software; quando un pacchetto importante<br />
di software libero è fornito senza un manuale libero, si ha una<br />
grossa lacuna. A tutt’oggi abbiamo molte di queste lacune.<br />
Una volta, molti anni fa, pensai di imparare il Perl. Presi una copia<br />
di un manuale libero, ma lo trovai difficile da leggere. Quando chiesi<br />
alternative agli utilizzatori del Perl mi dissero che c’erano manuali<br />
introduttivi migliori – ma non erano liberi.<br />
Come mai? Gli autori dei buoni manuali li avevano scritti per la<br />
O’Reilly Associates che li pubblicava con termini restrittivi – divieto<br />
di copia, divieto di modificazione, sorgenti non disponibili – il<br />
che li escludeva dalla comunità del software libero.<br />
Non era la prima volta che accadeva questo tipo di cose, e (con grande<br />
perdita per la nostra comunità) non era neanche l’ultima. Gli editori<br />
di manuali proprietari da allora hanno indotto molti degli autori<br />
a porre limitazioni ai loro manuali. Molte volte ho sentito un utente<br />
di software GNU parlarmi entusiasticamente di un manuale che<br />
stava scrivendo, che si aspettava avrebbe aiutato il progetto GNU –<br />
ma poi le mie speranze si spezzavano, quando procedeva a spiegarmi<br />
che aveva firmato un contratto con un editore che ne avrebbe<br />
ristretto l’uso cosicché non avremmo potuto usarlo.<br />
97
Dato che scrivere in un buon inglese è un’abilità rara fra i programmatori,<br />
possiamo permetterci a malapena di perdere manuali<br />
in questo modo.<br />
La documentazione libera, come il software libero, è una questione<br />
di libertà, non di prezzo. Il problema con questi manuali<br />
non era che la O’Reilly Associates imponesse un prezzo per le<br />
copie stampate – che di per sé va bene (anche la Free Software<br />
Foundation vende copie dei manuali GNU liberi). Ma i manuali<br />
GNU sono disponibili in forma sorgente, mentre questi manuali<br />
sono disponibili solo su carta. I manuali GNU vengono forniti<br />
con il permesso di copiarli e modificarli; i manuali del Perl no.<br />
Il problema sono queste restrizioni.<br />
I criteri per un manuale libero sono sostanzialmente gli stessi del<br />
software libero: è questione di dare a tutti gli utenti certe libertà.<br />
La redistribuzione (compresa quella commerciale) deve essere permessa,<br />
così il manuale potrà accompagnare ogni copia del programma,<br />
sia online che su carta. Anche il permesso di fare modifiche<br />
è cruciale.<br />
Come regola generale non credo che sia essenziale per le persone<br />
avere il permesso di modificare ogni sorta di articoli e libri. I problemi<br />
relativi agli scritti non sono necessariamente identici a quelli<br />
del software. Per esempio, non penso che io o voi siamo obbligati<br />
a dare il permesso di modificare articoli come questo in cui<br />
descriviamo le nostre azioni e i nostri punti di vista.<br />
Ma c’è una ragione particolare per cui la libertà di effettuare modifiche<br />
è cruciale per la documentazione del software libero. Quando<br />
le persone esercitano il loro diritto di modificare il software, e<br />
aggiungono o cambiano funzionalità, se coscienziosamente cambiassero<br />
anche il manuale, potrebbero fornire documentazione<br />
accurata e utilizzabile per il programma modificato. Un manuale<br />
98
che proibisce ai programmatori di essere coscienziosi e completare<br />
il lavoro, o che più precisamente richiede loro di scrivere da<br />
capo un nuovo manuale se cambiano il programma, non risponde<br />
alle necessità della nostra comunità.<br />
Mentre una proibizione generale sulle modifiche è inaccettabile,<br />
alcuni tipi di limitazione sui metodi delle modifiche non pongono<br />
problemi. Ad esempio, vanno bene quelle di mantenere la nota<br />
di copyright dell’autore originale, i termini di distribuzione, o la<br />
lista degli autori. Non c’è problema anche nel richiedere che versioni<br />
modificate diano nota del loro essere tali, e anche che abbiano<br />
intere sezioni che non possono essere tolte o cambiate, fintanto<br />
che hanno a che fare con argomenti non tecnici (alcuni manuali<br />
GNU le hanno).<br />
Questo tipo di restrizioni non sono un problema perché, dal punto<br />
di vista pratico, non impediscono al programmatore coscienzioso<br />
di adattare il manuale per corrispondere alle modifiche del<br />
programma. In altre parole, non impediscono alla comunità del<br />
software libero di fare pieno uso del manuale.<br />
Tuttavia deve essere possibile modificare tutti i contenuti tecnici<br />
del manuale, e distribuire il risultato attraverso tutti i mezzi consueti,<br />
attraverso tutti i canali usuali; altrimenti le restrizioni bloccherebbero<br />
la comunità, il manuale non sarebbe libero e così ci<br />
servirebbe un altro manuale.<br />
Sfortunatamente, è spesso difficile trovare qualcuno che scriva un<br />
altro manuale quando esiste un manuale proprietario. L’ostacolo<br />
è che molti utenti pensano che un manuale proprietario è sufficiente<br />
– così non vedono la necessità di scrivere un manuale libero.<br />
Non vedono che i sistemi operativi liberi hanno una lacuna<br />
che deve essere riempita.<br />
Perché gli utenti pensano che i manuali proprietari siano suffi-<br />
99
cienti? Alcuni non hanno considerato il problema. Spero che questo<br />
articolo faccia qualcosa per cambiare tutto ciò.<br />
Altri utenti considerano i manuali proprietari accettabili per le<br />
stesse ragioni per cui molte persone considerano accettabile il<br />
software proprietario: giudicano soltanto in termini pratici e non<br />
usano la libertà come criterio. Queste persone hanno diritto alle<br />
loro opinioni, ma poiché queste opinioni derivano da valori che<br />
non includono la libertà, essi non sono di esempio per quelli di<br />
noi che danno importanza alla libertà.<br />
Per favore, spargete la voce riguardo a questo problema. Continuiamo<br />
a perdere manuali a favore di pubblicazioni proprietarie.<br />
Se spargiamo la voce che i manuali proprietari non sono sufficienti,<br />
forse la prossima persona che vuole aiutare il progetto<br />
GNU scrivendo documentazione si renderà conto, prima che sia<br />
troppo tardi, che deve anzitutto renderla libera.<br />
Incoraggiamo inoltre gli editori commerciali a vendere manuali<br />
liberi con permesso d’autore invece di manuali proprietari. Una<br />
maniera di far questo è di controllare i termini di distribuzione di<br />
un manuale prima di comprarlo, e preferire manuali con permesso<br />
d’autore [copyleft] a quelli senza permesso d’autore.<br />
[Nota: La Free Software Foundation mantiene una pagina web che elenca<br />
libri di documentazione libera pubblicati da altri editori,<br />
http://www.gnu.org/doc/other-free-books.html]<br />
Originariamente scritto nel 2000. Questa versione fa parte del libro Free<br />
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU<br />
Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
100
La canzone<br />
del software libero<br />
Sulla melodia della canzone folk bulgara “Sodi Moma”.<br />
101
Le liriche in italiano:<br />
Unitevi a noi e condividete il software,<br />
Sarete liberi, hacker, sarete liberi<br />
Qualche avido potrà fare mucchi di soldi,<br />
È vero, hacker, è vero<br />
Ma non potrà aiutare i vicini<br />
Questo non va bene, hacker, non va bene<br />
Quando avremo abbastanza software libero<br />
A disposizione, hacker, a disposizione<br />
Getteremo via quelle sporche licenze<br />
Sempre più, hacker, sempre di più<br />
Unitevi a noi e condividete il software,<br />
Sarete liberi, hacker, sarete liberi<br />
Originariamente scritto nel 1993. Questa versione fa parte del libro Free<br />
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU<br />
Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
102
Parte seconda<br />
Copyright,<br />
copyleft e brevetti
Il diritto di leggere<br />
Tratto da “La strada verso Tycho”, raccolta di articoli sugli eventi precedenti<br />
la Rivoluzione Lunaria, pubblicata a Luna City nel 2096.<br />
Per Dan Halbert, la strada verso Tycho si rivelò all’epoca del college<br />
– quando Lissa Lenz gli chiese in prestito il computer. Il suo si<br />
era rotto e, a meno di non poterne usare un altro, avrebbe mancato<br />
la scadenza per la presentazione del progetto di metà corso. Non<br />
osava chiederlo a nessun altro tranne Dan, ponendolo così di fronte<br />
a un grave dilemma. Dan aveva il dovere di aiutarla – ma una<br />
volta prestatole il computer, Lissa avrebbe potuto leggerne ogni<br />
libro. A parte il rischio di finire in carcere per molti anni per aver<br />
consentito ad altri l’accesso a tali libri, inizialmente Dan rimase assai<br />
colpito dall’idea stessa di una simile eventualità. Come chiunque<br />
altro, fin dalle elementari gli era stato insegnato quanto fosse malvagio<br />
e sbagliato condividere i libri – qualcosa che soltanto i pirati<br />
si azzardavano a fare.<br />
Ed era impossibile che la SPA – la Software Protection Agency, l’Agenzia<br />
per la tutela del software – avesse mancato di smascherarlo.<br />
Nel corso sul software, Dan aveva imparato che ogni libro era dotato<br />
di un apposito sistema di monitoraggio sul copyright in grado<br />
di riportare all’Agenzia centrale per le licenze quando e dove ne fosse<br />
avvenuta la lettura, e da parte di chi. (Questi dati venivano poi<br />
utilizzati nelle indagini per la cattura dei pirati della lettura, ma<br />
anche per vendere ai grossisti i profili sugli interessi personali dei<br />
singoli). La prossima volta che il suo computer fosse stato collegato<br />
al network centrale, l’Agenzia l’avrebbe scoperto. In quanto pro-<br />
105
prietario del computer, sarebbe stato lui a subire la punizione più<br />
pesante – per non aver fatto abbastanza nella prevenzione di quel<br />
crimine.<br />
Naturalmente non era affatto scontato che Lissa avesse intenzione<br />
di leggere i libri presenti sul computer. Forse lo avrebbe usato soltanto<br />
per finire la relazione di metà corso. Ma Dan sapeva che la<br />
sua condizione sociale non elevata le consentiva di pagare a malapena<br />
le tasse scolastiche, meno che mai le tariffe per l’accesso alla<br />
lettura dei testi. Una situazione che comprendeva bene; lui stesso<br />
era stato costretto a chiedere in prestito dei soldi per pagare le quote<br />
necessarie alla consultazione di tutte le ricerche disponibili. (Il<br />
dieci per cento di tali quote andava direttamente agli autori delle<br />
ricerche; poichè Dan puntava alla carriera accademica, poteva sperare<br />
di ripagare il prestito con la percentuale sulle proprie ricerche,<br />
nel caso venissero consultate con una certa frequenza).<br />
Solo più tardi Dan avrebbe appreso dell’esistenza di un’epoca passata<br />
in cui chiunque poteva recarsi in biblioteca a leggere articoli e<br />
ricerche senza dover pagare nulla. E i ricercatori indipendenti avevano<br />
accesso a migliaia di pagine, pur in assenza di contributi governativi<br />
alle biblioteche. Ma negli anni ‘90 sia gli editori nonprofit<br />
sia quelli commerciali iniziarono a imporre delle tariffe per la consultazione<br />
di quei materiali. A partire dal 2047, le biblioteche che<br />
offrivano accesso pubblico e gratuito alle opere dei ricercatori non<br />
erano altro che una memoria del passato.<br />
Naturalmente esistevano vari modi per ingannare la SPA e l’Agenzia<br />
centrale per le licenze. Modalità del tutto illegali. Uno degli studenti<br />
che aveva seguito il corso sul software con Dan, Frank Martucci,<br />
era entrato in possesso di un programma illecito per il debugging<br />
[l’attività di collaudo del software], e lo aveva utilizzato per<br />
disattivare il codice di monitoraggio del copyright per la lettura dei<br />
106
libri. Purtroppo era andato in giro a raccontarlo a troppi amici e<br />
uno di loro l’aveva denunciato alla SPA in cambio di una ricompensa<br />
in denaro (gli studenti fortemente indebitati erano assai proni<br />
al tradimento). Nel 2047 Frank era in prigione, non per lettura<br />
illegale, bensì per il possesso di un debugger.<br />
In seguito Dan avrebbe saputo che tempo addietro a chiunque era<br />
consentito il possesso di simili programmi. Circolavano liberamente<br />
persino su CD o tramite download via internet. Ma i comuni<br />
utenti presero a usarli per superare le restrizioni sul monitoraggio<br />
del copyright, e alla fine una sentenza giudiziaria stabilì come<br />
questa fosse divenuta pratica comune nell’impiego di tali programmi.<br />
Di conseguenza, questi vennero dichiarati illegali e gli sviluppatori<br />
di debugger [programma per l’attività di collaudo del<br />
software] condannati al carcere.<br />
Pur se i programmatori avevano comunque bisogno di programmi<br />
per il debugging, nel 2047 i produttori ne distribuivano soltanto<br />
copie numerate, e unicamente a programmatori provvisti di<br />
licenza e assicurazione ufficiali. Il debugger a disposizione di Dan<br />
nel corso sul software era dotato di uno speciale firewall [sistema<br />
a protezione di accessi non autorizzati], in modo da poter essere<br />
utilizzato soltanto per gli esercizi in classe.<br />
Onde superare le restrizioni sul monitoraggio del copyright, era<br />
altresì possibile installare una versione modificata del kernel di sistema.<br />
Dan avrebbe poi scoperto l’esistenza di kernel liberi, perfino di<br />
interi sistemi operativi liberamente disponibili, negli anni a cavallo<br />
del secolo. Ma non soltanto questi erano illegali, al pari dei<br />
debugger – non era comunque possibile installarli senza conoscere<br />
la password centrale del computer. Qualcosa che né l’FBI né il servizio-assistenza<br />
di Microsoft ti avrebbero mai rivelato.<br />
Dan concluse che non avrebbe potuto semplicemente prestare il<br />
107
computer a Lissa. Ma nemmeno poteva rifiutarsi di aiutarla, perché<br />
l’amava. Qualsiasi opportunità di parlare con lei lo riempiva di<br />
gioia. E il fatto che avesse chiesto aiuto proprio a lui poteva significare<br />
che anche lei gli voleva bene.<br />
Dan risolse il dilemma con una decisione perfino più impensabile<br />
– le prestò il computer rivelandole la propria password. In tal modo,<br />
se Lissa avesse letto i libri ivi contenuti, l’Agenzia centrale avrebbe<br />
ritenuto che fosse Dan a leggerli. Si trattava pur sempre di un crimine,<br />
ma la SPA non avrebbe potuto scoprirlo in maniera automatica.<br />
Ciò avrebbe potuto avvenire soltanto dietro un’esplicita<br />
denuncia di Lissa.<br />
Naturalmente, se la scuola avesse scoperto che aveva rivelato la password<br />
personale a Lissa, entrambi avrebbero chiuso con la carriera<br />
scolastica, a prescindere dall’utilizzazione o meno di tale password.<br />
Qualsiasi interferenza con i dispositivi predisposti da un istituto<br />
accademico sul monitoraggio nell’impiego dei computer da parte<br />
degli studenti provocava delle sanzioni disciplinari. Non importava<br />
se si fossero arrecati o meno danni materiali – il crimine consisteva<br />
nel rendere difficile il controllo sui singoli da parte degli<br />
amministratori locali. I quali potevano cioè presumere che tale<br />
comportamento nascondesse ulteriori attività illegali, e non avevano<br />
bisogno di sapere quali fossero.<br />
In circostanze simili generalmente gli studenti non venivano espulsi<br />
– almeno non in maniera diretta. Se ne impediva piuttosto l’accesso<br />
ai sistemi informatici dell’istituto, provocandone così l’inevitabile<br />
voto insufficiente in ogni corso.<br />
Più tardi Dan avrebbe scoperto come una siffatta procedura fosse<br />
stata implementata nelle università a partire dagli anni ‘80, quando<br />
gli studenti iniziarono a fare ampio uso dei computer accademici.<br />
In precedenza, le università seguivano una strategia diversa<br />
108
per le questioni disciplinari, punendo soltanto le attività che provocavano<br />
danni materiali, non quelle che potevano suscitare appena<br />
dei sospetti.<br />
Lissa non denunciò Dan alla SPA. La decisione di aiutarla condusse<br />
al loro matrimonio, e li spinse anzi a mettere in discussione quel<br />
che era stato insegnato loro fin da piccoli riguardo la pirateria. I due<br />
presero a documentarsi sulla storia del copyright, sulle restrizioni<br />
sulla copia in vigore in Unione Sovietica e perfino sul testo originale<br />
della Costituzione degli Stati Uniti. Decisero poi di trasferirsi<br />
su Luna, per unirsi agli altri che in maniera analoga gravitavano lontano<br />
dalla lunga mano della SPA. Quando nel 2062 scoppiò la rivolta<br />
di Tycho, il diritto universale alla lettura ne costituì subito uno<br />
degli obiettivi prioritari.<br />
109
Nota dell’autore<br />
Il diritto di leggere è una battaglia che si va combattendo ai giorni<br />
nostri. Pur se potrebbero passare 50 anni prima dell’oscuramento<br />
dell’attuale stile di vita, gran parte delle procedure e delle<br />
norme specifiche descritte sopra sono state già proposte;<br />
parecchie fanno parte integrante del corpo legislativo negli Stati<br />
Uniti e altrove. Nel 1998 il Digital Millenium Copyright Act<br />
statunitense ha stabilito le basi legali per limitare la lettura e il<br />
prestito di libri computerizzati (e anche altri materiali). Una<br />
direttiva sul copyright emanata nel 2001 dall’Unione Europea<br />
ha imposto analoghe restrizioni.<br />
Esiste però un’eccezione: l’idea che l’FBI e Microsoft possano tenere<br />
segreta la password centrale di ogni personal computer, senza<br />
informarne l’utente, non ha trovato spazio in alcun disegno di legge.<br />
In questo caso si stratta di una estrapolazione di quanto contenuto<br />
nel testo sul chip Clipper e in analoghe proposte sulle chiavi<br />
di decifrazione avanzate dal governo statunitense. Ciò in aggiunta<br />
a una tendenza in atto da tempo: con sempre maggior frequenza i<br />
sistemi informatici vengono progettati per fornire agli operatori in<br />
remoto il controllo proprio su quegli utenti che utilizzano tali sistemi.<br />
È tuttavia evidente come ci si stia avviando verso un simile scenario.<br />
Nel 2001 il senatore Hollings, con il sostegno economico di<br />
Walt Disney, ha presentato una proposta di legge denominata Security<br />
Systems Standards and Certification Act (ora sotto il nuovo<br />
titolo di Consumer Broadband and Digital Television Promotion<br />
Act) che prevede l’introduzione obbligatoria in ogni nuovo computer<br />
di apposite tecnologie atte a impedire ogni funzione di copia<br />
e impossibili da superare o disattivare da parte dell’utente.<br />
Nel 2001 gli Stati Uniti hanno avviato il tentativo di utilizzare il<br />
110
trattato denominato Free Trade Area of the Americas per imporre<br />
le medesime norme a tutti i paesi dell’emisfero occidentale. Questo<br />
è uno dei cosiddetti trattati a favore del “libero commercio”, in<br />
realtà progettati per garantire all’imprenditoria maggior potere nei<br />
confronti delle strutture democratiche; l’imposizione di legislazioni<br />
quali il Digital Millenium Copyright Act è tipico dello spirito<br />
che li pervade. La Electronic Frontier Foundation sta chiedendo a<br />
tutti di spiegare ai propri governi i motivi per cui occorre opporsi<br />
a questo progetto.<br />
La SPA, che in realtà sta per Software Publishers Association, l’Associazione<br />
degli editori di software statunitensi, è stata sostituita in<br />
questo ruolo simil-repressivo dalla BSA, Business Software Alliance,<br />
l’allenza per il software commerciale. Attualmente questa non<br />
ricopre alcuna funzione ufficiale in quanto organo repressivo; ufficiosamente<br />
però agisce in quanto tale. Ricorrendo a metodi che<br />
ricordano i tempi dell’ex-Unione Sovietica, la Business Software<br />
Alliance invita gli utenti a denunciare amici e colleghi di lavoro.<br />
Una campagna terroristica lanciata in Argentina nel 2001 minacciava<br />
velatamente quanti condividevano il software di possibili stupri<br />
una volta incarcerati.<br />
Quando venne scritto il racconto di cui sopra, la Software Publishers<br />
Association stava minacciando i piccoli fornitori di accesso a<br />
internet, chiedendo loro di consentire alla stessa associazione il<br />
monitoraggio dei propri utenti. Sotto il peso delle minaccie, molti<br />
fornitori d’accesso tendono ad arrendersi perchè impossibilitati ad<br />
affrontare le conseguenti spese legali (come riporta il quotidiano<br />
Atlanta Journal-Constitution, 1 ottobre 1996, pag. D3). Dopo essersi<br />
rifiutato di aderire a tale richiesta, almeno uno di questi fornitori,<br />
Community ConneXion di Oakland, California, ha subìto formale<br />
denuncia. L’istanza è stata successivamente ritirata dalla<br />
111
Software Publishers Association, ottenendo però l’approvazione di<br />
quel Digital Millenium Copyright Act che le fornisce quel potere<br />
che andava cercando.<br />
Le procedure di sicurezza in ambito accademico sopra descritte<br />
non sono frutto dell’immaginazione. Ad esempio, quando si inizia<br />
a usare un computer di un’università nell’area di Chicago, questo<br />
è il messaggio che viene stampato automaticamente:<br />
“Questo sistema può essere utilizzato soltanto dagli utenti autorizzati.<br />
Coloro che ne fanno uso privi di apposita autorizzazione,<br />
oppure in maniera a questa non conforme, possono subire il controllo<br />
e la registrazione, da parte del personale addetto, di ogni attività<br />
svolta sul sistema. Nel corso dell’attività di monitoraggo su usi<br />
impropri degli utenti oppure durante la manutenzione del sistema,<br />
possono essere monitorate anche le attività di utenti autorizzati.<br />
Chiunque utilizzi questo sistema fornisce il proprio consenso esplicito<br />
al monitoraggio e viene avvisato che, nel caso ciò dovesse rivelare<br />
attività illegali o violazioni alle norme universitarie, il personale<br />
addetto potrà fornire le prove di tali attività alle autorità universitarie<br />
e/o agli ufficiali di polizia”.<br />
Ci troviamo così di fronte a un interessante approccio al Quarto<br />
Emendamento della Costituzione statunitense: forti pressioni contro<br />
chiunque per costringerlo a dichiararsi d’accordo, in anticipo,<br />
sulla rinuncia a ogni diritto previsto da tale emendamento.<br />
Questo il testo del Quarto Emendamento:<br />
“Il diritto degli individui alla tutela della propria persona, abitazione,<br />
documenti ed effetti personali contro ogni perquisizione e<br />
sequestro immotivato, non potrà essere violato e nessun mandato<br />
verrà emesso se non nel caso di causa probabile, sostenuta da giu-<br />
112
amento o solenne dichiarazione, riguardanti in particolare la<br />
descrizione del luogo soggetto a perquisizione, e gli individui o gli<br />
effetti da sequestrare”.<br />
Riferimenti:<br />
- La White Paper dell’amministrazione USA: “Information Infrastructure<br />
Task Force, Intellectual property and the National Information<br />
Infrastructure: The Report of the Working Group on Intellectual<br />
Property Rights” (1995).<br />
- Una spiegazione della suddetta White Paper: “The Copyright<br />
Grab”, Pamuela Samuelson, Wired, gennaio 1996<br />
(http://www.wired.com/wired/archive/4.01/white_paper_pr.htm).<br />
- “Sold Out”, James Boyle, The New York Times, 31 marzo 1996<br />
- “Public Data or Private Data”, The Washington Post, 4 novembre<br />
1996.<br />
- Union for the Public Domain, organizzazione mirata alla resistenza<br />
e al ribaltamento degli eccessivi ampliamenti di potere assegnato<br />
al copyright e ai brevetti (http://www.public-domain.org).<br />
Questo saggio è stato pubblicato per la prima volta (nell’originale inglese)<br />
sul numero di febbraio 1997 della rivista Communications of the ACM<br />
(volume 40, numero 2). La Nota dell’autore è stata aggiornata nel 2002.<br />
Questa versione fa parte del libro Free Software, Free Society: The Selected<br />
Essays of Richard M. Stallman, GNU Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
113
L’interpretazione<br />
sbagliata del copyright<br />
una serie di errori<br />
Qualcosa di strano e pericoloso sta accadendo alle legislazioni in<br />
materia di copyright [diritto d’autore]. Come stabilito dalla Costituzione<br />
degli Stati Uniti, il copyright esiste a beneficio degli utenti<br />
– chiunque legga dei libri, ascolti della musica, guardi dei film o<br />
utilizzi del software – non nell’interesse degli editori o degli autori.<br />
Tuttavia, anche quando la gente tende sempre più a rifiutare e<br />
disubbidire alle restrizioni sul copyright imposte “a loro beneficio”,<br />
il governo statunitense vi aggiunge ulteriori restrizioni, nel tentativo<br />
di intimorire il pubblico e costringerlo a ubbidire sotto la pressione<br />
di nuove e pesanti sanzioni.<br />
In che modo le procedure sul copyright sono divenute diametralmente<br />
opposte agli obiettivi dichiarati? E come possiamo fare in<br />
modo che tornino ad allinearsi con tali obiettivi? Per comprendere<br />
la situazione, è bene partire dando un’occhiata alle radici delle leggi<br />
sul copyright degli Stati Uniti, il testo della stessa Costituzione.<br />
Il copyright nella Costituzione statunitense<br />
Nella stesura del testo della Costituzione, l’idea che agli autori<br />
potesse essere riconosciuto il diritto al monopolio sul copyright<br />
venne proposta – e rifiutata. I padri fondatori degli Stati Uniti partirono<br />
da una premessa diversa, secondo cui il copyright non è<br />
un diritto naturale degli autori, quanto piuttosto una condizione<br />
artificiale concessa loro per il bene del progresso. La Costitu-<br />
114
zione permette l’esistenza di un sistema sul copyright tramite il<br />
seguente paragrafo (articolo I, sezione 8):<br />
«Il Congresso avrà il potere di promuovere il progresso della scienza<br />
e delle arti utili, garantendo per periodi di tempo limitati ad autori e<br />
inventori il diritto esclusivo ai rispettivi testi scritti e invenzioni».<br />
La Corte Suprema ha ripetutamente affermato che promozione del<br />
progresso significa apportare dei benefici agli utenti delle opere sotto<br />
copyright. Ad esempio, nella causa Fox Film v. Doyal, la Corte<br />
ha sostenuto:<br />
«L’unico interesse degli Stati Uniti e l’obiettivo primario nell’assegnazione<br />
del monopolio [sul copyright] va cercato nei benefici<br />
generali derivanti al pubblico dai lavori degli autori».<br />
Questa decisione fondamentale illustra il motivo per cui nella<br />
Costituzione statunitense il copyright non venga imposto, bensì soltanto<br />
consentito in quanto opzione possibile – e perché se ne ipotizza<br />
la durata per “periodi di tempo limitati”. Se si trattasse di un<br />
diritto naturale, qualcosa assegnato agli autori perché lo meritano,<br />
nulla potrebbe giustificarne la cessazione dopo un determinato<br />
periodo, al pari dell’abitazione di qualcuno che dovesse divenire di<br />
proprietà pubblica trascorso un certo tempo dalla sua costruzione.<br />
Il “contratto sul copyright”<br />
Il sistema del copyright funziona tramite l’assegnazione di privilegi<br />
e relativi benefici per editori e autori. Ma non lo fa nell’interesse<br />
di costoro, quanto piuttosto per modificarne il comportamento:<br />
per fornire un incentivo agli autori a scrivere di più e agli editori a<br />
pubblicare di più. In effetti, il governo utilizza i diritti naturali del<br />
pubblico, a nome di quest’ultimo, come parte di una trattativa con-<br />
115
trattuale finalizzata a offrire allo stesso pubblico un maggior numero<br />
di opere. Gli esperti legali definiscono questo concetto “contratto<br />
sul copyright”. Qualcosa di analogo all’acquisto da parte del governo<br />
di un’autostrada o di un aeroplano usando i soldi dei contribuenti,<br />
con la differenza che qui il governo spende la nostra libertà<br />
anziché il nostro denaro.<br />
Ma l’esistenza di un tale contratto può davvero considerarsi un<br />
buon affare per il pubblico? È possibile considerare molti altri accordi<br />
alternativi; qual’è il migliore? Ogni singola questione inerente le<br />
procedure sul copyright rientra nel contesto di una simile domanda.<br />
Se non si comprende pienamente la natura di tale domanda,<br />
tenderemo a prendere decisioni errate sulle varie questioni coinvolte.<br />
La Costituzione autorizza l’assegnazione dei poteri del copyright<br />
agli autori. In pratica, costoro tipicamente li cedono agli editori;<br />
generalmente spetta a questi ultimi, non agli autori, l’esercizio di<br />
tali poteri onde trarne la maggior parte dei benefici, pur se agli autori<br />
ne viene riservata una piccola porzione. Ne consegue che normalmente<br />
sono gli editori a spingere per l’incremento dei poteri<br />
conferiti dal copyright. Onde offrire una riflessione più attenta sulla<br />
realtà del copyright, piuttosto che sui suoi miti, il presente saggio<br />
cita gli editori, anziché gli autori, come detentori dei poteri del<br />
copyright. Ci si riferisce inoltre agli utenti delle opere sotto copyright<br />
con il termine di “lettori”, pur se non sempre s’intende l’azione<br />
di leggere, perché “utenti” è troppo astratto e lontano.<br />
Primo errore: “il raggiungimento di un equilibrio”<br />
Il contratto sul copyright pone il pubblico al primo posto: il beneficio<br />
per il lettore è un fine in quanto tale; i benefici (nel caso esistano)<br />
per gli editori non rappresentano altro che un mezzo per il<br />
116
aggiungimento di quel fine. Gli interessi dei lettori e quelli degli<br />
editori sono qualitativamente diseguali nelle rispettive priorità. Il<br />
primo passo verso un’errata interpretazione sugli obiettivi del copyright<br />
consiste nell’elevare gli interessi degli editori al medesimo<br />
livello d’importanza di quelli dei lettori.<br />
Si dice spesso che la legislazione statunitense sul copyright mira al<br />
“raggiungimento di un equilibrio” tra gli interessi degli editori e<br />
quelli dei lettori. I sostenitori di questa interpretazione la presentano<br />
come una riproposizione delle posizioni di partenza affermate<br />
nella Costituzione; in altri termini, ciò viene ritenuto l’equivalente<br />
del contratto sul copyright.<br />
Ma le due interpretazioni sono tutt’altro che equivalenti: sono differenti<br />
a livello concettuale, come pure nelle implicazioni annesse.<br />
L’idea di equilibrio dà per scontato che gli interessi di editori e lettori<br />
differiscano per importanza soltanto a livello quantitativo,<br />
rispetto a “quanto peso” va assegnato a tali interessi e in quali circostanze<br />
questi vadano applicati. Allo scopo di inquadrare la questione<br />
in un simile contesto, spesso si ricorre al concetto di “partecipazione<br />
equa”; in tal modo si assegna il medesimo livello d’importanza<br />
a ciascun tipo d’interesse per quanto concerne le decisioni<br />
sulle procedure applicative. Questo scenario ripudia la distinzione<br />
qualitativa tra gli interessi degli editori e quelli dei lettori che<br />
è alla radice della partecipazione del governo nelle trattative contrattuali<br />
sul copyright.<br />
Le conseguenze di una simile alterazione della situazione appaiono<br />
di ampia portata, perché la grande protezione del pubblico inclusa<br />
nel contratto sul copyright – l’idea secondo cui i privilegi del copyright<br />
possano trovare giustificazione soltanto in nome dei lettori,<br />
mai in nome degli editori – viene ripudiata dall’interpretazione del<br />
“raggiungimento di un equilibrio”. Poichè l’interesse degli editori<br />
117
è considerato un fine in se stesso, può motivarne i privilegi sul copyright;<br />
in altre parole, il concetto di “equilibrio” sostiene che i privilegi<br />
possano trovare giustificazione in nome di qualche soggetto che<br />
non sia il pubblico.<br />
A livello pratico, la conseguenza di tale concetto di “equilibrio” consiste<br />
nel ribaltare l’onere di motivare i cambiamenti da apportare<br />
alle legislazioni in materia. Il contratto sul copyright impegna gli<br />
editori a convincere i lettori nel cedere loro determinate libertà. Praticamente<br />
l’idea di equilibrio capovolge quest’onere, perché in<br />
genere non esiste alcun dubbio che gli editori trarranno beneficio<br />
dai privilegi aggiuntivi. Così, a meno di non comprovare un danno<br />
arrecato ai lettori, sufficiente da “pesare di più” di tale beneficio,<br />
siamo inclini a concludere che agli editori vada garantito pressoché<br />
qualsiasi privilegio richiesto.<br />
L’idea del “raggiungimento di un equilibrio” tra editori e lettori va<br />
respinta, in quanto nega a questi ultimi la priorità cui hanno diritto.<br />
Raggiungere un equilibrio con cosa?<br />
Quando il governo acquista qualcosa per il pubblico, agisce in nome<br />
di quest’ultimo; è sua responsabilità ottenere l’accordo più vantaggioso<br />
possibile – per il pubblico, non per gli altri soggetti coinvolti<br />
nella trattativa.<br />
Ad esempio, quando firma un contratto con degli imprenditori edili<br />
per la costruzione di autostrade, il governo tende a spendere la minima<br />
quantità possibile di denaro pubblico. Le agenzie statali ricorrono<br />
a gare d’appalto competitive per spingere i prezzi al ribasso.<br />
A livello pratico, il prezzo non può risultare pari a zero, perché gli<br />
imprenditori non accettano contratti così bassi. Pur in assenza di<br />
condizioni particolari, costoro hanno i medesimi diritti di ogni cittadino<br />
in una società libera, compreso quello di rifiutare contratti<br />
118
svantaggiosi; per un imprenditore anche l’offerta più bassa potrebbe<br />
rivelarsi sufficiente onde guadagnare qualcosa. Esiste quindi una<br />
sorta di equilibrio. Ma non si tratta di un equilibrio deliberatamente<br />
cercato tra due interessi che esigono considerazioni particolari. È<br />
un equilibrio tra un obiettivo pubblico e le dinamiche del mercato.<br />
Il governo tenta di ottenere per i contribuenti motorizzati il<br />
miglior contratto possibile nel contesto di una società libera e di un<br />
libero mercato.<br />
Nella trattativa contrattuale sul copyright, il governo spende la nostra<br />
libertà anziché il nostro denaro. La prima è più preziosa del secondo,<br />
motivo per cui la responsabilità del governo nello spenderla in maniera<br />
saggia e parsimoniosa è decisamente maggiore di quella relativa alle<br />
spese economiche. Lo stato non deve mai porre gli interessi degli editori<br />
sullo stesso piano della libertà del pubblico.<br />
Non “equilibrio” ma “scambio”<br />
L’idea di raggiungere un equilibrio tra gli interessi dei lettori e quelli<br />
degli editori è la maniera sbagliata di giudicare le procedure sul<br />
copyright, ma in realtà esistono due interessi da soppesare: entrambi<br />
riguardano i lettori. Questi hanno interesse nella propria libertà<br />
per l’utilizzo delle opere pubblicate; a seconda delle circostanze,<br />
possono inoltre avere interesse nell’incoraggiare la pubblicazione<br />
tramite qualche sistema d’incentivazione.<br />
Il termine “equilibrio”, nelle discussioni in tema di copyright, è<br />
divenuto sinonimo di scorciatoia per l’idea di “raggiungere l’equilibrio”<br />
tra lettori ed editori. Di conseguenza, l’uso di tale termine<br />
per indicare questi due interessi dei lettori provocherebbe confusione<br />
– c’è bisogno di un altro termine.<br />
In generale, quando un’entità presenta due obiettivi in parziale conflitto<br />
tra loro e non è in grado di raggiungerli entrambi in maniera<br />
119
completa, la situazione viene definita “scambio”. Pertanto, anziché<br />
riferirci al “raggiungimento del giusto equilibrio” tra entità diverse,<br />
dovremmo parlare di “trovare il giusto scambio tra il consumo<br />
e la conservazione della libertà”.<br />
Secondo errore: privilegiare un unico aspetto<br />
Il secondo errore delle politiche sul copyright consiste nell’adottare<br />
l’obiettivo di massimizzare la quantità di opere pubblicate, non<br />
soltanto di incrementarle. L’erroneo concetto del “raggiungimento<br />
del giusto equilibrio” aveva posto gli editori al medesimo livello dei<br />
lettori; questo secondo errore li eleva molto al di sopra.<br />
Quando compriamo qualcosa, generalmente non acquistiamo<br />
l’intera quantità di articoli disponibili in magazzino o il modello<br />
più costoso. Preferiamo piuttosto risparmiare per ulteriori<br />
compere, acquistando soltanto quanto ci occorre di una determinata<br />
merce, e scegliendo un modello di buon livello anziché<br />
della qualità migliore in assoluto. Sulla base del principio della<br />
diminuzione del profitto, spendere tutti i soldi per un unico articolo<br />
si rivela con tutta probabilità una gestione inefficiente delle<br />
risorse disponibili.<br />
La diminuzione del profitto si applica al copyright come a qualsiasi<br />
acquisto. Le prime libertà che dovremmo scambiare sono quelle<br />
di cui potremo fare più facilmente a meno, pur offrendo il maggiore<br />
incoraggiamento possibile alla pubblicazione. Mentre barattiamo<br />
le libertà aggiuntive via via più familiari, ci rendiamo conto<br />
come ogni scambio comporti un sacrifico maggiore del precedente,<br />
portando al contempo un minore incremento all’attività letteraria.<br />
Assai prima che tale incremento raggiunga quota zero, possiamo<br />
ben dire che ciò non giustifica ulteriori aumenti di prezzo;<br />
dovremmo quindi raggiungere un accordo che preveda l’aumento<br />
120
del numero delle pubblicazioni in circolazione, senza tuttavia arrivare<br />
al massimo possibile.<br />
L’accettazione dell’obiettivo di massimizzare la quantità delle pubblicazioni<br />
comporta il rifiuto aprioristico di tutti questi accordi più<br />
saggi e vantaggiosi – tale posizione impone al pubblico di cedere<br />
quasi tutta la propria libertà di utilizzo delle opere pubblicate, in<br />
cambio di un incremento modesto delle pubblicazioni.<br />
La retorica della massimizzazione<br />
In pratica, l’obiettivo di massimizzare le pubblicazioni prescindendo<br />
dal prezzo imposto alla libertà si fonda sulla diffusa retorica<br />
secondo cui la copia pubblica sia qualcosa di illegale, ingiusto<br />
e intrinsecamente sbagliato. Ad esempio, gli editori definiscono<br />
“pirati” coloro che copiano, termine dispregiativo mirato<br />
ad equiparare l’assalto a una nave e la condivisione delle informazioni<br />
con il vicino di casa. (Quel termine dispregiativo era già<br />
stato impiegato dagli autori per descrivere quegli editori che avevano<br />
scovato dei modi legali per pubblicare edizioni non autorizzate;<br />
il suo utilizzo attuale da parte degli editori riveste un significato<br />
pressoché opposto). Questa retorica ripudia direttamente<br />
le basi costituzionali a supporto del copyright, ma si presenta<br />
come rappresentativa dell’inequivocabile tradizione del sistema<br />
legale americano.<br />
In genere la retorica del “pirata” viene accettata perché inonda a tal<br />
punto tutti i media che pochi riescono ad afferrarne la radicalità. Si<br />
dimostra efficace perché, se la copia a livello pubblico è fondamentalmente<br />
qualcosa di illegittimo, non potremmo mai obiettare<br />
alla richiesta degli editori di cedere quella libertà che ci appartiene.<br />
In altre parole, quando il pubblico viene sfidato a spiegare<br />
perché gli editori non dovrebbero ottenere ulteriori poteri, il moti-<br />
121
vo più importante di tutti – “vogliamo copiare” – subisce una degradazione<br />
aprioristica.<br />
Ciò non lascia spazio per controbattere l’incremento di potere assegnato<br />
al copyright se non ricorrendo a questioni collaterali. Di conseguenza<br />
oggi l’opposizione al maggior potere del copyright poggia<br />
quasi esclusivamente su tali questioni collaterali, e non osa mai citare<br />
la libertà di distribuire delle copie in quanto legittimo valore pubblico.<br />
A livello pratico, l’obiettivo della massimizzazione consente agli editori<br />
di sostenere che “una determinata pratica sta portando alla riduzione<br />
delle vendite - o crediamo possa farlo – così riteniamo che ciò<br />
sia causa della diminuzione di una quantità imprecisata di pubblicazioni,<br />
e di conseguenza occorre proibirla”. Siamo portati a credere<br />
all’oltraggiosa conclusione secondo cui il bene pubblico vada<br />
misurato dalle vendite degli editori. Quello che va bene per i Grandi<br />
Media va bene per gli Stati Uniti.<br />
Terzo errore: massimizzare il potere degli editori<br />
Una volta riconosciuto agli editori l’assenso a una politica mirata<br />
alla massimizzazione della quantità di pubblicazioni in circolazione,<br />
costi quel che costi, il passo successivo è quello di ritenere che<br />
ciò significhi assegnare loro i massimi poteri possibili – ricorrendo<br />
al copyright per regolamentare ogni impiego immaginabile di un’opera,<br />
oppure applicando altri strumenti legali dall’effetto analogo,<br />
tipo le licenze accettate automaticamente dall’utente nel momento<br />
in cui apre la confezione originale di un prodotto. Quest’obiettivo,<br />
che implica l’abolizione di ogni uso legittimo e del diritto alla prima<br />
vendita, viene perseguito con forza a ogni livello governativo,<br />
dai singoli stati USA alle organizzazioni internazionali.<br />
Si tratta una procedura errata perché norme sul copyright eccessi-<br />
122
vamente rigide impediscono la creazione di opere nuove e utili. Ad<br />
esempio, Shakespeare prese in prestito la trama di alcuni suoi testi<br />
teatrali da altri lavori in circolazione già da alcuni decenni; applicando<br />
a quell’epoca le odierne norme sul copyright, le sue opere<br />
avrebbero dovuto considerarsi illegali.<br />
Pur mirando alla maggiore quantità possibile di pubblicazioni,<br />
volendo ignorarne il prezzo ai danni del pubblico, è sbagliato arrivarci<br />
massimizzando i poteri degli editori. Come mezzo per la promozione<br />
del progresso, ciò si rivela controproducente.<br />
I risultati dei tre errori<br />
L’attuale tendenza delle legislazioni sul copyright è quella di concedere<br />
agli editori maggiori poteri per periodi di tempo più lunghi.<br />
Il principio concettuale del copyright, che emerge distorto a seguito<br />
della serie di errori sopra illustrati, raramente offre la base per<br />
poter dire no a tale tendenza. A parole i legislatori sostengono l’idea<br />
del copyright al servizio del pubblico, mentre in realtà cedono<br />
a qualunque richiesta degli editori.<br />
Ad esempio, così si è espresso il senatore statunitense Hatch nel<br />
1995, durante la presentazione del disegno di legge S. 483 finalizzato<br />
all’estensione dei termini del copyright di ulteriori 20 anni:<br />
«Credo che oggi il punto sia quello di dare una risposta alla domanda<br />
se gli odierni termini del copyright possano tutelare adeguatamente<br />
gli interessi degli autori e alla questione connessa se quei termini<br />
possano continuare a fornire un sufficiente incentivo per la<br />
creazione di nuove opere».<br />
Questa legge ha esteso il copyright su opere già pubblicate, scritte<br />
a partire dal 1920. La modifica è stata un regalo agli editori senza<br />
alcun possibile beneficio per il pubblico, poichè è impossibile<br />
123
aumentare in maniera retroattiva il numero di libri pubblicati allora.<br />
Tuttavia, ciò costa al pubblico una libertà oggi significativa – la<br />
redistribuzione dei libri del passato.<br />
La normativa estende inoltre il copyright di opere che devono essere<br />
ancora scritte. Per i lavori su commissione, il copyright durerà<br />
95 anni invece degli attuali 75. In teoria ciò dovrebbe rivelarsi un<br />
maggiore incentivo per la creazione di nuove opere; ma qualunque<br />
editore che sostenga la necessità di un simile incentivo dovrebbe<br />
motivarlo con le previsioni di bilancio fino all’anno 2075.<br />
Inutile aggiungere che il Congresso non ha posto in dubbio gli<br />
argomenti degli editori: la legislazione per l’estensione del copyright<br />
è stata approvata nel 1998. È stata chiamata Sonny Bono<br />
Copyright Term Extension Act, riprendendo il nome di uno dei<br />
proponenti poi scomparso in quell’anno. La vedova, che ne ha<br />
proseguito il mandato parlamentare, ha rilasciato la seguente<br />
dichiarazione:<br />
«In realtà, Sonny voleva far durare il copyright all’infinito. Qualcuno<br />
dello staff mi ha informato che ciò violerebbe la Costituzione. Vi<br />
invito tutti a lavorare con me per rafforzare le norme sul copyright<br />
in ogni modo possibile. Come sapete, esiste anche una proposta di<br />
Jack Valenti per farlo durare indefinitamente meno un giorno. Forse<br />
la commissione potrebbe prenderla in esame nel corso della prossima<br />
sessione congressuale».<br />
La Corte Suprema ha accettato di esaminare la richiesta dell’annullamento<br />
di tali norme sulla base del fatto che un’estensione<br />
retroattiva sia contraria all’obiettivo costituzionale della promozione<br />
del progresso.<br />
Un’altra legge, approvata nel 1996, ha trasformato in reato grave la<br />
copia, in quantità sufficientemente elevate, di qualsiasi lavoro pubblicato,<br />
anche nel caso di successiva distribuzione agli amici per<br />
124
pura gentilezza. In precedenza ciò non veniva affatto considerato<br />
reato negli Stati Uniti.<br />
Una legislazione finanche peggiore, il Digital Millennium Copyright<br />
Act (DMCA), è stata progettata per imporre nuovamente protezioni<br />
anti-copia (detestate dagli utenti informatici), rendendo<br />
reato ogni infrazione a tali protezioni, o perfino la pubblicazione di<br />
informazioni sul modo di superarle. Questa legge dovrebbe essere<br />
chiamata “Domination by Media Corporations Act” (legge per la<br />
dominazione delle corporation dei media) perché consente di fatto<br />
agli editori la possibilità di scrivere leggi sul copyright a proprio<br />
vantaggio. Queste norme permettono loro l’imposizione di qualsiasi<br />
tipo di restrizioni sull’utilizzo di un’opera, con le annesse sanzioni<br />
repressive, purché le opere siano dotate di qualche tipo di crittazione<br />
o di licenza onde poterle applicare.<br />
Una delle tesi a sostegno di questa legge era che sarebbe servita<br />
all’implementazione di un recente trattato mirato all’espansione dei<br />
poteri del copyright. Il trattato è stato promulgato dalla World<br />
Intellectual Property Organization, entità in cui dominano gli interessi<br />
dei detentori di copyright e di brevetti, con l’aiuto della pressione<br />
esercitata dall’amministrazione Clinton; poiché il trattato<br />
non fa altro che ampliare il potere del copyright, è assai dubbio che<br />
possa servire gli interessi del pubblico in altri paesi. In ogni caso, la<br />
normativa andò ben oltre quanto richiesto dal trattato stesso.<br />
Le biblioteche costituirono un elemento chiave nell’opposizione a<br />
quella proposta, particolarmente riguardo alle norme che impedivano<br />
le varie forme di copia considerate “uso legittimo”. Come hanno<br />
risposto gli editori? L’ex deputato Pat Schroeder, attualmente<br />
impegnato in azioni di lobby per conto della Association of American<br />
Publisher, l’Associazione degli editori statunitensi, ha sostenuto<br />
che “gli editori non possono aderire alle richieste [delle biblio-<br />
125
teche]”. Poiché queste ultime chiedevano semplicemente di mantenere<br />
parte dello status quo, si potrebbe replicare chiedendosi<br />
come abbiano fatto gli editori a sopravvivere fino a oggi.<br />
Il parlamentare Barney Frank, nel corso di una riunione con il sottoscritto<br />
e altri oppositori della legge, mostrò fino a che punto sia stato<br />
travisato il concetto di copyright incluso nella costituzione. Secondo<br />
il deputato statunitense, occorreva stabilire urgentemente nuovi poteri,<br />
sostenuti da pene severe, perché “l’industria cinematografica è<br />
preoccupata”, come pure “il settore discografico” e “altre industrie”.<br />
Allora gli ho chiesto: «Ma ciò sarebbe forse a favore dell’interesse pubblico?».<br />
La sua replica è stata: «Perché mai tiri fuori l’interesse pubblico?<br />
Queste persone creative non devono cedere i propri diritti a favore<br />
dell’interesse pubblico!». Così “l’industria” viene identificata con le<br />
“persone creative” cui dà lavoro, il copyright è trattato come un diritto<br />
che le appartiene e la costituzione viene completamente ribaltata.<br />
IL DMCA è stato approvato nel 1998. Nella stesura finale si legge<br />
che l’uso legittimo rimane formalmente tale, ma gli editori hanno<br />
la facoltà di vietare tutto il software o l’hardware necessario per<br />
poterlo mettere in pratica. Di fatto, l’uso legittimo viene proibito.<br />
Sulla base di questa legge, l’industria cinematografica ha imposto<br />
la censura sul software libero per la lettura e la visione dei DVD, e<br />
perfino sulle relative informazioni. Nell’aprile 2001 il professor<br />
Edward Felten della Princeton University, minacciato di denuncia<br />
dalla Recording Industry Association of America (RIAA), ha ritirato<br />
una ricerca scientifica in cui illustrava quanto aveva imparato<br />
sul sistema cifrato proposto per impedire l’accesso alla musica registrata.<br />
Stiamo inoltre assistendo all’avvento di libri elettronici (e-book) che<br />
cancellano molte delle libertà tipiche del lettore tradizionale – ad esempio,<br />
quella di prestare il libro a un amico, di rivenderlo a un libreria<br />
126
dell’usato, di prenderlo in prestito da una biblioteca, di acquistarlo<br />
senza dover fornire le proprie generalità al database aziendale, perfino<br />
la libertà di poterlo rileggere. Generalmente i libri elettronici cifrati<br />
impediscono tutte queste libertà – è possibile leggerli soltanto grazie<br />
a un particolare software segreto, progettato per imporre simili restrizioni<br />
al lettore.<br />
Non acquisterò mai uno di questi e-book crittati e protetti, e spero<br />
che anche voi li rifiuterete. Se un libro elettronico non offre le<br />
medesime libertà di un tradizionale volume cartaceo, non accettatelo!<br />
Chiunque diffonda in modo indipendente un software in grado di<br />
leggere gli e-book cifrati rischia di andare in galera. Nel 2001 un<br />
programmatore russo, Dimitry Sklyarov, venne arrestato mentre si<br />
trovava negli Stati Uniti per intervenire a una conferenza, perché<br />
aveva scritto un tale programma in Russia, dove ciò era pienamente<br />
legale. Ora anche la Russia sta varando una legge per vietare simili<br />
attività, e recentemente l’Unione Europea ne ha adottata una analoga.<br />
Finora il mercato di massa dei libri elettronici si è dimostrato un<br />
fallimento commerciale, ma non perché i lettori abbiano deciso di<br />
difendere le proprie libertà; gli e-book sono poco interessanti per<br />
altri motivi, tra cui la difficile lettura dei testi sul monitor del computer.<br />
A tempi lunghi non possiamo affidare la nostra tutela a questo<br />
felice incidente di percorso; il prossimo tentativo di promuovere<br />
gli e-book prevede l’utilizzo di “carta elettronica” – oggetti somiglianti<br />
ai comuni volumi all’interno dei quali scaricare libri elettronici<br />
crittati e protetti. Se questa superficie simile alla carta dovesse<br />
risultare più leggibile degli odierni monitor, saremo chiamati a<br />
tutelare la nostra libertà onde poterla conservare. Nel frattempo gli<br />
e-book vanno aprendosi un mercato di nicchia: la New York Uni-<br />
127
versity e altri istituti richiedono agli studenti di acquistare i libri di<br />
testo nel formato elettronico protetto.<br />
L’industria dei media non è ancora soddisfatta. Nel 2001 il senatore<br />
Hollings, sovvenzionato dalla Disney, ha presentato una proposta<br />
di legge chiamata “Security Systems Standards and Certification<br />
Act” (SSSCA), in seguito rinominata Consumer Broadband and<br />
Digital Television Promotion Act, la quale prevede la presenza in<br />
tutti i computer (e altri apparecchi digitali per la registrazione e la<br />
lettura) di sistemi anti-copia imposti dal governo. Ciò rappresenta<br />
l’obiettivo finale dell’industria, ma il primo punto all’ordine del<br />
giorno mira a vietare qualunque dispositivo in grado di intervenire<br />
sulla sintonia della HDTV (High Definition TV, la TV digitale<br />
ad alta definizione), a meno che non sia progettato in modo tale da<br />
impedire all’utente di “manometterla” (ovvero, di modificarla a scopo<br />
personale). Poichè il software libero è tale proprio perché gli<br />
utenti possano modificarlo, qui ci troviamo di fronte per la prima<br />
volta a una proposta di legge che vieta esplicitamente il software<br />
libero per determinate funzioni. Certamente seguiranno analoghi<br />
divieti per ulteriori funzioni. Nel caso la Federal Communications<br />
Commission statunitense dovesse adottare simili proposte, programmi<br />
di software libero già esistenti quali GNU Radio verrebbero<br />
censurati.<br />
Occorre mobilitarsi a livello politico per bloccare queste normative<br />
(a partire dai seguenti siti web: http://www.digitalspeech.org e<br />
http://www.eff.org).<br />
Come arrivare a un contratto equo<br />
Qual’è la maniera adeguata per stabilire una corretta politica del<br />
copyright? Se quest’ultimo è un patto raggiunto a nome del pubblico,<br />
dovrebbe innanzitutto servire l’interesse pubblico. Il dovere<br />
128
del governo, quando si appresta a smerciare la libertà pubblica, è<br />
quello di vendere soltanto quanto necessario e al prezzo più caro<br />
possibile. Come minimo dovremmo controbilanciare al massimo<br />
l’estensione del copyright pur conservando un’analoga quantità di<br />
pubblicazioni disponibili.<br />
Poiché è impossibile raggiungere questo livello minimo di libertà<br />
tramite gare d’appalto competitive, come nel caso dei progetti edilizi,<br />
quale strada conviene seguire?<br />
Un metodo possibile consiste nel ridurre i privilegi del copyright in<br />
maniera graduale e osservarne i risultati. Verificando se e quando si<br />
raggiunge un livello misurabile nella diminuzione delle pubblicazioni,<br />
potremo capire quanto sia il potere del copyright effettivamente<br />
necessario per il raggiungimento degli obiettivi del pubblico.<br />
Ciò va giudicato tramite l’osservazione diretta, non sulla base<br />
di quanto gli editori ritengano debba accadere, perché questi hanno<br />
tutto l’interesse a esagerare le previsioni negative in caso ne venga<br />
ridotto in qualche modo il potere.<br />
Le politiche sul copyright comprendono svariate dimensioni tra<br />
loro indipendenti, le quali possono essere organizzate in maniera<br />
separata. Dopo aver raggiunto il livello minimo relativo a una di<br />
tali dimensioni, è sempre possibile ridurre altre dimensioni del<br />
copyright pur mantenendo la voluta quantità di pubblicazioni.<br />
Una dimensione importante del copyright riguarda la sua durata,<br />
che tipicamente oggi è dell’ordine di un secolo. La limitazione del<br />
monopolio sulla copia a dieci anni, a partire dalla data di pubblicazione<br />
di un’opera, potrebbe rivelarsi un buon passo iniziale. Un<br />
altro aspetto del copyright – quello concernente la realizzazione di<br />
lavori derivati – potrebbe invece continuare a esistere per un periodo<br />
più lungo.<br />
Perché si parte dalla data di pubblicazione? Perché il copyright su<br />
129
lavori inediti non limita direttamente la libertà dei lettori; avere la<br />
libertà di copiare un’opera è qualcosa di fittizio quando non ne circolano<br />
degli esemplari. Consentire perciò maggior tempo per pubblicare<br />
qualcosa non procura alcun danno. Raramente gli autori<br />
(che in genere prima della pubblicazione sono titolari del copyright)<br />
sceglieranno di ritardare la pubblicazione soltanto per estendere<br />
all’indietro l’esaurimento dei termini del copyright.<br />
Perché dieci anni? Perché è una proposta adeguata; a livello pratico<br />
possiamo ritenere che questa riduzione produrrà scarso impatto<br />
sulle odierne attività editoriali in generale. Per la maggior parte dei<br />
settori e dei generi, le opere di successo sono molto remunerative<br />
nel giro di qualche anno, e perfino tali opere di successo generalmente<br />
vanno fuori catalogo assai prima dei dieci anni. Anche per i<br />
testi di consultazione generale, la cui vita d’utilità può estendersi<br />
fino a parecchi decenni, un copyright di dieci anni dovrebbe risultare<br />
sufficiente: se ne pubblicano regolarmente nuove stesure<br />
aggiornate, e gran parte dei lettori preferiranno acquistare l’ultima<br />
edizione sotto copyright, anziché una versione di dominio pubblico<br />
del decennio precedente.<br />
Dieci anni potrebbe comunque essere un periodo più lungo del<br />
necessario: una volta sistemate le cose, potremmo provare un’ulteriore<br />
riduzione per meglio rifinire il sistema. Nel corso di una<br />
discussione sul copyright durante una manifestazione letteraria,<br />
dove proponevo il termine dei dieci anni, un noto autore di testi<br />
fantastici che mi sedeva accanto protestò con veemenza, sostenendo<br />
che qualunque termine superiore ai cinque anni sarebbe stato<br />
intollerabile.<br />
Ma non c’è motivo di applicare la medesima durata a tutti i tipi di<br />
lavori. Il mantenimento di una stretta uniformità per le politiche<br />
sul copyright non è cruciale all’interesse pubblico, e già le legisla-<br />
130
zioni correnti prevedono numerose eccezioni per impieghi e ambiti<br />
particolari. Sarebbe folle pagare per ogni progetto autostradale la<br />
stessa somma necessaria per i progetti più difficili realizzati nelle<br />
aree più costose del paese; parimenti folle sarebbe “pagare” ogni tipo<br />
di produzione artistica al prezzo più caro in termini di libertà ritenuto<br />
necessario per un’opera specifica.<br />
Così forse i romanzi, i dizionari, i programmi informatici, le canzoni,<br />
le sinfonie e i film dovrebbero seguire una durata diversa per<br />
il copyright, in modo da poterla ridurre per ciascun genere al termine<br />
necessario a garantire la pubblicazione di un certo numero di<br />
lavori. Forse i film che durano più di un’ora potrebbero avere un<br />
copyright di vent’anni, considerandone le spese di produzione. Nel<br />
mio settore, la programmazione informatica, tre anni dovrebbero<br />
bastare, perché i cicli di produzione sono anche più brevi di un tale<br />
periodo.<br />
Un’altra dimensione delle politiche sul copyright riguarda l’estensione<br />
dell’uso legittimo: quelle modalità di riproduzione totale o<br />
parziale di un lavoro, legalmente consentite anche quando l’opera<br />
pubblicata è coperta da copyright. Il primo passo naturale nella<br />
riduzione di questa dimensione del potere del copyright consiste<br />
nel permettere la copia e la distribuzione tra i singoli individui a<br />
livello occasionale, privato e in piccole quantità. In tal modo si eviterebbe<br />
l’intrusione della polizia nella vita privata della gente, pur<br />
avendo probabilmente scarso effetto sulle vendite dei lavori pubblicati.<br />
(Potrebbe rivelarsi necessario intraprendere ulteriori passi<br />
legali onde assicurarsi che le licenze incluse automaticamente nelle<br />
confezioni originali dei prodotti non possano essere utilizzate in<br />
sostituzione del copyright per limitare tali attività di copia). L’esperienza<br />
di Napster dimostra che dovremmo altresì consentire la<br />
redistribuzione integrale non-commerciale a una comunità più<br />
131
vasta – quando una parte così ampia del pubblico decide di copiare<br />
e condividere qualcosa, considerando assai utili simili pratiche,<br />
ciò potrà essere bloccato soltanto ricorrendo a misure draconiane,<br />
e il pubblico merita di avere quanto chiede.<br />
Per i romanzi, e in generale per le opere d’intrattenimento, la redistribuzione<br />
integrale non-commerciale potrebbe dimostrarsi una<br />
libertà sufficiente per i lettori. I programmi informatici, essendo<br />
utilizzati per scopi funzionali (portare a termine determinati compiti),<br />
richiedono ulteriori libertà aggiuntive, compresa la pubblicazione<br />
di versioni migliorate. A motivazione delle libertà che dovrebbero<br />
avere gli utenti di software si veda il testo incluso in questo<br />
stesso volume “La definizione di software libero”. Tuttavia, un compromesso<br />
accettabile potrebbe rivelarsi quello di rendere tali libertà<br />
universalmente disponibili soltanto dopo un ritardo di due o tre<br />
anni dalla data di pubblicazione del programma.<br />
Questa serie di modifiche finirebbero per allineare il copyright con<br />
la volontà del pubblico di usare le tecnologie digitali per copiare. Senza<br />
dubbio gli editori considereranno “sbilanciate” simili proposte;<br />
potrebbero minacciare di prendere le proprie biglie e andarsene via,<br />
ma non lo faranno sul serio, perché il gioco rimarrà comunque redditizio<br />
e sarà l’unico possibile.<br />
Mentre si vanno considerando le possibili riduzioni ai poteri del copyright,<br />
dobbiamo accertarci che le varie aziende del settore non lo sostituiscano<br />
semplicemente con apposite licenze relative all’utente finale.<br />
Sarà necessario vietare l’uso di contratti mirati a imporre restrizioni<br />
sulla copia che vadano oltre quelle già previste dal copyright.<br />
Nel sistema legale statunitense è pratica comune stabilire simili disposizioni<br />
su quanto previsto dai contratti non-negoziabili per settori di<br />
grande consumo.<br />
132
Una nota personale<br />
La mia attività riguarda la programmazione informatica, non l’ambito<br />
giuridico. Mi sono interessato alle questioni legate al copyright<br />
perché è impossibile evitarle nel mondo delle reti informatiche<br />
(essendo internet quella più vasta al mondo). In quanto utente di<br />
computer e di reti informatiche per trent’anni, attribuisco molto<br />
valore alle libertà che abbiamo abdicato, e a quelle che potremmo<br />
perdere in futuro. In quanto autore, rifiuto la mistica romantica che<br />
ci considera alla stregua di creature semidivine, immagine spesso<br />
citata dagli editori a giustificare l’incremento di poteri sul copyright<br />
agli autori, i quali poi li trasferiscono agli stessi editori.<br />
Per la gran parte questo saggio presenta fatti e ragionamenti facilmente<br />
verificabili, oltre a una serie di proposte su cui ciascuno di<br />
noi può farsi una propria opinione. Chiedo tuttavia al lettore di<br />
accettare un solo elemento basato sulla mia parola: autori come il<br />
sottoscritto non meritano di avere poteri speciali sugli altri. Se qualcuno<br />
vuole ricompensarmi ulteriormente per il software o i libri che<br />
ho scritto, accetto volentieri un assegno – ma vi invito a non rinunciare<br />
alla vostra libertà a nome mio.<br />
Questa è la prima versione mai pubblicata di questo saggio, e fa parte del<br />
libro Free Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman,<br />
GNU Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
133
La scienza deve<br />
mettere da parte<br />
il copyright<br />
Dovrebbe essere evidente che lo scopo dell’editoria scientifica è la diffusione<br />
delle conoscenze scientifiche, e che le relative pubblicazioni<br />
esistono per facilitare un simile processo. Di conseguenza le norme<br />
che regolamentano tale attività editoriale dovrebbero assecondare il<br />
raggiungimento di quest’obiettivo.<br />
Le regole attualmente in vigore, note come copyright, vennero stabilite<br />
all’epoca dell’invenzione della stampa, metodo intrinsecamente<br />
centralizzato per la copia a livello di massa. Nel settore della stampa,<br />
il copyright sugli articoli di queste pubblicazioni riguardava soltanto<br />
gli editori, imponendo loro l’ottenimento del permesso per la pubblicazione<br />
dei materiali, e i potenziali plagiaristi. Ciò consentì a quell’attività<br />
editoriale di operare e diffondere conoscenza, senza interferire<br />
con l’utile attività di ricercatori e studenti, sia in quanto autori o<br />
lettori dei testi. Si trattava di norme adeguate a quel sistema.<br />
Tuttavia, la tecnologia moderna per l’editoria scientifica è il World<br />
Wide Web. Quali le norme che possono garantire al meglio la massima<br />
diffusione di materiale e conoscenze scientifiche sul Web? Gli articoli<br />
andrebbero distribuiti in formati non-proprietari, garantendone<br />
il libero accesso a tutti. E chiunque dovrebbe avere il diritto a crearne<br />
dei mirror, ovvero a ripubblicarli altrove in versione integrale con gli<br />
adeguati riconoscimenti.<br />
Regole queste che andrebbero applicate sia a testi passati che futuri,<br />
quando venga distribuito in formato elettronico. Ma non esiste alcun<br />
bisogno reale di modificare l’attuale sistema di copyright relativo alle<br />
134
pubblicazioni cartacee, poichè il problema non riguarda quel settore.<br />
Sembra purtroppo che non tutti siano d’accordo con l’evidente verità<br />
che ha aperto questo saggio. Numerosi editori di pubblicazioni scientifiche<br />
sembrano ritenere che lo scopo dell’editoria specializzata sia<br />
quello di consentire loro quell’attività in modo da incassare le quote<br />
di abbonamento da ricercatori e studenti. Un ragionamento meglio<br />
noto come “confondere il fine con il mezzo”.<br />
L’approccio di costoro è stato quello di impedire l’accesso perfino alla<br />
lettura del materiale scientifico a quanti possono e sono disposti a<br />
pagare per farlo. Si è ricorso alle leggi sul copyright, che rimangono in<br />
vigore nonostante l’inadeguatezza rispetto alle reti informatiche, come<br />
scusa per impedire ai ricercatori di scegliere nuove regole.<br />
Nell’interesse della cooperazione scientifica e del futuro dell’umanità,<br />
dobbiamo rifiutare alla radice un simile approccio – non soltanto i<br />
sistemi di blocco realizzati su queste basi, ma anche le errate priorità<br />
a cui sono ispirati.<br />
Talvolta questi editori sostengono che l’accesso online richiede l’impiego<br />
di costosi server di alta potenza, e che devono imporre delle tariffe<br />
onde pagare le relative spese. Questo “problema” è una conseguenza dell’analoga<br />
“soluzione”. Offriamo a tutti la libertà di creare dei mirror, e<br />
saranno le biblioteche di ogni parte del mondo a occuparsi di tali mirror<br />
per far fronte alle richieste. Una soluzione decentralizzata che ridurrà<br />
le necessità dell’ampiezza di banda e garantirà la rapidità d’accesso, tutelando<br />
al contempo i materiali di ricerca contro perdite accidentali.<br />
Secondo gli editori, inoltre, lo stipendio dei redattori interni richiede<br />
l’imposizione di tariffe per l’accesso ai materiali. Diamo per scontato<br />
il fatto che i redattori vadano remunerati. La spesa per la revisione di<br />
una comune ricerca varia tra l’uno e il tre per cento del costo necessario<br />
alla sua realizzazione. Una percentuale talmente ridotta non può<br />
giustificare l’ostruzione nell’utilizzo dei risultati delle ricerche.<br />
135
Al contrario, le spese di revisione potrebbero essere recuperate, ad<br />
esempio, imponendo una tariffa per pagina a carico degli autori, i quali<br />
a loro volta verrebbero rimborsati dagli sponsor della ricerca. È probabile<br />
che costoro non sollevino obiezioni, visto che attualmente<br />
sostengono spese ben più sostanziose per via delle tariffe a copertura<br />
degli abbonamenti delle biblioteche universitarie alle varie pubblicazioni.<br />
Modificando il modello economico in modo che le spese di revisione<br />
siano a carico degli sponsor della ricerca, è possibile eliminare<br />
l’apparente bisogno di limitare la visione dei materiali on-line. L’autore<br />
occasionale non affiliato con alcuna istituzione o azienda, e privo<br />
del sostegno di uno sponsor, potrebbe essere esente dalle spese di<br />
revisione, i cui costi andrebbero aggiunti a quegli autori che operano<br />
all’interno delle istituzioni.<br />
Un’ulteriore giustificazione per l’imposizione di quote per accedere<br />
alle pubblicazioni on-line concerne la conversione degli archivi cartacei<br />
in formato digitale. Occorre certamente portare a termine simili<br />
progetti, ma dovremmo trovare modalità alternative per sostenerne le<br />
spese, modalità che non prevedano simili restrizioni d’accesso. Il lavoro<br />
in se stesso non risulterà più difficoltoso, né produrrà la maggiorazione<br />
delle spese. È controproducente riversare gli archivi in formato<br />
digitale per poi sprecarne i risultati limitandone l’accesso.<br />
La Costituzione statunitense sostiene che il copyright esiste per “promuovere<br />
il progresso della scienza”. Quando è il copyright a impedire<br />
tale progresso, la scienza deve metterlo da parte.<br />
Questo saggio è apparso per la prima volta nel 1991 sul sito<br />
http://www.nature.com nella sezione Web Debates. Questa versione fa parte<br />
del libro Free Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman,<br />
GNU Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
136
Cos’è il copyleft?<br />
Il copyleft [permesso d’autore] è un metodo generale per realizzare<br />
un programma di software libero e richiedere che anche tutte le<br />
versioni modificate e ampliate dello stesso rientrino sotto il software<br />
libero.<br />
La maniera più semplice per rendere libero un programma è quella di<br />
farlo diventare di pubblico dominio, senza copyright [diritto d’autore].<br />
Ciò consente a chiunque di condividere tale programma e i relativi<br />
perfezionamenti, se questa è l’intenzione dell’autore. Ma così facendo,<br />
qualcuno poco incline alla cooperazione potrebbe trasformarlo in<br />
software proprietario. Potrebbe apportarvi delle modifiche, poche o<br />
tante che siano, e distribuirne il risultato come software proprietario.<br />
Coloro che lo ricevono in questa versione modificata non hanno la stessa<br />
libertà riconosciuta loro dall’autore originale; è stato l’intermediario<br />
a strappargliela.<br />
L’obiettivo del progetto GNU è quello di offrire a tutti gli utenti la<br />
libertà di ridistribuire e modificare il software GNU. Se l’intermediario<br />
potesse strappar via la libertà, potremmo vantare un gran<br />
numero di utenti, ma privati della libertà. Di conseguenza, anziché<br />
rendere il software GNU di pubblico dominio, lo trasformiamo in<br />
“copyleft”.<br />
Questo specifica che chiunque ridistribuisca il software, con o senza<br />
modifiche, debba passare oltre anche la libertà di poterlo copiare<br />
e modificare ulteriormente. Il copyleft garantisce che ogni utente<br />
conservi queste libertà.<br />
Il copyleft fornisce inoltre ad altri programmatori l’incentivo ad<br />
137
aggiungere propri contributi al software libero. Importanti programmi<br />
liberi, quali il compilatore GNU C++, esistono soltanto<br />
grazie a tali incentivi.<br />
Il copyleft aiuta altresì quei programmatori disposti a offrire contributi<br />
per migliorare il software libero a ottenerne il permesso.<br />
Spesso costoro lavorano per aziende o università che sarebbero<br />
disposte a quasi tutto pur di guadagnare qualcosa. Un programmatore<br />
potrebbe voler offrire alla comunità le proprie modifiche,<br />
ma il datore di lavoro vorrebbe invece inserirle all’interno di un prodotto<br />
di software proprietario.<br />
Quando gli spieghiamo che è illegale distribuirne versioni migliorate<br />
se non come software libero, generalmente il datore di lavoro<br />
decide di diffonderle in quanto tali piuttosto che buttarle via.<br />
Per trasformare un programma in copyleft, prima lo dichiariamo<br />
sotto copyright; poi aggiungiamo i termini di distribuzione, strumento<br />
legale onde garantire a chiunque il diritto all’utilizzo, alla<br />
modifica e alla redistribuzione del codice di quel programma o di<br />
qualsiasi altro da esso derivato, ma soltanto nel caso in cui i termini<br />
della distribuzione rimangano inalterati. Così il codice e le libertà<br />
diventano inseparabili a livello legale.<br />
Gli sviluppatori di software proprietario ricorrono al copyright per<br />
rubare agli utenti la propria la libertà; noi usiamo il copyright per<br />
tutelare quella libertà. Ecco perché abbiamo scelto il nome opposto,<br />
modificando “copyright” in “copyleft”.<br />
Il copyleft è un concetto generale; esistono svariate modalità per<br />
definirne i dettagli. Nel progetto GNU, i termini specifici della<br />
nostra distribuzione vengono indicati nella GNU General Public<br />
License (Licenza Pubblica Generica GNU), spesso abbreviata in<br />
GNU GPL. Al riguardo esiste l’apposita pagina che risponde alle<br />
