Ai miei genitori e A mio fratello Fabio.

Ai miei genitori e
A mio fratello Fabio.

INDICE
Introduzione ............................................................................................................ 1
1. Concetti di base: tempo e aspetto .............................................................................. 7
1.1. Definizioni di tempo e aspetto: sguardo agli ultimi cinquant’anni ............................. 7
1.2. Il concetto di tempo e la proposta di Klein ............................................................... 10
1.3. Classificazione dei verbi in base al loro valore temporale intrinseco: la Aktionsart . 15
1.3.1. Verbi a 0 stati ............................................................................................................ 16
1.3.2. Verbi a 1 stato ........................................................................................................... 17
1.3.3. Verbi a 2 stati ............................................................................................................ 18
1.4. Espressione flessiva di temporalità: il tempo ............................................................ 21
1.5. Espressione flessiva di temporalità: l’aspetto ........................................................... 22
1.5.1. L’aspetto nei verbi a 0 stati ....................................................................................... 22
1.5.2. L’aspetto nei verbi a 1 stato ...................................................................................... 23
1.5.3. L’aspetto nei verbi a 2 stati ....................................................................................... 25
1.6. Espressione lessicale di temporalità: gli avverbi di tempo ........................................ 28
1.7. Definizione del termine “contrasto” .......................................................................... 30
1.7.1. Contrastiveness e aboutness...................................................................................... 31
1.7.2. TT shift, aggiunta di TT e contrasto di TT ................................................................ 32
2. Italiano e tedesco a confronto.................................................................................. 35
2.1. Il tempo in italiano e tedesco..................................................................................... 38
2.2. L’aspetto in italiano e tedesco ................................................................................... 39
2.2.1. Il tedesco ................................................................................................................... 39
2.2.2. L’italiano ................................................................................................................... 46

2.3. Le perifrasi verbali .................................................................................................... 50
2.4. Tedesco e italiano: gli avverbi temporali .................................................................. 54
3. L’apprendimento dell’italiano L2 ........................................................................... 61
3.1. Sviluppo del sistema verbale in L1 e L2 ................................................................... 61
3.2. Italiano L2 ................................................................................................................. 63
3.2.1. Sviluppo di un sistema di forme in italiano L2 ......................................................... 63
3.2.2. Sviluppo di un sistema di funzioni in italiano L2 ..................................................... 64
3.2.3. Sviluppo della morfologia flessiva in italiano L2 ..................................................... 65
4. La ricerca ................................................................................................................. 69
4.1. I parlanti tedeschi ...................................................................................................... 70
4.2. I parlanti italiani ........................................................................................................ 72
4.3. The Finite Story: lo stimolo per la raccolta dei dati .................................................. 74
4.4. Il modello della Quaestio .......................................................................................... 75
5. Analisi dei dati ........................................................................................................ 79
5.1. Aggiunta di TT .......................................................................................................... 79
5.1.1. Tipologia 1: la continuazione .................................................................................... 80
5.1.2. Tipologia 2: la ripetizione ......................................................................................... 85
5.1.3. Tipologia 3: la restituzione ........................................................................................ 88
5.2. Il contrasto di TT ....................................................................................................... 90
6. Discussione dei dati ................................................................................................. 97
6.1. La marcatura dell’aggiunta di TT .............................................................................. 98
6.2. La marcatura del contrasto di TT ............................................................................ 104
7. Conclusioni............................................................................................................ 109

Ringraziamenti .................................................................................................... 115
Appendice 1 ........................................................................................................ 117
Appendice 2 ........................................................................................................ 121
Appendice 3 ........................................................................................................ 122
Bibliografia ......................................................................................................... 125
Sitografia ............................................................................................................. 132

