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suoi. Negli altrui panni, <strong>Tristan</strong>o svelto<br />
s’incammina, allegro ora è il suo passo. Porta con<br />
sé delle forbici che gli erano care, erano un dono di<br />
Isotta. Con esse si tonsura al centro la testa e poi<br />
si rasa i capelli a croce: ha proprio l’aspetto di un<br />
matto, di un pazzo dissennato.<br />
<strong>Tristan</strong>o camuffa la sua voce e si tinge la<br />
pelle del viso con un’erba che aveva portato con sé<br />
dalla Bretagna; dopo essersi ben sfregato con il<br />
succo dell’erba il suo colorito cambia diventando più<br />
scuro. Nessuno al mondo avrebbe potuto riconoscerlo<br />
o sospettare che era <strong>Tristan</strong>o, neppure<br />
esaminandolo da vicino o ascoltandolo<br />
attentamente. Strappa poi un paletto da uno<br />
steccato e se l’appende al collo. Si mette in<br />
marcia di buona lena verso il castello del re. Tutti<br />
quelli che incontra si spaventano. Appena lo<br />
scorge, il guardiano al portone riconosce in lui uno<br />
scervellato e gli dice: “avvicinatevi. Dove avete<br />
vissuto negli ultimi tempi?”. <strong>Tristan</strong>o così<br />
risponde: “Sono stato alle nozze dell’abate di Mont,