domande più frequenti (FAQ, Frequently Asked Questions:<br />
138
http://www.gnu.org/licenses/gpl-faq.html). È inoltre possibile informarsi<br />
sul perché la Free Software Foundation riceva dei progetti sotto<br />
copyright da vari collaboratori (http://www.gnu.org/copyleft/whyassign.html).<br />
Una forma alternativa di copyleft, la GNU Lesser General Public<br />
License, nota con l’acronimo LGPL, viene applicata ad alcune librerie<br />
GNU, ma non a tutte. Inizialmente questa licenza era chiamata<br />
GNU Library GPL, ma ne abbiamo modificato il nome perché<br />
quello precedente incoraggiava gli sviluppatori a usarla con maggior<br />
frequenza di quanto avessero dovuto. La GNU Library GPL,<br />
è tuttora disponibile in formato HTML e testo, pur essendo stata<br />
superata dalla LGPL.<br />
La GNU Free Documentation License, abbreviata in FDL (Licenza<br />
per Documentazione Libera GNU) è una forma di copyleft stilata<br />
per l’utilizzo in manuali, libri di testo o altri documenti onde<br />
garantire a chiunque l’effettiva libertà di copiare e ridistribuire tali<br />
materiali, con o senza modifiche, sia a livello commerciale che noncommerciale.<br />
La licenza appropriata è inclusa in numerosi manuali<br />
e in ogni distribuzione del codice sorgente GNU.<br />
La GNU GPL è progettata in modo da poter essere facilmente<br />
applicata a ogni programma, qualora l’autore ne detenga il copyright.<br />
Per farlo non è necessario apportare modifiche a tale licenza,<br />
basta aggiungere al programma una nota che faccia corretto riferimento<br />
al testo della GNU GPL.<br />
Per rendere copyleft un programma usando la GNU GPL oppure<br />
la GNU LGPL, occorre riferirsi alla pagina con le apposite istruzioni<br />
(http://www.gnu.org/copyleft/gpl-howto.html). È importante<br />
notare che, qualora si decida di fare uso della GPL, bisogna riportarne<br />
il testo per intero. Si tratta di un insieme integrale, di cui non<br />
è consentita la copia parziale. (Analogo discorso per la LGPL).<br />
139
Il ricorso agli stessi termini di distribuzione per programmi diversi<br />
tra loro ne facilita la copia del codice. Poichè tutti i programmi<br />
seguono i medesimi termini di distribuzione, non occorre preoccuparsi<br />
se questi siano o meno compatibili. La LGPL comprende<br />
una nota che consente la modifica dei termini di distribuzione per<br />
aderire alla GPL normale, in modo da renderne possibile la copia<br />
del codice in un altro programma già coperto dalla GPL.<br />
Per rendere copyleft un manuale tramite la GNU FDL si consulti la<br />
pagina delle relative istruzioni (http://www.gnu.org/copyleft/fdl-howto.html).<br />
Come nel caso della GNU GPL, occorre usare la licenza per<br />
intero; non sono ammesse copie parziali.<br />
Originariamente scritto nel 1996. Questa versione fa parte del libro Free<br />
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU<br />
Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
140
Copyleft: idealismo<br />
pragmatico<br />
Ogni decisione presa nella vita emerge dai valori e dagli obiettivi<br />
personali. Questi possono variare da individuo a individuo; la fama,<br />
il denaro, l’amore, la sopravvivenza, il divertimento e la libertà, sono<br />
soltanto alcuni degli obiettivi perseguiti da una brava persona.<br />
Quando l’obiettivo è quello di aiutare tanto gli altri quanto se stessi,<br />
lo si definisce idealismo.<br />
La mia attività nel campo del software libero è motivata da uno scopo<br />
idealistico: diffondere libertà e collaborazione. Voglio stimolare<br />
la diffusione del software libero, sostituendo il software proprietario<br />
che vieta la cooperazione, per contribuire così al miglioramento<br />
della società.<br />
Questa la motivazione centrale per cui la GNU General Public<br />
License – il copyleft. (Quest’ultimo è anche definito permesso d’autore,<br />
mentre il copyright è il diritto d’autore). Tutto il codice<br />
aggiunto a un programma coperto dalla GPL deve essere software<br />
libero, anche se incluso in un file a parte. Rendo disponibile il mio<br />
codice affinché venga utilizzato nel software libero, e non nel<br />
software proprietario, in modo da incoraggiare altri programmatori<br />
a fare altrettanto.<br />
La mia posizione è che, se gli sviluppatori di software proprietario<br />
ricorrono al copyright per impedirci di condividere i programmi,<br />
noi che preferiamo cooperare possiamo usare il copyright per offrire<br />
a ulteriori collaboratori un vantaggio particolare: diamo loro il<br />
permesso di utilizzare il nostro codice.<br />
Non tutti coloro che usano la GNU GPL puntano a un simile obiet-<br />
141
tivo. Molti anni fa, a un amico venne chiesto di ridistribuire un programma<br />
già coperto da copyleft sotto termini non-copyleft, e la sua<br />
risposta fu più o meno questa:<br />
«Talvolta mi occupo di software libero, altre volte di software proprietario<br />
– ma in quest’ultimo caso, mi aspetto di essere retribuito».<br />
Era disposto a spartire il proprio lavoro con una comunità che condivide<br />
il software, ma non vedeva alcun motivo di fare lo stesso con<br />
un’azienda i cui prodotti avrebbero escluso tale comunità. Pur perseguendo<br />
uno scopo diverso dal mio, riconobbe l’utilità della GNU<br />
GPL per il raggiungimento dei suoi obiettivi.<br />
Per ottenere qualcosa al mondo, l’idealismo da solo non è sufficiente<br />
– occorre scegliere un metodo che ci consenta di raggiungere lo<br />
scopo prefisso. In altri termini, bisogna essere “pragmatici”. La GPL<br />
è pragmatica? Diamo un’occhiata ai suoi risultati:<br />
Prendiamo il compilatore GNU C++. Perché esiste un compilatore<br />
C++ libero? Soltanto perché ciò viene stabilito dalla GNU GPL.<br />
GNU C++ è stato sviluppato da un consorzio industriale, la MCC,<br />
partendo dal compilatore GNU C.<br />
Normalmente la MCC realizza prodotti quanto più proprietari possibile.<br />
Ma hanno distribuito il front end C++ come software libero,<br />
poichè secondo la GNU GPL questo era l’unico modo per<br />
poterlo distribuire. Il front end C++ comprendeva parecchi nuovi<br />
file, ma poiché erano stati progettati per essere collegati con GCC,<br />
anch’essi dovevano aderire alla GPL. Il beneficio per la nostra comunità<br />
è evidente.<br />
Passiamo a GNU Objective C. Inizialmente NeXT (sistema operativo<br />
creato da Steve Jobs, successivamente acquistato dalla Apple)<br />
voleva farne un front end proprietario; proposero di distribuirlo<br />
come file .o, lasciando agli utenti la possibilità di collegarlo con il<br />
resto di GCC, ritenendo così di poter aggirare i requisiti della GPL.<br />
142
Ma secondo il nostro avvocato, ciò non avrebbe potuto eludere tali<br />
requisiti e non era consentito farlo. E così distribuirono il front end<br />
Objective C come software libero.<br />
Questi esempi si riferiscono a diversi anni fa, ma la GNU GPL continua<br />
a portarci sempre più software libero.<br />
Molte delle librerie GNU rientrano sotto la GNU Library General<br />
Public License, ma non per tutte è così. Una di queste librerie coperta<br />
dalla GNU GPL ordinaria è Readline, la quale implementa l’editing<br />
a linea di comando. Una volta ho scoperto un programma<br />
non libero che prevedeva l’utilizzo di Redline, e dissi all’autore che<br />
si trattava di un uso non consentito. Egli avrebbe potuto eliminare<br />
dal programma soltanto le funzionalità dell’editing a linea di<br />
comando, ma in realtà decise di ridistribuirlo sotto la GPL. Ora è<br />
un programma di software libero.<br />
Non di rado i programmatori che mettono a punto dei miglioramenti<br />
a GCC (oppure a Emacs, Bash, Linux, o qualsiasi altro programma<br />
coperto dalla GPL) lavorano presso qualche azienda o università.<br />
Quando costoro vogliono ridistribuire quelle migliorie alla<br />
comunità e vedere il proprio codice incluso nella versione del programma,<br />
il datore di lavoro potrebbe dire:<br />
«Fermo lì – quel codice ci appartiene! Non vogliamo condividerlo<br />
con altri; abbiamo deciso di trasformare la tua versione migliorata<br />
in un prodotto di software proprietario».<br />
È qui che arriva in soccorso la GNU GPL. Il programmatore chiarisce<br />
al datore di lavoro che un simile prodotto di software proprietario<br />
costituirebbe una violazione del copyright, e costui comprende<br />
di trovarsi davanti a due sole possibilità: distribuire il nuovo<br />
codice come software libero oppure non distribuirlo affatto.<br />
Quasi sempre il programmatore ottiene carta bianca, e il codice viene<br />
inserito nella versione successiva del programma.<br />
143
La GNU GPL non è sempre accondiscendente. Dice “no” ad alcune<br />
delle cose che talvolta si vogliono fare. Secondo alcuni utenti,<br />
ciò sarebbe un elemento negativo – la GPL “esclude” degli sviluppatori<br />
di software proprietario che invece “occorre portare nella<br />
comunità del software libero”.<br />
Ma non siamo noi a escluderli dalla nostra comunità; sono loro<br />
che scelgono di non entrarvi. La decisione di produrre software<br />
proprietario significa scegliere di starne fuori. Farne parte vuol<br />
dire unirsi e contribuire al lavoro collettivo; non possiamo “portarli<br />
nella comunità” se non vogliono unirsi a noi.<br />
Quel che possiamo fare è offrire loro un incentivo a farne parte.<br />
La GNU GPL è progettata in modo da fornire loro un incentivo<br />
sulla base del software preesistente: «Se rendete libero il<br />
vostro software, potrete usare questo codice». Naturalmente ciò<br />
non basta per convincere tutti, ma talvolta funziona.<br />
Lo sviluppo di software proprietario non porta benefici alla nostra<br />
comunità, ma non di rado quei programmatori ci chiedono di passar<br />
loro qualcosa. Gli utenti di software libero possono dare qualche<br />
soddisfazione all’ego personale di quanti sviluppano software<br />
libero – riconoscenza e gratitudine – ma la tentazione è molto forte<br />
quando un’azienda ti dice:<br />
«Basta che tu ci consenta di includere il tuo pacchetto nel nostro<br />
programma di software proprietario, e questo verrà utilizzato da<br />
migliaia e migliaia di persone!».<br />
La tentazione potrebbe essere davvero forte, ma a lungo termine è<br />
meglio per tutti riuscire a resistere. È più difficile riconoscere le<br />
lusinghe e le pressioni quando queste arrivano in maniera indiretta,<br />
tramite organizzazioni di software libero che hanno adottato<br />
politiche favorevoli al software proprietario. Ne offrono un esempio<br />
l’X Consortium (e il suo successore, l’Open Group): finanziati<br />
144
da produttori di software proprietario, per un decennio hanno cercato<br />
di convincere i programmatori a non usare il copyleft. Ora che<br />
l’Open Group ha distribuito X11R6.4 come software non-libero,<br />
quelli tra noi che hanno resistito sono contenti di averlo fatto.<br />
(Nel settembre 1998, diversi mesi dopo il rilascio di X11R6.4 con<br />
termini di distribuzione non liberi, l’Open Group ha fatto marcia<br />
indietro, decidendo di ri-rilasciarlo sotto la medesima licenza di<br />
software libero, priva del copyleft, usata per il precedente X11R6.3.<br />
Ringrazio l’Open Group, ma il tardivo ripensamento non invalida<br />
le nostre conclusioni sul fatto che fosse effettivamente possibile<br />
aggiungere quelle restrizioni).<br />
A livello pragmatico, pensare agli obiettivi a più lungo termine<br />
rafforzerà la capacità di resistenza contro simili pressioni. Concentrando<br />
l’attenzione sulla libertà e sulla comunità che si può costruire<br />
rimanendo fermi sulle proprie posizioni, si rinsalda la volontà di<br />
farcela. “Battiti per qualcosa o soccomberai per un nonnulla”.<br />
E se i cinici mettono in ridicolo la libertà e la comunità... se i “realisti<br />
più intransigenti” sostengono che l’unico ideale possibile è il<br />
profitto... basta ignorarli, e continuare a usare il copyleft.<br />
Originariamente scritto nel 1998. Questa versione fa parte del libro Free<br />
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU<br />
Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
145
Il pericolo dei<br />
brevetti sul software<br />
Credo siate a conoscenza del mio lavoro a sostegno del software<br />
libero. L’intervento odierno non riguarda questo tema, ma affronta<br />
la questione degli abusi legislativi tesi a trasformare lo sviluppo<br />
del software in un’attività pericolosa. Questo è ciò che accade quando<br />
le norme sui brevetti vengono applicate al campo del software.<br />
Il punto non è la brevettabilità del software. Una simile descrizione<br />
sarebbe decisamente errata ed equivoca, perché non si tratta di brevettare<br />
dei programmi singoli. Se così fosse, non farebbe alcuna differenza,<br />
sarebbe qualcosa di fondamentalmente innocuo. La questione<br />
riguarda invece la brevettabilità delle idee. Ciascun brevetto copre qualche<br />
idea. I brevetti sul software sono brevetti che coprono qualche idea<br />
sul software, idee che prevediamo di usare nello sviluppo del software.<br />
In tal senso ciò rappresenta un ostacolo pericoloso per lo sviluppo del<br />
software nella sua interezza.<br />
Forse avrete sentito qualcuno usare un termine ingannevole, “proprietà<br />
intellettuale”. Come potete notare, questa definizione è basata<br />
su un pregiudizio: dà per scontato che, qualunque sia il tema in<br />
discussione, il modo di trattarlo è considerarlo una sorta di proprietà,<br />
mentre in realtà è soltanto una delle molte alternative disponibili.<br />
Il termine “proprietà intellettuale” si pone come pregiudiziale<br />
sulle questioni fondamentali di qualsiasi tematica ci si stia<br />
occupando. Ciò non porta a considerazioni chiare e aperte.<br />
Esiste un ulteriore problema in quel termine, il quale non ha nulla<br />
a che fare con la promozione delle opinioni personali: è d’intralcio<br />
nella comprensione perfino dei fatti. L’espressione “proprietà intel-<br />
146
lettuale” viene usata come una sorta di panacea generale: raggruppa<br />
insieme aree del tutto disparate del corpo legislativo quali il copyright<br />
(il diritto d’autore) e i brevetti, ambiti completamente diversi tra<br />
loro che differiscono in ogni dettaglio. Nel mucchio finiscono anche<br />
i marchi registrati, qualcosa di ulteriormente diverso, e altri elementi<br />
in cui ci s’imbatte più di rado. Nessuno di questi settori ha nulla in<br />
comune con gli altri. Storicamente hanno origini completamente<br />
distinte; le rispettive legislazioni furono progettate in maniera indipendente;<br />
interessano ambiti diversi della vita e delle comuni attività.<br />
Le questioni di politica pubblica che sollevano non presentano<br />
alcuna relazione tra loro, di modo che cercando di affrontarli come<br />
un unico insieme è garantito il raggiungimento di conclusioni folli.<br />
È letteralmente impossibile avere un’opinione motivata e intelligente<br />
sulla “proprietà intellettuale”. Perciò, se si vuole considerare la<br />
questione con chiarezza, evitiamo di fare d’ogni erba un fascio.<br />
Meglio affrontare il copyright di per sé, e poi occuparsi dei brevetti.<br />
Impariamo a conoscere le norme sul copyright, e separatamente<br />
quelle sui brevetti.<br />
Queste alcune delle maggiori differenze esistenti tra copyright e brevetti:<br />
• Il copyright concerne i dettagli dell’espressione di un’opera, ma<br />
non copre alcuna idea. I brevetti riguardano soltanto le idee e il<br />
loro utilizzo.<br />
• Il copyright è automatico. I brevetti vengono concessi dal relativo<br />
ufficio in risposta a un’apposita richiesta.<br />
• I brevetti sono molto onerosi. In realtà le spese degli avvocati per<br />
la stesura della richiesta sono perfino più esose della domanda stessa.<br />
Normalmente occorrono alcuni anni prima che la richiesta<br />
venga presa in considerazione, anche se i vari uffici brevetti lavorano<br />
in maniera estremamente lenta nell’esame delle domande.<br />
147
• La durata del copyright è tremendamente lunga. In alcuni casi si<br />
arriva anche a 150 anni. I brevetti durano 20 anni, periodo breve<br />
rispetto alla vita umana ma comunque eccessivo per i ritmi di<br />
un settore come quello del software. Basti pensare a 20 anni fa,<br />
quando il PC era qualcosa di nuovo. Immaginiamo di dover essere<br />
costretti a sviluppare software utilizzando soltanto i concetti<br />
conosciuti nel 1982.<br />
• Il copyright copre unicamente la copia. Se qualcuno scrive un<br />
romanzo che si scopre essere identico parola per parola a Via col<br />
vento, potendo al contempo dimostrare di non averlo mai visto,<br />
ciò rappresenterebbe un’ottima difesa contro ogni accusa di infrazione<br />
al copyright.<br />
• Un brevetto è un monopolio assoluto sull’utilizzo di un’idea.<br />
Anche potendo dimostrare di aver avuto quell’idea per conto proprio,<br />
ciò sarebbe del tutto irrilevante se quell’idea è stata già brevettata<br />
da qualcun altro.<br />
Spero possiate dimenticarvi del copyright per il resto del mio intervento,<br />
perché parlerò invece dei brevetti, e le due questioni non<br />
dovrebbero mai essere messe insieme - unica possibilità per comprendere<br />
con chiarezza le rispettive questioni legali. Pensiamo a cosa<br />
potrebbe accadere nella comprensione della chimica pratica (o dell’arte<br />
culinaria) se dovessimo confondere l’acqua con l’etanolo.<br />
Quando si sente qualcuno parlare del sistema dei brevetti, normalmente<br />
questo viene descritto dal punto di vista di chi speri di ottenere<br />
un brevetto - le procedure che bisognerebbe eventualmente<br />
seguire per richiederlo, la sensazione che si proverebbe nel camminare<br />
per strada avendone uno in tasca, in modo da tirarlo fuori ogni<br />
tanto e sbatterlo in faccia a qualcuno dicendo: «Dammi tutti i soldi<br />
che hai!».<br />
C’è una ragione dietro questi pregiudizi, perché la maggior parte di<br />
148
quanti ci descrivono il sistema dei brevetti vanta qualche tipo di<br />
interesse in tale sistema, perciò ce ne dipingono i tratti piacevoli.<br />
Esiste un’ulteriore motivazione: il sistema dei brevetti somiglia<br />
parecchio a una lotteria, perché soltanto una minima parte dei brevetti<br />
porta effettivamente qualche beneficio ai rispettivi possessori.<br />
Non casualmente una volta la rivista The Economist lo ha paragonato<br />
a una “lotteria spreca-tempo”. Se avete dato un’occhiata alle<br />
inserzioni pubblicitarie delle lotterie, avrete notato come queste ci<br />
spingano sempre a pensare alla possibilità di vincere. Non invitano<br />
certo a considerare l’eventualità di perdere, pur essendo questa la<br />
probabilità più concreta. Lo stesso vale per il sistema dei brevetti:<br />
vengono sempre presentati come un invito a considerarci tra i vincitori.<br />
Per controbilanciare questa serie di pregiudizi, mi accingo a descrivere<br />
il sistema dei brevetti dal punto di vista delle vittime – ovvero,<br />
dal punto di vista di qualcuno che vuole sviluppare del software,<br />
ma è costretto a convivere con un sistema di brevetti sul software<br />
che potrebbe risultare in una denuncia.<br />
Qual’è dunque la prima cosa da fare dopo aver avuto un’idea sul<br />
tipo di programma che ci si appresta a scrivere? Tanto per cominciare,<br />
dovendo aver a che fare con il sistema dei brevetti, si potrebbe<br />
cercare di scoprire quali siano i brevetti che coprono il futuro<br />
programma. Compito impossibile. Il motivo è che alcune delle<br />
domande pendenti sono segrete. Possono essere pubblicate soltanto<br />
dopo un certo tempo dalla presentazione, qualcosa tipo 18 mesi.<br />
Si tratta tuttavia di un periodo più che sufficiente per scrivere un<br />
programma, e finanche per distribuirlo, senza poter conoscere se<br />
sia già coperto da brevetto o meno, e rischiare di conseguenza la<br />
denuncia.<br />
Non è una faccenda puramente accademica. Nel 1984 venne realiz-<br />
149
zato compress, un programma per la compressione dei dati. All’epoca<br />
non esistevano brevetti sull’algoritmo di compressione LZW usato<br />
in quel programma. Più tardi, nel 1985, l’ufficio statunitense diffuse<br />
un brevetto su tale algoritmo, e nel corso degli anni successivi<br />
coloro che ne curavano la distribuzione iniziarono a ricevere minacce<br />
legali. Era impossibile per l’autore dell’algoritmo di compressione<br />
prevedere che potesse subire una denuncia. Non aveva fatto altro che<br />
usare un’idea trovata in una pubblicazione, proprio come era sempre<br />
successo tra i programmatori. Non aveva capito che non era più possibile<br />
usare liberamente un’idea trovata in qualche pubblicazione.<br />
Dimentichiamo questo problema. I brevetti approvati vengono<br />
pubblicati dall’apposito ufficio, così da poterne reperire il lungo<br />
elenco e vedere con esattezza cosa dicono. Ovviamente, in realtà è<br />
impossibile leggere la lista per intero, perché ne comprende una<br />
quantità enorme. Negli Stati Uniti esistono centinaia di migliaia di<br />
brevetti sul software. Non c’è alcun modo di tener traccia di tutte<br />
le aree coperte. L’unica possibilità è provare a cercare quelli più rilevanti.<br />
Qualcuno sostiene che dovrebbe trattarsi di un compito semplice<br />
nell’attuale epoca informatica. Si può ricorrere a ricerche per parole<br />
chiave e così via, ma ciò funziona soltanto fino a un certo punto.<br />
Si troveranno alcuni brevetti riguardanti l’area d’interesse, ma<br />
non necessariamente tutti.<br />
Ad esempio, c’era un brevetto sul software (che oggi potrebbe essere<br />
estinto) relativo alle operazioni di ricalcolo secondo l’ordine<br />
naturale per i fogli di calcolo elettronici. In pratica ciò significa che,<br />
facendo dipendere determinate celle da altre precedenti, si procede<br />
sempre al ricalcolo di tutti gli elementi inseriti dopo quelli da cui<br />
dipendevano, in modo che dopo ogni operazione il totale risulta<br />
sempre aggiornato. Nei primi fogli di calcolo elettronici si proce-<br />
150
deva dall’alto verso il basso, e facendo dipendere una cella da quella<br />
sottostante, impostando al contempo una serie di simili passaggi,<br />
occorreva ricalcolare il totale svariate volte per far propagare il<br />
nuovo valore verso l’alto. (Si presupponeva che ogni elemento<br />
dipendesse dalla cella sovrastante).<br />
Allora qualcuno ha pensato, perché non rifare i calcoli in modo che<br />
ogni valore venga ricalcolato immediatamente dopo quello da cui<br />
dipende? Questo algoritmo è conosciuto col nome di ‘classificazione<br />
topologica’. Il primo riferimento che sono riuscito a trovare è<br />
datato 1963. Il brevetto copriva diverse dozzine di modalità in cui<br />
si poteva implementare la classificazione topologica.<br />
Non era tuttavia possibile reperire tale brevetto cercando con “fogli<br />
di calcolo elettronici”. Né lo si trovava provando con “ordine naturale”<br />
oppure “classificazione topologica”. La spiegazione non comprendeva<br />
nessuno di questi termini. Veniva in realtà descritto come<br />
un metodo per “compilare formule in codici oggetto”. Quando lo<br />
vidi per la prima volta non credevo fosse quello giusto.<br />
Supponiamo di trovarci davanti a un elenco di brevetti e di volerci<br />
rendere conto di quel che sia consentito fare. Quando si prova a<br />
studiarne le descrizioni, si scopre che sono molto difficili da comprendere,<br />
poiché sono scritte in un tortuoso linguaggio legale il cui<br />
significato è tutt’altro che facile da capire. Spesso quanto dice l’ufficio<br />
brevetti ha un significato diverso da quello apparente.<br />
Negli anni ‘80 il governo australiano ha condotto una ricerca sul<br />
sistema dei brevetti. La conclusione fu che, al di là delle pressioni<br />
internazionali, non c’era alcun motivo per l’esistenza di un tale sistema<br />
– non portava alcun giovamento al pubblico – e ne raccomandava<br />
l’abolizione, se non fosse per le pressioni internazionali. Lo<br />
studio riportava che gli ingegneri non cercavano neppure di leggere<br />
i brevetti per imparare qualcosa, consideratane la difficoltà di<br />
151
comprensione. Veniva citata l’opinione di un ingegnere: “Non riesco<br />
a riconoscere le mie stesse invenzioni in linguaggio brevettese”.<br />
Questo non è uno scenario teorico. Verso il 1990 un programmatore<br />
di nome Paul Heckel denunciò la Apple, sostenendo che Hypercard<br />
infrangeva un paio di suoi brevetti. Quando lo vide per la prima volta,<br />
gli sembrò che Hypercard non avesse nulla a che fare con quei brevetti,<br />
con le sue “invenzioni”. Non pareva simile a queste. Ma quando<br />
l’avvocato gli fece notare che quei brevetti potevano essere interpretati<br />
a coprire una parte di Hypercard, decise di attaccare la Apple.<br />
Nel corso di un mio successivo intervento a Stanford menzionai quella<br />
circostanza, con Heckel presente tra il pubblico. Mi interruppe per<br />
ribattere: “Non è vero, è solo che non compresi la portata della tutela<br />
legale!”. Io replicai: “Si, proprio quello che intendevo dire”.<br />
Così, in pratica occorre spendere un sacco di tempo a parlare con gli<br />
avvocati per capire quel che i brevetti proibiscono di fare. Alla fine<br />
se ne usciranno con qualcosa tipo: “Se fai qualcosa in quest’area, sei<br />
sicuro di perdere; se intervieni in quest’altra area (Stallman fa dei<br />
gesti circolari con le mani), in sostanza si rischia di perdere; e se vuoi<br />
essere davvero al sicuro, meglio star lontano da quest’area (facendo<br />
gesti circolari più ampi). E tieni comunque conto che qualsiasi<br />
denuncia comporta qualche elemento di rischio sostanziale”.<br />
Ora che avete un terreno prevedibile su cui basare i vostri affari(!),<br />
cosa pensate di fare? Bé, si può scegliere fra tre diverse eventualità,<br />
ciascuna delle quali è applicabile in determinate circostanze. Eccole:<br />
1) evitare il brevetto;<br />
2) ottenere la licenza per il brevetto;<br />
3) ribaltare il brevetto in tribunale.<br />
Consentitemi di illustrare questi tre scenari per capire cosa li renda<br />
praticabili o meno.<br />
152
Evitare il brevetto<br />
“Evitare il brevetto” vuol dire non usare l’idea già coperta da qualche<br />
brevetto. Posizione semplice o difficile da seguire, dipende dal<br />
tipo di idea in oggetto.<br />
In alcuni casi, soltanto una funzione risulta brevettata. In tal caso<br />
si può eludere il brevetto evitando di implementarla. Il punto sta<br />
nell’importanza di tale funzione. In alcune situazioni, se ne può fare<br />
a meno. Tempo fa gli utenti dell’elaboratore testi XyWrite vennero<br />
notificati di un downgrade (declassamento) del programma. Ne fu<br />
rimossa una funzione che consentiva la predefinizione delle abbreviazioni.<br />
Ovvero, quando si digitava un’abbreviazione seguita da un<br />
carattere d’interpunzione, questa sarebbe stata immediatamente<br />
sostituita dalla relativa espansione. In tal modo per alcune frasi lunghe<br />
era possibile definire l’abbreviazione, digitare soltanto quest’ultima<br />
e l’intera frase sarebbe apparsa nel documento. Gli sviluppatori<br />
mi scrissero riguardo questa opzione perché sapevano che<br />
l’editor Emacs presentava una funzione analoga. Infatti ne faceva<br />
parte fin dagli anni ‘70. Fu interessante perché ciò dimostrò che in<br />
vita mia avevo avuto almeno un’idea meritevole di essere brevettata.<br />
Posso affermarlo con certezza, perché poco tempo dopo è proprio<br />
quel che fece qualcun altro!<br />
In realtà gli sviluppatori considerarono tutte e tre le strategie. Prima<br />
tentarono di negoziare con il detentore del brevetto, il quale si<br />
rivelò trattare in cattiva fede. Poi analizzarono le probabilità concrete<br />
di poter ribaltare il brevetto in tribunale. Alla fine decisero che<br />
la cosa da fare fosse l’eliminazione di quella funzione. È possibile<br />
farne a meno. Se l’elaboratore testi difetta di quest’unica opzione,<br />
forse gli utenti continueranno a utilizzarlo ugualmente. Ma se le<br />
mancanze cominciano ad accumularsi, alla fine si avrà un programma<br />
non troppo soddisfacente, ed è probabile venga ignorato.<br />
153
In questo caso si trattava di un brevetto limitato su una funzione<br />
assai specifica. Come la mettiamo con il brevetto in possesso di British<br />
Telecom sugli hyperlink [i link del world wide web] accoppiato<br />
con l’accesso tramite la comune chiamata telefonica? Il ricorso<br />
agli hyperlink è assolutamente essenziale nell’odierno uso del computer,<br />
al pari della connessione via telefono. Come faremmo senza<br />
tale opzione? Per chiarezza, questa non può neppure considerarsi<br />
una singola funzione, bensì la combinazione di due opzioni arbitrariamente<br />
interconnesse tra loro. Qualcosa di analogo al possesso<br />
di un brevetto su divano e televisione in una stessa stanza.<br />
Talvolta l’idea brevettata appare talmente vasta e basilare che praticamente<br />
finisce per coprire un intero settore. È ad esempio il caso<br />
della crittazione a chiave pubblica, il cui brevetto statunitense è scaduto<br />
nel 1997. Fino ad allora fu quel brevetto a impedire per la<br />
maggior parte il ricorso alla crittazione a chiave pubblica negli Stati<br />
Uniti. Un certo numero di programmi in corso di lavorazione<br />
vennero bloccati – non furono mai realmente disponibili perché i<br />
detentori del brevetto presero a minacciarne gli autori. Poi ne uscì<br />
fuori uno, PGP, che inizialmente venne distribuito come software<br />
libero. In questo caso sembra che i possessori del brevetto lasciarono<br />
passare del tempo prima di minacciare la denuncia, e a quel punto<br />
si resero conto della cattiva pubblicità che avrebbero potuto subire.<br />
Così imposero delle restrizioni, rendendolo disponibile soltanto<br />
per usi non-commerciali, onde impedirne l’eccessiva diffusione.<br />
In tal modo, per un decennio e oltre l’uso della crittazione a chiave<br />
pubblica venne fortemente limitato. Non c’era modo di superare<br />
quel brevetto. Era impossibile inventarsi qualcos’altro per scrivere<br />
programmi di crittazione a chiave pubblica.<br />
Altre volte viene brevettato un algoritmo specifico. Esiste ad esempio<br />
un brevetto su una versione ottimizzata del Fast Fourier Tran-<br />
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sform, grazie al quale quest’ultimo gira a velocità doppia. Per evitarlo<br />
basta usarne una comune versione, anche se questa parte del<br />
programma impiegherà il doppio del tempo. Forse non è poi una<br />
funzione così importante, forse ciò riguarda una parte minima del<br />
tempo totale in cui gira il programma. Anche se è due volte più lento,<br />
può darsi che nessuno se ne accorga. Oppure, al contrario, il<br />
programma non si lancerebbe affatto perché richiede il doppio del<br />
tempo reale per operare come previsto. Gli effetti possono variare.<br />
In qualche caso si può cercare un algoritmo migliore. Ciò può tornare<br />
utile o meno. Non potendo usare ‘compress’ all’interno del<br />
progetto GNU, iniziammo a cercare un algoritmo alternativo adatto<br />
alla compressione dati [compress è una utility per i sistemi Unix<br />
con algoritmo brevettato, per cui non poteva essere utilizzata nel<br />
progetto GNU: il brevetto avrebbe posto una limitazione alla redistribuzione,<br />
rendendo impossibile distribuire il software con licenza<br />
GPL].<br />
Qualcuno ci informò di averne uno disponibile; aveva scritto un<br />
programma e decise di offrircelo come contributo. Eravamo sul<br />
punto di distribuirlo. Per pura coincidenza mi capitò di vedere una<br />
copia del New York Times che casualmente aveva la rubrica settimanale<br />
dedicata ai brevetti. (Non sfogliavo quel quotidiano più di<br />
una volta ogni paio di mesi). Così inizio a dargli un’occhiata e leggo<br />
che qualcuno aveva ottenuto un brevetto per “aver inventato un<br />
nuovo metodo per la compressione dei dati”. Decido che è meglio<br />
capire come stanno le cose. Ne prendo una copia e scopro che tale<br />
brevetto copriva proprio il programma che ci apprestavamo a distribuire<br />
nel giro di una settimana. Il programma morì prima ancora<br />
di esser nato.<br />
In seguito trovammo un altro algoritmo non coperto da brevetto.<br />
Divenne il programma gzip, oggi l’efficace standard de facto per la<br />
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compressione dati. Come algoritmo per essere usato in simili programmi,<br />
risultò perfetto. Chiunque volesse ricorrere alla compressione<br />
dei dati poteva usare gzip invece di compress.<br />
Lo stesso algoritmo di compressione già brevettato LZW veniva<br />
impiegato anche in formati per immagini, tra cui GIF. Ma in questo<br />
caso, poichè la gente non voleva semplicemente comprimere dei<br />
dati bensì avere un’immagine che fosse possibile visualizzare con il<br />
proprio software, si rivelò estremamente difficile trovare un algoritmo<br />
diverso. Non ci siamo ancora riusciti dopo 10 anni! Si, gli<br />
utenti ricorrevano all’algoritmo ‘gzip’ con cui definire un altro formato<br />
per l’immagine, una volta piovute minacce di possibili denuncie<br />
per l’uso di file GIF. Quando iniziammo a dire in giro di smetterla<br />
di usare quei file GIF per passare all’altro formato, la replica<br />
fu: “Non possiamo cambiare, il browser non supporta ancora il<br />
nuovo formato”. Gli sviluppatori di browser ribatterono: “Non<br />
abbiamo alcuna fretta, dopo tutto nessuno usa quel formato”.<br />
In effetti la società ha dimostrato così tanta inerzia nell’utilizzo del<br />
formato GIF che non siamo riusciti a convincere la gente a cambiare.<br />
In pratica il continuo ricorso della comunità a tale formato<br />
forza tuttora i vari siti a farne uso, con il risultato che si rivelano<br />
vulnerabili a possibili minacce legali.<br />
Anzi, la situazione è ben più strana. In realtà sono due i brevetti che<br />
coprono l’algoritmo LZW. L’ufficio brevetti non si è reso conto che<br />
stava assegnando due brevetti su una medesima idea; non erano riusciti<br />
a esaminare adeguatamente le richieste. Ciò però poggia su una<br />
buona ragione: occorre parecchio tempo per studiare con attenzione<br />
i due brevetti prima di rendersi conto che coprono veramente la<br />
stessa cosa.<br />
Se si fosse trattato di due brevetti su dei processi chimici, sarebbe<br />
stato assai più semplice rendersene conto. Bastava identificare le<br />
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sostanze impiegate, gli ingredienti e i risultati, quali le azioni concrete<br />
intraprese. Prescindendo dal modo in cui ciò veniva descritto,<br />
si sarebbe visto di cosa si trattava e ci si sarebbe accorti della somiglianza.<br />
Se un’azione è puramente matematica, è possibile descriverla<br />
in molti modi anche assai diversi tra loro. Non appaiono simili<br />
neppure a livello superficiale. Bisogna comprenderli fino in fondo<br />
prima di accorgersi che stanno descrivendo qualcosa d’identico.<br />
L’ufficio brevetti non ha abbastanza tempo. Alcuni anni fa l’ufficio<br />
brevetti degli Stati Uniti dedicava mediamente 17 ore a ciascuna<br />
richiesta presentata. Un periodo di tempo insufficiente per analizzarle<br />
con attenzione, ovvio quindi che si possano commettere errori<br />
come questo. Lo stesso è accaduto al programma menzionato<br />
sopra, quello morto prima ancora di nascere. Anche quell’algoritmo<br />
è coperto da due brevetti, entrambi rilasciati negli Stati Uniti; sembra<br />
si tratti di una circostanza nient’affatto insolita.<br />
Evitare i brevetti può quindi essere semplice, oppure impossibile.<br />
Se è semplice, può darsi che renda inutile il programma – dipende<br />
dalla situazione specifica.<br />
Vorrei puntualizzare un’altra questione. Talvolta un’azienda o un<br />
consorzio riesce a imporre un formato o un protocollo come standard<br />
de facto. Nel caso tale formato o protocollo venga poi brevettato,<br />
è un vero e proprio disastro. Esistono perfino degli standard<br />
ufficiali soggetti alle limitazioni dei brevetti. Nel settembre del 2001<br />
ci fu una grande sollevazione politica quando il World Wide Web<br />
Consortium propose di iniziare ad adottare degli standard coperti<br />
da brevetti. La comunità si oppose, costringendoli a ripensarci. Il<br />
consorzio fece marcia indietro, ribadendo che qualsiasi brevetto<br />
doveva essere liberamente applicabile da chiunque e che gli standard<br />
dovevano essere liberi in modo che tutti potessero implementarli.<br />
Si trattò di una vittoria interessante. Credo che quella fu la<br />
157
prima volta in cui un’organizzazione sugli standard prese quel tipo<br />
di decisione. È normale per tali organizzazioni voler inserire all’interno<br />
degli standard qualche elemento coperto da brevetto, impedendo<br />
agli utenti di procedere liberamente all’implementazione.<br />
Bisogna far pressione su entità organizzative analoghe per costringerle<br />
a modificare quelle norme.<br />
Ottenere la licenza per il brevetto<br />
La seconda possibilità, oltre quella di evitare il brevetto, consiste nell’ottenerne<br />
la licenza. Non è detto ciò possa essere necessariamente<br />
un’opzione fattibile. Chi detiene il brevetto non deve offrirvi alcuna<br />
licenza; non è obbligato a farlo. Dieci anni fa, la League for Programming<br />
Freedom ricevette una richiesta d’aiuto da parte di qualcuno<br />
la cui attività familiare riguardava la costruzione di macchine<br />
per i giochi d’azzardo nei casinò, e già allora usavano i computer. Aveva<br />
ricevuto la lettera di un’altra azienda che minacciava: “Quel brevetto<br />
l’abbiamo noi. Non ti è consentito fare quelle cose. Smettila!”.<br />
Decisi di dare un’occhiata a quel brevetto. Copriva una situazione<br />
in cui un certo numero di computer venivano collegati in rete in<br />
modo che ciascuna macchina fosse in grado di gestire più giochi<br />
diversi e l’utente potesse giocarvi simultaneamente.<br />
Si scopre così che l’ufficio brevetti ritiene davvero brillante la capacità<br />
di fare più di una cosa in contemporanea. Non si rendono conto<br />
che in campo informatico ciò rappresenta la maniera più ovvia<br />
per generalizzare qualsiasi cosa. Lo hai fatto una volta, perciò adesso<br />
puoi rifarlo quante volte vuoi, si può creare una subroutine [una<br />
funzione del programma]. Credono che se riesci a fare qualcosa più<br />
di una volta, ciò in qualche modo significa che sei brillante e che<br />
nessuno è in grado di tenerti testa, hai il diritto di dare ordini agli<br />
altri come ti pare e piace.<br />
158
Comunque sia, al tipo in questione non venne offerta alcuna licenza.<br />
Fu costretto a smettere. Non poteva neppure permettersi le spese<br />
legali per il tribunale. Direi che quel particolare brevetto copriva<br />
un’idea piuttosto ovvia. È possibile che il giudice si fosse dichiarato<br />
d’accordo, ma non potremo mai saperlo perché non c’erano i<br />
soldi per avviare il procedimento.<br />
Tuttavia, parecchi possessori di brevetti sono soliti offrire le relative<br />
licenze. Ma spesso chiedono cifre salate. L’azienda in possesso del<br />
brevetto per il ricalcolo secondo l’ordine naturale pretendeva il 5<br />
per cento delle entrate lorde di ogni foglio di calcolo elettronico<br />
venduto negli Stati Uniti. Qualcuno mi riferì che si trattava del<br />
prezzo ridotto precedente l’eventuale denuncia – se fossero stati<br />
costretti ad andare veramente in tribunale e avessero vinto, avrebbero<br />
preteso di più.<br />
Può darsi che su uno specifico brevetto ci si possa permettere quel<br />
5 per cento per la licenza, ma cosa succede quando occorrono le<br />
licenze su 20 brevetti diversi per realizzare un certo programma? A<br />
quel punto tutti i ricavi servono a pagare le licenze. Cosa succederebbe<br />
se fossero necessarie le licenze su 21 brevetti? Persone che operano<br />
nel settore mi hanno spiegato che a livello pratico due o tre di<br />
tali licenze porterebbero al fallimento di qualsiasi attività.<br />
Esiste una situazione in cui ottenere la licenza è un’ottima soluzione.<br />
Ovvero nel caso di una mega-corporation multinazionale. Dato<br />
che queste aziende possiedono una gran quantità di brevetti, possono<br />
offrirsi le licenze a vicenda. In tal modo evitano gran parte del<br />
danno insito nel sistema dei brevetti e usufruiscono soltanto degli<br />
aspetti positivi.<br />
Tempo fa l’IBM pubblicò sulla rivista Think – credo fosse il numero<br />
5 del 1990 – un articolo sul pacchetto di brevetti aziendale, dove<br />
si illustravano i due tipi di vantaggi derivanti alla stessa IBM dal<br />
159
possesso di 9.000 brevetti statunitensi. (Credo che oggi tale cifra<br />
sia più ampia). Si trattava, primo, di incassarne le quote sui diritti,<br />
e, secondo, di ottenere “accesso ai brevetti altrui”. Spiegavano come<br />
quest’ultimo beneficio fosse notevolmente maggiore del primo. I<br />
vantaggi derivanti all’IBM dalla possibilità di utilizzare le idee brevettate<br />
da altri equivaleva a dieci volte il beneficio diretto ottenuto<br />
dall’offerta di licenze sui propri brevetti.<br />
Cosa significa veramente tutto ciò? Quali vantaggi ricava l’IBM da<br />
un simile “accesso ai brevetti altrui”? Si tratta in pratica del beneficio<br />
di essere esenti dai problemi provocati dal sistema dei brevetti.<br />
Un sistema analogo a una lotteria: qualsiasi brevetto può finire in<br />
un nonnulla, o rivelarsi una fortuna per alcuni detentori, oppure<br />
un disastro per chiunque altro. Ma consideratene le ampie proporzioni,<br />
per l’IBM lo scenario risulta vantaggioso. Un’azienda simile è<br />
in grado di valutare sia i danni sia i benefici di quel sistema. In questo<br />
caso, i guai causati da un tale sistema avrebbero superato di dieci<br />
volte gli aspetti positivi.<br />
Ho detto “avrebbero” perché, grazie allo scambio vicendevole<br />
delle licenze, l’IBM può evitare ogni problema. Questi esistono<br />
soltanto a livello potenziale, non si concretizzeranno mai per una<br />
tale azienda. Eppure quest’ultima, calcolando i benefici derivanti<br />
dalla possibilità di evitarli, ne stima in dieci volte il valore del<br />
denaro raccolto dai brevetti di cui è titolare.<br />
Questo fenomeno del trasferimento reciproco delle licenze serve a<br />
confutare un mito comune, quello del “genio morto di fame”, il<br />
mito secondo cui i brevetti servano a “tutelare” il “piccolo inventore”.<br />
(Si tratta di termini di propaganda. Non andrebbero usati).<br />
Questo lo scenario che ci troviamo di fronte: supponiamo che qualcuno<br />
abbia in mente un progetto “brillante”. Supponiamo che<br />
abbia trascorso “anni in soffitta morendo di fame” nella stesura di<br />
160
un progetto nuovo e meraviglioso di qualcosa, e ora vuole passare<br />
a produrlo. Non è forse un’ingiustizia che qualche grande azienda<br />
decida di fargli concorrenza, di rubargli il mercato e farlo “morire<br />
di fame”?<br />
Devo sottolineare che quanti lavorano nel settore dell’alta tecnologia<br />
generalmente non operano in proprio, che le idee non prendono<br />
forma nel vuoto – sono basate su quelle altrui – e che oggigiorno<br />
vantano ottime probabilità di ottenere un buon impiego qualora<br />
ne avessero bisogno. Perciò un tale scenario – il fatto che un’idea<br />
brillante sia scaturita da qualcuno che lavora in solitudine – è inverosimile,<br />
così come impensabile è l’eventualità che sia in pericolo<br />
di morire di fame.<br />
È invece plausibile che qualcuno possa avere una buona idea che,<br />
insieme ad altre 100 o 200, sia alla base della realizzazione di un qualche<br />
tipo di prodotto, e che le grandi aziende vogliano fargli concorrenza.<br />
Vediamo perciò cosa potrebbe accadere nel caso costui tenti di<br />
usare un brevetto per bloccarle. Eccolo dire all’IBM: “No, non puoi<br />
competere con me, quel brevetto è mio”. Al che l’IBM replica:<br />
“Vediamo un po’ il tuo prodotto. Noi abbiamo questo brevetto, e<br />
quest’altro, quest’altro, quest’altro, quest’altro, e quest’altro ancora,<br />
rispetto ai quali il tuo prodotto commette delle infrazioni. Se credi<br />
di poter controbattere a tutti questi brevetti in tribunale, sicuramente<br />
ne troveremo degli altri. Perché invece non ci cediamo reciprocamente<br />
le licenze?”. E allora al brillante inventore non resta che cedere:<br />
“Va bene, scambiamoci pure le licenze”. Così può rimettersi al<br />
lavoro e portare a termine quel meraviglioso progetto. Ma lo stesso<br />
fa l’IBM, la quale ottiene “l’accesso” al suo brevetto e anche il diritto<br />
a fargli concorrenza, il che significa che tale brevetto non lo ha<br />
“tutelato” affatto. Non è questo l’obiettivo del sistema dei brevetti.<br />
Per la gran parte, le mega-corporation evitano i pericoli di tale siste-<br />
161
ma; ne sperimentano principalmente i lati positivi. Questo il motivo<br />
per cui vogliono avere i brevetti sul software: saranno loro a trarne<br />
vantaggio. Ma ciò non funziona per il piccolo inventore o per<br />
chi lavora in una piccola struttura. Possono provarci, ma il problema<br />
è che un’azienda di proporzioni limitate non arriverà mai a possedere<br />
una quantità adeguata di brevetti per riuscirci (cioè, costringere<br />
gli altri allo scambio reciproco delle licenze).<br />
Ciascun brevetto punta in una certa area. Così se una piccola azienda<br />
possiede dei brevetti relativi a determinati settori, e laggiù (Stallman<br />
indica in una direzione diversa) c’è qualcuno che gliene punta<br />
uno contro e vuole tutti i soldi, alla piccola azienda non resta che<br />
arrendersi. L’IBM può permetterselo, perché con 9000 brevetti<br />
copre ogni settore; a prescindere dall’area in cui si operi, è probabile<br />
esista già un brevetto dell’IBM. Questa può così costringere<br />
quasi sempre gli altri allo scambio reciproco delle licenze. Le piccole<br />
aziende possono riuscirci invece solo occasionalmente. Sostengono<br />
di volere i brevetti a scopo difensivo, ma non riescono mai ad<br />
accumularne abbastanza da poterlo fare realmente.<br />
Esistono tuttavia dei casi in cui neppure l’IBM può costringere<br />
qualcuno a scambiare delle licenze a vicenda. Ovvero quando l’unica<br />
attività di un’impresa è quella di prendere un brevetto e spremere<br />
soldi dagli altri. Esattamente ciò che faceva l’azienda detentrice<br />
del brevetto per il ricalcolo secondo l’ordine naturale. L’unica<br />
sua pratica consisteva nel minacciare gli altri di denuncia e incassare<br />
le quote di chi stava effettivamente sviluppando qualche prodotto.<br />
Non esistono brevetti sulle procedure legali. Credo che gli avvocati<br />
comprendano bene gli affanni di avere personalmente a che fare<br />
con il sistema dei brevetti. Il risultato è che diventa impossibile ottenere<br />
brevetti che possano costringere questo tipo di aziende allo<br />
162
scambio reciproco. Così vanno in giro a spremere soldi agli altri.<br />
Ma credo che entità quali l’IBM considerino ciò parte del prezzo<br />
insito nell’attività commerciale, e si siano adattate di conseguenza.<br />
Questo dunque il quadro sulle possibilità di ottenere la licenza di<br />
un brevetto, cosa realizzabile o meno, e di cui è possibile o meno<br />
sostenere il peso economico – il che ci porta alla terza strategia.<br />
Ribaltare il brevetto in tribunale<br />
Normalmente, qualsiasi cosa venga brevettata deve risultare nuova,<br />
utile e non ovvia. (Questa la terminologia usata negli Stati Uniti;<br />
credo che in altri paesi il linguaggio sia pressoché analogo). Naturalmente,<br />
quando entra in ballo l’ufficio brevetti inizia a dare la propria<br />
interpretazione di “nuovo” e “originale”. Si scopre così che<br />
“nuovo” equivale a “non presente nel nostro archivio” e “non ovvia”<br />
tende a significare “non ovvia per qualcuno con un quoziente d’intelligenza<br />
di 50” [per una persona comune è intorno ai 140].<br />
Secondo qualcuno che studia la maggior parte dei brevetti sul<br />
software assegnati negli Stati Uniti – almeno, una volta era solito<br />
farlo, non so se riesce ancora a starci dietro – il 90 per cento non<br />
avrebbe superato “l’esame di Crystal City”, per intendere che nel<br />
caso gli addetti all’ufficio brevetti avessero deciso di passare in edicola<br />
e procurarsi qualche rivista d’informatica, avrebbero scoperto<br />
come quelle idee fossero già note.<br />
L’ufficio brevetti prende decisioni così chiaramente folli che non<br />
occorre neppure essere aggiornati sulle ultima novità per rendersi<br />
conto della loro assurdità. Ciò non si limita soltanto al software.<br />
Una volta ho visto il famoso brevetto sul topo di Harvard, ottenuto<br />
dopo che i ricercatori locali avevano modificato geneticamente<br />
il topo iniettandogli il gene portatore del cancro. Tale gene era già<br />
conosciuto, e venne inserito ricorrendo a tecniche note all’interno<br />
163
di una catena preesistente di cellule di topo. Il brevetto concesso<br />
loro copriva l’inserimento di qualsiasi gene portatore di cancro in<br />
qualunque mammifero usando un metodo qualsiasi. Non occorre<br />
saper nulla di ingegneria genetica per rendersi conto di quanto ciò<br />
sia ridicolo. Mi si dice che questo “eccesso di rivendicazione” sia<br />
pratica comune, e che talvolta l’ufficio brevetti statunitense invita<br />
i richiedenti a estendere ulteriormente il campo coperto dal brevetto.<br />
Praticamente si finisce per coprire il massimo possibile fino<br />
a quando non ci si accorge di essere vicini a un’area certamente già<br />
occupata da opere precedenti. Si cerca di arraffare quanto più territorio<br />
possibile dello spazio mentale a disposizione.<br />
Quando i programmatori considerano molti brevetti sul software,<br />
non possono far a meno di osservare: “quest’idea è ridicolmente<br />
ovvia!”. I burocrati dei brevetti tirano fuori ogni tipo di scuse pur<br />
di giustificare la loro ignoranza del pensiero dei programmatori.<br />
Replicano così: “Bisogna però considerarla rispetto a come stavano<br />
le cose dieci o venti anni fa”. Per poi scoprire che se portate alle<br />
estreme conseguenze, simili posizioni diventano controproducenti.<br />
Qualsiasi cosa può apparire originale quando se ne scompongono<br />
i pezzi, quando la si analizza abbastanza a fondo. Semplicemente<br />
svanisce ogni standard di ovvietà, o quantomeno si perde la capacità<br />
di giustificare qualunque standard di ovvietà o non ovvietà. A<br />
quel punto, naturalmente, si finisce per descrivere tutti coloro che<br />
possiedono un brevetto come dei brillanti inventori; di conseguenza,<br />
non possiamo mettere in discussione il loro diritto a imporci<br />
cosa fare.<br />
Se si decide di andare in tribunale, è probabile che i giudici mostrino<br />
maggiore attenzione alla questione della ovvietà o meno. Ma il<br />
problema è che per arrivarci bisogna spendere milioni di dollari.<br />
Ho sentito parlare di un caso, l’accusato ricordo era la Qualcomm,<br />
164
in cui credo la sentenza finale fu di 13 milioni di dollari, la maggior<br />
parte dei quali servì a coprire l’onorario degli avvocati di<br />
entrambe le parti. Rimasero un paio di milioni di dollari per il querelante<br />
(fu la Qualcomm a perdere la causa).<br />
In un contesto più ampio, la questione della validità o meno di un<br />
brevetto dipende dalle circostanze storiche. Meglio, da una gran<br />
quantità di indizi storici, tipo cosa e quando venne pubblicato, il<br />
materiale che si riesce a recuperare, quello non andato perduto, le<br />
date precise e così via. È la presenza di un certo numero di prove<br />
storiche a determinare la validità di un brevetto.<br />
In realtà, è alquanto strano che British Telecom presentò domanda<br />
nel 1975 per il brevetto sugli “hyperlink accoppiato alla connessione<br />
telefonica”. Credo fosse nel 1974 che il sottoscritto sviluppò<br />
per la prima volta il pacchetto Info, grazie al quale è possibile collegare<br />
tra loro gli hyperlink, mentre gli utenti usavano il telefono<br />
per accedere al sistema. Di fatto avevo realizzato un’invenzione precedente<br />
a quel brevetto. Questa è la seconda idea brevettabile che<br />
so di aver avuto in vita mia.<br />
Ma non credo di avere alcuna prova al riguardo. Non l’avevo considerata<br />
sufficientemente importante da pubblicarla. Dopo tutto,<br />
l’idea di seguire gli hyperlink mi venne dalla dimostrazione dell’elaboratore<br />
creato da Doug Engelbart. Fu lui ad avere un’idea interessante<br />
da pubblicare. Quel che feci io, lo definii “ipertesto del<br />
pover’uomo”, poiché dovetti implementarlo nel contesto del<br />
TECO [acronimo per Text Editor and COrrector, era l’aggiornamento<br />
di un elaboratore testi per telescriventi, adattato da Stallman<br />
alla macchina PDP-6 operante nel Laboratorio di Intelligenza Artificiale<br />
del MIT, con innovazioni importanti per quei tempi, primi<br />
anni ‘70, come i testi a tutto schermo]. Non risultò altrettanto<br />
potente del suo ipertesto, ma almeno si dimostrò utile per naviga-<br />
165
e nella documentazione, che era poi l’obiettivo finale. E per quanto<br />
concerne l’accesso via telefono al sistema, bé, funzionava così,<br />
non mi venne in mente che esistesse una relazione particolare tra le<br />
due cose. Non pensai di dover pubblicare una ricerca per dire: “Ho<br />
realizzato l’ipertesto del pover’uomo, e indovinate un po’, c’è la linea<br />
telefonica anche nel computer!”.<br />
Sospetto non esista alcun modo per stabilire con esattezza la data<br />
in cui riuscii a implementare tutto ciò. Venne forse pubblicato in<br />
qualche modo? Bé, invitammo alcuni ospiti dal giro di ARPANET<br />
a collegarsi online dalla nostra macchina – può darsi che navigando<br />
nella documentazione usando il pacchetto Info si siano accorti<br />
della cosa. Se ce l’avessero chiesto, avrebbero scoperto l’esistenza<br />
dell’accesso tramite la chiamata telefonica. Come è possibile notare,<br />
quindi, sono le circostanze storiche a determinare l’esistenza o<br />
meno di un’opera precedente. Naturalmente esiste una pubblicazione<br />
sull’ipertesto curata da Engelbart che loro, gli imputati, si<br />
apprestano a mostrare. Non credo tuttavia dica nulla sul fatto dell’accesso<br />
telefonico presente nel computer, per cui non è chiaro se<br />
ciò potrà risultare sufficiente.<br />
La possibilità di andare in tribunale per ribaltare il brevetto rappresenta<br />
un’opzione possibile. A causa delle spese necessarie, però,<br />
viene considerata di rado pur potendo provare l’esistenza certa di<br />
un’opera precedente che sembri sufficiente a ribaltare il brevetto.<br />
Come risultato, un brevetto non valido, un brevetto che a livello<br />
nominale non avrebbe dovuto esistere (come infatti dovrebbe essere<br />
per moltissimi brevetti), rappresenta un’arma pericolosa. Se qualcuno<br />
vi attacca con un brevetto non valido potrebbe davvero procurarvi<br />
grossi guai. Potreste bluffare tirando fuori un’opera precedente.<br />
Dipende dal fatto se ciò possa essere sufficiente per spaventarli.<br />
Potrebbero invece pensare, “Bé, stai soltanto bluffando, non<br />
166
ce la farai ad andare in tribunale, non puoi permettertelo, per cui<br />
ti denunciamo lo stesso”.<br />
Tutte e tre questi scenari costituiscono altrettante opzioni a disposizione,<br />
ma spesso è impossibile usarle. In pratica occorre affrontare<br />
un brevetto dopo l’altro. Ogni volta può darsi sia possibile ricorrere<br />
a una di tali opzioni, ma subito dopo c’è un altro brevetto e poi<br />
un altro ancora. È come attraversare un campo minato. È difficile<br />
che a ogni passo, a ogni decisione progettuale, si possa cadere su un<br />
brevetto esistente, e per un raggio limitato è probabile non ci sia<br />
alcuna esplosione. Ma le probabilità di riuscire ad attraversare<br />
indenni il campo minato e sviluppare il programma che si ha in<br />
mente senza mai inciampare in un brevetto, diminuiscono in<br />
maniera direttamente proporzionale all’ampiezza del programma.<br />
A questo punto, qualcuno è solito chiedermi: “Anche in altri settori<br />
esistono i brevetti, perché mai il software dovrebbe esserne esente?”.<br />
Notiamo la stranezza di questa supposizione, per cui in qualche<br />
modo saremmo tutti costretti a soffrire passando attraverso il<br />
sistema dei brevetti. È come dire: “C’è gente che si prende il cancro,<br />
perché non dovresti averlo anche tu?”. Per come la vedo io, è<br />
un bene che non tutti siano malati di cancro.<br />
Ma dietro quest’aspetto si nasconde una domanda meno pregiudiziale,<br />
una buona domanda: il software è forse diverso da altri settori?<br />
Le politiche sui brevetti dovrebbero forse essere diverse per ciascun<br />
ambito? Se sì, perché mai?<br />
Consideriamo l’intera questione: i brevetti hanno funzionalità<br />
diverse a seconda dei settori, perché si comportano altrettanto<br />
diversamente con i rispettivi prodotti.<br />
A un estremo abbiamo l’industria farmaceutica, dove una determinata<br />
formula chimica ottiene il brevetto in modo tale che questo<br />
copra un unico e singolo prodotto. Una nuova medicina non può<br />
167
essere coperta da un brevetto preesistente. Se dev’esserci un brevetto<br />
per questo nuovo prodotto, verrà assegnato a chiunque lo abbia<br />
sviluppato.<br />
Ciò è coerente con l’idea infantile del sistema dei brevetti che abbiamo<br />
oggi: se hai realizzato qualcosa di nuovo, te ne spetta “il brevetto”.<br />
L’idea è che a ciascun prodotto corrisponda un brevetto in<br />
grado di coprire l’idea alla base di quel prodotto. In alcuni settori<br />
tale scenario è vicino alla realtà; in altri assai lontano.<br />
Il software rientra all’estremo opposto di questa seconda categoria: ciascun<br />
programma interseca numerosi brevetti. Ciò per via del fatto che<br />
normalmente i pacchetti software sono di ampie dimensioni. Fanno<br />
uso di molte idee diverse in combinazione tra loro. Se il programma<br />
è nuovo e non soltanto copiato, allora è probabile ricorra a una differente<br />
combinazione di idee – inserite, ovviamente, all’interno di codice<br />
sorgente interamente riscritto, perché è impossibile limitarsi a enunciare<br />
tali idee e farle funzionare come per magia. Bisogna implementarle<br />
una dopo l’altra all’interno di quella combinazione.<br />
Ne risulta che anche nella stesura di un programma si fa uso di molte<br />
idee differenti, ciascuna delle quali potrebbe essere stata brevettata<br />
da persone diverse. In ogni programma esistono perciò migliaia<br />
di elementi, migliaia di punti vulnerabili potenzialmente già coperti<br />
dal brevetto di qualcuno.<br />
Ecco perché i brevetti sul software tendono a ostacolare il progresso<br />
del software – il lavoro di sviluppo di un programma. Se fosse<br />
“un brevetto, un prodotto”, allora i brevetti non impedirebbero lo<br />
sviluppo di nuovi prodotti perché è impossibile che ciascuno di questi<br />
sia stato già brevettato da qualcuno. Ma quando un programma<br />
è il risultato della combinazione di parecchie idee diverse, è assai<br />
probabile che il nuovo prodotto (in parte o per intero) sia già coperto<br />
da qualche brevetto precedente.<br />
168
Non a caso una recente indagine economica rileva proprio come<br />
l’imposizione del sistema dei brevetti in un settore basato sull’innovazione<br />
per incrementi possa rallentarne il progresso. I sostenitori<br />
del sistema dei brevetti dicono: “Sì, è vero, possono nascere dei<br />
problemi, ma ancora più importante è il fatto che i brevetti debbano<br />
promuovere l’innovazione, e ciò è talmente importante che non<br />
importa quanti problemi possano provocare”. Naturalmente si<br />
guardano bene dal dirlo ad alta voce perché è un’affermazione ridicola,<br />
ma implicitamente vogliono farci credere che fino a quando<br />
il sistema dei brevetti riesce a stimolare il progresso, ciò supera qualsiasi<br />
costo possibile. Ma in realtà non esiste motivo per ritenere che<br />
ciò sia effettivamente in grado di stimolare il progresso. Oggi esiste<br />
un modello preciso a dimostrazione delle modalità con cui i brevetti<br />
possono rallentare il progresso. Il caso in cui applicare tale<br />
modello descrive abbastanza bene il campo del software, un campo/sistema<br />
a innovazione incrementale.<br />
Perché il software si trova all’estremità opposta dello spettro? Il<br />
motivo è che nel software sviluppiamo oggetti matematici astratti.<br />
Si può costruire un castello complicato e poggiarlo su una linea sottile,<br />
si reggerà perché non pesa nulla. In altri settori, si ha a che fare<br />
con la perversità della materia, degli oggetti fisici. La materia è qualcosa<br />
di ben preciso. Possiamo tentare di modellarla, ma se il comportamento<br />
reale non corrisponde al modello predisposto allora<br />
sono guai, perché la sfida consiste nel costruire oggetti materiali<br />
capaci di funzionare sul serio.<br />
Se voglio inserire un costrutto “if” all’interno di un “while” non<br />
devo preoccuparmi se il costrutto “if” possa oscillare a una determinata<br />
frequenza e collida con il ciclo “while” provocando la rottura<br />
delle due strutture. [L’intero esempio è basato su “if” e “while”,<br />
due costrutti usati nella programmazione]. Non ho bisogno di<br />
169
preoccuparmi se ciò possa oscillare a una frequenza così alta da<br />
indurre una iniezione di segnale che provochi un cambiamento di<br />
valore di qualche altra variabile. Né devo preoccuparmi di quanta<br />
corrente attraversi il costrutto “if” e se questo possa dissiparla in<br />
calore all’interno del ciclo “while”, o se possa verificarsi un calo di<br />
voltaggio all’interno del ciclo “while” tale da impedire il funzionamento<br />
del costrutto “if”. Neppure devo preoccuparmi del fatto che,<br />
nel caso faccia girare il programma in un ambiente con acqua salata,<br />
il sale possa infilarsi tra il costrutto “if” e il ciclo “while” e causare<br />
corrosione. [Il pubblico ride durante tutto il corso della descrizione].<br />
Non devo preoccuparmi, quando utilizzo il valore di una variabile,<br />
se stia superando il limite di fan-out utilizzandola 20 volte. Né devo<br />
preoccuparmi della sua capacità massima, e se esista tempo sufficiente<br />
per caricarla alla giusta tensione.<br />
Quando scrivo un programma, non ho bisogno di preoccuparmi di<br />
come in seguito dovrò assemblare materialmente ogni copia del programma,<br />
e se possa riuscire ad avere spazio sufficiente per infilare<br />
quel costrutto “if” all’interno del ciclo “while”. Né devo preoccuparmi<br />
di come aprire l’apparato nell’eventualità di una rottura del<br />
costrutto “if” per rimuoverlo e sostituirlo con uno nuovo. Ci sono<br />
così tanti problemi di cui non dobbiamo preoccuparci con il software;<br />
ciò rende sostanzialmente più semplice scrivere un programma<br />
anziché progettare un oggetto materiale capace di funzionare.<br />
Ciò potrà apparire strano, perché probabilmente avrete sentito dire<br />
in giro quanto sia difficile progettare del software, e quanto sia complicato<br />
trovare soluzioni adeguate ai vari problemi. Non si tratta<br />
della medesima questione che sto illustrando ora. Il confronto cui<br />
mi riferivo riguarda i sistemi di software e quelli materiali aventi<br />
una complessità analoga, un identico numero di componenti.<br />
170
Ritengo che un sistema di software sia molto più facile da progettare<br />
di un sistema fisico. Ma l’intelligenza usata in questi campi<br />
diversi è la stessa, e allora cosa facciamo quando ci troviamo a operare<br />
in un contesto semplice? Decidiamo di andare più avanti! Spingiamo<br />
al limite massimo le nostre capacità. Di fronte alla semplicità<br />
dei sistemi di dimensioni analoghe, ne aumentiamo la grandezza<br />
di dieci volte – allora sì che diventeranno difficili! Ecco cosa<br />
facciamo: costruiamo sistemi di software molto più estesi, in termini<br />
di numero dei componenti, dei sistemi fisici.<br />
Un sistema fisico il cui progetto preveda un milione di pezzi diversi<br />
diventa un megaprogetto. Un programma informatico che includa<br />
un milione di pezzi raggiunge forse le 300.000 righe di codice;<br />
un pugno di persone impiegheranno un paio d’anni per scriverlo.<br />
Non si tratta di un programma particolarmente gigantesco. Oggi<br />
GNU Emacs conta svariati milioni di pezzi, credo. È composto da<br />
un milione di righe di codice. Si tratta di un progetto realizzato<br />
essenzialmente senza alcun tipo di sostegno economico, in gran parte<br />
scritto da varia gente nel proprio tempo libero.<br />
Il software offre anche un altro grosso risparmio. Dopo aver progettato<br />
un prodotto fisico, il passo successivo concerne la costruzione<br />
della fabbrica dove produrlo. Operazione che potrà costare<br />
milioni o decine di milioni di dollari, laddove per fare delle copie<br />
di un programma è sufficiente digitare “copia”. Lo stesso comando<br />
consente di copiare qualsiasi programma. Volendo copiare su un<br />
CD, basta realizzare il master e spedirlo a un produttore di CD.<br />
Qui verranno utilizzate le medesime apparecchiature impiegate per<br />
copiare qualsiasi contenuto su un comune CD. Non bisogna<br />
costruire una fabbrica specializzata capace di produrre ogni articolo<br />
specifico. Il tutto comporta una semplificazione enorme e la drastica<br />
riduzione dei costi nella fase di progettazione.<br />
171
Un’azienda automobilistica, che spenderà 50 milioni di dollari nella<br />
costruzione della fabbrica in cui verrà prodotto un nuovo modello<br />
di autovettura, può assumere degli avvocati per occuparsi delle<br />
trattative sulle licenze dei brevetti. Volendo, potranno anche risolvere<br />
felicemente eventuali denuncie legali. La progettazione di un<br />
programma di analoga complessità potrà costare 50.000 o 100.000<br />
dollari. Al confronto, le spese per trattare con il sistema dei brevetti<br />
sono schiaccianti – anzi, la progettazione di un programma avente<br />
le stesse complessità del progetto meccanico di un’autovettura<br />
richiede forse un mese di lavoro. Di quante parti è composta un’automobile...<br />
meglio, un’automobile priva di sistemi computerizzati?<br />
Ciò non vuol dire che sia facile progettare un buon modello, soltanto<br />
che questo non include poi così tante componenti.<br />
(La trasmissione automatica è composta da circa 300-400 pezzi unici,<br />
e generalmente questa è la parte più complicata di un autoveicolo.<br />
La fase di progettazione della trasmissione può richiedere dai<br />
sei mesi a un anno, e a quel punto ci vorrà ancora più tempo per<br />
costruirla e renderla operativa. Invece un programma dotato di 500-<br />
800 parti funzionanti sarà praticamente composto da 200-300<br />
righe di codice, e probabilmente un buon programmatore impiegherà<br />
da un giorno a una settimana per realizzarlo, incluse prove e<br />
collaudi).<br />
Ne risulta che il software è veramente diverso da altri settori, perché<br />
quando si lavora con elementi matematici la progettazione di<br />
qualcosa è infinitamente più semplice. Di conseguenza possiamo<br />
realizzare regolarmente sistemi molto, molto più grandi grazie<br />
appena a un paio di persone. Il risultato è che invece di essere vicini<br />
a “un brevetto, un prodotto”, ci troviamo in un sistema in cui<br />
ciascun prodotto ingloba un’enorme quantità di idee che potrebbero<br />
essere già state brevettate.<br />
172
Il modo migliore per illustrare questa situazione è l’analogia con le<br />
sinfonie di musica classica. Anche una sinfonia è lunga e comprende<br />
parecchie note diverse, e probabilmente usa un gran numero di idee<br />
musicali. Proviamo a immaginare cosa accadrebbe se i governi dell’Europa<br />
del 1700 avessero deciso di promuovere il progresso della<br />
musica sinfonica tramite l’attivazione di un ufficio brevetti per la<br />
musica europea, con il compito di assegnare i brevetti a ogni tipo<br />
di idea musicale che fosse possibile descrivere a parole.<br />
Immaginiamo di trovarci verso il 1800 e di impersonare Beethoven<br />
alle prese con la stesura di una sinfonia. Scoprirete ben presto come<br />
metterne insieme una che non infranga nessun brevetto, sia qualcosa<br />
di assai più arduo che scrivere una buona sinfonia.<br />
Quando ve ne lamentate, i vari detentori brevetti potrebbero<br />
rispondere: “Ah, Beethoven, ti lamenti soltanto perché non hai idee<br />
originali. Tutto quello che vuoi fare è rubare le nostre invenzioni”.<br />
In realtà Beethoven ha un sacco di nuove idee musicali – ma deve<br />
anche usarne parecchie tra quelle esistenti per rendere riconoscibile<br />
la sua musica, in modo che possa piacere agli ascoltatori, i quali<br />
devono identificarla in quanto musica. Nessuno è talmente brillante<br />
da poter reinventare della musica completamente differente e<br />
realizzare al contempo qualcosa a cui si voglia prestare ascolto. Pierre<br />
Boulez disse di volerci provare, ma quanta gente ne ascolta la<br />
musica?<br />
Nessuno è così brillante da poter reinventare tutta l’informatica, per<br />
rifarla completamente da capo. Se qualcuno potesse riuscirci, il<br />
risultato sarebbe talmente strano che gli utenti si rifiuterebbero di<br />
utilizzarla. Quando consideriamo un elaboratore testi odierno, vi<br />
scopriremo, credo, centinaia di funzioni diverse. Se qualcuno sviluppa<br />
un elaboratore testi nuovo e ben fatto, ciò vuol dire che presenta<br />
delle idee nuove, ma dovrà comprendere anche centinaia di<br />
173
idee preesistenti. Nel caso fosse illegale usarle, risulterebbe impossibile<br />
realizzare un elaboratore testi innovativo. Poiché il lavoro dello<br />
sviluppo del software è così ampio, ne risulta che non abbiamo<br />
alcun bisogno di schemi artificiali per incentivare nuove idee. Basta<br />
avere qualcuno che voglia scrivere del software e l’ispirazione non<br />
mancherà di arrivare. Se volete scrivere un programma di buon<br />
livello, vi verranno sicuramente delle idee e troverete il modo di<br />
applicarne alcune.<br />
Visto che opero nel campo del software fin da prima dell’arrivo dei<br />
relativi brevetti, di solito succedeva che la maggior parte degli sviluppatori<br />
pubblicava qualsiasi nuova idea ritenuta valida, per le<br />
quali ritenevano di poter meritare qualche lode o riconoscimento.<br />
Le idee troppo ridotte o non sufficientemente valide non venivano<br />
pubblicate perché sarebbe stato sciocco farlo. Ora, si suppone che<br />
il sistema dei brevetti debba incoraggiare la manifestazione delle<br />
idee. In realtà in passato nessuno le custodiva gelosamente. È vero<br />
che tenevano segreto il codice. In fondo scrivere codice rappresentava<br />
il grosso dell’attività. Non rivelavano il codice e ne pubblicavano<br />
le idee, in modo che gli sviluppatori potessero ottenerne qualche<br />
riconoscimento e sentirsi apprezzati.<br />
Dopo l’introduzione del sistema dei brevetti, continuarono a tenerne<br />
segreto il codice brevettando al contempo le idee, e di fatto non<br />
viene fatto assolutamente nulla per incoraggiare la diffusione delle<br />
idee. Quello che veniva tenuto segreto allora rimane tale ora, ma le<br />
idee che solitamente venivano pubblicate in modo che altri potessero<br />
usarle oggi è probabile vengano brevettate e tenute fuori portata<br />
per 20 anni.<br />
Cosa può fare un paese per cambiare questa situazione? In che modo<br />
dovremmo riformare l’attuale politica onde risolvere il problema?<br />
Due sono i fronti che è possibile attaccare. Uno è il luogo fisico<br />
174
addetto al rilascio dei brevetti, l’omonimo ufficio. L’altro è laddove<br />
tali brevetti trovano applicazione. Questa faccenda riguarda quel<br />
che copre effettivamente un brevetto.<br />
Un modo è quello di stabilire un buon criterio per l’assegnazione dei<br />
brevetti. Ciò può funzionare in un paese che finora non ha ancora<br />
autorizzato il ricorso ai brevetti sul software, come accade ad esempio<br />
nella maggior parte dei paesi europei. Una buona soluzione per<br />
l’Europa sarebbe semplicemente quella di rafforzare con chiarezza le<br />
norme dell’ufficio brevetti europeo, che stabiliscono la non brevettabilità<br />
del software. Attualmente l’Europa sta vagliando una direttiva<br />
per i brevetti sul software. (Credo che tale direttiva sia di portata più<br />
ampia, ma una delle implicazioni più importanti riguarda i brevetti<br />
sul software). Sarebbe sufficiente modificarla ribadendo che le idee<br />