INTRODUZIONE
Con il presente lavoro sperimentale abbiamo perseguito l’obiettivo di indagare la
realizzazione di alcune espressioni temporali da parte di apprendenti germanofoni di
italiano lingua seconda (L2). Di base è bene chiarire che, date le dimensioni di questo
lavoro, non abbiamo esteso le nostre analisi ad ogni forma dell’espressione temporale.
Partendo dall’opera di Wolfgang Klein “Time in language” (1994) abbiamo innanzitutto
ripercorso alcuni passi della dialettica sulla definizione di tempo e aspetto verbali. Non
abbiamo ripreso tutto il dibattito in ottica storica, dal momento che l’idea fondamentale
che ci ha fornito la base per le analisi è degli anni sessanta e viene introdotta da
Reichenbach. Si tratta di definire una nuova categoria temporale per meglio strutturare e
spiegare la costituzione e il rapporto interno fra tempo e aspetto: Reichenbach parla di
point of reference, ossia di un momento che si colloca fra il momento in cui si parla e il
momento in cui l’azione di cui si parla è avvenuta, sta avvenendo o avverrà. Klein ha
ripreso questa idea definendola più nel dettaglio e suddividendo quindi il generico
“tempo” in time of utterance, il momento dell’enunciazione, time of situation, il
momento di ancoraggio di una situazione all’asse temporale, e topic time, ossia il tempo
per il quale l’asserzione espressa è valida. Dai rapporti fra questi tre “tempi” nascono il
tempo linguistico (presente, passato, futuro) e l’aspetto linguistico (che tradizionalmente
veniva definito “perfettivo” e “imperfettivo” e che nel modello di Klein si definisce
invece come parziale o totale inclusione del tempo della situazione nel tempo topicale).
Aggiungendo una distinzione in base all’azionalità dei verbi, seguendo l’esempio di
Vendler ma introducendo nuove categorie, Klein arriva a strutturare in modo nuovo, e
più generalmente applicabile ad ogni lingua, le categorie classiche di tempo, aspetto e
Aktionsart.
Abbiamo voluto restringere la nostra attenzione ad un fenomeno particolare,
ovvero la marcatura dei contrasti di topic time, in due lingue: l’italiano e il tedesco. Per
questo motivo abbiamo sviluppato un lavoro sperimentale: grazie alla raccolta di dati,
abbiamo potuto elicitare nel modo migliore le occorrenze in cui il fenomeno che
volevamo indagare si verificava. Utilizzando una storia a scene come stimolo, la “Finite
1

Story”, abbiamo intervistato sedici parlanti, otto italiani e otto tedeschi, ai quali
abbiamo fatto raccontare la storia sia nella propria lingua madre, sia nella rispettiva
lingua seconda (italiano per i tedeschi e tedesco per gli italiani). Il livello
dell’interlingua è per entrambi i gruppi medio-avanzato. Così facendo abbiamo
usufruito di ben trentadue racconti originati dallo stesso tipo di stimolo e quindi
estremamente confrontabili fra di loro.
2
Per analizzare i racconti più nel dettaglio, ci siamo basati sul modello della
Quaestio di Klein e von Stutterheim (1987) e anche sulla descrizione dei principi alla
base della struttura dell’informazione di Dimroth (2002). Questi modelli ci hanno
fornito gli strumenti cognitivi per comprendere meglio le scelte linguistiche dei parlanti
per quanto riguarda la struttura dell’informazione nei loro racconti, e così facendo
hanno agevolato la ricerca del fenomeno linguistico oggetto della nostra analisi. Infatti,
la nostra attenzione si è concentrata sulla marcatura del topic time contrast, che, come
vedremo, è suddivisibile in due sottogruppi: il contrasto o l’aggiunta di topic time. Per
spiegare il contrasto di cui ci siamo occupati, dobbiamo collegarci al concetto di
relazione anaforica che collega situazioni che mutano o non mutano in tempi diversi.
Partendo dall’assunto naturale che le azioni si svolgano nel tempo seguendo l’asse
cronologico e siano quindi collegate secondo un “prima-dopo”, noi abbiamo posto
l’attenzione sui rapporti che s’instaurano fra situazioni che si susseguono. In particolare,
abbiamo considerato i casi di mutamento o di mantenimento delle azioni, che abbiamo
identificato come polarità dei predicati: quando i predicati venivano mantenuti e quindi
rendevano l’asserzione valida per un nuovo tempo topicale, abbiamo parlato di aggiunta
di topic time, quando essi invece mutavano, abbiamo parlato di contrasto di topic time.
Il richiamo anaforico è uno dei concetti di base sui quali è stata costruita la “Finite
Story”: una serie di 31 scene che si susseguono, nelle quali i tre personaggi principali
compiono o non compiono determinate attività. Il richiamo anaforico fra una scena e
l’altra è molto forte e lo diventa ancora di più grazie al fatto che le entità topicali sono
principalmente tre (i tre personaggi) e che i predicati descrivono le stesse azioni, che
spesso cambiano la loro polarità da una scena all’altra (per esempio: non saltare vs.
saltare).

