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Lucio A. M. Renna<br />

Il “più” dell’Amore<br />

L’Eucaristia in Paolo <strong>di</strong> Tarso<br />

<strong>Diocesi</strong> <strong>di</strong> <strong>San</strong> <strong>Severo</strong>


Lucio A. M. Renna<br />

Il “più” dell’Amore.<br />

L’Eucaristia in Paolo <strong>di</strong> Tarso<br />

S. Messa crismale <strong>di</strong> Giovedì <strong>San</strong>to 2009<br />

<strong>Diocesi</strong> <strong>di</strong> <strong>San</strong> <strong>Severo</strong>


Carissimi,<br />

Siamo nell’anno bimillenario della nascita <strong>di</strong> <strong>San</strong><br />

Paolo e perciò, in questa omelia della S. Messa crismale<br />

intendo, sia pure brevemente, continuare le rifl essioni<br />

avviate nei giovedì <strong>di</strong> quaresima, riprese nei vari incontri<br />

<strong>di</strong>ocesani e nei ritiri mensili del Clero, soffermandoci,<br />

oggi, su quanto l’Apostolo delle genti <strong>di</strong>ce sull’Eucaristia<br />

e su come La vive. E’ la terza volta che presiedo questa<br />

solenne Concelebrazione nella Cattedrale <strong>di</strong> <strong>San</strong> <strong>Severo</strong><br />

ed ho nel cuore due sentimenti contrastanti: uno <strong>di</strong><br />

dolore, per la morte <strong>di</strong> Mons. Cesare Bonicelli, che per<br />

cinque anni ha svolto <strong>di</strong>ligentemente e profi cuamente<br />

il suo ministero episcopale nella nostra amata <strong>Diocesi</strong>;<br />

una <strong>di</strong> grande gioia per l’inizio <strong>di</strong>ocesano del processo<br />

<strong>di</strong> beatifi cazione del tanto amato Don Felice Canelli, la<br />

cui carità pastorale è <strong>di</strong>ventata proverbiale, non solo nella<br />

nostra <strong>Diocesi</strong> ma anche in <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Puglia e <strong>di</strong><br />

altre regioni.<br />

Ricor<strong>di</strong>amo con gratitu<strong>di</strong>ne queste due luminose<br />

fi gure e affi <strong>di</strong>amole alla bontà e alla misericor<strong>di</strong>a del<br />

Signore. Durante la o<strong>di</strong>erna celebrazione saranno<br />

benedetti gli oli sacri che porterete nelle <strong>di</strong>verse comunità<br />

parrocchiali, presentandone brevemente il signifi cato<br />

ai fedeli nella “Missa in coena Domini”. Dagli oli e,<br />

specialmente, dal sacro crisma, la nostra celebrazione<br />

4


prende la denominazione <strong>di</strong> “Messa crismale” e in<strong>di</strong>ca,<br />

nel cammino della vita <strong>di</strong>ocesana il momento più<br />

signifi cativo ed importante, perché il Vescovo, insieme<br />

al suo presbiterio, ai <strong>di</strong>aconi, ai religiosi/e, ai seminaristi<br />

e al popolo <strong>santo</strong> <strong>di</strong> Dio, vive questo momento come un<br />

vero evento <strong>di</strong> Chiesa riunita nel nome del Padre, del<br />

Figlio e dello Spirito <strong>San</strong>to; evento <strong>di</strong> pace e <strong>di</strong> santità,<br />

in<strong>di</strong>cato dalle olive da cui ricaviamo gli oli; evento <strong>di</strong><br />

fraternità raccolta intorno all’altare che è Cristo; evento<br />

<strong>di</strong> gioia espresso dall’azione liturgica che si snoda in<br />

un’atmosfera densa <strong>di</strong> mistero e <strong>di</strong> serenità.<br />

Vorrei, come <strong>di</strong>cevo prima, soffermarmi su alcuni<br />

punti dell’insegnamento eucaristico <strong>di</strong> <strong>San</strong> Paolo.<br />

“Desidero riaffermare brevemente che il culto eucaristico<br />

costituisce l’anima <strong>di</strong> tutta la vita cristiana. Se infatti la<br />

vita cristiana si esprime nell’adempimento del più grande<br />

comandamento, e cioè dell’amore <strong>di</strong> Dio e del prossimo,<br />

questo amore trova la sua sorgente proprio nel <strong>San</strong>tissimo<br />

sacramento: sacramento dell’amore. L’Eucaristia signifi ca<br />

questa carità, e perciò la ricorda, la rende presente e<br />

insieme la realizza. Tutte le volte che partecipiamo ad<br />

essa in modo cosciente, si apre nella nostra anima una<br />

<strong>di</strong>mensione reale <strong>di</strong> quell’amore imprescrutabile che<br />

racchiude in sé ciò che Dio ha fatto per noi uomini e che<br />

fa continuamente secondo le parole <strong>di</strong> Cristo: ”Il Padre<br />

mio opera sempre ed anche io opero”(Gv 5,17). Insieme a<br />

questo dono insondabile e gratuito, che è la carità rivelata,<br />

sino in fondo, nel sacrifi cio salvifi co del Figlio <strong>di</strong> Dio, <strong>di</strong><br />

cui l’Eucaristia è segno indelebile, nasce anche in noi una<br />

viva risposta d’amore. Non soltanto conosciamo l’amore,<br />

ma noi stessi cominciamo ad amare.<br />

Entriamo, per così <strong>di</strong>re,nella via dell’amore e su<br />

5


questa via compiamo progressi. L’amore che nasce in<br />

noi dall’Eucaristia, grazie ad essa si sviluppa in noi, si<br />

approfon<strong>di</strong>sce e si rafforza… Questo culto eucaristico<br />

scaturisce dall’amore e serve all’amore, al quale tutti<br />

siamo chiamati in Gesù Cristo. Frutto vivo <strong>di</strong> questo<br />

culto è la perfezione dell’immagine <strong>di</strong> Dio che portiamo<br />

in noi, immagine che corrisponde a quella che Cristo ci ha<br />

rivelato. Diventando, così, adoratori del Padre “in spirito<br />

e verità”(Gv 4,23), noi maturiamo in una sempre più<br />

piena unione con Cristo, siamo sempre più uniti a Lui e<br />

– se è lecito usare questa espressione – siamo sempre più<br />

solidali con lui. La dottrina dell’Eucaristia, segno <strong>di</strong> unità<br />

e vincolo della carità, insegnata da <strong>San</strong> Paolo, è stata in<br />

seguito approfon<strong>di</strong>ta dagli scritti <strong>di</strong> tutti i santi che sono<br />

per noi un esempio vivente del culto eucaristico.<br />

Dobbiamo avere sempre questa realtà davanti agli<br />

occhi e, nello stesso tempo, sforzarci continuamente <strong>di</strong><br />

far sì che anche la nostra generazione aggiunga a quei<br />

meravigliosi esempi del passato, esempi nuovi, non<br />

meno vivi ed eloquenti, che rispecchino l’epoca a cui<br />

apparteniamo” Giovanni Paolo II, Dominicae Coenae, 5).<br />

6


Essere persone eucaristiche.<br />

Faccio mie le parole e, nella mia povertà, anche i<br />

sentimenti <strong>di</strong> Paolo espressi in 1 Cor 11,23-26: ” Io,infatti,<br />

ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho<br />

trasmesso: il Signore Gesù nella notte in cui fu tra<strong>di</strong>to,<br />

prese anche il calice, <strong>di</strong>cendo: Questo calice è la nuova<br />

alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne<br />

bevete, in memoria <strong>di</strong> me. Ogni volta infatti che mangiate<br />

<strong>di</strong> questo pane e bevete <strong>di</strong> questo calice, voi annuciate la<br />

morte del Signore fi nchè egli venga”.<br />

<strong>San</strong> Paolo, attraverso la sua esperienza <strong>di</strong> incontro<br />

con il Gesù Eucaristico, ci aiuta a capire come vivere ed<br />

incarnare personalmente ed esistenzialmente il vertice<br />

della preghiera contemplativa che lo porta a proclamare:<br />

“ho incontrato lui, mi sono nutrito <strong>di</strong> lui”, quin<strong>di</strong>,<br />

“per me vivere è Cristo e morire un guadagno” (Fil<br />

1,21), “Sono stato crocifi sso con Cristo, non sono più<br />

io che vivo ma Cristo vive in me”(Gal 2,20). Nel testo<br />

emerge tutta la tensione eucaristica della vita <strong>di</strong> Paolo,<br />

conquistato e sedotto da quel Gesù che incontra sulla<br />

via <strong>di</strong> Damasco e lo chiama a seguirlo, anche se non c’è<br />

stata antecedentemente, come per gli altri apostoli, la<br />

prossimità amicale. Per questo motivo è molto importante<br />

e vitale per Paolo il culto della presenza eucaristica <strong>di</strong><br />

Cristo per sperimentare quanto questo Gesù lo ami, lo<br />

desideri, e quanto sia importante per lui… “Paolo”-<br />

sembra <strong>di</strong>rgli Gesù in continuazione-“non ho amore più<br />

grande <strong>di</strong> questo: dare tutto me stesso per te” (cf. Gv 15,<br />

