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la deposizione di guido reni - PARROCCHIA CORPUS DOMINI

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La Deposizione <strong>di</strong> Cristo nel<strong>la</strong> Cappel<strong>la</strong> del S. Suffragio<br />

La Basilica del Corpus Domini contiene alcune belle opere d’arte, e una spicca in<br />

modo partico<strong>la</strong>re: una Deposizione del Seicento - attribuita a Guido Reni- che è<br />

possibile ammirare all’interno del<strong>la</strong> Cappel<strong>la</strong> del Santo Suffragio nel<strong>la</strong> Basilica<br />

Superiore.<br />

La Cappel<strong>la</strong>, una vera e propria “chiesa nel<strong>la</strong> chiesa”, occupa il <strong>la</strong>to destro del<br />

transetto, per intenderci è sita sul fianco opposto al<strong>la</strong> Sacrestia. E’ uno spazio ampio,<br />

<strong>di</strong>viso in tre navate da imponenti pi<strong>la</strong>stri ed è decorata con fregi, capitelli e figure <strong>di</strong><br />

Santi del pittore romano Eugenio Cisterna (1862-1933), l’artista che eseguì <strong>la</strong><br />

maggior parte degli affreschi del Corpus Domini.<br />

Il posto d’onore all’interno del<strong>la</strong> Cappel<strong>la</strong> del Suffragio è riservato al<strong>la</strong> pa<strong>la</strong> con <strong>la</strong><br />

Deposizione, che sovrasta un altare <strong>di</strong> marmi colorati. L’olio su te<strong>la</strong> (<strong>di</strong> gran<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mensioni, cm 212x160) è <strong>di</strong> notevole qualità; pervenuto in dono al<strong>la</strong> Basilica fu<br />

messo subito in sostituzione <strong>di</strong> una pa<strong>la</strong> esposta precedentemente, raffigurante <strong>la</strong><br />

Madonna del Suffragio implorata dalle anime dei defunti.<br />

Deposizione o Pietà? La nostra Pa<strong>la</strong> comunemente è detta Pietà, altre volte<br />

Deposizione, come negli inventari del<strong>la</strong> Curia e del<strong>la</strong> Soprintendenza ai Beni<br />

Artistici, e forse è più corretto adottare <strong>la</strong> seconda <strong>di</strong>citura.<br />

Il tema iconografico del<strong>la</strong> Pietà risale al<strong>la</strong> cultura alto- me<strong>di</strong>evale e rappresenta una<br />

delle fasi del<strong>la</strong> Passione <strong>di</strong> Cristo: il momento in cui <strong>la</strong> Madonna ebbe tra le braccia<br />

il corpo del Figlio appena tolto dal<strong>la</strong> croce. Il tema essenziale <strong>di</strong> questa sacra<br />

rappresentazione verte sul<strong>la</strong> natura intima e me<strong>di</strong>tativa del dolore materno al cospetto<br />

del<strong>la</strong> morte del figlio.<br />

Iconograficamente vicini alle Pietà sono i cosiddetti Compianti sul Cristo morto e le<br />

Deposizioni che includono anche le figure <strong>di</strong> Santa Maria Maddalena, <strong>di</strong> San<br />

Giovanni Evangelista, dei Santi e dei personaggi che eventualmente i committenti<br />

in<strong>di</strong>cavano agli esecutori.<br />

Nelle Pietà in sostanza si rappresentano solo Maria con Gesù morto tra le sue<br />

braccia; mentre in questo caso l’artista ha aggiunto alle due figure principali una<br />

terza, avvicinandosi a una Deposizione. E al posto <strong>di</strong> Maria Maddalena come voleva<br />

<strong>la</strong> tra<strong>di</strong>zione, ha raffigurato Santa Teresa d’Avi<strong>la</strong>, chiaramente riconoscibile sia per <strong>la</strong><br />

veste carmelitana bianca e nera, sia per i lineamenti del viso, quali <strong>la</strong> tra<strong>di</strong>zione e i<br />

ritratti ce li hanno tramandati.