sul software non possono essere coperte da brevetti, così da tenere<br />
gran parte dei problemi fuori dall’Europa, fatta eccezione per alcuni<br />
paesi che potrebbero trovarsi davanti a problemi interni, e uno di questi<br />
purtroppo è la Gran Bretagna (purtroppo per voi).<br />
Un approccio simile non funzionerebbe negli Stati Uniti. Il motivo<br />
è che qui esiste già un’ampia quantità di brevetti sul software, e<br />
qualsiasi mutamento nel criterio per l’assegnazione non potrà liberarsi<br />
di quelli precedenti.<br />
(Quando parlo di “brevetti sul software” cosa intendo dire in realtà?<br />
L’ufficio brevetti statunitense non divide ufficialmente i brevetti sul<br />
software dagli altri. Così qualsiasi brevetto che è possibile applicare<br />
a qualche tipo di software viene considerato la base presumibilmente<br />
valida per poter denunciare chiunque scriva dei programmi.<br />
I brevetti sul software sono brevetti che si possono potenzialmente<br />
applicare al software, brevetti che potenzialmente possono motivare<br />
la denuncia contro chi sviluppa del software).<br />
Così per gli Stati Uniti la soluzione dovrebbe materializzarsi trami-<br />
175
te il cambiamento dell’applicabilità, dello scopo dei brevetti: affermando<br />
cioè che la pura implementazione del software, operante su<br />
un hardware generico che in sé non infrange il brevetto, non è<br />
coperta da alcun brevetto e non si può subire alcuna denuncia unicamente<br />
su tali basi. Questo è l’altro tipo di soluzione possibile,<br />
mentre la prima, quella relativa ai tipi di brevetti che possono risultare<br />
validi, è una buona soluzione da applicare in Europa.<br />
Quando negli Stati Uniti venne introdotto il sistema dei brevetti<br />
non ci fu alcun dibattito politico. Anzi, non se ne accorse nessuno.<br />
Per la maggior parte, neppure quanti operavano nel campo del<br />
software ne presero nota. Nel 1981 una decisione della Corte Suprema<br />
prese in esame il brevetto su un procedimento per la lavorazione<br />
della gomma. Secondo la sentenza, il fatto che l’apparecchiatura<br />
in questione fosse dotata di computer e di programma come parte<br />
del processo per la lavorazione della gomma, non ne impediva la<br />
brevettabilità. L’anno successivo, la corte d’appello che si occupa di<br />
tutti i casi relativi ai brevetti chiarì meglio il concetto: l’esistenza di<br />
un computer e di un programma rende il prodotto brevettabile. Il<br />
fatto che all’interno di un oggetto qualsiasi ci sia un computer e un<br />
programma, consente la brevettabilità di tale oggetto. Ecco perché<br />
negli Stati Uniti piovvero le richieste di brevetti sulle procedure<br />
commerciali: queste venivano eseguite tramite un computer e ciò<br />
le rendeva brevettabili.<br />
Così venne emanata quella sentenza, e subito dopo credo che il brevetto<br />
per il ricalcolo secondo l’ordine naturale fosse uno dei primi<br />
a essere assegnato, se non addirittura il primo.<br />
Per tutti gli anni ‘80 non ne sapemmo nulla. Fu intorno al 1990<br />
che i programmatori statunitensi iniziarono a rendersi conto dei<br />
pericoli cui andavano incontro con il sistema dei brevetti. Ho visto<br />
come operava il settore prima di quel periodo e come lo fece dopo.<br />
176
Dopo il 1990 non notai alcuna particolare accelerazione del progresso<br />
operativo.<br />
Negli Stati Uniti non si ebbe alcun dibattito politico, ma in Europa<br />
se ne è avuto uno di ampie proporzioni. Parecchi anni fa vennero<br />
segnalate forti pressioni per apportare degli emendamenti al<br />
trattato di Monaco che implementava l’ufficio europeo dei brevetti.<br />
Una clausola del documento stabilisce la non brevettabilità del<br />
software. Le pressioni miravano a modificare tale clausola in modo<br />
da iniziare a consentire i brevetti sul software. Ma la comunità si<br />
accorse di questa manovra. Furono anzi gli sviluppatori e gli utenti<br />
di software libero a guidare le proteste. Non siamo solo noi a subire<br />
i pericoli del sistema dei brevetti. Ogni sviluppatore ne è minacciato,<br />
e lo stesso vale anche per gli utenti.<br />
Ad esempio, Paul Heckel – dopo che la Apple non venne intimidita<br />
dalle sue minacce – avvertì che avrebbe preso a denunciarne gli<br />
utenti. L’eventualità preoccupò non poco la Apple, la quale comprese<br />
che non poteva permettersi di lasciar denunciare i propri<br />
clienti a quel modo, anche se in ultima analisi avrebbero vinto la<br />
causa. Ma il punto è che anche gli utenti possono subire una denuncia,<br />
sia come modo per attaccare gli sviluppatori sia soltanto per<br />
spremere loro dei soldi o provocare gravi danni. Tutti gli sviluppatori<br />
e gli utenti sono vulnerabili.<br />
Ma in Europa è stata la comunità del software libero a organizzare<br />
l’opposizione. Fu così che per due volte i paesi responsabili dell’ufficio<br />
europeo dei brevetti votarono no all’emendamento del trattato.<br />
Allora intervenne l’Unione Europea e le varie commissioni si<br />
mostrarono divise sulla questione. Quella il cui compito riguarda<br />
la promozione del software è contro i brevetti, almeno così pare,<br />
ma non aveva potere decisionale su questo tema. Ne è responsabile<br />
la commissione sul libero mercato, e chi la presiede sembra favo-<br />
177
evole ai brevetti sul software. In pratica tale commissione non ha<br />
tenuto alcun conto delle posizioni espresse dal pubblico, proponendo<br />
una direttiva che consente i brevetti sul software.<br />
Il governo francese ha già dichiarato la propria opposizione. Molta<br />
gente sta facendo pressione sui vari governi nazionali affinché si<br />
oppongano ai brevetti sul software, ed è vitale iniziare a muoversi<br />
anche qui in Gran Bretagna. Secondo Hartmut Pilch, uno dei leader<br />
europei nella battaglia contro i brevetti sul software, l’impeto<br />
maggiore arriva dall’ufficio brevetti britannico, il quale è aprioristicamente<br />
a favore dei brevetti sul software. L’ufficio britannico ha<br />
condotto una serie di consultazioni pubbliche, rivelatesi in maggioranza<br />
di segno contrario. Poi ha diffuso un documento in cui si<br />
sostiene che la gente sembra apprezzare quei brevetti, ignorando<br />
completamente le risposte ricevute dal pubblico. In ogni caso, la<br />
comunità del software libero aveva avvisato gli utenti: “Per favore<br />
inviate le risposte sia a loro che a noi”. Così hanno pubblicato tali<br />
risposte, che in genere esprimevano opposizione. Sarebbe stato<br />
impossibile desumere tutto ciò dal rapporto pubblicato dall’ufficio<br />
brevetti britannico.<br />
Questo ricorre spesso a un termine chiamato “effetto tecnico”. È<br />
una definizione che può essere ampliata in maniera tremenda.<br />
Dovremmo credere che questa stia a indicare che l’idea di un programma<br />
possa essere brevettata soltanto nel caso in cui si riferisca<br />
a specifiche azioni fisiche. Se questa è l’interpretazione corretta, in<br />
gran parte risolverebbe ogni problema. Se fosse davvero possibile<br />
brevettare soltanto le idee di un programma effettivamente correlate<br />
allo specifico risultato tecnico, fisico brevettabile in assenza di<br />
tale programma, ciò andrebbe bene. Il problema sta nel fatto che<br />
quel termine può subire delle estensioni. Quel che si ottiene facendo<br />
girare un certo programma può essere descritto come un effet-<br />
178
to fisico. In che modo quest’ultimo si differenzia da qualsiasi altro<br />
risultato? Bé, lo è in quanto deriva da quel calcolo specifico. Di conseguenza<br />
l’ufficio brevetti britannico sta proponendo qualcosa che<br />
sembra condurre per lo più alla soluzione del problema, ma che in<br />
realtà offre carta bianca per poter brevettare quasi ogni cosa.<br />
I responsabili dello stesso dipartimento sono coinvolti anche sulle<br />
tematiche del copyright, che in realtà non c’entra nulla con i brevetti<br />
sul software, eccetto per il fatto che in questo caso se ne occupano<br />
le stesse persone. (Forse sono stati indotti dal termine “proprietà<br />
intellettuale” a mettere insieme le due questioni). Si tratta di<br />
interpretare la recente direttiva dell’Unione Europea in tema di<br />
copyright, normativa orribile tanto quanto il Digital Millennium<br />
Copyright Act statunitense, pur se i singoli paesi hanno qualche<br />
spazio di manovra sulla sua implementazione. La Gran Bretagna<br />
vorrebbe massimizzare l’effetto tirannico della direttiva. Sembra che<br />
sia un certo gruppo – forse il Ministero del Commercio e dell’Industria?<br />
– a meritare la nostra attenzione. È necessario monitorarne<br />
le attività, in modo da bloccare la creazione di nuove forme di<br />
potere.<br />
I brevetti sul software possono incastrare ogni sviluppatore e ogni<br />
utente informatico in una nuova forma di burocrazia. Se gli imprenditori<br />
che utilizzano i computer riuscissero a comprendere il gran<br />
numero di problemi che ciò finirà per provocare loro, sarebbero<br />
pronti a dar battaglia, e sono sicuro che riuscirebbero a fermare queste<br />
iniziative. L’imprenditoria non ha alcuna voglia di farsi legare le<br />
mani dalla burocrazia. Naturalmente, talvolta questa è utile al raggiungimento<br />
di obiettivi importanti. Esistono alcuni settori in cui<br />
vorremmo che il governo britannico si fosse dimostrato più rigoroso<br />
nell’imporre maggiore burocrazia a certe aziende, come per lo<br />
spostamento e il commercio di animali (onde rendere difficile la<br />
179
diffusione della variante del morbo di Creutzfeldt-Jacob, meglio<br />
noto come “mucca pazza”). Ma nei casi in cui ciò non persegue altro<br />
scopo se non la creazione di monopoli artificiali in modo che qualcuno<br />
possa interferire con lo sviluppo dei programmi – spremendo<br />
denaro dagli sviluppatori e dagli utenti – allora dovremmo<br />
opporre un rifiuto. Dobbiamo informare i dirigenti imprenditoriali<br />
sulle conseguenze dei brevetti sul software nei loro confronti, così<br />
da ottenerne il sostegno nella lotta contro i brevetti sul software in<br />
Europa.<br />
La battaglia non è ancora finita. Possiamo ancora vincerla.<br />
Trascrizione dell’intervento tenuto all’Università di Cambridge, Londra,<br />
il 25 marzo 2002. Questa versione fa parte del libro Free Software, Free<br />
Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
180
Appendice
Risorse utili<br />
Per una buona infarinatura generale, è bene iniziare da questi libri italiani:<br />
AA.VV., Open Sources: Voci dalla rivoluzione open source, Apogeo,<br />
1999, euro 14,46 (disponibile anche online: http://www.apogeonline.com/libri/00545/scheda)<br />
Mariella Berra e Angelo Raffaele Meo, Informatica Solidale: Storia e<br />
prospettive del software libero, Bollati Boringhieri, 2001, euro 14,46<br />
Sam Williams, Codice Libero (Free as in Freedom): Richard Stallman e<br />
la crociata per il software libero, Apogeo, 2003, euro 14 (disponibile<br />
anche online: http://www.apogeonline.com/libri/02108/scheda)<br />
Per approfondimenti e aggiornamenti vari, meglio sbizzarrirsi sul<br />
web. Questi sono alcuni dei maggiori siti da seguire, a partire ovviamente<br />
da quelli in inglese:<br />
Free Software Foundation e GNU Project: http://www.fsf.org<br />
Sito personale di Richard Stallman: http://www.stallman.org<br />
Free Software Foundation Europe: http://www.fsfeurope.org/<br />
Eurolinux alliance: http://www.eurolinux.org<br />
Associazione Software Libero: http://www.softwarelibero.it<br />
Software libero nella didattica: http://scuola.softwarelibero.org<br />
PLUTO Free Software Users Group: http://pluto.linux.it<br />
Associazione Software Libero: fondazione e storia<br />
L’Associazione Software Libero (Assoli) è un’entità legale senza scopo<br />
di lucro che nasce nel novembre 2000 e che annovera, tra i suoi<br />
obiettivi, la diffusione del software libero in Italia e una corretta infor-<br />
183
mazione sull’argomento. Nel maggio 2002, diventa l’affiliata italiana<br />
della Free Software Foundation Europe e, attraverso le sue liste (in<br />
particolare discussioni@softwarelibero.it e diritto@softwarelibero.it),<br />
riesce a radunare circa duecento persone interessate a dibattere di<br />
licenze, questioni legali, avvicinamento alla pubblica amministrazione<br />
e attività pubbliche a sostegno del software libero.<br />
La decisione di creare Assoli nasce da una semplice constatazione: se<br />
il software libero, dal punto di vista tecnico, ha iniziato ad attecchire<br />
ormai da qualche anno, non è accaduto altrettanto per la comprensione<br />
dei diversi tipi di licenza e per le conseguenze giuridiche<br />
della loro adozione. Lo prova la confusione - ancora attuale anche<br />
negli ambienti degli “addetti ai lavori” - verso termini come freeware,<br />
shareware, open source e software libero, utilizzati come sinonimi<br />
quando invece le differenze che queste diverse forme di software hanno<br />
in termini di uso privato e aziendale, creazione di un mercato e<br />
incentivo allo sviluppo tecnologico sono notevoli, specialmente in<br />
un’ottica di lungo periodo.<br />
Altra prova della diffusa mancanza di conoscenza sull’argomento è<br />
stata la legge italiana sul diritto d’autore (n. 248/2000), legge dove<br />
tutto il software è stato equiparato a quello proprietario, determinando<br />
così una effettiva difficoltà per la diffusione di software distribuito<br />
con licenze differenti. Gli ostacoli insorti al momento dell’entrata<br />
in vigore della legge sono stati in parte corretti dal regolamento<br />
attuativo che segue di oltre un anno la nuova normativa e le recenti<br />
modifiche a esso apportate, ma permangono ancora oggi problemi<br />
alla diffusione del software libero, collegati a legislazioni potenzialmente<br />
restrittive, come la direttiva europea 2001/29/CE (European<br />
Union Copyright Directive, Eucd).<br />
I progetti<br />
Eucd: le conseguenze e i pericoli (http://www.softwarelibero.it/progetti/eucd/index.shtml).<br />
La campagna nasce per diffondere una maggiore conoscenza della<br />
184
direttiva europea 2001/29/CE, più nota come European Union<br />
Copyright Directive (Eucd). Il provvedimento introduce una serie di<br />
novità legali nel campo del “diritto d’autore”, puntando unicamente<br />
alla salvaguardia degli interessi economici dei grossi editori e dei produttori<br />
di software proprietario. I diritti degli utenti (e non solo) sono<br />
messi completamente in secondo piano, se non addirittura calpestati.<br />
Le norme della direttiva mettono in grave pericolo il diritto alla<br />
copia privata, la possibilità di usufruire delle opere in formato digitale<br />
(come e-book, dvd, cd musicali) secondo condizioni ragionevoli,<br />
la futura garanzia di poter accedere senza censure a documenti di<br />
rilevanza storica, la possibilità di cedere o rivendere materiale digitale<br />
regolarmente acquisito, la possibilità di produrre software libero<br />
interoperante, la libertà di ricerca e di espressione su Internet. L’applicazione<br />
dell’Eucd in Italia appare molto vicina, dato che è già pronto<br />
uno schema di decreto legislativo per il recepimento della direttiva.<br />
Esiste già una legge in vigore che applica le stesse norme previste<br />
dall’Eucd: si tratta dello statunitense Digital Millennium Copyright<br />
Act (DMCA. http://www.anti-dmca.org/).<br />
Bollino Howto (http://www.softwarelibero.it/bollino/html/Bollino-<br />
HOWTO.html).<br />
Dal momento dell’approvazione della legge 248/2000, nota come<br />
“legge del bollino”, e del successivo regolamento attuativo, molti<br />
gruppi e osservatori hanno mosso varie critiche e osservazioni a questi<br />
testi, osservazioni incentrate su aspetti legati alla possibilità di una<br />
reale applicazione della legge e ai diritti dei consumatori. Inoltre si<br />
sono andate delineando difficoltà a cui sarebbero andate incontro piccole<br />
realtà produttive esistenti in Italia. Per questo, l’Associazione<br />
Software Libero e il Lug Roma (http://www.lugroma.org/) hanno cercato<br />
di capire come far “convivere” il software libero con questa legge:<br />
sono avviati dei contatti con la sede centrale della Siae, con gli<br />
organi preposti per discutere delle problematiche che l’interpretazione<br />
della legge pone in relazione alle opere libere e delle possibili solu-<br />
185
zioni per rendere manifesta l’esclusione di questo genere di opere dall’ambito<br />
di applicazione della normativa. In seguito al primo incontro<br />
e alla luce dei chiarimenti avuti, l’Associazione Software Libero e<br />
il progetto GNUtemberg! (http://www.gnutemberg.org/) hanno presentato,<br />
in luoghi e circostanze diversi, e ottenuto una richiesta di<br />
esenzione. Sono seguiti i cd-rom e il materiale creato da numerosi<br />
Lug (Linux User Group), distribuiti sul territorio nazionale. Il documento<br />
è stato scritto, revisionato e pubblicato con la volontà di favorire<br />
la conoscenza della legge e degli strumenti che questa mette a<br />
disposizione per evitare l’applicazione del contrassegno.<br />
Formati<br />
Il progetto ha come obiettivo la definizione di formati di dati e di formati<br />
di dati liberi individuando quali siano le migliori applicazioni nell’ambito<br />
pubblico e privato. Ogni volta che si usa un applicativo software,<br />
vengono prodotti dati, generalmente memorizzati su hard disk,<br />
floppy o altri supporti oppure inviati a un altro elaboratore via rete. Poiché<br />
i dati sono di proprietà dell’utente che li ha creati, è fondamentale<br />
che egli possa disporre di essi, indipendentemente dal formato di<br />
memorizzazione o di trasmissione utilizzato. In altre parole, l’utente<br />
deve essere nella condizione di accedere ai propri dati conservando la<br />
libertà di scelta del software da utilizzare. Affinché i dati siano utili, è<br />
necessario che utenti differenti possano condividerli e utilizzarli, senza<br />
alcun vincolo di dipendenza da un unico produttore. Dunque, un prerequisito<br />
nella creazione e nell’accesso ai dati è costituito da formati<br />
chiari, facilmente accessibili e riutilizzabili all’interno di prodotti differenti.<br />
Benché il concetto di libertà dei formati di dati sia strettamente<br />
correlato al concetto di libertà del software, una definizione di formati<br />
di dati liberi prescinde dalla natura del software essendo valida sia per<br />
il software libero che per quello proprietario.<br />
Dizionario libero (http://www.softwarelibero.it/progetti/dizionario/).<br />
Il Progetto Dizionario Libero ha come obiettivo la realizzazione di un<br />
186
dizionario italiano e di ulteriori strumenti linguistici disponibili al<br />
pubblico sotto licenza libera. Uno degli aspetti in cui il software libero<br />
in italiano si è dimostrato più carente è quello della mancanza di<br />
un vocabolario di qualità sufficientemente elevata. Oltre a ciò, manca<br />
in generale quello che invece è disponibile per molte altre lingue,<br />
come un dizionario e una raccolta di sinonimi e contrari. Questo progetto<br />
mira a costruire le basi necessarie per colmare queste lacune e i<br />
risultati saranno rilasciati con licenza libera (GPL, LGPL o FDL, a<br />
seconda dei casi). Il primo passo è stato quello di creare una mailing<br />
list di coordinamento (dizionario@softwarelibero.it) e qui si stabiliscono<br />
le modalità di evoluzione del progetto, obiettivi ulteriori e<br />
modalità di realizzazione. Il secondo passo è la creazione di deposito<br />
centralizzato per una lista di parole semplici, a cui diventi possibile<br />
fare riferimento come punto di raccolta per la stesura del vocabolario.<br />
A questo si aggiungerebbe una procedura automatica per la raccolta<br />
di nuove parole, e procedure più o meno automatiche per la<br />
relativa integrazione.<br />
Storia del software libero in Italia (http://www.softwarelibero.it/progetti/storia/).<br />
Scopo del progetto è l’individuazione e la descrizione dei personaggi<br />
e dei momenti che hanno contribuito alla diffusione del software libero<br />
e del movimento di pensiero a esso collegato. Il lavoro, attualmente<br />
in via di sviluppo, è aperto a interventi, suggerimenti, contributi, che<br />
possono essere sottoposti all’indirizzo della mailing list di coordinamento,<br />
storia@softwarelibero.it<br />
Le attività<br />
Una parte importante del lavoro di Assoli è la partecipazione a conferenze<br />
ed eventi pubblici presentando quelli che sono i concetti filosofici<br />
e legali correlati al software libero. Inoltre, sono state portate<br />
avanti iniziative in collaborazione con associazioni che si occupano<br />
di argomenti simili. Tra queste, insieme alla Italian Linux Society<br />
187
(ILS, http://www.linux.it/), ha sollecitato una raccolta di firme per<br />
sostenere la discussione in parlamento del disegno di legge sul software<br />
libero: “Norme in materia di pluralismo informatico sulla adozione<br />
e la diffusione del software libero e sulla portabilità dei documenti informatici<br />
nella Pubblica Amministrazione” (XIV Legislatura Atto Senato<br />
n. 1188, www.parlamento.it/leg/14/Bgt/Schede/Ddliter/16976.htm),<br />
attualmente all’esame della Commissione Affari Costituzionali del<br />
Senato). In proposito, ha lavorato anche Promezio.net (http://openmind.promezio.net/),<br />
Opensource.it (http://www.opensource.it/disegnolegge.php)<br />
e ezboard (http://pub47.ezboard.com/fsicurezzanetfrm2.showMessage?topicID=68.topic).<br />
Con Agnug (Associazione Gnug, http://www.gnug.it/) e alla sezione<br />
italiana delle Free Software Foundation Europe (http://www.fsfeurope.org/),<br />
sostiene la campagna “Libera il tuo software!”<br />
(http://www.liberailsoftware.org/) per la creazione di una rete di economia<br />
solidale a sostegno dello sviluppo del software libero. Il primo<br />
obiettivo è favorire la realizzazione in tempi brevi della nuova versione<br />
di Samba, in grado di consentire una migrazione indolore dei server<br />
Windows Nt a Gnu/Linux piuttosto che a Windows 2000.<br />
Assoli ha infine contribuito alla realizzazione delle mozioni comunali<br />
per l’introduzione del software libero e dei formati liberi con una<br />
serie di gruppi consiliari italiani, tra cui Firenze, Torino e Bologna.<br />
Per maggiori informazioni e contatti: http://www.softwarelibero.it/<br />
188
Indice<br />
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3<br />
PARTE PRIMA:<br />
Il progetto GNU e il software libero . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9<br />
Il progetto GNU. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11<br />
Il manifesto GNU. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42<br />
La definizione di software libero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59<br />
Perché il software non dovrebbe avere padroni. . . . . . . . . . . . 64<br />
Cosa c’è in un nome? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72<br />
Perché “software libero” è da preferire a “open source”. . . . . . 78<br />
Rilasciare software libero se lavorate all’università . . . . . . . . . 88<br />
Vendere software libero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92<br />
Il software libero ha bisogno di documentazione libera . . . . . 97<br />
La canzone del software libero. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101<br />
PARTE SECONDA:<br />
Copyright, copyleft e brevetti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103<br />
Il diritto di leggere. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105<br />
L’interpretazione sbagliata del copyright – una serie di errori. 114<br />
La scienza deve mettere da parte il copyright . . . . . . . . . . . . . 134<br />
Cos’è il copyleft? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137<br />
Copyleft: idealismo pragmatico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141<br />
Il pericolo dei brevetti sul software . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 146<br />
APPENDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181
eretica direttore<br />
http://www.stampalternativa.it/<br />
e-mail: nuovi.equilibri@agora.it<br />
S T A M P A A L T E R N A T I V A<br />
editoriale Marcello Baraghini<br />
Contro il comune senso del pudore, contro la morale codificata,<br />
controcorrente. Questa collana vuole abbattere i muri editoriali<br />
che ancora separano e nascondono coloro che non hanno<br />
voce. Siano i muri di un carcere o quelli, ancora più invalicabili<br />
e resistenti, della vergogna e del conformismo.<br />
Saggi scelti di Richard Stallman<br />
Software libero<br />
Pensiero libero<br />
A cura di Bernardo Parrella e Associazione Software Libero<br />
Traduzioni di Bernardo Parrella e Gruppo traduttori italiani<br />
del progetto GNU<br />
Titolo originale: Free Software, Free Society: The Selected Essays<br />
of Richard M. Stallman<br />
Copyright © 2002 Free Software Foundation, Inc.<br />
Free Software Foundation<br />
59 Temple Place, Suite 330,<br />
Boston, MA 02111-1307, USA<br />
Email: gnu@gnu.org Web: http://www.gnu.org<br />
Si consente la copia letterale e la distribuzione di uno o di tutti gli<br />
articoli di questo libro, nella loro integrità, a condizione che su ogni<br />
copia sia mantenuta la citazione del copyright e questa nota.<br />
progetto grafico Anyone!<br />
impaginazione Littlered<br />
© 2003 Nuovi Equilibri<br />
su concessione della Free Software Foundation<br />
Casella postale 97 - 01100 Viterbo fax 0761.352751<br />
AAtttteennzziioonnee!! I manoscritti inviati all’editore non si restituiscono.<br />
Non vengono forniti pareri e schede di lettura.<br />
Non si considerano testi inviati per e-mail.<br />
finito di stampare nel mese di aprile 2003<br />
presso la tipografia Graffiti<br />
via Catania 8 - 00040 Pavona (Roma)
RICHARD STALLMAN<br />
<strong>SOFTWARE</strong> <strong>LIBERO</strong><br />
PENSIERO <strong>LIBERO</strong><br />
VOLUME SECONDO
Libertà di software<br />
e di pensiero, grazie!<br />
Prosegue la presentazione italiana dei saggi e degli interventi più<br />
significativi di Richard Matthew Stallman, fondatore del movimento<br />
del software libero. Come annunciato nel primo volume (maggio<br />
2003), questo secondo tomo include i testi integrali delle varie licenze<br />
GNU, a partire dalla più affermata, la GPL, General Public<br />
License, nonché le trascrizioni di alcuni importanti interventi dal<br />
vivo di Stallman (quali “Copyright e globalizzazione nell’epoca delle<br />
reti informatiche” e “Software libero: libertà e cooperazione”). Viene<br />
così completata la versione nostrana di un libro originale – Free<br />
Software, Free Society: Selected Essays of Richard M. Stallman – dove<br />
vengono condensati oltre 20 anni di testi e interventi pubblici che<br />
hanno modificato la nostra stessa concezione dell’informatica e della<br />
tecnologia. Testi che, a scanso di equivoci, non si limitano a fare la<br />
storia del movimento del software libero, ma gettano anzi forti luci<br />
sul futuro di dinamiche al crocevia tra etica e legge, business e software,<br />
libertà individuale e società trasparente.<br />
Questo secondo volume è inoltre arricchito da un’importante appendice:<br />
un documento in cui l’Associazione Software Libero aggiorna lo<br />
scenario su alcuni temi di scottante attualità anche per la scena italiana:<br />
l’EUCD (European Union Copyright Directive), i brevetti sul<br />
software, la pubblica amministrazione e il software libero. Si tratta<br />
in pratica di tre cavalli di battaglia – avviati dall’Associazione ma<br />
ovviamente aperti a chiunque voglia e vorrà coinvolgersi – attraverso<br />
i quali “scardinare, o almeno tentare, la visione imperante del-<br />
3
l’informatica legata al pagamento delle licenze, alla mera esecuzione<br />
dei programmi, alla limitazione delle informazioni per trasformare<br />
gli utenti in ‘pigiatori’ di tasti e icone a cui manca però la conoscenza<br />
di fondo, quella che si cela dietro alle interfacce grafiche e che costituisce<br />
uno dei presupposti della libertà.”<br />
In ambito più generale, va invece segnalata l’iniziativa legale avviata<br />
lo scorso marzo dalla ex-Caldera, ora nota come Santa Cruz Operation<br />
(SCO), contro IBM e altre aziende che fanno uso del sistema<br />
GNU/Linux. Iniziativa che sembra porsi come una sfida lanciata<br />
contro l’intero mondo dell’open source e del software libero, ovvero<br />
mirata agli stessi utenti insieme a qualche big dell’industria informatica.<br />
Al riguardo è senz’altro il caso di riportare alcuni stralci della<br />
posizione assunta a fine giugno dalla Free Software Foundation<br />
(FSF), in cui Eben Moglen, esperto legale e Consigliere Generale della<br />
stessa FSF, interviene su alcuni dettagli importanti:<br />
“SCO accusa IBM di aver infranto i vincoli contrattuali tra le due<br />
aziende e di aver incorporato in ciò che SCO chiama genericamente<br />
“Linux” segreti industriali che riguardano la progettazione del sistema<br />
operativo UNIX. Quest’ultima affermazione è stata recentemente<br />
ampliata in dichiarazioni extragiudiziarie da parte del personale<br />
di SCO e di alcuni suoi dirigenti che hanno specificato che “Linux”<br />
incorpora materiale copiato da UNIX, violando il Copyright di SCO.<br />
Un’affermazione di questo tenore è contenuta anche in una lettera che<br />
SCO pare abbia inviato a 1500 tra le più grandi aziende al mondo<br />
mettendole in guardia dall’utilizzo del Software Libero sulla base di<br />
possibili responsabilità concernenti violazione di Copyright.”<br />
Il testo di Eben Moglen (reperibile interamente in versione italiana:<br />
http://www.it.gnu.org/philosophy/sco-statement.it.html) prosegue<br />
sottolineando la confusione, apparentemente voluta, della posizione<br />
4
di SCO rispetto all’utilizzo del termine “Linux” per intendere “tutto<br />
il Software Libero” o “tutto il Software Libero che costituisce un sistema<br />
operativo simile a UNIX”. Aggiungendo come pur a fronte delle<br />
contestazioni sul segreto industriale, le uniche mosse nella causa contro<br />
IBM, va comunque notato il “semplice fatto che SCO ha per anni<br />
distribuito copie del kernel, Linux, come parte di sistemi<br />
GNU/Linux. Tali sistemi sono stati distribuiti da SCO nel pieno<br />
rispetto della GPL, e per ciò, includevano l’intero codice sorgente.”<br />
Con una conclusione che offre una precisa presa di posizione della<br />
FSF e dei sostenitori del software libero:<br />
“Di fronte a questi fatti, le dichiarazioni pubbliche di SCO sono<br />
quantomeno fuorvianti ed irresponsabili. SCO ha abilmente approfittato<br />
del lavoro di coloro che hanno fornito contributi da tutto il<br />
mondo. Le loro attuali dichiarazioni pubbliche costituiscono un volgare<br />
abuso dei principi della comunità del Software Libero, da parte<br />
di un membro che ha utilizzato tutto il nostro lavoro per il proprio<br />
tornaconto economico. La Free Software Foundation invita SCO a<br />
ritirare le proprie sconsiderate ed irresponsabili dichiarazioni e di<br />
provvedere a separare immediatamente i propri disaccordi commerciali<br />
con IBM dai propri doveri e le proprie responsabilità nei confronti<br />
della comunità del Software Libero.”<br />
Da parte sua, Richard Stallman ha commentato qua e là la faccenda,<br />
ma senza eccessive preoccupazioni. Chiarendo, tra l’altro, punti<br />
chiave come il seguente: “In una comunità di più di mezzo milione<br />
di sviluppatori, non possiamo aspettarci che non avvengano mai casi<br />
di plagio. Ma non è un disastro; possiamo scartare tale materiale e<br />
proseguire. Se c’è materiale in Linux che è stato aggiunto senza il diritto<br />
legale di farlo, gli sviluppatori di Linux lo individueranno e lo sostituiranno.<br />
SCO non può usare i propri copyright, o i propri contratti<br />
5
con altre parti, per sopprimere i legittimi contributi di migliaia di<br />
altri soggetti. Lo stesso Linux non è più essenziale: il sistema GNU è<br />
diventato popolare in congiunzione con Linux, ma oggi gira su due<br />
kernel BSD e con il kernel GNU. La nostra comunità non può essere<br />
sconfitta da questa vicenda.”<br />
Va aggiunto che, in piena estate 2003, le posizioni di media e industria,<br />
aziende e organizzazioni, addetti ai lavori e avvocati, a partire<br />
dalla scena statunitense per ampliarsi al resto del mondo, concordano<br />
su un fatto: l’iniziativa a tutto campo di SCO appare assurda,<br />
immotivata e condannata alla sconfitta. L’impressione generale è che<br />
l’ex-Caldera miri a risultati finanziariamente vantaggiosi, onde recuperare<br />
i diversi milioni di dollari persi sul mercato in anni recenti.<br />
Ciò include varie possibilità, dall’acquisto da parte della stessa IBM<br />
denunciata o altro gigante high-tech all’imposizione di licenze ad<br />
aziende Linux e/o ai singoli utenti. Non a caso l’ultima mossa di SCO<br />
è la registrazione di una nuova licenza di UnixWare avente come target<br />
gli utenti commerciali di Linux, e in cui si impone ai distributori<br />
di usarne il kernel soltanto in versione binaria, bloccando in pratica<br />
l’accesso al codice sorgente, dal kernel 2.4 in poi. Pur senza quantificare,<br />
al momento SCO propone insomma ad aziende e utenti di<br />
pagare la licenza per il suo UnixWare 7.1.3, su cui girano sia applicazioni<br />
Linux che Unix. Comunque sia, finora tali iniziative non<br />
hanno provocato alcuna ripercussione negativa a livello di mercato,<br />
mentre le testate specializzate USA confermano che gli utenti non<br />
paiono per nulla scossi dalle minacce di SCO, vere o presunte che siano.<br />
A ridosso di ferragosto, è infine arrivata l’attesa contro-denuncia<br />
di IBM, la quale chiede in sostanza ai giudici dello Utah di archiviare<br />
la pratica vista la falsità delle accuse, imponendo anzi a SCO<br />
un rimborso danni “compensatori e punitivi”, pur senza specificarne<br />
l’ammontare.<br />
6
In attesa di ulteriori sviluppi giudiziari o, forse meglio, del previsto<br />
patteggiamento tra le parti in causa, la vicenda ribadisce innanzitutto<br />
la forza raggiunta dal movimento free software (e open source)<br />
a livello commerciale, tale da replicare con fermezza anche a improvvise<br />
sfide legali ed eventuali ricadute a largo raggio. Un ambito complessivo<br />
in cui, oltre a difendersi in aula se e quando sarà il caso, restano<br />
più che valide le concezioni efficacemente illustrate da Richard<br />
Stallman in queste stesse pagine. Per rafforzarsi ulteriormente, ribattere<br />
a simili accuse e affrontare adeguatamente ogni tipo di sfida futura,<br />
possiamo giurare su un fatto: il movimento continuerà ad evolversi<br />
in sintonia con le pratiche di massima apertura e condivisione<br />
a livello globale che lo contraddistinguono da sempre. Espressione tanto<br />
concreta quanto catalizzante di un esperimento teso, ieri come oggi<br />
e domani, all’affermazione della libertà di tutti e di ciascuno.<br />
7<br />
Bernardo Parrella<br />
berny@cybermesa.com<br />
agosto 2003
Parte Prima<br />
Libertà, società<br />
e software
Possiamo fidarci<br />
del nostro computer?<br />
Da chi dovrebbe ricevere ordini il nostro computer? La maggior<br />
parte della gente ritiene che il computer dovrebbe obbedire all’utente,<br />
non a qualcun altro. Con un progetto denominato “informatica<br />
fidata” (trusting computing), le grandi corporation dei<br />
media, incluse l’industria cinematografica e quella musicale, insieme<br />
ad aziende informatiche quali Microsoft e Intel, stanno cercando<br />
di fare in modo che il computer obbedisca a loro anziché<br />
all’utente. I programmi proprietari presentavano già delle funzioni<br />
ambigue, ma tale progetto le renderebbe universali.<br />
Sostanzialmente software proprietario significa che l’utente non<br />
può controllarne le funzionalità; né può studiarne il codice sorgente<br />
o modificarlo. Non deve sorprendere il fatto che qualche<br />
sagace imprenditore trovi il modo di usare il proprio potere per<br />
metterci in svantaggio. Microsoft lo ha fatto parecchie volte: una<br />
versione di Windows era progettata per segnalare a Microsoft tutto<br />
il software presente sull’hard disk dell’utente; un recente upgrade<br />
“di sicurezza” per Windows Media Player imponeva l’assenso<br />
dell’utente per nuove restrizioni. Ma Microsoft non è certo l’unica:<br />
il software di file sharing per la musica KaZaa è progettato in<br />
modo che i suoi partner commerciali possano affittare ai propri<br />
clienti l’uso del computer dell’utente. Spesso simili funzioni ambigue<br />
rimangono segrete, ma perfino quando se ne conosce l’esistenza,<br />
è difficile rimuoverle perché l’utente non ne possiede il<br />
codice sorgente.<br />
Nel passato questi erano incidenti isolati. “L’informatica fidata” li<br />
11
enderebbe dilaganti. Una definizione più appropriata sarebbe<br />
“informatica ingannevole” (treacherous computing), poiché il piano<br />
è progettato per assicurarsi che il computer disubbidisca sistematicamente<br />
all’utente. Anzi, è progettato per impedire al computer<br />
di operare come un computer per usi generici. Ogni operazione<br />
potrebbe richiedere un’autorizzazione esplicita.<br />
L’idea tecnica alla base dell’informatica ingannevole è che il computer<br />
include un congegno per la cifratura e la firma digitale, le<br />
cui chiavi vengono tenute segrete all’utente. (La versione Microsoft<br />
di tale sistema si chiama “Palladium”). I programmi proprietari<br />
useranno questo congegno per controllare quali altri programmi<br />
l’utente possa far girare, a quali documenti o dati può<br />
accedere e in quali programmi possa trasferirli. Tali programmi<br />
preleveranno in continuazione nuove autorizzazioni via Internet,<br />
imponendole automaticamente all’utente. Se quest’ultimo non<br />
consente al proprio computer di ottenere periodicamente nuove<br />
regole da Internet, alcune capacità smetteranno automaticamente<br />
di funzionare.<br />
Naturalmente, Hollywood e le aziende discografiche prevedono di<br />
ricorrere all’informatica ingannevole per il “DRM” (Digital<br />
Restrictions Management, gestione delle restrizioni digitali), in<br />
modo che i video e la musica scaricata possano essere visti e ascoltati<br />
soltanto su un determinato computer. Risulterà del tutto<br />
impossibile condividerli, almeno usando i file autorizzati ottenuti<br />
da tali aziende. Noi, il pubblico, dovremmo avere sia la libertà sia<br />
la capacità di condividere queste cose. (Prevedo che qualcuno troverà<br />
il modo di produrre delle versioni cifrate, di diffonderle online<br />
e condividerle, in modo che il DRM non potrà avere pieno successo,<br />
ma ciò non è una scusante per l’esistenza di tale sistema).<br />
Negare la possibilità di condividere è già qualcosa di negativo, ma<br />
12
c’è di peggio. Si prevede di usare procedure analoghe per email e<br />
documenti – provocando la scomparsa dell’email entro due settimane,<br />
oppure consentendo la lettura dei documenti unicamente<br />
sui computer di una sola azienda.<br />
Immaginiamo di ricevere una email dal nostro datore di lavoro<br />
che ci dica di fare qualcosa che consideriamo rischioso; un mese<br />
dopo, quando scoppia qualche grana, non potremo usare quell’email<br />
per dimostrare che non siamo stati noi a prendere la decisione.<br />
“Metterlo per iscritto” non ci tutela quando l’ordine è scritto<br />
con inchiostro (simpatico?) che scompare.<br />
Immaginiamo di ricevere un’email in cui il nostro datore di lavoro<br />
voglia imporci una procedura illegale o moralmente equivoca,<br />
come la distruzione dei documenti aziendali relativi a un’audizione<br />
fiscale, o lasciar passare senza verifiche una pericolosa minaccia<br />
al nostro paese. Oggi è possibile far arrivare il messaggio a un<br />
giornalista e rendere pubblica quell’attività. Ma grazie all’informatica<br />
ingannevole, il giornalista potrebbe non leggere il documento,<br />
il suo computer rifiuterebbe di obbedirgli. L’informatica<br />
ingannevole diventa il paradiso della corruzione.<br />
Gli elaboratori di testi come Microsoft Word potrebbero ricorrere<br />
all’informatica ingannevole quando salvano i documenti, per<br />
assicurarsi che non possano esser letti da nessun elaboratore di testi<br />
rivale. Oggi dobbiamo scoprire i segreti del formato Word tramite<br />
laboriosi esperimenti onde poter realizzare elaboratori di testi<br />
liberi capaci di leggere i documenti Word. Se quest’ultimo dovesse<br />
cifrare i documenti ogni volta che li salva, la comunità del<br />
software libero non avrebbe alcuna possibilità di sviluppare<br />
software in grado di leggerli – e anche se riuscissimo a farlo, simili<br />
programmi potrebbero essere dichiarati illegali sotto il Digital<br />
Millennium Copyright Act.<br />
13
I programmi che usano l’informatica ingannevole scaricheranno<br />
in continuazione via Internet nuove regole per le autorizzazioni,<br />
onde imporle automaticamente al nostro lavoro. Qualora a Microsoft,<br />
o al governo statunitense, non dovesse piacere quanto andiamo<br />
scrivendo in un documento, potrebbero diffondere nuove<br />
istruzioni dicendo a tutti i computer di impedire a chiunque la<br />
lettura di tale documento. Una volta scaricate le nuove istruzioni,<br />
ogni computer dovrà obbedire. Il nostro documento potrebbe<br />
subire la cancellazione retroattiva, in pieno stile “1984”. Lo stesso<br />
utente che lo ha redatto potrebbe trovarsi impossibilitato a leggerlo.<br />
È il caso di riflettere sulle spiacevoli conseguenze dell’applicazione<br />
dell’informatica ingannevole, studiarne le dolorose possibilità, e<br />
decidere se sia il caso di accettarle o meno. Sarebbe stupido e inopportuno<br />
accettarle, ma il punto è che l’affare che si crede di fare<br />
non potrà rivelarsi tale. Una volta dipendenti da quel programma,<br />
non se ne potrà più fare a meno, e loro lo sanno bene; a quel punto,<br />
vi apporteranno delle modifiche. Alcune applicazioni faranno<br />
automaticamente un upgrade che comporta cambiamenti funzionali<br />
– e non è possibile scegliere di rifiutare tale upgrade.<br />
Oggi si possono evitare le restrizioni del software proprietario<br />
facendone a meno. Usando GNU/Linux o un altro sistema operativo<br />
libero, ed evitando di installarvi sopra delle applicazioni<br />
proprietarie, allora è l’utente a controllare cosa fa il computer. Se<br />
un programma libero include una funzione dannosa, altri programmatori<br />
della comunità la toglieranno e se ne potrà usare la<br />
versione corretta. Sarà inoltre possibile far girare applicazioni e<br />
strumenti liberi su sistemi operativi non-liberi; ciò non offre piena<br />
libertà, ma molti utenti lo fanno.<br />
L’informatica ingannevole pone a rischio l’esistenza stessa dei siste-<br />
14
mi operativi liberi e delle applicazioni libere, perché potrebbe essere<br />
del tutto impossibile farle girare. Qualche versione dell’informatica<br />
ingannevole potrebbe richiedere che il sistema operativo<br />
sia specificamente autorizzato da un’azienda particolare. Potrebbe<br />
essere impossibile installare dei sistemi operativi liberi. Altre versioni<br />
dell’informatica ingannevole potrebbero richiedere che ciascun<br />
programma sia specificamente autorizzato da chi ha sviluppato<br />
il sistema operativo. Sarebbe impossibile per l’utente far girare<br />
dei programmi liberi su tale sistema. Se trovate il modo di farlo,<br />
e lo raccontate in giro, potrebbe essere un reato.<br />
Negli Stati Uniti esistono già delle proposte legislative che vorrebbero<br />
imporre a tutti i computer di supportare l’informatica<br />
ingannevole, con il divieto di collegare a Internet i vecchi computer.<br />
Una di queste è il CBDTPA (da noi definito Consume But<br />
Don’t Try Programming Act, Legge per consumare ma senza cercare<br />
di programmare). Ma pur se non potranno costringerci legalmente<br />
a passare all’informatica ingannevole, ci sarà un’enorme<br />
pressione perché venga accettata. Spesso oggi si usa il formato<br />
Word per comunicare, nonostante ciò provochi un gran numero<br />
di problemi (si veda, in inglese, http://www.gnu.org/no-wordattachments.html;<br />
in italiano: http://www.gnu.org/philosophy/no-word-attachments.it.html).<br />
Se soltanto una macchina<br />
basata sull’informatica ingannevole fosse in grado di leggere i<br />
documenti Word più recenti, molta gente finirà per adeguarvisi,<br />
qualora considerino la questione puramente in termini individuali<br />
(prendere o lasciare). Onde opporsi all’informatica ingannevole<br />
dobbiamo unire le forze ed affrontare la situazione come una scelta<br />
collettiva.<br />
Per ulteriori dettagli sull’informatica ingannevole, si veda (in<br />
inglese) http://www.cl.cam.ac.uk/users/rja14/tcpa-faq.html.<br />
15
Per bloccare l’informatica ingannevole occorre la mobilitazione di<br />
un vasto numero di cittadini. C’è bisogno del vostro aiuto! La Electronic<br />
Frontier Foundation (www.eff.org) e l’organizzazione<br />
Public Knowledge (www.publicknowledge.org) hanno avviato<br />
una campagna di opposizione all’informatica ingannevole, e lo<br />
stesso sta facendo il Digital Speech Project sponsorizzato dalla Free<br />
Software Foundation (www.digitalspeech.org). Visitate questi siti<br />
Web e cercate di sostenerne l’attività. Si può aiutare anche scrivendo<br />
agli uffici per i rapporti con il pubblico di Intel, IBM,<br />
HP/Compaq, o qualsiasi altro produttore da cui abbiate acquistato<br />
un computer, spiegando loro che non volete subire pressioni<br />
per l’adozione di sistemi informatici “fidati” (trusted) e che<br />
quindi non volete ne producano affatto. Ciò servirà a dare potere<br />
ai consumatori. Se contate di scrivere lettere simili, inviatene copia<br />
alle organizzazioni nominate sopra.<br />
Post Scriptum:<br />
Il progetto GNU distribuisce GNU Privacy Guard, programma<br />
per l’implementazione di firme digitali e cifratura a chiave<br />
pubblica, che può essere usato per inviare email sicure e private.<br />
È utile esplorare il modo in cui GPG differisce dall’informatica<br />
fidata, e vedere cosa rende vantaggioso uno e così pericolosa<br />
l’altra.<br />
Quando si usa GPG per l’invio di un documento cifrato, e si<br />
ricorre a GPG per decodificarlo, il risultato è un documento<br />
non cifrato che è possibile leggere, inoltrare, copiare e perfino<br />
ri-cifrare onde essere inviato con sicurezza a qualcun altro.<br />
Un’applicazione di informatica ingannevole ci consentirebbe di<br />
leggere le parole sul monitor, ma non di produrre un documento<br />
non cifrato da utilizzare in altri modi. GPG, un pac-<br />
16
chetto di software libero, mette le funzioni di sicurezza a disposizione<br />
degli utenti; sono questi ultimi a usare il programma.<br />
L’informatica ingannevole è progettata per imporre le restrizioni<br />
sugli utenti; è tale informatica a usare gli utenti.<br />
Questa è la prima versione mai pubblicata di questo saggio e fa parte del<br />
libro Free Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman,<br />
GNU Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa<br />
nota.<br />
17
Perché il software<br />
dovrebbe essere<br />
libero<br />
Inevitabilmente l’esistenza del software solleva la domanda su<br />
come dovrebbero essere prese le decisioni per il suo utilizzo. Supponiamo<br />
ad esempio che una persona in possesso di una copia di<br />
un programma incontra qualcun altro che ne vorrebbe anch’egli<br />
una copia. C’è la possibilità di copiare quel programma; a chi spetta<br />
la decisione se farlo o meno? Alle persone coinvolte? Oppure ad<br />
un altro soggetto, definito il “proprietario”?<br />
Gli sviluppatori di software tipicamente affrontano simili questioni<br />
sulla base dell’assunto che il criterio per la risposta sia quello<br />
di massimizzare i profitti degli stessi sviluppatori. Il potere politico<br />
dell’imprenditoria ha portato all’adozione da parte del governo<br />
sia di questo criterio sia della risposta degli sviluppatori. Ovvero,<br />
che esiste il proprietario del programma, tipicamente una corporation<br />
associata con il suo sviluppo.<br />
Vorrei affrontare la medesima domanda sulla base di un diverso<br />
criterio: la prosperità e la libertà del pubblico in generale.<br />
Questa risposta non può essere decisa dall’attuale legislazione –<br />
dovrebbe essere la legge a conformarsi all’etica, non viceversa. Non<br />
spetta neppure alle pratiche correnti decidere su tale questione,<br />
pur potendo queste suggerire possibili risposte. L’unico modo di<br />
giudicare è considerare chi viene aiutato e chi danneggiato dal riconoscimento<br />
dei proprietari del software. In altri termini, si dovrebbe<br />
condurre un’analisi costi-benefici per conto della società nel suo<br />
18
complesso, prendendo in considerazione la libertà individuale<br />
come pure la produzione di beni materiali.<br />
Nel presente saggio illustrerò gli effetti dovuti all’esistenza dei proprietari,<br />
dimostrandone i risultati negativi. La mia conclusione è<br />
che i programmatori hanno il dovere di incoraggiare gli altri a condividere,<br />
ridistribuire, studiare e migliorare il software che scriviamo:<br />
in altri termini, a scrivere software libero (“free software”). 1<br />
In che modo i proprietari giustificano il proprio potere<br />
Quanti traggono benefici dall’attuale sistema in cui i programmi<br />
sono considerati una proprietà, offrono due argomenti a sostegno<br />
delle proprie tesi a favore di tale proprietà: l’argomento emotivo<br />
e quello economico.<br />
L’argomento emotivo funziona così: “Ci metto il sudore e l’anima<br />
in questo programma. Viene da me, è mio!”<br />
Quest’argomento non richiede una seria refutazione. La sensazione<br />
di attaccamento è qualcosa che i programmatori possono coltivare<br />
quando meglio si adatta loro; non è inevitabile. Consideriamo,<br />
ad esempio, con quanta decisione gli stessi programmatori<br />
siano soliti concedere con una firma tutti i diritti ad una grande<br />
corporation in cambio di uno stipendio; l’attaccamento emotivo<br />
scompare misteriosamente. All’opposto, consideriamo invece<br />
i grandi artisti e artigiani del Medioevo, che non si curavano<br />
neppure di firmare le proprie opere. Per loro, il nome dell’artista<br />
non era importante. Quello che contava era portare a compimento<br />
quell’opera – e lo scopo cui era destinata. Questa la visione prevalente<br />
per centinaia di anni.<br />
1 Il termine “free” in “free software” si riferisce alla libertà, non al prezzo<br />
(‘free’ in inglese significa sia ‘libero’ sia ‘gratuito’); il prezzo pagato per la copia di un<br />
programma libero può essere zero, basso oppure (raramente) piuttosto elevato.<br />
19
L’argomento economico funziona così: “Voglio diventare ricco<br />
(generalmente descritto in maniera poco accurata come ‘guadagnarsi<br />
da vivere’), e se non mi consentite di diventare ricco con la<br />
programmazione, allora smetterò di scrivere programmi. Tutti gli<br />
altri sviluppatori la pensano come me, per cui nessuno vorrà mai<br />
programmare. E allora rimarrete senza alcun programma!” In<br />
genere questa minaccia viene velata come un amichevole avviso<br />
da una saggia fonte.<br />
Più avanti spiegherò perché tale minaccia non è altro che bluff.<br />
Prima vorrei affrontare un assunto implicito che acquista maggior<br />
visibilità in un’altra formulazione dell’argomento.<br />
Questa formulazione parte mettendo a confronto l’utilità sociale<br />
di un programma proprietario con l’assenza di programmi, per poi<br />
concludere che lo sviluppo di software proprietario è, nel suo insieme,<br />
qualcosa di benefico e andrebbe incoraggiato. L’errore qui<br />
consiste nel contrapporre soltanto due scenari – software proprietario<br />
contro niente software – assumendo l’inesistenza di ulteriori<br />
possibilità.<br />
Considerando un sistema di copyright sul software, lo sviluppo del<br />
software viene solitamente connesso all’esistenza di un proprietario<br />
che ne controlli l’utilizzo. Fintantoché esisterà questa connessione,<br />
siamo spesso costretti a confrontarci con la scelta tra software proprietario<br />
o niente software. Tuttavia, tale connessione non è qualcosa<br />
di inerente o inevitabile; è una conseguenza della specifica decisione<br />
socio-legale che mettiamo in discussione: la decisione di avere<br />
dei proprietari. Presentare la scelta come tra software proprietario<br />
o niente software significa travisare la questione.<br />
L’argomento contro l’esistenza di proprietari<br />
La domanda in ballo è: “Lo sviluppo del software dovrebbe esse-<br />
20
e connesso con l’esistenza di proprietari cui spetti limitarne l’utilizzo?”<br />
Onde poter sciogliere il quesito, dobbiamo giudicare gli effetti sulla<br />
società di ciascuna delle due attività seguenti in maniera indipendente<br />
tra loro: l’effetto dello sviluppo del software (prescindendo<br />
dai relativi termini di distribuzione) e l’effetto derivante<br />
dalla limitazione del suo utilizzo (assumendo che il software sia<br />
stato sviluppato). Se una di queste attività dovesse risultare giovevole<br />
e l’altra dannosa, sarebbe bene lasciar andare tale connessione<br />
e optare soltanto per quella giovevole.<br />
In altri termini, se limitare la distribuzione di un programma già<br />
sviluppato risulta dannoso per la società in generale, allora lo sviluppatore<br />
etico rifiuterà una simile opzione.<br />
Onde stabilire l’effetto di limitazioni nella condivisione, occorre<br />
paragonare il valore sociale di un programma ristretto (ovvero,<br />
proprietario) con quello dello stesso programma disponibile a<br />
chiunque. Ciò significa mettere a confronto due mondi possibili.<br />
L’analisi affronta anche il semplice argomento talvolta contrapposto<br />
a questo, secondo cui “il beneficio al vicino nel fornirgli o<br />
fornirle la copia di un programma viene cancellato dal danno procurato<br />
al proprietario”. Questo contro-argomento assume che il<br />
danno e il beneficio siano di proporzioni identiche. L’analisi include<br />
un raffronto fra tali proporzioni, per concludere che il beneficio<br />
risulta di gran lunga maggiore.<br />
Per meglio illustrare l’argomento, applichiamolo ad un altro ambito:<br />
la costruzione di una rete stradale.<br />
Tramite i pedaggi sarebbe possibile finanziare la costruzione di tutte<br />
le strade. Ciò comporterebbe la presenza di appositi caselli a tutti gli<br />
angoli. Un simile sistema risulterebbe di grande incentivo al miglioramento<br />
della rete stradale. Offrirebbe inoltre il vantaggio di costrin-<br />
21
gere quanti usano quella specifica strada al pagamento del relativo<br />
pedaggio. Eppure un casello per il pedaggio rappresenterebbe un’ostruzione<br />
artificiale alla fluidità di guida – artificiale perché non è una<br />
conseguenza di come funzionano le strade o le autovetture.<br />
Paragonando le strade libere e quelle a pedaggio sulla base della<br />
loro utilità, scopriamo che (tutto il resto essendo identico) le strade<br />
senza caselli richiedono meno denaro per essere costruite e<br />
gestite, sono più sicure e più efficienti nell’utilizzo. 2<br />
In un paese povero molti cittadini sarebbero impossibilitati a usare<br />
le strade a pedaggio. Perciò le strade senza caselli offrono alla<br />
società maggiori benefici a costi minori; sono da preferire per la<br />
società. Di conseguenza, la società dovrebbe scegliere di reperire i<br />
finanziamenti in un altro modo, non tramite i caselli a pagamento.<br />
L’uso delle strade, una volta costruite, dovrebbe essere libero.<br />
Quando i sostenitori dei caselli li propongono unicamente come<br />
un modo per raccogliere denaro, distorcono la scelta a disposizione.<br />
È vero che i caselli a pedaggio portano soldi, ma provocano<br />
anche altre conseguenze: in realtà degradano la strada. Una strada<br />
a pedaggio non è così positiva come una libera; pur offrendo<br />
strade in numero maggiore o tecnicamente superiori, ciò non<br />
sarebbe un miglioramento qualora dovesse comportare la sostituzione<br />
delle strade libere con quelle a pagamento.<br />
Ovviamente la costruzione di una strada libera necessita di fondi,<br />
che in qualche modo il pubblico è chiamato a sborsare. Tuttavia<br />
2 Le questioni relative a inquinamento e congestioni di traffico non alterano questa<br />
conclusione. Nel caso si volesse rendere più esosa la guida onde scoraggiarla in generale, è<br />
svantaggioso farlo tramite dei caselli a pedaggio, i quali contribuiscono sia<br />
all’inquinamento che al traffico. Molto meglio ricorrere a una tassa sulla benzina. Allo<br />
stesso modo, la volontà di ottenere maggior sicurezza limitando la massima velocità<br />
consentita non è un fattore rilevante; una strada ad accesso libero estende la velocità<br />
media evitando fermate e ritardi, all’interno dei limiti di velocità designati.<br />
22
ciò non implica l’inevitabilità del pedaggio. Noi che dobbiamo<br />
comunque sostenerne le spese, ricaviamo maggior valore dal<br />
nostro denaro acquistando una strada libera.<br />
Non sto dicendo che una strada a pagamento sia peggiore di non<br />
avere alcuna strada. Ciò sarebbe vero nel caso il pedaggio fosse talmente<br />
elevato da impedirne l’utilizzo quasi a tutti – procedura<br />
questa improbabile per chi dovesse riscuotere il pedaggio. Tuttavia,<br />
finché i caselli provocano spreco e inconvenienti significativi,<br />
è meglio raccogliere i fondi necessari in maniera meno limitante.<br />
Applicando la medesima logica allo sviluppo del software, passerò<br />
ora a dimostrare come l’esistenza di “caselli a pedaggio” per utili<br />
programmi risulti assai esosa per la società: rende i programmi più<br />
costosi da realizzare, più costosi da distribuire, meno soddisfacenti<br />
ed efficaci da usare. Ne consegue che la costruzione dei programmi<br />
va incoraggiata in qualche altro modo. Proseguirò poi spiegando<br />
altri metodi per incoraggiare e (finché sia realmente necessario)<br />
per reperire fondi per lo sviluppo del software.<br />
Il danno provocato dall’ostruzione del software<br />
Consideriamo per un momento lo scenario in cui un programma<br />
sia stato sviluppato, e ogni pagamento necessario al suo sviluppo<br />
sia stato coperto; ora la società deve scegliere se renderlo proprietario<br />
oppure se garantirne condivisione e utilizzo liberi. Come<br />
assunto, l’esistenza e la disponibilità del programma sono qualcosa<br />
di desiderabile. 3<br />
3 Un particolare programma informatico potrebbe essere considerato dannoso fino a<br />
negarne la disponibilità, come è accaduto al database per dati personali Lotus<br />
Marketplace, ritirato dal mercato a seguito della disapprovazione del pubblico. Gran parte<br />
di quanto sostengo non si applica a casi simili, ma ha poco senso affermare la necessità di<br />
un proprietario sulla base del fatto che quest’ultimo potrebbe limitare la disponibilità del<br />
programma. Il proprietario non lo metterà mai completamente fuori commercio, come si<br />
vorrebbe nel caso di un programma il cui impiego è considerato distruttivo.<br />
23
Le restrizioni sulla distribuzione e sulla modifica del programma<br />
non possono facilitarne l’utilizzo. Possono soltanto interferire.<br />
Così l’effetto sarà soltanto negativo. Ma fino a che punto? E di che<br />
tipo?<br />
Questa ostruzione produce tre diversi livelli di danno materiale:<br />
1. Un minor numero di persone usa il programma.<br />
2. Nessun utente può adattare o aggiustare il programma.<br />
3. Gli altri sviluppatori non possono imparare dal programma, né<br />
usarlo come base per nuovi lavori.<br />
Ciascun livello di danno materiale riflette una forma concomitante<br />
di danno psico-sociale. Ciò si riferisce all’effetto prodotto<br />
dalle decisioni della gente sui successivi sentimenti, attitudini e<br />
predisposizioni. Questi cambiamenti nel modo di pensare avranno<br />
poi un ulteriore effetto sulle relazioni con i concittadini, e<br />
potranno causare conseguenze materiali.<br />
I tre livelli di danno materiale fanno sprecare parte del valore che<br />
il programma potrebbe offrire, ma non possono ridurlo a zero. Se<br />
provocano lo spreco quasi totale del valore, allora scrivere il programma<br />
danneggia la società in misura pari allo sforzo necessario<br />
per scriverlo. A ragione, un programma che produce dei guadagni<br />
nelle vendite deve fornire qualche beneficio materiale diretto.<br />
Tuttavia, considerando il concomitante danno psico-sociale, non<br />
esistono limiti al danno causato dallo sviluppo del software proprietario.<br />
Impedire l’uso dei programmi<br />
Il primo livello di danno impedisce il semplice utilizzo del programma.<br />
La copia di un programma ha un costo marginale quasi<br />
vicino a zero (e si può pagare tale costo facendola da soli), così che<br />
in un mercato libero avrebbe un prezzo vicino a zero. Una licen-<br />
24
za a pagamento è un disincentivo significativo nell’uso del programma.<br />
Se un programma molto utile è software proprietario,<br />
verrà usato da un numero alquanto ridotto di persone.<br />
È facile dimostrare che il contributo complessivo di un programma<br />
rispetto alla società risulta ridotto assegnandogli un proprietario.<br />
Ogni utente potenziale del programma, di fronte alla necessità<br />
di dover pagare per usarlo, potrebbe scegliere di pagare o<br />
meno, o anche di rinunciare a utilizzarlo. Quando un utente sceglie<br />
di pagare, questo è un trasferimento di ricchezza a quota zero<br />
tra due entità. Ma ogni volta che qualcuno decide di rinunciare<br />
all’uso del programma, ciò danneggia quell’individuo senza giovare<br />
a nessuno. La somma di cifre negative e zeri risulta negativa.<br />
Ma ciò non riduce l’ammontare di lavoro necessario per sviluppare<br />
il programma. Come risultato, viene ridotta l’efficacia dell’intero<br />
processo, ovvero la soddisfazione dell’utente ottenuta per<br />
ogni ora di lavoro.<br />
Ciò riflette una differenza cruciale tra le copie di un programma<br />
e oggetti quali automobili, sedie o panini. Non esiste una macchina<br />
per copiare gli oggetti materiali al di fuori della fantascienza.<br />
Ma i programmi sono facili da copiare; chiunque è in grado di<br />
produrne quante copie ne vuole con uno sforzo minimo. Ciò non<br />
si applica agli oggetti materiali perché la materia si conserva: ogni<br />
nuova copia dev’essere costruita dal materiale grezzo nella stessa<br />
maniera con cui è stata costruita la prima copia.<br />
Con gli oggetti materiali ha senso creare un disincentivo al loro<br />
impiego, perché l’acquisto di un minor numero di oggetti significa<br />
minor materiale grezzo e minor lavoro per costruirli. È vero<br />
che generalmente esiste anche un costo iniziale d’ammortamento,<br />
un costo di sviluppo, che viene frazionato lungo la fase di produzione.<br />
Ma finché il costo marginale della produzione è signifi-<br />
25
cativo, l’aggiunta di una quota del costo di sviluppo non provoca<br />
una differenza qualitativa. E non richiede restrizioni sulla libertà<br />
dei comuni utenti.<br />
Tuttavia l’imposizione di un prezzo su qualcosa che altrimenti<br />
sarebbe libera rappresenta un cambiamento qualitativo. Una tariffa<br />
sulla distribuzione del software, imposta a livello centralizzato,<br />
diventa un potente disincentivo.<br />
Inoltre, la produzione centrale come viene praticata oggi è inefficace<br />
perfino in quanto mezzo per diffondere copie del software.<br />
Questo sistema prevede la chiusura di dischi o nastri materiali<br />
all’interno di pacchetti inutili, la loro spedizione in gran quantità<br />
intorno al mondo, e il loro immagazzinamento per la vendita.<br />
Questo costo viene presentato come una spesa di tale attività commerciale;<br />
in realtà, è parte dello spreco causato dall’esistenza dei<br />
proprietari.<br />
Danneggiare la coesione sociale<br />
Supponiamo che una persona e il proprio vicino considerino utile<br />
l’impiego di un certo programma. Con attenzione etica per il vicino,<br />
ci si dovrebbe rendere conto che un’adeguata gestione della situazione<br />
consentirà a entrambi di utilizzarlo. La proposta di consentire<br />
l’uso del programma soltanto a uno dei due, impedendolo all’altro,<br />
è divisoria; entrambi la considererebbero inaccettabile.<br />
Firmare un tipico contratto per la licenza del software significa tradire<br />
il vicino: “Prometto di privare il mio vicino di questo programma<br />
in modo che possa averne una copia tutta per me”. Quanti optano<br />
per simili scelte subiscono una pressione psicologica interna per<br />
giustificarle, diminuendo l’importanza di aiutare il vicino – in tal<br />
modo, lo spirito pubblico ne soffre. Questo è il danno psicologico<br />
associato con quello materiale di scoraggiare l’uso del programma.<br />
26
Molti utenti riconoscono inconsciamente l’errore nel rifiuto a<br />
condividere, così decidono di ignorare licenze e leggi, e condividere<br />
comunque il programma. Ma spesso si sentono in colpa per<br />
averlo fatto. Sanno che devono infrangere la legge onde poter essere<br />
dei buoni vicini, ma rispettano ancora l’autorità giuridica, e<br />
concludono che il fatto di essere dei buoni vicini (come sono in<br />
effetti) è qualcosa di male o di cui vergognarsi. Anche questo è un<br />
tipo di danno psicologico, che però si può evitare decidendo che<br />
tali licenze e leggi non posseggono alcuna forza morale.<br />
Anche i programmatori subiscono il danno psicologico di sapere<br />
che a numerosi utenti non verrà consentito di utilizzare il proprio<br />
lavoro. Ciò porta a un’attitudine di cinismo o diniego. Uno sviluppatore<br />
potrà descrivere in maniera entusiasta un lavoro che<br />
considera tecnicamente eccitante; poi quando gli si chiede, “Mi<br />
sarà permesso di usarlo?”, impallidisce e ammette che la risposta<br />
è no. Per evitare di sentirsi scoraggiato, la maggior parte delle volte<br />
finisce per ignorare questo fatto oppure adotta un atteggiamento<br />
di cinica distanza mirato a minimizzarne l’importanza.<br />
Fin dal periodo di Reagan 4 , la maggiore scarsità degli Stati Uniti<br />
non riguarda l’innovazione tecnica, ma piuttosto la volontà di<br />
lavorare insieme per il bene pubblico. Non ha alcun senso incoraggiare<br />
la prima a spese del secondo.<br />
Impedire gli adattamenti personalizzati di programmi<br />
Il secondo livello di danno materiale è l’impossibilità di adattare i<br />
programmi. La facilità di modificare il software è uno dei suoi<br />
grandi vantaggi rispetto alle vecchie tecnologie. Ma la gran parte<br />
4 Ronald Reagan, il 40° Presidente degli Stati Uniti, è famoso per aver tagliato<br />
numerosi programmi sociali. A lui si deve inoltre la creazione di una politica<br />
economica, definita “trickle down economics” (economia che sgocciola), considerata da<br />
molti un fallimento.<br />
27
del software disponibile in ambito commerciale non può essere<br />
modificato, neppure dopo averlo acquistato. È disponibile a scatola<br />
chiusa, prendere o lasciare, tutto qui.<br />
Un programma che è possibile far girare è composto da una serie<br />
di numeri dall’oscuro significato. Nessuno, neanche un buon programmatore,<br />
è in grado di modificare facilmente tali numeri onde<br />
rendere il programma diverso in qualche modo.<br />
Normalmente gli sviluppatori lavorano con il “codice sorgente” di<br />
un programma, che è scritto in un linguaggio di programmazione<br />
tipo Fortran o C. Ricorre a dei nomi per indicare i dati usati e le parti<br />
di un programma, e rappresenta le operazioni con simboli quali +<br />
per le addizioni e - per le sottrazioni. È progettato per aiutare gli sviluppatori<br />
a leggere e modificare il programma. Ecco un esempio; un<br />
programma per calcolare la distanza tra due punti su un piano: 5<br />
float<br />
distance (p0, p1)<br />
struct point p0, p1;<br />
{<br />
float xdist = p1.x - p0.x;<br />
float ydist = p1.y - p0.y;<br />
return sqrt (xdist * xdist + ydist * ydist);<br />
}<br />
Ecco lo stesso programma in formato eseguibile 6 , sul computer<br />
che uso normalmente:<br />
1314258944 -232267772 -231844864 1634862<br />
5 Non è importante capire in che modo operi il codice sorgente; quel che è importante è<br />
notare che tale codice sorgente viene scritto ad un livello di astrazione piuttosto<br />
comprensibile.<br />
6 Si noti l’incomprensibilità del codice eseguibile; è chiaramente più difficile capirne<br />
qualcosa rispetto al codice sorgente di cui sopra.<br />
28
1411907592 -231844736 2159150 1420296208<br />
-234880989 -234879837 -234879966 -232295424<br />
1644167167 -3214848 1090581031 1962942495<br />
572518958 -803143692 1314803317<br />
Il codice sorgente è utile (almeno potenzialmente) per chiunque<br />
usi un programma. Ma alla maggioranza degli utenti non è concesso<br />
avere copie di tale codice. Normalmente il codice sorgente<br />
di un programma proprietario viene tenuto segreto dal proprietario,<br />
prevenendo chiunque altro dall’impararne qualcosa. Gli utenti<br />
ricevono unicamente i file di numeri incomprensibili che il computer<br />
eseguirà. Ciò significa che soltanto il proprietario di un programma<br />
può modificarlo.<br />
Una volta un’amica mi raccontò di aver lavorato come programmatore<br />
in una banca per circa sei mesi, scrivendo un programma<br />
simile a qualcosa di commercialmente disponibile. Se avesse potuto<br />
avere il codice sorgente di quel programma commerciale, avrebbe<br />
potuto facilmente adattarlo alle necessità del caso. La banca era<br />
disposta a pagare per questo, ma non le venne concesso – il codice<br />
sorgente era un segreto. Così fu costretta a lavorare in tal modo<br />
per sei mesi, lavoro che fa parte del prodotto nazionale lordo ma<br />
che in realtà fu uno spreco.<br />
Intorno al 1977 il laboratorio di intelligenza artificiale del MIT<br />
ricevette in regalo una stampante grafica dalla Xerox. Era gestita<br />
da un software libero a cui aggiungemmo parecchie funzioni utili.<br />
Ad esempio, il software avrebbe notificato l’utente non appena<br />
finito il lavoro di stampa. In caso di problemi, come l’inceppamento<br />
dei fogli o la mancanza di carta, il software ne avrebbe informato<br />
tutti gli utenti che avevano in corso una stampa. Queste funzioni<br />
facilitavano il corso delle operazioni.<br />
Più tardi la Xerox diede al laboratorio una stampante più nuova e<br />
29
veloce, una delle prime stampanti laser. Veniva gestita da un<br />
software proprietario che girava su un apposito computer dedicato,<br />
in modo che non potemmo aggiungere alcuna delle nostre<br />
opzioni favorite. Riuscimmo a sistemare l’invio di una notifica<br />
quando la stampa veniva inviata al computer dedicato, ma non<br />
quando avveniva effettivamente la stampa (e generalmente il ritardo<br />
era considerevole). Non c’era alcun modo di sapere quando il<br />
lavoro veniva realmente stampato, si poteva solo indovinare. E<br />
nessuno veniva informato nel caso di fogli incastrati, così spesso<br />
la stampante finiva fuori uso per un’ora.<br />
Il sistema di programmatori del laboratorio di intelligenza artificiale<br />
era in grado di sistemare simili problemi, probabilmente tanto<br />
quanto gli autori originari del programma. Ma la Xerox non aveva<br />
alcun interesse a risolverli, e scelse di impedircelo, di modo da<br />
costringerci ad accettare tali problemi. Non vennero mai risolti.<br />
Molti buoni programmatori hanno sperimentato una simile frustrazione.<br />
La banca poteva permettersi di risolvere il problema scrivendo<br />
un nuovo programma da zero, ma un comune utente, a prescindere<br />
dalle proprie capacità, può soltanto rinunciare.<br />
La rinuncia provoca un danno psico-sociale – allo spirito della<br />
fiducia in se stessi. È demoralizzante vivere in una casa che non si<br />
può riarrangiare secondo i propri bisogni. Porta a rassegnazione e<br />
scoraggiamento, che finiscono per colpire altri aspetti della vita di<br />
una persona. Chi si trova in simili circostanze diventa infelice e<br />
non fa un buon lavoro.<br />
Immaginiamo come sarebbe qualora le ricette venissero trattate<br />
alla stregua del software. Qualcuno potrebbe dire, “Come faccio<br />
a modificare questa ricetta per toglierci il sale?” e il grande cuoco<br />