13). Questa esperienza eucaristica introduce nella intimità<br />

con Cristo che gli apostoli avevano goduto, sperimento e<br />

contemplato. In certo senso, Paolo, nell’Eucaristia, può<br />

7


fare l’esperienza <strong>di</strong> Giovanni, l’apostolo che pone il capo<br />

sul petto, sul cuore del suo amico e maestro (cf. Gv 13,35)<br />

e rivivere ogni giorno ed effi cacemente l’incontro che, la<br />

sera <strong>di</strong> Pasqua, il Risorto ebbe con gli apostoli, sempre nel<br />

cenacolo: “Ricevete lo Spirito a chi rimetterete i peccati<br />

saranno rimessi e a chi non li rimettere resteranno non<br />

rimessi” (cf. Gv 20,22-23).In questo contesto va collocato<br />

il racconto paolino dell’istituzione della Eucaristia.<br />

Sostiamo in rifl essione sul testo summenzionato.<br />

“Io ho ricevuto”. Paolo entra convinto nel mistero<br />

<strong>di</strong> croce, <strong>di</strong> sangue, <strong>di</strong> autodonazione <strong>di</strong> Gesù. Sente <strong>di</strong><br />

aver ricevuto <strong>di</strong>rettamente da Cristo un “dono-impegno”.<br />

Nelle sue parole c’è tutta la forza della spiritualità<br />

dell’alleanza che Paolo incarna con gioia nella sua vita<br />

come risposta al sacrifi cio <strong>di</strong> alleanza che il suo Signore<br />

fa nel suo sangue. Egli riceve coscientemente dal suo<br />

Signore il compimento <strong>di</strong> tutto il cammino redentivo del<br />

“<strong>San</strong>gue versato in sacrifi cio”.<br />

Paolo si sente, così, il ricevente “attualizzatore”<br />

<strong>di</strong> tutta questa potenza redentiva: “Non sono più io<br />

che vivo, ma Cristo vive in me”; e vive tutto questo in<br />

atteggiamento <strong>di</strong> gioia sofferta e sudata, come è stata<br />

quella notte per il suo Signore. Egli parla del sangue<br />

effuso per la salvezza degli uomini; sangue che esce dalle<br />

vene, come nel Getsemani è stato per Gesù, che, come<br />

Figlio <strong>di</strong> Dio, <strong>di</strong>ce pregando: “Padre, se vuoi allontana da<br />

me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua<br />

volontà” (cf. Lc 22,42.44).<br />

Quel sangue, sul Calvario, fuoriesce dalle piaghe<br />

delle mani e dei pie<strong>di</strong> dove sono confi ccati i chio<strong>di</strong>; dai<br />

fori della corona <strong>di</strong> spine; dalle ferite lacero-contuse<br />

causate dai “fl agelli romani” – ben <strong>di</strong>versi dai “39 colpi”<br />

8


ebrei, che Paolo aveva ricevuto ben cinque volte (cf. 2<br />

Cor 11,24) – fi no a quando “tutto è compiuto” (cf. Gv<br />

19,30-34).<br />

Ecco la logica dell’inserimento della sequela del<br />

Cristo Eucaristico, che Paolo vuole trasmetterci (cf. 1<br />

Cor 15,2), che però va approfon<strong>di</strong>ta alla luce <strong>di</strong> alcune<br />

frasi che troviamo nel vangelo <strong>di</strong> Giovanni al capitolo<br />

6 nei versetti 56 e 57: “Chi mangia la mia carne e beve<br />

il mio sangue <strong>di</strong>mora in me e io in lui. Come il Padre,<br />

che ha la vita, ha mandat o me e io vivo per il Padre, così<br />

anche colui che mangia <strong>di</strong> me vivrà per me”. Ed ancora:<br />

“Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là s arà<br />

anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà”.<br />

(Gv 12,26).<br />

<strong>San</strong> Paolo sperimenta nella sua carne queste<br />

parole. Il suo apostolato si basa sull’immedesimazione<br />

ontologica con il mistero del Cristo Eucaristico, morto<br />

e risorto. Suo vivo desiderio e costante impegno: partire<br />

dalla comunione col Cristo redentore, e realizzare<br />

un’esistenza come “sacrifi cio vivente , <strong>santo</strong> e gra<strong>di</strong>to a<br />

Dio”. Egli, ad imitazione <strong>di</strong> Gesù, è “vittima, sacrifi cio<br />

ed altare”.<br />

Carissimi, come consacrati, siamo chiamati a<br />

incarnare e fare nostra questa esperienza paolina, come<br />

immersione vitale nel mistero d’amore rivelato dalla vita<br />

donata <strong>di</strong> Gesù, che ancora ha bisogno dei nostri “si” per<br />

portare a compimento “ciò che manca ai suoi patimenti a<br />

favore del suo corpo, che è la Chiesa” (cf. Col 1,24).<br />

E’ anche il messaggio dell’Eucaristia, che<br />

celebriamo quoti<strong>di</strong>anamente come banchetto dell’<br />

Agape, cioè dell’amore che caratterizza tutto l’essere <strong>di</strong><br />

Paolo; dell’amore seducente che crocifi gge Paolo alla<br />

9


croce risorta <strong>di</strong> Gesù, trovando in questa l’unico senso<br />

e l’unico scopo del suo vivere e del suo essere: “Per me<br />

vivere è Cristo e morire un guadagno” (Fil 1,21). “Per<br />

lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero<br />

come spazzatura, al fi ne <strong>di</strong> guadagnare Cristo e <strong>di</strong> essere<br />

trovato in lui [...]. E questo perché io possa conoscere lui,<br />

la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle<br />

sue sofferenze, <strong>di</strong>ventandogli conforme nella morte, con<br />

la speranza <strong>di</strong> giungere alla risurrezione dei morti [...].<br />

Solo mi sforzo <strong>di</strong> correre per conquistarlo perché anch’io<br />

sono stato conquistato da Gesù Cristo” (Fil 3,8-9a.1Cor<br />

12b). L’istituzione dell’Eucaristia ci aiuta a capire gli<br />

ultimi eventi della vita terra del Cristo. Infatti la passione<br />

e morte <strong>di</strong> Gesù ci manifestano cosa Gesù ha sofferto ma<br />

non il perché. L’Eucaristia ci assicura che Egli è morto<br />

per noi. La novità dell’Eucaristia durante la rituale cena<br />

pasquale ebraica dovette sorprendere i <strong>di</strong>scepoli.<br />

Qualche secolo dopo <strong>San</strong>t’Efrem scrisse: “Beata<br />

sei tu, o notte ultima, perché in te si è compiuta la notte<br />

d’Egitto. Il Signore nostro in te mangiò la piccola pasqua,<br />

e <strong>di</strong>ventò lui stesso la grande pasqua. Ecco la pasqua<br />

che passa, e la Pasqua che non passa. Ecco la fi gura<br />

ed ecco il compimento”. La grande pasqua signifi cata<br />

dall’Eucaristia svela il senso profondo della vita <strong>di</strong> Cristo:<br />

una vita tutta donata, che alla fi ne esce dalla tomba e<br />

vince la morte. Infatti, subito dopo la cena, Gesù si avvia<br />

verso il Getsemani per vivere i drammatici episo<strong>di</strong> della<br />

passione e morte; e, infi ne, l’evento degli eventi: la<br />

resurrezione. E questo, nonostante il tra<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> Giuda<br />

e il rinnegamento <strong>di</strong> Pietro. In questo atteggiamento<br />

<strong>di</strong> Cristo è in<strong>di</strong>cato il nostro atteggiamento: quel pane<br />

dobbiamo mangiarlo anche noi; quel vino dobbiamo<br />

10


erlo anche noi; ma anche noi siamo chiamati ad essere<br />

persone eucaristiche, che sappiano offrire il meglio <strong>di</strong> se<br />

stesse a Dio nel culto e nell’obbe<strong>di</strong>enza,ed ai fratelli e<br />

sorelle nel servizio della carità<br />

“Vorrei pertanto insistere nel solco della Dies<br />

Domini, perché la partecipazione all’Eucaristia sia<br />

veramente, per ogni battezzato, il cuore della domenica: un<br />

impegno irrinunciabile, da vivere non solo per assolvere<br />

a un precetto, ma come bisogno <strong>di</strong> una vita cristiana<br />

veramente consapevole e coerente. “Stiamo entrando<br />

in un millennio che si prefi gura caratterizzato da un<br />

profondo intreccio <strong>di</strong> culture e religioni anche nei Paesi <strong>di</strong><br />

antica cristianizzazione. In molte regioni i cristiani sono,<br />

o stanno <strong>di</strong>ventando, un “piccolo gregge” (Lc 12,32). Ciò<br />

li pone <strong>di</strong> fronte alla sfi da <strong>di</strong> testimoniare con maggior<br />

forza, spesso in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong>ffi coltà, gli<br />

aspetti specifi ci della propria identità. Il dovere della<br />

partecipazione eucaristica ogni domenica è uno <strong>di</strong> questi.<br />

L’ Eucarestia domenicale, raccogliendo settimanalmente<br />

i cristiani come famiglia <strong>di</strong> Dio intorno alla mensa della<br />

Parola e del Pane <strong>di</strong> vita, è anche l’antidoto più naturale<br />

alla <strong>di</strong>spersione. Essa è il luogo privilegiato dove la<br />

comunione è costantemente annunciata e coltivata.<br />

Proprio attraverso la partecipazione eucaristica, il giorno<br />

del Signore <strong>di</strong>venta anche il giorno della Chiesa, che può<br />

così svolgere in modo effi cace il suo molo <strong>di</strong> sacramento<br />

<strong>di</strong> unità”( Novo Millennio Ineunte, 36).<br />

“L’ Eucaristia è veramente capita e accolta non solo<br />

se si fanno certe cose verso <strong>di</strong> essa (la si celebra, la si<br />

adora, la si riceve con le dovute <strong>di</strong>sposizioni, ecc.) o si<br />

fanno certe cose a partire da essa (ci si vuol vene, si lotta<br />

per la giustizia, ecc.), ma anche e soprattutto quando essa<br />

11


<strong>di</strong>venta la ‘forma’, la sorgente ed il modello operativo<br />

che impronta <strong>di</strong> sé la vita comunitaria e personale dei<br />

credenti. Nell’ eucarestia si rende presente e operante<br />

nella chiesa il Cristo del mistero pasquale. E’ il Figlio in<br />

ascolto obbe<strong>di</strong>ente alla Parola del Padre. E’ il Figlio che<br />

nell’atto <strong>di</strong> spendere la propria vita per amore, trova nella<br />

drammatica e dolcissima preghiera rivolta al suo ‘Abbà’ il<br />

coraggio, la misura, la norma del proprio comportamento<br />

verso gli uomini. Pertanto la celebrazione eucaristica<br />

realizza se stessa quando fa in modo che i credenti donino<br />

‘corpo e sangue’ come Cristo ai fratelli, ma mettendosi<br />

in ginocchio, in attenzione <strong>di</strong> ascolto e <strong>di</strong> accoglienza,<br />

riconoscendo che tutto questo è dono del Padre, non<br />

confi dando nelle proprie forze, non progettando il servizio<br />

degli altri secondo i propri mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> vedere.<br />

