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[ma, è anche vera, aggiungo io, perché tornare alla corte<br />
dalla quale è stato proscritto è follia] <strong>Tristan</strong>o è attento a<br />
rispettare tutta la fenomenologia che le è propria”. Si<br />
dipinge il volto come in una rappresentazione carnevalesca,<br />
indossa abiti vili, impugna una mazza che lo avvicina<br />
all’uomo selvaggio e, una volta giunto a destinazione,<br />
proclama, da villico quale appare, il suo amore per la regina.<br />
Diversamente da altri pazzi della letteratura coeva, che<br />
proclamavano la verità in forma oscura e profetica –accade,<br />
per esempio, a Merlino- il parlare di <strong>Tristan</strong>o non è mai<br />
oscuro: egli, piuttosto, dice il vero in forma eccessivamente e<br />
inverosimilmente chiara. L’avvicinamento drammatico a<br />
Isotta da parte di <strong>Tristan</strong>o, che riassume la loro storia<br />
d’amore in un crescendo che piace immaginare declamato,<br />
presume, per la piena comprensione e partecipazione<br />
dell’uditorio, la conoscenza della vicenda. Il folle <strong>Tristan</strong>o<br />
dicendo la verità proclama una follia. Il buffone aveva la<br />
licenza della parodia; <strong>Tristan</strong>o, però, non è un buffone,<br />
bensì, appunto, la sua parodia. <strong>Tristan</strong>o recita un metatesto<br />
che l’ascoltatore comprende e la cui forza drammatica<br />
consiste proprio nel riflettere un racconto dentro se stesso