risponderebbe, “Come osi insultare la mia ricetta, il prodotto del<br />
mio cervello e del mio palato, cercando di interferire? Non pos-<br />
30
siedi il giudizio necessario per poterla modificare e farla funzionare<br />
bene!”<br />
“Ma il dottore mi ha detto di non mangiare cibi salati!”<br />
“Sarò contento di farlo. La mia tariffa è di appena 50.000 dollari”.<br />
(Dato che il proprietario ha il monopolio sulle modifiche, la<br />
tariffa tende ad essere elevata). “Però adesso non ho tempo. Sono<br />
occupato con una commissione per il progetto di una nuova ricetta<br />
di biscotti per le navi con il Ministero della Marina. Potrò occuparmi<br />
di te fra un paio d’anni.”<br />
Impedire lo sviluppo del software<br />
Il terzo livello di danno materiale colpisce lo sviluppo del software.<br />
Solitamente questo era un processo evolutivo, in cui una persona<br />
ne riscriveva delle parti per una nuova funzione, e poi qualcun<br />
altro ne avrebbe riscritto altre parti per aggiungere un’altra<br />
funzione; in alcuni casi, ciò andava avanti per un periodo di<br />
vent’anni. Nel frattempo, parti del programma sarebbero state<br />
“cannibalizzate” per dar forma alla nascita di ulteriori programmi.<br />
L’esistenza di proprietari impedisce un’evoluzione di questo tipo,<br />
rendendo necessario partire da zero nello sviluppo di un programma.<br />
Impedisce altresì a nuovi praticanti di studiare i programmi<br />
esistenti onde imparare tecniche utili o anche la struttura<br />
di programmi di ampie dimensioni.<br />
I proprietari impediscono anche l’educazione. Ho incontrato brillanti<br />
studenti d’informatica che non avevano mai visto il codice<br />
sorgente di un programma di ampie dimensioni. Possono essere<br />
bravi a scrivere piccoli programmi, ma non potranno acquisire le<br />
diverse capacità necessarie per scriverne di grandi se non possono<br />
vedere come hanno fatto gli altri.<br />
In ogni ambito intellettuale, è possibile raggiungere altezze mag-<br />
31
giori stando sulle spalle di chi ci ha preceduti. Ma in genere ciò<br />
non è più consentito nel campo del software – si può stare soltanto<br />
sulle spalle dei colleghi della propria azienda.<br />
Il danno psico-sociale associato colpisce lo spirito della cooperazione<br />
scientifica, solitamente così solido tra i ricercatori al punto che<br />
questi collaboravano anche quando i rispettivi paesi erano in guerra<br />
tra loro. Sulla base di questo spirito, gli oceanografi giapponesi<br />
abbandonati in un laboratorio su un’isola del Pacifico conservarono<br />
con attenzione il lavoro svolto per i Marine statunitensi in arrivo,<br />
lasciando una nota per chiedere loro di prendersene cura.<br />
I conflitti per denaro hanno distrutto quello che si era salvato nei<br />
conflitti internazionali. Oggigiorno i ricercatori di molte discipline<br />
non pubblicano dati sufficienti nelle proprie ricerche onde consentire<br />
agli altri di replicare quegli esperimenti. Pubblicano soltanto<br />
quanto basta per fare in modo che i lettori possano meravigliarsi<br />
di quanto siano riusciti a ottenere. Ciò è sicuramente vero<br />
per l’informatica, dove il codice sorgente dei programmi su cui si<br />
scrive è generalmente segreto.<br />
Non importa come si limiti la condivisione<br />
Ho discusso finora gli effetti di prevenire la gente dall’attività di<br />
copia, modifica e costruzione su un programma. Non ho specificato<br />
il modo in cui questa ostruzione viene portata avanti, perché<br />
ciò non ne influenza la conclusione. Sia che ciò venga imposto tramite<br />
il divieto di copia, o il diritto d’autore, o le licenze, o la crittazione,<br />
o le schede ROM, o i numeri seriali sull’hardware, se riesce<br />
a impedirne l’utilizzo, allora procura dei danni. Gli utenti considerano<br />
comunque alcuni di questi metodi più sgradevoli di altri.<br />
Io suggerirei che i metodi più odiosi sono quelli che raggiungono<br />
lo scopo prefissato.<br />
32
Il software dovrebbe essere libero<br />
Fin qui ho illustrato il modo in cui la proprietà di un programma<br />
– il potere di limitarne la modifica o la copia – sia d’intralcio. I<br />
suoi effetti negativi sono diffusi e importanti. Ne consegue che la<br />
società non dovrebbe avere proprietari per i programmi.<br />
Un altro modo di comprenderlo è che ciò di cui abbisogna la<br />
società è il software libero, e il software proprietario ne è un sostituto<br />
insoddisfacente. Incoraggiare i sostituti non è un modo razionale<br />
di ottenere ciò di cui abbisogniamo.<br />
Vaclav Havel ci ha messo sull’avviso dicendo, “Lavorare per qualcosa<br />
perché è bene, non soltanto perché si ha possibilità di riuscire”.<br />
L’attività di realizzare software proprietario contiene possibilità<br />
di riuscita in termini ristretti, ma non è un bene per la società.<br />
Perché si sviluppa il software<br />
Se eliminiamo il copyright come mezzo per incoraggiare la gente<br />
a sviluppare software, all’inizio se ne svilupperà di meno, ma tale<br />
software risulterà maggiormente utile. Non è chiaro se la soddisfazione<br />
generale degli utenti sarà minore; ma se così fosse, oppure<br />
se volessimo incrementarla comunque, esistono altri modi per<br />
incoraggiare lo sviluppo, proprio come esistono altri modi oltre i<br />
caselli a pedaggio per raccogliere denaro per la costruzione di strade.<br />
Prima di illustrare le modalità con cui ciò può esser fatto, vorrei<br />
affrontare la questione di quanto incoraggiamento artificiale<br />
sia davvero necessario.<br />
Programmare è divertente<br />
Ci sono alcuni tipi di lavori che pochi accetterebbero se non per<br />
denaro; la costruzione di strade, ad esempio. Esistono altri campi<br />
di studio e arte in cui esistono scarse possibilità di diventare ric-<br />
33
chi, ma che la gente sceglie per il loro fascino o per il presunto<br />
valore agli occhi della società. Gli esempi includono la logica matematica,<br />
la musica classica, l’archeologia e l’attivismo politico organizzato<br />
tra i lavoratori. La gente compete, più tristemente che<br />
amaramente, per le poche posizioni pagate disponibili, nessuna<br />
delle quali è remunerata granché. Qualcuno è perfino disposto a<br />
pagare di tasca propria pur di lavorare in quel campo, se può permetterselo.<br />
Un certo settore può trasformarsi nel giro di una notte se inizia ad<br />
offrire la possibilità di diventare ricchi. Quando un lavoratore<br />
diventa ricco, altri chiedono la medesima opportunità. Presto tutti<br />
potrebbero volere ingenti somme di denaro per fare quel che<br />
erano soliti fare per il piacere. Trascorsi un altro paio d’anni, chiunque<br />
coinvolto in quel campo deriderà l’idea che si debba lavorare<br />
in quel settore senza grossi ricavi economici. Spiegheranno ai pianificatori<br />
sociali che è possibile assicurare tali ricavi, assegnando<br />
privilegi sociali, poteri e monopoli man mano che si renderà necessario.<br />
Questo è il cambiamento avvenuto nel campo della programmazione<br />
informatica durante lo scorso decennio. Quindici anni fa 7<br />
giravano articoli sulla “computer-dipendenza”: gli utenti erano<br />
“on-line” tutto il tempo e avevano vizi da cento dollari a settimana.<br />
In genere si accettava il fatto che la gente amava a tal punto la<br />
programmazione da rompere non di rado il proprio matrimonio.<br />
Oggi, in genere si accetta che nessuno farebbe il programmatore<br />
se non in cambio di un lauto stipendio. La gente ha dimenticato<br />
come stavano le cose quindici anni fa.<br />
Anche se fosse vero che ad un certo punto la maggior parte della<br />
gente lavorerà in un certo campo soltanto per un lauto stipendio,<br />
7 Quindici anni prima della stesura di quest’articolo correva l’anno 1977.<br />
34
lo scenario non deve necessariamente rimanere tale. La dinamica<br />
del cambiamento può girare all’inverso, qualora la società fornisca<br />
l’input adatto. Se eliminiamo la possibilità di grandi ricchezze,<br />
allora dopo qualche tempo, una volta risistemate le attitudini<br />
personali, la gente sarà nuovamente ansiosa di lavorare in quel<br />
campo per la gioia di riuscire.<br />
La domanda “Come fare a pagare i programmatori?” trova facile<br />
risposta una volta compreso che non si tratta di pagarli una<br />
fortuna. Il semplice guadagnarsi da vivere è più facile da mettere<br />
insieme.<br />
Finanziare il software libero<br />
Le istituzioni che pagano i programmatori non devono essere i<br />
produttori di software. Esistono già parecchie altre istituzioni in<br />
grado di farlo.<br />
I produttori di hardware considerano essenziale sostenere lo sviluppo<br />
del software pur non potendone controllare l’utilizzo. Nel<br />
1970 gran parte del loro software era libero perché non si curavano<br />
di porre limitazioni. Oggi la crescente volontà di aderire a dei<br />
consorzi dimostra che hanno compreso come possedere il software<br />
non è una cosa veramente importante per loro.<br />
Le università svolgono numerosi progetti di programmazione.<br />
Oggi spesso ne rivendono i risultati, ma non fu così negli anni ‘70.<br />
Esiste forse alcun dubbio che le università svilupperebbero software<br />
libero qualora non fosse loro consentito di vendere il software?<br />
Questi progetti potrebbero essere finanziati dagli stessi contratti e<br />
borse di studio governativi che attualmente finanziano lo sviluppo<br />
di software proprietario.<br />
Oggi è comune per i ricercatori universitari ottenere borse di studio<br />
per lo sviluppo di un sistema, realizzarlo fino quasi al punto<br />
35
finale e definirlo “completato”, per poi fondare delle aziende in<br />
cui portano davvero a compimento il progetto e lo rendono utilizzabile.<br />
Talvolta dichiarano “libera” la versione non finita; se sono<br />
corrotti fino in fondo, ottengono invece una licenza esclusiva dall’università.<br />
Ciò non è certo un segreto, viene ammesso apertamente<br />
da ogni soggetto coinvolto. Eppure se i ricercatori non fossero<br />
esposti alla tentazione di comportarsi in questo modo, proseguirebbero<br />
tuttora le proprie ricerche.<br />
Gli sviluppatori che scrivono software libero possono guadagnarsi<br />
da vivere vendendo servizi connessi al software. Io sono stato<br />
assunto per portare il compiler GNU C su un nuovo hardware, e<br />
per realizzare le estensioni dell’interfaccia-utente per GNU Emacs.<br />
(Offrirò queste migliorie al pubblico una volta completate). Tengo<br />
anche dei corsi per cui vengo pagato.<br />
Non sono il solo a lavorare in tal modo; oggi esiste una corporation<br />
di successo e in crescita che fa soltanto questi tipi di lavori.<br />
Anche diverse altre aziende offrono supporto commerciale per il<br />
software libero del sistema GNU. Questo è l’inizio dell’industria<br />
a sostegno del software indipendente – un’industria che potrebbe<br />
raggiungere dimensioni piuttosto ampie se il software libero<br />
diventasse prevalente. Ciò offre agli utenti un’opzione generalmente<br />
non disponibile per il software proprietario, eccetto a chi è<br />
molto ricco.<br />
Nuove 8 istituzioni quali la Free Software Foundation possono<br />
altresì sostenere i programmatori.<br />
Gran parte dei finanziamenti della Foundation arrivano dagli<br />
acquirenti di dischi e nastri tramite posta. Il software sui nastri è<br />
libero, il che significa che ogni utente ha libertà di copiarlo e modificarlo,<br />
ma in ogni caso molti pagano per averne delle copie.<br />
8 Quest’articolo è stato scritto il 24 aprile 1992.<br />
36
(Ricordiamoci che “free software” si riferisce alla libertà, non al<br />
prezzo). Alcuni utenti già in possesso di una copia, ordinano i<br />
nastri come modo per offrire l’obolo che secondo loro noi meritiamo.<br />
La Foundation riceve inoltre donazioni di una certa<br />
ampiezza dai produttori di computer.<br />
La Free Software Foundation è un ente senza fini di lucro, e i ricavi<br />
vengono spesi per ingaggiare quanti più programmatori possibile.<br />
Se fosse stata impostata come attività commerciale, distribuendo<br />
al pubblico lo stesso software libero per la medesima cifra<br />
odierna, fornirebbe un’ottima fonte di sostentamento al suo fondatore.<br />
Essendo la Foundation un ente senza fini di lucro, spesso i programmatori<br />
vi lavorano per metà della cifra che potrebbero chiedere<br />
altrove. Lo fanno perché siamo liberi dalla burocrazia, e perché<br />
sono soddisfatti nel sapere che il loro lavoro non subirà ostruzioni<br />
nell’utilizzo. Ma soprattutto lo fanno perché programmare<br />
è divertente. In aggiunta, dei volontari non pagati hanno scritto<br />
per noi molti programmi utili. (Abbiamo perfino scrittori tecnici<br />
volontari).<br />
Ciò conferma come la programmazione sia tra i campi più affascinanti<br />
di tutti, insieme alla musica e all’arte. Non dobbiamo<br />
temere che non ci sarà gente che vorrà programmare.<br />
Cosa devono gli utenti agli sviluppatori?<br />
C’è una buona ragione per chi usa il software di sentirsi moralmente<br />
obbligati a contribuire al suo sostegno. Gli sviluppatori di<br />
software libero contribuiscono alle attività degli utenti, e oltre che<br />
giusto è nell’interesse a lungo termine degli stessi utenti dare loro<br />
i finanziamenti per continuare.<br />
Ciò tuttavia non si applica a chi sviluppa software proprietario, per-<br />
37
ché l’ostruzionismo merita una punizione anziché una ricompensa.<br />
Eccoci così di fronte a un paradosso: chi sviluppa software utile<br />
ha diritto al sostegno degli utenti, ma qualsiasi tentativo di trasformare<br />
quest’obbligo morale in un requisito distrugge le basi<br />
stesse di tale obbligo. Uno sviluppatore può meritare o richiedere<br />
una ricompensa, ma non entrambe le cose.<br />
Credo che di fronte a tale paradosso uno sviluppatore dotato di<br />
senso etico deve fare in modo di meritare la ricompensa, ma<br />
dovrebbe anche stimolare gli utenti alle donazioni volontarie. Alla<br />
fin fine gli utenti impareranno a sostenere gli sviluppatori senza<br />
costrizione, così come hanno imparato a sostenere le stazioni radio<br />
e televisive pubbliche.<br />
Cos’è la produttività del software?<br />
Se il software fosse libero, esisterebbero ancora i programmatori,<br />
ma forse in numero minore. Ciò sarebbe un male per la società?<br />
Non necessariamente. Oggi le nazioni avanzate hanno meno agricoltori<br />
che nel 1900, ma non lo consideriamo un male per la<br />
società, visto che un numero minore offre ai consumatori una<br />
quantità maggiore di cibo. Ciò viene definito miglioramento produttivo.<br />
Il software libero richiederebbe un numero assai minore<br />
di programmatori per soddisfare la domanda, per via dell’accresciuta<br />
produttività del software a tutti i livelli:<br />
– Utilizzo più ampio di ciascun programma sviluppato.<br />
– Capacità di adattare i programmi esistenti per la personalizzazione,<br />
invece di partire da zero.<br />
– Migliore educazione dei programmatori.<br />
– L’eliminazione dei doppioni nei progetti di sviluppo.<br />
Quanti si oppongono alla cooperazione sostenendo che provocherebbe<br />
l’assunzione di un numero minore di programmatori van-<br />
38
no in realtà opponendosi alla maggiore produttività. Eppure costoro<br />
generalmente accettano la credenza comune secondo cui l’industria<br />
del software necessiti di un incremento produttivo. Come mai? 9<br />
La “produttività del software” può avere due significati diversi: la<br />
produzione complessiva dell’intero settore di sviluppo del software<br />
oppure la produttività di progetti individuali. La produttività<br />
complessiva è quel che la società vorrebbe migliorare, e la maniera<br />
più diretta per farlo è eliminare gli ostacoli artificiali alla cooperazione<br />
che riducono tale produttività. Ma i ricercatori che studiano<br />
il campo della “produttività del software” si concentrano<br />
unicamente sul secondo, limitato, significato del termine, dove il<br />
miglioramento richiede difficili avanzamenti tecnologici.<br />
La competizione è inevitabile?<br />
È inevitabile che si cerchi di competere, di sorpassare i propri rivali<br />
nella società? Forse lo è. Ma la competizione in se stessa non è<br />
dannosa; la cosa dannosa è il combattimento.<br />
Esistono molti modi di competere. La competizione può consistere<br />
nel cercare di raggiungere sempre di più, di superare quel che<br />
hanno fatto gli altri. Ad esempio, in passato c’era competizione tra<br />
i maghi della programmazione – competizione per chi riusciva a<br />
far fare al computer le cose più incredibili, o per chi riusciva a creare<br />
il programma più breve o più veloce per un particolare compi-<br />
9 Secondo Eric Raymond, il 95% dei posti di lavoro dell’industria del software riguarda<br />
la produzione di software personalizzato, nient’affatto previsto per la pubblicazione. Ne<br />
consegue che pur assumendo lo scenario teorico peggiore, ovvero che non esisteranno posti<br />
di lavoro per lo sviluppo di software libero (e già sappiamo che ne esistono alcuni), il<br />
passaggio al software libero potrà avere uno scarso effetto sul numero totale di posti di<br />
lavoro per il software. Esiste una gran quantità di spazio per chi voglia scrivere software<br />
personalizzato e sviluppare software libero quando avanza tempo. Non esiste alcun<br />
modo per sapere se la piena conversione al software libero porterebbe all’aumento o alla<br />
diminuzione del numero di posti di lavoro nel campo del software.<br />
39
to. Questo tipo di competizione può giovare a chiunque, fintantoché<br />
si mantiene lo spirito della buona lealtà sportiva.<br />
La competizione costruttiva è sufficientemente competitiva da<br />
spingerci a fare grandi sforzi. Un certo numero di persone stanno<br />
gareggiando per essere i primi ad aver visitato tutti i paesi sulla terra;<br />
qualcuno spende anche una fortuna nel tentativo di riuscirci.<br />
Ma non cercano di corrompere i capitani delle navi perché abbandonino<br />
i rivali su un’isola deserta. Sono contenti di lasciar vincere<br />
la persona più in gamba.<br />
La competizione diventa lotta quando coloro che gareggiano iniziano<br />
a bloccarsi a vicenda invece di pensare al proprio avanzamento<br />
– quando “lasciar vincere la persona più in gamba” si trasforma<br />
in “lasciar vincere me stesso, più in gamba o meno che sia”.<br />
Il software proprietario è dannoso, non perché sia una forma di<br />
competizione, ma perché è una forma di combattimento tra i cittadini<br />
della società.<br />
Nell’imprenditoria competizione non significa necessariamente<br />
lotta. Ad esempio, quando due negozi di alimentari sono in competizione,<br />
i loro sforzi si concentrano sul miglioramento delle proprie<br />
operazioni, non sul sabotaggio del rivale. Ma ciò non dimostra<br />
un particolare attaccamento all’etica commerciale; piuttosto,<br />
ha poco senso combattere in questo tipo di attività senza ricorrere<br />
alla violenza fisica. Non tutti i settori imprenditoriali condividono<br />
questa caratteristica. Tenere segrete informazioni che potrebbero<br />
aiutare tutti ad avanzare è una forma di combattimento.<br />
L’ideologia commerciale non prepara la gente a resistere alla tentazione<br />
di lottare come forma di competizione. Alcuni tipi di combattimento<br />
sono stati vietati con legislazioni anti-monopolio, leggi<br />
sulla veridicità della pubblicità, e così via, ma anziché generalizzare<br />
ciò in un principio di rifiuto della lotta in generale, i diri-<br />
40
genti hanno inventato altre forme di combattimento che non sono<br />
specificamente proibite. Le risorse della società vengono sperperate<br />
nell’equivalente economico di una guerra civile tra fazioni.<br />
“Perché non te ne vai in Russia?”<br />
Negli Stati Uniti chiunque sostenga qualsiasi posizione diversa<br />
dalla forma più estrema di laissez-faire egoistico ha sentito spesso<br />
quest’accusa. Viene ad esempio usata contro i sostenitori di un<br />
sistema nazionale d’assistenza sanitaria, come ne esistono in tutte<br />
le altre nazioni industrializzate del mondo libero. Viene usata contro<br />
i sostenitori del sostegno pubblico alle arti, anch’esso universale<br />
nei paesi avanzati. In America l’idea che i cittadini abbiano<br />
qualche obbligo nei confronti del bene pubblico viene identificata<br />
con il comunismo. Ma si tratta davvero di idee similari?<br />
Il comunismo per come fu praticato nell’Unione Sovietica era un<br />
sistema di controllo centralizzato dove tutta l’attività era irreggimentata,<br />
apparentemente per il bene comune, ma in realtà a vantaggio<br />
dei membri del partito comunista. E dove i dispositivi per<br />
la copia erano sorvegliati da vicino onde evitare la copia illegale.<br />
Il sistema americano del diritto d’autore sul software impone il<br />
controllo centralizzato sulla distribuzione di un programma, e i<br />
dispositivi per la copia sono sorvegliati tramite sistemi anti-copia<br />
automatici onde evitare la copia illegale.<br />
All’opposto, il mio lavoro punta alla costruzione di un sistema in<br />
cui la gente sia libera di decidere sulle proprie azioni; in particolare,<br />
libera di aiutare i vicini, e libera di alterare e migliorare gli<br />
strumenti che usano nella vita quotidiana. Un sistema basato sulla<br />
cooperazione volontaria e sulla decentralizzazione. Perciò, se<br />
dovessimo giudicare le posizioni sulla somiglianza al comunismo<br />
russo, sarebbero i proprietari di software a essere comunisti.<br />
41
La questione delle premesse<br />
In questo saggio parto dalla premessa che l’utente di software non<br />
sia meno importante di un autore, o anche del datore di lavoro di<br />
un autore. In altri termini, gli interessi e le necessità di tutti costoro<br />
hanno un uguale peso quando si tratta di decidere il miglior<br />
corso d’azione. Questa premessa non è accettata a livello universale.<br />
Molti sostengono come il datore di lavoro di un autore sia<br />
essenzialmente più importante di chiunque altro. Si dice, ad esempio,<br />
che lo scopo nell’avere proprietari di software è quello di dare<br />
al datore di lavoro di un autore il vantaggio che merita – prescindendo<br />
dal modo in cui ciò possa influenzare il pubblico.<br />
È inutile cercare di convalidare o confutare tali premesse. Ogni prova<br />
si basa su premesse condivise. Perciò gran parte di quanto vado<br />
sostenendo è indirizzato soltanto a quanti condividono le premesse<br />
che uso, o almeno a quanti sono interessati a vederne le conseguenze.<br />
Per quanti ritengono che i proprietari siano più importanti<br />
di chiunque altro, questo saggio è semplicemente irrilevante.<br />
Ma perché un gran numero di americani dovrebbe accettare una<br />
premessa che eleva l’importanza di alcuni individui su chiunque<br />
altro? In parte perché ci si basa sulla credenza che tale premessa<br />
faccia parte della tradizione legale della società americana. Per<br />
qualcuno, dubitare della premessa significa mettere in discussione<br />
le basi stesse della società.<br />
È importante informare costoro che tale premessa non è parte della<br />
nostra tradizione legale. Né lo è mai stata.<br />
Ovvero, la Costituzione dice che lo scopo del copyright è quello<br />
di “promuovere il progresso della scienza e delle arti utili”. La Corte<br />
Suprema ha elaborato su quest’idea, affermando nella causa Fox<br />
Film vs. Doyal che “l’unico interesse degli Stati Uniti e l’oggetto<br />
primario nel conferire il monopolio [del copyright] risiede nei<br />
42
enefici generali derivanti al pubblico dal lavoro degli autori”.<br />
Non siamo obbligati a essere d’accordo con la Costituzione o con<br />
la Corte Suprema. (A un certo punto, entrambi perdonarono la<br />
schiavitù). Le loro posizioni non condannano la premessa sulla<br />
supremazia del proprietario. Spero però che la consapevolezza per<br />
cui ciò sia un assunto della destra radicale, piuttosto che un fatto<br />
tradizionalmente riconosciuto, perderà il proprio fascino.<br />
Conclusione<br />
Ci piace pensare che la società incoraggi l’aiuto al vicino; ma ogni<br />
volta che ricompensiamo qualcuno perché fa ostruzione, o lo<br />
ammiriamo per la ricchezza accumulata in tal modo, stiamo<br />
inviando il messaggio opposto.<br />
L’accumulazione del software è una forma della nostra volontà<br />
generale di non considerare il benessere della società a favore del<br />
profitto personale. Possiamo notare questa mancanza di considerazione<br />
da Ronald Reagan a Jim Bakker 10 , da Ivan Boesky 11 a<br />
Exxon 12 , dalle banche fallite alle scuole fallite. Possiamo misurarla<br />
con la quantità di gente senza casa e di popolazione carceraria.<br />
Lo spirito antisociale si nutre da solo, perché più ci rendiamo conto<br />
che gli altri non ci aiuteranno, più sembra futile aiutarli. Così<br />
la società si trasforma in una giungla.<br />
10 Negli anni ‘80 Jim Bakker raccolse milioni di dollari in televisione per i suoi gruppi<br />
religiosi Heritage USA, PTL e Inspirational Network. Venne condannato a 45 anni di<br />
carcere per frode via posta e banca per le campagne di raccolta fondi a favore di PTL.<br />
11 Ivan Boesky fu mandato in prigione e multato per 100 milioni di dollari per trading<br />
scorretto negli anni ‘80. Divenne famoso per aver detto una volta, “L’avarizia è un<br />
bene. Voglio farvi sapere che ritengo salutare l’avarizia. Potete essere avari e sentirvi<br />
comunque in pace con voi stessi”.<br />
12 Negli anni ‘80 la Exxon Valdez provocò la più vasta fuoriuscita di petrolio al mondo<br />
al largo delle coste dell’Alaska, causando danni immensi. Finora le multe e le operazioni<br />
di pulizia gli sono costate oltre un miliardo di dollari.<br />
43
Se non vogliamo vivere in una giungla, dobbiamo modificare il<br />
nostro atteggiamento. Dobbiamo iniziare a veicolare il messaggio<br />
che un buon cittadino è quello che coopera quando appropriato,<br />
non quello che è bravo a prendere dagli altri. Spero che il movimento<br />
del software libero possa offrire dei contributi in tal senso:<br />
almeno in un campo, sostituiremo la giungla con un sistema più<br />
efficace che incoraggi e giri sulla cooperazione volontaria.<br />
Originalmente scritto nel 1992, questa versione fa parte del libro Free<br />
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU<br />
Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa<br />
nota.<br />
44
Diritto d’autore<br />
e globalizzazione<br />
nell’era delle reti<br />
informatiche<br />
Introduzione<br />
David Thorburn, moderatore: Il relatore di oggi, Richard Stallman,<br />
è una figura leggendaria del mondo informatico, e la mia esperienza<br />
nel tentativo di trovare un correlatore per condividere il<br />
podio con lui è stata istruttiva. Un distinto professore del MIT mi<br />
ha detto che Stallman va considerato al pari della figura carismatica<br />
di una parabola biblica – una sorta di aneddoto-lezione del<br />
Vecchio Testamento. “Immagina”, mi ha detto, “un Mosè o un<br />
Geremia – meglio, un Geremia”. Gli ho replicato: “Bene, davvero<br />
ammirevole. Ciò conferma la mia sensazione sul tipo di contributo<br />
che ha dato al mondo. Allora perché sei riluttante a dividere<br />
il podio con lui?” La sua risposta: “Come Geremia o Mosè,<br />
ne sarei semplicemente sopraffatto. Non posso tenere un intervento<br />
insieme a lui, ma se mi avessi chiesto di nominare cinque<br />
persone viventi nel mondo che hanno veramente aiutato tutti noi,<br />
Richard Stallman sarebbe uno di questi.”<br />
L’intervento di Stallman<br />
Dovrei iniziare spiegando perché ho rifiutato il permesso alla trasmissione<br />
sul web di questo forum, nel caso la questione non fos-<br />
45
se sufficientemente chiara: il programma impiegato per la trasmissione<br />
sul web richiede all’utente di prelevare determinato<br />
software per poter ricevere il segnale. Questo software non è<br />
software libero. È disponibile a costo zero ma soltanto come eseguibile,<br />
cioè una misteriosa sequenza di numeri.<br />
Ciò che fa è segreto. Non lo si può studiare, non lo si può modificare,<br />
e certamente non se ne può pubblicare una versione modificata.<br />
E queste rientrano fra le libertà essenziali incluse nella definizione<br />
di “software libero”.<br />
Così, se devo essere un onesto sostenitore del software libero, non<br />
posso andare in giro a fare discorsi e poi spingere le persone ad<br />
usare software non libero. Nuocerei alla mia stessa causa. E se non<br />
dimostro di prendere i miei principi sul serio, non posso aspettarmi<br />
che altri li prendano sul serio.<br />
Tuttavia il mio intervento non riguarda il software libero. Dopo<br />
aver lavorato per anni nel movimento per il software libero e aver<br />
visto la gente usare alcune parti del sistema operativo GNU, ho<br />
iniziato a ricevere inviti per tenere interventi nei quali il pubblico<br />
prese a chiedermi: “Bene, come è possibile ampliare le idee sulla<br />
libertà per gli utenti del software ad altri tipi di cose?”<br />
E naturalmente facevano domande stupide tipo, “Dovrebbe forse<br />
essere libero anche l’hardware?”, “Dovrebbe essere libero questo<br />
microfono?”<br />
Cosa significa tutto ciò? Dovremmo essere liberi di copiarlo e<br />
modificarlo? Per quanto riguarda le modifiche, una volta comprato<br />
il microfono, nessuno ci impedirà di modificarlo. E per<br />
copiarlo, nessuno possiede una copiatrice di microfoni. Al di fuori<br />
di Star Trek, queste cose non esistono. Forse un giorno ci saranno<br />
analizzatori ed assemblatori nanotecnologici, e sarà realmente<br />
possibile copiare un oggetto fisico, e allora il problema del se si è<br />
46
liberi di farlo o meno comincerà ad essere davvero importante.<br />
Vedremo aziende agricole che vorranno impedire alla gente di<br />
copiare il cibo, e questo diventerà un problema politico importante,<br />
se mai esisterà una simile capacità tecnologica. Non so se<br />
succederà, a questo punto si tratta soltanto di pura speculazione.<br />
Ma per altri tipi di informazioni, il problema può essere sollevato<br />
perché ogni tipo di informazione che può essere memorizzata su<br />
un computer, presumibilmente, può essere copiata e modificata.<br />
Così i problemi etici del software libero, i problemi del diritto di<br />
un utente di copiare e modificare il software, sono identici a quelli<br />
relativi ad altri tipi di informazioni pubblicate. Non mi riferisco<br />
a informazioni private, diciamo, i dati personali, che non devono<br />
essere mai rese disponibili al pubblico. Parlo dei diritti di un<br />
utente quando ottiene copie di cose pubblicate senza alcun tentativo<br />
di tenerle segrete.<br />
La storia del copyright<br />
Per meglio illustrare le mie idee in materia, vorrei rivedere la storia<br />
della distribuzione delle informazioni e del diritto d’autore. Nel<br />
mondo antico, i libri erano scritti a mano con una penna, e chiunque<br />
sapesse leggere e scrivere poteva copiare un libro in maniera<br />
efficace come chiunque altro. Probabilmente qualcuno che vi si<br />
dedicava tutto il giorno, aveva imparato a farlo meglio, ma non<br />
esisteva alcuna differenza sostanziale. E poiché le copie erano fatte<br />
una per volta, non c’era un grande valore economico. Fare dieci<br />
copie richiedeva dieci volte il tempo necessario per fare una<br />
copia. Non esisteva alcuna costrizione verso la centralizzazione –<br />
un libro poteva essere copiato ovunque.<br />
A causa di questa tecnologia, poiché non imponeva che le copie<br />
fossero identiche, nel mondo antico non esisteva una differenza<br />
47
sostanziale tra copiare e scrivere un libro. Ci sono cose nel mezzo<br />
che avevano senso. Comprendevano l’idea di un autore. Sapevano,<br />
diciamo, che una certa commedia era stata scritta da Sofocle,<br />
ma tra scrivere un libro e copiare un libro, c’erano altre cose utili<br />
che si potevano fare. Per esempio, si poteva copiare parte di un<br />
libro, poi scrivere alcune parole nuove, copiare ancora e scrivere<br />
alcune nuove parole e così via. Questo lo si definiva “scrivere un<br />
commentario”. Si trattava di un’attività piuttosto comune, e questi<br />
commentari erano apprezzati.<br />
Si poteva anche copiare un passaggio da un libro, poi scrivere altre<br />
parole, e copiare un passaggio da un altro libro e scrivere ancora e<br />
così via, e così si creava un compendio. Anche i compendi erano<br />
molto utili. Ci sono opere che sono andate perdute, ma parti di<br />
esse sono sopravvissute se riprese in altri libri che hanno avuto più<br />
popolarità dell’originale. Forse si sono copiate le parti più interessanti,<br />
e così se ne sono fatte molte copie, ma non ci si è preoccupati<br />
di copiare l’originale, perché non era abbastanza interessante.<br />
Ora, per quanto posso saperne, nel mondo antico non esistevano<br />
cose come il diritto d’autore. Chiunque volesse copiare un libro<br />
poteva farlo. Più avanti, è stata sviluppata la tecnica della stampa<br />
e i libri hanno iniziato ad essere stampati. La stampa non è stata<br />
solo un miglioramento quantitativo per copiare in maniera più<br />
agevole. Ha influenzato i diversi tipi di copia in modo diverso perché<br />
ha introdotto una certa economia di scala. Occorreva lavorare<br />
parecchio per impostare la macchina tipografica, e assai meno<br />
lavoro per fare molte copie identiche della pagina. Come risultato,<br />
la copia dei libri iniziò a diventare un’attività centralizzata di<br />
produzione di massa. Probabilmente le copie di un certo libro<br />
saranno state fatte soltanto in determinati luoghi.<br />
48
Ciò significava inoltre che i comuni lettori non potevano copiare<br />
i libri in maniera efficace. Ci si riusciva solo se si aveva una macchina<br />
per la stampa: era un’attività industriale.<br />
Ora, nei primi secoli di vita della stampa, i libri stampati non hanno<br />
sostituito totalmente le copie fatte a mano. Se ne facevano<br />
ancora, a volte dai ricchi e a volte dai poveri. I ricchi lo facevano<br />
per avere una copia particolarmente bella che avrebbe dimostrato<br />
quanto erano ricchi, e i poveri lo facevano perché forse non avevano<br />
abbastanza soldi per comprare una copia stampata, ma avevano<br />
tempo per copiare un libro a mano. Come dice la canzone,<br />
“Il tempo non è denaro quando tutto ciò che hai è il tempo”.<br />
Così, si facevano ancora copie a mano. Fu nel 1800, credo, che la<br />
stampa divenne in realtà abbastanza economica da consentire<br />
anche ai poveri di acquistare libri stampati, se sapevano leggere.<br />
Ora, il diritto d’autore si è sviluppato insieme all’uso della stampa<br />
e, considerando questa tecnologia, ha avuto l’effetto di una<br />
regolamentazione industriale. Non regolava quel che fosse concesso<br />
fare ai lettori; limitava ciò che potevano fare gli editori e gli<br />
autori. Inizialmente in Inghilterra il diritto d’autore è stato una<br />
forma di censura. Per pubblicare un libro bisognava avere il permesso<br />
del governo. Ma poi il concetto è cambiato. Con la Costituzione<br />
degli Stati Uniti, si giunse ad un’idea diversa sugli scopi<br />
del diritto d’autore, e credo che tale idea venisse accettata anche<br />
in Inghilterra.<br />
Per la Costituzione statunitense venne proposto di assegnare il<br />
copyright agli autori, un monopolio sulla copia dei propri libri.<br />
Questa proposta fu respinta. Se ne adottò invece una fondamentalmente<br />
diversa e cioè che, per promuovere il progresso, il Congresso<br />
poteva stabilire eventualmente un sistema di diritti d’autore<br />
che avrebbe poi creato questi monopoli. Così i monopoli,<br />
49
secondo la Costituzione statunitense, non esistono per il bene di<br />
chi li possiede; esistono per promuovere il progresso della scienza.<br />
I monopoli sono concessi agli autori come modalità per modificare<br />
il proprio comportamento onde fare qualcosa di utile per il<br />
pubblico.<br />
Così l’obiettivo è avere un maggior numero di libri scritti e pubblicati<br />
che gli altri possano poi leggere. E si ritiene che questo [il<br />
copyright] contribuisca ad una maggiore attività letteraria, ad<br />
ampliare la produzione di scritti scientifici e in altri campi, e che<br />
la società possa imparare grazie a ciò. Questo è il fine da perseguire.<br />
La creazione di monopoli privati è stata solo un mezzo per<br />
raggiungere un certo fine, e questo è un fine pubblico.<br />
Nell’epoca della stampa il diritto d’autore era praticamente indolore<br />
perché si trattava di una regolamentazione industriale. Limitava<br />
soltanto le attività di editori ed autori. In senso stretto, anche<br />
i poveri che copiavano i libri a mano potevano infrangere il diritto<br />
d’autore. Ma nessuno cercò mai di imporre il copyright nei loro<br />
confronti perché venne considerato una regolamentazione a livello<br />
industriale. 1<br />
Inoltre, nell’era della stampa era semplice imporre diritto d’autore,<br />
perché andava applicato soltanto laddove esistesse un editore,<br />
e gli editori, per la natura stessa della loro attività, si facevano conoscere.<br />
Se si cerca di vendere libri, bisogna dire al pubblico dove<br />
andare a comprarli. Non si va nelle case di tutti ad imporre il diritto<br />
d’autore.<br />
Infine, in quel contesto il diritto d’autore può essere stato un sistema<br />
benefico. Negli Stati Uniti il copyright viene considerato dagli<br />
studiosi di legge un patto tra il pubblico e gli autori. Il pubblico<br />
1 Gli statuti originali parlavano soltanto di editoria e stampa. Non esisteva alcuna<br />
regolamentazione per la copia a mano – molto probabilmente perché la<br />
regolamentazione riguardava l’industria.<br />
50
scambia alcuni dei propri diritti naturali a fare copie, e in cambio<br />
ottiene il beneficio di avere un maggior numero di libri scritti e<br />
pubblicati.<br />
Ora, si tratta di un patto vantaggioso? Be’, quando il pubblico non<br />
può fare delle copie perché queste vengono fatte in maniera efficace<br />
solo con macchine per la stampa – e la maggior parte della<br />
gente non possiede tali macchine – il risultato è che il pubblico<br />
sta scambiando una libertà che non può esercitare, una libertà che<br />
non è di nessun valore pratico. Perciò se si possiede qualcosa che<br />
non è di primaria importanza o è inutile, e si ha la possibilità di<br />
scambiarla per qualcos’altro di un qualche valore, ci si guadagna.<br />
Ecco perché a quel tempo può darsi che il diritto d’autore sia stato<br />
un patto vantaggioso per il pubblico.<br />
Ma il contesto va mutando, e ciò deve cambiare la nostra valutazione<br />
etica del diritto d’autore. Ora, i principi alla base dell’etica<br />
non sono modificati dai progressi nella tecnologia; sono troppo<br />
fondamentali per essere toccati da simili contingenze. Ma le nostre<br />
decisioni su una determinata questione dipendono dalle conseguenze<br />
delle alternative disponibili, e le conseguenze di una certa<br />
scelta possono cambiare quando cambia il contesto. Questo è ciò<br />
che succede nell’area della legge sul copyright, perché l’epoca della<br />
stampa sta per chiudersi, lasciando gradualmente spazio all’era<br />
delle reti informatiche.<br />
Le reti informatiche e le tecnologie dell’informazione digitale ci<br />
riportano ad un ambito più simile al mondo antico, dove chiunque<br />
sapesse leggere ed usare le informazioni poteva anche copiarle<br />
e poteva fare copie facilmente al pari di chiunque altro. Si tratta<br />
di copie perfette e valide quanto le copie che potrebbe fare<br />
chiunque altro. Così la centralizzazione e l’economia introdotta<br />
dalla stampa e da simili tecnologie va scomparendo.<br />
51
Questo mutamento nel contesto generale cambia il modo in cui<br />
funziona la legislazione in tema di diritto d’autore. Il copyright<br />
non svolge più una funzione di regolamentazione dell’industria: è<br />
diventata una restrizione draconiana imposta al pubblico. Originariamente<br />
tale legislazione voleva essere una restrizione imposta<br />
agli editori a favore degli autori; oggi, all’atto pratico, è una restrizione<br />
imposta al pubblico a favore degli editori. Una volta il diritto<br />
d’autore era una pratica relativamente priva di effetti negativi,<br />
che non suscitava discussioni, e non costituiva una limitazione per<br />
il pubblico. Oggi ciò non è più vero. Se possedete un computer,<br />
l’interesse primario degli editori è quello di imporvi delle restrizioni.<br />
Il diritto d’autore una volta era facile da far rispettare perché<br />
era una restrizione solo per gli editori, ed era facile trovarli per<br />
esaminare quanto pubblicavano. Ora il diritto d’autore è una<br />
restrizione su tutti e ciascuno di voi. Per imporne il rispetto occorre<br />
sorveglianza, intrusioni e pene severe, e stiamo osservando l’introduzione<br />
di queste misure nelle leggi degli Stati Uniti e di altri<br />
paesi.<br />
Il diritto d’autore era effettivamente uno scambio vantaggioso per<br />
il pubblico, perché quest’ultimo dava in cambio delle libertà che<br />
di fatto non poteva esercitare. Ma oggi il pubblico può esercitare<br />
tali libertà. Cosa fate se avete un sottoprodotto che una volta non<br />
vi serviva, eravate abituati a scambiarlo e improvvisamente ne scoprite<br />
un uso? Potete consumarlo o utilizzarlo. Cosa farete in pratica?<br />
Non lo scambiate affatto, ne tenete almeno una parte. E naturalmente<br />
questo è quanto vorrebbe fare la gente. È ciò che il pubblico<br />
fa ogniqualvolta gli viene data voce per esprimere la propria<br />
preferenza, conserva una parte della propria libertà e la esercita.<br />
Napster, in cui il pubblico decide di esercitare la libertà di copia<br />
invece di rinunciarvi, è un grande esempio di questo principio. La<br />
52
cosa naturale da farsi per rendere la normativa sul diritto d’autore<br />
adatta alla situazione odierna è ridurre l’ammontare di potere<br />
nelle mani dei detentori del copyright, ridurre la quantità di restrizioni<br />
che essi impongono al pubblico, e aumentare la libertà conservata<br />
dalla gente.<br />
Ma ciò non piace agli editori, i quali vogliono esattamente l’opposto.<br />
Gli editori intendono aumentare i poteri del diritto d’autore<br />
fino al punto in cui possano controllare rigidamente ogni utilizzo<br />
delle informazioni. Ciò ha portato a legislazioni che concedono<br />
un aumento di potere senza precedenti per i detentori del<br />
copyright. Vengono così sottratte quelle libertà che il pubblico era<br />
solito mantenere nell’era della carta stampata.<br />
Consideriamo ad esempio gli e-book, i libri elettronici. Oggi vanno<br />
tremendamente di moda, è difficile evitarli. Mentre ero in Brasile<br />
ho preso un aereo e nella rivista a bordo c’era un articolo in<br />
cui si prevedeva che entro 10 o 20 anni saremmo tutti passati agli<br />
e-book. Chiaramente, questo tipo di campagna pubblicitaria è<br />
pagata da qualcuno. Perché? Credo di saperlo. La ragione è che gli<br />
e-book costituiscono l’opportunità per togliere alcune delle libertà<br />
che i lettori della carta stampata hanno sempre avuto e continuano<br />
ad avere – la libertà, per esempio, di prestare un libro ad un<br />
amico, o di prenderlo a prestito da una biblioteca pubblica, o di<br />
venderne una copia ad un negozio di libri usati, o di comprarne<br />
una copia in modo anonimo e senza dover inserire i dati dell’acquirente<br />
in un apposito database. E forse persino il diritto di leggerlo<br />
due volte.<br />
Sono queste le libertà che gli editori vorrebbero eliminare, ma non<br />
possono farlo per i libri stampati perché sarebbe una presa di potere<br />
troppo ovvia e provocherebbe una reazione generalizzata. E così<br />
hanno trovato una strategia indiretta. Prima, ottengono una legi-<br />
53
slazione che elimini questi diritti per gli e-book quando non ci<br />
sono e-book; così non si crea alcuna controversia. Non esistono<br />
lettori di libri elettronici a difendere le libertà a cui erano abituati.<br />
Obiettivo ottenuto con il Digital Millennium Copyright Act<br />
del 1998. Successivamente hanno introdotto gli e-book, convincendo<br />
tutti a passare gradualmente dai libri stampati a quelli elettronici,<br />
e il risultato finale è che i lettori hanno perso quelle libertà<br />
senza che ci sia stato un preciso momento in cui quelle libertà siano<br />
state sottratte e ci si potesse battere per conservarle.<br />
Allo stesso tempo possiamo osservare analoghi tentativi per privare<br />
la gente delle proprie libertà nell’uso di altri tipi di opere pubblicate.<br />
Ad esempio, i film su DVD vengono cifrati in un formato<br />
considerato segreto – era stato progettato per essere segreto – e<br />
l’unico modo per farsi dire dalle società cinematografiche il metodo<br />
di cifratura, in modo da poter costruire dei lettori DVD, era<br />
firmare un contratto che obbligava a implementare determinate<br />
restrizioni negli apparecchi, con il risultato di impedire al pubblico<br />
perfino l’esercizio dei propri diritti legali. A un certo punto<br />
alcuni programmatori europei scoprirono il formato dei DVD e<br />
scrissero un programma libero per leggerli. 2 Ciò rese possibile utilizzare<br />
software libero e GNU/Linux per guardare un DVD regolarmente<br />
acquistato, il che è una cosa assolutamente legittima. È<br />
giusto poterlo fare con software libero.<br />
Ma le società cinematografiche non erano d’accordo, e portarono<br />
la questione in tribunale. Sapete, l’industria cinematografica una<br />
volta produceva un sacco di film con scienziati pazzi e qualcuno<br />
diceva, “Ma, dottore, ci sono alcune cose che l’Uomo non dovrebbe<br />
conoscere”. Probabilmente queste società hanno visto troppi<br />
dei loro film, perché sono giunte alla conclusione che il formato<br />
2 Oggi esistono diversi pacchetti analoghi; il primo si chiamava “DeCSS”.<br />
54
dei DVD fosse qualcosa che l’Uomo non doveva conoscere, e sono<br />
riuscite ad ottenere una sentenza di censura totale sul software usato<br />
per leggere i DVD. È stato proibito persino l’inserimento di un<br />
link ad un sito fuori dagli Stati Uniti dove è legale diffondere queste<br />
informazioni. La sentenza è già stata portata in appello. In tale<br />
occasione ho presentato un documento di sostegno, e ne sono<br />
orgoglioso, anche se in effetti sto giocando un ruolo minimo in<br />
questa specifica battaglia.<br />
Il governo degli Stati Uniti è intervenuto direttamente a sostegno<br />
della parte avversa. Ciò non deve sorprendere se consideriamo in<br />
primo luogo il motivo per cui è stato approvato il Digital Millennium<br />
Copyright Act. La ragione risiede nel sistema di finanziamento<br />
delle campagne elettorali che abbiamo negli Stati Uniti,<br />
cioè essenzialmente una corruzione legalizzata in cui i candidati<br />
vengono comprati dalle varie aziende prima ancora di essere eletti.<br />
E, ovviamente, conoscono bene i loro padroni – sanno per chi<br />
stanno lavorando, e approvano quelle leggi che danno maggior<br />
potere a tali aziende.<br />
Non sappiamo come andrà a finire questa battaglia. Nel frattempo<br />
l’Australia ha approvato una legge simile e anche l’Europa si<br />
appresta a farlo; il piano è di non lasciare alcun luogo al mondo<br />
dove siano disponibili queste informazioni. Gli Stati Uniti rimangono<br />
comunque i primi nel tentativo di impedire al pubblico la<br />
distribuzione di informazioni già pubblicate.<br />
Gli Stati Uniti non sono tuttavia il primo paese per cui ciò rappresenti<br />
una priorità: era molto importante anche per l’Unione<br />
Sovietica. Dove l’attività di fare copie non autorizzate e ridistribuirle<br />
era nota come Samizdat, e per debellare il fenomeno misero<br />
a punto una serie di metodi. Primo, guardie vicino ad ogni<br />
dispositivo di copia, per controllare cosa venisse copiato e preve-<br />
55
nire copie vietate. Secondo, dure punizioni per chiunque fosse<br />
sorpreso in attività di copia illecita: si poteva essere spediti in Siberia.<br />
Terzo, incoraggiare la delazione, chiedendo a tutti di spiare<br />
vicini e colleghi e riferire alla polizia dell’informazione. Quarto,<br />
responsabilità collettiva: “Tu! Tu sei responsabile per quel gruppo<br />
di persone! Se becco uno qualsiasi di loro a fare copie illegali, in<br />
prigione ci vai tu. Quindi, è meglio se li controlli per bene”. E<br />
quinto, la propaganda, a partire dall’infanzia, per convincere tutti<br />
che solo un acerrimo nemico del popolo rischierebbe di fare<br />
copie illecite.<br />
Oggi gli Stati Uniti stanno utilizzando tutti questi metodi. Primo,<br />
agenti a guardia dei dispositivi di copia. Nelle copisterie ci sono<br />
guardie umane per controllare cosa si copia. Ma costerebbe troppo<br />
ingaggiare degli esseri umani per fare lo stesso con gli utenti di<br />
computer, il lavoro umano è troppo caro. Così hanno messo a<br />
guardia dei robot. Questo è lo scopo del Digital Millennium<br />
Copyright Act. L’unico modo per accedere a certi dati è inserire<br />
nel computer un particolare software, che vi impedisce di copiare<br />
quegli stessi dati.<br />
Oggi esiste un progetto per l’introduzione di tale software in ogni<br />
hard disk, e in questo modo potreste trovarvi dei file a cui non<br />
potete accedere, a meno di ottenere il permesso da qualche server<br />
di rete. E il tentativo di aggirare quel software, o persino di dire<br />
ad altri come aggirarlo, costituisce un crimine.<br />
Secondo, punizioni dure. Alcuni anni fa, fare copie di qualcosa e<br />
passarle a un amico giusto per aiutarlo, non costituiva reato; non<br />
lo era mai stato negli Stati Uniti. Poi venne trasformato in un crimine,<br />
e si può essere incarcerati per anni solo per aver condiviso<br />
qualcosa con il vicino.<br />
Terzo, informatori. Avrete visto quelle pubblicità in TV e nella<br />
56
metropolitana di Boston che incitavano a denunciare i colleghi<br />
alla polizia dell’informazione, ufficialmente nota come Software<br />
Publishers Association.<br />
Quarto, responsabilità collettiva. Negli Stati Uniti ciò è stato fatto<br />
cooptando i provider d’accesso a internet, rendendoli legalmente<br />
responsabili per tutto ciò che distribuiscono i loro utenti.<br />
L’unico modo che hanno per non essere considerati comunque<br />
responsabili è l’applicazione di una procedura non modificabile<br />
per disconnettere l’utente o rimuovere l’informazione inviata<br />
entro due settimane da un reclamo. Giusto qualche giorno fa ho<br />
sentito che un sito di protesta contro alcune brutte pratiche di<br />
Citybank è stato cancellato in questo modo. Oggigiorno, non si<br />
fa nemmeno in tempo ad arrivare in tribunale: il vostro sito viene<br />
semplicemente fatto sparire.<br />
E infine, la propaganda a cominciare dall’infanzia. È per questo<br />
che si ricorre al termine “pirata”. Se ci pensate, qualche anno fa<br />
tale termine veniva utilizzato per definire quegli editori che non<br />
pagavano gli autori. Ma ora il significato è stato completamente<br />
stravolto. Oggi viene applicato a quei membri del pubblico che<br />
sfuggono al controllo degli editori. Viene usato per convincere la<br />
gente che solo un nemico del popolo farebbe delle copie illegali.<br />
Il termine trasmette il messaggio che “condividere qualcosa con il<br />
vicino è moralmente equivalente ad attaccare una nave”. Spero che<br />
non siate d’accordo con questa caratterizzazione, e se non lo siete,<br />
spero che vi rifiuterete di utilizzare il termine in tal senso.<br />
Gli editori stanno comprando delle leggi onde dotarsi di maggiori<br />
poteri. Stanno inoltre estendendo la durata del diritto d’autore.<br />
La Costituzione degli Stati Uniti dice che il copyright è valido per<br />
un periodo di tempo limitato, ma gli editori vogliono farlo durare<br />
per sempre. Ma siccome ottenere una modifica costituzionale<br />
57
isulterebbe piuttosto difficile, hanno trovato un modo più semplice<br />
per raggiungere lo stesso risultato. Ogni 20 anni si estende<br />
in maniera retroattiva il diritto d’autore di 20 anni. Così il risultato<br />
è che in ogni momento il diritto d’autore dura nominalmente<br />
per un periodo determinato e un giorno qualsiasi copyright è<br />
destinato a terminare. Ma quel termine non verrà mai raggiunto<br />
perché ogni 20 anni quel copyright verrà esteso di 20 anni; così<br />
nessuna opera potrà mai tornare di pubblico dominio. Questa pratica<br />
è stata chiamata “perpetual copyright on the installment plan”,<br />
copyright perpetuo nel progetto rateale.<br />
La legge del 1998 che estende il diritto d’autore per ulteriori 20<br />
anni è nota come il “Mickey Mouse Copyright Extension Act” 3<br />
perché uno dei suoi principali sponsor fu la Disney. Questa si rese<br />
conto che il diritto d’autore su Topolino stava per scadere, qualcosa<br />
che andava assolutamente evitato perché da quel copyright<br />
guadagnava molto denaro.<br />
Globalizzazione<br />
In effetti il titolo di questo intervento doveva essere “Diritto d’autore<br />
e Globalizzazione”. Per quanto riguarda la globalizzazione,<br />
questa viene portata avanti tramite una serie di politiche implementate<br />
in nome dell’efficienza economica ovvero i cosiddetti<br />
accordi per il libero commercio, che in realtà sono pensati per dare<br />
potere alle imprese a scapito delle leggi e della politica. Non hanno<br />
nulla a che fare con il libero scambio, ma piuttosto con un trasferimento<br />
di potere: togliere il potere decisionale e legislativo ai<br />
cittadini di qualsiasi paese possa plausibilmente tenere in considerazione<br />
i propri interessi, e assegnarlo alle imprese, che non ter-<br />
3 Il titolo ufficiale è “The Sonny Bono Copyright Term Extension Act”.<br />
58
anno nella minima considerazione l’interesse di quei cittadini.<br />
Dal loro punto di vista, è la democrazia ad essere un problema e<br />
questi accordi vengono stipulati per porvi fine. Ad esempio, il<br />
NAFTA 4 contiene dei provvedimenti che, mi sembra, consentono<br />
alle aziende di querelare un altro governo per sbarazzarsi di<br />
qualche legge che ritengano stia interferendo con i loro profitti in<br />
quel paese. Così le società straniere possono avere maggior potere<br />
dei cittadini di una nazione.<br />
Sono in atto tentativi per ampliare queste posizioni oltre il NAF-<br />
TA. È ad esempio questo uno degli obiettivi della cosiddetta “area<br />
del libero scambio delle Americhe”, che mira ad estendere questo<br />
principio a tutti i paesi sudamericani e caraibici, mentre l’accordo<br />
multilaterale sugli investimenti doveva estenderlo al mondo<br />
intero.<br />
Una cosa evidenziatasi negli anni ‘90 è che tali accordi hanno iniziato<br />
ad imporre il copyright in tutto il mondo, in maniera sempre<br />
più forte e restrittiva. Questi trattati non sono accordi per il<br />
libero scambio. Sono in realtà accordi commerciali utilizzati per<br />
fornire alle aziende il controllo sul commercio in tutto il mondo,<br />
in modo da eliminare il libero scambio.<br />
Quando nel 1800 gli Stati Uniti erano un paese in via di sviluppo,<br />
lo stato non riconosceva i diritti d’autore esteri. Questa fu una<br />
decisione presa con attenzione, e si rivelò intelligente. Si convenne<br />
che, per gli Stati Uniti, il riconoscimento di quei diritti sarebbe<br />
stato semplicemente svantaggioso e avrebbe succhiato denaro<br />
senza dimostrarsi particolarmente utile.<br />
Oggi si dovrebbe applicare la stessa logica ai paesi in via di sviluppo,<br />
ma gli Stati Uniti hanno sufficiente potere per costringerli<br />
ad andare contro i propri interessi. In realtà è un errore parlare<br />
4 North American Free Trade Agreement.<br />
59
degli interessi delle nazioni in questo contesto. Infatti, sono sicuro<br />
che la maggior parte di voi sappia quanto sia sbagliato tentare<br />
di giudicare l’interesse pubblico facendo la somma della ricchezza<br />
individuale. Se i lavoratori americani perdessero un miliardo di<br />
dollari e Bill Gates ne guadagnasse due, sarebbero forse gli americani<br />
in generale più ricchi? Potrebbe dirsi un bene per l’America?<br />
Se si considera solo la cifra totale, sembra lo sia. Tuttavia, l’esempio<br />
mostra in concreto che guardare al totale è il modo sbagliato<br />
di giudicare, poiché Bill Gates non ha alcun bisogno di altri due<br />
miliardi di dollari, ma la perdita di un miliardo di dollari da parte<br />
di chi non ha altrettanto denaro da cui partire può essere dolorosa.<br />
Dunque, discutendo su uno di questi trattati commerciali,<br />
quando si sente qualcuno parlare degli interessi di questa o di quella<br />
nazione, non si fa altro che sommare le entrate di tutti i cittadini.<br />
I ricchi vengono sommati ai poveri. È solo una scusa per mettere<br />
in atto lo stesso inganno per farci ignorare l’effetto sulla distribuzione<br />
delle ricchezze all’interno del paese e il fatto che quegli<br />
accordi la renderanno ancora più disomogenea, come è accaduto<br />
negli Stati Uniti.<br />
Non è quindi l’interesse degli Stati Uniti a giovarsi dell’inasprimento<br />
delle norme sul diritto d’autore in tutto il mondo. È solo<br />
quello di alcuni imprenditori, molti dei quali vivono in quel paese,<br />
mentre altri risiedono altrove. Ciò non favorisce in alcun modo<br />
l’interesse pubblico.<br />
Ripensare il copyright<br />
Ma cosa ha senso fare? Se crediamo nello scopo del diritto d’autore<br />
incluso, ad esempio, nella Costituzione degli Stati Uniti, cioè<br />
quello di promuovere il progresso, quali linee politiche intelligenti<br />
andrebbero seguite nell’era delle reti informatiche? Chiaramente,<br />
60
anziché aumentare i poteri del copyright dovremmo ridimensionarli<br />
in modo da offrire al pubblico un certo grado di libertà, con<br />
cui trarre vantaggio dai benefici della tecnologia digitale e delle<br />
reti informatiche. Ma fino a che punto si deve arrivare? È una<br />
domanda interessante, poiché non credo sia necessario abolire<br />
totalmente il diritto d’autore. L’idea di rinunciare ad alcune libertà<br />
in cambio di un maggior progresso risulterebbe vantaggiosa ad un<br />
certo livello, anche se il copyright tradizionale rinuncia a troppa<br />
libertà. Ma per ragionare in maniera intelligente sulla questione,<br />
la prima cosa da riconoscere è che non esiste alcun motivo per rendere<br />
tutto uniforme. Non c’è alcuna ragione per insistere nell’avere<br />
un unico accordo per ogni tipo di opere.<br />
Anzi, questo è un caso già superato poiché esistono numerose eccezioni<br />
per la musica. La legislazione sul diritto d’autore considera<br />
le opere musicali in maniera molto diversa tra loro. Ma i produttori<br />
ricorrono astutamente a un’arbitraria insistenza sull’uniformità.<br />
Prendono in esame alcuni casi particolari e sostengono degli<br />
argomenti secondo cui, in quei casi particolari, sarebbe vantaggioso<br />
avere tutto questo diritto d’autore. Successivamente affermano<br />
che, per uniformità, le restrizioni applicate nei casi particolari<br />
devono essere estese al tutto. Così, chiaramente, scelgono un<br />
caso particolare in cui possono produrre gli argomenti più forti,<br />
anche se tale caso è piuttosto raro e non così importante nel contesto<br />
generale.<br />
Ma forse, per quel caso specifico, è giusto che esista tutto quel<br />
copyright. Non dobbiamo pagare lo stesso prezzo per ogni cosa<br />
che compriamo. Spendere un migliaio di dollari per una macchina<br />
nuova sarebbe un ottimo affare, ma spenderne altrettanti per<br />
una confezione di latte sarebbe, al contrario, un pessimo affare.<br />
Di certo, in altre situazioni della vita, non si pagherebbe un prez-<br />
61
zo speciale per tutto ciò che si compra. Perché farlo in questo caso?<br />
Dobbiamo considerare le varie opere in maniera diversa tra loro,<br />
e vorrei proporvi un possibile modo per farlo.<br />
La prima serie di opere riguarda quelle funzionali – ovvero, opere il<br />
cui utilizzo consente di portare a termine un qualche compito.<br />
Questa categoria include ricette, programmi informatici, manuali<br />
e libri di testo, opere di consultazione come dizionari ed enciclopedie.<br />
Credo che per tutte queste opere funzionali la questione<br />
sia essenzialmente identica a quella del software e possano essere<br />
applicate le stesse conclusioni. Si dovrebbe avere la libertà di<br />
pubblicarne anche una versione modificata, poiché è molto utile<br />
modificare una di tali opere. Le necessità della gente non sono le<br />
stesse per tutti. Se io scrivo un’opera affinché faccia qualcosa che<br />
credo debba essere fatto, qualcun altro potrebbe avere un’idea<br />
diversa al riguardo. E costui potrebbe voler modificare quell’opera<br />
per fargli fare ciò che è meglio per lui. A questo punto, altre<br />
persone potrebbero avere le stesse esigenze di chi ha modificato<br />
l’originale, e la versione modificata potrebbe andar bene anche per<br />
loro. Chiunque cucini lo sa, e lo sa da centinaia di anni. È del tutto<br />
normale fare copie di ricette e distribuirle ad altri, ed è altrettanto<br />
normale modificare una ricetta. Se si cambia una ricetta e la<br />
si prepara per gli amici e a loro piace, potrebbero chiedere “Posso<br />
avere la ricetta?”. Allora si scriverà la propria versione della ricetta<br />
e se ne daranno copie agli amici. Questa è esattamente la stessa<br />
cosa che, molto tempo dopo, abbiamo iniziato a fare nella<br />
comunità del software libero.<br />
Ecco dunque una prima categoria di opere.<br />
La seconda, tratta delle opere il cui obiettivo è diffondere il pensiero<br />
di determinate persone. Il loro intento è parlare di tali persone.<br />
Ciò include, ad esempio, memorie, saggi d’opinione, arti-<br />
62
coli scientifici, offerte di compravendita, cataloghi di prodotti in<br />
vendita. Il punto centrale di queste opere è che esprimono ciò che<br />
qualcuno pensa, ha visto o crede. Modificarle significa mistificare<br />
quel che intende dire l’autore; modificare queste opere non è<br />
attività socialmente utile. Perciò la copia letterale è l’unica cosa che<br />
si può veramente essere autorizzati a fare.<br />
La domanda successiva è: si dovrebbe avere il diritto di commerciare<br />
con tali copie letterali? Oppure è sufficiente la copia letterale<br />
senza fini di lucro? Come vediamo, qui si tratta di due attività<br />
diverse tra loro, per cui affronteremo le due questioni in maniera<br />
separata – il diritto di fare copie letterali a scopo non commerciale<br />
e quello di farle a scopo di lucro. Dunque, un buon compromesso<br />
potrebbe essere quello di avere copie commerciali coperte<br />
dal diritto d’autore accordando però a tutti il diritto di farne copie<br />
letterali non commerciali. In tal modo, il copyright sulle copie<br />
commerciali, così come sulle versioni modificate – solo l’autore<br />
può approvare una versione modificata – continuerà a produrre<br />
lo stesso flusso di entrate fornito ora per sovvenzionare la scrittura<br />
di tali opere, in qualsiasi misura lo faccia.<br />
Consentire la copia letterale non commerciale vuol dire che il<br />
diritto d’autore non deve invadere più la casa di nessuno. Diventa<br />
nuovamente una regolamentazione industriale, facile da rinforzare<br />
e indolore, non richiedendo più punizioni draconiane e informatori<br />
per imporla. Così possiamo ottenere il massimo del beneficio<br />
del sistema attuale, evitandone buona parte dell’orrore.<br />
La terza categoria riguarda le opere artistiche o di intrattenimento,<br />
in cui la cosa più importante è la sensazione che si prova nel<br />
guardarle. In questo caso il problema della modifica è molto complesso<br />
poiché, se da un lato c’è l’idea che queste opere riflettono<br />
la visione di un artista, modificandole se ne mistifica tale visione.<br />
63
Dall’altro lato, si ha il fatto che spesso esiste un processo di rielaborazione<br />
popolare, in base al quale attraverso le modifiche apportate<br />
da una serie di persone, si producono a volte dei risultati di<br />
alto livello. Spesso anche per gli stessi artisti è utile attingere da<br />
opere precedenti. Alcuni dei lavori di Shakespeare si basano su trame<br />
prese da opere altrui. Se fossero state in vigore le attuali leggi<br />
sul diritto d’autore, queste opere sarebbero state illegali. La questione<br />
del cosa fare circa la pubblicazione di versioni modificate<br />
di un’opera artistica o estetica è complessa, e per risolvere il problema<br />
forse dovremmo introdurre ulteriori suddivisioni della categoria.<br />
Ad esempio, il settore dei computer game potrebbe essere<br />
trattato in maniera particolare, dove ognuno sarebbe libero di<br />
pubblicarne versioni modificate. Ma forse un romanzo dovrebbe<br />
essere trattato diversamente; in questo caso, forse la pubblicazione<br />
a scopo commerciale dovrebbe richiedere un accordo con l’autore<br />
originale.<br />
Ora, se la pubblicazione commerciale di queste opere artistiche è<br />
coperta da copyright, ciò fornirà la maggior parte delle entrate oggi<br />
disponibili per sostenere gli autori e i musicisti, nella misura limitata<br />
in cui il sistema attuale li sostiene, visto che [tale sistema] svolge<br />
una pessima funzione. Potrebbe perciò trattarsi di un compromesso<br />
ragionevole, come nel caso precedente delle opere che rappresentano<br />
determinate persone.<br />
Se si guarda al futuro, al tempo in cui l’era delle reti informatiche<br />
sarà davvero iniziata, quando avremo superato questo stadio transitorio,<br />
si può immaginare per gli autori un altro metodo per far<br />
soldi dalle proprie opere. Si pensi ad un sistema di pagamento digitale<br />
che consenta di ottenere denaro per il proprio lavoro. Possiamo<br />
immaginare un sistema di pagamento digitale che permetta di<br />
inviare a qualcuno denaro attraverso Internet; ciò può essere rea-<br />
64
lizzato in vari modi, utilizzando la crittografia, ad esempio. Si<br />
immagini che sia consentita la copia letterale di queste opere artistiche,<br />
ma scritte in modo che, quando le si ascolti o le si legga o<br />
le si guardi, in un angolino dello schermo appaia una finestrella<br />
che dice “Premere questo pulsante per spedire un dollaro all’autore”,<br />
o al musicista o a chiunque sia. Questa finestra compare e<br />
basta, non è invadente, sta nel suo angolino. Non dà fastidio, ma<br />
è lì, a ricordarvi che è una buona cosa sostenere scrittori e musicisti.<br />
Perciò, se l’opera che si sta leggendo o ascoltando piace, si può<br />
pensare “Perché non dare un dollaro a questa gente? È solo un dollaro.<br />
Cosa vuoi che sia? Non mi mancherà di certo.” E così le persone<br />
cominceranno a spedire un dollaro. La cosa più bella di tutto<br />
ciò è che il meccanismo renderebbe la copia un alleato di autori<br />
e musicisti. Quando qualcuno ne invia a un amico una copia<br />
per email, costui potrebbe spedire un dollaro. Se l’opera piace veramente,<br />
si potrebbe mandare un dollaro più di una volta e questo<br />
dollaro sarebbe più di quanto gli autori guadagnano oggi quando<br />
si acquista un loro libro o CD, poiché ora ricevono solo una piccola<br />
parte del guadagno. Gli stessi editori che chiedono il controllo<br />
totale sul pubblico in nome di autori e musicisti, li stanno fregando<br />
da sempre.<br />
Vi raccomando la lettura dell’articolo di Courtney Love sulla rivista<br />
online Salon, un articolo sui pirati che usano il lavoro dei musicisti<br />
senza pagarli. Questi pirati sono le case discografiche che<br />
pagano ai musicisti il 4% dell’ammontare delle vendite, in media.<br />
Ovviamente, i musicisti di successo hanno più potere: prendono<br />
più del 4% delle loro ampie vendite, il che vuol dire che la maggior<br />
parte dei musicisti con un contratto di produzione riceve<br />
meno del 4% delle loro vendite limitate.<br />
65
Ecco come funziona: la società discografica investe in pubblicità<br />
e considera questa spesa un anticipo ai musicisti, anche se questi<br />
ultimi non vedranno mai quei soldi. Perciò, in teoria, quando si<br />
acquista un CD, parte di quel denaro dovrebbe andare ai musicisti,<br />
ma in pratica non sarà così. In realtà andrà a rimborsare le spese<br />
pubblicitarie e i musicisti vedranno parte di quel denaro solo se<br />
otterranno molto successo.<br />
I musicisti, naturalmente, firmano i contratti perché sperano di<br />
essere tra i pochi fortunati ad avere un grande successo. Sostanzialmente<br />
vengono lusingati con l’offerta di una lotteria. Anche se<br />
sono bravi, possono non essere così bravi e così sottili nel ragionamento<br />
da accorgersi della trappola. Perciò firmano e probabilmente<br />
quello che ottengono è solo la pubblicità. Allora, perché<br />
non facciamo loro pubblicità in modo diverso, non attraverso un<br />
sistema da complesso industriale che limita il pubblico e che ci<br />
riempie di brutta musica facile da vendere? Invece, perché non far<br />
sì che il naturale impulso dell’ascoltatore a condividere la musica<br />
preferita diventi alleato dei musicisti? Se utilizziamo il riquadro<br />
che appare sul monitor per inviare un dollaro ai musicisti, allora<br />
le reti informatiche potrebbero essere il sistema per far loro pubblicità,<br />
la stessa pubblicità ora ottenuta tramite i contratti.<br />
Dobbiamo riconoscere che l’attuale sistema del diritto d’autore<br />
rende un cattivo servizio nel sostenere i musicisti, così come il<br />
commercio mondiale produce un cattivo servizio nell’elevare gli<br />
standard di vita nelle Filippine e in Cina. Esistono “aree imprenditoriali”<br />
estere in cui la gente lavora per aziende che li sfrutta e<br />
tutti i prodotti sono fabbricati in aziende che sfruttano i dipendenti.<br />
La globalizzazione è un sistema assai poco efficace per elevare<br />
gli standard di vita all’estero. Diciamo che per produrre qualcosa<br />
uno statunitense viene pagato 20 dollari l’ora; per lo stesso<br />
66
lavoro, un messicano riceve forse 6 dollari al giorno. In quest’ultimo<br />
caso succede che a un lavoratore americano viene tolta una<br />
notevole quantità di denaro, e una piccola frazione di questa, ovvero<br />
una minima percentuale, viene data a un messicano mentre il<br />
resto va all’azienda. Perciò, se l’obiettivo è elevare gli standard di<br />
vita dei lavoratori messicani, ecco un modo del tutto inefficace di<br />
farlo.<br />
È interessante notare come un identico fenomeno si riscontri nell’industria<br />
del copyright, la stessa idea generale. Nel nome di quei<br />
lavoratori che certamente meritano qualcosa, si propongono<br />
misure che riservano loro una minima parte sostenendo invece<br />
prioritariamente il potere delle grandi società che controllano le<br />
nostre vite.<br />
Per sostituire un sistema valido, bisogna lavorare molto seriamente<br />
onde proporre un’alternativa migliore. Sapendo che il sistema<br />
attuale è inefficace, non è così difficile trovare un’alternativa<br />
migliore: lo standard con cui ci si confronta è oggi molto basso.<br />
Dovremmo sempre ricordare tutto ciò, quando prendiamo in considerazione<br />
le problematiche sulla politica del diritto d’autore.<br />
Penso di aver detto la maggior parte di quanto volevo dire. Vorrei<br />
ricordarvi che domani in Canada è il Phone-In Sick Day. 5<br />
Domani inizierà un summit mirato alla firma dell’accordo sull’area<br />
di libero scambio per le Americhe, con l’intento di estendere<br />
il potere delle grandi società in altri paesi. In Quebec sono previste<br />
grosse iniziative di protesta. Per bloccarle sono stati impiegati<br />
metodi estremi. A molti americani viene impedito l’ingresso in<br />
Canada attraverso quel medesimo confine che è loro permesso<br />
oltrepassare in ogni altro momento. Con la più debole delle scu-<br />
5 20 aprile 2001; iniziativa nazionale di protesta, in cui tutti i dipendenti prendono un<br />
giorno di malattia dal lavoro.<br />
67
se, intorno al centro di Quebec è stata costruita una fortezza onde<br />
impedire l’accesso ai dimostranti. Abbiamo visto utilizzare molti<br />
sporchi trucchi contro la manifestazione pubblica di protesta<br />
rispetto a questi trattati. Qualsiasi democrazia ci sia rimasta, dopo<br />
aver tolto i poteri di governo ai governatori democraticamente<br />
eletti per darli ad aziende e organismi internazionali non eletti,<br />
qualsiasi cosa rimanga dopo tutto questo, potrebbe non sopravvivere<br />