Tutto questo richiede, in concreto, la coltivazione<br />

<strong>di</strong> atteggiamenti interiori che precedano, accompagnino,<br />

seguano la celebrazione eucaristica: ascolto della parola<br />

rivelata, contemplazione dei misteri <strong>di</strong> Gesù, intuizione<br />

della volontà <strong>di</strong> Padre tralucente dalle pole <strong>di</strong> Gesù,<br />

confronto tra il progetto <strong>di</strong> vita che scaturisce dalla<br />

pasqua-eucarestia e le sempre nuove situazioni spirituali<br />

in cui le comunità ed i singoli credenti vengono a trovarsi.<br />

Per questo, preghiera silenziosa, ascolto della Parola,<br />

me<strong>di</strong>tazione biblica, rifl essione personale, non sono<br />

<strong>di</strong>sgiunti dall’eucarestia, ma sono vitalmente collegati<br />

ad essa” (Card. Carlo M. Martini, La Dimensione<br />

contemplativa della vita. Lettera al clero e ai fedeli per<br />

l’anno pastorale 180-1981,111,2).<br />

<strong>San</strong> Giovanni Crisostomo, nella Omelia 50 sul<br />

Vangelo <strong>di</strong> Matteo, raccomanda: “Che nessun Giuda…<br />

si accosti alla Mensa… Vuoi onorare il corpo <strong>di</strong> Cristo?<br />

12


Non permettere che egli sia nudo; e non onorarlo qui in<br />

chiesa con vesti <strong>di</strong> seta, per poi tollerare, fuori <strong>di</strong> qui,<br />

che egli stesso muoia per il freddo e la nu<strong>di</strong>tà. Colui che<br />

ha detto:!” Questo è il mio corpo” e ha confermato il<br />

fatto con la sua parola, ha anche detto:”Mi avete visto<br />

affamato e non mi avete nutrito; e, “Quello che non avete<br />

fatto a uno <strong>di</strong> questi piccoli non lo avete fatto a me”…<br />

Impariamo dunque a essere sapienti, e ad onorare Cristo<br />

come egli vuole…spendendo le ricchezze per i poveri.<br />

Dio non ha bisogno <strong>di</strong> vasi d’oro, ma <strong>di</strong> anime d’oro…<br />

Che vantaggio c’è, se una mensa è piena <strong>di</strong> calici d’oro<br />

ed egli stesso muore <strong>di</strong> fame? Prima sazia la sua fame,<br />

e allora con il superfl uo ornerai la sua mensa. Fai un<br />

calice d’oro e non dai un bicchiere d’acqua fresca? E che<br />

vantaggio c’è? Prepari per la mensa paramenti ricamati in<br />

oro e non gli offri nemmeno il rivestimento necessario? E<br />

che profi tto ne deriva?” Per il grande Padre della Chiesa, è<br />

Giuda colui che, pur accostandosi alla mensa eucaristica,<br />

non con<strong>di</strong>vide il progetto <strong>di</strong> vita <strong>di</strong> Cristo; cioè non si<br />

impegna a <strong>di</strong>ventare, guidata dallo Spirito, una persona<br />

eucaristica.<br />

In altre parole,l’amore <strong>di</strong> Dio e del prossimo è il<br />

fi lo rosso che collega i vari momenti del cammino <strong>di</strong> fede<br />

fi no al raggiungimento della misura alta della vita, cioè<br />

la sanità. Tale cammino può essere defi nito “storia della<br />

santità. Massimo il Confessore asseriva che la carità va<br />

vissuta “senza <strong>di</strong>viderla tra carità verso Dio e carità verso<br />

il prossimo. Infatti la carità è unica, tutta intera; è dovuta a<br />

Dio, ma unisce gli uomini gli uni agli altri. L’azione della<br />

perfetta carità verso Dio, la sua evidente <strong>di</strong>mostrazione,<br />

risiedono in un a sincera <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> volontaria<br />

benevolenza nei confronti del prossimo, perché, <strong>di</strong>ce il<br />

13


<strong>di</strong>vino apostolo Giovanni, colui che non ama il fratello<br />

che vede, non può amare Dio che non vede” (Epistola<br />

seconda sulla carità a Giovanni cubiculario).<br />

14


Vivere “il più dell’amore”<br />

La persona eucaristica vive “il più dell’amore”,<br />

secondo quanto <strong>San</strong> Paolo asserisce:” Siate sempre lieti,<br />

pregate senza interruzione, rendete grazie in ogni cosa:<br />

questa è la volontà <strong>di</strong> Dio a vostro riguardo in Gesù Cristo.<br />

Non spegnete lo Spirito, non <strong>di</strong>sprezzate le profezie,<br />

esaminate ogni cosa, ritenete ciò che è buono, astenetevi<br />

da ogni sorta <strong>di</strong> male. Il Dio della pace vi santifi chi fi no<br />

alla perfezione, e tutto quello che è vostro spirito, anima e<br />

corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore<br />

nostro Gesù Cristo. Colui che vi chiama è fedele farà<br />

tutto questo!”( 1 Ts 5,16-24).<br />

La prima lettera ai Tessalonicesi è considerata dal<br />

parere quasi unanime degli esegeti come il primo scritto<br />

<strong>di</strong> san Paolo e dello stesso Nuovo Testamento. Dalla<br />

morte e risurrezione <strong>di</strong> Gesù sono passati una ventina <strong>di</strong><br />

anni. Se, come si pensa, Gesù è morto il 7 aprile del 30,<br />

questa lettera risalirebbe all’anno 50-51.<br />

Paolo, da poco risuscitato, comunica ai<br />

Tessalonicesi, fra le cose importanti, la necessità <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>scernere la volontà <strong>di</strong> Dio, come un servizio e un<br />

dono profondamente intriso d’amore. Tale “sensibilità<br />

spirituale” (cf. Fil 1, 9-10) comporta tre “elementi<br />

fondamentali”, che costituiscono quasi l’atmosfera<br />

esistenziale <strong>di</strong> un continuo <strong>di</strong>scernimento della volontà<br />

del Padre in ogni “qui ed ora” in ogni momento del<br />

proprio pellegrinaggio umano e spirituale.<br />

“Essere nella gioia” (v. 16), quella che proviene,<br />

non da motivazioni umane o dall’esterno, ma dallo<br />

Spirito(cf. Gal 5,22). E’ la gioia del “rallegrati” rivolto da<br />

Gabriele a Maria nell’ annunciazione (cf. Lc 1,28). E’ la<br />

15


gioia profonda del sapersi amati da Dio, dal quale niente<br />

e nessuno ci può separare (cf. Rom 8,35). “La gioia…<br />

compagna fedele dei nostri lavori; è la gioia del cuore;<br />

la gioia <strong>di</strong> una coscienza pura; la gioia del servitore che<br />

ama il suo maestro e che si rallegra <strong>di</strong> lavorare con lui.<br />

La gioia <strong>di</strong> una legittima vocazione che ci fa trovare là<br />

dove il Signore ci ha messi; che non invi<strong>di</strong>a nulla; che<br />

non desidera nulla; che non rimpiange nulla perché non<br />

ha che un solo desiderio in questo mondo: fare quello che<br />

Dio vuole, come lo vuole lui e nulla più” (M. De Marion<br />

Brésillac).<br />

“Pregate incessantemente” (v. 17). La preghiera<br />

come stato permanente che sintonizza con la volontà <strong>di</strong><br />

Dio; come capacità <strong>di</strong> guardare tutte le cose e le creature<br />

con gli occhi <strong>di</strong> Dio, e amarli col suo cuore sì da poter <strong>di</strong>re<br />

con Gesù: “ devo occuparmi delle cose del Padre mio” (cf.<br />

Lc 2,49). Questa preghiera non si riduce a contemplazione<br />

<strong>di</strong>sincarnata e nemmeno a speculazione sulle verità<br />

della fede; ma nella ricerca <strong>di</strong> Dio, senza <strong>di</strong>menticare<br />

la situazione storico. L’orante è, come <strong>di</strong>ceva B. Rueda,<br />

l’uomo che usa le scale per ascendere a Dio, e i ponti per<br />

andare verso i fratelli.La preghiera e la contemplazione <strong>di</strong><br />

cui parla Paolo è fi nalizzata al <strong>di</strong>scernere e scegliere nel<br />

Cristo che vive “ in me e cresce in me fi no alla sua piena<br />

maturità” (cf. Gal 2,20 e Ef 4,13); cioè fi no “al meglio,<br />

al “più dell’amore”: “e per questo prego che il vostro<br />

amore cresca sempre più in conoscenza e ogni delicato<br />

sentimento affi nché apprezziate le cose migliori” (Fil<br />

1,9-10)<br />

“Rendete grazie in ogni cosa” (v. 1 8a). Essere, cioè,<br />

persone eucaristiche che sanno rendere sempre grazie per<br />

ogni cosa a Dio, uno e trino. Rendendo grazie, ricevono<br />

16


Colui che è la volontà del Padre:“questa è la volontà <strong>di</strong><br />

Dio a vostro riguardo in Cristo” (v. 18b). In altre parole,<br />

tutto ciò che noi chie<strong>di</strong>amo, cerchiamo, otteniamo è in<br />

rapporto a Cristo: il Padre ci dona tutto in ; e in nessun altro<br />

modo, se non in rapporto al Cristo che vive in noi. Dopo<br />

aver delineato gli elementi o atteggiamenti essenziali per<br />

<strong>di</strong>scernere la volontà la volontà <strong>di</strong> Dio, Paolo in<strong>di</strong>ca anche<br />

tre “imperativi operativi” per concretizzare nel vissuto<br />

quoti<strong>di</strong>ano i frutti <strong>di</strong> tale <strong>di</strong>scernimento per crescere nel<br />

“più dell’amore”.<br />

“Non spegnete lo Spirito” (v. 19). Lo Spirito ha<br />

un ruolo preminente all’interno dell’intera Scrittura.<br />

Paolo ne parla nelle varie forme e nei vari sensi ben 120<br />

volte nelle lettere autentiche (nelle 13 lettere 146 volte),<br />

delle quali cinque nel testo che stiamo me<strong>di</strong>tando: delle<br />

cinque, quattro volte in riferimento allo Spirito <strong>San</strong>to.<br />

Il pensiero <strong>di</strong> Paolo spazia dal ruolo dello Spirito nella<br />

pre<strong>di</strong>cazione(vv. 1,5 e 6), alla sua presenza come principio<br />