La nostra analisi ha tenuto in considerazione i rapporti che si sono creati nelle
varie scene fra le entità e gli intervalli temporali (per i quali le asserzioni sono valide)
rispetto alla polarità delle azioni compiute. Riportiamo qui un breve esempio: la “Finite
Story” presenta una vicenda accaduta una notte nella casa dei tre personaggi principali,
chiamati signor Blu, signor Verdi e signor Rossi. I tre signori vanno a dormire, ma
improvvisamente scoppia un incendio sul tetto della loro casa. Solo il signor Blu se ne
accorge e si sveglia, mentre gli altri due continuano a dormire. La nostra analisi ha
considerato la continuazione dell’azione del dormire come un’aggiunta di intervallo
temporale, perché l’asserzione “X dorme” espressa riguardo alle entità signor Verdi e
signor Rossi è valida sia nel primo intervallo temporale in cui viene espressa, si in
quello successivo. Si aggiunge un intervallo temporale ad un altro per i quali
l’asserzione rispetto alle entità sig. Vergi e sig. Rossi è sempre valida. Al contrario,
riguardo al signor Blu che in un certo lasso temporale dorme mentre in quello
successivo non dorme più, abbiamo evidenziato un contrasto di tempo topicale, perché
l’asserzione “X dorme” non è più valida per il nuovo intervallo temporale in riferimento
alla stessa entità per la quale precedentemente valeva, ossia il sig. Blu. Quindi, quando
un’azione veniva continuata o ripetuta da una stessa entità, oppure quando l’entità
ristabiliva una situazione precedente, abbiamo parlato di aggiunta di tempo topicale,
mentre invece se un’azione cambiava di polarità rispetto ad una stessa entità in un
nuovo tempo topicale, abbiamo parlato di contrasto di tempo topicale. In particolare
abbiamo analizzato i casi in cui tali aggiunte e contrasti venivano marcati, tenendo
comunque in considerazione anche i casi in cui rimanevano non marcati.
Una volta inquadrato il meccanismo del richiamo metaforico del “mantenimento-
mutamento” su cui si basa la “Finite Story”, abbiamo cercato i mezzi attraverso i quali
tale richiamo veniva realizzato. Un aiuto considerevole ci è venuto dall’identificazione
degli avverbi temporali nelle due lingue. Basandoci sull’opera di Klein, abbiamo
identificato, fra le varie classi di avverbi temporali, gli avverbi di contrasto, che hanno
facilitato il riconoscimento della marcatura del contrasto di tempo topicale nei nostri
dati. Tali avverbi sono presenti in entrambe le lingue, e sia in italiano che in tedesco si
pongono in un rapporto di complementarietà con alcuni avverbi temporali di posizione
(vedremo per esempio il caso di “alla fine” e “finalmente”).
3

4
Oltre agli avverbi temporali, abbiamo soffermato la nostra attenzione sulle
costruzioni e sui predicati che indicano semanticamente un’aggiunta di tempo topicale,
ovvero sulle perifrasi verbali. Se con gli avverbi temporali è stato possibile trovare un
parallelismo fra italiano e tedesco, nell’ambito delle perifrasi abbiamo notato come in
italiano vi sono strutture grammaticalizzate come “continuare a” e molto utilizzate dai
parlanti italiani, mentre in tedesco tali strutture non sono grammaticalizzate, ma al
massimo classificate in modo spesso disomogeneo, seguendo principi differenti e,
infatti, esse sono meno utilizzate dai parlanti tedeschi di italiano. In entrambe le lingue,
comunque, questi costrutti sono sensibili a caratteristiche di Aktionsart, più che di
aspetto. Ciò significa che, se è vero che pongono l’attenzione su un momento
particolare di un processo (per esempio sulla fase iniziale o su quella finale), questo
dipende indissolubilmente dal contenuto semantico del predicato al quale si applicano.
In questo senso è stato utile unire le classi azionali di Vendler alla divisione dei
predicati secondo i loro stati proposta da Klein.
L’analisi dei dati è stata svolta a due livelli. In primo luogo abbiamo descritto
quantitativamente i dati raccolti, ossia: grazie a delle tabelle abbiamo presentato la
frequenza di utilizzo dei mezzi linguistici scelti dai nostri parlanti, apportando esempi
per ogni caso e istituendo rapporti fra i casi di marcatura e quelli di non marcatura dei
fenomeni relativi al tempo topicale. In secondo luogo, abbiamo posto attenzione ai
motivi che hanno portato i nostri parlanti a compiere le loro scelte. Abbiamo
considerato anche i dati nelle rispettive L1 dei parlanti per disporre di un quadro
comparativo più ampio. Il punto centrale dell’analisi riguarda l’italiano L2 e per rendere
i dati più intelligibili abbiamo fatto riferimento ai dati delle L1 seguendo una
prospettiva acquisizionale.
Il lavoro è suddiviso in due parti. La prima parte introduce il quadro teorico che ci
ha fornito la base su cui sviluppare le nostre analisi. Il primo capitolo presenta
brevemente lo stato della ricerca rispetto alla definizione di tempo e aspetto degli ultimi
cinquant’anni e contiene una descrizione dettagliata della proposta di Klein, che
richiama l’idea reichenbachiana degli anni sessanta. All’interno del capitolo si sviluppa
anche un confronto fra l’italiano e il tedesco che caratterizza in generale tutto il lavoro,
ma che trova maggiore spazio nel capitolo 2, in cui le due lingue vengono presentate in