alla repressione delle proteste pubbliche.<br />
Ho dedicato 17 anni della mia vita a lavorare per il software libero<br />
e le annesse questioni. Non l’ho fatto perché penso che questo<br />
sia il problema politico più importante al mondo. L’ho fatto perché<br />
ho ritenuto che fosse il settore in cui dovevo usare la mia competenza<br />
per fare del bene. Ma è successo che gli aspetti generali<br />
della politica sono mutati e il maggior problema politico attuale<br />
è contrastare la tendenza a dare potere all’imprenditoria nei confronti<br />
del pubblico e dei governi. Io considero il software libero e<br />
i problemi correlati agli altri aspetti dell’informazione che ho<br />
discusso oggi, come parte del problema principale. Perciò mi sono<br />
trovato a lavorare indirettamente su tale questione. Spero di poter<br />
dare il mio contributo a questa causa.<br />
Sessione di domande e risposte<br />
David Thorburn: Tra poco il pubblico potrà fare domande e commenti.<br />
Ma permettetemi di replicare brevemente. Mi sembra che<br />
il consiglio pratico più incisivo ed importante che Stallman ci dà<br />
abbia due elementi chiave. Uno è riconoscere che i vecchi presupposti<br />
ed usi del diritto d’autore sono inappropriati: vengono<br />
messi in discussione e delegittimati dall’avvento del computer e<br />
delle reti informatiche. Può sembrare ovvio, ma è fondamentale.<br />
L’altro è riconoscere che l’era digitale esige che si riconsideri il<br />
68
modo in cui distinguiamo e valutiamo le diverse tipologie di lavoro<br />
intellettuale e creativo. Stallman ha sicuramente ragione sul fatto<br />
che certi tipi di imprese intellettuali abbiano bisogno più di<br />
altre di essere protette dal copyright. Cercare di individuare sistematicamente<br />
questi diversi tipi o livelli di protezione del diritto<br />
d’autore mi sembra un modo efficace di affrontare i problemi relativi<br />
al lavoro intellettuale posti dall’avvento del computer.<br />
Ma penso di intravedere un altro tema che sta dietro a quanto ha<br />
affermato Stallman e che non riguarda direttamente i computer,<br />
ma più ampiamente le istituzioni democratiche e il potere che il<br />
governo e le aziende esercitano in misura sempre maggiore sulla<br />
nostra vita. Questo aspetto populista e anti-monopolista del<br />
discorso di Stallman è interessante ma anche riduttivo e potenzialmente<br />
semplicistico. Ed è forse anche eccessivamente idealista.<br />
Per esempio, come potrebbe sopravvivere un romanziere o un poeta<br />
o un autore di canzoni o un musicista o un autore di testi accademici<br />
in un mondo meraviglioso in cui le persone siano incoraggiate<br />
a pagare gli autori, ma non siano obbligate a farlo? In altre<br />
parole, mi sembra che la differenza tra la pratica attuale e le possibilità<br />
visionarie su cui specula Stallman sia ancora enorme.<br />
Concludo chiedendo a Stallman di approfondire maggiormente<br />
alcuni aspetti del suo intervento, e in particolare di ampliare i concetti<br />
sul modo in cui potrebbero essere tutelati dal suo sistema di<br />
copyright quelli che noi chiamiamo “creatori tradizionali”.<br />
Richard M. Stallman: Prima di tutto, devo far notare che non<br />
dovremmo utilizzare il termine “protezione” per descrivere le<br />
incombenze del diritto d’autore. Il diritto d’autore limita le persone.<br />
“Protezione” è un termine di propaganda per le aziende che<br />
detengono il copyright. Tale termine significa impedire la distru-<br />
69
zione di qualcosa. Be’, non credo che una canzone venga distrutta<br />
se ne esistono più copie suonate più volte. Non penso nemmeno<br />
che un romanzo si distrugga se più persone ne leggono una<br />
copia. Perciò non userei quel termine. Penso che porti ad identificarsi<br />
con la parte sbagliata.<br />
Inoltre, pensare in termini di proprietà intellettuale è una cattiva<br />
idea per due motivi: in primo luogo perché pregiudica la domanda<br />
cruciale in questo campo, che è: in che modo dovrebbero essere<br />
trattate queste cose? Dovrebbero essere trattate o meno come<br />
qualche tipo di proprietà? Utilizzare il termine “proprietà intellettuale”<br />
per descrivere quest’ambito significa presupporre che la<br />
risposta alla seconda domanda sia “sì”, che è questo, e non un altro,<br />
il modo in cui la questione va considerata.<br />
In secondo luogo, incoraggia una iper-generalizzazione. La proprietà<br />
intellettuale è un concetto onnicomprensivo per parecchi<br />
sistemi legali diversi tra loro con origini indipendenti, come per<br />
esempio diritti d’autore, brevetti, marchi registrati, segreti industriali<br />
e altro. Sono quasi completamente diversi tra loro, non hanno<br />
nulla in comune. Ma l’uso del termine “proprietà intellettuale”<br />
porta la gente a pensare erroneamente che esista un principio<br />
generale di proprietà intellettuale da applicare a settori specifici,<br />
presupponendo così che questi diversi campi di applicabilità della<br />
legge siano simili. Ciò porta non solo a pensare in modo confuso<br />
su quel che sia giusto fare, ma conduce anche alla mancata<br />
comprensione di cosa dica realmente la legge, perché si suppone<br />
che la legge sul copyright e la legge sui brevetti e la legge sui marchi<br />
registrati siano simili, mentre invece, di fatto, sono completamente<br />
diverse.<br />
Se si vuole incoraggiare un’attenta riflessione e una corretta comprensione<br />
di quanto dice la legge, evitiamo il termine “proprietà<br />
70
intellettuale”. Si parli di diritto d’autore, o di brevetti, o di marchi<br />
registrati o di qualsiasi altro argomento si voglia. Ma non si<br />
parli di proprietà intellettuale. Sarebbe assurdo avere un’opinione<br />
sulla proprietà intellettuale. Non ho un’opinione sulla proprietà<br />
intellettuale, ma ho opinioni sul diritto d’autore, sui brevetti e sui<br />
marchi registrati, e sono diverse. Ci sono arrivato attraverso processi<br />
di pensiero diversi perché questi sistemi legali sono completamente<br />
diversi tra loro.<br />
Ho fatto una digressione, ma era estremamente importante.<br />
Adesso arrivo al dunque. Naturalmente ora non possiamo sapere<br />
se funzionerà bene, se funzionerà chiedere agli utenti di pagare<br />
volontariamente autori e musicisti preferiti. Una cosa ovvia è che<br />
tale sistema funzionerà proporzionalmente al numero di persone<br />
che utilizzeranno la rete e quel numero, si sa, aumenterà di vari<br />
ordini di grandezza nei prossimi anni. Se lo provassimo oggi,<br />
potrebbe fallire, ma questo non proverebbe nulla, perché potrebbe<br />
funzionare se il numero delle persone paganti fosse dieci volte<br />
maggiore.<br />
L’altra è che non abbiamo ancora a disposizione un tale sistema<br />
digitale di pagamento in contanti, quindi oggi non siamo in grado<br />
di metterlo alla prova. Possiamo provare a fare qualcosa di simile.<br />
Esistono servizi tramite i quali è possibile pagare qualcuno, cose<br />
come Pay Pal. Ma prima di poterlo fare, si devono affrontare un<br />
mucchio di formalità e fornire i propri dati personali. E vengono<br />
effettuate registrazioni sui destinatari dei pagamenti. Ci si può<br />
fidare che non se ne abusi?<br />
Non è il dollaro da pagare che potrebbe scoraggiare, ma i problemi<br />
connessi alle modalità di pagamento. L’idea generale è che<br />
quando si vuole pagare qualcuno, dovrebbe essere facilissimo e<br />
non dovrebbe esserci nulla che lo sconsigli se non la somma stes-<br />
71
sa di denaro. E se la somma è abbastanza piccola, perché dovrebbe<br />
scoraggiare? Sappiamo comunque che i fan amano davvero i<br />
musicisti e sappiamo che alcuni gruppi musicali che avevano ed<br />
hanno un certo successo, come i Grateful Dead, hanno incoraggiato<br />
i propri fan a copiare e ridistribuirne la musica. Non<br />
hanno avuto problemi a guadagnarsi da vivere con la loro musica<br />
per aver incoraggiato i fan a registrarla e a copiare le cassette.<br />
Ciò non ha neppure provocato riduzioni nella vendita di<br />
dischi.<br />
Stiamo gradualmente passando dall’epoca della stampa all’era<br />
delle reti informatiche, ma ciò non può accadere in un giorno.<br />
La gente continua ad acquistare molti dischi, e probabilmente<br />
continuerà a farlo per molti anni ancora, forse per sempre. Finché<br />
si andrà avanti in questo modo, continuare semplicemente<br />
ad applicare i diritti d’autore alla vendita commerciale di dischi<br />
dovrebbe sostenere i musicisti quasi altrettanto bene di oggi.<br />
Naturalmente, il sistema non è del tutto soddisfacente, ma almeno<br />
non sarà peggiore.<br />
Domanda: [Un commento e una domanda riguardo la libertà di<br />
download e il tentativo di Stephen King di vendere uno dei suoi<br />
racconti a puntate sul web.]<br />
Stallman: Si, è interessante sapere quello che ha fatto e cosa è accaduto.<br />
Quando ne sentii parlare la prima volta ero euforico. Pensavo,<br />
forse sta per fare un passo verso un mondo non basato sulla<br />
volontà di tenere il pubblico in pugno. Poi ho visto che in realtà<br />
scriveva per chiedere al pubblico di pagare. Per spiegare cosa ha<br />
fatto, stava pubblicando un racconto a puntate, a rate, e diceva:<br />
“se otterrò abbastanza denaro, ne scriverò ancora”. Una richiesta<br />
che ben difficilmente poteva considerarsi tale. Era una minaccia<br />
72
contro il lettore. Diceva: “se non pagate siete cattivi, e se ci sono<br />
troppi fra voi che si comportano male, semplicemente smetterò di<br />
scrivere”.<br />
Be’, chiaramente questo non è il modo di far sentire il pubblico<br />
invogliato a mandarti dei soldi. Devi far sì che ti amino, non che<br />
ti temano.<br />
Stessa persona del pubblico: I dettagli sono che chiese ad una certa<br />
percentuale di persone – non so esattamente, probabilmente<br />
intorno al 90% – d’inviare una certa quantità di denaro, che, credo,<br />
fosse di un dollaro o due o qualcosa di quest’ordine di grandezza.<br />
Per scaricare il racconto bisognava fornire il proprio nome,<br />
l’indirizzo e-mail e alcune altre informazioni, e se la percentuale<br />
non fosse stata raggiunta dopo il primo capitolo, King disse che<br />
non avrebbe diffuso il capitolo successivo. Era molto antagonistico<br />
nei confronti di quanti scaricavano il testo.<br />
Domanda: Lo schema in cui non esiste diritto d’autore ma alle persone<br />
è richiesto di fare donazioni volontarie, non è aperto all’abuso<br />
da parte dei plagiari?<br />
Stallman: No. Non è quello che ho proposto. Ricordate, sto proponendo<br />
l’esistenza di un diritto d’autore che copra la distribuzione<br />
commerciale e permetta solo la redistribuzione letterale non<br />
commerciale. Così chiunque abbia modificato un’opera per mettere<br />
un puntatore al proprio sito invece che a quello dell’autore<br />
reale, continuerebbe a violare il diritto d’autore e potrebbe essere<br />
citato in giudizio esattamente come avviene oggi.<br />
Domanda: Capisco. Quindi immagini comunque un mondo in<br />
cui esista sempre il copyright?<br />
Stallman: Si. Come ho detto, per questo tipo di opere. Non sosten-<br />
73
go che dovrebbe essere permesso tutto. Sto proponendo di diminuire<br />
i poteri del diritto d’autore, non di abolirli.<br />
Thorburn: Una domanda che mi è venuta in mente mentre stavi<br />
parlando, Richard, e di nuovo adesso che stavi rispondendo a questa<br />
domanda, è perché non consideri i modi con cui il computer<br />
può eliminare completamente l’intermediario – e che Stephen<br />
King si è rifiutato di usare – per stabilire così una relazione personale.<br />
Stallman: Certo, possono farlo, e infatti la donazione volontaria è<br />
uno di questi modi.<br />
Thorburn: Pensi davvero che questa modalità non debba passare<br />
affatto tramite un editore?<br />
Stallman: Assolutamente no. Spero di no, perché gli editori sfruttano<br />
gli autori in maniera terribile. Quando chiedi qualcosa ai rappresentanti<br />
degli editori su questo, loro dicono: “Be’, sì, se un<br />
autore o un gruppo non vogliono passare attraverso di noi, non<br />
gli viene legalmente richiesto di farlo”. Ma in realtà operano al<br />
meglio per fare in modo che ciò non sia fattibile. Ad esempio, stanno<br />
proponendo dei formati multimediali con restrizioni sulla<br />
copia, e per poter pubblicare in tali formati devi passare per i grandi<br />
editori perché non spiegano a nessuno come farlo. Sperano in<br />
un mondo in cui tutti i riproduttori utilizzino questi formati e per<br />
poter ottenere qualcosa da riprodurre sarà necessario passare dagli<br />
editori. Così, anche senza nessuna legge che impedisca ad un autore<br />
o un musicista di pubblicare direttamente un’opera, la cosa non<br />
sarebbe fattibile. C’è poi anche il richiamo di una possibile ricchezza.<br />
Dicono: “Ti faremo pubblicità e forse diventerai ricco<br />
come i Beatles” (o qualsiasi altro gruppo a scelta). Naturalmente<br />
74
solo a un numero minimo di musicisti potrà accadere quello che<br />
è successo a loro. Ma ciò potrebbe indurli a firmare un contratto<br />
che li imprigionerebbe per sempre.<br />
Gli editori tendono ad essere molto scorretti nel rispetto dei contratti<br />
con gli autori. Per esempio, di solito i contratti dei libri stabiliscono<br />
che se un libro è esaurito i diritti tornano all’autore, e gli<br />
editori non riescono a convivere bene con questa clausola. Spesso<br />
bisogna costringerli a farlo. Be’, adesso stanno cominciando ad<br />
usare le pubblicazioni elettroniche per dire che non si può esaurire<br />
un’edizione; così non dovranno mai restituire i diritti. La loro<br />
idea è: quando l’autore non ha voce in capitolo, spingerlo a firmare,<br />
e da allora non avrà più potere; il potere rimane solo all’editore.<br />
Domanda: Sarebbe bene avere delle licenze libere per diverse tipi<br />
di opere che salvaguardino la libertà di tutti gli utenti di copiarle<br />
nella maniera più appropriata per quel tipo di opera?<br />
Stallman: Be’, qualcuno sta lavorando. Ma per opere non funzionali,<br />
una cosa non sostituisce l’altra. Prendiamo un’opera di<br />
tipo funzionale, diciamo un elaboratore di testi. Bene, se qualcuno<br />
realizza un elaboratore di testi libero, lo si può usare, non<br />
serve l’elaboratore di testi non libero. Ma non direi che una canzone<br />
libera possa sostituire tutte le canzoni non libere, o che un<br />
racconto libero possa sostituire tutti i racconti non liberi. Per<br />
questo tipo di opere le cose sono diverse. Penso perciò che dobbiamo<br />
semplicemente riconoscere come queste leggi non meritino<br />
di essere rispettate. Non è sbagliato condividere qualcosa<br />
con il vicino, e se qualcuno dice che non puoi farlo, non bisogna<br />
dargli retta.<br />
Domanda: A proposito delle opere funzionali, come si bilancia l’e-<br />
75
sigenza di abolire il copyright con l’esigenza di incentivi economici<br />
per favorire lo sviluppo di queste opere funzionali?<br />
Stallman: Possiamo notare che, prima di tutto, questi incentivi<br />
economici sono molto meno necessari di quanto si fosse supposto.<br />
Basta guardare al movimento del software libero in cui<br />
abbiamo più di 100.000 volontari a tempo ridotto che sviluppano<br />
software libero. Dunque esistono altri modi per raccogliere<br />
fondi, non sono basati sull’impedire al pubblico di copiare<br />
e modificare queste opere. Questa è l’interessante lezione data<br />
dal movimento del software libero. A parte il fatto che offre un<br />
modo per utilizzare il computer mantenendo la libertà di condividere<br />
e cooperare con altri, ci mostra anche che è semplicemente<br />
sbagliato presupporre che la gente non farebbe mai cose<br />
simili senza dare loro poteri speciali per costringere gli altri a<br />
pagarli. Molta gente è disposta a fare queste cose. Inoltre, considerando<br />
ad esempio la stesura di monografie che servono<br />
come libri di testo in molti campi scientifici, tranne per quelle<br />
piuttosto basilari, ci si accorge che in questo modo gli autori<br />
non guadagnano nulla. Abbiamo un progetto di enciclopedia<br />
libera che è, di fatto, un progetto commerciale di enciclopedia<br />
libera, e sta facendo progressi. Avevamo un progetto per una<br />
enciclopedia GNU, ma ci siamo uniti a quello commerciale quando<br />
hanno adottato la nostra licenza. In gennaio sono passati alla<br />
Licenza per Documentazione Libera GNU per tutti gli articoli di<br />
quell’enciclopedia. Così abbiamo detto, “Bene, uniamo le nostre<br />
forze e invitiamo la gente a contribuire”. Si chiama NUPEDIA,<br />
e ne trovate il link all’indirizzo http://www.gnu.org/encyclopedia.<br />
Così abbiamo esteso lo sviluppo comunitario di una base<br />
libera di conoscenze utili dal software all’enciclopedia. Sono<br />
piuttosto fiducioso che in tutte queste aree del lavoro funzio-<br />
76
nale non serva un incentivo economico fino al punto di dover<br />
rivedere l’uso di queste opere.<br />
Thorburn: E a proposito delle altre due categorie [le opinioni di<br />
un autore e l’intrattenimento]?<br />
Stallman: Per le altre due categorie di opere, non saprei come fare.<br />
Non so se un giorno si scriveranno romanzi senza preoccuparsi se<br />
ci si faranno dei soldi o meno. In una società del dopo-scarsità, credo<br />
si preoccuperanno. Forse quello che dobbiamo fare per poter raggiungere<br />
una società del dopo-scarsità è liberarci dal controllo delle<br />
corporation sull’economia e sulle leggi. Così in effetti si tratta del<br />
problema dell’uovo e della gallina. Cosa facciamo prima? Come possiamo<br />
ottenere un mondo dove le persone non debbano disperatamente<br />
rincorrere il denaro se non eliminando il controllo delle corporation?<br />
E come possiamo rimuovere tale controllo? Non lo so, ma<br />
ecco perché sto tentando di proporre prima un sistema di copyright<br />
di compromesso e, successivamente, il pagamento volontario<br />
sulla base di un tale sistema di compromesso come modo per procurare<br />
un reddito a chi scrive queste opere.<br />
Domanda: Come ti aspetti in pratica di realizzare questo sistema<br />
di diritto d’autore di compromesso sotto la stretta soffocante degli<br />
interessi delle corporation sui politici americani, dovuti al sistema<br />
di finanziamento delle campagne elettorali?<br />
Stallman: Non saprei. Vorrei saperlo. È un problema terribilmente<br />
difficile. Se sapessi come risolvere questo problema, lo risolverei<br />
e niente al mondo mi renderebbe più fiero.<br />
Domanda: Come si può lottare contro il controllo delle corporation?<br />
Perché, se consideriamo le somme di denaro attivato dalle<br />
lobby aziendali nelle cause processuali, è enorme. Credo che il caso<br />
77
del DeCSS (Decryption of Contents Scrambling System) di cui<br />
stai parlando, stia costando qualcosa come un milione e mezzo di<br />
dollari alla difesa. Dio sa quanto stia costando alle corporation.<br />
Hai una qualche idea di come avere a che fare con queste enormi<br />
somme di denaro?<br />
Stallman: Ho una proposta. Se suggerissi di boicottare totalmente<br />
i film, credo che la gente lo ignorerebbe. Lo considererebbero<br />
troppo radicale. Perciò vorrei offrire un suggerimento leggermente<br />
diverso, ma che, alla fine, arriva quasi allo stesso risultato, e cioè:<br />
non andate a vedere un film a meno che non abbiate un valido<br />
motivo per pensare che è bello.<br />
Questo condurrà in pratica allo stesso risultato di boicottare totalmente<br />
i film di Hollywood. Per estensione è quasi identico, ma<br />
nelle intenzioni è molto diverso. Mi sono reso conto che molta<br />
gente va al cinema per ragioni che non hanno nulla a che fare con<br />
il fatto di ritenere valido quel film. Se cambiamo le nostre abitudini,<br />
se si va a vedere un film solo quando si ha qualche sostanziale<br />
ragione per pensare che sia valido, si toglierà loro un sacco di<br />
soldi.<br />
Thorburn: Una maniera per capire tutto questo discorso, penso,<br />
è riconoscere che quando una qualunque tecnologia radicale<br />
e potenzialmente rivoluzionaria fa la sua comparsa nella<br />
società, si crea uno scontro su chi la controlla. Oggi stiamo ripetendo<br />
quello che è avvenuto in passato. Perciò da questo punto<br />
di vista può darsi che non ci sia motivo di disperare, o anche<br />
solo di essere pessimisti, su quanto avverrà nel lungo periodo.<br />
Ma a breve termine la lotta per il controllo dei testi e delle<br />
immagini, su tutte le altre forme di informazione, sarà probabilmente<br />
dolorosa e pervasiva. Per esempio, come insegnante di<br />
78
tecnologie della comunicazione il mio accesso alle immagini è<br />
stato di recente limitato in una maniera mai vista prima. Se scrivo<br />
un saggio in cui voglio utilizzare immagini, tratte anche da<br />
film, è diventato molto più difficile ottenere il permesso di utilizzarle,<br />
e i prezzi richiesti per usarle sono molto più elevati –<br />
anche quando sostengo argomenti quali la ricerca intellettuale<br />
e la categoria legale dell’uso legittimo (“fair use”). Per questo<br />
ritengo che, in un momento di diffuse trasformazioni, le prospettive<br />
di lungo periodo possano non essere così sconvolgenti<br />
come quanto accade a breve termine. Ma in ogni caso dobbiamo<br />
comprendere che l’insieme della nostra esperienza contemporanea<br />
è una versione rinnovata dello scontro per il controllo<br />
delle risorse tecnologiche che è un principio ricorrente della<br />
società occidentale.<br />
È anche essenziale capire che la storia delle tecnologie più antiche<br />
è di per sé una materia complessa. L’impatto della stampa<br />
in Spagna, per esempio, è radicalmente diverso dall’impatto<br />
avuto in Inghilterra o in Francia.<br />
Domanda: Una delle cose che mi sconcerta nelle discussioni sul<br />
diritto d’autore è che spesso si comincia con: “Vogliamo un<br />
cambiamento totale. Vogliamo sbarazzarci di ogni tipo di controllo”.<br />
Mi pare che a monte della suddivisione nelle tre categorie<br />
suggerite ci sia il riconoscimento che il copyright abbia<br />
qualche senso. Alcuni critici dell’attuale sistema del diritto d’autore<br />
credono che in effetti bisognerebbe sostenerlo e farlo funzionare<br />
in modo molto più simile a brevetti e marchi registrati<br />
per quanto riguarda la sua durata. Vorrei che il nostro ospite<br />
commentasse questa strategia.<br />
Stallman: Concordo sul fatto che abbreviare la durata del dirit-<br />
79
to d’autore sia una buona idea. Non c’è assolutamente bisogno,<br />
per quanto riguarda l’incoraggiamento alla pubblicazione, della<br />
possibilità che i diritti d’autore durino fino a 150 anni, cosa<br />
possibile in alcuni casi con le attuali legislazioni. Ora, le aziende<br />
sostenevano che un diritto d’autore di 75 anni su un’opera<br />
da loro pagata non fosse abbastanza lungo per renderne possibile<br />
la produzione. Vorrei sfidare queste aziende a presentare<br />
proiezioni di bilancio per i prossimi 75 anni a partire da ora,<br />
onde validare una simile affermazione. Quel che volevano davvero<br />
era semplicemente poter estendere il copyright sulle vecchie<br />
opere, in modo da poter continuare a restringerne l’utilizzo.<br />
Sinceramente mi sfugge come si possa incoraggiare una maggiore<br />
produzione di opere prodotte negli anni Venti estendendo<br />
oggi il diritto d’autore, a meno che tali aziende non abbiano<br />
una macchina del tempo da qualche parte. Certamente in<br />
uno dei loro film avevano una macchina del tempo. Quindi forse<br />
è questo che li ha influenzati.<br />
Domanda: Hai mai pensato di estendere il concetto di “uso legittimo”,<br />
e potresti chiarircene qualche sfumatura?<br />
Stallman: L’idea di dare a tutti il permesso di fare copie integrali<br />
per usi non commerciali, per due dei tre tipi di opere, certamente<br />
potrebbe essere intesa come un’estensione dell’uso legittimo<br />
(“fair use”). È un concetto più ampio dell’attuale. Se l’idea è che<br />
il pubblico rinunci a certe libertà per avere più progresso, allora si<br />
può segnare il confine in vari punti diversi: quali libertà il pubblico<br />
abbandona e quali libertà mantiene?<br />
Domanda: Per ampliare un attimo la discussione, in certi campi<br />
dello spettacolo esiste il concetto di rappresentazione pubblica.<br />
Così, ad esempio, il diritto d’autore non ci impedisce di cantare i<br />
80
canti natalizi al momento opportuno, ma impedisce la loro esecuzione<br />
in pubblico. E mi chiedo se non sarebbe utile espandere<br />
l’uso legittimo, anziché alla copia letterale e non commerciale senza<br />
limiti, a qualcosa di più restrittivo ma comunque più ampio del<br />
concetto attuale di “fair use”.<br />
Stallman: Prima pensavo che ciò sarebbe stato sufficiente, ma poi<br />
Napster mi ha convinto del contrario, perché gli utenti lo usano<br />
per una ridistribuzione letterale non commerciale. Il server di<br />
Napster, in sé, è un’attività commerciale, ma chi mette a disposizione<br />
il materiale lo fa senza scopo di lucro, ed avrebbe potuto<br />
altrettanto facilmente metterlo a disposizione sui propri siti web.<br />
L’incredibile eccitazione, interesse e utilizzo di Napster ne dimostra<br />
la grande utilità. Perciò ora sono convinto che si debba avere<br />
il diritto a copie ridistribuite, non commerciali e letterali di qualsiasi<br />
cosa.<br />
Domanda: Un’analogia suggeritami recentemente dall’intera<br />
vicenda di Napster è quella di una biblioteca pubblica. Credo<br />
che quanti abbiano seguito le discussioni su Napster devono<br />
averla già sentita. Vorrei che la commentassi. A volte, quanti<br />
difendono la posizione secondo cui Napster dovrebbe continuare<br />
senza restrizioni, sostengono qualcosa del tipo: “Quando<br />
si va in una biblioteca pubblica e si prende in prestito un libro,<br />
non lo si paga, e lo si può prendere in prestito decine, centinaia<br />
di volte, senza alcun pagamento aggiuntivo. Perché Napster<br />
sarebbe diverso?”<br />
Stallman: Non è esattamente la stessa cosa. Ma bisogna sottolineare<br />
che gli editori vogliono trasformare le biblioteche pubbliche<br />
in negozi “pay-per-use”. Quindi sono contro le biblioteche pubbliche.<br />
81
Domanda: Queste idee sul copyright potrebbero suggerire nuove<br />
soluzioni per certe questioni relative alle leggi sui brevetti, come<br />
la produzione di farmaci generici a basso costo da usare in Africa?<br />
Stallman: No, sono due cose completamente diverse. Le questioni<br />
sui brevetti sono completamente diverse da quelle sul<br />
diritto d’autore. L’idea che abbiano qualcosa in comune è una<br />
delle spiacevoli conseguenze dell’uso del termine “proprietà<br />
intellettuale”, e della pressione a tentare di trattare alla stessa<br />
stregua queste questioni, perché, come avete sentito, finora ho<br />
parlato di questioni in cui il prezzo della copia non è l’elemento<br />
centrale. Ma qual è la questione cruciale a proposito della<br />
produzione di farmaci per l’AIDS da usare in Africa? È il prezzo,<br />
null’altro che il prezzo.<br />
Qui spunta fuori la questione di cui parlavo, perché la tecnologia<br />
dell’informazione digitale offre a ogni utente la possibilità<br />
di fare copie. Insomma, nulla può dare a tutti la capacità<br />
di copiare dei medicinali. Io non sono capace di copiare un<br />
medicinale che ho. E nessuno è capace; i medicinali non si fanno<br />
così. Quei medicinali si possono fare solo in grandi industrie<br />
e in effetti sono tutti prodotti in costose società centralizzate,<br />
sia i farmaci generici sia quelli importati dagli Stati Uniti.<br />
In ogni caso, sono destinati ad essere prodotti in un piccolo<br />
numero di aziende, e la questione è semplicemente quanto<br />
costino e se siano disponibili ad un prezzo che gli africani possano<br />
permettersi.<br />
Si tratta perciò di una questione terribilmente importante, ma<br />
completamente diversa. Esiste un’unica area in cui emerge un<br />
problema con i brevetti che in effetti è simile alle questioni concernenti<br />
la libertà di copia, cioè il settore dell’agricoltura. Poiché<br />
in effetti ci sono delle cose brevettate che possono essere<br />
82
copie, più o meno, e sono gli esseri viventi. Si copiano quando<br />
si riproducono. Non è necessariamente una copia esatta, c’è un<br />
rimescolamento di geni. Ma il fatto è che da millenni i contadini<br />
sfruttano la capacità di autocopiarsi degli organismi viventi<br />
che coltivano. L’agricoltura consiste, essenzialmente, nel<br />
copiare le cose che si sono coltivate e continuare a copiarle ogni<br />
anno. Quando varietà vegetali e animali vengono brevettate,<br />
quando dei geni vengono brevettati e utilizzati tra loro, il risultato<br />
è che i contadini non possono più comportarsi come hanno<br />
sempre fatto.<br />
Un contadino canadese aveva una varietà brevettata che cresceva<br />
nel suo campo, e spiegò: “Non l’ho fatto apposta. Il polline<br />
è stato trascinato dal vento, e i geni di quel polline sono entrati<br />
nel mio assortimento di piante”. Gli è stato risposto che ciò<br />
non importava: doveva distruggerle in ogni caso. È un caso limite<br />
di quanto il governo possa appoggiare un monopolista.<br />
Quindi credo che, seguendo gli stessi principi che applico alla<br />
copia di cose sul computer, gli agricoltori dovrebbero avere l’indiscutibile<br />
diritto di mettere da parte i semi e di fare incroci con<br />
il bestiame. Ci potrebbero forse essere brevetti che proteggano<br />
i produttori di semi, ma non dovrebbero comunque influenzare<br />
l’operato dei contadini.<br />
Domanda: Perché un modello abbia successo serve ben più di una<br />
licenza. Puoi parlarcene?<br />
Stallman: Certo. Ecco, non è che possa trovare tutte le risposte<br />
giuste. Ma credo che l’idealismo abbia una parte essenziale nello<br />
sviluppo di un’informazione libera e funzionale. Occorre capire<br />
l’importanza di mantenere libera l’informazione, solo quando è<br />
libera se ne può fare pieno uso: quando è limitata, è impossibile<br />
83
farlo. Bisogna riconoscere che l’informazione non libera è un tentativo<br />
di dividerci, tenerci impotenti e sottometterci. Allora si<br />
potrà afferrare il concetto: “Lavoriamo insieme per produrre<br />
l’informazione che vogliamo usare, in modo che non sia sotto il<br />
controllo di qualche persona potente che ci ordini cosa possiamo<br />
farne”. Ciò offre una tremenda spinta [allo sviluppo della comunità<br />
del software libero]. Non so quanto potrebbe funzionare in<br />
aree diverse, ma credo sia possibile farlo concretamente nel campo<br />
dell’istruzione, quando si cercano libri di testo. Ci sono tantissimi<br />
insegnanti al mondo, docenti che non lavorano in università<br />
prestigiose (magari insegnano alle superiori, o al college) dove<br />
non scrivono né pubblicano un sacco di cose e non sono molto<br />
ricercati.<br />
Ma molti di loro sono brillanti. Molti conoscono bene le loro<br />
materie e potrebbero scrivere libri di testo per molte discipline,<br />
condividerli con il mondo intero e ricevere molti apprezzamenti<br />
da chi avrà imparato da loro.<br />
Domanda: È quanto avevo proposto. Ma, per combinazione,<br />
conosco la storia dell’istruzione. È il mio lavoro: progetti educativi,<br />
elettronici, multimediali. E non sono riuscito a trovare neppure<br />
un esempio di questo tipo. Tu ne conosci qualcuno?<br />
Stallman: No. Ho cominciato a proporre questa enciclopedia e a<br />
seguire le risorse per l’apprendimento libero un paio di anni fa, e<br />
credevo che ci sarebbero voluti una decina d’anni perché la cosa<br />
cominciasse a funzionare. Invece già adesso abbiamo un’enciclopedia<br />
che funziona.<br />
Quindi le cose stanno andando più velocemente di quanto sperassi.<br />
Credo che ci serva qualcuno che cominci a scrivere dei libri<br />
di testo liberi.<br />
84
Scrivetene uno sulla vostra materia preferita, o scrivetene una parte.<br />
Scrivetene alcuni capitoli e sollecitate altri a finirlo.<br />
Domanda: Veramente cercavo qualcosa di più. Quello che conta<br />
in quest’ambiente è qualcuno che crei un’infrastruttura a cui<br />
chiunque altro possa contribuire. Non c’è da nessuna parte un’infrastruttura<br />
a livello di scuola di base a cui contribuire per questo<br />
tipo di materiali. Le informazioni si possono ottenere da molti<br />
posti, ma non sono fornite sotto licenze libere, quindi non si possono<br />
usare per fare un libro di testo libero.<br />
Stallman: Veramente non esiste un copyright sulle informazioni<br />
in sé. Il diritto d’autore copre il modo in cui un’informazione è<br />
scritta. Quindi si può imparare una materia da qualsiasi parte e<br />
poi scrivere un libro di testo, e poi rendere quel libro di testo libero,<br />
se si vuole.<br />
Domanda: Ma non posso scrivere da solo tutti i libri di testo di cui<br />
uno studente ha bisogno nella sua carriera scolastica.<br />
Stallman: Certo, è vero. Ma anch’io non ho scritto un intero<br />
sistema operativo libero. Ho scritto qualche pezzo e invitato<br />
altri ad unirsi e scrivere altri pezzi. Quindi, ho solo dato l’esempio.<br />
Ho detto: “Vado in questa direzione. Unitevi a me e<br />
raggiungeremo l’obiettivo”. E si è unita abbastanza gente finché<br />
siamo riusciti a raggiungerlo. Può essere scoraggiante pensare<br />
in termini di “Come farò da solo a finire quest’immenso<br />
lavoro?”. Quindi il punto è: non considerarlo in questo modo,<br />
ma pensa a fare il primo passo e ti accorgerai che dopo averlo<br />
fatto, altri faranno nuovi passi e, insieme, alla fine il progetto<br />
sarà portato a termine.<br />
Supponendo che l’umanità non si spazzi via da sola, il lavoro<br />
85
che facciamo oggi per produrre l’infrastruttura educativa libera,<br />
la risorsa libera di apprendimento per il mondo, sarà utile<br />
finché esisterà l’umanità.<br />
Anche se ci volessero vent’anni per farla, cosa importa? Non<br />
bisogna pensare alle dimensioni dell’intero lavoro, ma alle<br />
dimensioni della parte che si vuol fare. Ciò dimostrerà a tutti<br />
che è possibile crearla, e così altri faranno altre parti.<br />
Questa è la trascrizione riveduta di un intervento tenuto durante il Communications<br />
Forum svoltosi al MIT il 19 aprile 2001, e fa parte del libro<br />
Free Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman,<br />
GNU Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
86
Software libero:<br />
libertà<br />
e cooperazione<br />
Introduzione<br />
Mike Uretsky: Sono Mike Uretsky della Stern School of Business.<br />
Sono anche uno dei condirettori del Center for Advanced<br />
Technology. E a nome di tutti noi del Dipartimento d’informatica,<br />
sono qui a darvi il benvenuto. Vorrei fare alcuni commenti,<br />
prima di passare il microfono a Ed, che introdurrà il<br />
nostro relatore.<br />
Il ruolo di una università è quello di stimolare il dibattito e proporre<br />
discussioni interessanti. E il ruolo di una grande università<br />
è quello di proporre discussioni particolarmente interessanti.<br />
E questa specifica presentazione, questo seminario rientra<br />
in questa categoria. Trovo particolarmente interessanti le<br />
discussioni sull’open source. In un certo senso.... [il pubblico<br />
ride]<br />
Richard M. Stallman: Io faccio software libero. L’open source è un<br />
movimento diverso. [il pubblico ride] [applausi]<br />
Mike Uretsky: Quando negli anni ‘60 sono entrato per la prima<br />
volta in questo campo, praticamente il software era libero. E si<br />
andava avanti seguendo dei cicli. Diventò libero, e poi i produttori<br />
di software, per la necessità di espandere il mercato, lo<br />
spinsero in altre direzioni. Gran parte dello sviluppo che ebbe<br />
87
luogo con l’arrivo del PC seguì esattamente il medesimo tipo di<br />
ciclo.<br />
C’è un filosofo francese molto interessante, Pierre Levy, che parla<br />
del movimento in questa direzione e del passaggio al cyberspazio<br />
non soltanto in quanto connesso alla tecnologia ma<br />
anche alla ristrutturazione sociale, alla ristrutturazione politica,<br />
tramite un cambiamento nel tipo di relazioni che miglioreranno<br />
il benessere dell’umanità. Speriamo che questo dibattito rappresenti<br />
un movimento in tale direzione, che questo dibattito<br />
sia qualcosa che tagli attraverso le molte discipline che normalmente<br />
agiscono in solitudine all’interno dell’Università. Confidiamo<br />
in una discussione molto interessante. Ed?<br />
Ed Schonberg: Sono Ed Schonberg del Dipartimento d’informatica<br />
presso il Courant Institute. Dò a tutti voi il benvenuto a quest’evento.<br />
In genere, e particolarmente qui, chi fa l’introduzione è<br />
un aspetto inutile delle presentazioni pubbliche, ma in questo caso<br />
in realtà presenta una qualche utilità, come Mike ha facilmente<br />
dimostrato, perché un commento inaccurato di chi fa l’introduzione,<br />
ad esempio, può consentire [al relatore] di raddrizzare e correggere,<br />
[il pubblico ride] per rifinire in maniera considerevole i<br />
parametri del dibattito.<br />
Consentitemi perciò di fare la più breve introduzione possibile<br />
a una persona che non ne ha bisogno. Richard è il perfetto esempio<br />
di qualcuno che, agendo a livello locale, ha iniziato a pensare<br />
a livello globale – a partire, parecchi anni fa, dai problemi<br />
concernenti l’indisponibilità del codice sorgente dei driver della<br />
stampante al laboratorio di intelligenza artificiale del MIT.<br />
Egli ha messo a punto una filosofia coerente che ha costretto<br />
tutti noi a riesaminare le nostre idee su come viene prodotto il<br />
software, su cosa significa proprietà intellettuale, e su cosa rap-<br />
88
presenta in concreto la comunità del software. Diamo il benvenuto<br />
a Richard Stallman. [applausi]<br />
Software libero: libertà e cooperazione<br />
Richard M. Stallman: Qualcuno può prestarmi un orologio? [il<br />
pubblico ride] Grazie. Vorrei ringraziare Microsoft per avermi fornito<br />
l’opportunità [il pubblico ride] di essere su questo podio. Nelle<br />
ultime settimane mi sono sentito come un autore il cui libro è<br />
stato fortuitamente vietato da qualche parte. 1 [il pubblico ride]<br />
Eccetto per il fatto che tutti gli articoli sulla vicenda riportano in<br />
maniera errata il nome dell’autore, perché Microsoft descrive la<br />
GNU GPL come una licenza open source, e lo stesso ha fatto gran<br />
parte della stampa. La maggior parte della gente, ovviamente<br />
altrettanto in buona fede, non si rende conto che il nostro lavoro<br />
non ha nulla a che fare con l’open source, che anzi abbiamo svolto<br />
la maggior parte di tale lavoro prima che il termine “open source”<br />
venisse perfino coniato.<br />
Noi facciamo parte del movimento del software libero, e mi accingo<br />
a parlare su cosa sia il movimento del software libero, cosa significhi,<br />
quanto abbiamo fatto e, poichè quest’evento è in parte sponsorizzato<br />
da una School of Business, dirò qualcosa, più di quanto<br />
sia solito fare, sulla relazione tra software libero e imprenditoria,<br />
e su altri ambiti della vita sociale.<br />
Ora, alcuni di voi non scriveranno mai programmi informatici,<br />
ma forse cucinate. E se cucinate, a meno che non siate davvero<br />
bravi, probabilmente userete delle ricette. E se usate delle ricette,<br />
è probabile abbiate sperimentato di ricevere la copia di una ricetta<br />
da un amico che voglia condividerla. E probabilmente avrete<br />
1 Meno di un mese prima, il vicepresidente di Microsoft, Craig Mundie, aveva tenuto<br />
un intervento in cui attaccava il software libero (definendolo “open source”).<br />
89
anche sperimentato, a meno che non siate dei completi neofiti,<br />
l’atto di modificare una ricetta. Questa dice certe cose, ma non<br />
dovete seguirla in maniera esatta. Se ne può omettere qualche<br />
ingrediente. Aggiungervi dei funghi perché vi piacciono. Metterci<br />
meno sale perché il medico vi ha consigliato di ridurre il sale –<br />
o quant’altro. Si possono anche apportare cambiamenti sostanziali,<br />
a seconda delle capacità individuali. E se avete modificato<br />
qualcosa in una ricetta, e la preparate per degli amici, e a loro piace,<br />
un amico potrebbe dire, “Puoi darmi la ricetta?” E allora cosa<br />
fate? Scrivete la vostra versione modificata della ricetta e ne date<br />
una copia all’amico. Questa è la cosa naturale da fare con ricette<br />
utili e funzionali di ogni tipo.<br />
Una ricetta assomiglia molto a un programma informatico. E un<br />
programma informatico è assai simile a una ricetta: una serie di<br />
passaggi per arrivare al risultato che ci si è prefissi. Perciò è altrettanto<br />
naturale fare la stessa cosa con i programmi informatici –<br />
passarne una copia agli amici. E apportarvi delle modifiche, perché<br />
il lavoro per cui era stato scritto non è esattamente quanto<br />
vogliamo. Ha fatto un buon lavoro per qualcun altro, ma il nostro<br />
lavoro è diverso. E, dopo averlo modificato, è probabile possa tornare<br />
utile ad altri. Forse costoro devono fare un lavoro simile al<br />
nostro. Così ci chiederanno, “Posso averne una copia?” Naturalmente,<br />
se vogliamo essere gentili, gliene diamo una copia. È così<br />
che si comporta una persona decente. Immaginiamo allora cosa<br />
accadrebbe se le ricette venissero impacchettate dentro scatole<br />
nere. Non se ne potrebbero vedere gli ingredienti usati, per non<br />
parlare neppure di modificarli, e immaginando di averne fatto una<br />
copia per un amico, vi chiamerebbero pirata e cercherebbero di<br />
sbattervi in galera per anni. Un mondo simile creerebbe proteste<br />
tremende da parte di tutti coloro che sono soliti scambiare ricet-<br />
90
te. Ma questo è esattamente il mondo del software proprietario.<br />
Un mondo in cui la comune decenza verso gli altri è proibita o<br />
impedita.<br />
Ora, come mi sono accorto di tutto ciò? Me ne sono reso conto<br />
perché negli anni ‘70 ho avuto la buona fortuna di far parte di una<br />
comunità di programmatori che condividevano il software. Le<br />
radici di questa comunità possono essere rintracciate sostanzialmente<br />
fino agli albori dell’informatica. Tuttavia negli anni ‘70 era<br />
un po’ raro trovare una comunità in cui si condivideva il software.<br />
Si trattava anzi di un caso estremo, perché nel laboratorio dove<br />
lavoravo l’intero sistema operativo era software sviluppato dai<br />
membri della comunità, e lo condividevamo con tutti. Chiunque<br />
era il benvenuto nel venire a dare un’occhiata e prenderne una<br />
copia, e farci quel che voleva. Su questi programmi non c’era alcuna<br />
nota di copyright. La cooperazione era il nostro modo di vivere.<br />
E ci sentivamo sicuri di vivere a quel modo. Non lottammo per<br />
ottenerlo. Non dovemmo combattere per averlo. Vivevamo semplicemente<br />
in quel modo. E, per quanto ci riguardasse, avremmo<br />
continuato a vivere così. C’era il software libero, ma non il movimento<br />
del software libero.<br />
Ma poi la comunità fu distrutta da una serie di calamità che la colpirono.<br />
Alla fine fu spazzata via. Alla fine il computer PDP-10, 2<br />
che usavamo per ogni lavoro, venne messo fuori uso.<br />
Il nostro sistema – denominato Incompatible Timesharing System<br />
– fu scritto a partire dagli anni ‘60, perciò era scritto in linguaggio<br />
assembler. Negli anni ‘60 si usava tale linguaggio per scrivere<br />
un sistema operativo. Ovviamente l’assembler vale per una particolare<br />
architettura informatica; se non viene più usato, tutto il<br />
2 Programming Data Processor modello 10, un computer mainframe usato negli anni<br />
’70 da molti importanti enti di ricerca e governativi.<br />
91
lavoro svolto diventa polvere – è inutile. E questo è quanto avvenne<br />
nel nostro caso. I circa 20 anni di lavoro della nostra comunità<br />
divennero polvere.<br />
Ma prima che ciò accadesse, ebbi un’esperienza che mi preparò,<br />
mi aiutò a capire cosa fare, perché ad un certo punto la Xerox diede<br />
al laboratorio di intelligenza artificiale, dove lavoravo, una<br />
stampante laser, e fu un regalo stupendo, perché era la prima volta<br />
che qualcuno al di fuori della Xerox aveva una stampante laser.<br />
Era molto veloce, stampava una pagina al secondo, assai precisa<br />
sotto molti punti di vista, ma era inaffidabile, perché in realtà era<br />
una fotocopiatrice per ufficio ad alta velocità modificata in stampante.<br />
E le fotocopiatrici s’incastrano, ma c’è qualcuno pronto a<br />
sistemarle. La stampante s’incastrava e nessuno se ne accorgeva.<br />
Così rimaneva bloccata per parecchio tempo.<br />
Be’, ci venne un’idea per risolvere il problema. Modificarla in<br />
modo che ogni volta che la stampante s’inceppava, il computer<br />
che la gestiva poteva informarne la nostra macchina timesharing,<br />
e far sapere agli utenti in attesa della stampa di andare a sistemare<br />
la stampante – perché se soltanto avessero saputo che era incastrata...<br />
ovviamente, se sei in attesa di una stampa e sai che la stampante<br />
è inceppata, non vuoi startene seduto ad aspettare per sempre,<br />
ti alzi e vai a sistemarla.<br />
Ma a quel punto eravamo completamente bloccati, perché il<br />
software che gestiva la stampante non era software libero. Era arrivato<br />
incluso nella stampante, era soltanto un file binario. Non<br />
potevamo averne il codice sorgente; la Xerox non ci avrebbe fatto<br />
avere il codice sorgente.<br />
Così, nonostante le nostre capacità di sviluppatori – dopotutto avevamo<br />
scritto il nostro sistema timesharing – eravamo del tutto inadeguati<br />
ad aggiungere questa funzione al software della stampante.<br />
92
Non ci restava che soffrire rimanendo in attesa. Per stampare qualcosa<br />
ci voleva un’ora o due, perché la maggior parte delle volte la<br />
stampante s’inceppava. Aspettavi un’ora pensando, “So che finirà<br />
per incastrarsi. Aspetterò un’ora e poi andrò a prendere la mia<br />
stampa”, e allora ti rendevi conto che era rimasta incastrata per<br />
tutto il tempo, nessun altro l’aveva sistemata. Così la rimettevi a<br />
posto e aspettavi un’altra mezz’ora. Poi tornavi a controllare, e<br />
vedevi che si era nuovamente inceppata, prima di eseguire il tuo<br />
lavoro. Stampava per tre minuti e poi s’inceppava per trenta minuti.<br />
La frustrazione saliva alle stelle. Ma la cosa peggiore era sapere<br />
che avremmo potuto risolvere la cosa, eppure qualcun altro, per<br />
egoismo personale, ci bloccava, ci impediva di migliorare il software.<br />
Così, naturalmente, ce ne risentimmo.<br />
Allora venni a sapere che qualcuno alla Carnegie Mellon University<br />
aveva una copia di quel software. Qualche tempo dopo mi ci<br />
recai in visita, andai nel suo ufficio e gli feci, “Salve, vengo dal<br />
MIT. Potrei avere una copia del codice sorgente della stampante?”<br />
E lui replicò, “No, ho promesso che non ve l’avrei data.” [il pubblico<br />
ride] Rimasi di stucco. Ero talmente – talmente arrabbiato,<br />
e non avevo alcuna idea su come ottenere giustizia. Tutto ciò che<br />
riuscii a pensare fu di girarmi sui tacchi e uscire da quella stanza.<br />
Forse ho sbattuto la porta. [il pubblico ride] E ripensandoci più<br />
tardi, mi resi conto che non stavo osservando un tipaccio isolato,<br />
ma un fenomeno sociale che era importante e colpiva parecchie<br />
persone.<br />
Fui fortunato, ne ebbi appena un assaggio. Altri dovevano farci i<br />
conti tutto il tempo. Ci riflettei sopra a lungo. Vedete, quel tizio<br />
aveva promesso di rifiutare ogni collaborazione con noi, i colleghi<br />
del MIT. Ci aveva traditi. Ma non lo fece soltanto con noi. È probabile<br />
che abbia tradito anche te [indicando qualcuno tra il pub-<br />
93
lico]. E credo che molto probabilmente abbia fatto lo stesso a te<br />
[indicando qualcun altro tra il pubblico] [il pubblico ride]. Ed è<br />
probabile lo abbia fatto anche a te [indicando una terza persona<br />
tra il pubblico]. Probabilmente ha tradito la maggioranza dei presenti<br />
in questa sala – eccetto, forse, i pochi che non erano ancora<br />
nati nel 1980. Perché aveva promesso di rifiutare ogni cooperazione<br />
praticamente con l’intera popolazione del pianeta terra. Aveva<br />
firmato un accordo di non divulgazione (“non-disclosure agreement”).<br />
Ora, questo era il mio primo incontro diretto con un accordo di<br />
non divulgazione, e m’insegnò una lezione importante – una lezione<br />
che è importante perché la maggioranza dei programmatori<br />
non l’impara mai. Quello fu il mio primo incontro con un accordo<br />
di non divulgazione, e io ne ero la vittima. Io e l’intero laboratorio<br />
ne fummo le vittime. E la lezione che m’insegnò fu che gli<br />
accordi di non divulgazione provocano delle vittime. Non sono<br />
qualcosa d’innocente. Non sono innocui. La maggior parte dei<br />
programmatori s’imbattono per la prima nell’accordo di non<br />
divulgazione quando vengono invitati a firmarne uno. E c’è sempre<br />
qualche tentazione – qualche vantaggio che finiscono per ottenere<br />
se firmano. Così inventano qualche scusa. Dicono, “Be’, quel<br />
tizio non riuscirà mai a ottenerne una copia in ogni caso, perché<br />
quindi non dovrei unirmi alla cospirazione per impedirglielo?”<br />
Dicono, “Si è sempre fatto così. Chi sono io per oppormici?” Dicono,<br />
“Se non lo firmo io, lo farà qualcun altro.” Scuse varie per mettere<br />
il bavaglio alla propria coscienza.<br />
Ma quando qualcuno mi invitò a firmare un accordo di non divulgazione<br />
la mia coscienza era già sensibilizzata. Si ricordò di quanto<br />
fossi arrabbiato quando qualcuno promise di non aiutare me e<br />
l’intero laboratorio a risolvere il problema. Non potevo voltarmi<br />
94
dall’altra parte e fare la stessa identica cosa a qualcun altro che non<br />
mi aveva mai arrecato alcun danno. Se qualcuno mi avesse chiesto<br />
di promettere di non condividere qualche informazione utile<br />
con un odioso nemico, avrei detto di sì. Se qualcuno ha fatto qualcosa<br />
di male, lo merita. Ma gli estranei – non mi hanno fatto alcun<br />
danno. Come possono meritare quel tipo di trattamento negativo?<br />
Non puoi consentire a te stesso di trattare male praticamente tutti<br />
e chiunque. A quel punto diventi un predatore sulla società. Così<br />
risposi, “Grazie mille per avermi offerto questo bel pacchetto software.<br />
Ma in tutta coscienza non posso accettarlo sulla base delle condizioni<br />
richieste, perciò ne farò a meno. Grazie molte.” E così, non<br />
ho mai firmato volontariamente un accordo di non divulgazione su<br />
informazioni tecniche d’utilità generica come il software.<br />
Esistono altri tipi d’informazioni che sollevano questioni etiche<br />
diverse. Ad esempio, le informazioni personali. Se un’amica vuole<br />
raccontarmi quel che va accadendo tra lei e il suo ragazzo, e mi<br />
chiede di non rivelarlo a nessuno, posso dirmi d’accordo nel mantenere<br />
il segreto, perché non si tratta di informazioni tecniche d’utilità<br />
generica.<br />
Almeno, probabilmente non si tratta di informazioni generalmente<br />
utili [il pubblico ride]. Esiste una scarsa probabilità – e<br />
comunque potrebbe essere possibile – che l’amica possa rivelarmi<br />
qualche nuova strabiliante tecnica sessuale [il pubblico ride], e<br />
allora sentirei il dovere morale [il pubblico ride] di informarne il<br />
resto dell’umanità, in modo che tutti possano trarne beneficio.<br />
Forse dovrei porre una condizione a quella promessa.<br />
Qualora si trattasse soltanto di dettagli su chi voglia questa cosa,<br />
e chi s’arrabbia contro chi, e robe da telenovela... tutto ciò posso<br />
tenerlo in privato, ma non così per qualcosa di cui l’umanità possa<br />
beneficiare terribilmente, qualora ne fosse informata. Obietti-<br />
95
vo della scienza e della tecnologia è quello di sviluppare informazioni<br />
utili per l’umanità, onde aiutare la gente a vivere una vita<br />
migliore. Se promettiamo di non rivelare tali informazioni, se le<br />
teniamo segrete, allora stiamo tradendo la missione della nostra<br />
disciplina. E ciò, decisi, non dovrei farlo.<br />
Ma nel frattempo la mia comunità si era frantumata, e mi ritrovai<br />
in una brutta situazione. Vedete, l’intero Incompatible Timesharing<br />
System divenne obsoleto, perché lo era il PDP-10, e così<br />
non esisteva alcun modo per cui potessi continuare a lavorare in<br />
quanto sviluppatore di un sistema operativo come avevo fatto fino<br />
ad allora. Ciò dipendeva dal far parte di una comunità, dall’usare<br />
il software della comunità e dal migliorarlo. Questa possibilità non<br />
esisteva più, e ciò mi pose un dilemma morale. Cosa avrei fatto?<br />
Perché la possibilità più ovvia consisteva nell’andare contro quella<br />
decisione che avevo preso. Accettare che le cose fossero diverse,<br />
che dovevo semplicemente abbandonare quei principi e iniziare a<br />
firmare accordi di non divulgazione per sistemi operativi proprietari,<br />
e molto probabilmente anche scrivere software proprietario.<br />
Ma compresi che in tal modo avrei potuto divertirmi con il codice<br />
e guadagnare bene – soprattutto se l’avessi fatto al di fuori del<br />
MIT – ma alla fine, osservando la mia carriera all’indietro avrei<br />
detto, “Ho speso la vita a costruire muri che dividono la gente”, e<br />
mi sarei vergognato di quella vita.<br />
Così mi son messo alla ricerca di un’alternativa, e una era ovvia.<br />
Avrei potuto lasciare il campo del software e mettermi a fare qualcosa<br />
d’altro. Non ero dotato di altre capacità particolari, ma sono<br />
sicuro che avrei potuto fare il cameriere [il pubblico ride]. Non in<br />
un ristorante di lusso, non mi avrebbero assunto, [il pubblico ride]<br />
ma da qualche parte avrei fatto il cameriere. Molti sviluppatori mi<br />
dicono, “Quelli che assumono i programmatori richiedono que-<br />
96
sto, questo e questo. Se non lo faccio, morirò di fame”. È la terminologia<br />
che usano letteralmente. Be’, come cameriere non si<br />
può morire di fame. [il pubblico ride] Così, in realtà, non si trovano<br />
affatto in pericolo. Ma – e questo è importante – talvolta tendiamo<br />
a giustificare qualcosa che danneggia gli altri sostenendo<br />
che altrimenti a noi accadrà qualcosa di peggio. Se costoro stessero<br />
veramente morendo di fame, allora sarebbero giustificati a scrivere<br />
software proprietario [il pubblico ride]. Se qualcuno ti punta<br />
contro una pistola, allora direi che è perdonabile [il pubblico<br />
ride]. Ma trovai il modo di sopravvivere senza dover fare qualcosa<br />
di poco etico, perciò quella scusa non si può usare. Però mi sono<br />
reso conto che fare il cameriere non sarebbe stato divertente, e avrei<br />
sprecato le mie capacità in quanto sviluppatore di sistemi operativi.<br />
Almeno avrebbe evitato di usare male tali capacità. Sviluppare<br />
software proprietario avrebbe significato usare male le mie capacità.<br />
Meglio perciò sprecarle che usarle male, ma non è davvero<br />
una bella cosa.<br />
Per queste ragioni, decisi di cercare altre alternative. Cosa può fare<br />
qualcuno che sviluppa sistemi operativi per migliorare veramente<br />
la situazione, per rendere migliore il mondo? E mi resi conto che<br />
ciò di cui c’era bisogno era esattamente qualcuno capace di sviluppare<br />
sistemi operativi. Il problema, il dilemma, esisteva per me<br />
e per chiunque altro, poiché tutti i sistemi operativi disponibili<br />
per i computer moderni erano proprietari. I sistemi operativi liberi<br />
erano per computer vecchi e obsoleti, giusto? Così per i computer<br />
moderni – chi voleva avere un computer moderno e usarlo<br />
era costretto a ricorrere a un sistema operativo proprietario. Perciò<br />
se uno sviluppatore avesse scritto un altro sistema operativo<br />
per poi dire, “Venite tutti qui e condividete questo sistema, siete<br />
i benvenuti” – ciò avrebbe offerto a chiunque un via d’uscita al<br />
97
dilemma, un’alternativa. Compresi così che c’era qualcosa che<br />
avrei potuto fare per risolvere il problema. Avevo proprio le capacità<br />
adatte per riuscirci. Ed era la cosa più utile che avessi potuto<br />
immaginare di fare con la mia vita. Si trattava di un problema che<br />
nessun altro stava cercando di risolvere. Se ne stava lì, a peggiorare,<br />
e non c’era nessuno tranne il sottoscritto. Così mi dissi qualcosa<br />
come, “Sono un eletto. Devo lavorarci sopra. Se non io, chi?”<br />
Decisi perciò che avrei sviluppato un sistema operativo libero,<br />
oppure sarei morto provandoci... di vecchiaia, naturalmente [il<br />
pubblico ride].<br />
Ovviamente dovevo decidere che tipo di sistema operativo sarebbe<br />
stato. Bisognava prendere delle decisioni di progettazione tecnica.<br />
Per una serie di motivi, optai per renderlo compatibile con<br />
Unix. Prima di tutto, avevo appena visto diventare obsoleto un<br />
sistema operativo che amavo davvero, perché scritto per un tipo<br />
di computer specifico. Non volevo che accadesse di nuovo. Dovevamo<br />
avere un sistema portabile. Be’, Unix lo era. Perciò se ne avessi<br />
seguito il progetto, avrei avuto buone probabilità di realizzare<br />
un sistema che sarebbe stato anch’esso portabile e funzionale. Inoltre,<br />
perché non renderlo compatibile nei dettagli? Il motivo è: gli<br />
utenti odiano le modifiche incompatibili. Se avessi progettato il<br />
sistema secondo le mie preferenze – cosa che mi sarebbe piaciuto<br />
molto fare, ne sono certo – avrei prodotto qualcosa di non compatibile.<br />
I dettagli sarebbero stati diversi. Se avessi scritto un tale<br />
sistema, la gente mi avrebbe detto, “È molto bello, ma incompatibile.<br />
Richiede troppo lavoro passare a questo. Non possiamo permetterci<br />
tanti problemi giusto per usare il tuo sistema invece di<br />
Unix, per cui ce ne restiamo con Unix”.<br />
Se avessi voluto creare concretamente una comunità di persone<br />
che usavano questo sistema libero e traevano vantaggio dalla<br />
98
libertà e dalla cooperazione, dovevo realizzare un sistema che la<br />
gente avrebbe utilizzato, un sistema al quale sarebbe stato semplice<br />
passare, che non doveva cadere su un ostacolo simile appena<br />
all’inizio. Rendere il sistema compatibile con Unix fece decidere<br />
tutta la successiva progettazione, perché Unix è composto da molti<br />
pezzi che comunicano tra loro grazie a interfacce più o meno<br />
documentate. Se si vuole essere compatibili con Unix occorre<br />
quindi sostituire ciascun pezzo, uno ad uno, con un altro compatibile.<br />
Le rimanenti decisioni di progettazione rimangono all’interno<br />
di ciascun pezzo, e possono essere prese in seguito da chiunque<br />
decida di scrivere quel pezzo. Non devono essere decise all’inizio.<br />
Tutto quel che dovemmo fare per iniziare a lavorare fu trovare un<br />
nome al sistema. Noi hacker cerchiamo sempre qualche nome<br />
divertente o strambo per un programma, perché riteniamo che<br />
pensare alla gente che se la ride per il nome costituisca metà del<br />
divertimento di scrivere il programma [il pubblico ride]. E abbiamo<br />
la tradizione degli acronimi ricorsivi, per dire che il programma<br />
che si sta scrivendo è in qualche modo analogo a un altro già<br />
esistente. È possibile chiamarlo con un acronimo ricorsivo per<br />
dire: questo non è quell’altro. Così, ad esempio, negli anni ‘60 e<br />
‘70 esistevano troppi text editor Tico, e generalmente si chiamavano<br />
qualcosa-o-qualcos’altro TECO. Poi un hacker arguto<br />
chiamò il proprio Tint, per Tint Is Not TECO (Tint non è TECO)<br />
– il primo acronimo ricorsivo. Nel 1975 sviluppai il primo text<br />
editor Emacs, e c’erano parecchie imitazioni di Emacs, ma una si<br />
chiamava Fine, per Fine Is Not Emacs, e c’era Sine, per Sine Is Not<br />
Emacs, e Eine, per Eine Is Not Emacs, e MINCE per Mince Is<br />
Not Complete Emacs (questa era un’imitazione ridotta all’osso)<br />
[il pubblico ride]. Poi Eine venne riscritto quasi completamente,<br />
99
e la nuova versione fu chiamata Zwei, per Zwei Was Eine Initially<br />
(Zwei era Eine all’inizio). 3<br />
Mi misi così alla ricerca di un acronimo ricorsivo per Something<br />
Is Not Unix (Qualcosa non è Unix). Provai tutte le 26 lettere dell’alfabeto<br />
(inglese) per scoprire che nessuna poteva formare una<br />
parola. [il pubblico ride] Hmm, prova qualcos’altro. Usai una contrazione.<br />
In tal modo avrei avuto un acronimo a tre lettere, per<br />
Something’s Not Unix. Provai le varie lettere, e venne fuori il termine<br />
“GNU” – la parola “GNU” è la più divertente della lingua<br />
inglese. [il pubblico ride] Proprio così. Ovviamente il motivo per<br />
cui è divertente sta nel fatto che secondo il dizionario si pronuncia<br />
“new” (nuovo). Ecco perché la si usa in parecchi giochi di parole.<br />
Ma devo informarvi che si tratta del nome di un animale che<br />
vive in Africa. E la pronuncia africana aveva un suono come di un<br />
clic. [il pubblico ride] Forse ce l’ha ancora. I colonizzatori europei,<br />
quando arrivarono lì, non si preoccuparono di imparare a pronunciare<br />
quel suono di clic. Lo lasciarono fuori, e scrissero una ‘g’<br />
che stava a significare “qui dovrebbe esserci un altro suono che non<br />
pronunciamo” [il pubblico ride]. Stanotte partirò per il Sud Africa,<br />
e li ho implorati, spero che riescano a trovarmi qualcuno che<br />
possa insegnarmi a pronunciare GNU nel modo corretto, quando<br />
indica l’animale.<br />
Ma quando si tratta del nostro sistema, la pronuncia corretta è<br />
“guh-NEW” (guh-niu), con la ‘g’ dura. Se si parla del “new” (niu)<br />
sistema operativo, la gente finirà col confondersi perché ci stiamo<br />
lavorando ormai da 17 anni, per cui non è più così “new”, nuovo.<br />
[il pubblico ride] Ma è ancora, e sarà sempre, GNU, “guh-<br />
NEW” – non importa quante persone lo chiameranno Linux per<br />
errore [il pubblico ride].<br />
3 Eine e Zwei significano uno e due in tedesco, rispettivamente.<br />
100
Così nel gennaio 1984, lascio il mio posto al MIT per iniziare a<br />
scrivere le varie parti di GNU. 4<br />
Al MIT furono così bravi da consentirmi di usare le strutture interne.<br />
Allora pensai che avremmo scritto tutti i pezzi per costruire<br />
l’intero sistema GNU, e poi avremmo annunciato, “Venite a prenderlo,”<br />
e la gente avrebbe iniziato a usarlo. Non è andata così. Le<br />
prime parti che scrissi non erano altro che buone sostituzioni, con<br />
un numero minore di bug, di alcuni pezzi di Unix, ma nulla di<br />
particolarmente eccitante. Nessuno pareva interessato a volerli e a<br />
installarli. Ma poi, nel settembre 1984, iniziai a scrivere GNU<br />
Emacs, che era la mia seconda implementazione di Emacs, e prese<br />
a funzionare all’inizio del 1985. Potei usarlo per tutto il mio<br />
lavoro di editing, il che fu un grande sollievo perché non avevo<br />
alcuna intenzione di imparare a usare vi, l’editor di Unix. [il pubblico<br />
ride] Fino a quel momento, feci l’editing su qualche altra<br />
macchina, e salvavo i file via rete, in modo che potessi fare dei test.<br />
Ma quando GNU Emacs prese a girare abbastanza bene da consentirmi<br />
di usarlo, spuntò fuori altra gente che voleva usarlo.<br />
Così dovetti occuparmi dei dettagli relativi alla distribuzione.<br />
Ovviamente ne misi una copia nella directory dell’anonymous<br />
FTP, e ciò andava bene per quanti erano in rete – bastava che prelevassero<br />
un file tar 5 – ma c’erano anche parecchi programmatori<br />
che nel 1985 non erano ancora in rete.<br />
Mi mandavano email chiedendo, “Come posso averne un copia?”<br />
Dovevo decidere come avrei replicato. Be’, avrei potuto dire:<br />
“Voglio spendere il mio tempo scrivendo altro software GNU, non<br />
a copiare nastri, perciò trova un amico che è su Internet, che abbia<br />
4 È possibile leggere l’annuncio originario del progetto GNU nel testo “Il Manifesto GNU”.<br />
5 Programma Unix per l’archiviazione. Integrato con gzip, rappresenta l’alternativa<br />
GNU al formato di compressione non libero ZIP.<br />
101
voglia di fare il download e metterlo su nastro per te,” e sono sicuro<br />
che prima o poi avrebbero trovato qualche amico disposto a farlo.<br />
Avrebbero ottenuto quelle copie.<br />
Ma ero senza lavoro. Anzi, fin da quando avevo lasciato il MIT<br />
nel gennaio 1984 non avevo avuto alcun impiego. Stavo cercando<br />
il modo di fare dei soldi grazie a quanto andavo facendo con il<br />
software libero, e perciò avviai un’attività commerciale di software<br />
libero. Diedi l’annuncio, “Mandami 150 dollari e ti spedisco<br />
un nastro con Emacs.” E gli ordini presero ad arrivare. A metà<br />
anno divennero regolari.<br />
Ricevevo 8-10 ordini al mese. Se necessario, avrei potuto vivere<br />
soltanto con questi, perché ho sempre vissuto con poco. Praticamente<br />
vivo come uno studente. E mi piace, perché significa che<br />
non è il denaro a impormi cosa fare. Posso fare quel che ritengo<br />
sia importante per me. Ciò mi ha consentito di fare quel che mi<br />
sembrava valido. Sforzatevi seriamente di evitare di cadere in tutte<br />
le abitudini dello stile di vita dei tipici americani. Perché se lo<br />
fate, allora sarà la gente con i soldi a imporvi cosa fare con la vostra<br />
vita. Non sarete in grado di fare quello che è veramente importante<br />
per voi.<br />
Le cose andavano bene, ma la gente mi chiedeva, “Cosa intendi<br />
con software libero se costa 150 dollari? [il pubblico ride] Il motivo<br />
di queste domande stava nella confusione generata dai significati<br />
multipli del termine “free” in inglese. Un significato indica il<br />
prezzo, e un altro la libertà. Quando parlo di software libero mi<br />
riferisco alla libertà, non al prezzo. Pensiamo alla libertà d’espressione<br />
(“free speech”), non alla birra gratis (“free beer”). [il pubblico<br />
ride] Non avrei certo dedicato così tanti anni della mia vita per<br />
esser certo che i programmatori guadagnassero di meno. Non è<br />
questo il mio obiettivo. Sono un programmatore anch’io e non mi<br />
102
dispiacerebbe guadagnare bene. Non dedicherei la mia vita a far<br />
soldi, ma non mi dispiace averne. Quindi, dato che l’etica è la stessa<br />
per chiunque, non sono neppure contrario al fatto che altri programmatori<br />
guadagnino bene. Non voglio che i prezzi siano bassi.<br />
Non è affatto questo il punto. La questione è la libertà. Libertà<br />
per chiunque usi il software, che si tratti o meno di un programmatore.<br />
A questo punto dovrei darvi la definizione di software libero.<br />
Meglio passare ai dettagli concreti, perché è troppo vago dire soltanto<br />
“credo nella libertà”. Esistono così tante libertà in cui si può<br />
credere, e sono in conflitto tra loro, perciò la vera domanda politica<br />
è: quali sono le libertà importanti, le libertà di cui occorre assicurare<br />
l’esistenza a tutti?<br />
Vi darò la mia risposta a questa domanda relativamente all’area<br />
dell’utilizzo del software. Un programma è “software libero” per<br />
uno specifico utente quando quest’ultimo ha le seguenti libertà:<br />
– Primo, libertà zero è la libertà di far girare il programma per qualsiasi<br />
scopo, in ogni modo che si vuole.<br />
– Libertà uno è la libertà di aiutare se stessi a modificare il programma<br />
secondo le proprie necessità.<br />
– Libertà due è la libertà di aiutare il vicino a distribuire copie del<br />
programma.<br />
– E libertà tre è la libertà di aiutare a costruire una comunità pubblicando<br />
una versione migliorata in modo che gli altri possano<br />
trarre vantaggi dal proprio lavoro.<br />
Se avete tutte queste libertà, il programma è software libero, per<br />
l’utente – e ciò è cruciale. Ecco perché uso questa terminologia.<br />
Lo spiegherò meglio più avanti, quando parlerò della Licenza Pubblica<br />
Generica GNU (GNU GPL), ma ora illustrerò cosa significa<br />
software libero, che è una questione più fondamentale.<br />
103
La libertà zero è piuttosto ovvia. Qualora all’utente non venga neppure<br />
concesso di far girare il programma come meglio preferisce,<br />
si tratta di un programma decisamente restrittivo. Ma succede che<br />
la maggior parte dei programmi concedono almeno la libertà zero.<br />
E legalmente la libertà zero deriva come conseguenza della libertà<br />
uno, due e tre – questo è il modo con cui funziona la legislazione<br />
sul copyright. Così le libertà che distinguono il software libero dal<br />
software comune sono le libertà uno, due e tre, per cui le illustrerò<br />
a fondo e ne spiegherò l’importanza.<br />
La libertà uno è la libertà di aiutare se stessi a modificare il software<br />
secondo le proprie necessità. Ciò potrebbe significare sistemare<br />
i bug presenti. Potrebbe significare aggiungere nuove funzioni.<br />
Potrebbe significare crearne la versione per un computer diverso.<br />
Potrebbe significare tradurne i messaggi d’errore in Navajo. Qualsiasi<br />
cambiamento l’utente voglia apportare, deve essere libero di<br />
farlo.<br />
È ovvio come gli sviluppatori professionisti possano fare uso di<br />
tale libertà in maniera assai efficace, ma non sono i soli. Chiunque<br />
dotato di una comune dose d’intelligenza può imparare un<br />
po’ di programmazione. Ci sono lavori difficili e altri facili, e la<br />
maggioranza non imparerà abbastanza da fare i lavori difficili. Ma<br />
parecchia gente può imparare a sufficienza per occuparsi dei lavori<br />
facili, proprio come 50 anni fa molti uomini americani hanno<br />
imparato a riparare le automobili, situazione che consentì agli Stati<br />
Uniti di avere un esercito motorizzato nella seconda guerra mondiale<br />
e vincerla. È assai importante avere parecchie persone in grado<br />
di riparare qualcosa.<br />
E se si tratta di qualche popolano, che non vuole saper nulla della<br />
tecnologia, ciò significa che probabilmente avrà un sacco di amici<br />
e potrà chiedere loro dei favori [il pubblico ride]. È probabile<br />
104
che alcuni di questi siano dei programmatori. Così potrà chiedere<br />
loro: “Potresti modificarlo per me? Puoi aggiungerci questa funzione?”<br />
Ecco allora che potranno essere in parecchi a beneficiare<br />
di questa libertà.<br />
Ora, se non avete tale libertà, ciò provoca danno materiale, concreto<br />
alla società. Ci rende prigionieri del nostro stesso software.<br />
Ho spiegato cosa accadde con la stampante laser. Funzionava male,<br />
e non potemmo ripararla, perché eravamo prigionieri di quel<br />
software.<br />
Ma ciò colpisce anche il morale della gente. Se l’uso del computer<br />
è continuamente frustrante, e la gente lo usa, la loro vita finirà<br />
per essere frustrante, e se lo usano al lavoro, sarà quest’ultimo ad<br />
essere frustrante, finiranno per odiarlo. E per autoproteggersi dalla<br />
frustrazione, si decide di fregarsene. Così ci troviamo davanti<br />
persone la cui attitudine è, “Be’, oggi sono andato a lavorare. Non<br />
devo fare altro. Se non compio progressi, il problema non è mio,<br />
ma del datore di lavoro”. E quando ciò accade, è negativo per<br />
costoro e negativo per la società come insieme. Questa è la libertà<br />
uno, la libertà di aiutare se stessi.<br />
La libertà due è la libertà di aiutare il vicino di casa distribuendo<br />
copie di un programma. Per degli esseri in grado di pensare e imparare,<br />
la condivisione di conoscenze utili è un atto fondamentale di<br />
amicizia. Quando si usa il computer, quest’atto di amicizia prende<br />
la forma di condivisione del software. Gli amici condividono<br />
tra loro. Gli amici si aiutano a vicenda. È la natura stessa dell’amicizia.<br />
Anzi, questo spirito di buona volontà – lo spirito di aiutare<br />
il proprio vicino, volontariamente – è la risorsa più importante<br />
della società. È l’elemento di differenza tra una società vivibile<br />
e una giungla tipo cane-mangia-cane. Per migliaia d’anni quest’importanza<br />
è stata riconosciuta dalle maggiori religioni del<br />
105
mondo, le quali cercano esplicitamente d’incoraggiare un simile<br />
atteggiamento.<br />
Quando andavo all’asilo, i maestri cercavano d’insegnarci quest’attitudine<br />
– lo spirito della condivisione – con delle applicazioni<br />
pratiche. Credevano che in tal modo l’avremmo imparato. Così<br />
dicevano, “Se porti delle caramelle a scuola, non puoi tenertele per<br />
te; devi condividerle con gli altri bambini”. La società è stata organizzata<br />
in modo da insegnare questo spirito di cooperazione. E<br />
perché dovremmo farlo? Perché la gente non coopera del tutto.<br />