<strong>di</strong> vita santa(vv. 4, 8), al trinomio “spirito— anima —<br />

corpo” (vv. 5,23, <strong>di</strong> complessa interpretazione). Alla luce<br />

del pensiero paolino si può asserire che l’azione dello<br />

Spirito è legata alla sua potenzialità <strong>di</strong> manifestare al<br />

cristiano attraverso carismi una particolare ispirazione in<br />

vista ed in funzione del bene comune. Lo Spirito, quin<strong>di</strong>,<br />

è Colui che ci dona il meglio <strong>di</strong> Sé del Figlio Gesù che<br />

vive in noi, e <strong>di</strong>viene slancio operativo, orientamento<br />

fondamentale <strong>di</strong> vita (cf. 2Cor 3,6).<br />

“Non <strong>di</strong>sprezzate le profezie” (v. 20); cioè saper<br />

vedere i “semina Verbi” anche nel cuore dei fratelli e<br />

delle sorelle; in<strong>di</strong>viduare, in essi, una parola <strong>di</strong> Dio per<br />

il nostro cuore e per la nostra vita. La parola <strong>di</strong> Dio non è<br />

solo quella scritta nella Bibbia, ma c’è anche una parola<br />

17


<strong>di</strong> Dio concreta, attualizzata nelle circostanze, nelle<br />

persone, negli eventi. Non <strong>di</strong>sprezzare le profezie, non<br />

annullare le profezie signifi ca essere persone che mettono<br />

in pratica la certezza che nel battesimo, oltre a me, anche<br />

gli altri hanno ricevuto lo spirito profetico, cioè lo spirito<br />

per parlare in nome <strong>di</strong> Dio. il profeta è, infatti, colui<br />

che parla in nome <strong>di</strong> Dio, non sostituendosi a Dio ma<br />

portando l’originalità della propria vocazione personale.<br />

Allora bisogna ascoltarsi per <strong>di</strong>scernere davvero, perché<br />

l’altra e l’altro sono il luogo <strong>santo</strong> dell’ incarnazione della<br />

parola esistenziale del mio Signore.<br />

Uno dei profeti per eccellenza, Mosè, davanti al<br />

roveto ardente che lo chiama, si toglie i sandali perché<br />

quel luogo è <strong>santo</strong>. E’ necessario, quin<strong>di</strong>, ascoltare l’altro<br />

per riconoscere, attraverso l’originalità <strong>di</strong> ciascuno, un<br />

frammento <strong>di</strong> volontà personale <strong>di</strong> Dio nel “qui ed ora”<br />

della mia storia, della mia comunità, della mia chiesa,<br />

della mia città.<br />

“Esaminate ogni cosa” (v. 21 a). 11 verbo usato<br />

qui da Paolo è il verbo “tecnico” del <strong>di</strong>scernimento,<br />

“dokimàzein”. Paolo delle 22 volte, che il Nuovo<br />

Testamento usa questo verbo, lo usa per ben 17: quin<strong>di</strong> è un<br />

suo tipico verbo. Qui, nel primo scritto neo testamentario,<br />

a venti anni dalla morte e risurrezione <strong>di</strong> Gesù, Paolo usa<br />

questi verbi. <strong>di</strong>scernete, saggiate, purifi cate, esaminate<br />

ogni cosa! Niente può entrare nella mia vita e in quella<br />

degli altri se non attraverso un rigoroso ed attento giu<strong>di</strong>zio<br />

esistenziale e prudenziale. Bisogna <strong>di</strong>scernere tutto nella<br />

luce <strong>di</strong> Cristo. L’uomo spirituale, infatti, <strong>di</strong>scerne ogni<br />

cosa nel pensiero <strong>di</strong> Cristo (cf. I Cor 2,15-16). Paolo,<br />

usando il verbo “dokimàzein”, lo prende dalla versione<br />

della Bibbia ebraica tradotta in greco che, nei salmi, nei<br />

18


libri sapienziali e profetici, lo usa per esprimere il concetto<br />

<strong>di</strong> purifi cazione dei metalli attraverso il crogiuolo portato<br />

ad alte temperature: “scrutami, hai conosciuto il mio<br />

cuore, i miei reni” (cf. sal 26 (25); 139 (138); ecc.) Tutto va<br />

“fatto bollire”, perché sia purifi cato dallo Spirito ardente,<br />

quello da non spegnere e da tenere alto per giungere al<br />

“più dell’amore”: il meglio <strong>di</strong> me e del Figlio in me, <strong>di</strong><br />

cui il Padre si compiace.<br />

“Tenete ciò che è buono, astenetevi da ogni sorta <strong>di</strong><br />

male” (vv.21b-22). Ecco la fi ne <strong>di</strong> questa nostra pericope.<br />

Paolo nel testo greco <strong>di</strong>ce letteralmente:” ciò che è<br />

bello”. Il bene è anche il bello. S. Giovanni nel vangelo,<br />

parlando <strong>di</strong> Gesù, Lo chiama il “bel pastore” (cf. Gv 10).<br />

Si può <strong>di</strong>re che il bello è quel Gesù che vive in me e negli<br />

altri. L’ Apostolo delle genti ci insegna ad anelare, non<br />

solo a qualcosa <strong>di</strong> bello, ma al bello stesso, cioè al Cristo;<br />

e al rifi uto <strong>di</strong> ciò che è il non bello, il male, che, a volte,<br />

si riveste da “angelo <strong>di</strong> luce” (cf. 2 Cor 11,14). Egli<strong>San</strong><br />

Paolo, in altre parole, ci sollecita al <strong>di</strong>scernimento, cioè<br />

a sapere e volere <strong>di</strong>stinguere tra ciò che è bene e ciò è<br />

male, tra ciò che Dio vuole e ciò che non vuole. Per la<br />

rifl essione personale, suggerisco, in merito, alcuni tra i<br />

testi classici:<br />

Rom 12,2 : “Non conformatevi alla mentalità <strong>di</strong><br />

questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra<br />

mente, per poter <strong>di</strong>scernere la volontà <strong>di</strong> Dio, ciò che è<br />

buono a lui gra<strong>di</strong>to e perfetto”. Dio gra<strong>di</strong>sce in noi è<br />

l’essere come il Suo Figlio, nel quale Egli si compiace.<br />

Motivo del <strong>di</strong>scernimento è il piacere a Dio, il fare quello<br />

che lui vuole; quello che è perfetto in quanto ci rende<br />

simili al Padre. Ce ne da conferma l’espressione <strong>di</strong> Paolo<br />

“rinnovando la mente”. Il verbo greco usato è dokimàzein,<br />

19


che in<strong>di</strong>ca l’impegno <strong>di</strong> imparare sondando o saggiando,<br />

me<strong>di</strong>ante tentativi vari, la bontà <strong>di</strong> qualche cosa. Discernere<br />

signifi ca soppesare, paragonare, provare. Dokimàzein ha<br />

lo stesso signifi cato nel linguaggio profano, per esempio<br />

nel racconto <strong>di</strong> Luca sulla scelta degli invitati, dove un<br />

tale rifi uta l’invito a cena <strong>di</strong>cendo: “Ho comprato cinque<br />

paia <strong>di</strong> buoi e vado a provarli (dokimàsai)” per capire se<br />

sono adatti all’aratro, se vanno bene (cf. Lc 14,19).<br />

Fil 1,9-10: “Prego che la vostra carità si<br />

arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>scernimento, perché possiate <strong>di</strong>stinguere sempre il<br />

meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno <strong>di</strong><br />

Cristo”. Il <strong>di</strong>scernimento ha un signifi cato escatologico<br />

perché richiama il fi ne ultimo dell’uomo, il suo essere<br />

defi nitivamente davanti a Dio. Faccio osservare che<br />

alcuni spunti sulla dottrina del <strong>di</strong>scernimento li troviamo<br />

già nel giudaismo, in Qmram, nel Manuale della<br />

<strong>di</strong>sciplina. Spunti che vengono ripresi dalla Didakè e poi<br />

passano nella tra<strong>di</strong>zione spirituale fi no alla co<strong>di</strong>fi cazione<br />

propria degli ‘Esercizi Spirituali’ <strong>di</strong> S.Ignazio <strong>di</strong> Loyola.<br />

L’oggetto del <strong>di</strong>scernimento è dunque la volontà <strong>di</strong> Dio,<br />

e comporta un atteggiamento <strong>di</strong> fede: Dio mi ama, pensa<br />

a me, mi chiama, ha una scelta particolare per me; la mia<br />

vita ha un senso nel piano <strong>di</strong> Dio e io ho un nome segreto,<br />

misterioso che egli vuole rivelarmi. Chi fa <strong>di</strong>scernimento<br />

deve essere persuaso che quanto vorrà realizzare nella<br />

sua vita è iscritto nel <strong>di</strong>segno del mistero d’amore <strong>di</strong> Dio,<br />

a cui la nostra esistenza è risposta.<br />

Per questo il semplice mettersi in stato <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>scernimento, comporta il lasciarsi guidare non dalla<br />

mentalità del mondo, ma dalla logica <strong>di</strong> Dio. Esso è già<br />

una purifi cazione del cuore, un atto d’amore al Signore,<br />

20


un riconoscere che nella vita il credente è in <strong>di</strong>alogo con<br />

quella Parola che lo ha creato, lo ha redento, lo sostiene, lo<br />

guida e lo accompagna. Ma se il motivo del <strong>di</strong>scernimento<br />

è la volontà <strong>di</strong> Dio, l’atto concreto del <strong>di</strong>scernere è<br />

in<strong>di</strong>cato come azione dello Spirito, movimento interiore<br />

del cuore me<strong>di</strong>ante il quale la creatura conosce se stessa<br />

nella luce <strong>di</strong> Dio e percepisce il <strong>di</strong>vino <strong>di</strong>segno su se<br />

stessa. S. Giovanni della Croce parla <strong>di</strong> questo nell’<br />

opera “Notte oscura”“, dove insegna come comportarsi<br />

nelle purifi cazioni del senso e dello spirito e quale valore<br />

ha il <strong>di</strong>scernimento nell’autentico cammino <strong>di</strong> fede.<br />