Lineamenti c<strong>la</strong>ssici, rego<strong>la</strong>ri, su un volto pieno e finemente model<strong>la</strong>to. La Santa,<br />

inginocchiata, è colta nell’atto <strong>di</strong> baciare <strong>la</strong> mano sinistra del Redentore il cui corpo<br />

giace appoggiato alle gambe <strong>di</strong> Maria.<br />

Colpiscono <strong>la</strong> straor<strong>di</strong>naria essenzialità <strong>di</strong> linee e <strong>la</strong> sicurezza compositiva, il moto<br />

ascensionale che l’artista ha saputo imprimere alle tre figure, raccolte all’interno <strong>di</strong><br />

una ideale forma <strong>di</strong> piramide, moto culminante nel volto <strong>di</strong> Maria. E’ magistrale<br />

anche l’uso delle luci e delle ombre, che contribuiscono a comunicare il sentimento<br />

del dolore con scarna efficacia. Non c’è alcun ricorso a espressioni enfatiche o a gesti<br />

dec<strong>la</strong>matori, e per questo il messaggio dell’opera è tanto più cre<strong>di</strong>bile.<br />

Un partico<strong>la</strong>re poetico: l’artista ha impresso al<strong>la</strong> Madre e al Figlio una forte<br />

rassomiglianza <strong>di</strong> viso e <strong>di</strong> espressione, quasi a sottolineare l’umanità <strong>di</strong> Cristo, e <strong>la</strong><br />

continuità del<strong>la</strong> Passione <strong>di</strong> Lui nel cuore <strong>di</strong> Lei.<br />

Tutte e tre le figure hanno inoltre gli occhi socchiusi: il dolore e <strong>la</strong> sofferenza sono<br />

rappresentati come un fatto intensamente privato, che si consuma nell’intimo dei<br />

protagonisti.<br />

La sicurezza compositiva, l’uso magistrale delle luci che dà pathos e profon<strong>di</strong>tà alle<br />

figure, l’alto sentimento <strong>di</strong> comprensione del dramma da parte dell’artista hanno<br />

permesso l’attribuzione dell’opera a un grande maestro del Seicento,Guido Reni -o<br />

perlomeno al<strong>la</strong> sua scuo<strong>la</strong>- da parte del<strong>la</strong> Sovrintendenza ai Beni Artistici e Storici.<br />

Simonetta Angrisani Vitali<br />

BOX<br />

Guido Reni (Bologna 1575-1642)<br />

Ovvero <strong>la</strong> ventura (o sventura) <strong>di</strong> nascere e <strong>la</strong>vorare nello stesso periodo del<br />

Caravaggio. Ed ecco che un grande maestro del<strong>la</strong> pittura del Seicento, che <strong>di</strong> per sé<br />

meriterebbe i titoli <strong>di</strong> testa, si ritrova seminascosto all’ombra del titano Miche<strong>la</strong>ngelo<br />

Merisi (1571-1610). Quante persone conoscono, almeno <strong>di</strong> fama, Caravaggio o<br />

qualcuno dei suoi capo<strong>la</strong>vori? Quasi tutte! Quante Guido Reni? Un bel po’ <strong>di</strong> meno.<br />

Eppure l’artista bolognese che sopravvisse a Caravaggio <strong>di</strong> trent’anni e più, fu<br />

apprezzatissimo dai contemporanei e dal<strong>la</strong> committenza più prestigiosa, che lo<br />

ammirava per aver saputo me<strong>di</strong>are tra <strong>la</strong> tra<strong>di</strong>zione raffaellesca e le esigenze <strong>di</strong> verità<br />

poste da Caravaggio. Sterminata l’opera pittorica <strong>di</strong> Guido Reni, celeberrimi alcuni<br />

capo<strong>la</strong>vori: il Davide con <strong>la</strong> testa <strong>di</strong> Golia del Louvre del 1605, l’Aurora <strong>di</strong> Pa<strong>la</strong>zzo


Rospigliosi a Roma del 1614, l’ Ata<strong>la</strong>nta e Ippomene del 1625 (Napoli, Museo <strong>di</strong><br />

Capo<strong>di</strong>monte), il San Michele Arcangelo del<strong>la</strong> chiesa romana <strong>di</strong> Santa Maria del<strong>la</strong><br />

Concezione del 1635, per citarne solo alcuni.<br />

S.A.V.

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