Questo è un aspetto della natura umana, ma ce ne sono altri. Esistono<br />
molti altri aspetti della natura umana. Perciò, se si vuole una<br />
società migliore bisogna incoraggiare lo spirito della condivisione.<br />
Non si arriverà mai al 100%. Ciò è comprensibile. Occorre anche<br />
prendersi cura di se stessi. Ma se in qualche modo ne ampliamo<br />
la portata, sarà un bene per tutti.<br />
Oggigiorno, secondo il governo statunitense, gli insegnanti<br />
dovrebbero fare esattamente l’opposto. “Oh, Johnny, hai portato<br />
del software a scuola. Non puoi condividerlo. No, condividere è<br />
sbagliato. Condividere significa essere un pirata”. Cosa intendono<br />
quando dicono ‘pirata’? Sostengono che aiutare il vicino sia l’equivalente<br />
morale di attaccare una nave. [il pubblico ride]<br />
Cosa avrebbero detto al riguardo Gesù o Budda? Scegliete pure il<br />
vostro leader religioso preferito. Non so, forse Manson avrebbe<br />
detto qualche altra cosa, [il pubblico ride] Chissà cosa direbbe Ron<br />
Hubbard? Ma...<br />
Domanda: [inascoltabile]<br />
RMS: Certo, è morto. Ma non l’ammettono. Cosa?<br />
Domanda: Lo stesso vale per gli altri, tutti morti. [il pubblico ride]<br />
Anche Charles Manson è morto. Sono tutti morti, Gesù, Budda...<br />
106
RMS: Si, è vero [il pubblico ride]. Credo allora che in tal senso<br />
Ron Hubbard non sarebbe peggiore degli altri. Comunque...<br />
Domanda: Ron Hubbard usava sempre il software libero – lo ha<br />
liberato da Zanu [il pubblico ride].<br />
RMS: Comunque, ritengo questo sia il motivo più importante perché<br />
il software debba essere libero: non possiamo permetterci di<br />
inquinare la risorsa più importante della società. È vero che non si<br />
tratta di una risorsa materiale come l’aria pulita e l’acqua pulita. È<br />
una risorsa psico-sociale, ma è altrettanto concreta, e produce una<br />
differenza tremenda sulle nostre vite. Le azioni che compiamo<br />
influenzano il pensiero degli altri. Quando ce ne andiamo in giro<br />
dicendo alla gente, “Non condividete tra voi”, se dovessero ascoltarci,<br />
avremo un effetto sulla società, e non sarebbe certo positivo.<br />
Questa è la libertà due, la libertà di aiutare il proprio vicino.<br />
Ah, inoltre, se tale libertà viene a mancare, ciò non provoca danno<br />
soltanto a questa risorsa psico-sociale, ma causa uno spreco –<br />
un danno pratico, materiale. Se il programma ha un proprietario,<br />
e costui organizza le cose in modo che ciascun utente debba pagare<br />
onde poterlo usare, qualcuno finirà per dire, “Vorrà dire che ne<br />
farò a meno”. E ciò è uno spreco, spreco inflitto in maniera deliberata.<br />
La cosa interessante riguardo il software, naturalmente, è<br />
che quantità minore non significa doverne fare di meno. Se c’è<br />
meno gente che compra autovetture, se ne faranno di meno. C’è<br />
un risparmio. Nel costruire una macchina, esistono delle risorse<br />
da allocare o meno. Si può dire cioè che mettere un prezzo su<br />
un’autovettura sia qualcosa di positivo. Previene la gente dall’usare<br />
molte risorse sprecate per costruire macchine che non sono veramente<br />
necessarie. Ma se ogni ulteriore macchina non richiedesse<br />
alcuna risorsa, non ci sarebbe nulla di positivo nel risparmiarne la<br />
107
costruzione. Per gli oggetti materiali, come le autovetture, bisognerà<br />
sempre usare delle risorse per costruirne un altro, per ogni<br />
esemplare aggiuntivo.<br />
Ma ciò non vale per il software. Chiunque può farne una copia. Ed<br />
è talmente semplice farlo. Non occorre alcuna risorsa, eccetto un<br />
minimo di elettricità. Non c’è nulla che possiamo risparmiare, nessuna<br />
risorsa da allocare in maniera migliore imponendo un disincentivo<br />
economico sull’uso del software. Spesso si trova gente che<br />
prende le conseguenze di un ragionamento economico, basato su<br />
premesse inapplicabili al software, cercando di trapiantarle da altri<br />
ambiti della vita in cui si applicano quelle premesse, e le conclusioni<br />
possono essere valide. Non fanno altro che prendere tali conclusioni<br />
e ne assumono la validità anche per il software, quando<br />
invece l’argomento è basato sul nulla, nel caso del software. In tal<br />
caso le premesse non funzionano. È molto importante esaminare<br />
il modo in cui si raggiungono le conclusioni, e su quali premesse<br />
siano basate, per vedere se possano essere considerate valide o meno.<br />
Così, questa è la libertà due, la libertà di aiutare il vicino.<br />
La libertà tre è la libertà di aiutare a costruire la propria comunità<br />
tramite la pubblicazione di una versione migliorata del software.<br />
La gente mi diceva di solito, “Se il software è libero, allora nessuno<br />
verrà pagato per lavorarci sopra, perché mai qualcuno dovrebbe<br />
farlo?” Ovviamente facevano confusione tra i due diversi significati<br />
di ‘free’, tale ragionamento era basato su un’incomprensione<br />
di partenza. Ma in ogni caso questa era la loro teoria. Oggi possiamo<br />
confrontare tale teoria con dei fatti empirici, per constatare<br />
che centinaia di persone sono pagate per scrivere software libero,<br />
e oltre 100.000 lo fanno come volontari. Abbiamo un sacco di<br />
gente che lavora sul software libero, per motivi diversi.<br />
Quando diffusi per la prima volta GNU Emacs – il primo pezzo<br />
108
del sistema GNU che la gente prese davvero ad usare – e quando<br />
iniziò ad avere degli utenti, dopo qualche tempo, ricevetti un messaggio<br />
che diceva, “Credo di aver visto un bug nel codice sorgente,<br />
ed ecco qui come sistemarlo.” E poi arrivò un altro messaggio,<br />
“Questo è il codice per aggiungere una nuova funzione.” E poi un<br />
altro bug, e un’altra funzione nuova. E così via finché ne fui sommerso<br />
in maniera talmente rapida che stava diventando un lavoro<br />
enorme soltanto riuscire a usare tutto quest’aiuto. Microsoft<br />
non ha di questi problemi. [il pubblico ride]<br />
Alla fine, il fenomeno attirò l’attenzione generale. Negli anni ‘80<br />
parecchi di noi ritenevano che forse il software libero non sarebbe<br />
stato così efficace come il software non libero, perché non<br />
avremmo avuto denaro sufficiente per pagare la gente coinvolta.<br />
E naturalmente persone come il sottoscritto, a cui stanno a cuore<br />
la libertà e la comunità, dicevano: “Be’, useremo comunque il<br />
software libero.” Vale la pena di fare qualche sacrificio riguardo la<br />
mera convenienza tecnica in cambio della libertà. Ma quel che la<br />
gente iniziò a notare, verso il 1990, fu che il nostro software in<br />
realtà era migliore. Era più potente e più affidabile delle alternative<br />
proprietarie.<br />
All’inizio degli anni ‘90 qualcuno trovò il modo di misurare scientificamente<br />
l’affidabilità del software. Ecco cosa fece. Prese alcune<br />
serie diverse di programmi comparabili che eseguivano lavori<br />
analoghi – gli stessi identici lavori – su sistemi differenti. Ciò grazie<br />
all’esistenza di certe utilità di base simili a Unix. E i lavori eseguiti<br />
erano più o meno gli stessi – ovvero, seguivano le specifiche<br />
POSIX – in modo da essere identici in termini di risultati ottenuti;<br />
ma erano mantenuti da persone diverse, e scritti separatamente<br />
tra loro. Il codice era diverso. Così dissero, bene, prenderemo<br />
questi programmi e li faremo girare con dati a caso, e misu-<br />
109
eremo quanto spesso si bloccano o funzionano male. Lo misurarono,<br />
e la serie di programmi più affidabile fu quella GNU. Tutte<br />
le alternative commerciali, che erano software proprietario,<br />
risultarono meno affidabili. Così l’autore della ricerca la pubblicò<br />
e ne informò tutti gli sviluppatori. Qualche anno dopo ripeté lo<br />
stesso esperimento con versioni più recenti, e ottenne il medesimo<br />
risultato. Le versioni GNU si dimostrarono più affidabili.<br />
Sapete, ci sono cliniche per il cancro e i servizi del 911 6 che usano<br />
il sistema GNU, perché è così affidabile, e per loro l’affidabilità<br />
è decisamente importante.<br />
Comunque, c’è perfino un gruppo di persone che usa questo particolare<br />
vantaggio come motivazione principale nel consentire agli<br />
utenti di fare queste varie cose, di avere queste libertà. Se mi avete<br />
ascoltato, avrete notato come, parlando per il movimento del<br />
software libero, parli di questioni etiche, e di quale tipo di società<br />
vogliamo avere, su cos’è che rende positiva una società, come pure<br />
sui vantaggi pratici, materiali. Sono entrambi questioni importanti.<br />
Questo è il movimento del software libero.<br />
L’altro gruppo di persone – definito il movimento open source – cita<br />
soltanto tali vantaggi pratici. Negano che si tratti di una questione<br />
di principio. Negano il riconoscimento alla libertà di condividere<br />
con il proprio vicino e di vedere come funziona il programma<br />
e di modificarlo se non ci piace. Sostengono tuttavia l’utilità<br />
di consentire alla gente di fare tutto ciò. Così vanno dalle varie<br />
aziende e dicono loro, “Potete fare più soldi se consentite alla gente<br />
di fare ciò.” Quel che possiamo vedere, in un certo senso, è che<br />
spingono verso una direzione similare, ma per ragioni filosofiche<br />
fondamentalmente, totalmente diverse.<br />
6 In molte aree degli Stati Uniti il 911 è il numero telefonico per le chiamate<br />
d’emergenza.<br />
110
Sulla questione più profonda di tutte, quella etica, i due movimenti<br />
sono in disaccordo. Nel movimento del software libero<br />
diciamo, “L’utente ha diritto a queste libertà. Non dovrebbero<br />
impedirgli di fare queste cose.” Nel movimento open source dicono,<br />
“Si, possono impedirglielo se vogliono, ma cercheremo di convincerli<br />
a permettere all’utente di fare queste cose.” Be’, hanno<br />
dato un contributo – hanno convinto un certo numero di aziende<br />
a diffondere parti sostanziali di software come software libero<br />
nella nostra comunità. Il movimento open source ha contribuito<br />
in maniera sostanziale alla comunità, e lavoriamo insieme [a loro]<br />
su progetti pratici. Ma a livello filosofico esiste un disaccordo terribile.<br />
Purtroppo il movimento open source è quello che ottiene il sostegno<br />
della maggioranza dell’imprenditoria, e quindi la gran parte<br />
degli articoli sul nostro lavoro ci descrivono come open source, e<br />
parecchia gente ritiene parimenti in buona fede che facciamo tutti<br />
parte del movimento open source. Ecco perché insisto con questa<br />
distinzione. Voglio farvi notare che movimento del software<br />
libero, che ha creato questa comunità e ha sviluppato il sistema<br />
operativo libero, è ancora qui – e che continueremo a batterci per<br />
questa filosofia etica. Voglio farvelo sapere, in modo che non possiate<br />
informare erroneamente qualcun altro.<br />
Ma anche perché così potete riflettere sulle vostre stesse posizioni.<br />
Spetta a ciascuno di voi decidere quale movimento sostenere. Potete<br />
dichiararvi d’accordo con il movimento del software libero e<br />
con le mie osservazioni. Potete dichiararvi d’accordo con il movimento<br />
open source. Potete dichiararvi in disaccordo con entrambi<br />
i movimenti. Tocca a voi decidere da che parte stare su queste<br />
faccende politiche.<br />
Ma nel caso siate d’accordo con il movimento del software libero<br />
111
– se credete esista la questione della gente la cui vita è controllata<br />
e diretta da simili decisioni, e volete dire la vostra al riguardo –<br />
spero allora che vorrete dichiararvi d’accordo con il movimento<br />
del software libero, e un modo per dimostrarlo è usare il termine<br />
software libero (“free software”) e aiutare a informare gli altri della<br />
nostra esistenza.<br />
Allora, la libertà tre è molto importante a livello sia pratico sia psico-sociale.<br />
La mancanza di tale libertà provoca danno pratico e<br />
materiale, perché questa comunità di sviluppo non esisterebbe, e<br />
non potremmo avere software potente e affidabile. Ma ciò causa<br />
anche danno psico-sociale perché colpisce lo spirito della cooperazione<br />
scientifica – l’idea che stiamo lavorando insieme per l’avanzamento<br />
della conoscenza umana. Il progresso scientifico<br />
dipende in modo cruciale dalla capacità di lavorare insieme. Oggigiorno,<br />
tuttavia, ci si imbatte spesso in piccoli gruppi di ricercatori<br />
che operano come fossero in guerra con ogni altra banda di<br />
ricercatori e ingegneri. Ma se non condividono i dati a vicenda,<br />
rimangono tutti bloccati.<br />
Queste sono dunque le tre libertà che distinguono il software libero<br />
dal software comune. La libertà uno è la libertà di aiutare se<br />
stessi, operando i cambiamenti necessari alle proprie esigenze. La<br />
libertà due è la libertà di aiutare il proprio vicino distribuendo delle<br />
copie. E la libertà tre è la libertà di aiutare a costruire la propria<br />
comunità apportando delle modifiche e pubblicandole per l’uso<br />
altrui. Se esistono tutte queste libertà, il programma è software<br />
libero per chi lo usa. Ora, perché lo definisco in tal modo rispetto<br />
a un utente specifico? Si tratta forse di software libero per te?<br />
[indicando qualcuno tra il pubblico] È software libero per te?<br />
[indicando qualcun altro tra il pubblico] Oppure per te? [indicando<br />
una terza persona tra il pubblico] Sì?<br />
112
Domanda: Puoi illustrare meglio la differenza tra la libertà due e<br />
la tre?<br />
RMS: Be’, sono certamente correlate, perché non avendo affatto<br />
la libertà di ridistribuzione, sicuramente non si potrà avere quella<br />
di ridistribuirne una versione modificata, ma si tratta di attività<br />
diverse.<br />
La libertà due è: l’utente ne fa una copia esatta, e la passa agli amici,<br />
in modo che anche costoro possano farne uso. O forse ne fa<br />
delle copie identiche e le vende a un po’ di persone, e questi possono<br />
farne uso.<br />
La libertà tre riguarda i miglioramenti apportati dall’utente – o<br />
almeno, quelli che quest’ultimo ritiene tali e su cui anche altri si<br />
dichiarano d’accordo. Questa è la differenza. Ah, c’è anche un altro<br />
punto cruciale. Le libertà uno e tre dipendono dall’accesso al codice<br />
sorgente. Perché modificare un programma solo binario è estremamente<br />
difficile [il pubblico ride] – perfino cambiamenti stupidi<br />
come le quattro cifre per la data 7 – se non si hanno i sorgenti.<br />
Così per motivi impellenti, pratici, l’accesso al codice sorgente è<br />
una pre-condizione, un requisito, per il software libero.<br />
Perché allora definisco tale il software libero rispetto a un utente<br />
specifico? Il motivo è che talvolta uno stesso programma può essere<br />
software libero per qualcuno, e non libero per altri. Siccome<br />
questa potrebbe sembrare una situazione limite, vi farò un esempio<br />
così da chiarirne meglio le circostanze. Un grande esempio –<br />
forse il più grande possibile – di questo problema fu il sistema X<br />
Windows, sviluppato al MIT e diffuso sotto una licenza che lo<br />
7 Ci si riferisce qui al problema “Y2K”, dove molti vecchi programmi riportavano<br />
l’anno in due cifre; non era quindi chiaro se la data “00” indicasse il 2000 o il 1900, o<br />
qualsiasi altro anno che finiva in 00. Svariati milioni di dollari vennero spesi per<br />
riparare il problema in migliaia di sistemi informatici prima dell’anno 2000.<br />
113
ese software libero. La versione con la licenza del MIT offriva<br />
all’utente le libertà uno, due e tre. Per chi lo usava era software<br />
libero. Ma tra quanti ne ottennero delle copie c’erano alcuni produttori<br />
che distribuivano sistemi Unix, e vi apportarono le modifiche<br />
necessarie per farlo girare sui quei sistemi. Probabilmente tali<br />
modifiche interessavano appena qualche migliaio di righe su un<br />
totale di centinaia di migliaia di righe. Così lo compilarono, misero<br />
i file binari nel sistema Unix e lo distribuirono sotto gli stessi<br />
accordi di non divulgazione che coprono il resto del sistema Unix.<br />
E allora milioni di persone ottennero queste copie. Avevano il<br />
sistema X Windows, ma nessuna di queste libertà. Per quegli utenti<br />
non era software libero.<br />
Così, il paradosso fu che X era software libero a seconda da dove<br />
lo si misurava. Misurandolo tra il gruppo di sviluppatori, si diceva,<br />
“Io rispetto tutte queste libertà. È software libero.” Misurandolo<br />
tra gli utenti, si diceva “Hmmm, la maggioranza degli utenti<br />
non ha queste libertà. Non è software libero.” Per gli sviluppatori<br />
di X ciò non rappresentava un problema, poichè il loro obiettivo<br />
era semplicemente la popolarità – ego, sostanzialmente. Miravano<br />
a un grande successo professionale. Volevano sentirsi tipo,<br />
“Ah, c’è un sacco di gente che usa il nostro software.” Ed era vero.<br />
Molte persone usavano quel software ma non avevano libertà.<br />
Be’, nel progetto GNU, se qualcosa di simile fosse accaduto al<br />
software GNU, sarebbe stato un fallimento, perché il nostro obiettivo<br />
non era soltanto diventare popolari; lo scopo era dare libertà<br />
alla gente, e incoraggiare la cooperazione, consentire alla gente di<br />
cooperare. Ricordiamolo, non bisogna costringere mai nessuno a<br />
cooperare con qualcun altro, ma occorre assicurarsi che a chiunque<br />
sia consentito cooperare, che tutti abbiano la libertà di farlo,<br />
se così decidono. Se milioni di persone avessero usato le versioni<br />
114
non libere di GNU, ciò non sarebbe stato affatto un successo. L’intera<br />
situazione sarebbe scaduta in qualcosa di ben lontano dalla<br />
meta.<br />
Così mi misi alla ricerca di un modo per impedire ciò. Il metodo<br />
che misi a punto è definito “copyleft”. Viene chiamato copyleft<br />
(permesso d’autore) perché è qualcosa di simile a prendere il copyright<br />
(diritto d’autore) e rigirarlo sottosopra. [il pubblico ride] A<br />
livello legale, il copyleft funziona sulla base del copyright. Usiamo<br />
le attuali leggi sul copyright ma in modo tale da raggiungere un<br />
obiettivo molto diverso. Ecco cosa facciamo. Diciamo, “Questo<br />
programma è sotto copyright.” E naturalmente ciò significa per<br />
definizione che ne è vietata la copia, la distribuzione o la modifica.<br />
Ma poi diciamo, “L’utente è autorizzato a distribuirne delle<br />
copie. L’utente è autorizzato a modificarlo. L’utente è autorizzato<br />
a distribuirne versioni modificate e versioni ampliate. Può modificarlo<br />
in qualsiasi modo voglia”.<br />
Esiste però una condizione. E la condizione, ovviamente, è il motivo<br />
per cui ci siamo dati la pena di fare tutto ciò, in modo da poter<br />
aggiungere tale condizione. La condizione recita: Ogni volta che<br />
l’utente distribuisce qualunque cosa che contenga una parte qualsiasi<br />
di questo programma, quell’intero programma deve essere<br />
distribuito sotto gli stessi termini, niente di più e niente di meno.<br />
L’utente può cambiare il programma e distribuirne una versione<br />
modificata, ma quando lo fa, a quanti lo ricevono dall’utente spetta<br />
la medesima libertà che abbiamo dato a tale utente. E non soltanto<br />
per le parti che quest’ultimo ha copiato dal nostro programma,<br />
ma anche per le altre parti di tale programma che gli altri<br />
hanno ricevuto dallo stesso utente. Per coloro che lo ricevono, il<br />
programma nella sua interezza deve essere libero.<br />
Le libertà di cambiare e ridistribuire questo programma diventano<br />
115
diritti inalienabili – un concetto derivato dalla Dichiarazione d’Indipendenza<br />
statunitense. Diritti che vogliamo esser certi non vengano<br />
portati via all’utente. La licenza specifica che dà corpo all’idea<br />
di copyleft è la Licenza Pubblica Generica GNU (GNU GPL),<br />
una licenza controversa perché in realtà possiede la forza di dire no<br />
a coloro che vorrebbero fare i parassiti della nostra comunità.<br />
Ci sono molte persone che non apprezzano gli ideali di libertà. E<br />
sarebbero molto contente di prendere il lavoro che abbiamo fatto<br />
per usarlo come spinta d’avvio nella distribuzione di un programma<br />
non libero e nell’allettare la gente a rinunciare alle proprie<br />
libertà. Il risultato sarebbe – se consentiamo alla gente di farlo<br />
– che dopo aver sviluppato questi programmi liberi, dovremmo<br />
costantemente competere con le versioni migliorate dei nostri<br />
stessi programmi. Nient’affatto divertente.<br />
Molta gente chiede anche, “Vorrei offrire il mio tempo per contribuire<br />
senza compenso alla comunità, ma perché dovrei offrire volontariamente<br />
il mio tempo per contribuire a migliorare il programma<br />
proprietario di quell’azienda?” Qualcuno potrebbe perfino non ritenere<br />
che ciò sia un male, ma vogliono essere pagati per un simile<br />
lavoro. Personalmente, preferisco piuttosto non farlo affatto.<br />
Tuttavia entrambi questi gruppi di persone – quelli come me che<br />
dicono, “Non voglio aiutare i programmi non liberi a mettere un<br />
piede nella nostra comunità”, e quelli che sostengono, “Certo, sono<br />
disposto a lavorare per loro, ma voglio essere pagato” – hanno una<br />
buona ragione per usare la Licenza Pubblica Generica GNU. Perché<br />
questa dice a ogni azienda, “Non puoi soltanto appropriarti del<br />
mio lavoro, e distribuirlo senza la libertà.” Mentre ciò viene consentito<br />
dalle licenze non copyleft, come quella per X Windows.<br />
Questa dunque è la grande divisione tra le due categorie di software<br />
libero, a livello di licenza. Ci sono programmi sotto copyleft in<br />
116
modo che la licenza tuteli la libertà del software per ciascun utente.<br />
E ci sono i programmi non coperti da copyleft per i quali sono<br />
permesse versioni non libere. Qualcuno può prendere questi ultimi<br />
programmi e strapparne via la libertà. L’utente può ricevere<br />
quel programma in una versione non libera.<br />
Questo problema esiste ancor oggi. Ci sono ancora versioni non<br />
libere di X Windows usate sui nostri sistemi operativi liberi. C’è<br />
perfino dell’hardware che non è veramente supportato eccetto che<br />
da una versione non libera di X Windows. E questo è un problema<br />
importante per la nostra comunità. Ciò nonostante non definirei<br />
negativamente X Windows. Direi che gli sviluppatori non<br />
operarono al meglio. Ma diffusero comunque parecchio software<br />
che tutti noi possiamo usare.<br />
C’è molta differenza tra meno che perfetto e negativo. Esistono<br />
molte gradazioni tra bene e male. Dobbiamo resistere alla tentazione<br />
di dire, se qualcuno non ha fatto la cosa assolutamente<br />
migliore possibile, che è tutto negativo. Le persone che hanno sviluppato<br />
X Windows hanno fornito un grande contributo alla<br />
comunità. Ma avrebbero potuto fare qualcosa di meglio. Avrebbero<br />
potuto mettere sotto copyleft alcune parti del programma<br />
onde prevenire l’ulteriore distribuzione di quelle versioni che<br />
negavano la libertà.<br />
Ora, il fatto che la Licenza Pubblica Generica GNU difenda la<br />
libertà dell’utente, ricorrendo alle leggi sul copyright per tutelare<br />
la libertà dell’utente, è naturalmente il motivo per cui oggi Microsoft<br />
ci attacca. Microsoft vorrebbe davvero riuscire a prendere tutto<br />
il codice che scriviamo e metterlo in programmi proprietari,<br />
qualcuno poi gli apporterà qualche miglioria... o forse tutto ciò di<br />
cui hanno bisogno è soltanto qualche modifica incompatibile [il<br />
pubblico ride].<br />
117
Con la potenza del marketing, Microsoft non deve migliorarlo per<br />
far sì che la propria versione soppianti la nostra. Gli basta renderlo<br />
diverso e incompatibile. E poi metterlo sulla scrivania di tutti<br />
gli utenti. Perciò non gradiscono affatto la GNU GPL. Perché questa<br />
non consente loro di fare così. La GNU GPL non permette di<br />
“abbracciare ed estendere.” Dice, se l’utente vuole condividere il<br />
codice dei suoi programmi, può farlo. Ma deve condividere, e condividere<br />
allo stesso modo. Ogni cambiamento fatto dall’utente<br />
dev’essere parimenti condiviso da tutti noi. Si tratta cioè di una<br />
cooperazione a due canali, che è poi la vera cooperazione.<br />
Molte aziende – anche quelle grandi tipo IBM e Hewlett-Packard<br />
– hanno deciso di usare il nostro software su queste basi. IBM e<br />
Hewlett-Packard hanno offerto miglioramenti sostanziali al<br />
software GNU. E sviluppano altro software libero. Ma Microsoft<br />
non vuole farlo, rinunciando così a ogni attività commerciale che<br />
abbia a che fare con la GPL. Be’, se tale attività non includesse<br />
IBM, Hewlett-Packard e Sun, allora forse avrebbero ragione [il<br />
pubblico ride]. Ne parleremo meglio più avanti.<br />
Vorrei concludere l’aspetto storico. Siamo partiti nel 1984 non soltanto<br />
per scrivere software libero ma anche per fare qualcosa di molto<br />
più coerente: sviluppare un sistema operativo che fosse interamente<br />
software libero. Ciò significava che avremmo dovuto scriverne<br />
un pezzo dopo l’altro. Naturalmente eravamo sempre alla<br />
ricerca di scorciatoie. Un compito talmente vasto che la gente sosteneva<br />
che non saremmo mai stati capaci di portarlo a termine. Io<br />
ritenevo che avevamo almeno una possibilità di completarlo, ma<br />
ovviamente valeva la pena di cercare delle scorciatoie. Così continuavamo<br />
a guardarci intorno. Esistevano programmi scritti da altri<br />
che avremmo potuto maneggiare in modo da adattarli, da inserirli<br />
qui dentro, e in tal modo evitare di doverli scrivere partendo da<br />
118
zero? Ad esempio, il sistema X Windows. È vero che non era sotto<br />
copyleft, ma era software libero, quindi potevamo usarlo.<br />
Ora, fin dal primo giorno avrei voluto mettere un sistema a finestre<br />
all’interno di GNU. Avevo scritto un paio di sistemi a finestra<br />
al MIT, prima di iniziare GNU. E così pur se nel 1984 Unix<br />
non aveva un sistema a finestre, decisi che GNU l’avrebbe avuto.<br />
Ma non arrivammo mai a scrivere un sistema a finestre GNU perché<br />
arrivò X. E allora feci: “Ottimo! Un grosso lavoro che non dobbiamo<br />
fare. Useremo X.” Dissi, prendiamo X e inseriamolo nel<br />
sistema GNU. E faremo in modo che le altri parti di GNU operino<br />
bene con X, quando necessario. Poi trovammo nuovi pezzi di<br />
software scritti da altri, come il formattatore di testi TeX, e qualche<br />
codice di libreria da Berkeley. A quei tempi esisteva Berkeley<br />
Unix, ma non era software libero. Inizialmente questo codice di<br />
libreria veniva da un gruppo diverso a Berkeley, che faceva ricerche<br />
sul punto di fluttuazione. Così mettemmo insieme questi pezzi.<br />
Nell’ottobre 1985 fondammo la Free Software Foundation. È il<br />
caso di notare che fu il progetto GNU a venire prima. La Free<br />
Software Foundation arrivò almeno due anni dopo l’annuncio del<br />
progetto GNU. La Free Software Foundation è un ente senza fini<br />
di lucro che raccoglie fondi per promuovere la libertà di condividere<br />
e modificare il software. Negli anni ‘80 una delle cose più<br />
importanti che facemmo con i fondi raccolti fu assumere gente<br />
per scrivere parti di GNU. E programmi essenziali, quali la shell<br />
e la libreria C, vennero scritti in questo modo, come pure parti di<br />
altri programmi. Il programma tar, che è assolutamente essenziale,<br />
pur se nient’affatto eccitante [il pubblico ride], è stato scritto<br />
in questo modo. Credo lo stesso valga anche per il grep GNU. E<br />
così ci avvicinavamo alla meta prefissata.<br />
Nel 1991 mancava soltanto un pezzo importante, si trattava del<br />
119
kernel. Ora, perché lasciai da parte il kernel? Probabilmente perché<br />
non importa granché in quale ordine si integrano i vari pezzi,<br />
almeno a livello tecnico non importa. Devi comunque farli tutti.<br />
E in parte perché speravo che saremmo partiti da un kernel trovato<br />
da qualche parte. E così fu. Trovammo Mach, che era stato sviluppato<br />
alla Carnegie Mellon. Non era il kernel intero, solo la metà<br />
inferiore. Dovevamo perciò scrivere quella superiore; cose tipo il<br />
file system, il codice di rete, e così via. Ma quelli che girano su Mach<br />
sono essenzialmente programmi per utenti, i cui bug devono risultare<br />
facili da sistemare. Il debug si può fare contemporaneamente<br />
con un vero debugger a livello di codice. Credevo che in tal modo<br />
avremmo potuto fare in tempi brevi le parti di alto livello del kernel.<br />
Non andò così. Questi processi asincroni e plurilivelli, l’invio<br />
di messaggi tra di noi, si dimostrarono molto difficili per il debug.<br />
E il sistema basato sul Mach che usavamo aveva un terribile<br />
ambiente per il debug, ed era inaffidabile. Impiegammo anni e anni<br />
per far funzionare il kernel GNU.<br />
Ma fortunatamente la comunità non doveva aspettare il kernel<br />
GNU. Perché nel 1991 Linus Torvalds sviluppò un altro kernel<br />
libero, chiamato Linux. Usò il buon vecchio progetto monolitico<br />
e accadde che il suo funzionò in tempi molto più rapidi del nostro.<br />
Forse questo fu uno degli errori che commisi: la decisione progettuale.<br />
Comunque, all’inizio non sapevamo nulla di Linux, perché<br />
Torvalds non ci contattò mai per parlarne, pur sapendo dell’esistenza<br />
del progetto GNU.<br />
Ma l’annunciò ad altre persone e altrove in rete. E poi qualcun<br />
altro si occupò di integrare Linux con il resto del sistema GNU,<br />
arrivando a completare il sistema operativo libero. Sostanzialmente,<br />
realizzando la combinazione GNU più Linux.<br />
Ma non avevano capito che era questo che stavano facendo. Dice-<br />
120
vano, “Abbiamo un kernel – guardiamoci intorno per vedere quali<br />
altri pezzi possiamo trovare da mettere insieme al kernel.” Così<br />
si guardarono intorno, ed ecco che tutto ciò di cui avevano bisogno<br />
era già disponibile. “Che bella fortuna,” andavano dicendo.<br />
[il pubblico ride] “È tutto bell’e pronto. Possiamo trovare tutto<br />
quanto ci occorre. Basta prendere tutte queste cose diverse e metterle<br />
insieme per avere un sistema.”<br />
Non sapevano che la maggior parte di quanto trovarono erano pezzi<br />
del sistema GNU. Così non si accorsero che stavano integrando<br />
Linux nel varco del sistema GNU. Credevano di star costruendo<br />
un sistema derivante direttamente da Linux. Perciò lo chiamarono<br />
Linux. [Qualcuno tra il pubblico chiede] “Ma si tratta<br />
forse di maggior fortuna che trovare il sistema X Windows e<br />
Mach?” [Stallman replica e poi prosegue] Giusto. La differenza sta<br />
nel fatto che gli sviluppatori di X e Mach non avevano l’obiettivo<br />
di fare un sistema operativo libero completo. Eravamo soltanto<br />
noi a volerlo fare. E il sistema esisteva grazie al nostro tremendo<br />
lavoro. In realtà noi facemmo la parte più ampia del sistema rispetto<br />
a qualsiasi altro progetto. Non si trattò di una coincidenza, perché<br />
quella gente scrisse utili parti del sistema. Ma non lo fecero<br />
perché volevano completare il sistema. Avevano altri motivi.<br />
Quanti svilupparono X ritenevano che realizzare un sistema a finestre<br />
tramite la rete fosse un buon progetto, e lo era. E accadde che ci<br />
fu d’aiuto nel realizzare un buon sistema operativo libero. Ma non è<br />
quanto speravano quegli sviluppatori. Non ci pensavano neppure.<br />
Fu un incidente. Un incidente benefico. Non sto sostenendo che<br />
quanto fecero fosse mal fatto. Portarono a termine un ampio progetto<br />
di software libero. Un’ottima cosa da fare. Ma non avevano una<br />
visione complessiva. Fu il progetto GNU a incarnare tale visione.<br />
E così noi riuscimmo a fare ogni piccolo pezzo che non aveva fat-<br />
121
to nessun altro. Perché sapevamo che senza questi pezzi non<br />
avremmo avuto un sistema completo. E pur essendo totalmente<br />
noioso e poco romantico, come tar o mv 8 [il pubblico ride], lo<br />
facemmo.<br />
Oppure ld – sapete, non c’è nulla di eccitante in ld, ma io ne ho<br />
scritto uno [il pubblico ride]. E mi sono sforzato per far sì che<br />
occupasse una quantità minima di disco I/O in modo da poter<br />
essere più veloce e gestire programmi più ampi. Mi piace fare un<br />
buon lavoro; mi piace migliorare varie cose nel programma mentre<br />
ci lavoro su. Ma la ragione per cui lo feci non era che avessi<br />
delle idee per un ld migliore. Il motivo per cui lo feci era che avevamo<br />
bisogno di una versione che fosse libera. E non potevamo<br />
aspettarci che lo facesse qualcun altro. Dovevamo farlo noi, o trovare<br />
qualcuno che lo facesse. Così, nonostante a questo punto sono<br />
migliaia le persone e i progetti che hanno contribuito a questo<br />
sistema, c’è un progetto alla base dell’esistenza stessa di tale sistema,<br />
ed è il progetto GNU. Sostanzialmente si tratta del sistema<br />
GNU con altre cose aggiunte in seguito.<br />
La pratica di chiamare il sistema Linux è stato un grave colpo per<br />
il progetto GNU, perché normalmente non si riconosce a qualcuno<br />
quel che non ha fatto. Credo che Linux, il kernel, sia un pezzo<br />
di software libero assai utile, e ho soltanto cose buone da dire<br />
al riguardo. In realtà, avrei un paio di cattiverie da dire su Linux.<br />
[il pubblico ride] Ma in sostanza ho apprezzamenti positivi. Tuttavia,<br />
la pratica di definire il sistema GNU con “Linux” è proprio<br />
un errore. Vorrei pregarvi di compiere il piccolo sforzo necessario<br />
per chiamare il sistema GNU/Linux, aiutandoci così ad ottenere<br />
parte del riconoscimento.<br />
[Qualcuno tra il pubblico urla] “Vi serve una mascotte! Trova un<br />
8 Un semplice programma per spostare o rinominare i file.<br />
122
animale di peluche!” [Stallman risponde] Ne abbiamo uno. [La<br />
persona replica] “E qual’è?” [Stallman risponde, provocando grandi<br />
risate] Abbiamo un animale, lo gnu. Giusto, quando disegnate<br />
un pinguino metteteci anche uno gnu di fianco. Ma conserviamo<br />
le domande per la fine. Devo parlare di altre cose.<br />
Perché dunque mi preoccupo di questa faccenda? Perché credo valga<br />
la pena di disturbarvi e forse farvi una cattiva impressione [il<br />
pubblico ride] sollevando la questione del riconoscimento? Quando<br />
lo faccio, qualcuno ritiene che è per soddisfare il mio ego, vero?<br />
Naturalmente non vi sto chiedendo di chiamarlo “Stallmanix”,<br />
giusto? [il pubblico ride] [applausi]<br />
Vi chiedo di chiamarlo GNU perché voglio che il progetto GNU<br />
ottenga il giusto riconoscimento. E c’è un motivo specifico per<br />
questo, che è molto più importante del riconoscimento per chicchessia,<br />
in e per se stesso. Oggigiorno guardandosi intorno nella<br />
nostra comunità la maggior parte della gente ne parla e ne scrive<br />
senza mai menzionare GNU, e non citano mai neppure questi<br />
obiettivi di libertà – questi concetti politici e sociali. Perché il luogo<br />
da cui arrivano tali concetti è GNU. Le idee associate con<br />
Linux, la loro filosofia è molto diversa. Praticamente è la filosofia<br />
apolitica di Linus Torvalds. Così, quando si ritiene che l’intero<br />
sistema sia Linux, si tende a pensare: “Oh, tutto dev’essere stato<br />
iniziato da Linus Torvalds. La sua filosofia è quella che dovremmo<br />
considerare con attenzione.” E quando sentono parlare della<br />
filosofia GNU, dicono: “Ma ciò è così idealista, dev’essere terribilmente<br />
impraticabile. Io sono un utente Linux, non un utente<br />
GNU.” [il pubblico ride]<br />
Com’è ironico! Se soltanto sapessero! Se sapessero che il sistema<br />
che piace loro – o, in alcuni casi, che amano e di cui vanno pazzi<br />
– è la nostra filosofia idealista, politica resa in concreto.<br />
123
Non sarebbero comunque d’accordo con noi. Ma almeno vedrebbero<br />
un motivo per prenderla sul serio, per rifletterci con attenzione,<br />
per darle una possibilità. Vedrebbero come ciò sia in relazione<br />
con la propria vita. Se si rendessero conto, “Uso il sistema<br />
GNU. Ecco la filosofia GNU. Questa filosofia è la ragione per l’esistenza<br />
stessa del sistema che mi piace così tanto,” quantomeno<br />
lo considererebbero con mente più aperta. Ciò non significa che<br />
sarebbero tutti d’accordo. La gente pensa in modo diverso. Va bene<br />
così – ciascuno dovrebbe ragionare con la propria testa. Ma voglio<br />
che questa filosofia ottenga il beneficio del riconoscimento per i<br />
risultati raggiunti.<br />
Guardandosi intorno nella comunità, si noterà che quasi ovunque<br />
le istituzioni definiscono il sistema Linux. Per lo più i giornalisti lo<br />
chiamano Linux. Non è corretto, ma lo fanno. Lo stesso dicasi per<br />
le varie aziende che impacchettano il sistema. E gran parte di quei<br />
giornalisti, quando scrivono degli articoli, generalmente non la considerano<br />
una questione politica o sociale. Normalmente parlano di<br />
una faccenda puramente commerciale o di quali aziende avranno<br />
più o meno successo, che in realtà è una questione decisamente<br />
minore per la società. E se consideriamo le aziende che impacchettano<br />
il sistema GNU/Linux per l’utenza, be’, la maggioranza lo chiama<br />
Linux. E tutte vi aggiungono software non libero.<br />
La GNU GPL dice che se si prende del codice, e si tratta di codice<br />
da un programma coperto dalla GPL, e vi si aggiunge altro codice<br />
per fare un programma più ampio, quest’ultimo va diffuso nella<br />
sua interezza sotto la GPL. Ma si possono mettere altri programmi<br />
separati su uno stesso disco (hard disk o CD) e questi possono<br />
avere altre licenze. Ciò viene considerata una mera aggregazione<br />
e, sostanzialmente, la semplice distribuzione contemporanea<br />
di due programmi è qualcosa su cui non abbiamo nulla da<br />
124
dire. Perciò non è vero – talvolta vorrei lo fosse – che se un’azienda<br />
usa un programma coperto dalla GPL all’interno di un prodotto<br />
questo debba essere completamente software libero. Non è<br />
così, non raggiunge quest’ampiezza, questo scopo. Si tratta dell’intero<br />
programma. Se ci sono due programmi separati che comunicano<br />
tra loro a distanza ravvicinata, tipo inviandosi messaggi a<br />
vicenda, allora sono legalmente separati, in generale. Queste aziende,<br />
quando aggiungono al sistema software non libero, danno agli<br />
utenti un’idea molto sbagliata, a livello filosofico e politico. Dicono<br />
loro, “È bene usare software non libero. Lo mettiamo perfino<br />
qui in aggiunta.”<br />
Se diamo un’occhiata alle riviste sull’uso del sistema GNU/Linux,<br />
in maggioranza hanno titoli quali “Linux qualcosa-o-qualcos’altro”.<br />
La maggior parte delle volte definiscono il sistema Linux. E<br />
sono zeppe di annunci di software non libero che si può far girare<br />
sul sistema GNU/Linux. Questi annunci suggeriscono un messaggio<br />
comune. Dicono: “Il software non libero è un bene per l’utente.<br />
A tal punto che puoi persino pagare per averlo.” [il pubblico<br />
ride]<br />
E li chiamano “pacchetti a valore aggiunto”, il che ne rivela i valori.<br />
Questa gente dice: Date valore alla convenienza pratica, non<br />
alla libertà. Io non sono d’accordo con questi valori, per cui li chiamo<br />
“pacchetti a libertà sottratta.” [il pubblico ride] Perché, avendo<br />
installato un sistema operativo libero, allora si vive nel mondo<br />
libero. Si apprezzano i benefici della libertà su cui abbiamo lavorato<br />
per anni onde garantirli all’utente. Quei pacchetti offrono<br />
invece la possibilità di legarsi a una catena.<br />
Se poi consideriamo le mostre specializzate dedicate all’uso del<br />
sistema GNU/Linux, le chiamano tutte “Linux”. E sono piene di<br />
stand che espongono software non libero, sostanzialmente ponen-<br />
125
do il timbro d’approvazione sul software non libero. Così, quasi<br />
ovunque si guardi nella comunità, le istituzioni appoggiano il<br />
software non libero, negando completamente quell’idea di libertà<br />
per cui fu sviluppato GNU. L’unico ambito in cui ci si imbatte<br />
con l’idea di libertà è in connessione con GNU, e in connessione<br />
con il software libero, il termine software libero. Ecco perché vi<br />
chiedo: Per favore chiamate il sistema GNU/Linux. Per favore fate<br />
sapere alla gente da dove arriva e perché esiste quel sistema.<br />
Naturalmente, il solo uso di quel nome non significa offrirne una<br />
spiegazione storica. Si possono inserire altri quattro caratteri e scrivere<br />
GNU/Linux; si possono dire due sillabe aggiuntive. Ma<br />
GNU/Linux contiene meno sillabe di Windows 2000 [il pubblico<br />
ride]. Non si spiega granché agli altri, ma li si prepara a saperne<br />
di più su cos’è GNU, e così vedranno come sia collegato a loro<br />
e alla propria vita. E ciò, indirettamente, può fare una differenza<br />
tremenda. Per favore dateci una mano.<br />
Avrete notato come Microsoft abbia definito la GPL una “licenza<br />
open source.” Non vogliono che la gente consideri la questione<br />
in termini di libertà. Si scopre che invitano la gente a pensare<br />
in maniera ristretta, in quanto consumatori, e naturalmente a pensare<br />
neppure molto razionalmente in quanto tali, se si apprestano<br />
a scegliere prodotti Microsoft. Ma non vogliono che la gente pensi<br />
in quanto cittadini o uomini di stato. Ciò risulterebbe avverso<br />
per loro. Almeno è avverso al loro attuale modello commerciale.<br />
Ora, come fa il software libero... be’, potrei illustrarvi la relazione tra<br />
software libero e società. Un argomento secondario che potrebbe interessare<br />
alcuni di voi è la relazione tra software libero e imprenditoria.<br />
In effetti, il software è tremendamente utile per l’imprenditoria.<br />
Dopo tutto, nei paesi avanzati la maggioranza delle aziende fa uso<br />
di software. Soltanto una minima parte lo sviluppa.<br />
126
E il software libero è tremendamente vantaggioso per qualsiasi<br />
azienda che fa uso di software, perché significa esserne in controllo.<br />
Praticamente software libero significa che gli utenti sono in controllo<br />
di quello che fa il programma. Sia individualmente, se si<br />
vuole esserlo, sia collettivamente, quando si vuole esserlo. Chiunque<br />
abbia motivo sufficiente per farlo, può esercitare qualche<br />
influenza. Se non t’importa granché, non lo compri. Allora usi<br />
quel che preferiscono gli altri. Ma se la cosa ti preme, allora puoi<br />
dire la tua. Con il software proprietario, sostanzialmente non hai<br />
voce in capitolo.<br />
Con il software libero l’utente può modificare quel che vuole. E<br />
non importa se in azienda non ci sono programmatori, va bene<br />
così. Se si vogliono spostare le pareti di casa, non occorre essere<br />
una ditta di costruzioni. Basta trovarne una e chiedere, “Quanto<br />
volete per fare questo lavoro?” Volendo cambiare qualcosa nel<br />
software che si usa, non occorre essere un’azienda di programmazione.<br />
Basta trovarne una e chiedere “Quanto volete per implementare<br />
queste funzioni? E quando potreste occuparvene?” E se<br />
non possono farlo, si cerca qualcun altro.<br />
Per l’assistenza c’è il mercato libero. Perciò ogni azienda interessata<br />
al supporto troverà un vantaggio tremendo nel software libero.<br />
Con il software proprietario il supporto è un monopolio, perché<br />
è una sola azienda ad avere il codice sorgente – o forse un piccolo<br />
numero di aziende che pagano un’esorbitante somma di<br />
denaro per avere il codice sorgente, se si tratta dei sorgenti condivisi<br />
di un programma Microsoft – ma sono ben poche. Non esistono<br />
molte possibili fonti di assistenza per l’utente. E ciò significa<br />
che, a meno che non si tratti un vero gigante industriale, non<br />
si curano di quell’utente. L’azienda di costui non è abbastanza<br />
importante perché possano preoccuparsi delle sue perdite com-<br />
127
merciali. Una volta che l’utente usa il programma, lo ritengono<br />
incastrato nel dover chiedere loro il supporto, perché passare a un<br />
programma diverso è un lavoro gigantesco. Così si finisce con cose<br />
tipo pagare per il privilegio di segnalare un bug. E dopo aver pagato,<br />
dicono all’utente, “Bene, abbiamo preso nota della segnalazione.<br />
Nel giro di qualche mese potrai comprare l’aggiornamento<br />
e vedrai se l’abbiamo sistemato o meno.” [il pubblico ride]<br />
I fornitori di assistenza per il software libero non possono cavarsela<br />
così facilmente. Devono mostrarsi gentili con il cliente. Ovviamente<br />
si può anche ottenere un sacco di supporto gratis. Basta spiegare<br />
il problema in un messaggio su Internet. Può darsi che il giorno<br />
seguente si ottenga una risposta. Ma naturalmente non è affatto<br />
garantito. Per esserne certi, meglio mettersi d’accordo con un’azienda<br />
e pagarla. E questo è, naturalmente, uno dei modi in cui<br />
funziona l’attività commerciale legata al software libero.<br />
Un altro vantaggio del software libero per l’imprenditoria che fa<br />
uso di software riguarda la sicurezza e la privacy. Vedete, quando<br />
un programma è proprietario, è impossibile perfino dire come<br />
opera in concreto.<br />
Potrebbe avere delle funzioni inserite deliberatamente che non<br />
piacciono all’utente, qualora ne fosse informato. Potrebbe avere<br />
ad esempio una back door onde consentire allo sviluppatore di<br />
accedere alla macchina dell’utente. Potrebbe spiare quanto si sta<br />
facendo e ridistribuire queste informazioni. Non è insolito.<br />
Qualche software Microsoft lo faceva. Ma non è soltanto Microsoft.<br />
Esistono altri programmi proprietari che spiano l’utente. E<br />
quest’ultimo non può neppure dire se ciò avvenga o meno. Naturalmente<br />
anche assumendo la completa onestà dello sviluppatore,<br />
ogni programmatore compie degli errori. Potrebbero esserci<br />
dei bug relativi alla sicurezza di cui nessuno ha colpa. Ma il pun-<br />
128
to è: se non è software libero, l’utente non può trovarli. E non<br />
può sistemarli.<br />
Nessuno ha il tempo di verificare i sorgenti di ogni programma<br />
che usa. Non lo fa nessuno. Ma con il software libero esiste<br />
un’ampia comunità, e al suo interno c’è gente che controlla queste<br />
cose. Si può trarre vantaggio da quest’attività, perché se c’è<br />
un bug accidentale, ce ne sono di sicuro, di tanto in tanto, in<br />
ogni programma, qualcuno può trovarlo e sistemarlo. Ed è meno<br />
probabile che la gente ci metta dentro apposta un Trojan horse,<br />
o una funzione per spiare, se pensano di poter essere beccati. Gli<br />
sviluppatori di software proprietario sanno di non poter essere<br />
colti in flagrante. Possono farla franca senza che nessuno lo noti.<br />
Ma uno sviluppatore di software libero deve tener conto che la<br />
gente verificherà il codice e vedrà cosa c’è. Nella nostra comunità,<br />
sentiamo che è impossibile farla franca nel forzare una funzione<br />
nella gola degli utenti se questi non la gradiscono. Sappiamo<br />
che se agli utenti non piace, ne faranno una versione<br />
modificata priva di tale funzione. E poi prenderanno tutti ad<br />
usare questa versione.<br />
Anzi, possiamo tutti ragionarci su, possiamo tutti prevedere ciò<br />
abbastanza in anticipo che probabilmente non inseriremo quella<br />
funzione. Dopo tutto, si tratta di scrivere un programma libero;<br />
voglio che alla gente piaccia la mia versione; non voglio metterci<br />
qualcosa che molte persone finiranno per odiare, e vedere un’altra<br />
versione modificata prendere il posto della mia. Così ci si rende<br />
conto che nel mondo del software libero l’utente è il re. Nel<br />
mondo del software proprietario, il cliente non è il re. Perché non<br />
è altro che un cliente. Non ha alcuna voce in capitolo nel software<br />
che usa.<br />
In tal senso, il software libero è un nuovo meccanismo per far ope-<br />
129
are la democrazia. Il professor Lessig, 9 ora a Stanford, ha fatto<br />
notare che il codice opera come una specie di legislazione.<br />
Chiunque riesca a scrivere quel codice che viene usato praticamente<br />
da tutti per ogni scopo e intento, sta scrivendo le leggi che<br />
gestiscono la vita della gente. Con il software libero, tali leggi vengono<br />
scritte in maniera democratica. Non la forma classica di<br />
democrazia – non abbiamo grandi elezioni e cose tipo, “Tutti<br />
devono votare su come fare questa funzione” [il pubblico ride].<br />
Invece diciamo, praticamente, quelli tra voi che vogliono lavorare<br />
all’implementazione della funzione in questo modo, procedano<br />
pure. E se qualcuno vuole lavorare all’implementazione della<br />
funzione in quell’altro modo, lo faccia. In un modo o nell’altro la<br />
cosa viene realizzata. E se parecchia gente la vuole in questo o quel<br />
modo, è così che viene fatta. Tutti contribuiscono alla decisione<br />
sociale compiendo semplicemente dei passi nella direzione che ciascuno<br />
preferisce.<br />
E ognuno è libero di fare tanti passi quanti se ne vuole, a livello<br />
personale. Un’azienda è libera di commissionare a qualcuno i passi<br />
che ritiene utile compiere. E dopo aver aggiunto tutte queste<br />
cose, ciò indica la direzione in cui sta andando il software.<br />
Spesso torna molto utile poter prendere dei pezzi da un programma<br />
già esistente – presumibilmente pezzi alquanto ampi, in genere<br />
– e poi scrivere in proprio una certa quantità di codice, onde<br />
avere un programma che fa esattamente quanto ci occorre, che<br />
costerebbe una gamba e un braccio da sviluppare nel caso bisognasse<br />
scriverlo da zero, se non fosse possibile cannibalizzare ampie<br />
porzioni da qualche pacchetto di software libero preesistente.<br />
Un’altra cosa derivante dal fatto che l’utente è il re, è che si tende<br />
ad essere molto precisi rispetto a commutabilità e standardizza-<br />
9 Lawrence Lessig ha scritto l’introduzione al volume originale inglese.<br />
130
zione. Perché? Perché è quel che piace agli utenti. È probabile che<br />
gli utenti rifiutino un programma che presenti incompatibilità<br />
inutili. Talvolta c’è un determinato gruppo di utenti che ha davvero<br />
bisogno di un certo tipo di incompatibilità, e allora l’avranno.<br />
A posto così. Ma quando gli utenti vogliono aderire a uno<br />
standard, noi sviluppatori dobbiamo seguirlo, e lo sappiamo. Al<br />
contrario, se osserviamo gli sviluppatori di software proprietario,<br />
spesso trovano vantaggioso il fatto di non seguire deliberatamente<br />
uno standard, e non perché ritengano in tal modo di offrire un<br />
vantaggio all’utente, ma piuttosto perché così s’impongono all’utente,<br />
lo incastrano. E si scopre perfino che di tanto in tanto apportano<br />
modifiche al formato dei file, soltanto per costringere la gente<br />
a dotarsi della versione più recente.<br />
Gli archivisti 10 si stanno confrontando con un problema, che spesso<br />
non si può accedere ai file scritti su un computer di dieci anni<br />
fa; vennero scritti con software proprietario che sostanzialmente<br />
oggi è andato perduto. Se fossero stati scritti con software libero,<br />
li si potrebbe aggiornare e far girare. E quel materiale non sarebbe<br />
perduto, non sarebbe inaccessibile. Recentemente ci si lamentava<br />
di questa situazione anche sulla National Public Radio, 11<br />
citando il software libero come soluzione. In effetti, usare un programma<br />
non libero per archiviare i propri dati è come nascondere<br />
la testa sottoterra.<br />
Ho illustrato il modo in cui il software libero interessi la maggior<br />
parte dell’imprenditoria. Ma come influisce su quella particolare<br />
area ristretta che è l’attività commerciale del software stesso? Bene,<br />
10 Numerosi archivisti conservano e condividono migliaia di file via Internet.<br />
11 La National Public Radio è un ente privato e non-profit che, all’epoca di questo<br />
intervento, conta 620 stazioni radio pubbliche che trasmettono quotidianamente notizie<br />
e musica.<br />
131
la risposta è che per lo più non ha alcuna influenza. E la ragione<br />
è che il 90% dell’industria del software, da quanto mi si dice,<br />
riguarda lo sviluppo di software personalizzato, software che non<br />
è affatto destinato ad essere distribuito. Per il software personalizzato,<br />
questa questione, la questione etica di essere libero o proprietario,<br />
non sussiste. La faccenda è che, vedete, è consentito agli<br />
utenti modificare e ridistribuire il software? Qualora esista un unico<br />
utente, il quale ne detiene i diritti, non c’è problema. Quell’utente<br />
è libero di fare tutte queste cose. In effetti, qualsiasi programma<br />
personalizzato sviluppato da un’azienda per usi interni è<br />
software libero, fintantoché si ha il senso di insistere ad avere il<br />
codice sorgente e tutti i diritti.<br />
La questione praticamente non esiste per il software che opera in<br />
un orologio da polso o in un forno a microonde o nel sistema d’accensione<br />
di un’automobile, perché si tratta di luoghi in cui non si<br />
preleva alcun software da installare. Non è un vero computer, per<br />
quanto riguarda l’utente, così non solleva simili questioni al punto<br />
tale da essere eticamente importanti. Per la maggior parte, l’industria<br />
del software andrà avanti proprio come ha sempre fatto. E<br />
la cosa interessante è che una frazione così ampia di posti di lavoro<br />
riguarda tale industria, pur in mancanza di possibilità per attività<br />
commerciali di software libero, gli sviluppatori di software<br />
libero potrebbero trovare impiego scrivendo software personalizzato.<br />
[il pubblico ride] Ce ne sono così tanti; la percentuale è talmente<br />
ampia.<br />
Succede però che esiste un’imprenditoria del software libero. Esistono<br />
aziende di software libero, e alla conferenza stampa che<br />
seguirà parteciperanno anche rappresentanti di un paio di tali<br />
aziende. Naturalmente ci sono anche aziende che non si occupano<br />
di software libero ma che sviluppano utili parti di softwa-<br />
132
e libero per la distribuzione, e il software libero che producono<br />
è sostanziale.<br />
Ora, come operano le aziende di software libero? Alcune di loro<br />
vendono copie. L’utente è libero di copiare, ma tali aziende possono<br />
anche vendere migliaia di copie al mese. Altre vendono supporto<br />
e altri tipi di servizi. Personalmente, nella seconda metà degli<br />
anni ‘80 ho venduto servizi di assistenza al software libero. Praticamente,<br />
dicevo, per 200 dollari l’ora posso modificare qualsiasi<br />
cosa volete nel software GNU che ho scritto. Sì, era una tariffa<br />
esosa, ma si trattava di un programma di cui ero l’autore, la gente<br />
avrebbe capito che avrei concluso il lavoro in molte meno ore.<br />
[il pubblico ride] Mi guadagnai da vivere in tal modo. Anzi, guadagnai<br />
più di quanto avessi mai fatto prima. Ho anche tenuto dei<br />
corsi. Continuai così fino al 1990, quando ricevetti un grosso premio<br />
12 e non dovetti più farlo.<br />
Ma il 1990 fu quando si formò la prima corporation nell’imprenditoria<br />
del software libero, che fu Cygnus Support. Sostanzialmente<br />
la loro attività era dello stesso tipo di quanto avevo fatto io.<br />
Sicuramente avrei potuto lavorare per loro, qualora ne avessi avuto<br />
bisogno. Non avendone bisogno, ritenni positivo per il movimento<br />
rimanere indipendente da qualsiasi azienda. In tal modo<br />
avrei potuto dire cose buone e cattive sulle varie aziende di software<br />
libero e di software non libero, senza conflitti d’interesse. Così<br />
avrei potuto servire meglio il movimento. Ma se avessi avuto bisogno<br />
di guadagnarmi da vivere, avrei lavorato per loro. È un’attività<br />
commerciale etica. Per nessuna ragione mi sarei vergognato di lavo-<br />
12 Il riferimento è al MacArthur Fellowship, definito da altri anche come “il sussidio<br />
del genio”. Si tratta di un sussidio di sostentamento della durata di cinque anni, dato a<br />
individui che mostrano meriti eccezionali e promettono di proseguire e migliorare il<br />
proprio lavoro creativo.<br />
133
are con loro. E quell’azienda raggiunse dei guadagni netti nel primo<br />
anno di vita. Venne fondata con un capitale minimo, soltanto<br />
il denaro dei tre fondatori. Continuò a crescere ogni anno e ad avere<br />
profitti ogni anno, finché divennero ingordi di denaro e cercarono<br />
investitori esterni, e rovinarono tutto. Ma ci furono svariati<br />
anni di successo, prima di diventare ingordi.<br />
Ciò illustra uno degli aspetti eccitanti del software libero. Il<br />
software libero dimostra che non si ha bisogno di tirare su dei<br />
capitali per sviluppare software libero. Se si hanno dei capitali,<br />
si può assumere qualcuno per scrivere vario software. Ma si può<br />
fare parecchio con un piccolo numero di persone. Anzi, la tremenda<br />
efficacia del processo di sviluppo del software libero è<br />
una delle ragioni per cui è importante che il mondo passi al<br />
software libero. Ciò inoltre smentisce quanto sostengono in<br />
Microsoft, quando dicono che la GNU GPL è negativa perché<br />
rende loro più difficile mettere insieme i capitali per lo sviluppo<br />
di software non libero e prendere il nostro software libero e<br />
mettere il nostro codice nei loro programmi che non vogliono<br />
condividere. Praticamente non abbiamo bisogno che raccolgano<br />
dei capitali in tal modo. Possiamo farcela comunque. Stiamo<br />
per farcela.<br />
La gente era solita dire che non avremmo mai potuto avere un<br />
sistema operativo libero completo. Ora l’abbiamo fatto e anche<br />
molto di più. Direi che abbiamo raggiunto un ordine di grandezza<br />
superiore allo sviluppo di software ad uso generico sufficiente<br />
a coprire le necessità del mondo intero. E ciò in un mondo in cui<br />
oltre il 90% degli utenti ancora non usa software libero. Ciò in un<br />
mondo dove oltre la metà di tutti i server Web del mondo girano<br />
su GNU/Linux con Apache come server Web.<br />
Domanda: Cos’hai appena detto, Linux?<br />
134
RMS: Ho detto GNU/Linux.<br />
Domanda: Davvero?<br />
RMS: Sì, se parlo del kernel lo definisco Linux. È così che si chiama.<br />
Il kernel è stato scritto da Linus Torvalds, e dovremmo chiamarlo<br />
con il nome scelto da lui, per rispetto all’autore.<br />
In generale, nell’imprenditoria la maggioranza degli utenti non<br />
usa GNU/Linux. Gran parte dei comuni utenti ancora non usa il<br />
nostro sistema. Quando lo faranno, dovremmo avere automaticamente<br />
10 volte il numero di volontari e 10 volte il numero di clienti<br />
per le aziende di software libero degli attuali. Ciò ci porterà a<br />
quell’ordine di grandezza. A questo punto, nutro molta fiducia<br />
che riusciremo a farcela.<br />
Ciò è importante perché Microsoft sembra voglia sentirci disperati.<br />
Dicono, “L’unico modo con cui poter avere software, l’unico<br />
modo con cui si può avere innovazione, è dandoci potere. Consentiteci<br />
di dominarvi. Fateci controllare cosa potete fare con il<br />
software che usate, in modo che possiamo spremervi un sacco di<br />
soldi, e usarne una parte per sviluppare software, tenendo il resto<br />
come guadagno”.<br />
Be’, non dovremmo mai sentirci talmente disperati. Non dovremmo<br />
mai sentirci così disperati da rinunciare alla libertà. Sarebbe<br />
molto pericoloso.<br />
Un’altra cosa riguardo Microsoft, be’, non soltanto Microsoft, la<br />
gente che non sostiene il software libero generalmente adotta un<br />
sistema di valori dove l’unica cosa che conta sono i benefici pratici<br />
a breve termine: Quanti soldi riuscirò a fare quest’anno? Quale<br />
lavoro potrò concludere oggi? Pensieri a breve termine e pensieri<br />
ristretti. L’assunto è che è ridicolo immaginare che qualcuno<br />
possa mai fare un sacrificio in nome della libertà.<br />
135
Ieri 13 molta gente ha tenuto discorsi sugli americani che hanno<br />
fatto dei sacrifici per la libertà dei compatrioti. Alcuni di loro hanno<br />
fatto grandi sacrifici. Hanno sacrificato perfino la propria vita<br />
per quei tipi di libertà di cui ognuno nel nostro paese ha sentito<br />
parlare. (Almeno in alcuni casi; credo che occorra ignorare la guerra<br />
in Vietnam).<br />
Ma fortunatamente conservare la libertà nell’uso del software non<br />
richiede grandi sacrifici. Bastano sacrifici minimi, piccoli, come<br />
imparare l’interfaccia a linee di comando, se ancora non abbiamo<br />
un programma con interfaccia grafica. Come fare un lavoro in<br />
questo modo, perché non abbiamo ancora un pacchetto di software<br />
libero per farlo in quell’altro modo. Come dare dei soldi a un’azienda<br />
che sta per sviluppare un certo pacchetto di software libero,<br />
in modo che lo si possa avere nel giro di qualche anno. Vari<br />
piccoli sacrifici che tutti noi possiamo fare. E in tempi lunghi ne<br />
avremo beneficiato anche noi. In realtà è più un investimento che<br />
un sacrificio. Dobbiamo soltanto mantenere una prospettiva a<br />
lungo termine per comprendere che è positivo per noi investire<br />
nel miglioramento della società, senza fare i conti in tasca a chi<br />
guadagna qualcosa a seguito di tale investimento.<br />
A questo punto, direi di aver praticamente concluso.<br />
Vorrei menzionare che un nuovo approccio all’attività commerciale<br />
del software libero viene proposto da Tony Stanco, da lui definito<br />
“sviluppatori liberi” (“Free Developers”), che include una certa<br />
struttura imprenditoriale che spera alla fine di pagare una parte<br />
degli utili a tutti gli autori di software libero aderenti a tale organizzazione.<br />
Ora stanno considerando la prospettiva di ottenere dei<br />
grossi contratti governativi per lo sviluppo di software in India,<br />
13 Il giorno prima era Memorial Day, la festività statunitense in cui si commemorano gli<br />
eroi di guerra.<br />
136
perché qui si apprestano a usare software libero come base di partenza,<br />
visti i tremendi risparmi di spesa.<br />
E ora credo che dovrei sollecitare le vostre domande.<br />
Sessione di domande e risposte<br />
Domanda: In che modo un’azienda come Microsoft potrebbe<br />
includere un contratto di software libero?<br />
RMS: Veramente, Microsoft prevede di trasformare buona parte<br />
della propria attività in servizi. E quel che pensano di fare è qualcosa<br />
di sporco e pericoloso, ovvero legare i servizi ai programmi,<br />
uno all’altro, in una specie di zigzag. In modo che per usare questo<br />
servizio bisogna prima usare questo programma Microsoft, il<br />
che significa che si avrà bisogno di quel servizio, quel programma<br />
e così via... è tutto cucito insieme. Questo è il loro piano.<br />
Ora, la cosa interessante è che la vendita di tali servizi non solleva<br />
la questione etica del software libero e del software non libero.<br />
Potrebbe essere perfettamente corretto per loro avere un’attività<br />
per le aziende che vendono quei servizi in rete. Tuttavia, quel che<br />
Microsoft prevede di fare è usarle per imporre un blocco ancor più<br />
grande, un monopolio ancora più ampio, sul software e sui servizi,<br />
e ciò veniva descritto in un recente articolo. Qualcun altro<br />
sostiene che sta trasformando la rete nella Microsoft Company<br />
Town.<br />
E ciò ha una certa rilevanza perché i giudici del processo antitrust<br />
raccomandavano di dividere l’azienda – ma sotto un certo punto<br />
di vista ciò non avrebbe alcun senso, non porterebbe nulla di<br />
positivo – in una parte per il sistema operativo e un’altra per le<br />
applicazioni.<br />
Ma dopo aver letto quell’articolo, credo possa tornare utile e efficace<br />
dividere Microsoft in due parti, un’azienda per i servizi e<br />
137
un’altra per il software, imponendo a entrambe di operare a una<br />
certa distanza tra loro. All’azienda dedicata ai servizi andrebbe<br />
altresì imposto di pubblicare il codice delle interfacce impiegate,<br />
in modo che chiunque possa scrivere un programma client per<br />
comunicare con tali interfacce, e direi che simili servizi debbano<br />
essere a pagamento. Be’, ciò sarebbe positivo. Questa è una faccenda<br />
completamente diversa.<br />
Se Microsoft venisse divisa in tal senso... servizi e software, non<br />
potrebbero usare il proprio software per far fuori la competizione<br />
con i servizi Microsoft. E non sarebbero in grado di usare i propri<br />
servizi per bloccare la competizione con il software Microsoft. Noi<br />
potremmo creare il software libero, e forse gli utenti lo userebbero<br />
per parlare con i servizi Microsoft, e non ce ne preoccuperemo.<br />
Perché, dopo tutto, nonostante Microsoft sia l’azienda di software<br />
proprietario che ha sottomesso la maggior parte di persone – gli<br />
altri ne hanno sottomessi di meno, non che non ci abbiano provato,<br />
è soltanto che non sono riusciti a conquistarne così tanti. Il<br />
problema non è Microsoft e soltanto Microsoft. Microsoft è l’esempio<br />
più eclatante del problema che stiamo cercando di risolvere,<br />
ovvero il software proprietario che ruba agli utenti la libertà<br />
di cooperare e dare vita a una società etica. Per cui non dovremmo<br />
concentrarci troppo su Microsoft, anche se mi hanno offerto<br />
l’opportunità di essere su questo podio. Ciò non li rende così<br />
importanti. Non sono tutto per tutti.<br />
Domanda: Prima parlavi delle differenze filosofiche tra open source<br />
e software libero. Come vedi la recente tendenza delle distribuzioni<br />
GNU/Linux verso l’esclusivo supporto di piattaforme Intel?<br />
E il fatto che sembra che un numero sempre minore di sviluppatori<br />
scriva programmi in modo corretto, software che si compili<br />
ovunque? E fa software che funziona unicamente su sistemi Intel?<br />
138
RMS: Non vedo alcuna questione etica qui. Pur se, in effetti, talvolta<br />
le aziende produttrici portano il sistema GNU/Linux sulle<br />
proprie macchine. Sembra che recentemente lo abbia fatto Hewlett-Packard.<br />
E non si sono curati di pagare per portarvi Windows,<br />
perché sarebbe costato troppo. Ma per il supporto di GNU/Linux,<br />
credo siano serviti cinque programmatori per qualche mese. Era<br />
facilmente fattibile.<br />
Naturalmente io incoraggio la gente a usare autoconf, un pacchetto<br />
GNU che facilita la portabilità dei progammi. Li incoraggio<br />
a fare così. Oppure quando qualcun altro sistema quel bug che<br />
non compilava su una certa versione del sistema, e ti spedisce la<br />
riparazione, dovresti inserirla. Ma non considero ciò come una<br />
questione etica.<br />
Domanda: Due commenti. Uno è: recentemente sei intervenuto<br />
al MIT, ne ho letto la trascrizione. Qualcuno ha fatto una domanda<br />
sui brevetti, e tu hai risposto che “i brevetti sono una faccenda<br />
completamente diversa. Non ho nulla da commentare al riguardo.”<br />
RMS: Esatto. In realtà avrei molto da dire sui brevetti, ma ci vuole<br />
un’ora. [il pubblico ride]<br />
Domanda: Volevo dire questo: Mi sembra che ci sia una questione<br />
da affrontare. Esiste un motivo per cui le aziende definiscono<br />
sia i brevetti che i copyright come delle proprietà importanti nel<br />
tentativo di far passare questo concetto, ovvero che vogliono usare<br />
il potere dello Stato per creare un monopolio per se stesse. Ciò<br />
che accomuna queste cose non è che ruotino intorno alle medesime<br />
questioni, che la motivazione non è veramente una faccenda<br />
di servizio pubblico, quanto quella dell’imprenditoria di arrivare<br />
a un monopolio per i propri interessi privati.<br />
139
RMS: Hai ragione sul fatto che vogliono questo. Ma esiste un ulteriore<br />
motivo perché insistono a usare il termine proprietà intellettuale.<br />
È che non vogliono incoraggiare la gente a pensare con<br />
attenzione alle questioni del copyright o dei brevetti. Perché le leggi<br />
sul copyright e quelle sui brevetti sono totalmente differenti, e<br />
gli effetti del copyright sul software e gli effetti dei brevetti sul<br />
software sono completamente diversi tra loro.<br />
I brevetti sul software sono una restrizione sui programmatori, vietando<br />
loro di scrivere certi tipi di programmi, diversamente da<br />
quanto fa il copyright. Con il copyright, almeno se si è l’autore<br />
del programma, se ne consente la distribuzione in proprio. Perciò<br />
è assai importante separare le due questioni.<br />
Hanno appena qualcosa in comune, a un livello minimo, e tutto<br />
il resto è diverso. Vi invito quindi a incoraggiare una riflessione<br />
chiara, o si discute di copyright oppure di brevetti. Ma non parliamo<br />
di proprietà intellettuale. Non ho opinioni su quest’ultima.<br />
Ma ho opinioni sul copyright, sui brevetti e sul software.<br />
Domanda: All’inizio hai detto che un programma informatico è<br />
un linguaggio funzionale, come le ricette. Ma c’è un ampio divario<br />
per passare dalle ricette di cucina ai programmi informatici, e<br />
dalla lingua inglese ai programmi informatici – la definizione di<br />
“linguaggio funzionale” è molto ampia. Ciò sta provocando dei<br />
problemi nel caso del DeCSS per i DVD.<br />
RMS: Le questioni sono in parte simili ma in parte diverse, per le<br />
cose che non sono funzionali in natura. Parte della questione può<br />
essere trasferita ma non per intero. Purtroppo ci vorrebbe un’altra<br />
ora per chiarirlo, non ho il tempo di farlo. Ma direi che tutte le<br />
opere funzionali devono essere libere nello stesso senso del software.<br />
Intendo, libri di testo, manuali, dizionari, ricette, e via di seguito.<br />
140
Domanda: Stavo pensando alla musica online. Esistono differenze<br />
e analogie in tutti questi casi.<br />
RMS: Esatto. Direi che la libertà minima che dovremmo avere per<br />
qualsiasi tipo di informazioni pubblicate sia la libertà di ridistribuirle<br />
a livello non commerciale, in integrale. Per opere funzionali,<br />
dobbiamo avere la libertà di pubblicare a livello commerciale<br />
una versione modificata, perché ciò è incredibilmente utile alla<br />
società. Per opere non funzionali, lavori d’intrattenimento, o estetici,<br />
che esprimono il punto di vista di una persona, forse non<br />
dovrebbero essere modificate. E forse ciò significa che è bene avere<br />
il copyright a coprirne la distribuzione commerciale.<br />
Teniamo a mente che secondo la costituzione statunitense lo scopo<br />
del copyright è a beneficio del pubblico. È quello di cambiare<br />
il comportamento di certe entità private, in modo che pubblichino<br />
più libri. E il beneficio è che la società può discutere sulle varie<br />
questioni e trarne giovamento. E poi abbiamo la letteratura.<br />
Abbiamo le opere scientifiche. Lo scopo è incoraggiare tutto ciò.<br />
Il copyright non esiste a favore degli autori, per non parlare del<br />
vantaggio degli editori. Costoro esistono a servizio dei lettori e di<br />
tutti coloro che trarranno beneficio dalla comunicazione dell’informazione<br />
che avviene quando qualcuno scrive e altri leggono.<br />
E quest’obiettivo mi trova d’accordo.<br />
Ma nell’epoca delle reti informatiche il metodo non è più sostenibile,<br />
perché oggi richiede leggi draconiane che invadono la privacy<br />
di chiunque e terrorizzano tutti. Anni di carcere per aver condiviso<br />
con il vicino. Non era così all’epoca della stampa. Allora il<br />
copyright era una regolamentazione industriale. Poneva limitazioni<br />
agli editori. Oggi sono questi ultimi a imporre restrizioni al<br />
pubblico. Il rapporto di potere è stato ribaltato di 180 gradi, pur<br />
trattandosi della medesima legislazione.<br />
141
Domanda: Cioè, potremmo avere la stessa cosa, tipo fare musica<br />
da altra musica?<br />
RMS: Giusto. Questa è un’interessante...<br />
Domanda: E opere uniche, nuove, e ciò significa ancora parecchia<br />
cooperazione.<br />
RMS: Lo è. Credo che probabilmente richieda un qualche concetto<br />
di uso legittimo (“fair use”). Sicuramente prendere qualche<br />
secondo di musica per usarlo in altri lavori, dovrebbe essere chiaramente<br />
un uso legittimo. Non saprei dire se i giudici siano d’accordo,<br />
ma dovrebbero. Ciò non comporterebbe alcun cambiamento<br />
sostanziale nel sistema in vigore finora.<br />
Domanda: Cosa pensi della pubblicazione di informazioni pubbliche<br />
in formati proprietari?<br />
RMS: Oh, non dovrebbe succedere. Il governo non dovrebbe mai<br />
imporre ai cittadini di usare programmi non liberi per l’accesso, per<br />
comunicare con il governo in qualsiasi modo, in qualunque contesto.<br />