21


<strong>San</strong> Paolo, l’apostolo dell’amore.<br />

Mi rifaccio al pensiero paolino: ” Vi rendo noto, fratelli,<br />

il vangelo che vi ho annunciato, nel quale restate sal<strong>di</strong> e<br />

dal quale anche voi ricevete la salvezza, se lo mantenete in<br />

quella forma in cui ve lo ho annunciato. altrimenti avreste<br />

creduto invano! Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello<br />

che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo mori per i nostri<br />

peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il<br />

terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e<br />

quin<strong>di</strong> ai Do<strong>di</strong>ci. In seguito apparve a più <strong>di</strong> cinquecento<br />

fratelli in una sola volta: la maggior parte <strong>di</strong> essi vive<br />

ancora, mentre alcuni altri sono morti. Inoltre apparve<br />

a Giacomo, e quin<strong>di</strong> a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti<br />

apparve a me come un aborto. Io, infatti, sono l’infi mo degli<br />

apostoli, e non sono degno neppure <strong>di</strong> essere chiamato<br />

apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa <strong>di</strong> Cristo. Per<br />

grazia <strong>di</strong> Dio però sono quello che sono, e la sua grazia<br />

in me non è stata vana; anzi ho faticato più <strong>di</strong> tutti loro,<br />

non io però, ma la grazia <strong>di</strong> Dio che è con me. Pertanto,<br />

sia io che loro così pre<strong>di</strong>chiamo e così avete creduto…<br />

Non sono forse libero, io? Non sono un apostolo? Non ho<br />

veduto Gesù, Signore nostro? E non siete voi la mia opera<br />

nel Signore? Anche se per altri non sono apostolo, per<br />

voi almeno lo sono; voi siete il sigillo del mio apostolato<br />

nel Signore. Questa è la mia <strong>di</strong>fesa contro quelli che mi<br />

accusano… Ma io non mi sono avvalso <strong>di</strong> nessuno <strong>di</strong><br />

questi <strong>di</strong>ritti, né ve ne scrivo perché ci si regoli in tal modo<br />

con me; preferirei piuttosto morire. Nessuno mi toglierà<br />

questo vanto! Non è infatti per me un vanto annunciare il<br />

vangelo; è un dovere per me: guai a me se non pre<strong>di</strong>cassi<br />

il vangelo! Se lo faccio <strong>di</strong> mia iniziativa ho <strong>di</strong>ritto alla<br />

22


mia ricompensa; ma se non lo faccio <strong>di</strong> mia iniziativa, è<br />

un incarico che mi è stato affi dato. Quale è dunque la mia<br />

ricompensa? Quella <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>care gratuitamente il vangelo<br />

senza usare del <strong>di</strong>ritto conferitomi dal vangelo. Infatti,<br />

pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo <strong>di</strong> tutti per<br />

guadagnare il maggior numero: mi sono fatto Giudeo con<br />

i Giudei per guadagnare i Giudei; con coloro che sono<br />

sotto la legge sono <strong>di</strong>ventato uno che è sotto la legge,<br />

pur non essendo sotto la legge allo scopo <strong>di</strong> guadagnare<br />

coloro che sono sotto la legge. Con coloro che non hanno<br />

legge sono <strong>di</strong>ventato come uno che è senà1egge, pur non<br />

essendo senza la legge <strong>di</strong> Dio, anzi essendo nella legge <strong>di</strong><br />

Cristo per guadagnare ,coloro che sono senza legge. Mi<br />

sono fatto debole con i deboli; mi sono fatto tutto a tutti<br />

per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il<br />

vangelo, per <strong>di</strong>ventarne partecipe con loro” (1 Cor 15,1-<br />

11; 2 Cor 9, 1-3.15-23).<br />

In questa lunga citazione, l’apostolo Paolo ci fa<br />

la sua “confi denza apostolica”, per aiutare anche noi a<br />

capire sempre meglio cosa signifi chi essere chiamati<br />

alla sequela, all’ incontro <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>lezione e all’invio<br />

<strong>di</strong> missione che Gesù, il Signore, vuole vivere con ed<br />

attraverso ciascuno <strong>di</strong> noi. Sia ben chiaro che, in tutto<br />

questo, come sacerdoti, <strong>di</strong>aconi, religiosi/e, seminaristi e,<br />

<strong>di</strong>rei, anche come battezzati, non siamo spettatori ma coprotagonisti!<br />

Non siamo spettatori <strong>di</strong>nanzi ad un palco,<br />

dove si svolgono mirabili scene interpretate da attori; ma<br />

siamo pienamente e totalmente coinvolti come persone<br />

chiamate alla straor<strong>di</strong>naria e impegnativa responsabilità<br />

della pre<strong>di</strong>lezione in Cristo e della carità pastorale.<br />

A tale riguardo, voglio ricordare il recente viaggio in<br />

Benin (15-24 febbraio) che ho fatto con don Leonardo<br />

23


Di Mauro e Suor Teresa, superiora delle Cenacoliste. Mi<br />

sono incontrato con i nostri due sacerdoti <strong>di</strong> Wansokou e<br />

con Mons. Pascal per stu<strong>di</strong>are l’avvio <strong>di</strong> un nuovo centro<br />

missionario nel villaggio <strong>di</strong> Kotiakou. Questo villaggio,<br />

al quale fanno riferimento altri villaggi, è monolingue.<br />

In esso esistono già alcune strutture; ma sono necessari<br />

alcuni interventi strutturali, ai quali fi nalizziamo<br />

Quaresima e prossimo Avvento <strong>di</strong> carità, sollecitando<br />

anche la generosità della comunità parrocchiali e dei<br />

singoli fedeli , già tante volte <strong>di</strong>mostrata. Sul bollettino<br />

“Oltre la porta” farò una relazione più dettagliata, dando<br />

in<strong>di</strong>cazioni più precise.<br />

Ma ritorniamo al testo paolino. Nei versetti iniziali<br />

del capitolo 15 della prima lettera ai Corinzi, <strong>San</strong> Paolo<br />

chiarisce il compito specifi co derivante dal suo essere<br />

apostolo: “annunciare il vangelo <strong>di</strong> Gesù, che è la<br />

salvezza”(vv. 1-2). Gesù chiede e pretende l’obbe<strong>di</strong>enza<br />

della fede al suo vangelo, senza la quale non esiste<br />

neppure un minimo <strong>di</strong> autenticità e <strong>di</strong> verità in coloro<br />

che svolgono il ministero pastorale. E’ proprio alla luce<br />

del mettere tutto se stesso in questo suo ministero, che<br />

nasce in Paolo l’esigenza <strong>di</strong> chiedere e <strong>di</strong> pretendere la<br />

serietà e la totale <strong>di</strong>sponibilità, senza remore, dai Corinzi<br />

e, quin<strong>di</strong>, da noi “altrimenti avremmo creduto invano”<br />

(cf. versetto 2). Egli, poi approfon<strong>di</strong>sce ulteriormente<br />

la specifi cità del suo essere apostolo: “Vi ho trasmesso<br />

quello che anch’io ho ricevuto”. In altre parole, l’Apostolo<br />

trasmette ciò che ha sperimentato concretamente ed<br />

esistenzialmente nella sua vita. Non va “<strong>di</strong>etro a favole<br />

artifi ciosamente inventate” (cf. 2 Pt 1,16), ma “vive e<br />

proclama un vangelo modellato sull’uomo” (cf. Gal 1,11-<br />

12). Egli intende annunciare e imitare la vita scandalosa<br />

24


ed esaltante del Cristo crocifi sso e risorto; vuole gridare<br />

con la sua vita questo vangelo nella speranza <strong>di</strong> contagiare<br />

tutti con la sua passione per il Signore, in<strong>di</strong>candoLo come<br />

l’unica “via” <strong>di</strong> realizzazione e <strong>di</strong> umanizzazione” per<br />

ogni uomo. Un’eco straor<strong>di</strong>naria è costituita dalle parole,<br />

pronunciate tanti secoli dopo, da un altro Paolo, Papa<br />

Paolo VI: “ l’uomo oggi ascolta più volentieri i maestri<br />

se questi sono per prima cosa testimoni” (cf. Evangelii<br />

Nuntian<strong>di</strong>, 41).<br />

“In seguito”- ci <strong>di</strong>ce -, continuando questo suo<br />

racconto contemplativo ed autobiografi co, “Gesù appare<br />

a Cefa ed ai Do<strong>di</strong>ci; appare a tutti gli apostoli, e per ultimo,<br />

come ad un aborto, appare anche a me”. Paolo si ritiene<br />

l’infi mo degli apostoli; anzi non si reputa degno neppure<br />

<strong>di</strong> essere chiamato apostolo perché ha perseguitato la<br />

Chiesa <strong>di</strong> Dio. “Ma per grazia Dio sono quello che sono<br />

e la sua grazia in me non è stata vana” (vv. 9-l0).<br />

Siamo, e Paolo ne è cosciente, nella logica del<br />

<strong>di</strong>segno gratuito <strong>di</strong> Dio, della sua libertà positiva ed<br />

amante. E’ la logica dello sguardo <strong>di</strong> compiacimento<br />

<strong>di</strong> Dio, che ancora sceglie ed attua la sua “logica della<br />

croce”, la logica <strong>di</strong> ciò che è contro tutte le logiche umane<br />

dell’apparenza, perché solo attraverso la “logica della<br />

croce” si è avvolti dall’ aurora della risurrezione.<br />

La “logica della croce” è logica <strong>di</strong> fatica, <strong>di</strong> sudore,<br />

<strong>di</strong> lotta, <strong>di</strong> conquista e Paolo e ci testimonia, anche questo,<br />

con verità e senza tanti <strong>di</strong>scorsi “romantici” e melensi:<br />

“ho faticato più <strong>di</strong> tutti loro, non io però ma la grazia <strong>di</strong><br />

