Folie Tristan - Paolo Galloni

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13.06.2013 Views

parte accostata anche a quella dei monaci: essa, dunque, denuncia un’esclusione, ma svela anche una possibile complicità virtuosa. La mazza associa l’eroe del poema all’uomo selvaggio, colui che vive al di fuori della comunità organizzata, irrimediabilmente lontano dalla società e dalla cultura; soprattutto, la mazza è simbolicamente il contrario della spada del cavaliere: nella corte feudale il folle con la mazza è un intruso culturale. In altre versioni, Tristano, folle d’amore, mangia la carne cruda delle bestie selvatiche oppure formaggio. La carne cruda è immediatamente percepibile come segno di regressione allo stato animale, mentre l’inclusione del formaggio tra i codici culinari della pazzia rimanda alla teoria degli umori: freddo e secco, il formaggio è cibo malinconico, quindi associato agli sbalzi d’umore, al precipitare dall’euforia alla disperazione tipico degli innamorati privati dell’oggetto d’amore. Ancora, tipico della rappresentazione medievale della follia è un comportamento caratterizzato da improvvisi scatti violenti, come quello di Tristano quando, ammesso alla sala del banchetto, aggredisce e scaccia i presenti. Ha scritto Cesare Segre: “proprio perché la follia è finta

[ma, è anche vera, aggiungo io, perché tornare alla corte dalla quale è stato proscritto è follia] Tristano è attento a rispettare tutta la fenomenologia che le è propria”. Si dipinge il volto come in una rappresentazione carnevalesca, indossa abiti vili, impugna una mazza che lo avvicina all’uomo selvaggio e, una volta giunto a destinazione, proclama, da villico quale appare, il suo amore per la regina. Diversamente da altri pazzi della letteratura coeva, che proclamavano la verità in forma oscura e profetica –accade, per esempio, a Merlino- il parlare di Tristano non è mai oscuro: egli, piuttosto, dice il vero in forma eccessivamente e inverosimilmente chiara. L’avvicinamento drammatico a Isotta da parte di Tristano, che riassume la loro storia d’amore in un crescendo che piace immaginare declamato, presume, per la piena comprensione e partecipazione dell’uditorio, la conoscenza della vicenda. Il folle Tristano dicendo la verità proclama una follia. Il buffone aveva la licenza della parodia; Tristano, però, non è un buffone, bensì, appunto, la sua parodia. Tristano recita un metatesto che l’ascoltatore comprende e la cui forza drammatica consiste proprio nel riflettere un racconto dentro se stesso

parte accostata anche a quella dei monaci: essa, dunque,<br />

denuncia un’esclusione, ma svela anche una possibile<br />

complicità virtuosa. La mazza associa l’eroe del poema<br />

all’uomo selvaggio, colui che vive al di fuori della comunità<br />

organizzata, irrimediabilmente lontano dalla società e dalla<br />

cultura; soprattutto, la mazza è simbolicamente il contrario<br />

della spada del cavaliere: nella corte feudale il folle con la<br />

mazza è un intruso culturale. In altre versioni, <strong>Tristan</strong>o, folle<br />

d’amore, mangia la carne cruda delle bestie selvatiche<br />

oppure formaggio. La carne cruda è immediatamente<br />

percepibile come segno di regressione allo stato animale,<br />

mentre l’inclusione del formaggio tra i codici culinari della<br />

pazzia rimanda alla teoria degli umori: freddo e secco, il<br />

formaggio è cibo malinconico, quindi associato agli sbalzi<br />

d’umore, al precipitare dall’euforia alla disperazione tipico<br />

degli innamorati privati dell’oggetto d’amore. Ancora,<br />

tipico della rappresentazione medievale della follia è un<br />

comportamento caratterizzato da improvvisi scatti violenti,<br />

come quello di <strong>Tristan</strong>o quando, ammesso alla sala del<br />

banchetto, aggredisce e scaccia i presenti.<br />

Ha scritto Cesare Segre: “proprio perché la follia è finta

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