Domanda: Ho usato, ora lo dico, GNU/Linux...<br />
RMS: Grazie. [il pubblico ride]<br />
Domanda: ...per gli ultimi quattro anni. Una cosa che mi ha creato<br />
problemi e che è piuttosto essenziale, credo, per tutti noi, è poter<br />
navigare sul Web.<br />
RMS: Sì.<br />
Domanda: Una cosa che è stata decisamente una debolezza nell’uso<br />
del sistema GNU/Linux riguarda la navigazione sul Web,<br />
perché lo strumento più diffuso per farlo, Netscape...<br />
142
RMS:... non è software libero.<br />
Consentitemi di rispondere su questo. Voglio arrivare al punto, per<br />
meglio chiarire la questione. Sì, c’è stata una forte tendenza a usare<br />
Netscape Navigator sui sistemi GNU/Linux. Anzi, viene incluso in<br />
tutti i sistemi commerciali. È una situazione ironica: abbiamo lavorato<br />
così duramente per fare un sistema operativo libero e ora, quando<br />
si va in un negozio, vi si trovano versioni di GNU/Linux, in maggioranza<br />
viene chiamato Linux, e non sono libere. Be’, per una parte<br />
lo sono. Ma poi c’è Netscape Navigator, e forse anche altri programmi<br />
non liberi. Così diventa difficile trovare un sistema veramente<br />
libero, a meno di non sapere bene cosa si stia facendo. O,<br />
naturalmente si può non installare Netscape Navigator.<br />
In realtà per molti anni sono esistiti dei browser Web liberi. C’è<br />
un browser libero che ero solito usare, chiamato Lynx, è un browser<br />
non grafico, solo testuale. Ha un grosso vantaggio, nel senso<br />
che non vedi la pubblicità. [il pubblico ride] [applausi]<br />
In ogni caso, esiste un progetto grafico libero chiamato Mozilla,<br />
che ora sta raggiungendo il punto in cui è possibile usarlo. E occasionalmente<br />
lo faccio.<br />
Domanda: Konqueror 2.01 funziona molto bene.<br />
RMS: Ecco un altro browser grafico libero. Finalmente stiamo<br />
risolvendo il problema, credo.<br />
Domanda: Puoi parlare delle divisioni filosofiche/etiche tra software<br />
libero e open source? Ritieni che siano inconciliabili [cambio di<br />
nastro, manca la fine delle domanda e l’inizio della risposta]<br />
RMS:... per la libertà e l’etica. O se basta dire, Spero che voi<br />
imprenditori decidiate che è economicamente vantaggioso per voi<br />
consentirci di fare queste cose.<br />
143
Ma, come ho già detto, in molti lavori pratici non importa veramente<br />
quali siano le idee politiche di una persona. Quando costui si offre<br />
di aiutare il progetto GNU, non gli diciamo: “Devi essere d’accordo<br />
con le nostre idee politiche.” Gli diciamo che in un pacchetto GNU<br />
devi definire il sistema GNU/Linux e chiamarlo software libero. Quel<br />
che dici quando non hai a che fare con il progetto GNU è affar tuo.<br />
Domanda: L’IBM ha lanciato una campagna diretta alle agenzie<br />
governative, per vendere le loro grandi macchine nuove, usando<br />
Linux come punto forte di vendita, loro dicono Linux.<br />
RMS: Si, naturalmente si tratta di GNU/Linux. [il pubblico ride]<br />
Domanda: Infatti! Ma vallo a dire al manager delle vendite. Non<br />
sa nulla di GNU.<br />
RMS: Il problema è che hanno già deciso con cura quel che vogliono<br />
dire onde trarne vantaggio. E la questione di cosa sia più accurato,<br />
o legittimo, o il modo corretto di descriverlo non è di primaria<br />
importanza per un’azienda come quella. Per qualche azienda<br />
minore, c’è un responsabile. E se il responsabile si mostra incline<br />
a considerare piccole questioni come questa, potrebbe decidere in<br />
tal senso. Ma non una grande corporation. È una vergogna.<br />
C’è un’altra questione più importante e più sostanziale su quanto va<br />
facendo IBM. Dicono che stanno mettendo un miliardo di dollari<br />
in “Linux.” Ma forse dovrei usare le virgolette anche per “in”, perché<br />
parte di quel denaro servirà a pagare persone che sviluppano<br />
software libero. Ciò è un contributo concreto alla comunità. Ma con<br />
altre parti si pagheranno persone per scrivere software proprietario,<br />
o versioni di software proprietario che possano girare su<br />
GNU/Linux, e ciò non è affatto un contributo alla nostra comunità.<br />
Ma IBM sta ammucchiando tutto insieme. Parte potrebbe essere<br />
144
pubblicità, che è un qualche tipo di contributo, pur se parzialmente<br />
errato. È una situazione complicata. Una parte di quanto vanno<br />
facendo è un contributo, un’altra non lo è, e un’altra parte ancora lo<br />
è in qualche modo ma non precisamente. E non si può soltanto<br />
ammucchiare tutto insieme e dire, “Bene! Un miliardo di dollari dall’IBM.”<br />
[il pubblico ride] È una semplificazione eccessiva.<br />
Domanda: Puoi parlare ancora un po’ delle idee che portarono alla<br />
Licenza Pubblica Generica?<br />
RMS: Le idee che portarono alla Licenza Pubblica Generica? In<br />
parte volevo tutelare la libertà della comunità contro i fenomeni<br />
che ho descritto con X Windows, che si sono verificati anche con<br />
altri programmi liberi. Anzi, quando riflettevo su questa faccenda<br />
X Windows non era stato ancora diffuso.<br />
Ma avevo visto sorgere il problema in altri programmi liberi. TeX,<br />
ad esempio. Volevo esser certo che tutti gli utenti avessero avuto<br />
la libertà. Altrimenti, mi resi conto che avrei scritto un programma<br />
e forse un sacco di gente l’avrebbe usato, ma senza avere la<br />
libertà. E qual’è il punto di fare così?<br />
Ma l’altra questione su cui andavo riflettendo era che volevo dare<br />
alla comunità la sensazione che non fosse uno zerbino, la sensazione<br />
che non potesse essere preda di un parassita qualsiasi che se ne<br />
andava in giro. Se non si usa il copyleft, sostanzialmente si dice: [con<br />
voce sommessa] “Prendi il mio codice, fanne quel che vuoi, non<br />
dico no.” Così può avvicinarsi chiunque e dire: [con voce molto<br />
decisa] “Ah, ne farò una versione non libera, me lo prendo.” Allora<br />
probabilmente lo miglioreranno un po’, e quelle versioni non libere<br />
piaceranno agli utenti, finendo per sostituire le versioni libere. E<br />
allora, cosa avremmo ottenuto? Avremmo soltanto fatto una donazione<br />
a qualche progetto di software proprietario.<br />
145
E quando la gente si accorge di cosa succede, quando vede altri prendere<br />
quel che ho fatto io, senza dare nulla in cambio, può essere<br />
demoralizzante. Non si tratta di pure congetture. L’ho visto accadere.<br />
Fu parte di quanto avvenne con la scomparsa della comunità<br />
a cui appartenevo negli anni ‘70. Qualcuno prese a diventare poco<br />
cooperativo. E ne assumemmo che stavano guadagnandoci sopra in<br />
qualche modo. Certamente si comportavano come se stessero guadagnandoci<br />
sopra. Ci rendemmo conto come fosse possibile appropriarsi<br />
semplicemente della nostra cooperazione e non dar nulla in<br />
cambio. E non potevamo far nulla per impedirlo. Fu molto scoraggiante.<br />
Ne discutemmo tra quelli che non gradivano la tendenza,<br />
ma non ci venne in mente alcuna idea per bloccarla.<br />
La GPL è progettata per bloccare ciò. Dice: Sì, sei benvenuto nella<br />
nostra comunità e puoi usare questo codice. Puoi usarlo per ogni tipo<br />
di lavoro. Ma se ne diffondi una versione modificata, devi farlo nella<br />
comunità, come parte di questa, come parte del mondo libero.<br />
In effetti esistono ancora parecchi modi in cui è possibile trarre<br />
vantaggio dal nostro lavoro senza contribuirvi, come il fatto di non<br />
dover scrivere alcun software. Molta gente usa GNU/Linux e non<br />
scrive alcun software. Non esiste alcun requisito perché l’utente<br />
debba fare qualcosa per noi. Ma se si fa un certo tipo di cose, bisogna<br />
dare il proprio contributo. È questo che s’intende dicendo che<br />
la comunità non è un zerbino. E credo che ciò abbia aiutato la<br />
gente a rafforzarsi per dire, Non vogliamo essere calpestati dal primo<br />
che passa, ci difenderemo.<br />
Domanda: Considerando il software libero ma non sotto copyleft,<br />
visto che chiunque può prenderlo e renderlo proprietario, non è<br />
possibile anche prenderlo, modificarlo e diffondere l’intero programma<br />
sotto la GPL?<br />
146
RMS: Sì, è possibile.<br />
Domanda: Allora ciò imporrebbe la GPL a tutte le copie future.<br />
RMS: Derivanti da quel programma. Ecco perché in genere non<br />
lo facciamo. Fatemi spiegare. Volendo, potevamo prendere X<br />
Windows e farne una copia coperta dalla GPL con delle modifiche.<br />
Ma c’è un gruppo più ampio di gente che lavora a migliorare<br />
X Windows senza metterlo sotto GPL. Così, se lo avessimo fatto,<br />
ci saremmo divisi da loro (“forking”). E ciò non è un comportamento<br />
positivo nei loro confronti. Fanno parte della comunità,<br />
producono dei contributi.<br />
Secondo, si sarebbe rivelato un boomerang, perché stanno lavorando<br />
su X assai più di quanto avremmo fatto noi. La nostra versione<br />
sarebbe stata inferiore alla loro, la gente non l’avrebbe usata,<br />
il che vuol dire, perché mai darsi la pena di farlo?<br />
Se qualcuno apporta dei miglioramenti a X, gli direi di collaborare<br />
con il gruppo di sviluppo di X. Faglielo avere e lascia che lo usino<br />
a modo loro. Perché stanno sviluppando un pezzo di software<br />
libero molto importante. È positivo per noi collaborare con loro.<br />
Domanda: Eccetto che, considerando X in particolare, circa due anni<br />
fa, X Consortium era ben addentro nell’open source non libero....<br />
RMS: Be’, in realtà non era open source. Possono aver detto lo fosse,<br />
non ricordo se lo dissero o meno. Ma non era open source. Era ristretto.<br />
Non lo si poteva distribuire a livello commerciale, credo. O non<br />
se ne poteva distribuire commercialmente una versione modificata, o<br />
qualcosa del genere. C’era una restrizione considerata inaccettabile sia<br />
dal movimento del software libero sia da quello open source.<br />
E sì, ciò è quanto si rischia quando si usa una licenza non copyleft.<br />
In effetti, X Consortium aveva una posizione molto rigida.<br />
147
Dicevano: Se una parte anche minima del programma è sotto<br />
copyleft, non lo distribuiremo affatto. Non lo inseriremo nella<br />
nostra distribuzione.<br />
In tal modo molte persone vennero pressate a non usare il copyleft.<br />
E il risultato fu che più tardi tutto il loro software rimase aperto<br />
e disponibile. Quando le stesse persone fecero pressione su uno<br />
sviluppatore perché troppo permissivo, allora il gruppo di X disse:<br />
“Va bene, ora possiamo porre delle restrizioni,” il che non era molto<br />
etico da parte loro. Ma considerata la situazione, vogliamo veramente<br />
danneggiare le nostre risorse per mantenere una versione<br />
alternativa di X coperta dalla GPL? Non avrebbe alcun senso farlo.<br />
Ci sono molte altre cose che dobbiamo fare. Occupiamoci di<br />
queste invece. Meglio collaborare con gli sviluppatori di X.<br />
Domanda: Puoi commentare, GNU è un marchio registrato? Ed<br />
è pratico includerlo come parte della Licenza Generica Pubblica<br />
che consente i marchi registrati?<br />
RMS: In realtà stiamo per richiedere la registrazione del marchio<br />
per GNU. Ma non ha nulla a che fare con ciò. Sarebbe una storia<br />
lunga spiegarne il perché.<br />
Domanda: Si potrebbe imporre di esporre il marchio nei programmi<br />
coperti dalla GPL.<br />
RMS: No, non credo sia possibile. Le licenze coprono programmi<br />
singoli. E quando un programma fa parte del progetto GNU, nessuno<br />
mente al riguardo. Il nome del sistema è una questione completamente<br />
diversa. È una faccenda laterale. Non vale la pena<br />
discuterne ulteriormente.<br />
Domanda: Se potessi premere un pulsante per costringere tutte le<br />
aziende a rendere libero il proprio software, quale pulsante sarebbe?<br />
148
RMS: Be’, lo userei soltanto per il software pubblicato. Credo che<br />
la gente abbia il diritto a scrivere programmi privati e a farne uso.<br />
E ciò include le aziende. Questa è una questione di privacy. È vero,<br />
possono esserci delle volte in cui ciò sia sbagliato, come quando<br />
qualcosa è terribilmente utile all’umanità e invece la si tiene segreta.<br />
È sbagliato, ma è un errore di tipo diverso. Si tratta di una faccenda<br />
diversa, pur riguardando la medesima area.<br />
Sì, direi che tutto il software pubblicato debba essere libero. E<br />
ricordiamolo, quando non è software libero, lo si deve all’intervento<br />
governativo. Il governo interviene per renderlo non libero.<br />
Il governo crea poteri giuridici speciali da trasferire ai proprietari<br />
dei programmi, in modo che questi possano chiamare la polizia<br />
per impedirci di usare quei programmi in un certo modo. E con<br />
questo, direi di terminare.<br />
Ed Schonberg: L’intervento di Richard ha creato una quantità enorme<br />
di energia intellettuale. Vorrei suggerire che parte di questa<br />
dovrebbe essere diretta per usare, e possibilmente per scrivere, software<br />
libero. Dovremmo chiudere rapidamente. Vorrei aggiungere che<br />
Richard ha iniettato in una professione nota al pubblico generale per<br />
un’apatia politica terminale, un livello di discussione politica e morale<br />
che, credo, sia senza precedenti nella nostra professione. E per questo<br />
gli dobbiamo davvero molto. [il pubblico applaude]<br />
Questa è la trascrizione di un intervento tenuto alla New York University<br />
il 29 maggio 2001. Questa versione fa parte del libro Free Software, Free<br />
Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
149
Termini da evitare<br />
Ci sono vari termini ed espressioni che raccomandiamo di evitare<br />
perché risultano ambigui oppure implicano un’opinione che<br />
speriamo non condividiate per intero.<br />
Licenze tipo-BSD<br />
L’espressione “licenza di tipo BSD” crea confusione perché fa un<br />
solo fascio di licenze che presentano differenze importanti. Ad<br />
esempio, la licenza BSD originale con la sua clausola pubblicitaria<br />
è incompatibile con la Licenza Pubblica Generica (GPL), mentre<br />
invece la nuova licenza BSD è compatibile con la GPL.<br />
Per evitare confusioni, è meglio indicare la specifica licenza cui ci<br />
si riferisce, evitando la vaga locuzione “di tipo BSD”.<br />
Commerciale<br />
È bene non usare “commerciale” come sinonimo di “non-libero”.<br />
Ciò confonde due questioni del tutto diverse tra loro.<br />
Un programma è commerciale se viene sviluppato come attività<br />
imprenditoriale. Un programma commerciale può essere libero o<br />
non-libero, a seconda della relativa licenza. Analogamente, un<br />
programma sviluppato da una scuola o da un individuo può essere<br />
libero o non-libero sulla base della relativa licenza. Le due questioni,<br />
quale tipo di entità ha sviluppato il programma e quale la<br />
libertà concessa agli utenti, sono indipendenti tra loro.<br />
Nel primo decennio di attività del Movimento del Software Libero,<br />
i pacchetti di software libero erano quasi sempre non-commerciali;<br />
le componenti del sistema operativo GNU/Linux furono<br />
sviluppate da individui, da organizzazioni senza scopo di lucro<br />
150
come la Free Software Foundation o da università. Ma negli anni<br />
‘90 ha preso a circolare il software libero commerciale. Il software<br />
libero commerciale è un contributo per la nostra comunità, perciò<br />
dovremmo incoraggiarlo.<br />
Ma quanti credono che “commerciale” significhi “non-libero”,<br />
tenderanno a considerare contraddittoria la combinazione “libero<br />
commerciale”, scartando questa possibilità. Bisogna stare attenti<br />
a non utilizzare il termine “commerciale” in tal senso.<br />
Contenuto<br />
L’utilizzo del sostantivo “contenuto” (content) per descrivere opere<br />
scritte e di altro tipo create da un autore rivela un atteggiamento<br />
specifico nei confronti di tali opere: le considera come beni di consumo<br />
intercambiabili il cui scopo è quello di riempire una scatola<br />
e far soldi. In realtà ciò significa considerare in maniera irrispettosa<br />
le opere stesse.<br />
Coloro che usano questo termine sono spesso editori tesi ad ottenere<br />
un maggior potere nel copyright a nome degli autori (o “creatori”,<br />
come vanno definendoli) delle opere. Il termine “contenuto”<br />
ne rivela i sentimenti concreti.<br />
Finché altri continuano ad usare l’espressione “fornitori di contenuto”,<br />
i dissidenti politici potranno sicuramente autodefinirsi<br />
“fornitori di sconten(u)to”.<br />
(In inglese “content” significa sia “contento” che “contenuto”).<br />
Creatore<br />
Applicare il termine “creatore” agli autori significa paragonarli<br />
implicitamente a una deità (“il creatore”). Questo termine viene usato<br />
dagli editori per elevare la statura morale degli autori al di sopra<br />
della gente comune, onde giustificare un maggior potere del copyright<br />
che gli editori possono esercitare a nome degli stessi autori.<br />
151
Digital Rights Management (Gestione dei diritti digitali)<br />
Il software per il “Digital Rights Management” in realtà è progettato<br />
per imporre restrizioni agli utenti di computer. Il ricorso al termine<br />
“diritti” in questo contesto è pura propaganda, mirata a farci<br />
considerare inconsciamente la questione dal punto di vista dei pochi<br />
che impongono tali restrizioni, ignorando al contempo quella dei<br />
molti a cui le restrizioni vengono imposte. Buone alternative sono<br />
espressioni quali “Digital Restrictions Management” (Gestione delle<br />
restrizioni digitali) e “handcuffware” (software-manette).<br />
For free (gratuito)<br />
Quando ci si riferisce a un programma di software libero (free<br />
software), meglio non dire che è disponibile “for free”, gratuitamente.<br />
Questo termine (in inglese) significa specificamente “a costo<br />
zero”. Il software libero è una questione di libertà, non di prezzo.<br />
Spesso le copie di programmi di software libero sono disponibili<br />
“for free”, a costo zero – ad esempio, tramite download via FTP.<br />
Ma copie di programmi di software libero sono disponibili anche<br />
a pagamento su CD-ROM; invece, le copie di software proprietario<br />
talvolta sono disponibili gratuitamente a fini promozionali<br />
e alcuni pacchetti proprietari sono normalmente disponibili a<br />
costo zero per determinati utenti.<br />
Onde evitare confusioni, si può dire che il programma è disponibile<br />
“come software libero”.<br />
Freeware<br />
Evitiamo per favore il termine “freeware” come sinonimo di<br />
“software libero” (free software). Il termine “freeware” veniva spesso<br />
usato negli anni ‘80 per indicare programmi rilasciati per la sola<br />
esecuzione, senza renderne disponibili i codici sorgenti. Oggi tale<br />
termine non indica alcuna specifica definizione generale.<br />
152
Inoltre, per lingue diverse dall’inglese, è bene evitare di prendere<br />
in prestito termini inglesi come “free software” o “freeware”. Cercate<br />
di utilizzare le espressioni spesso meno ambigue offerte dalla<br />
vostra lingua. Questo un elenco di traduzioni raccomandate e non<br />
ambigue per il termine “free software” in altre lingue:<br />
Ceco: svobodny software<br />
Coreano: ja-yu software<br />
Danese: fri software OPPURE frit programmel<br />
Esperanto: libera softwaro<br />
Finnico: vapaa ohjelmisto<br />
Francese: logiciel libre<br />
Giapponese: jiyuu-na software<br />
Indonesiano: perangkat lunak bebas<br />
Islandese: frjls hugbnaur<br />
Italiano: software libero<br />
Norvegese: fri programvare<br />
Olandese: vrije software<br />
Polacco: wolne oprogramowanie<br />
Portoghese: software livre<br />
Slovacco: slobodny softver<br />
Sloveno: prosto programje<br />
Spagnolo: software libre<br />
Svedese: fri programvara<br />
Tedesco: freie Software<br />
Turco: ozgur yazilim<br />
Ungherese: szabad szoftver<br />
Usando un termine nella vostra lingua, dimostrate che vi riferite<br />
effettivamente alla libertà e non state semplicemente cercando di<br />
scimmiottare qualche misterioso concetto straniero di marketing.<br />
153
All’inizio, il riferimento alla libertà potrà sembrare strano o fastidioso<br />
ai vostri concittadini, ma quando ne considereranno il significato<br />
preciso, capiranno veramente di cosa si tratta.<br />
Furto<br />
I sostenitori del diritto d’autore spesso usano termini quali “rubato”<br />
e “furto” per descrivere le infrazioni al copyright. Allo stesso<br />
tempo costoro ci chiedono di considerare il sistema giudiziario<br />
come un’autorità in campo etico: se copiare è vietato, allora dev’essere<br />
qualcosa di male.<br />
Perciò è pertinente ricordare che il sistema giuridico – almeno<br />
negli USA – nega il concetto secondo cui l’infrazione al diritto<br />
d’autore sia un “furto”. I sostenitori del copyright si appellano a<br />
un’autorità... e presentano in maniera sbagliata quanto sostiene<br />
tale autorità. L’idea secondo cui siano le leggi a stabilire ciò che è<br />
giusto o sbagliato in generale è errata. Nel migliore dei casi, queste<br />
norme rappresentano il tentativo di ottenere giustizia: sostenere<br />
che siano le leggi a definire la giustizia o il comportamento<br />
etico equivale a ribaltare completamente le cose.<br />
Pirateria<br />
Spesso gli editori descrivono l’attività proibita della copia come<br />
“pirateria” (piracy). In questo modo, sottintendono che effettuare<br />
una copia illegale equivale eticamente all’assalto di navi in alto<br />
mare, al rapimento e all’assassinio di quanti si trovano a bordo.<br />
Se non ritenete che effettuare copie illegali sia analogo al rapimento<br />
e all’assassinio, forse preferirete evitare il ricorso al termine<br />
“pirateria” per descrivere tale pratica. In sostituzione, si possono<br />
usare espressioni neutre quali “copia proibita” o “copia non<br />
autorizzata”. Alcuni potrebbero addirittura preferire un’espressione<br />
positiva come “condividere informazioni con il vicino”.<br />
154
Proprietà intellettuale<br />
Editori e avvocati amano descrivere il diritto d’autore come “proprietà<br />
intellettuale”. Questo termine contiene un presupposto<br />
nascosto – che il modo più naturale di considerare la questione<br />
della copia sia basato su un’analogia con gli oggetti fisici, e sull’idea<br />
di considerarli una proprietà.<br />
Ma quest’analogia ignora la differenza cruciale esistente tra gli<br />
oggetti materiali e l’informazione: l’informazione può essere<br />
copiata e condivisa quasi senza sforzo, mentre ciò non è vero degli<br />
oggetti materiali. Basare la riflessione su una tale analogia equivale<br />
a ignorare questa differenza.<br />
Neppure il sistema giuridico statunitense accetta per intero l’analogia,<br />
poiché non tratta il copyright alla pari del diritto di proprietà<br />
relativo agli oggetti fisici.<br />
Se non volete limitarvi a questo modo di pensare, è bene evitare<br />
l’uso del termine “proprietà intellettuale” nelle vostre parole e<br />
riflessioni.<br />
Esiste un ulteriore problema con “proprietà intellettuale”: è un contenitore<br />
generico in cui vengono messi insieme svariati sistemi giuridici<br />
differenti, incluso il copyright, i brevetti, i marchi registrati e<br />
altre cose che hanno pochissimo in comune tra loro. Questi sistemi<br />
giuridici hanno origini separate, coprono attività diverse, operano<br />
in maniera differente, e suscitano questioni diverse di politica pubblica.<br />
Se, ad esempio, imparate qualcosa riguardo le norme sul copyright,<br />
fareste bene a presumere che ciò non possa applicarsi alla legislazione<br />
sui brevetti, perché è quasi sempre così.<br />
Trattandosi di legislazioni talmente diverse tra loro, il termine<br />
“proprietà intellettuale” è un invito a fare una super-generalizzazione<br />
semplicistica. Qualsiasi opinione sulla “proprietà intellettuale”<br />
risulterà quasi sicuramente avventata. Ad un livello così<br />
155
generico, è impossibile perfino prendere in considerazione le specificità<br />
di politica pubblica suscitate dalle norme sul copyright, o<br />
le diverse questioni sollevate dalla legislazione sui brevetti o su uno<br />
qualsiasi degli altri settori. Il termine “proprietà intellettuale” porta<br />
la gente a concentrarsi sul minimo aspetto comune di queste legislazioni<br />
differenti tra loro, vale a dire sul fatto che istituiscono una<br />
serie di concetti astratti che possono essere acquistati e venduti, per<br />
ignorarne l’aspetto centrale, ovvero le restrizioni che tali norme<br />
impongono al pubblico e le conseguenze positive o negative che ne<br />
risultano.<br />
Onde riflettere con chiarezza sulle problematiche sollevate dai brevetti,<br />
dal diritto d’autore e dai marchi registrati, o anche soltanto<br />
per conoscere il contenuto di queste norme, il primo passo è dimenticare<br />
di aver mai sentito il termine “proprietà intellettuale”. Meglio<br />
invece presentare il tema come copyright, brevetti, o qualsiasi altra<br />
legislazione specifica di cui si stia discutendo.<br />
Secondo il professor Mark Lemley della University of Texas Law<br />
School, l’uso generalizzato del termine “proprietà intellettuale” è<br />
una moda recente, diffusasi a partire dalla fondazione dell’Organizzazione<br />
Mondiale della Proprietà Intellettuale (World Intellectual<br />
Property Organization) nel 1967. 1 Quest’organizzazione rappresenta<br />
gli interessi dei detentori di copyright, di brevetti e di marchi<br />
registrati, ed esercita pressione sui governi per incrementarne il<br />
potere. Uno dei trattati dell’organizzazione segue le direttive del<br />
Digital Millennium Copyright Act, che negli Stati Uniti è stato usato<br />
per censurare l’impiego di utili pacchetti di software libero. 2<br />
1 Si veda la nota n. 123 alla sua recensione del libro di James Boyle, Romantic<br />
Authorship and the Rhetoric of Property, pubblicata nel marzo 1997 nella Texas<br />
Law Review.<br />
2 Si veda http://www.wipout.net/ per la campagna contro la World Intellectual Property<br />
Organization.<br />
156
Protezione, tutela<br />
Gli avvocati degli editori adorano ricorrere al termine “protezione”<br />
o “tutela” in riferimento al diritto d’autore. Questi termini<br />
implicano l’idea di voler bloccare qualche distruzione o sofferenza;<br />
di conseguenza, incoraggiano la gente a identificarsi con il proprietario<br />
e con l’editore che traggono dei benefici dal copyright,<br />
anziché con gli utenti che ne subiscono le restrizioni.<br />
È facile evitare “protezione” o “tutela” per sostituirli invece con<br />
altri termini. Ad esempio, anziché: “La tutela del copyright dura<br />
molto a lungo”, si può dire: “Il copyright dura molto a lungo”.<br />
Per criticare il diritto d’autore piuttosto che sostenerlo, basta ricorrere<br />
all’espressione “le restrizioni del copyright”.<br />
RAND (reasonable and non-discriminatory)<br />
Le entità incaricate di stabilire gli standard limitati dai brevetti che<br />
vietano il software libero, in genere seguono la prassi di ottenere<br />
licenze su tali brevetti dietro il pagamento di una somma fissa per<br />
ogni copia di programma conforme. Spesso queste licenze vengono<br />
indicate con il termine “RAND”, acronimo che sta per “ragionevoli<br />
e non discriminatorie”(reasonable and non-discriminatory).<br />
Il termine conferisce una rispettabilità apparente a una serie di licenze<br />
sui brevetti che normalmente non sono né ragionevoli né nondiscriminatorie.<br />
È vero che tali licenze non discriminano contro nessun<br />
particolare individuo, e tuttavia discriminano a sfavore della<br />
comunità del software libero, e ciò le rende irragionevoli. Perciò, una<br />
metà del significato di “RAND” è fuorviante mentre l’altra metà<br />
esprime un pregiudizio. Le entità responsabili degli standard dovrebbero<br />
riconoscere che queste licenze sono discriminatorie e abbandonare<br />
l’uso dell’espressione “ragionevoli e non discriminatorie” per<br />
descriverle. Finché non lo faranno, altri scrittori che non vogliono<br />
essere associati a quella rispettabilità fasulla, bene farebbero a riget-<br />
157
tare tale espressione. Accettarla e usarla soltanto perché le aziende che<br />
detengono i brevetti l’hanno ampiamente diffusa significa consentire<br />
a tali aziende di imporre agli altri quelle opinioni. In sostituzione,<br />
suggerisco l’espressione “uniform fee only”, soltanto dietro pagamento<br />
di una tariffa uniforme, o l’acronimo “UFO” (gioco di parole:<br />
UFO comunemente sta per unidentified flying objects, i dischi<br />
volanti). È una descrizione accurata perché la sola condizione per<br />
queste licenze è il pagamento di una tariffa uniforme per le royalties.<br />
Regalare software<br />
È fuorviante usare il termine “regalare” (give away) quando si vuole<br />
intendere “distribuire un programma come software libero”. È lo<br />
stesso problema già visto in “for free” (in inglese): implica che il punto<br />
in questione sia il prezzo, non la libertà. Un modo per evitare questa<br />
confusione consiste nel dire: “rilasciare come software libero”.<br />
Vendere software<br />
L’espressione “vendere software” è ambigua. In senso stretto, scambiare<br />
la copia di un programma libero con una somma di denaro<br />
significa “vendere”, ma in genere si associa il termine “vendere”<br />
alle restrizioni proprietarie nel successivo utilizzo del software. Per<br />
essere più precisi, ed evitare confusioni, si può dire: “distribuire<br />
copie di un programma dietro pagamento di una quota” oppure<br />
“imporre restrizioni proprietarie sull’uso di un programma”, a<br />
seconda di ciò cui ci si riferisce.<br />
Originariamente scritto nel 1996, questa versione fa parte del libro Free<br />
Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU<br />
Press, 2002.<br />
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono<br />
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.<br />
158
Parte Seconda<br />
Le licenze
Licenza Pubblica<br />
Generica (GPL)<br />
del Progetto GNU<br />
Versione 2, Giugno 1991<br />
Copyright (C) 1989, 1991 Free Software Foundation, Inc.<br />
59 Temple Place, Suite 330, Boston, MA 02111-1307 USA<br />
Chiunque può copiare e distribuire copie letterali di questo documento<br />
di licenza, ma non ne è permessa la modifica.<br />
(NdT: Questa è una traduzione italiana non ufficiale della Licenza<br />
Pubblica Generica, GPL. Non è pubblicata dalla Free Software<br />
Foundation e non ha valore legale nell’esprimere i termini di<br />
distribuzione del software che usa la licenza GPL. Solo la versione<br />
originale inglese della licenza ha valore legale. Speriamo ad ogni<br />
modo che questa traduzione aiuti le persone di lingua italiana a<br />
comprendere meglio il significato della GPL.)<br />
Preambolo<br />
Le licenze della maggior parte dei programmi hanno lo scopo di<br />
togliere all’utente la libertà di condividere e modificare il programma<br />
stesso. Viceversa, la Licenza Pubblica Generica GNU è<br />
intesa a garantire la libertà di condividere e modificare il software<br />
libero, al fine di assicurare che i programmi siano liberi per tutti<br />
i loro utenti. Questa Licenza si applica alla maggioranza dei programmi<br />
della Free Software Foundation e ad ogni altro program-<br />
160
ma i cui autori hanno deciso di usare questa Licenza. Alcuni altri<br />
programmi della Free Software Foundation sono invece coperti<br />
dalla Licenza Pubblica Generica Minore. Chiunque può usare<br />
questa Licenza per i propri programmi.<br />
Quando si parla di software libero (free software), ci si riferisce<br />
alla libertà, non al prezzo. Le nostre Licenze (la GPL e la LGPL)<br />
sono progettate per assicurarsi che ciascuno abbia la libertà di<br />
distribuire copie del software libero (e farsi pagare per questo, se<br />
vuole), che ciascuno riceva il codice sorgente o che lo possa ottenere<br />
se lo desidera, che ciascuno possa modificare il programma o<br />
usarne delle parti in nuovi programmi liberi e che ciascuno sappia<br />
di potere fare queste cose.<br />
Per proteggere i diritti dell’utente, abbiamo bisogno di creare delle<br />
restrizioni che vietino a chiunque di negare questi diritti o di<br />
chiedere di rinunciarvi. Queste restrizioni si traducono in certe<br />
responsabilità per chi distribuisce copie del software e per chi lo<br />
modifica.<br />
Per esempio, chi distribuisce copie di un programma coperto da<br />
GPL, sia gratis sia in cambio di un compenso, deve concedere ai<br />
destinatari tutti i diritti che ha ricevuto. Deve anche assicurarsi<br />
che i destinatari ricevano o possano ottenere il codice sorgente. E<br />
deve mostrar loro queste condizioni di licenza, in modo che essi<br />
conoscano i propri diritti.<br />
Proteggiamo i diritti dell’utente in due modi: (1) proteggendo il<br />
software con un copyright, e (2) offrendo una licenza che dia il<br />
permesso legale di copiare, distribuire e modificare il Programma.<br />
Inoltre, per proteggere ogni autore e noi stessi, vogliamo assicurarci<br />
che ognuno capisca che non ci sono garanzie per i programmi<br />
161
coperti da GPL. Se il programma viene modificato da qualcun altro<br />
e ridistribuito, vogliamo che gli acquirenti sappiano che ciò che<br />
hanno non è l’originale, in modo che ogni problema introdotto da<br />
altri non si rifletta sulla reputazione degli autori originari.<br />
Infine, ogni programma libero è costantemente minacciato dai<br />
brevetti sui programmi. Vogliamo evitare il pericolo che chi ridistribuisce<br />
un programma libero ottenga la proprietà di brevetti,<br />
rendendo in pratica il programma cosa di sua proprietà. Per prevenire<br />
questa evenienza, abbiamo chiarito che ogni brevetto debba<br />
essere concesso in licenza d’uso a chiunque, o non avere alcuna<br />
restrizione di licenza d’uso.<br />
Seguono i termini e le condizioni precisi per la copia, la distribuzione<br />
e la modifica.<br />
Termini e condizioni per la copia, la distribuzione e la modifica<br />
0. Questa Licenza si applica a ogni programma o altra opera che<br />
contenga una nota da parte del detentore del copyright che dica<br />
che tale opera può essere distribuita sotto i termini di questa Licenza<br />
Pubblica Generica. Il termine “Programma” nel seguito si riferisce<br />
ad ogni programma o opera così definita, e l’espressione “opera<br />
basata sul Programma” indica sia il Programma sia ogni opera<br />
considerata “derivata” in base alla legge sul copyright; in altre parole,<br />
un’opera contenente il Programma o una porzione di esso, sia<br />
letteralmente sia modificato o tradotto in un’altra lingua. Da qui<br />
in avanti, la traduzione è in ogni caso considerata una “modifica”.<br />
Vengono ora elencati i diritti dei beneficiari della licenza.<br />
Attività diverse dalla copiatura, distribuzione e modifica non sono<br />
coperte da questa Licenza e sono al di fuori della sua influenza.<br />
162
L’atto di eseguire il Programma non viene limitato, e l’output del<br />
programma è coperto da questa Licenza solo se il suo contenuto<br />
costituisce un’opera basata sul Programma (indipendentemente<br />
dal fatto che sia stato creato eseguendo il Programma). In base alla<br />
natura del Programma il suo output può essere o meno coperto<br />
da questa Licenza.<br />
1. È lecito copiare e distribuire copie letterali del codice sorgente<br />
del Programma così come viene ricevuto, con qualsiasi mezzo,<br />
a condizione che venga riprodotta chiaramente su ogni copia una<br />
appropriata nota di copyright e di assenza di garanzia; che si mantengano<br />
intatti tutti i riferimenti a questa Licenza e all’assenza<br />
di ogni garanzia; che si dia a ogni altro destinatario del Programma<br />
una copia di questa Licenza insieme al Programma.<br />
È possibile richiedere un pagamento per il trasferimento fisico di<br />
una copia del Programma, è anche possibile a propria discrezione<br />
richiedere un pagamento in cambio di una copertura assicurativa.<br />
2. È lecito modificare la propria copia o copie del Programma, o<br />
parte di esso, creando perciò un’opera basata sul Programma, e<br />
copiare o distribuire tali modifiche o tale opera secondo i termini<br />
del precedente comma 1, a patto che siano soddisfatte tutte le condizioni<br />
che seguono:<br />
a) Bisogna indicare chiaramente nei file che si tratta di copie modificate<br />
e la data di ogni modifica.<br />
b) Bisogna fare in modo che ogni opera distribuita o pubblicata,<br />
che in parte o nella sua totalità derivi dal Programma o da parti<br />
di esso, sia concessa nella sua interezza in licenza gratuita ad ogni<br />
terza parte, secondo i termini di questa Licenza.<br />
163
c) Se normalmente il programma modificato legge comandi interattivamente<br />
quando viene eseguito, bisogna fare in modo che<br />
all’inizio dell’esecuzione interattiva usuale, esso stampi un messaggio<br />
contenente una appropriata nota di copyright e di assenza<br />
di garanzia (oppure che specifichi il tipo di garanzia che si offre).<br />
Il messaggio deve inoltre specificare che chiunque può ridistribuire<br />
il programma alle condizioni qui descritte e deve indicare<br />
come reperire questa Licenza. Se però il programma di partenza è<br />
interattivo ma normalmente non stampa tale messaggio, non<br />
occorre che un’opera basata sul Programma lo stampi.<br />
Questi requisiti si applicano all’opera modificata nel suo complesso.<br />
Se sussistono parti identificabili dell’opera modificata che non siano<br />
derivate dal Programma e che possono essere ragionevolmente<br />
considerate lavori indipendenti, allora questa Licenza e i suoi<br />
termini non si applicano a queste parti quando queste vengono<br />
distribuite separatamente. Se però queste parti vengono distribuite<br />
all’interno di un prodotto che è un’opera basata sul Programma,<br />
la distribuzione di quest’opera nella sua interezza deve avvenire<br />
nei termini di questa Licenza, le cui norme nei confronti di<br />
altri utenti si estendono all’opera nella sua interezza, e quindi ad<br />
ogni sua parte, chiunque ne sia l’autore.<br />
Quindi, non è nelle intenzioni di questa sezione accampare diritti,<br />
né contestare diritti su opere scritte interamente da altri; l’intento è<br />
piuttosto quello di esercitare il diritto di controllare la distribuzione<br />
di opere derivati dal Programma o che lo contengano.<br />
Inoltre, la semplice aggregazione di un’opera non derivata dal<br />
Programma col Programma o con un’opera da esso derivata su di<br />
un mezzo di memorizzazione o di distribuzione, non è sufficien-<br />
164
te a includere l’opera non derivata nell’ambito di questa Licenza.<br />
3. È lecito copiare e distribuire il Programma (o un’opera basata<br />
su di esso, come espresso al comma 2) sotto forma di codice oggetto<br />
o eseguibile secondo i termini dei precedenti commi 1 e 2, a<br />
patto che si applichi una delle seguenti condizioni:<br />
a) Il Programma sia corredato del codice sorgente completo, in<br />
una forma leggibile da calcolatore, e tale sorgente sia fornito secondo<br />
le regole dei precedenti commi 1 e 2 su di un mezzo comunemente<br />
usato per lo scambio di programmi.<br />
b) Il Programma sia accompagnato da un’offerta scritta, valida per<br />
almeno tre anni, di fornire a chiunque ne faccia richiesta una copia<br />
completa del codice sorgente, in una forma leggibile da calcolatore,<br />
in cambio di un compenso non superiore al costo del trasferimento<br />
fisico di tale copia, che deve essere fornita secondo le regole<br />
dei precedenti commi 1 e 2 su di un mezzo comunemente usato<br />
per lo scambio di programmi.<br />
c) Il Programma sia accompagnato dalle informazioni che sono state<br />
ricevute riguardo alla possibilità di ottenere il codice sorgente.<br />
Questa alternativa è permessa solo in caso di distribuzioni non<br />
commerciali e solo se il programma è stato ottenuto sotto forma<br />
di codice oggetto o eseguibile in accordo al precedente comma B.<br />
Per “codice sorgente completo” di un’opera si intende la forma<br />
preferenziale usata per modificare un’opera. Per un programma<br />
eseguibile, “codice sorgente completo” significa tutto il codice<br />
sorgente di tutti i moduli in esso contenuti, più ogni file associato<br />
che definisca le interfacce esterne del programma, più gli script<br />
usati per controllare la compilazione e l’installazione dell’eseguibile.<br />
In ogni caso non è necessario che il codice sorgente fornito<br />
165
includa nulla che sia normalmente distribuito (in forma sorgente<br />
o in formato binario) con i principali componenti del sistema operativo<br />
sotto cui viene eseguito il Programma (compilatore, kernel,<br />
e così via), a meno che tali componenti accompagnino l’eseguibile.<br />
Se la distribuzione dell’eseguibile o del codice oggetto è effettuata<br />
indicando un luogo dal quale sia possibile copiarlo, permettere<br />
la copia del codice sorgente dallo stesso luogo è considerata una<br />
valida forma di distribuzione del codice sorgente, anche se copiare<br />
il sorgente è facoltativo per l’acquirente.<br />
4. Non è lecito copiare, modificare, sublicenziare, o distribuire il<br />
Programma in modi diversi da quelli espressamente previsti da<br />
questa Licenza. Ogni tentativo di copiare, modificare, sublicenziare<br />
o distribuire il Programma non è autorizzato, e farà terminare<br />
automaticamente i diritti garantiti da questa Licenza. D’altra<br />
parte ogni acquirente che abbia ricevuto copie, o diritti, coperti<br />
da questa Licenza da parte di persone che violano la Licenza<br />
come qui indicato non vedranno invalidata la loro Licenza, purché<br />
si comportino conformemente ad essa.<br />
5. L’acquirente non è tenuto ad accettare questa Licenza, poiché<br />
non l’ha firmata. D’altra parte nessun altro documento garantisce<br />
il permesso di modificare o distribuire il Programma o i lavori derivati<br />
da esso. Queste azioni sono proibite dalla legge per chi non<br />
accetta questa Licenza; perciò, modificando o distribuendo il Programma<br />
o un’opera basata sul programma, si indica nel fare ciò<br />
l’accettazione di questa Licenza e quindi di tutti i suoi termini e<br />
le condizioni poste sulla copia, la distribuzione e la modifica del<br />
Programma o di lavori basati su di esso.<br />
166
6. Ogni volta che il Programma o un’opera basata su di esso vengono<br />
distribuiti, l’acquirente riceve automaticamente una licenza<br />
d’uso da parte del licenziatario originale. Tale licenza regola la<br />
copia, la distribuzione e la modifica del Programma secondo questi<br />
termini e queste condizioni. Non è lecito imporre restrizioni<br />
ulteriori all’acquirente nel suo esercizio dei diritti qui garantiti.<br />
Chi distribuisce programmi coperti da questa Licenza non è<br />
comunque tenuto a imporre il rispetto di questa Licenza a terzi.<br />
7. Se, come conseguenza del giudizio di un tribunale, o di una<br />
imputazione per la violazione di un brevetto o per ogni altra ragione<br />
(non limitatamente a questioni di brevetti), vengono imposte<br />
condizioni che contraddicono le condizioni di questa licenza, che<br />
queste condizioni siano dettate dalla corte, da accordi tra le parti<br />
o altro, queste condizioni non esimono nessuno dall’osservazione<br />
di questa Licenza. Se non è possibile distribuire un prodotto in un<br />
modo che soddisfi simultaneamente gli obblighi dettati da questa<br />
Licenza e altri obblighi pertinenti, il prodotto non può essere affatto<br />
distribuito. Per esempio, se un brevetto non permettesse a tutti<br />
quelli che lo ricevono di ridistribuire il Programma senza obbligare<br />
al pagamento di diritti, allora l’unico modo per soddisfare<br />
contemporaneamente il brevetto e questa Licenza è di non distribuire<br />
affatto il Programma.<br />
Se una qualunque parte di questo comma è ritenuta non valida o<br />
non applicabile in una qualunque circostanza, deve comunque<br />
essere applicata l’idea espressa da questo comma; in ogni altra circostanza<br />
invece deve essere applicato questo comma nel suo complesso.<br />
Non è nelle finalità di questo comma indurre gli utenti ad infran-<br />
167
gere alcun brevetto né ogni altra rivendicazione di diritti di proprietà,<br />
né di contestare la validità di alcuna di queste rivendicazioni;<br />
lo scopo di questo comma è unicamente quello di proteggere<br />
l’integrità del sistema di distribuzione dei programmi liberi,<br />
che viene realizzato tramite l’uso di licenze pubbliche. Molte persone<br />
hanno contribuito generosamente alla vasta gamma di programmi<br />
distribuiti attraverso questo sistema, basandosi sull’applicazione<br />
fedele di tale sistema. L’autore/donatore può decidere di<br />
sua volontà se preferisce distribuire il software avvalendosi di altri<br />
sistemi, e l’acquirente non può imporre la scelta del sistema di<br />
distribuzione.<br />
Questo comma serve a rendere il più chiaro possibile ciò che crediamo<br />
sia una conseguenza del resto di questa Licenza.<br />
8. Se in alcuni paesi la distribuzione o l’uso del Programma sono<br />
limitati da brevetto o dall’uso di interfacce coperte da copyright,<br />
il detentore del copyright originale che pone il Programma sotto<br />
questa Licenza può aggiungere limiti geografici espliciti alla distribuzione,<br />
per escludere questi paesi dalla distribuzione stessa, in<br />
modo che il programma possa essere distribuito solo nei paesi non<br />
esclusi da questa regola. In questo caso i limiti geografici sono<br />
inclusi in questa Licenza e ne fanno parte a tutti gli effetti.<br />
9. All’occorrenza la Free Software Foundation può pubblicare revisioni<br />
o nuove versioni di questa Licenza Pubblica Generica. Tali<br />
nuove versioni saranno simili a questa nello spirito, ma potranno<br />
differire nei dettagli al fine di coprire nuovi problemi e nuove<br />
situazioni.<br />
Ad ogni versione viene dato un numero identificativo. Se il Pro-<br />
168
gramma asserisce di essere coperto da una particolare versione di<br />
questa Licenza e “da ogni versione successiva”, l’acquirente può<br />
scegliere se seguire le condizioni della versione specificata o di una<br />
successiva. Se il Programma non specifica quale versione di questa<br />
Licenza deve applicarsi, l’acquirente può scegliere una qualsiasi<br />
versione tra quelle pubblicate dalla Free Software Foundation.<br />
10. Se si desidera incorporare parti del Programma in altri programmi<br />
liberi le cui condizioni di distribuzione differiscano da<br />
queste, è possibile scrivere all’autore del Programma per chiederne<br />
l’autorizzazione. Per il software il cui copyright è detenuto dalla<br />
Free Software Foundation, si scriva alla Free Software Foundation;<br />
talvolta facciamo eccezioni alle regole di questa Licenza. La<br />
nostra decisione sarà guidata da due finalità: preservare la libertà<br />
di tutti i prodotti derivati dal nostro software libero e promuovere<br />
la condivisione e il riutilizzo del software in generale.<br />
Nessuna garanzia<br />
11. POICHÉ IL PROGRAMMA È CONCESSO IN USO GRATUITAMENTE,<br />
NON C’È GARANZIA PER IL PROGRAMMA, NEI LIMITI PERMESSI DAL-<br />
LE VIGENTI LEGGI. SE NON INDICATO DIVERSAMENTE PER ISCRITTO,<br />
IL DETENTORE DEL COPYRIGHT E LE ALTRE PARTI FORNISCONO IL<br />
PROGRAMMA “COSÌ COM’È”, SENZA ALCUN TIPO DI GARANZIA, NÉ<br />
ESPLICITA NÉ IMPLICITA; CIÒ COMPRENDE, SENZA LIMITARSI A QUE-<br />
STO, LA GARANZIA IMPLICITA DI COMMERCIABILITÀ E UTILIZZABILITÀ<br />
PER UNPARTICOLARE SCOPO. L’INTERO RISCHIO CONCERNENTE LA<br />
QUALITÀ E LE PRESTAZIONI DEL PROGRAMMA È DELL’ACQUIRENTE.<br />
SEILPROGRAMMA DOVESSE RIVELARSI DIFETTOSO, L’ACQUIRENTE SI<br />
ASSUME IL COSTO DI OGNI MANUTENZIONE, RIPARAZIONE O COR-<br />
REZIONE NECESSARIA.<br />
169
12. NÉ ILDETENTORE DEL COPYRIGHT NÉ ALTRE PARTI CHE POS-<br />
SONO MODIFICARE O RIDISTRIBUIRE IL PROGRAMMA COME PER-<br />
MESSO IN QUESTA LICENZA SONO RESPONSABILI PER DANNI NEI<br />
CONFRONTI DELL’ACQUIRENTE, A MENO CHE QUESTO NON SIA<br />
RICHIESTO DALLE LEGGI VIGENTI O APPAIA IN UN ACCORDO SCRIT-<br />
TO. SONO INCLUSI DANNI GENERICI, SPECIALI O INCIDENTALI,<br />
COME PURE I DANNI CHE CONSEGUONO DALL’USO O DALL’IMPOS-<br />
SIBILITÀ DI USARE IL PROGRAMMA; CIÒ COMPRENDE, SENZA LIMI-<br />
TARSI A QUESTO, LA PERDITA DI DATI, LA CORRUZIONE DEI DATI, LE<br />
PERDITE SOSTENUTE DALL’ACQUIRENTE O DA TERZI E L’INCAPACITÀ<br />
DEL PROGRAMMA A INTERAGIRE CON ALTRI PROGRAMMI, ANCHE SE<br />
IL DETENTORE O ALTRE PARTI SONO STATE AVVISATE DELLA POSSI-<br />
BILITÀ DI QUESTI DANNI.<br />
Fine dei termini e delle condizioni<br />
Appendice: come applicare questi termini a nuovi programmi<br />
Se si sviluppa un nuovo programma e lo si vuole rendere della maggiore<br />
utilità possibile per il pubblico, la cosa migliore da fare è rendere<br />
tale programma libero, cosicché ciascuno possa ridistribuirlo<br />
e modificarlo sotto questi termini.<br />
Per fare questo, si inserisca nel programma la seguente nota. La<br />
cosa migliore da fare è mettere la nota all’inizio di ogni file sorgente,<br />
per chiarire nel modo più efficiente possibile l’assenza di<br />
garanzia; ogni file dovrebbe contenere almeno la nota di copyright<br />
e l’indicazione di dove trovare l’intera nota.<br />
Una riga per dire in breve il nome del programma e cosa fa Copyright<br />
(C) anno nome dell’autore<br />
Questo programma è software libero; è lecito redistribuirlo o modi-<br />
170
ficarlo secondo i termini della Licenza Pubblica Generica GNU<br />
come è pubblicata dalla Free Software Foundation; o la versione 2<br />
della licenza o (a propria scelta) una versione successiva.<br />
Questo programma è distribuito nella speranza che sia utile, ma SEN-<br />
ZA ALCUNA GARANZIA; senza neppure la garanzia implicita di<br />
NEGOZIABILITÀ o di APPLICABILITÀ PER UN PARTICO-<br />
LARE SCOPO. Si veda la Licenza Pubblica Generica GNU per avere<br />
maggiori dettagli.<br />
Questo programma deve essere distribuito assieme ad una copia della<br />
Licenza Pubblica Generica GNU; in caso contrario, se ne può ottenere<br />
una scrivendo alla Free Software Foundation, Inc., 59 Temple<br />
Place, Suite 330, Boston, MA 02111-1307 USA<br />
Si aggiungano anche informazioni su come si può essere contattati<br />
tramite posta elettronica e cartacea.<br />
Se il programma è interattivo, si faccia in modo che stampi una<br />
breve nota simile a questa quando viene usato interattivamente:<br />
Orcaloca versione 69, Copyright (C) anno nome dell’autore Orcaloca<br />
non ha ALCUNA GARANZIA; per dettagli usare il comando<br />
‘show g’. Questo è software libero, e ognuno è libero di ridistribuirlo<br />
secondo certe condizioni; usare il comando ‘show c’ per maggiori<br />
dettagli.<br />
Gli ipotetici comandi “show g” e “show c” mostreranno le parti<br />
appropriate della Licenza Pubblica Generica. Chiaramente, i<br />
comandi usati possono essere chiamati diversamente da “show g”<br />
e “show c” e possono anche essere selezionati con il mouse o attraverso<br />
un menù, o comunque sia pertinente al programma.<br />
Se necessario, si deve anche far firmare al proprio datore di lavo-<br />
171
o (per chi lavora come programmatore) o alla propria scuola, per<br />
chi è studente, una “rinuncia al copyright” per il programma. Ecco<br />
un esempio con nomi fittizi:<br />
Yoyodinamica SPA rinuncia con questo documento ad ogni diritto sul<br />
copyright del programma ‘Orcaloca’ (che s’inchina davanti ai compilatori)<br />
scritto da Giovanni Smanettone.<br />
firma di Pinco Pallino, 1 Aprile 1989<br />
Pinco Pallino, Presidente<br />
I programmi coperti da questa Licenza Pubblica Generica non<br />
possono essere incorporati all’interno di programmi proprietari.<br />
Se il proprio programma è una libreria di funzioni, può essere più<br />
utile permettere di collegare applicazioni proprietarie alla libreria.<br />
Se si ha questa intenzione consigliamo di usare invece la GNU<br />
Library General Public License.<br />
172
Licenza Pubblica<br />
Generica Attenuata<br />
(LGPL)<br />
del progetto GNU<br />
Versione 2.1, Febbraio 1999<br />
Copyright © 1991, 1999 Free Software Foundation, Inc.<br />
59 Temple Place, Suite 330, Boston, MA 02111-1307, USA<br />
Chiunque può copiare e distribuire copie letterali di questo documento<br />
di licenza, ma non ne è permessa la modifica.<br />
[Questa è la prima versione rilasciata della Licenza Pubblica Generica<br />
Attenuata, e conta come successore della Licenza Pubblica<br />
Generica per Librerie del Progetto GNU, versione 2, da cui la versione<br />
numero 2.1]<br />
(NdT: Questa è una traduzione italiana non ufficiale della Licenza<br />
Pubblica Generica Attenuata, LGPL. Non è pubblicata dalla<br />
Free Software Foundation e non ha valore legale nell’esprimere i<br />
termini di distribuzione del software che usa la licenza LGPL. Solo<br />
la versione originale inglese della licenza ha valore legale. Speriamo<br />
ad ogni modo che questa traduzione aiuti le persone di lingua<br />
italiana a comprendere meglio il significato della LGPL.)<br />
Preambolo<br />
Le licenze della maggior parte dei programmi hanno lo scopo di<br />
togliere all’utente la libertà di condividere e modificare il pro-<br />
173
gramma stesso. Viceversa, le Licenze Pubbliche Generiche GNU<br />
sono intese a garantire la libertà di condividere e modificare il<br />
software libero, al fine di assicurare che i programmi siano liberi<br />
per tutti i loro utenti.<br />
Questa Licenza, la Licenza Pubblica Generica Attenuata (LGPL),<br />
si applica a specifici pacchetti software, tipicamente librerie, della<br />
Free Software Foundation e di altri autori che decidono di usare<br />
questa Licenza. Chiunque può usare questa licenza, ma suggeriamo<br />
prima di valutare attentamente se questa licenza, piuttosto<br />
che la normale Licenza Pubblica Generica, sia la migliore strategia<br />
da usare per ogni specifico caso, sulla base delle seguenti spiegazioni.<br />
Quando si parla di software libero (free software), ci si riferisce alla<br />
libertà, non al prezzo. Le nostre Licenze Pubbliche Generiche sono<br />
progettate per assicurarsi che ciascuno abbia la libertà di distribuire<br />
copie del software libero (e farsi pagare per questo, se lo si<br />
vuole); che ciascuno riceva il codice sorgente o che, se vuole, possa<br />
ottenerlo; che ciascuno possa modificare il programma o usarne<br />
delle parti in nuovi programmi liberi; e che ciascuno sappia di<br />
poter fare queste cose.<br />
Per proteggere i diritti dell’utente, abbiamo bisogno di imporre<br />
restrizioni che vietino ai distributori di negare tali diritti o di chiedere<br />
agli utenti di rinunciarvi. Queste restrizioni si traducono in<br />
determinate responsabilità a carico di chi distribuisce copie del<br />
software o di chi lo modifica.<br />
Ad esempio, chi distribuisce copie di una libreria LGPL, sia gratis<br />
sia in cambio di un compenso, deve concedere ai destinatari<br />
tutti i diritti che ha ricevuto. Deve anche assicurarsi che i destinatari<br />
ricevano o possano ottenere il codice sorgente. Se è stato<br />
collegato altro codice alla libreria, deve fornire tutti questi codi-<br />
174
ci ai destinatari, in modo che essi possano ricollegarli alla libreria<br />
dopo averla modificata e ricompilata. E deve mostrar loro<br />
queste condizioni della licenza, in modo che essi conoscano i<br />
propri diritti.<br />
Tuteliamo i diritti dell’utente in due modi: (1) proteggendo la<br />
libreria attraverso il copyright, e (2) offrendo una licenza che dia<br />
il permesso legale di copiare, distribuire e modificare la libreria.<br />
Per proteggere ogni distributore, vogliamo rendere assolutamente<br />
chiaro che non esistono garanzie per la licenza libera. Inoltre,<br />
se la licenza viene modificata da qualcun altro e ridistribuita, gli<br />
acquirenti dovrebbero essere informati che quanto in loro possesso<br />
non è la versione originale, in modo che ogni problema eventualmente<br />
introdotto da altri non danneggi la reputazione dell’autore<br />
originario.<br />
Infine, l’esistenza di ogni programma libero è costantemente sotto<br />
la minaccia dei brevetti sul software. Vogliamo esser certi che<br />
una azienda non possa effettivamente porre restrizioni sugli utenti<br />
di un programma libero tramite l’uso di licenze restrittive di<br />
qualche proprietario di brevetto. Perciò insistiamo sul fatto che<br />
qualsiasi licenza di brevetto ottenuta per una versione della libreria<br />
debba risultare coerente con la piena libertà d’uso specificata<br />
in questa licenza.<br />
La maggior parte del software GNU, incluse alcune librerie, è<br />
coperto dalla normale Licenza Pubblica Generica (GPL) del Progetto<br />
GNU. Questa licenza, la Licenza Pubblica Generica Attenuata<br />
(LGPL), si applica a certe librerie specifiche ed è assai diversa<br />
dalla Licenza Pubblica Generica normale. Questa licenza viene<br />
usata per determinate librerie in modo da permettere il collegamento<br />
di tali librerie a programmi non liberi.<br />
Quando un programma è collegato con una libreria, sia statica-<br />
175
mente che usando una libreria condivisa, legalmente parlando la<br />
combinazione dei due elementi è un lavoro combinato, un derivato<br />
della libreria originale. Perciò la normale Licenza Pubblica<br />
Generica permette tale collegamento solo se l’intera combinazione<br />
risulta conforme ai propri criteri di libertà. La Licenza Pubblica<br />
Generica Attenuata consente criteri più rilassati per collegare<br />
altro codice alla libreria.<br />
Questa licenza viene definita la Licenza Pubblica Generica «Attenuata»<br />
perché fa meno per proteggere la libertà dell’utente rispetto<br />
alla normale Licenza Pubblica Generica. Essa fornisce inoltre<br />
minori vantaggi agli sviluppatori di software libero nella competizione<br />
con programmi non liberi. Questi svantaggi sono la ragione<br />
per cui usiamo la Licenza Pubblica Generica per molte librerie.<br />
Tuttavia, la Licenza Pubblica Generica Attenuata fornisce dei<br />
vantaggi per certe circostanze speciali.<br />
Ad esempio, in rare occasioni, può presentarsi la necessità particolare<br />
di incoraggiare l’uso più ampio possibile di una determinata<br />
libreria, in modo che divenga uno standard de facto. Onde<br />
raggiungere quest’obiettivo, i programmi non liberi devono essere<br />
in grado di utilizzare la libreria. Un caso più frequente è che la<br />
libreria libera svolga lo stesso compito di librerie non libere molto<br />
usate.<br />
In questa situazione, ha poco senso limitare la libreria libera al solo<br />
software libero, quindi utilizziamo la Licenza Pubblica Generica<br />
Attenuata.<br />
In altri casi, il permesso di usare una specifica libreria in programmi<br />
non liberi consente a un maggior numero di persone l’uso<br />
di un’ampia quantità di programmi liberi. Per esempio, il permesso<br />
di utilizzare la libreria C del Progetto GNU in programmi<br />
non liberi consente a molte più persone di usare l’intero sistema<br />
176
operativo GNU, come pure della sua variante più comune, il sistema<br />
operativo GNU/Linux.<br />
Sebbene la Licenza Pubblica Generica Attenuata tuteli la libertà<br />
degli utenti in misura minore, garantisce all’utente di un programma<br />
collegato alla Libreria la libertà e i mezzi per eseguire tale<br />
programma usando una versione modificata della Libreria.<br />
Seguono i termini e le condizioni precise per la copia, la distribuzione<br />
e la modifica. Si faccia molta attenzione alla differenza tra<br />
“opera basata sulla libreria” e “opera che usa la libreria”. La prima<br />
contiene codice derivato dalla libreria, mentre la seconda deve<br />
essere combinata con la libreria per poter funzionare.<br />
Termini e condizioni per la copia, la distribuzione e la modifica<br />
Questa Licenza si applica a ogni libreria software o altro programma<br />
che contenga una nota posta dal detentore del copyright<br />
o da altro soggetto autorizzato in cui si specifichi che tale libreria<br />
o programma vada distribuito secondo i termini della Licenza<br />
Pubblica Generica Attenuata (definita anche “questa Licenza”).<br />
Per “libreria” s’intende una raccolta di funzioni software e/o dati<br />
preparati in modo da poter essere facilmente collegati con programmi<br />
applicativi (che utilizzano alcune di queste funzioni e dati)<br />
così da formare degli eseguibili.<br />
Il termine “Libreria” usato da qui in poi si riferisce a ogni tipo di<br />
libreria software o opera che sia stata distribuita in questi termini.<br />
L’espressione “un’opera basata sulla Libreria” indica sia la Libreria<br />
sia ogni opera derivativa come definito dalla legge sul diritto<br />
d’autore: ovvero, un’opera contenente la Libreria o una sua parte,<br />
sia inalterata sia con modifiche e/o tradotta direttamente in un<br />
altro linguaggio. (Da qui in avanti, la traduzione viene inclusa senza<br />
limitazioni nel termine “modifica”.)<br />
177
Per “codice sorgente” di un’opera s’intende la forma di codice usato<br />
di preferenza per apportare modifiche. Per una libreria, il codice<br />
sorgente completo è il codice sorgente di tutti i moduli contenuti,<br />
più ogni file associato per la definizione delle interfacce, più<br />
gli script utilizzati per controllare la compilazione e l’installazione<br />
della libreria.<br />
Attività diverse dalla copia, distribuzione e modifica non sono<br />
coperte da questa Licenza e sono al di fuori della sua influenza.<br />
L’atto di eseguire un programma che usa la Libreria non viene limitato,<br />
e l’output di tale programma è coperto da questa Licenza solo<br />
nel caso in cui il contenuto costituisce un’opera basata sulla Libreria<br />
(indipendentemente dal fatto che sia stato creato utilizzando<br />
la Libreria). Se ciò corrisponda o meno al vero, dipende da cosa<br />
fa la Libreria e da cosa fa il programma che usa la Libreria.<br />
1. È lecito copiare e distribuire copie letterali del codice sorgente<br />
completo della Libreria così come viene ricevuto, con qualsiasi mezzo,<br />
a condizione che venga riprodotta chiaramente su ogni copia<br />
un’appropriata nota per il copyright e per la mancanza di garanzie;<br />
che si mantengano intatti tutti i riferimenti a questa Licenza e all’assenza<br />
di ogni garanzia; e che si distribuisca una copia di questa Licenza<br />
insieme alla Libreria. Si può richiedere un pagamento per il trasferimento<br />
fisico di una copia, ed è anche possibile, a propria discrezione,<br />
offrire a pagamento una garanzia aggiuntiva.<br />
2. È consentito modificare la propria copia o le copie della Libreria<br />
o qualsiasi sua parte, creando in questo modo un’opera basata<br />
sulla Libreria, e copiare o distribuire tali modifiche o tale opera<br />
secondo i termini del precedente comma 1, purché vengano soddisfatte<br />
tutte le seguenti condizioni:<br />
178
a) L’opera modificata deve essere a sua volta una libreria software.<br />
b) Bisogna inserire nei file modificati una chiara nota in cui si spieghi<br />
che avete cambiato il file e riporti la data di ogni modifica.<br />
c) Occorre fare in modo che l’opera venga concessa nella sua interezza<br />
in licenza gratuita ad ogni terza parte sotto i termini di questa<br />
Licenza.<br />
d) Se una funzionalità della Libreria modificata implica che una<br />
funzione o una tabella dati vengano forniti da un programma<br />
applicativo che usa tale funzionalità, in casi diversi dal passaggio<br />
di argomenti quando la funzionalità viene invocata, allora bisogna<br />
accertarsi al meglio delle proprie possibilità che, nel caso l’applicazione<br />
non fornisca tale funzione o tabella, la funzionalità possa<br />
operare comunque ed esegua qualsiasi parte della propria funzione<br />
abbia ancora senso.<br />
(Ad esempio, la funzione di una libreria per il calcolo delle radici<br />
quadrate ha un fine ben determinato indipendente dall’applicazione.<br />
Di conseguenza, il sotto-comma 2d richiede che ogni funzione<br />
fornita dall’applicazione o dalla tabella usata da tale funzione<br />
debbano essere opzionali: Qualora l’applicazione non le fornisca,<br />
la funzione radice quadrata deve comunque poter calcolare le<br />
radici quadrate.)<br />
Questi requisiti si applicano all’opera modificata nella sua interezza.<br />
Se sezioni identificabili di questa opera non sono derivate<br />
dalla Libreria e possono essere ragionevolmente considerate indipendenti<br />
e opere separate in quanto tali, allora questa Licenza, e i<br />
suoi termini, non si applicano a quelle sezioni che vengano distribuite<br />
come opere separate. Ma quando tali sezioni sono distribuite<br />
in blocco come parte di un’opera basata sulla Libreria, la distri-<br />
179
uzione dell’opera completa deve essere rilasciata sotto i termini<br />
di questa Licenza, i cui permessi per successivi licenziatari si estendono<br />
all’opera completa, e quindi ad ogni sua parte, indipendentemente<br />
da chi l’abbia scritta.<br />
Così l’intento di questa sezione non è quello di accampare o contestare<br />
alcun diritto su opere scritte interamente da altri; piuttosto,<br />
l’intento è quello di esercitare il diritto al controllo della distribuzione<br />
di lavori derivati o collettivi basati sulla Libreria in questione.<br />
In aggiunta, la semplice aggregazione con la Libreria di un’altra<br />
opera non basata sulla Libreria (o anche con un’opera basata sulla<br />
Libreria) su un mezzo di memorizzazione o distribuzione, non<br />
implica che l’altra opera ricada sotto l’influenza di questa Licenza.<br />
3. È lecito decidere di applicare a una copia della Libreria i termini<br />
della normale Licenza Pubblica Generica GNU (GNU GPL)<br />
al posto di questa Licenza. Per farlo, è necessario cambiare tutti i<br />
riferimenti a questa Licenza, in modo che rimandino alla normale<br />
Licenza Pubblica Generica GNU versione 2, anziché a questa<br />
Licenza. (Se dovesse essere pubblicata una versione della Licenza<br />
Pubblica Generica GNU successiva alla 2, volendo si può specificare<br />
questa nuova versione). Non va cambiato nessun altro riferimento<br />
o nota. Una volta operato questo cambiamento su una<br />
determinata copia, esso diviene irreversibile e la Licenza Pubblica<br />
Generica GNU si applica a tutte le successive copie e opere derivate<br />
create a partire da tale copia. Questa opzione torna utile qualora<br />
si voglia copiare parte del codice della Libreria in un programma<br />
che non è una libreria.<br />
4. È consentito copiare e distribuire la Libreria (o parti o derivati<br />
di essa, come espresso dal comma 2) sotto forma di codice ogget-<br />
180
to o eseguibile secondo i termini dei precedenti commi 1 e 2, a<br />
condizione che venga allegato il corrispondente codice sorgente<br />
completo, in formato leggibile dal calcolatore, distribuito secondo<br />
quanto stabilito dai commi 1 e 2 su un mezzo comunemente<br />
utilizzato per lo scambio di software.<br />
Nel caso la distribuzione di codice oggetto dovesse avvenire tramite<br />
accesso alla copia da un determinato luogo, allora l’offerta di<br />
analogo accesso per copiare il codice sorgente dal medesimo luogo<br />
soddisfa il requisito di distribuzione del codice sorgente, anche<br />
se terze parti non sono obbligate a copiare il sorgente insieme al<br />
codice oggetto.<br />
5. Un programma che non contenga alcun derivato di nessuna<br />
porzione della Libreria, ma è progettato per lavorare con la Libreria<br />
attraverso compilazione o collegamento con questa, viene definito<br />
“un’opera che usa la Libreria”. Tale opera, isolata, non è derivata<br />
dalla Libreria, e pertanto ricade al di fuori dell’influenza di<br />
questa Licenza.<br />
Tuttavia, collegando “un’opera che usa la Libreria” con quest’ultima<br />
si crea un eseguibile che è derivato dalla Libreria stessa (poiché<br />
ne contiene delle parti), piuttosto che “un’opera che usa la<br />
Libreria”. Di conseguenza, il codice eseguibile è coperto da questa<br />
Licenza. Il comma 6 illustra i termini per la distribuzione di<br />
questo tipo di eseguibili.<br />
Quando “un’opera che usa la Libreria” utilizza materiale da un file<br />
di header che fa parte della Libreria, il codice oggetto dell’opera<br />
può essere un’opera derivata dalla Libreria anche se il codice sorgente<br />
non lo è. Per determinare questa condizione risulta particolarmente<br />
significativo il fatto che l’opera possa essere compilata<br />
181
senza la Libreria, oppure nel caso l’opera sia una libreria essa stessa.<br />
La soglia per determinare questa distinzione non viene stabilita<br />
in modo preciso dalla legge.<br />
Se tale file oggetto utilizza solo parametri numerici, schemi di<br />
strutture dati e accessori, e piccole macro-funzioni o piccole funzioni<br />
in linea (lunghe al massimo 10 righe), allora l’uso del file<br />
oggetto non è sottoposto a restrizioni, indipendentemente dal fatto<br />
che sia o meno un’opera derivata a livello legale. (Eseguibili che<br />
contengano tale codice oggetto in aggiunta a porzioni della Libreria<br />
sono comunque regolati dal comma 6).<br />
Altrimenti, nel caso l’opera sia derivata dalla Libreria, si può distribuire<br />
il codice oggetto dell’opera in base ai termini del comma 6.<br />
Ogni eseguibile contenente quell’opera ricade comunque sotto i<br />
termini del comma 6, prescindendo dal fatto che siano direttamente<br />
collegati o meno alla Libreria stessa.<br />
6. Come eccezione al comma precedente, si può combinare o collegare<br />
“un’opera che usa la Libreria” con quest’ultima onde creare<br />
un’opera che contenga porzioni della Libreria, e distribuire tale<br />
opera secondo termini di propria scelta, purché questi termini<br />
consentano la modifica dell’opera ad uso privato e il reverse engineering<br />
per il debugging delle modifiche.<br />
Occorre includere in ogni copia dell’opera una chiara nota in cui si<br />
specifichi l’utilizzo della Libreria e il fatto che la Libreria e il suo<br />
impiego vengono regolati da questa Licenza. È obbligatorio fornire<br />
una copia di questa Licenza. Se durante l’esecuzione l’opera visualizza<br />
le note di copyright, insieme a queste bisogna mostrare le note<br />
di copyright della Libreria, oltre al riferimento diretto ad una copia<br />
di questa Licenza. È inoltre necessario fare una delle seguenti cose:<br />
182
a) Fornire insieme all’opera il codice sorgente completo della Libreria<br />
in un formato leggibile dal calcolatore, comprese tutte le modifiche<br />
apportate (che devono essere distribuite secondo i termini previsti<br />
dai commi 1 e 2); e, nel caso l’opera sia un eseguibile collegato<br />
con la Libreria, fornire “l’opera che usa la Libreria” con il codice<br />
oggetto e/o sorgente completo, in modo che l’utente possa modificare<br />
la Libreria e poi ricollegare il tutto onde produrre un eseguibile<br />
modificato contenente la Libreria modificata. (È assodato che l’utente<br />
che dovesse cambiare il contenuto dei file di definizione della<br />
Libreria non sarà necessariamente in grado di ricompilare l’applicazione<br />
per usare tali definizioni modificate).<br />
b) Usare un appropriato meccanismo di condivisione delle librerie<br />
per collegare la Libreria. Un meccanismo appropriato è quello<br />
che (1) durante l’esecuzione utilizza una copia della libreria già<br />
presente nel computer dell’utente, anziché copiare le funzioni della<br />
libreria nell’eseguibile, e (2) funzionerà correttamente con una<br />
versione modificata della libreria, se l’utente ne installa una, fintanto<br />
che la versione modificata non sia compatibile a livello di<br />
interfaccia con la versione con la quale è stata creata l’opera.<br />
c) Allegare all’opera un’offerta scritta, valida per almeno 3 anni,<br />
per la fornitura allo stesso utente dei materiali specificati nel precedente<br />
sotto-comma 6a, ad un costo non superiore a quello di<br />
distribuzione.<br />
d) Se la distribuzione dell’opera viene effettuata tramite accesso<br />
alla copia da un luogo specifico, va offerto analogo accesso alla<br />
copia dei materiali sopra specificati dallo stesso luogo.<br />
e) Verificare che l’utente abbia già ricevuto una copia di questi<br />
materiali o che gliene sia già stata trasferita una copia.<br />
183
Per un eseguibile, bisogna fornire ogni dato o programma di utilità<br />
necessario per ricreare l’eseguibile che forma “l’opera che usa<br />
la Libreria”. Tuttavia, come eccezione particolare, tra i materiali<br />