Dio che è con me”.<br />

La “logica della croce” è vissuta, per primo dal<br />

Signore Gesù,che chiama all’apostolato, e che per primo<br />

fatica, suda, lotta e conquista “il premio” (cf. Fil 3,14) dell’<br />

25


essere tutto presente in ogni amico, chiamato a fare in lui e<br />

per lui gran<strong>di</strong> cose. Paolo specifi ca in un altro brano come<br />

questa fatica si concretizzi nel ministero del suo essere<br />

apostolo( cf. 1 Cor. 9). Dal racconto “autobiografi co”<br />

si evince facilmente tutto il pathos <strong>di</strong> Paolo, tutto il suo<br />

desiderio empatico nei confronti del suo ministero. Noi,<br />

mininistri or<strong>di</strong>nati del terzo millennio, non temiamo <strong>di</strong><br />

entrare in colloquio con Paolo e chiedergli cosa signifi chi<br />

il sudore apostolico del suo si a Cristo. La sua risposta è<br />

molto chiara. Dire e vivere il sì a Cristo signifi ca:<br />

- essere liberi per farsi servi <strong>di</strong> tutti (cf. vv. 1.19).<br />

- essere apostoli perché abbiamo incontrato il Signore (cf<br />

v.2).<br />

- essere vangelo vivente, cioè annuncio gioioso che Cristo<br />

è tutta la nostra vita e il nostro essere (cf v.16).<br />

- accettare, come Paolo, la gratuità sconvolgente del dono<br />

<strong>di</strong> Dio in Cristo ( cf. v. 17).<br />

- essere “un ‘icona vivente <strong>di</strong> Cristo”, un vangelo vivente,<br />

perché la conquista che Cristo ha fatto nella mia vita<br />

possa essere strumento eletto che il Signore assume per<br />

farne partecipi altri (cf. v.23).<br />

Questa risposta, che non ha bisogno <strong>di</strong> commento<br />

perché chiara, profonda ed imme<strong>di</strong>ata, <strong>San</strong> Paolo ce la<br />

consegna come certezza che anche per noi sono vere e<br />

saranno sempre vere le sue parole; come garanzia che<br />

la sua esperienza apostolica <strong>di</strong> amore ricevuto e donato<br />

vale la pena <strong>di</strong> essere vissuta anche da noi oggi e sempre;<br />

e, se vogliamo, come un prontuario <strong>di</strong> messaggi con i<br />

quali confrontarci e fare un esame <strong>di</strong> coscienza sul nostro<br />

essere sacerdoti nel momento attuale vissuto dalla Chiesa<br />

e dall’intera umanità. L’essere liberi per farsi servi, non<br />

ci ricorda l’obbe<strong>di</strong>enza interiore che abbiamo promesso<br />

26


al Signore, tramite il Vescovo, quando siamo stati<br />

or<strong>di</strong>nati per servire gli altri nelle cose che riguardano<br />

Dio? Il sentirsi apostoli grazie all’incontro con il Risorto,<br />

non implica quella profonda comunione con Cristo<br />

che tanto più irra<strong>di</strong>eremo sui nostri fedeli, quanto più<br />

intensa e forte sarà la nostra consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> vita con<br />

Lui? L’essere vangelo vivente, non ci ricorda il famoso<br />

“quinto evangelio” <strong>di</strong> cui scrisse Mario Pomilio; quel<br />

vangelo che, unico, gli uomini del nostro tempo sono<br />

<strong>di</strong>sposti a leggere: essere vangelo aperto in quella pagina<br />

che interessa, incuriosisce, attrae e dà risposta cre<strong>di</strong>bile<br />

ai nostri conterranei e contemporanei? Quell’accettare la<br />

gratuità del dono <strong>di</strong> Dio in Cristo, non mette in crisi gli<br />

inqualifi cabili atteggiamenti <strong>di</strong> chi fa del suo ministero<br />

un mestiere fi nalizzato a interessi personali, come ad<br />

esempio il facile guadagno e la sicurezza economica? E<br />

quell’essere icona <strong>di</strong> Cristo, non inquieta la nostra anima,<br />

rendendola sempre più affamata a assetata <strong>di</strong> Cristo,<br />

fonte zampillante dell’acqua gustosa della grazia e che<br />

sollecita alla purifi cazione continua <strong>di</strong> intenti, sentimenti,<br />

azioni fi no a poter <strong>di</strong>re con <strong>San</strong> Paolo: “per me, vivere è<br />

Cristo?”<br />

In un clima <strong>di</strong> fraterna confi denza, L’apostolo<br />

continua a raccontarsi: “Quanto a me, il mio sangue sta<br />

per essere sparso in libagione ed è giunto il momento <strong>di</strong><br />

sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho<br />

terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi<br />

resta solo la corona <strong>di</strong> giustizia che il Signore, giusto<br />

giu<strong>di</strong>ce mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me,<br />

ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua<br />

manifestazione…”(2 Tm 4,6-8).<br />

In questo contesto spirituale e pastorale, possiamo<br />

27


comprendere l’ansia missionaria <strong>di</strong> Paolo. Come abbiamo<br />

ascoltato nel momento mistagogico del primo giovedì<br />

<strong>di</strong> Quaresima, Paolo non aveva paura della strada, ma<br />

la usava, non come linee tra due luoghi, bensì come<br />

possibilità <strong>di</strong> incontro con tutti coloro ai quali voleva<br />

annunciare Cristo. Infatti, egli, insieme a Sila, parte<br />

per il lungo viaggio missionario attraversando l’Asia<br />

minore, la Macedonia e l’Acaia, pre<strong>di</strong>cando il vangelo e<br />

destando ovunque conversioni. Dove passa, lascia piccole<br />

comunità <strong>di</strong> credenti in Cristo: a Filippi, in Galazia, a<br />

Tessalonica, a Corinto. I luoghi che Paolo sceglieva per<br />

la sua missione e da cui irra<strong>di</strong>are il messaggio cristiano<br />

erano i centri urbani e <strong>di</strong> preferenza le gran<strong>di</strong> città. Era<br />

poi per lui un punto d’onore annunciare il vangelo dove<br />

non era stato ancora pre<strong>di</strong>cato (cf. Rom 15,20), a costo <strong>di</strong><br />

lasciare il compito <strong>di</strong> organizzazione delle ancora fragili<br />

comunità ai suoi collaboratori o ai nuovi convertiti stessi.<br />

Paolo porta il primo annuncio cristiano, è un fondatore<br />

<strong>di</strong> chiese e desidera raggiungere sempre nuovi luoghi in<br />

modo che la parola del vangelo sia ascoltata corra in tutta<br />

la terra (2 Ts 3,1) e tutte le genti della terra conoscano<br />

il Signore Gesù Cristo. Per questo progetta <strong>di</strong> andar a<br />

Roma e <strong>di</strong> raggiungere ad<strong>di</strong>rittura la Spagna, l’estremo<br />

confi ne occidentale dell’impero (Rom 15,25-32).<br />

Noi non possiamo seguire tutto l’itinerario <strong>di</strong> Paolo,<br />

ma basta <strong>di</strong>re che dagli Atti e dalle lettere sua missione<br />

itinerante appare un’avventura faticosa, estenuante,<br />

piena <strong>di</strong> pericoli e <strong>di</strong> persecuzioni sia da parte dei giudei<br />

che da parte dei pagani. Confl itti , arresti e prigionie, dure<br />

pene, la fustigazione, la fl agellazione, la lapidazione lo<br />

accompagnarono sempre (2 Cor 11,23-28). Nel primo<br />

viaggio Paolo conobbe la prigionia a Filippi, un tentativo<br />

28


<strong>di</strong> arresto a Tessalonica e la persecuzione sempre più<br />

ostinata da parte dei giudei che apparivano ormai come il<br />

principale nemico dell’orizzonte della sua pre<strong>di</strong>cazione.<br />

Non era aiutato da nessuno, né sostenuto fi nanziariamente<br />

se non , in un caso, dalla comunità <strong>di</strong> Filippi (Fil 4,10<br />

ss.) e doveva lavorare giorno e notte come fabbricatore <strong>di</strong><br />

tende per potersi mantenere (1 Ts 2,9).<br />

Pensando a questa sua con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> missionario<br />

e apostolo scrive: “Io porto nel mio corpo le stigmate<br />

<strong>di</strong> Cristo” (Gal 6:17). La sua vita era infatti una vita<br />

da schiavo, da crocifi sso, attivamente partecipe della<br />

passione del suo Signore. Paolo ha coscienza <strong>di</strong> essere<br />

come un condannato a morte, pazzo a causa <strong>di</strong> Cristo,<br />

debole, <strong>di</strong>sprezzato: “fi no a questo momento soffriamo la<br />

fame, la sete, la nu<strong>di</strong>tà, veniamo schiaffeggiati, an<strong>di</strong>amo<br />

vagando <strong>di</strong> luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando<br />

con le nostre mani. Insultati, bene<strong>di</strong>ciamo; perseguitati,<br />

sopportiamo; calunniati, consoliamo; siamo <strong>di</strong>venuti la<br />

spazzatura del mondo, il rifi uto <strong>di</strong> tutti fi no ad oggi (1 Cor<br />

4,9-13). Non c’è esagerazione in questa descrizione: c’è<br />

la verità <strong>di</strong> una spesa per il vangelo. Paolo non era forte,<br />

ma un debole, e se era stato forte, la missione lo aveva<br />

indebolito e <strong>di</strong>minuito; non aveva una fi gura imponente,<br />

nè voleva avvincere il popolo con gli artifi ci dell’oratoria<br />

(cf. 2 Cor 10,10; 1 Cor 2,1). Più che la proclamazione<br />

era con la sua vita e la sua conoscenza che mostrava in<br />

mezzo alle sue comunità Cristo e Cristo crocifi sso (2,2).<br />

In questo primo viaggio Paolo sostò lungamente a<br />

Corinto, un anno e mezzo circa (cf. At 18,11), e li fondò<br />

la comunità a lui più cara. Poco prima aveva tentato <strong>di</strong><br />

incontrare la sapienza greca ad Atene all’Areopago, ma<br />

aveva subito uno scacco durissimo nonostante avesse<br />

29


cercato <strong>di</strong> proporre il messaggio cristiano inculturato<br />

nella sapienza greca. La morte e la risurrezione <strong>di</strong> Gesù<br />

restano follia per i pagani allo stesso modo in cui erano<br />

scandalo per i giudei. Di questo scacco troviamo eco nella<br />

prima lettera ai Corinzi dove scrive che pre<strong>di</strong>ca un Cristo<br />