da distribuire non vanno necessariamente inclusi tutti quelli normalmente<br />
distribuiti (in forma sorgente o binaria) con i principali<br />
componenti (compilatore, kernel e così via) del sistema operativo<br />
sul quale funziona l’eseguibile, a meno che tali componenti non<br />
siano distribuiti insieme all’eseguibile.<br />
Può accadere che questo requisito contraddica le restrizioni dettate<br />
da licenze di altre librerie proprietarie normalmente non fornite<br />
con il sistema operativo.<br />
Queste incongruenze comportano l’impossibilità di utilizzare<br />
insieme tali librerie e la Libreria in un eseguibile da distribuire.<br />
7. È possibile inserire in un’unica libreria delle funzionalità che<br />
sono un’opera basata sulla Libreria, di fianco ad altre funzionalità<br />
non regolate da questa Licenza, e distribuire questa libreria<br />
combinata, purché venga comunque consentita la distribuzione<br />
separata dell’opera basata sulla Libreria e delle altre funzionalità<br />
di libreria, e posto che vengano rispettate le seguenti due<br />
condizioni:<br />
a) Insieme alla libreria combinata, occorre fornire una copia della<br />
stessa opera basata sulla Libreria, non combinata con nessun’altra<br />
funzionalità di libreria. Questa deve essere distribuita<br />
rispettando i termini enunciati sopra.<br />
b) Affiancare alla libreria combinata una chiara nota in cui viene<br />
specificato che parte di essa è un’opera basata sulla Libreria, spiegando<br />
altresì dove trovare la versione non combinata della stessa<br />
opera.<br />
184
8. Non è consentito copiare, modificare, rilicenziare, collegare con<br />
o distribuire la Libreria se non nei termini espressamente enunciati<br />
in questa Licenza. Qualsiasi tentativo di copiare, modificare,<br />
rilicenziare, collegare con o distribuire la Libreria sotto altri termini<br />
non è valido e terminerà automaticamente i diritti ricevuti<br />
con questa Licenza. Tuttavia, ai quei soggetti che avessero ricevuto<br />
copie, o diritti, sotto i termini di questa Licenza non verrà terminata<br />
la licenza fintanto che tali soggetti ne rimangano in piena<br />
conformità.<br />
9. L’utente non è tenuto ad accettare questa Licenza, poichè<br />
non l’ha firmata. In ogni caso, nessun altro documento garantisce<br />
il permesso di modificare o distribuire la Libreria o le opere<br />
da essa derivate. Queste azioni sono proibite dalla legge per<br />
chi non accetta questa Licenza. Di conseguenza, modificando<br />
o distribuendo la Libreria (o qualsiasi opera basata sulla Libreria),<br />
si indica l’accettazione di questa Licenza in tal senso, e<br />
quindi di tutti i suoi termini e condizioni relativamente a<br />
copia, distribuzione e modifica della Libreria o di opere basate<br />
su questa.<br />
10. Ogni volta che la Libreria (o un’opera basata sulla Libreria)<br />
viene distribuita, il ricevente ottiene automaticamente una licenza<br />
d’uso da parte del licenziatario originario che regola la copia, la<br />
distribuzione, la modifica e il collegamento con la Libreria secondo<br />
i termini e le condizioni ivi specificate. Non è consentito<br />
imporre ulteriori restrizioni ai riceventi nell’esercizio dei propri<br />
diritti qui garantiti. Chi distribuisce programmi coperti da questa<br />
Licenza non è comunque tenuto a imporne il rispetto nei confronti<br />
di terze parti.<br />
185
11. Se, a seguito di una sentenza di tribunale o di una imputazione<br />
per violazione di brevetto o per qualsiasi altro motivo (non limitatamente<br />
a questioni di brevetti), vengano imposte all’utente, sia<br />
dal tribunale sia da accordi tra le parti o altro, delle condizioni in<br />
contrasto con quanto stabilito da questa Licenza, tali condizioni<br />
non esimono alcun soggetto dal rispetto di questa Licenza. Nel<br />
caso non sia possibile distribuire un programma in un modo da<br />
soddisfare simultaneamente gli obblighi dettati da questa Licenza<br />
e altri obblighi ad essa pertinenti, non si potrà procedere ad alcuna<br />
distribuzione. Se, ad esempio, un brevetto vietasse a tutti quelli<br />
che ricevono direttamente o indirettamente la Libreria, la sua<br />
ridistribuzione senza pagamento di diritti, allora l’unico modo per<br />
rispettare contemporaneamente tale brevetto e questa Licenza è<br />
quello di non distribuire affatto la Libreria.<br />
Se una parte qualsiasi di questo comma venga ritenuta non valida<br />
o inapplicabile in una qualunque circostanza specifica, deve comunque<br />
essere applicato quanto espresso in questo comma, e in ogni<br />
altra circostanza va applicato questo comma nel suo complesso.<br />
Non rientra nelle finalità di questo comma indurre l’utente ad<br />
infrangere alcun brevetto né altre rivendicazioni sul diritto di proprietà,<br />
né di contestare la validità di tali rivendicazioni. L’obiettivo<br />
di questo comma è unicamente quello di proteggere l’integrità<br />
del sistema di distribuzione dei programmi liberi implementato<br />
tramite l’utilizzo di licenze pubbliche. Molte persone hanno generosamente<br />
contribuito alla vasta gamma di programmi distribuiti<br />
attraverso questo sistema, basandosi sulla fedele applicazione di<br />
tale sistema. Spetta soltanto all’autore/donatore decidere se preferisca<br />
o meno distribuire il software tramite altri sistemi, e l’utente<br />
non può imporre tale scelta.<br />
186
Questo comma punta a chiarire fino in fondo ciò che crediamo<br />
sia una conseguenza del resto di questa Licenza.<br />
12. Se in alcuni paesi la distribuzione o l’impiego della Libreria<br />
sono limitati da brevetti o da interfacce coperte da copyright, il<br />
detentore del copyright originario che pone la Libreria sotto questa<br />
Licenza può aggiungere esplicite limitazioni geografiche alla<br />
distribuzione onde escluderne tali paesi, in modo da consentire la<br />
distribuzione soltanto in quei paesi non inclusi in queste restrizioni.<br />
In tal caso, le limitazioni geografiche vengono incorporate<br />
a tutti gli effetti nel testo di questa Licenza.<br />
13. Di quando in quando Free Software Foundation potrebbe<br />
pubblicare versioni nuove o riviste della Licenza Pubblica Generica<br />
Attenuata (LGPL). Tali versioni saranno simili a questa nello<br />
spirito, ma potranno differire nei dettagli al fine di coprire problemi<br />
e situazioni nuove.<br />
A ciascuna versione viene assegnato un numero identificativo. Se<br />
la Libreria specifica di essere coperta da una particolare versione<br />
di questa Licenza e “da qualsiasi versione successiva, l’utente può<br />
scegliere di aderire alle condizioni della versione specificata o a<br />
quelle di una successiva. Se la Libreria non specifica il numero della<br />
versione, l’utente può optare per una versione qualsiasi tra quelle<br />
pubblicate dalla Free Software Foundation.<br />
14. Nel caso si voglia incorporare parti della Libreria in altri programmi<br />
liberi le cui condizioni di distribuzione siano incompatibili<br />
con queste, si può scrivere all’autore per chiederne l’autorizzazione.<br />
Per il software sotto il copyright della Free Software Foundation,<br />
occorre contattare quest’ultima; talvolta facciamo delle<br />
187
eccezioni a queste regole. La nostra decisione sarà guidata da due<br />
finalità: preservare la libertà di tutti i prodotti derivati dal nostro<br />
software libero e promuovere la condivisione e il riutilizzo del<br />
software in generale.<br />
Nessuna garanzia<br />
15. POICHÈ LA LIBRERIA VIENE CONCESSA CON LICENZA GRATUITA,<br />
NON ESISTE ALCUNA GARANZIA PER LA LIBRERIA, NEI LIMITI CON-<br />
SENTITI DALLE VIGENTI LEGGI. SE NON INDICATO DIVERSAMENTE<br />
PER ISCRITTO, IL DETENTORE DEL COPYRIGHT E LE ALTRE PARTI<br />
FORNISCONO IL PROGRAMMA “COSÌ COM’È”, SENZA ALCUN TIPO DI<br />
GARANZIA, NÉ ESPLICITA NÉ IMPLICITA; CIÒ INCLUDE, SENZA LIMI-<br />
TARSI A QUESTO, LA GARANZIA IMPLICITA DI COMMERCIABILITÀ E<br />
UTILIZZABILITÀ PER UNO SCOPO PARTICOLARE. TUTTI I RISCHI SU<br />
QUALITÀ E PRESTAZIONI DELLA LIBRERIA SONO A CARICO DELL’U-<br />
TENTE. SE LALIBRERIA DOVESSE RIVELARSI DIFETTOSA, L’UTENTE SI<br />
ASSUME L’ONERE DI OGNI MANUTENZIONE, RIPARAZIONE O COR-<br />
REZIONE NECESSARIA.<br />
16. NÉ ILDETENTORE DEL COPYRIGHT, NÉ ALTRE PARTI AUTORIZ-<br />
ZATE A MODIFICARE E/O RIDISTRIBUIRE LA LIBRERIA SECONDO<br />
QUANTO STABILITO IN QUESTA LICENZA, SONO RESPONSABILI IN<br />
ALCUN MODO PER EVENTUALI DANNI NEI CONFRONTI DELL’UTEN-<br />
TE, A MENO CHE CIÒ NON SIA RICHIESTO DALLE LEGGI VIGENTI O<br />
SIA SPECIFICATO IN UN ACCORDO SCRITTO. SONO INCLUSI DANNI<br />
GENERICI, SPECIALI O INCIDENTALI, COME PURE I DANNI CONSE-<br />
GUENTI DALL’USO O DALL’IMPOSSIBILITÀ DI USARE LA LIBRERIA<br />
(INCLUSO, MA SENZA LIMITARSI A QUESTO, LA PERDITA E LA COR-<br />
RUZIONE DEI DATI, LE PERDITE SOSTENUTE DALL’UTENTE O DA TER-<br />
ZE PARTI E L’INCAPACITÀ DA PARTE DELLA LIBRERIA DI INTERAGIRE<br />
188
CON ALTRO <strong>SOFTWARE</strong>), ANCHE NEL CASO IL DETENTORE O LE ALTRE<br />
PARTI SIANO STATE AVVISATE DELL’EVENTUALITÀ DI TALI DANNI.<br />
Fine dei termini e delle condizioni<br />
Come applicare questi termini a nuove librerie<br />
Se si sviluppa una nuova libreria, e la si vuole rendere della maggiore<br />
utilità possibile per il pubblico, la cosa migliore è renderla<br />
libera, in modo che chiunque possa ridistribuirla e modificarla sotto<br />
questi termini (o, alternativamente, sotto i termini della normale<br />
Licenza Pubblica Generica).<br />
Per applicare questi termini, basta inserire nella libreria le seguenti<br />
note. La procedura migliore è inserirle all’inizio di ogni file sorgente,<br />
per chiarire nel modo più efficace possibile l’assenza di<br />
garanzie; e ciascun file dovrebbe contenere almeno la nota di copyright<br />
e l’indicazione di dove poter reperire la nota per esteso.<br />
Una riga per indicare il nome della libreria e dare un’idea di cosa faccia.<br />
Copyright (C) anno nome dell’autore<br />
Questa libreria è software libero; ne è concessa la ridistribuzione o la<br />
modifica secondo i termini della Licenza Pubblica Generica Attenuata<br />
GNU come pubblicata dalla Free Software Foundation; si può<br />
scegliere a piacimento la versione 2.1 della Licenza oppure una qualsiasi<br />
versione successiva.<br />
Questa libreria è distribuita nella speranza possa mostrarsi utile, ma<br />
SENZA ALCUNA GARANZIA; senza neppure la garanzia implicita<br />
di COMMERCIABILITÀ o APPLICABILITÀ PER UN PAR-<br />
189
TICOLARE SCOPO. Per maggiori dettagli si veda la Licenza Pubblica<br />
Generica Attenuata GNU.<br />
Insieme a questa libreria, l’utente dovrebbe aver ricevuto copia della<br />
Licenza Pubblica Generica Attenuata GNU; in caso contrario, si può<br />
contattare la Free Software Foundation, Inc., 59 Temple Place, Suite<br />
330, Boston, MA 02111-1307, USA<br />
È inoltre il caso di aggiungere informazioni per poter essere contattati<br />
tramite posta elettronica e cartacea.<br />
Se necessario, occorre far firmare al proprio datore di lavoro (per<br />
chi lavora come programmatore) o al proprio istituto, per gli studenti,<br />
una “rinuncia al copyright” per la Libreria. Ecco un esempio<br />
contenente nomi fittizi:<br />
Yoyodinamica SPA rinuncia con questo documento ad ogni diritto sul<br />
copyright della libreria ‘Orcaloca’ (una libreria per girarsi i pollici)<br />
scritto da Giovanni Smanettone.<br />
firma di Pinco Pallino, 1 Aprile 1990<br />
Pinco Pallino, Presidente<br />
Questo è tutto!<br />
190
Licenza per<br />
Documentazione<br />
Libera (FDL)<br />
del Progetto GNU<br />
Versione 1.1, Marzo 2000<br />
Copyright (C) 2000 Free Software Foundation, Inc.<br />
59 Temple Place, Suite 330, Boston, MA 02111-1307 USA<br />
Chiunque può copiare e distribuire copie letterali di questo documento<br />
di licenza, ma non ne è permessa la modifica.<br />
(NdT: Questa è una traduzione italiana non ufficiale della Licenza<br />
per Documentazione Libera, FDL. Non è pubblicata dalla Free<br />
Software Foundation e non ha valore legale nell’esprimere i termini<br />
di distribuzione del software che usa la licenza FDL. Solo la<br />
versione originale inglese della licenza ha valore legale. Speriamo<br />
ad ogni modo che questa traduzione aiuti le persone di lingua italiana<br />
a comprendere meglio il significato della FDL.)<br />
0. Preambolo<br />
Lo scopo di questa licenza è di rendere un manuale, un testo o<br />
altri documenti scritti “liberi” nel senso di assicurare a tutti la<br />
libertà effettiva di copiarli e redistribuirli, con o senza modifiche,<br />
a fini di lucro o no. In secondo luogo questa licenza prevede per<br />
autori ed editori il modo per ottenere il giusto riconoscimento del<br />
191
proprio lavoro, preservandoli dall’essere considerati responsabili<br />
per modifiche apportate da altri.<br />
Questa licenza è un “copyleft”: ciò vuol dire che i lavori che derivano<br />
dal documento originale devono essere ugualmente liberi. È<br />
il complemento alla Licenza Pubblica Generale GNU, che è una<br />
licenza di tipo “copyleft” pensata per il software libero.<br />
Abbiamo progettato questa licenza al fine di applicarla alla documentazione<br />
del software libero, perché il software libero ha bisogno<br />
di documentazione libera: un programma libero dovrebbe<br />
accompagnarsi a manuali che forniscano la stessa libertà del<br />
software. Ma questa licenza non è limitata alla documentazione<br />
del software; può essere utilizzata per ogni testo che tratti un qualsiasi<br />
argomento e al di là dell’avvenuta pubblicazione cartacea.<br />
Raccomandiamo principalmente questa licenza per opere che<br />
abbiano fini didattici o per manuali di consultazione.<br />
1. Applicabilità e definizioni<br />
Questa licenza si applica a qualsiasi manuale o altra opera che contenga<br />
una nota messa dal detentore del copyright che dica che si<br />
può distribuire nei termini di questa licenza. Con “Documento”,<br />
in seguito ci si riferisce a qualsiasi manuale o opera. Ogni fruitore<br />
è un destinatario della licenza e viene indicato con “voi”.<br />
Una “versione modificata” di un documento è ogni opera contenente<br />
il documento stesso o parte di esso, sia riprodotto alla lettera<br />
che con modifiche, oppure traduzioni in un’altra lingua.<br />
Una “sezione secondaria” è un’appendice cui si fa riferimento o<br />
una premessa del documento e riguarda esclusivamente il rapporto<br />
dell’editore o dell’autore del documento con l’argomento gene-<br />
192
ale del documento stesso (o argomenti affini) e non contiene nulla<br />
che possa essere compreso nell’argomento principale. (Per esempio,<br />
se il documento è in parte un manuale di matematica, una<br />
sezione secondaria non può contenere spiegazioni di matematica).<br />
Il rapporto con l’argomento può essere un tema collegato storicamente<br />
con il soggetto principale o con soggetti affini, o essere<br />
costituito da argomentazioni legali, commerciali, filosofiche, etiche<br />
o politiche pertinenti.<br />
Le “sezioni non modificabili” sono alcune sezioni secondarie i cui<br />
titoli sono esplicitamente dichiarati essere sezioni non modificabili,<br />
nella nota che indica che il documento è realizzato sotto questa<br />
licenza.<br />
I “testi copertina” sono dei brevi brani di testo che sono elencati<br />
nella nota che indica che il documento è realizzato sotto questa<br />
licenza.<br />
Una copia “trasparente” del documento indica una copia leggibile<br />
da un calcolatore, codificata in un formato le cui specifiche sono<br />
disponibili pubblicamente, i cui contenuti possono essere visti e<br />
modificati direttamente, ora e in futuro, con generici editor di testi<br />
o (per immagini composte da pixel) con generici editor di immagini<br />
o (per i disegni) con qualche editor di disegni ampiamente<br />
diffuso, e la copia deve essere adatta al trattamento per la formattazione<br />
o per la conversione in una varietà di formati atti alla successiva<br />
formattazione. Una copia fatta in un altro formato di file<br />
trasparente il cui markup è stato progettato per intralciare o scoraggiare<br />
modifiche future da parte dei lettori non è trasparente.<br />
Una copia che non è trasparente è “opaca”.<br />
Esempi di formati adatti per copie trasparenti sono l’ASCII puro<br />
193
senza markup, il formato di input per Texinfo, il formato di input<br />
per LaTex, SGML o XML accoppiati ad una DTD pubblica e<br />
disponibile, e semplice HTML conforme agli standard e progettato<br />
per essere modificato manualmente. Formati opachi sono<br />
PostScript, PDF, formati proprietari che possono essere letti e<br />
modificati solo con word processor proprietari, SGML o XML per<br />
cui non è in genere disponibile la DTD o gli strumenti per il trattamento,<br />
e HTML generato automaticamente da qualche word<br />
processor per il solo output.<br />
La “pagina del titolo” di un libro stampato indica la pagina del<br />
titolo stessa, più qualche pagina seguente per quanto necessario a<br />
contenere in modo leggibile, il materiale che la licenza prevede che<br />
compaia nella pagina del titolo. Per opere in formati in cui non<br />
sia contemplata esplicitamente la pagina del titolo, con “pagina<br />
del titolo” si intende il testo prossimo al titolo dell’opera, precedente<br />
l’inizio del corpo del testo.<br />
2. Copie letterali<br />
Si può copiare e distribuire il documento con l’ausilio di qualsiasi mezzo,<br />
per fini di lucro e non, fornendo per tutte le copie questa licenza,<br />
le note sul copyright e l’avviso che questa licenza si applica al documento,<br />
e che non si aggiungono altre condizioni al di fuori di quelle<br />
della licenza stessa. Non si possono usare misure tecniche per impedire<br />
o controllare la lettura o la produzione di copie successive alle<br />
copie che si producono o distribuiscono. Però si possono ricavare<br />
compensi per le copie fornite. Se si distribuiscono un numero sufficiente<br />
di copie si devono seguire anche le condizioni della sezione 3.<br />
Si possono anche prestare copie e con le stesse condizioni sopra<br />
menzionate possono essere utilizzate in pubblico.<br />
194
3. Copiare in notevoli quantità<br />
Se si pubblicano a mezzo stampa più di 100 copie del documento,<br />
e la nota della licenza indica che esistono uno o più testi copertina,<br />
si devono includere nelle copie, in modo chiaro e leggibile,<br />
tutti i testi copertina indicati: il testo della prima di copertina in<br />
prima di copertina e il testo di quarta di copertina in quarta di<br />
copertina. Ambedue devono identificare l’editore che pubblica il<br />
documento. La prima di copertina deve presentare il titolo completo<br />
con tutte le parole che lo compongono egualmente visibili<br />
ed evidenti. Si può aggiungere altro materiale alle copertine. Il<br />
copiare con modifiche limitate alle sole copertine, purché si preservino<br />
il titolo e le altre condizioni viste in precedenza, è considerato<br />
alla stregua di copiare alla lettera.<br />
Se il testo richiesto per le copertine è troppo voluminoso per essere<br />
riprodotto in modo leggibile, se ne può mettere una prima parte<br />
per quanto ragionevolmente può stare in copertina, e continuare<br />
nelle pagine immediatamente seguenti.<br />
Se si pubblicano o distribuiscono copie opache del documento in<br />
numero superiore a 100, si deve anche includere una copia trasparente<br />
leggibile da un calcolatore per ogni copia o menzionare<br />
per ogni copia opaca un indirizzo di una rete di calcolatori pubblicamente<br />
accessibile in cui vi sia una copia trasparente completa<br />
del documento, spogliato di materiale aggiuntivo, e a cui si possa<br />
accedere anonimamente e gratuitamente per scaricare il documento<br />
usando i protocolli standard e pubblici generalmente usati.<br />
Se si adotta l’ultima opzione, si deve prestare la giusta attenzione,<br />
nel momento in cui si inizia la distribuzione in quantità elevata<br />
di copie opache, ad assicurarsi che la copia trasparente rimanga<br />
accessibile all’indirizzo stabilito fino ad almeno un anno di<br />
195
distanza dall’ultima distribuzione (direttamente o attraverso<br />
rivenditori) di quell’edizione al pubblico.<br />
È caldamente consigliato, benché non obbligatorio, contattare<br />
l’autore del documento prima di distribuirne un numero considerevole<br />
di copie, per metterlo in grado di fornire una versione<br />
aggiornata del documento.<br />
4. Modifiche<br />
Si possono copiare e distribuire versioni modificate del documento<br />
rispettando le condizioni delle precedenti sezioni 2 e 3, purché<br />
la versione modificata sia realizzata seguendo scrupolosamente<br />
questa stessa licenza, con la versione modificata che svolga il<br />
ruolo del “documento”, così da estendere la licenza sulla distribuzione<br />
e la modifica a chiunque ne possieda una copia. Inoltre nelle<br />
versioni modificate si deve:<br />
* A. Usare nella pagina del titolo (e nelle copertine se ce ne sono)<br />
un titolo diverso da quello del documento, e da quelli di versioni<br />
precedenti (che devono essere elencati nella sezione storia del<br />
documento ove presenti). Si può usare lo stesso titolo di una versione<br />
precedente se l’editore di quella versione originale ne ha dato<br />
il permesso.<br />
* B. Elencare nella pagina del titolo, come autori, una o più persone<br />
o gruppi responsabili in qualità di autori delle modifiche nella<br />
versione modificata, insieme ad almeno cinque fra i principali<br />
autori del documento (tutti gli autori principali se sono meno di<br />
cinque).<br />
* C. Dichiarare nella pagina del titolo il nome dell’editore della<br />
versione modificata in qualità di editore.<br />
* D. Conservare tutte le note sul copyright del documento originale.<br />
196
* E. Aggiungere un’appropriata licenza per le modifiche di seguito<br />
alle altre licenze sui copyright.<br />
* F. Includere immediatamente dopo la nota di copyright, un avviso<br />
di licenza che dia pubblicamente il permesso di usare la versione<br />
modificata nei termini di questa licenza, nella forma mostrata<br />
nell’addendum alla fine di questo testo.<br />
* G. Preservare in questo avviso di licenza l’intera lista di sezioni<br />
non modificabili e testi copertina richieste come previsto dalla<br />
licenza del documento.<br />
* H. Includere una copia non modificata di questa licenza.<br />
* I. Conservare la sezione intitolata “Storia”, e il suo titolo, e<br />
aggiungere a questa un elemento che riporti al minimo il titolo,<br />
l’anno, i nuovi autori, e gli editori della versione modificata come<br />
figurano nella pagina del titolo. Se non ci sono sezioni intitolate<br />
“Storia” nel documento, createne una che riporti il titolo, gli autori,<br />
gli editori del documento come figurano nella pagina del titolo,<br />
quindi aggiungete un elemento che descriva la versione modificata<br />
come detto in precedenza.<br />
* J. Conservare l’indirizzo in rete riportato nel documento, se c’è,<br />
al fine del pubblico accesso ad una copia trasparente, e possibilmente<br />
l’indirizzo in rete per le precedenti versioni su cui ci si è<br />
basati. Questi possono essere collocati nella sezione “Storia”. Si<br />
può omettere un indirizzo di rete per un’opera pubblicata almeno<br />
quattro anni prima del documento stesso, o se l’originario editore<br />
della versione cui ci si riferisce ne dà il permesso.<br />
* K. In ogni sezione di “Ringraziamenti” o “Dediche”, si conservino<br />
il titolo, il senso, il tono della sezione stessa.<br />
* L. Si conservino inalterate le sezioni non modificabili del documento,<br />
nei propri testi e nei propri titoli. I numeri della sezione<br />
o equivalenti non sono considerati parte del titolo della sezione.<br />
197
* M. Si cancelli ogni sezione intitolata “Riconoscimenti”. Solo<br />
questa sezione può non essere inclusa nella versione modificata.<br />
* N. Non si modifichi il titolo di sezioni esistenti come “miglioria”<br />
o per creare confusione con i titoli di sezioni non modificabili.<br />
Se la versione modificata comprende nuove sezioni di primaria<br />
importanza o appendici che ricadono in “sezioni secondarie”, e<br />
non contengono materiale copiato dal documento, si ha facoltà di<br />
rendere non modificabili quante sezioni si voglia. Per fare ciò si<br />
aggiunga il loro titolo alla lista delle sezioni immutabili nella nota<br />
di copyright della versione modificata. Questi titoli devono essere<br />
diversi dai titoli di ogni altra sezione.<br />
Si può aggiungere una sezione intitolata “Riconoscimenti”, a patto<br />
che non contenga altro che le approvazioni alla versione modificata<br />
prodotte da vari soggetti – per esempio, affermazioni di revisione<br />
o che il testo è stato approvato da una organizzazione come<br />
la definizione normativa di uno standard.<br />
Si può aggiungere un brano fino a cinque parole come Testo<br />
Copertina, e un brano fino a 25 parole come Testo di Retro Copertina,<br />
alla fine dell’elenco dei Testi Copertina nella versione modificata.<br />
Solamente un brano del Testo Copertina e uno del Testo di<br />
Retro Copertina possono essere aggiunti (anche con adattamenti)<br />
da ciascuna persona o organizzazione. Se il documento include<br />
già un testo copertina per la stessa copertina, precedentemente<br />
aggiunto o adattato da voi o dalla stessa organizzazione nel nome<br />
della quale si agisce, non se ne può aggiungere un altro, ma si può<br />
rimpiazzare il vecchio ottenendo l’esplicita autorizzazione dall’editore<br />
precedente che aveva aggiunto il testo copertina.<br />
L’autore/i e l’editore/i del “documento” non ottengono da questa<br />
licenza il permesso di usare i propri nomi per pubblicizzare la ver-<br />
198
sione modificata o rivendicare l’approvazione di ogni versione<br />
modificata.<br />
5. Unione di documenti<br />
Si può unire il documento con altri realizzati sotto questa licenza,<br />
seguendo i termini definiti nella precedente sezione 4 per le versioni<br />
modificate, a patto che si includa l’insieme di tutte le Sezioni<br />
Invarianti di tutti i documenti originali, senza modifiche, e si<br />
elenchino tutte come Sezioni Invarianti della sintesi di documenti<br />
nella licenza della stessa.<br />
Nella sintesi è necessaria una sola copia di questa licenza, e multiple<br />
sezioni invarianti possono essere rimpiazzate da una singola<br />
copia se identiche. Se ci sono multiple Sezioni Invarianti con lo<br />
stesso nome ma contenuti differenti, si renda unico il titolo di ciascuna<br />
sezione aggiungendovi alla fine e fra parentesi, il nome dell’autore<br />
o editore della sezione, se noti, o altrimenti un numero<br />
distintivo. Si facciano gli stessi aggiustamenti ai titoli delle sezioni<br />
nell’elenco delle Sezioni Invarianti nella nota di copyright della<br />
sintesi.<br />
Nella sintesi si devono unire le varie sezioni intitolate “storia” nei<br />
vari documenti originali di partenza per formare una unica sezione<br />
intitolata “storia”; allo stesso modo si unisca ogni sezione intitolata<br />
“Ringraziamenti”, e ogni sezione intitolata “Dediche”. Si<br />
devono eliminare tutte le sezioni intitolate “Riconoscimenti”.<br />
6. Raccolte di documenti<br />
Si può produrre una raccolta che consista del documento e di altri<br />
realizzati sotto questa licenza; e rimpiazzare le singole copie di questa<br />
licenza nei vari documenti con una sola inclusa nella raccolta,<br />
199
solamente se si seguono le regole fissate da questa licenza per le<br />
copie alla lettera come se si applicassero a ciascun documento.<br />
Si può estrarre un singolo documento da una raccolta e distribuirlo<br />
individualmente sotto questa licenza, solo se si inserisce una copia<br />
di questa licenza nel documento estratto e se si seguono tutte le<br />
altre regole fissate da questa licenza per le copie alla lettera del<br />
documento.<br />
7. Raccogliere insieme a lavori indipendenti<br />
Una raccolta del documento o sue derivazioni con altri documenti<br />
o lavori separati o indipendenti, all’interno di o a formare un archivio<br />
o un supporto per la distribuzione, non è una “versione modificata”<br />
del documento nella sua interezza, se non ci sono copyright<br />
per l’intera raccolta. Ciascuna raccolta si chiama allora “aggregato”<br />
e questa licenza non si applica agli altri lavori contenuti in<br />
essa che ne sono parte, per il solo fatto di essere raccolti insieme,<br />
qualora non siano però loro stessi lavori derivati dal documento.<br />
Se le esigenze del Testo Copertina della sezione 3 sono applicabili<br />
a queste copie del documento allora, se il documento è inferiore<br />
ad un quarto dell’intero aggregato i Testi Copertina del documento<br />
possono essere piazzati in copertine che delimitano solo il<br />
documento all’interno dell’aggregato. Altrimenti devono apparire<br />
nella copertina dell’intero aggregato.<br />
8. Traduzioni<br />
La traduzione è considerata un tipo di modifica, e di conseguenza<br />
si possono distribuire traduzioni del documento seguendo i termini<br />
della sezione 4. Rimpiazzare sezioni non modificabili con<br />
traduzioni richiede un particolare permesso da parte dei detento-<br />
200
i del diritto d’autore, ma si possono includere traduzioni di una<br />
o più sezioni non modificabili in aggiunta alle versioni originali<br />
di queste sezioni immutabili. Si può fornire una traduzione della<br />
presente licenza a patto che si includa anche l’originale versione<br />
inglese di questa licenza. In caso di discordanza fra la traduzione<br />
e l’originale inglese di questa licenza la versione originale inglese<br />
prevale sempre.<br />
9. Termini<br />
Non si può applicare un’altra licenza al documento, copiarlo,<br />
modificarlo, o distribuirlo al di fuori dei termini espressamente<br />
previsti da questa licenza. Ogni altro tentativo di applicare un’altra<br />
licenza al documento, copiarlo, modificarlo, o distribuirlo è<br />
deprecato e pone fine automaticamente ai diritti previsti da questa<br />
licenza. Comunque, per quanti abbiano ricevuto copie o abbiano<br />
diritti coperti da questa licenza, essi non ne cessano se si rimane<br />
perfettamente coerenti con quanto previsto dalla stessa.<br />
10. Revisioni future di questa licenza<br />
La Free Software Foundation può pubblicare nuove, rivedute versioni<br />
della Licenza per Documentazione Libera GNU volta per<br />
volta. Qualche nuova versione potrebbe essere simile nello spirito<br />
alla versione attuale ma differire in dettagli per affrontare nuovi<br />
problemi e concetti. Si veda http://www.gnu.org/copyleft.<br />
Ad ogni versione della licenza viene dato un numero che distingue<br />
la versione stessa. Se il documento specifica che si riferisce ad<br />
una versione particolare della licenza contraddistinta dal numero<br />
o “ogni versione successiva”, si ha la possibilità di seguire termini<br />
e condizioni sia della versione specificata che di ogni versione successiva<br />
pubblicata (non come bozza) dalla Free Software Founda-<br />
201
tion. Se il documento non specifica un numero di versione particolare<br />
di questa licenza, si può scegliere ogni versione pubblicata<br />
(non come bozza) dalla Free Software Foundation.<br />
ADDENDUM: Come usare questa licenza per i vostri documenti<br />
Per applicare questa licenza ad un documento che si è scritto, si<br />
includa una copia della licenza nel documento e si inserisca il<br />
seguente avviso subito dopo la pagina del titolo:<br />
Copyright (c) anno nome.<br />
È garantito il permesso di copiare, distribuire e/o modificare questo<br />
documento seguendo i termini della Licenza per Documentazione<br />
Libera GNU, Versione 1.1 o ogni versione successiva pubblicata dalla<br />
Free Software Foundation; con le Sezioni Non Modificabili ELEN-<br />
CARNE I TITOLI, con i Testi Copertina ELENCO, e con i Testi di<br />
Retro Copertina ELENCO. Una copia della licenza è acclusa nella<br />
sezione intitolata “Licenza per Documentazione Libera GNU”.<br />
Se non ci sono Sezioni non Modificabili, si scriva “senza Sezioni<br />
non Modificabili” invece di dire quali sono non modificabili. Se<br />
non c’è Testo Copertina, si scriva “nessun Testo Copertina” invece<br />
di “il testo Copertina è ELENCO”; e allo stesso modo si operi<br />
per il Testo di Retro Copertina.<br />
Se il vostro documento contiene esempi non banali di programma<br />
in codice sorgente si raccomanda di realizzare gli esempi contemporaneamente<br />
applicandovi anche una licenza di software<br />
libero di vostra scelta, come ad esempio la Licenza Pubblica Generale<br />
GNU, al fine di permetterne l’uso come software libero.<br />
202
Parte Terza<br />
Risorse utili
ASSOLI: Progetti<br />
operativi in Italia<br />
e in Europa<br />
Introduzione<br />
L’Associazione Software Libero (http://www.softwarelibero.it/)<br />
nasce nel novembre 2000 ponendosi come scopi di base la corretta<br />
informazione e la diffusione della conoscenza secondo quanto<br />
definito nel 1984 da Richard Stallman all’atto della creazione<br />
della Free Software Foundation: libertà di utilizzo del software,<br />
libertà di studio, libertà di modifica, libertà di ridistribuzione. Il<br />
tutto poggia su un presupposto: l’accesso al codice sorgente.<br />
Sono stati sufficienti tre anni di attività perché fosse chiaro come<br />
le principali minacce a questo genere di libertà non derivassero<br />
esclusivamente dalle holding dell’informatica, promulgatrici dagli<br />
Anni Ottanta in avanti di una politica di chiusura delle informazioni.<br />
Le minacce, ad oggi, arrivano anche dalle istituzioni che, in<br />
ritardo e a volte con scarsa cognizione di causa, legiferano sotto la<br />
spinta di lobby interessate alla preservazione dei propri privilegi<br />
di mercato. Ed ecco che non si va più solo a ledere la libertà di sviluppo<br />
del software, elemento che già di per sé dovrebbe indurre a<br />
una riflessione, ma anche le libertà fondamentali dei cittadini,<br />
identificabili con quella di espressione e parola. Perché provvedimenti<br />
come la brevettazione delle invenzioni immateriali (che<br />
coincide con il software) e la direttiva europea sull’armonizzazione<br />
del diritto d’autore insinuano proprio questo genere di rischi.<br />
Danneggiando sviluppatori e utenti, tecnici e profani.<br />
204
Ma a volte capita anche che un movimento nato spontaneamente<br />
agli albori dell’era digitale e poi ufficializzatosi per difendersi<br />
dalle aggressioni delle regole del business, qual è il software libero,<br />
penetri le mura di quelle stesse istituzioni portando, seppur<br />
lentamente e con difficoltà di comprensione, i propri valori al<br />
vaglio di amministrazioni centrali e periferiche. Contribuendo<br />
così non solo alla veicolazione del proprio messaggio intrinseco,<br />
ma anche a una maggiore democratizzazione degli enti pubblici<br />
attraverso l’accesso ai dati e alle informazioni. E, non ultimo, a<br />
volte anche al superamento del gap tecnologico tra il primo mondo,<br />
l’Occidente industrializzato e potente, e gli altri mondi, quelli<br />
dai capitali limitati e dall’assenza di tecnologia capillare o, quanto<br />
meno, diffusa.<br />
Sono questi i motivi per cui di seguito vengono presentati tre progetti<br />
dell’Associazione Software Libero, tre cavalli di battaglia<br />
attraverso i quali scardinare, o almeno tentare, la visione imperante<br />
dell’informatica legata al pagamento delle licenze, alla mera<br />
esecuzione dei programmi, alla limitazione delle informazioni per<br />
trasformare gli utenti in ‘pigiatori’ di tasti e icone a cui manca però<br />
la conoscenza di fondo, quella che si cela dietro alle interfacce grafiche<br />
e che costituisce uno dei presupposti della libertà.<br />
Parte dei testi riportati sono presenti sul sito dell’Associazione,<br />
sono liberamente consultabili e altrettanto liberamente sono veicolabili<br />
secondo quanto riportato in calce alle pagine web: “la<br />
copia letterale e la distribuzione del materiale qui raccolto nella<br />
sua integrità sono permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che<br />
questa nota sia riprodotta (se non diversamente indicato)”.<br />
EUCD (European Union Copyright Directive)<br />
L’EUCD viene contrassegnata come legge comunitaria 29/2002,<br />
205
e le sue intenzioni sono l’armonizzazione della disciplina relativa<br />
al diritto d’autore. Peccato che tale provvedimento, recepito in Italia<br />
a fine marzo 2003 per decreto legislativo ed entrato in vigore<br />
il 29 aprile successivo, non miri tanto a tutelare chi, teoricamente,<br />
dovrebbe beneficiare dalla sua introduzione, cioé gli autori. Il<br />
suo obiettivo è invece la preservazione di benefici già esistenti<br />
(quelli imposti di fatto dalle multinazionali dell’informatica e dell’entertainment,<br />
tanto per citarne due) e semmai radicalizzarli<br />
attraverso recrudescenze legislative.<br />
L’EUCD è la direttiva della Comunità europea nata per uniformare<br />
la legislazione sul diritto d’autore in vigore nei Paesi membri. Si<br />
tratta di un argomento estremamente importante per la società, perché<br />
ogni persona ha a che fare con il diritto d’autore ogni volta che<br />
accede ad una qualunque opera, documento o informazione.<br />
Il diritto d’autore è un insieme di leggi che forniscono agli autori<br />
alcune prerogative sulle proprie creazioni (come il monopolio<br />
sulla riproduzione). L’esistenza di tali leggi è giustificata dal<br />
fatto che esse incoraggiano la produzione di nuove opere, favorendo<br />
la diffusione del sapere e il progresso sociale:<br />
(http://www.biblio.liuc.it:8080/biblio/liucpap/pdf/44.pdf).<br />
L’EUCD introduce nuove norme che ampliano il diritto d’autore,<br />
ma di fatto ne contraddicono le finalità positive. Concede nuovi privilegi<br />
legali ai colossi del settore, senza però offrire alcuna nuova<br />
garanzia agli utenti. Questa impostazione sposta il bilanciamento<br />
dei diritti e dei doveri, favorendo i grossi produttori a spese di tutti<br />
coloro che, in vario modo, utilizzano le moderne tecnologie. Contiene<br />
quindi molte norme pericolose, tutte riconducibili a un problema<br />
fondamentale: la tutela legale per le “misure tecnologiche di<br />
protezione”, ovvero per i sistemi che regolano l’accesso e la copia di<br />
206
materiali coperti da diritto d’autore. La “tutela legale” implica che<br />
ogni tentativo di aggirare queste misure diventa reato.<br />
Sancisce quindi un nuovo potere per gli editori: quello di ricorrere<br />
a sistemi digitali che stabiliscono in che modo gli utenti possano<br />
utilizzare le opere possedute (come e-book, CD contenenti<br />
musica o dati, DVD).<br />
Questo significa che domani assisteremo alla diffusione di e-book<br />
a tempo, che diventano inutilizzabili dopo un certo periodo, e non<br />
possono essere stampati o ceduti a parenti o amici; CD musicali<br />
che non si possono copiare, o memorizzare sul computer o sul lettore<br />
MP3 portatile; film in DVD che si possono guardare solo in<br />
certi Paesi e con certi sistemi operativi; programmi che automaticamente<br />
cancellano dal proprio PC i file ritenuti “illegali”; computer,<br />
periferiche e sistemi operativi che si rifiutano di leggere dati<br />
ritenuti “non autorizzati”. L’elenco potrebbe continuare ed è<br />
potenzialmente molto ampio. Una applicazione estensiva di questi<br />
sistemi potrà togliere agli utenti ogni controllo sul funzionamento<br />
delle macchine in loro possesso.<br />
Non si tratta di semplici ipotesi: tutto questo avviene già oggi. Ma<br />
l’EUCD richiede che gli Stati europei difendano queste misure<br />
tecnologiche, creando leggi apposite: domani, quindi, ogni tentativo<br />
di aggirare le vessazioni di questi sistemi di protezione potrebbe<br />
essere punito con il carcere; chi crea programmi che leggono<br />
certi tipi di file potrebbe commettere un reato; anche chi solamente<br />
discute su come evitare una limitazione tecnologica potrebbe<br />
rischiare la galera. Le persone accusate potrebbero essere punite<br />
anche se non avessero mai commesso atti oggi illeciti perché<br />
ritenuti violazioni del diritto d’autore.<br />
Con l’applicazione dell’EUCD, alcuni casi recentemente balzati<br />
all’onore delle cronache avrebbero avuto conseguenze diverse: il<br />
207
creatore del DeCSS sarebbe stato condannato; chi ha scoperto come<br />
superare le limitazioni dei CD anti-copia usando un pennarello<br />
sarebbe un criminale; anche chi utilizza o semplicemente rende note<br />
queste invenzioni correrebbe il rischio di ritorsioni legali.<br />
Negli Stati Uniti questo scenario è già realtà, a causa del Digital<br />
Millennium Copyright Act (DMCA): una legge che ha permesso<br />
a varie aziende di ottenere arresti, intimidazioni e censure che hanno<br />
colpito utenti, programmatori, ricercatori. E le norme del<br />
DMCA sono le stesse previste dall’EUCD.<br />
Con le norme introdotte dalla direttiva, diventa illegale l’aggiramento<br />
di tutte le “misure tecnologiche” (anche se facilmente superabili)<br />
che regolano l’accesso e la copia delle opere digitali, e diventa<br />
illegale l’offerta di informazioni e servizi, o la creazione di programmi<br />
che possano facilitare tale aggiramento. Gli autori/editori<br />
possono proibire agli utenti di cedere o rivendere le opere digitali,<br />
come software o e-book, regolarmente acquistate attraverso<br />
Internet, e possono controllarne qualunque diffusione.<br />
Agli utenti non viene riconosciuta alcuna garanzia di poter utilizzare<br />
in modo ragionevole le opere in formato digitale. Il riconoscimento<br />
legale delle “misure tecnologiche” di protezione sancisce,<br />
di fatto, l’introduzione di un nuovo privilegio per i detentori<br />
dei diritti sulle opere: la possibilità di poter influire sull’utilizzo<br />
delle opere stesse. Infatti le “misure tecnologiche” dichiarate intoccabili<br />
dall’EUCD potrebbero imporre restrizioni estremamente<br />
severe per gli utenti, ed esse non potrebbero essere aggirate per<br />
alcun motivo. Si pensi ai film in DVD che possono essere guardati<br />
solamente in certi Paesi, agli e-book che non possono essere<br />
stampati, o ai cosiddetti “CD anti-copia” che non possono essere<br />
ascoltati su computer: queste vere e proprie truffe ai danni degli<br />
utenti verrebbero protette dalla legge, e rese inaggirabili.<br />
208
A rischio anche la possibilità di scegliere quale software utilizzare<br />
per gestire i propri dati. La creazione di software interoperante<br />
richiede il superamento delle misure tecnologiche che proteggono<br />
i formati dati. Questa procedura è indispensabile per creare,<br />
per esempio, programmi che leggano i DVD, o altri documenti<br />
(anche di propria creazione) criptati, protetti da password o<br />
comunque memorizzati con alterazioni (anche molto semplici)<br />
che ne impediscano una lettura diretta. L’aggiramento delle misure<br />
tecnologiche, tuttavia, è vietato dall’EUCD – e quindi la direttiva<br />
di fatto riserva ad una sola azienda la possibilità di creare applicazioni<br />
che gestiscano un formato dati da essa creato. Gli utenti<br />
potrebbero perdere qualunque possibilità di scelta.<br />
Verrebbe altresì negata la possibilità di cedere o rivendere i materiali<br />
digitali ottenuti attraverso Internet. Questo rende impossibile<br />
la nascita di un mercato degli e-book o del software “usati”, che<br />
porti a una riduzione dei prezzi come avvenuto nel mercato del<br />
libro tradizionale. Inoltre, ogni documento diffuso via Internet<br />
potrebbe essere censurato in qualunque momento dalla sua fonte,<br />
l’autore o l’editore, e nessuna delle persone che ne abbia ottenuto<br />
legalmente una copia avrebbe il diritto di renderla nota in<br />
alcun modo. Questo pone dei gravi rischi alla futura possibilità di<br />
accesso a materiale di rilevanza storica e documentaristica.<br />
Sarà impossibile sapere se i programmi utilizzati siano sicuri o<br />
meno. Le informazioni sulle falle e difetti (bug) del software<br />
potrebbero agevolare l’aggiramento di “misure tecnologiche”<br />
difettose. Tali informazioni potrebbero essere quindi censurate, e<br />
gli utenti potrebbero essere tenuti all’oscuro dei problemi dei programmi<br />
utilizzati – con grande vantaggio di varie aziende produttrici<br />
di software proprietario, non più costrette a correggere i<br />
problemi dei propri prodotti.<br />
209
La libertà di espressione su Internet sarà in grave pericolo. Qualunque<br />
informazione in grado di agevolare l’elusione di misure tecnologiche<br />
potrebbe essere dichiarata illegale, con gravi conseguenze<br />
sulla libertà di espressione e di stampa. Inoltre, le informazioni e i<br />
programmi resi illegali dall’EUCD potrebbero essere rimossi da<br />
Internet in modo estremamente rapido, con atti di censura che non<br />
richiedono l’intervento di un tribunale. Infatti, a causa della già citata<br />
direttiva sul commercio elettonico, ogni ISP (Internet Service<br />
Provider) che ospita le pagine Web degli utenti verrebbe di fatto<br />
costretto a soddisfare le richieste di oscuramento (più o meno motivate)<br />
provenienti dalle grosse aziende. Agli utenti verrebbero lasciate<br />
ben poche garanzie e possibilità di sfuggire alla censura.<br />
Agli sviluppatori viene proibita la creazione di software in grado<br />
di interoperare con altri programmi e sistemi operativi proprietari:<br />
per produrre software interoperante, infatti, è necessario studiare<br />
il comportamento del software originario, aggirando le misure<br />
tecnologiche che rendono difficoltosa la lettura dei formati di<br />
scambio dei dati. Ma l’EUCD rende illegale questa pratica di aggiramento<br />
– e quindi un’azienda che subisca la concorrenza di un<br />
nuovo programma in grado di gestire gli stessi dati potrebbe<br />
denunciarne il creatore per il reato di “elusione di misure tecnologiche”.<br />
Uno sviluppatore che superi una misura tecnologica per<br />
garantire l’interoperabilità potrebbe essere incarcerato, anche se<br />
egli non avesse mai compiuto alcuna violazione del diritto d’autore.<br />
Inoltre, i programmi (liberi e non) ritenuti scomodi da qualche<br />
azienda potrebbero essere rimossi da Internet con una semplice<br />
telefonata intimidatoria all’ISP che ne ospita il sito, magari<br />
con l’accusa di essere degli strumenti in grado di agevolare l’elusione<br />
di misure tecnologiche. Tutto questo porta direttamente al<br />
monopolio legale sui formati dei dati.<br />
210
Da notare, infine, che gli studi su crittografia e sicurezza sono basati<br />
essenzialmente sull’analisi della robustezza del software e degli<br />
algoritmi; questa analisi viene effettuata eseguendo dei tentativi di<br />
aggiramento delle misure tecnologiche di protezione. Purtroppo,<br />
tale pratica è vietata dall’EUCD – ed anche la comunicazione dei<br />
dati su questi studi è dichiarata illegale, e censurabile con estrema<br />
facilità. Chiunque aggiri delle misure tecnologiche, o diffonda<br />
informazioni su questo argomento, potrebbe essere arrestato, pur<br />
senza aver mai compiuto violazioni del diritto d’autore.<br />
Tali limitazioni rappresentano un evidente ostacolo alla libertà di<br />
ricerca, e frenano inevitabilmente i progressi nel campo della crittografia<br />
e della sicurezza informatica: fino ad oggi, queste attività<br />
sono state svolte alla luce del sole, ed hanno portato enormi benefici<br />
per il miglioramento del software disponibile; ma, a causa dei<br />
divieti previsti dall’EUCD, le ricerche su crittografia e sicurezza<br />
diventerebbero sostanzialmente illegali e per questo verrebbero<br />
trattate solo “sotterraneamente”, per scopi tutt’altro che leciti (gli<br />
stessi che l’EUCD cerca di contrastare).<br />
EUCD in Italia<br />
Per l’Italia il pericolo appare assai concreto e vicino: infatti è diventato<br />
esecutivo il decreto legislativo per il recepimento dell’EUCD.<br />
Essendo nato da una delega ottenuta dal Governo, il decreto finale<br />
potrebbe essere approvato senza alcuna discussione in Parlamento.<br />
Da quando ha iniziato a circolare, la bozza del decreto ha destato<br />
notevole interesse per un suo aspetto in particolare: gli aumenti di<br />
prezzo previsti per i supporti di memorizzazione come CD-R e<br />
CD-RW, causati da un incremento delle tasse destinate alla SIAE.<br />
La rivista AFDigitale ha addirittura indetto una petizione on-line<br />
per l’annullamento dei rincari (http://www.edisport.it/edi-<br />
211
sport/afdigitale/petizione.nsf/Editoriale?Openpage). Tuttavia,<br />
per quanto estremamente discutibile, la questione rincari appare<br />
paradossalmente il problema meno grave della bozza di decreto<br />
legislativo. Tale decreto, infatti, comprende sopprattutto le pericolose<br />
innovazioni previste dall’EUCD:<br />
–rende estremamente problematica e complessa la tutela dei diritti<br />
degli utenti, specie contro gli abusi legati a “misure tecnologiche”<br />
troppo restrittive;<br />
–rende pericolosa e potenzialmente illegale la produzione di<br />
software interoperante, specie se libero: i creatori di applicazioni<br />
poco gradite a qualche grosso produttore di software proprietario<br />
rischiano fino a tre anni di carcere;<br />
–rende illegale la ricerca su crittografia e sicurezza informatica: lo<br />
schema di decreto legislativo vieta l’aggiramento di “misure tecnologiche”<br />
e la diffusione di informazioni sull’argomento, senza<br />
alcuna tutela per la ricerca scientifica;<br />
– vieta di cedere o rivendere il materiale digitale acquistato via<br />
Internet, con i rischi già illustrati per la futura possibilità di accesso<br />
al sapere.<br />
Grazie ad una delega ottenuta dal Governo, tale decreto è giunto<br />
in tempi brevi ad una forma definitiva ed esecutiva, senza dibattito<br />
parlamentare. Purtroppo, il clamore attorno ai (discutibilissimi)<br />
aumenti di prezzo ha posto in secondo piano altri aspetti decisamente<br />
più importanti e preoccupanti dello schema di decreto<br />
legislativo: esso, infatti, rappresenta il recepimento dell’EUCD<br />
nella legislatura italiana, ed introduce tutte le pericolose innovazioni<br />
previste dalla direttiva.<br />
Per ulteriori dettagli, incluse le modifiche al decreto proposte da<br />
Assoli, oltre che per seguire i futuri sviluppi della questione:<br />
http://www.softwarelibero.it/progetti/eucd/index.shtml<br />
212
Brevetti sul software<br />
“Proteggiamo l’innovazione in Europa: no ai brevetti software” è<br />
il titolo dell’appello ai parlamentari europei diffuso in appoggio<br />
all’iniziativa intrapresa da FFII (Free Information Infrastructure,<br />
http://ffii.org/), associazione non-profit di Monaco di Baviera che<br />
si dedica alla maggior diffusione possibile dell’informazione sull’elaborazione<br />
dei dati. Un’azione, quella partita dalla Germania,<br />
sostenuta in Italia da Assoli, anche se nel caso specifico si appoggia<br />
al sito http://swpat.xsec.it/ e all’ufficio dell’europarlamentare<br />
Marco Cappato. Già dall’intestazione dell’appello si evince il bersaglio:<br />
la brevettazione delle opere immateriali e, più nello specifico,<br />
del software.<br />
Un pericolo che in Europa è alla sua terza apparizione e che va a<br />
insidiare gli articoli 52.2 e 52.3 della Convenzione di Monaco<br />
(Convenzione sulla concessione di brevetti europei, Cbe), approvata<br />
il 5 ottobre 1973. Il primo tentativo coincide con i lavori della<br />
Conferenza di Parigi (14-25 giugno 1999). Il secondo si ripresenta<br />
meno di un anno e mezzo più tardi con la Conferenza di<br />
Monaco (20-29 novembre 2000). Entrambi non hanno sortito<br />
l’effetto desiderato.<br />
In risposta al terzo tentativo, lanciato a settembre, Assoli ha raccolto<br />
il testimone europeo diffondendo la “Richiesta di azione”<br />
proposta negli altri paesi e sollecitando piccole e medie imprese e<br />
professionisti attivi nel campo del software libero a firmare l’appello<br />
ai parlamentari europei contro i brevetti.<br />
La proposta della Commissione Europea sulla brevettabilità delle<br />
innovazioni nel software richiede che il Parlamento Europeo, i<br />
governi degli stati membri ed altre figure politiche diano una chiara<br />
risposta. Le maggiori preoccupazioni riguardano diversi fatti:<br />
– l’Ufficio Europeo per i Brevetti (UEB), in contraddizione con<br />
213
il testo e lo spirito della legge, abbia garantito decine di migliaia<br />
di brevetti sulle idee riguardanti la programmazione e gli affari,<br />
che chiameremo “brevetti sul software”;<br />
– la Comissione Europea (CEC) sta esercitando pressioni affinché<br />
questi brevetti siano legalizzati e resi applicabili in tutta Europa.<br />
Nel fare ciò, la CEC sta ignorando il chiaro e ben argomentato<br />
appello della grande maggioranza di professionisti del software,<br />
compagnie, scienziati ed economi;<br />
– la CEC basa la sua proposta su una bozza di documento scritta<br />
apparentemente dalla Business Software Alliance (BSA), una organizzazione<br />
statunitense guidata da poche grandi compagnie, come<br />
Microsoft, che ha un considerevole interesse su tale argomento,<br />
dato che attualmente il 60% dei brevetti per il software accordati<br />
dall’UEB sono detenuti da compagnie statunitensi;<br />
–i brevetti sul software interferiscono con il diritto d’autore su<br />
questo e per i creatori di software tendono a portare all’espropriazione<br />
piuttosto che alla protezione della loro proprietà. Dei numerosi<br />
studi economici esistenti, nessuno conclude che i brevetti sul<br />
software portino ad una maggiore produttività, innovazione, diffusione<br />
del sapere o siano, in qualche altro modo, macro-economicamente<br />
vantaggiosi. La brevettabilità del software proposta da<br />
CEC/BSA, inoltre, porta a diverse inconsistenze all’interno del<br />
sistema dei brevetti e annulla le centrali assunzioni su cui si basa.<br />
Come risultato, ogni cosa diventa brevettabile e non ci può più<br />
essere alcuna sicurezza legale;<br />
– le istituzioni del sistema europeo dei brevetti non sono in alcun<br />
modo soggette significativamente ad un controllo democratico.<br />
La divisione tra potere legislativo e giudiziario non è sufficiente ed<br />
in particolare l’UEB sembra essere terreno fertile per gli abusi e la<br />
pratica dell’illegalità.<br />
214
Per queste ragioni, gli appelli delle varie Associazioni avanzano le<br />
seguenti richieste:<br />
– sollecitiamo il Parlamento ed il Consiglio Europeo a rifiutare la<br />
proposta direttiva COM(2002)92 2002/0047;<br />
– sollecitiamo il Parlamento Europeo a trovare un modo per obbligare<br />
l’UEB a rifondarsi, per come è intesa la brevettabilità, sulle<br />
sue linee guida d’indagine del 1978 o un equivalente, in modo da<br />
reinstaurare la corretta interpretazione della CBE;<br />
– suggeriamo che un tribunale europeo indipendente sia obbligato<br />
a riesaminare su richiesta di un qualunque cittadino un qualsiasi<br />
brevetto che a prima vista possa sembrare accordato sulla base<br />
di una scorretta interpretazione delle direttive sulla brevettabilità<br />
dell’EPC, e che l’UEB, in tali casi, sia obbligata a rimborsare ai<br />
precedenti detentori del brevetto tutte le tasse da loro pagate;<br />
– sollecitiamo i legislatori, sia a livello europeo che nazionale,<br />
affinché approvino il corrente testo dell’EPC e considerino la sua<br />
riapplicazione in accordo alla proposta (http://swpat.ffii.org/stidi/epc52/index.de.html),<br />
ciò fino a quando sarà ritenuto necessario,<br />
in modo da evitare interpretazioni scorrette da parte dei tribunali;<br />
–proponiamo che il Parlamento ed il Consiglio Europeo considerino<br />
di rendere palesi i limiti della brevettabilità nel caso del<br />
software e delle creazioni dell’ingegno emanando una direttiva<br />
europea secondo le linee delle contro-proposte disponibili su<br />
http://swpat.ffii.org/stidi/javni/index.de.html e<br />
http://swpat.ffii.org/papri/eubsaswpat0202/index.en.html#prop<br />
– chiediamo che ogni proposta di legge (incluse le proposte della<br />
direttiva CEC e le regole create dai precedenti giuridici) riguardante<br />
la brevettabilità sia verificata attraverso un sistema di prove<br />
costituito da esempi di applicazione del brevetto, in modo da vede-<br />
215
e al di là di ogni dubbio se ciò porterà effettivamente i risultati desiderati<br />
e non lascerà spazio ad alcuna interpretazione sbagliata;<br />
–proponiamo che il Parlamento Europeo crei un Comitato Permanente<br />
sulla Brevettabilità, con lo scopo di assicurare che i brevetti<br />
siano accordati solo nelle condizioni in cui questi vadano nella<br />
direzione del pubblico interesse. Questo comitato dovrebbe essere<br />
composto da persone del MEP ed indipendenti, esperti in vari<br />
campi dell’ingegno quali matematica, informatica, scienze naturali,<br />
ingegneria, economia, epistemiologia, etica e giurisprudenza. Il<br />
numero dei detentori di brevetti, funzionari dell’ambiente o altre<br />
persone le cui entrate e carriere dipendano dalla comunità dei brevetti,<br />
deve essere mantenuto esiguo (ad esempio il 10-20%). Il comitato<br />
dovrà controllare ogni legge sui brevetti così come le interpretazioni<br />
che gli uffici brevetti e i tribunali ne faranno. Inoltre dovrà<br />
istituire incontri, proporre studi specifici sugli effetti del sistema dei<br />
brevetti e stimolare una ricerca correlata nel modo più aperto e<br />
inclusivo possibile. Il comitato dovrebbe segnalare al Parlamento<br />
Europeo in che misura la realtà dei brevetti è conforme alla teoria<br />
ed agli obiettivi di politica pubblica della Comunità Europea e dei<br />
relativi membri. Il lavoro di questo comitato dovrà rivolgersi verso<br />
le preoccupazioni sollevate dal Comitato del Parlamento Europeo<br />
per gli Affari Legali ed il Mercato Interno per il Controllo di Qualità<br />
nell’UEB, come espresso nella discussione sulla regolamentazione<br />
comunitaria sui brevetti COM(2000)0412;<br />
–proponiamo che il Parlamento Europeo crei un Comitato d’inchiesta<br />
per investigare sulle varie accuse di comportamenti irregolari<br />
tenuti da coloro che propongono le direttive sulla brevettabilità<br />
del software e delle opere d’ingegno all’UEB ed al CEC, come la<br />
loro stretta collaborazione con una limitata cerchia di potenze, il<br />
loro ragionare incoerente ed il loro apparente disprezzo dei princi-<br />
216
pi democratici e legali, e di proporre misure per una riforma in modo<br />
da prevenire il ritorno di questi fenomeni nel futuro;<br />
– riteniamo che, almeno fino a quando i problemi nell’UEB non<br />
saranno risolti, ogni nuova regolamentazione, come Brevetto comunitario,<br />
sia implementata attraverso istituzioni differenti dall’UEB.<br />
Per ulteriori dettagli, nonchè per seguire i futuri sviluppi della questione:<br />
http://swpat.ffii.org/ e http://swpat.xsec.it/<br />
Pubblica Amministrazione<br />
Il software libero sta diventando un argomento sempre più spesso<br />
collegato alla pubblica amministrazione. La conferma più istituzionale<br />
a questa affermazione deriva dalle indicazioni contenute<br />
nell’“Indagine conoscitiva sul software a codice sorgente aperto<br />
nella Pubblica Amministrazione”:<br />
(http://www.innovazione.gov.it/ita/comunicati/open_source/ind<br />
agine_commissione_os.pdf). Un documento frutto del lavoro<br />
della Commissione ministeriale di indagine sull’open source, presieduta<br />
da Angelo Raffaele Meo, docente al Politecnico di Torino,<br />
che dà un rilievo ufficiale all’argomento.<br />
L’argomento, tuttavia, non è nuovo. E se anche l’Aipa (Autorità per<br />
l’informatica nella pubblica amministrazione), nel maggio 2002,<br />
aveva rilasciato uno studio dal titolo “Il software Open Source<br />
(OSS), scenario e prospettive” curato da Francesco Grasso<br />
(http://www.aipa.it/servizi%5B3/notizie%5B2/scenariooss.pdf),<br />
la comunità del software libero si interroga da tempo sui rapporti<br />
e sui vantaggi per la cosa pubblica dalla sua adozione. Da questo<br />
presupposto, scaturisce anche il progetto di Assoli “Il Software<br />
Libero per la Pubblica Amministrazione” il cui contenuto è illustrato<br />
nella sua introduzione.<br />
217
“L’Associazione Software Libero constata con soddisfazione che la<br />
pubblica amministrazione italiana, a vari livelli, sta favorendo l’adozione<br />
del software libero tramite appositi provvedimenti volti a<br />
rimuovere ostacoli alla sua diffusione, o lo promuove attivamente<br />
riconoscendone l’importanza strategica. Gli enti pubblici locali e<br />
nazionali che vorrebbero impegnarsi su questa strada, però, rischiano<br />
di essere ostacolati dalla carenza di informazione sul tema. Vista<br />
la delicatezza del dibattito che si è ormai esteso al di fuori della comunità,<br />
per coinvolgere media ed importanti organi politici, l’Associazione<br />
costituisce un gruppo di lavoro, che si propone di raccogliere<br />
sistematicamente le fonti di conoscenza sull’argomento, e di diffonderle<br />
comunicando direttamente con stampa e organi politici. Come<br />
primo passo per facilitare il lavoro è stata creata una mailing list di<br />
discussione e coordinamento all’indirizzo: pa@softwarelibero.it”.<br />
Il documento prosegue indicando quelli che, nell’opinione di Assoli,<br />
sono i cardini – riportati integralmente – su cui confrontarsi e<br />
discutere. Prima di procedere nella loro presentazione, va ricordato<br />
che l’Associazione, per mantenere aggiornata l’evoluzione della questione,<br />
ha avviato anche due sezioni che si occupano di monitorare<br />
rispettivamente il dibattito e quanto viene pubblicato.<br />
Un numero sempre maggiore di amministrazioni locali e nazionali<br />
privilegiano, con appositi atti di legge, il software libero nell’utilizzo<br />
all’interno delle proprie infrastrutture informatiche.<br />
Ricordiamo in breve i benefici principali attribuiti all’adozione del<br />
software libero da parte degli enti pubblici:<br />
– La promozione dello sviluppo economico locale: il modello di sviluppo<br />
e vendita del software libero è, infatti, un modello collaborativo<br />
e diffuso, che consente a una pluralità di attori economici di<br />
beneficiarne (sviluppatori, imprese di servizi, utenti). I costi di acquisto<br />
del software, infatti, si spostano dalle licenze alla personalizza-<br />
218
zione, consentendo lo sviluppo di imprese locali di servizi. Questo<br />
può rilanciare un’economia nazionale del software, mentre finora<br />
molti paesi erano costretti ad importare costosi pacchetti dall’estero.<br />
– La trasparenza e la sicurezza: il fatto di poter disporre del codice<br />
sorgente dei programmi con cui vengono memorizzati e trattati<br />
i dati dei cittadini offre la possibilità di verificare la sicurezza<br />
delle applicazioni software. La disponibilità del sorgente a una<br />
vasta comunità di programmatori interessati a testarlo comporta<br />
notevoli vantaggi nella risoluzione di problemi, senza dover attendere<br />
le soluzioni ufficiali emesse dai produttori.<br />
– La condivisibilità del software: il fatto di poter mettere a disposizione<br />
di altri enti pubblici il software sviluppato da un ente, nell’ottica<br />
di promozione del bene comune che è propria di questo<br />
settore; questa possibilità è garantita dalle licenze software “libere”,<br />
in conformità alla legge n. 340 del 24 novembre 2000 (art.<br />
25, comma I) che richiedeva proprio questo in ogni contratto di<br />
acquisto software stipulato da un ente pubblico, legge ampiamente<br />
disattesa anche perché poco nota.<br />
– L’ereditarietà del software: il fatto di poter cambiare fornitore<br />
senza dover perdere l’investimento fatto; grazie agli standard aperti<br />
utilizzati nel software libero infatti tutti i professionisti IT, utilizzando<br />
linguaggi comuni, possono lavorare sulle applicazioni sviluppate<br />
in precedenza da altri. Diventa così più semplice mettere<br />
in concorrenza i propri fornitori (non è un caso che il modello di<br />
sviluppo proprietario o chiuso abbia generato un impressionante<br />
monopolista), quando si hanno le specifiche e la documentazione<br />
relative al codice software.<br />
Per ulteriori dettagli e aggiornamenti:<br />
http://www.softwarelibero.it/pa/<br />
Associazione Software Libero, luglio 2003<br />
219
Indice<br />
Libertà di software e di pensiero, grazie! . . . . . . . . . . . . . . . . 3<br />
PARTE PRIMA:<br />
Libertà, società e software. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9<br />
Possiamo fidarci del nostro computer?. . . . . . . . . . . . . . . . . . 11<br />
Perché il software dovrebbe essere libero . . . . . . . . . . . . . . . . 18<br />
Diritto d’autore e globalizzazione nell’era delle reti informatiche 45<br />
Software libero: libertà e cooperazione . . . . . . . . . . . . . . . . . 87<br />
Termini da evitare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 150<br />
PARTE SECONDA:<br />
Le licenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159<br />
Licenza Pubblica Generica (GPL) del progetto GNU . . . . . . 160<br />
Licenza Pubblica Generica Attenuata (LGPL) del Progetto GNU. 173<br />
Licenza per Documentazione Libera (FDL) del Progetto GNU . 191<br />
PARTE TERZA:<br />
Risorse utili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203<br />
ASSOLI: Progetti operativi in Italia e in Europa . . . . . . . . . . 204
eretica direttore<br />
http://www.stampalternativa.it/<br />
e-mail: nuovi.equilibri@agora.it<br />
S T A M P A A L T E R N A T I V A<br />
editoriale Marcello Baraghini<br />
Contro il comune senso del pudore, contro la morale codificata,<br />
controcorrente. Questa collana vuole abbattere i muri editoriali<br />
che ancora separano e nascondono coloro che non hanno<br />
voce. Siano i muri di un carcere o quelli, ancora più invalicabili<br />
e resistenti, della vergogna e del conformismo.<br />
Saggi scelti di Richard Stallman<br />
Software libero<br />
Pensiero libero<br />
A cura di Bernardo Parrella e Associazione Software Libero<br />
Traduzioni di Bernardo Parrella e Gruppo traduttori italiani<br />
del progetto GNU<br />
Titolo originale: Free Software, Free Society: The Selected Essays<br />
of Richard M. Stallman<br />
Copyright © 2002 Free Software Foundation, Inc.<br />
Free Software Foundation<br />
59 Temple Place, Suite 330,<br />
Boston, MA 02111-1307, USA<br />
Email: gnu@gnu.org Web: http://www.gnu.org<br />
Si consente la copia letterale e la distribuzione di uno o di tutti gli<br />
articoli di questo libro, nella loro integrità, a condizione che su ogni<br />
copia sia mantenuta la citazione del copyright e questa nota.<br />
progetto grafico Anyone!<br />
impaginazione Littlered<br />
© 2004 Nuovi Equilibri<br />
su concessione della Free Software Foundation<br />
Casella postale 97 - 01100 Viterbo fax 0761.352751<br />
AAtttteennzziioonnee!! I manoscritti inviati all’editore non si restituiscono.<br />
Non vengono forniti pareri e schede di lettura.<br />
Non si considerano testi inviati per e-mail.<br />
finito di stampare nel mese di gennaio 2004<br />
presso la tipografia Graffiti<br />
via Catania 8 - 00040 Pavona (Roma)
ERETICA<br />
REBIBBIA RHAPSODY<br />
di Echaurren e Fioravanti<br />
SNATCH COMICS<br />
di JD Jachini<br />
UOMINI SU UOMINI<br />
di M.B. Bianchi<br />
STORIE DI SOGNI<br />
E MALATTIE<br />
di I. Majore<br />
SI VIVE SOLO DUE VOLTE<br />
di C. Castaneda<br />
TAXI BROUSSE<br />
di M. Aime<br />
CUORE DI PULP<br />
di Giovannini & Tentori<br />
PER RAGAZZE DI COLORE...<br />
di N. Shange<br />
IL MANIFESTO DI<br />
UNABOMBER<br />
CHI HA VERAMENTE<br />
COSTRUITO LE PIRAMIDI<br />
E LA SFINGE<br />
di Giacobbo & Luna<br />
ERESIE PSICHEDELICHE<br />
di AA.VV.<br />
TUTTO VERO! MEMBRI DI<br />
PARTITO<br />
di A. Selvaggi<br />
PICCOLI ERGASTOLI<br />
di Echaurren & Fioravanti<br />
RUBA QUESTO LIBRO<br />
di A. Hoffman<br />
LUCI ROSSE<br />
di D. Soffiati<br />
NON PROVATE A DEFINIRCI<br />
di AA.VV.<br />
L’OBBEDIENZA NON È PIÙ<br />
UNA VIRTÙ<br />
di L. Milani<br />
L’ARTE DELLA GIOIA<br />
di G. Sapienza<br />
PAPALAGI<br />
di Tuiavii di Tiavea<br />
CASTANEDA E LE<br />
STREGHE DEL NAGUAL<br />
SCIAMANI DELLE DUE<br />
AMERICHE<br />
APOCALISSE GIOIOSA<br />
di T. McKenna<br />
MONDO HACKER 1.0<br />
di A. Forni<br />
HOTEL CALIFORNIA<br />
di A. Azzaroni<br />
KATANGA CHE SORPRESA!<br />
LINGUE<br />
di AA.VV.<br />
BANCA BASSOTTI<br />
di G. Cloza<br />
COSÌ PARLÒ BALAUSTRA<br />
di Vercillo & Zecchino<br />
SOMMI PECCATORI<br />
di A. Cavoli<br />
CREDERE OBBEDIRE<br />
COMBATTERE<br />
di C. Galeotti<br />
CANNABIS, NON SOLO<br />
FUMO<br />
di B. Parrella<br />
LA NOTTE DI STALIN<br />
di P. Pieri<br />
NEOPAGANESIMO<br />
di AA.VV.<br />
CORSARI VERDI<br />
di S. Apuzzo<br />
UN LETTO DI RISO<br />
di AA.VV.<br />
COME UCCISI MIA MADRE<br />
di L. Puliti<br />
EXTRATERRESTRI<br />
di T.C. Lethbridge
I SIGNORI<br />
DELLA TRANSIZIONE<br />
di A. Segre<br />
SESSO ANNUNCIATO<br />
di B.J. Loz<br />
CONTROARREDATURA<br />
di S. Ricciardi<br />
GIORDANO BRUNO<br />
IL PROCESSO<br />
E LA CONDANNA<br />
di A. Castronovo<br />
PIOGGIAFANGOMERDA<br />
SOLEBLUES<br />
di M. Rossi<br />
DEPUTATI A FAR RIDERE<br />
di C.A. Colombo<br />
SOGNI AMERICANI<br />
di Sapphire<br />
IL LIBRO È NUDO<br />
di F. Del Moro<br />
QUESTA È L’AFRICA<br />
di G.A. Rolla<br />
BAMBINI ASSASSINI<br />
a cura di Giovannini e Tentori<br />
PINO ZAC<br />
di V. Vecellio<br />
QUATTRO SBERLE<br />
IN PADELLA<br />
di S. Carnazzi e S. Apuzzo<br />
LA VENDETTA<br />
DEL RISPARMIATORE<br />
di G. Cloza<br />
DONNE COL PISELLO<br />
di K. Valli Bentivoglio<br />
L’ANTICRISTO<br />
di F. Nietzsche<br />
WACO – UNA STRAGE<br />
DI STATO AMERICANA<br />
di C. Stagnaro<br />
PERCHÉ GLI INGLESI<br />
NON USANO IL BIDET?<br />
di P. Guagliumi<br />
ERESIA PURA<br />
di A. Petta<br />
IN AMORE VINCE IL CANE<br />
di S. Cecchi<br />
SIGNORA EROINA<br />
di A. Bongusto<br />
IO, ULTRAS<br />
di A. Arena<br />
CORPI ESTRANEI<br />
di P. Echaurren<br />
LA NOTTE DEGLI<br />
STRAMURTI VIVENTI<br />
di E. Verrengia<br />
EDITORI A PERDERE<br />
di M. Bendia e A. Barocci<br />
ASSASSINATI<br />
di S. Carnazzi<br />
BLOC BOOK<br />
a cura di F. Giovannini<br />
ROMA DIVINA<br />
di P. Ravasenga<br />
CAMERATA TOPOLINO<br />
di A. Barbera<br />
IL PAROLIFERO<br />
di I. Capizzi<br />
MANUALE PRATICO<br />
DELLA DONNA PADANA<br />
di N. Bresciani<br />
FIDO NON SI FIDA<br />
di S. Apuzzo e E. Meyer<br />
PALESTINESI<br />
di J. Genet<br />
ROGHI FATUI<br />
di A. Petta<br />
VADO, L’AFFONDO E<br />
TORNO<br />
di M. La Ferla<br />
SESSO DENARO POTERE<br />
di Osho<br />
OMOCIDI<br />
di A. Pini
IL SENSO DELLA VITA È<br />
NON ROMPERE I COGLIONI<br />
di G. Nardella<br />
PELLE DI TERRA<br />
di V. Bottaro<br />
MANUALE PER<br />
DIFENDERSI DAI<br />
GIORNALISTI<br />
di C. Draghi<br />
FUMA PURE<br />
SCIENZA SENZA SENSO<br />
di S. Milloy<br />
CEFALONIA<br />
DOPPIA STRAGE<br />
di L. Caroppo<br />
MACHI<br />
DI CARTA<br />
di A. Torreguitart Ruiz<br />
ERBA MEDICA<br />
Associazione Canapa Terapeutica<br />
ECCHIME<br />
di V. Cavallo<br />
VITE MINIME<br />
di D. Boccardi<br />
IO SONO GESÙ CRISTO<br />
di A. Artaud<br />
DA FIUME A ROMA<br />
di G. Ferrero<br />
PSICOFUNGHI ITALIANI<br />
di G. Camilla<br />
L’UOMO DI ATLANTIDE<br />
di M. La Ferla<br />
<strong>SOFTWARE</strong> <strong>LIBERO</strong><br />
PENSIERO <strong>LIBERO</strong><br />
di R. Stullman<br />
L’ARTE DELLA GIOIA<br />
di G. Sapienza<br />
PARTO DITESTA<br />
di A. Barocci<br />
LE PAROLE DELLA TERRA<br />
di L. Veronelli - P. Euchaurren<br />
I FIGLI DI BABELE<br />
di V. Ruotolo<br />
L’ULTIMO COLPO DI<br />
HORST FANTAZZINI<br />
di P. Diamante<br />
SELVATICO E COLTIVATO<br />
Rete Bioregionale Italiana<br />
LA MARIJUANA FA BENE<br />
FINI FA MALE<br />
di G. Blumir<br />
PORNO ITALIA<br />
di F. Giovannini<br />
ADDIO, MAREMMA BELLA<br />
di A. Cavoli<br />
RACCONTI CONTRO TUTTI<br />
di M. Twain<br />
<strong>SOFTWARE</strong> <strong>LIBERO</strong><br />
PENSIERO <strong>LIBERO</strong> - Vol. 2<br />
di R. Stullman<br />
Redazione:<br />
Stampa Alternativa<br />
C.P. 741<br />
00100 Roma Centro<br />
e mail: nuovi.equilibri@agora.it<br />
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