crocifi sso, scandalo per i rei e pazzia per i pagani, ma<br />

in realtà potenza e sapienza <strong>di</strong> Dio. Questa logica della<br />

croce, o ‘verbo della croce (1 Cor 1,18) è visibile per<br />

lui anche nella composizione della comunità corinzia che<br />

non annovera né sapienti secondo la carne, né potenti,<br />

né nobili, ma imita ciò che nel mondo è stolto, ciò che<br />

è debole, ciò che è ignominioso e <strong>di</strong>sprezzato, ‘ciò che<br />

non è. Così Dio, per mezzo <strong>di</strong> Cristo e della chiesa,<br />

riduce a niente ‘le cose che sono ’ (I Cor 1,26-31). Per la<br />

comunità, per lui, questa logica della croce non può solo<br />

essere annunciata ma deve essere vissuta, sperimentata in<br />

carne viva.<br />

Paolo era anche un uomo ferito dalla malattia (Gal<br />

4,14). Questa malattia, che a noi resta ignota, l’ha molto<br />

provato e costantemente segnato, e <strong>di</strong> essa Paolo ha<br />

una consapevolezza penetrante che lo fa sentire debole,<br />

debolissimo, ma che gli fa anche sperimentare la grazia,<br />

la misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Dio. Egli esclama: ‘Quando sono<br />

debole, è allora che sono forte’ (2 Cor 2,10). Gli esegeti<br />

si sono interrogati su questa malattia e ‘hanno ipotizzato<br />

epilessia, isteria, malaria, depressione. Certamente si<br />

trattava <strong>di</strong> un’infermità umiliante che forse lui e i testimoni<br />

delle sue crisi attribuivano, più che ad altre malattie, a<br />

forze malefi che, al demonio. Egli stesso ne parla: ‘come<br />

sapete, fu a causa <strong>di</strong> una malattia che per la prima volta<br />

vi annunciai il vangelo. E voi non mostraste ne <strong>di</strong>sprezzo<br />

per il mio corpo malato benché costituisse una prova<br />

30


per voi e mi accoglieste invece come un messaggero,<br />

inviato da Dio, come Gesù Cristo (Gal 4,13-14). Altrove<br />

Paolo parla <strong>di</strong> ‘un pungiglione, una spina nella carne, un<br />

emissario <strong>di</strong> Satana incaricato <strong>di</strong> schiaffeggiarmi perché<br />

io non mi inorgoglisca” (2 Cor 12,7).<br />

Era la stessa malattia fi sica o qualcos’altro? Inutile<br />

fare indagini. Ci basti ricevere da Paolo la testimonianza:<br />

provato fi sicamente o psicologicamente, ferito da una<br />

potenza <strong>di</strong> Satana, anziché <strong>di</strong>sperare, vede in questo,<br />

un’occasione per la manifestazione della potenza <strong>di</strong> Dio<br />

nella sua carne, la sua vita <strong>di</strong> povero e fragile uomo, <strong>di</strong><br />

peccatore. Quando questa prova, quasi una sentenza <strong>di</strong><br />

morte, si riaccendeva, egli la leggeva come un invito a<br />

non porre fi ducia in se stesso, ma nel Dio che risuscita<br />

i morti (2 Cor 1,9) e quando si sentiva preso a schiaffi<br />

dall’Avversario, si rifugiava nella preghiera al Signore<br />

che poteva liberarlo e guarirlo: ‘Ti basta la mia grazia,<br />

nella debolezza si manifesta la mia potenza!’ (cf. 2 Cor<br />

12,7-9).<br />

E accanto a quest’esperienza <strong>di</strong> prova e <strong>di</strong> malattia<br />

c’è l’esperienza del peccato <strong>di</strong> cui Paolo ha avuto acuta<br />

consapevolezza: egli infatti sente nelle sue membra la<br />

prepotenza del peccato che lo fa schiavo, lo asservisce<br />

fi no a fargli <strong>di</strong>re: ‘Sono un <strong>di</strong>sgraziato! Quando mi sarò<br />

liberato da questa schiavitù del ricadere nel peccato che<br />

io non voglio? Perché il male è accanto a me quando<br />

voglio il bene? Perché voglio essere fedele alla legge <strong>di</strong><br />

Dio nel mio intimo e poi continuo a cadere nel male che<br />

non voglio?’ (cf. Rom 7,18-25). Ma al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong><br />

tutto — debolezza, malattia, peccato — per Paolo regna e<br />

ha la vittoria l’amore <strong>di</strong> Cristo: se Dio non ha risparmiato<br />

suo Figlio, ma lo ha consegnato per amore nostro, chi<br />

31


accuserà, chi condannerà? E chi potrà separarci da questo<br />

amore che ci ha raggiunti quando eravamo peccatori?(cf.<br />

Rom 8,31-35; Enzo BIANCHI, Amici del Signore, Roma<br />

1990, pp. 212-215).<br />

Per entrare ancora <strong>di</strong> più nella profon<strong>di</strong>tà del pensiero<br />

<strong>di</strong> <strong>San</strong> Paolo leggiamo e me<strong>di</strong>tiamo il cap. 13 della<br />

prima lettera ai Corinzi: è uno dei testi più suggestivi del<br />

Nuovo Testamento, e ci richiama alla scala dei valori che<br />

dobbiamo aver sempre presente nella nostra vita e nel<br />

nostro ministero. Di esso ha scritto anche il nostro <strong>San</strong>to<br />

Padre, Benedetto XVI, nella sua prima lettera enciclica<br />

“Deus charitas est”, <strong>di</strong>cendo che si parla <strong>di</strong> quell’amore<br />

che è la vita stessa <strong>di</strong> Dio; amore inteso come eros<br />

e agape. Infatti, scrive il Papa, “eros e agape – amore<br />

ascendente e <strong>di</strong>scendente- non si lasciano mai separare<br />

completamente l’uno dall’altro. Quanto più ambedue, pur<br />

in <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong>verse, trovano la giusta unità nell’unica<br />

realtà dell’amore, tanto più si realizza la vera natura<br />

dell’amore in genere”(n.7). In Dio convivono eros e<br />

agape: il primo si rivela soprattutto nella croce del Figlio,<br />

nel misterioso “Volgersi <strong>di</strong> Dio contro se stesso” (n.12)<br />

e si risolve nell’agape, a cui l’umanità è chiamata. Come<br />

non si possono separare eros ed agape; così è impossibile<br />

separare l’amore <strong>di</strong> Dio e l’amore del prossimo. Nei primi<br />

tre versetti viene ripetuto l’unico motivo tematico: l’amare<br />

o il non amare determinano l’essere o il non essere del<br />

cristiano e non solo una modalità del vivere . Nei versetti<br />

4-7 vengono in<strong>di</strong>cate le linee operative dell’amore, quasi<br />

personifi cato, e impegnato nella successione <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci<br />

verbi. Nei versetti 8-13 viene <strong>di</strong>chiarata la perfezione<br />

dell’amore e la sua permanenza nel mondo dei risorti.<br />

<strong>San</strong> Giovanni Climaco riporta, a sue parole, un pensiero<br />

32


della tra<strong>di</strong>zione patristica d’Oriente e d’Occidente: “ Chi<br />

parla della carità, parla <strong>di</strong> Dio stesso. E’ opera <strong>di</strong>ffi cile e<br />

rischiosa, per chi non valuta i termini con somma cautela.<br />

Parlare della carità è appena possibile agli angeli e, anche<br />

per essi, è più o meno <strong>di</strong>ffi cile, a seconda del grado <strong>di</strong><br />

illuminazione ricevuta. Dio è carità, sta scritto: ma chi<br />

volesse con le parole esporre la profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> questa<br />

rivelazione, assomiglierebbe a un cieco che, stando su una<br />

nave, volesse misurare sino a che limite si estende la sabbia<br />

del mare” (La scala del para<strong>di</strong>so 30,197). Ricor<strong>di</strong>amo la<br />

famosa affermazione <strong>di</strong> S. Agostino: “Immo vero si vides<br />

Trinitatem, caritatem vides” (La Trinità 8,8). L’apostolo<br />

della carità – scriveva Giovanni Paolo II- è “un testimone<br />

dell’esperienza <strong>di</strong> Dio… è un contemplativo in azione.<br />

Egli trova risposta ai problemi nella luce della Parola<br />

e nella preghiera personale e comunitaria…se non è<br />

contemplativo, non può annunziare Cristo in modo<br />

cre<strong>di</strong>bile “ (Redemptoris Missio, 91).<br />

33


Maria, “fl auto silenzioso” <strong>di</strong> Dio.<br />

La vergine Maria è, dopo Cristo, la più luminosa icona<br />

dell’amore <strong>di</strong> Dio per l’umanità <strong>di</strong> ieri, <strong>di</strong> oggi e <strong>di</strong> sempre.<br />

Eugenio d’Ors, nel suo libro “La valle <strong>di</strong> Giosafat”,<br />

immagina <strong>di</strong> entrare nella valle del giu<strong>di</strong>zio universale e<br />

<strong>di</strong> vedere tanti personaggi illustri. All’improvviso sente<br />

gridare: “L’uomo non è che una canna pensante”(Pascal,<br />

Pensées, 347)…Tutti gli uomini nella valle <strong>di</strong> Giosafat<br />

non sono che canne:un grande canneto al lume della<br />

luna”. A questo grido, succede un alto silenzio lunare,<br />

che, come d’incanto, si popola <strong>di</strong> armonie: l’intera vallata<br />

canta! Ogni canna, simbolo <strong>di</strong> una persona, è un fl auto<br />

silenzioso riattivato dal vento del pro<strong>di</strong>gio. Al poeta<br />

che domanda: chi suona? il vento risponde: Maria! (cfr.<br />

SabinoPalumbieri, Un magnifi cat per il terzo millennio,<br />

EP 1998, p.126). Maria è segno, testimone delle bellezza<br />

e dell’amore <strong>di</strong> Dio. <strong>San</strong> Bernardo <strong>di</strong> Chiaravalle,<br />

rivolgendosi alla Vergine, esclamava: “ Dalla tua breve<br />

risposta <strong>di</strong>pende che noi siamo chiamati alla vita…<br />

Pronuncia una parola e riceverai la Parola. Proferisci<br />

la tua parola e concepirai la Parola <strong>di</strong>vina. Emetti una<br />

parola che passa (il Si) e possederai la Parola eterna.<br />

Umile, sappi essere audace, riservata, non avere paura…”<br />

(Opere mariane, Le lo<strong>di</strong> della Vergine Madre, IV Omelia<br />

in Oeuvres mystiques, p.953). Quella parola che passa<br />

è il sì <strong>di</strong> Maria alla vocazione <strong>di</strong> madre del Cristo, della<br />

Chiesa e nostra. Perciò i cristiani la considerano “madre<br />

del bell’amore, janua coeli et ianua mun<strong>di</strong>, cioè porta<br />

del cielo e porta del mondo. Imitiamo Maria, madre e<br />

maestra, nel proferire e vivere il sì a Dio, Amore che ci<br />

chiama ad essere, nel contesto sociale <strong>di</strong> oggi, servi <strong>di</strong><br />

34


Dio e degli uomini. “Nella folla dei redenti…la madre <strong>di</strong><br />

Cristo occupa il primo posto, senza termine <strong>di</strong> confronto<br />

con gli altri. Essa appare nella pura verità della situazione<br />

in cui Dio l’ha posta, a un livello <strong>di</strong> grazia e <strong>di</strong> gloria<br />

superore a quello degli altri; tra il Redentore che la<br />

domina dall’infi nito della sua <strong>di</strong>vinità e gli altri redenti,<br />

che avvolge con il suo amore materno, ella esulta nella<br />

gioia della riunione. Qui si conclude il suo Magnifi cat”<br />

(R. Laurentin Court traité sur la Virge Marie, Paris 1967,<br />

p.157). Ella è veramente la donna che ha vissuto il più<br />

dell’amore; la donna eucaristica. Per questo la Chiesa<br />

la propone all’imitazione dei fedeli. Aderendo sempre e<br />

totalmente alla volontà <strong>di</strong>vina (cf. Lc 1,38), ne accolse la<br />

parola e ritmò su <strong>di</strong> essa il cammino della sua vita terrena,<br />

illuminata dalla carità e dallo spirito <strong>di</strong> servizio. La sua<br />

obbe<strong>di</strong>enza al Signore non fu passivamente remissiva, ma<br />

libera, consapevole, coraggiosa e compiuta totalmente e<br />

ra<strong>di</strong>calmente sempre, dovunque e comunque. “Maria è<br />

vissuta sotto il segno del transitorio e dell’effi mero. La<br />

sua vita, come la nostra e come quella <strong>di</strong> tutti i fi gli <strong>di</strong><br />

questa terra, è stata una serie ininterrotta <strong>di</strong> vicissitu<strong>di</strong>ni,<br />

<strong>di</strong> cose che nascono e che muoiono… si è svolta sotto il<br />

segno della caducità… e tuttavia non c’è un momento<br />

della sua vita che essa debba rinnegare, nemmeno un<br />

momento vuoto e sterile. Nessun atto <strong>di</strong> cui possa arrossire,<br />

nessuno che sia avvolto <strong>di</strong> ombra, nessuno che sia caduto<br />

nell’abisso del passato, senza aver acceso una luce eterna,<br />

senza brillare <strong>di</strong> uno splendore capace <strong>di</strong> penetrare tutto<br />

ciò che ogni istante <strong>di</strong> questa vita conteneva in sé <strong>di</strong><br />

possibilità morali” ( K. Rahner, L’homme au miroir de<br />

l’année chretienne, Mame, 1966, pp. 222-225). Nella sua<br />

vita terrena ha realizzato la fi gura perfetta del seguace <strong>di</strong><br />

Cristo; perciò è ritenuta via aperta che porta a Gesù.<br />

35


Conclusione.<br />

Concludo con una preghiera a Lei, fulgido esempio <strong>di</strong><br />

vita ritmata sull’amore per il Signore ed i fratelli: “Vergine<br />

Maria, se l’Eucaristia è veramente il corpo e il sangue <strong>di</strong><br />

Cristo, tu hai un ruolo essenziale in questo “sacramentum<br />

Charitatis” perché quel corpo ha iniziato nel tuo grembo<br />

il suo cammino terreno. Infatti il Verbosi Dio “Virginis<br />

uterum non abhorruit”, cioè non si vergognò <strong>di</strong> prendere<br />

<strong>di</strong>mora nel tuo grembo: l’Onnipotente rimase rinchiuso<br />

nel fi nito ma purissimo tuo grembo; tu, Maria, fosti il<br />

suo scrigno prezioso, il più bel tabernacolo che lo abbia<br />

contenuto sulla nostra terra.<br />

Tabernacolo o arca della Nuova Alleanza che veneravi<br />

Colui che contenevi; lo pregavi; Lo adoravi; Lo attendevi,<br />

Lo amavi; Lo servivi come e con molta più sensibilità<br />

delle premurose donne che attendono la nascita del loro<br />

fi glio. Tu, Maria, sai <strong>di</strong> essere genitrice quanto a natura<br />

umana; ma fi glia quanto all’origine <strong>di</strong>vina <strong>di</strong> Colui che<br />

chiami fi glio e nel quale riconosci e adori il Figlio <strong>di</strong> Dio.<br />

Tu hai vissuto nove mesi <strong>di</strong> vibrante attesa, <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cibile<br />

tenerezza e <strong>di</strong> vibrante amore: Tu attendevi l’Atteso<br />

delle genti; pregavi e obbe<strong>di</strong>vi all’Eterno; imploravi il<br />

Salvatore.<br />

Tu, donna vestita <strong>di</strong> sole, sei stata l’ultima voce dei<br />

devoti israeliti che imploravano: “Marana-tha”. Nella<br />

notte del mistero Lo partoristi in una grotta e lo adorasti,<br />

sapendo che, pur essendone la madre, quel Figlio non<br />

ti apparteneva perché Dio, suo Padre, Lo aveva donato<br />

all’intera umanità. Dopo circa trenta anni <strong>di</strong> vita trascorsi<br />

con Lui, nel silenzio e nella ferialità <strong>di</strong> Nazareth, ne<br />

<strong>di</strong>ventasti fedele seguace, nascosta tra la folla.<br />

36


Tu maestra, fosti <strong>di</strong>scepola; tu madre, ti sentivi<br />

fi glia. E potesti vedere, nel trascorrere dei tre anni <strong>di</strong> vita<br />

pubblica, come Gesù si donava tutto e ra<strong>di</strong>calmente agli<br />

altri fi no ad immolare se stesso sulla Croce, in espiazione<br />

vicaria.<br />

Tu non eri presente, nella sala al piano superiore,<br />

quando Egli, prima del suo processo, si inventò ed istituì<br />

l’Eucaristia, che, sotto i veli del pane e del vino, contiene<br />

realmente quello stesso corpo da te generato. Gli Apostoli<br />

ti raccontarono, in seguito, quella memorabile ultima<br />

cena consumata da Gesù con loro. Maria, <strong>di</strong>nanzi a questo<br />

insondabile sacramento, tu vibravi d’amore perché,<br />

mentre con gli occhi della fronte vedevi il pane e il vino;<br />

con gli occhi del cuore, colmo <strong>di</strong> fede, vedevi il Figlio<br />

<strong>di</strong> Dio e tuo; ed umilmente lo adoravi. Come credente<br />

partecipavi con tanti, fratelli e sorelle, alla celebrazione<br />

dell’Eucaristia e riprovavi nella carne le angosce della<br />

passione e morte <strong>di</strong> Gesù, unitamente al gau<strong>di</strong>o immenso<br />

della sua risurrezione.<br />

Poi ti accostavi alla mensa per ricevere il pane<br />

eucaristico: Gesù, il tuo Gesù, entrava sempre <strong>di</strong> nuovo<br />

in te e ti accarezzava il cuore. Madre e Figlio uniti dalla<br />

forza <strong>di</strong> un sacramento che, <strong>di</strong> per sé, è sempre una<br />

forma gloriosa <strong>di</strong> annientamento, per amore, del Verbo<br />

Incarnato. E’ molto bello, Maria, vederti, devota e umile,<br />

seguire con gli altri il sacro rito; ascoltare la parola; <strong>di</strong>re<br />

le stesse preghiere; eseguire gli stessi canti; e rivolgerti a<br />

Dio con la preghiera insegnataci da Gesù, il Padre nostro.<br />

Come gli altri, ma solo esteriormente e culturalmente;<br />

esistenzialmente e spiritualmente, in maniera del tutto<br />

particolare, perché tu eri la madre <strong>di</strong> quel Cristo che<br />

ricevevi eucaristicamente e <strong>di</strong> tutti i partecipanti al sacro<br />

37


ito, secondo la consegna che Cristo ti aveva dato dall’alto<br />

della croce. Nel tuo ruolo <strong>di</strong> madre della Chiesa nascente<br />

chie<strong>di</strong> a Gesù quanto <strong>di</strong> bene serve ai tuoi nuovi fi gli, così<br />

come facesti a cana in favore dei giovani sposi. Ma, nello<br />

stesso tempo raccoman<strong>di</strong> ai credenti <strong>di</strong> “fare quello che<br />

Gesù <strong>di</strong>ce”, cioè <strong>di</strong> essere “un cuore solo ed un’anima<br />

sola” perché il mondo creda nella missione <strong>di</strong>vina del<br />

Servo <strong>di</strong> Jawè.<br />

Tu sei veramente una persona eucaristica, perché<br />

hai vissuto ed irra<strong>di</strong> il più dell’amore come apostola e<br />

luminosa testimone. Amen”<br />

38<br />

+ Lucio M. Renna<br />

Auguri <strong>di</strong> una felice e santa<br />

Pasqua 2009<br />

a ciascuno <strong>di</strong> voi, alle vostre famiglie,<br />

alle vostre comunità parrocchiali.<br />

La gloria del Risorto illumini la vostra vita<br />

e il sorriso <strong>di</strong> Maria inon<strong>di</strong> i vostri cuori!<br />

Giovedì <strong>San</strong>to 2009<br />

Cattedrale - <strong>San</strong> <strong>Severo</strong> (FG)


INDICE<br />

1. Carissimi<br />

2. Essere persone eucaristiche.<br />

3. Vivere il “più” dell’amore.<br />

4. <strong>San</strong> Paolo, l’apostolo dell’amore.<br />

5. Maria, “fl auto silenzioso” <strong>di</strong> Dio.<br />

6. Conclusione<br />

pag. 4<br />

pag. 7<br />

pag. 15<br />

pag. 22<br />

pag. 34<br />

pag. 36

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