modo comparativo rispetto a tempo, aspetto e avverbi temporali. Il capitolo 3 presenta
l’approfondimento relativo agli aspetti acquisizionali dell’italiano lingua seconda da
parte di germanofoni. Questo capitolo chiude la prima parte del lavoro. Nella seconda
parte vengono presentati i dati e i risultati della ricerca di campo. Il capitolo 4 contiene
la descrizione della ricerca: i parlanti, lo stimolo, la metodologia per la raccolta dei dati
e il modello teorico per l’interpretazione dei racconti. Nel quinto capitolo viene offerta
la descrizione quantitativa dei dati che vengono poi spiegati e discussi dettagliatamente
nel capitolo 6. Il capitolo 7 chiude il lavoro riassumendo i punti focali di tutta la ricerca
e dei risultati a cui essa ha condotto.
5

1. CONCETTI DI BASE: TEMPO E ASPETTO
L’obiettivo del presente lavoro è un’analisi interlinguistica fra italiano e tedesco
focalizzata sulla marcatura del contrasto e dell’aggiunta di tempo topicale e attraverso
gli avverbi temporali. Il primo passo che è stato compiuto ha riguardato quindi la ricerca
di materiale bibliografico circa l’analisi e la definizione delle categorie concettuali e
grammaticali di tempo e aspetto per le due lingue scelte.
1.1. Definizioni di tempo e aspetto: sguardo agli ultimi cinquant’anni
Il problema della definizione di tempo e aspetto verbali è noto ed esiste da tempo
immemorabile. La letteratura in materia ha affrontato la questione da molti punti di vista
che spesso erano in contrasto fra loro. Per questo lavoro, abbiamo scelto di non
ripercorrere tempi troppo lontani perché la proposta che presenteremo nel seguito, ossia
quella di Wolfgang Klein, si ricollega principalmente all’idea avanzata da Reichenbach
negli anni sessanta. Per questo motivo abbiamo deciso di presentare solo gli studi più
recenti in materia di definizione dei concetti di tempo e aspetto verbali per poter
caratterizzare meglio il contesto nel quale si inserisce l’analisi di Klein.
Iniziamo dalla metà degli anni sessanta, con l’analisi di Weinrich. In “Tempus.
Besprochene und erzählte Welt” (1964) Weinrich tratta le nozioni di tempo nel mondo
reale e di tempo linguistico. In questo caso la lingua tedesca aiuta, fornendo due termini
differenti: Zeit per il tempo misurabile del mondo reale, Tempus per la sua realizzazione
negli enunciati attraverso i mezzi linguistici. Weinrich propone già un approccio critico
nei confronti del termine “aspetto”, che definisce unglücklich, cioè sfortunato, perché
difficile da definire chiaramente e spesso troppo sovrapposto ai concetti di tempo
(linguistico) e Aktionsart 1 . Di due anni più tardi è la riflessione in filosofia del
linguaggio di Reichenbach. Nel suo “Elements of simbolic logic” (1966) egli introduce
un concetto basilare per l’interpretazione nuova del tempo linguistico: il concetto di
point of reference. Infatti Reichenbach nota già che in un enunciato come:
1
La Aktionsart definisce la struttura temporale interna del significato del verbo. È una categoria
lessico-semantica ancorata al significato del verbo. (Vendler, 1967).
7

8
(1) Peter had gone 2 .
Peter era andato.
si hanno almeno tre punti di ancoraggio temporale: il point of event E, ossia il
lasso di tempo cronologico nel quale Peter è effettivamente andato via, il point of
speech S, ovvero il momento dell’enunciazione ed infine il point of reference R, che
l’autore colloca fra gli altri due. Più avanti riprenderemo questa riflessione per
descrivere l’idea di Wolfgang Klein, che la ripropone migliorandola.
Slittando sull’asse temporale troviamo negli anni ottanta due approcci al concetto
di tempo: quello filosofico di Fraser (1987) e quello più strutturalista di Krifka (1989).
Nel primo si ha un approccio ampio al concetto di temporalità, con riflessioni sulla
presenza del tempo nel mondo reale, nella vita dei singoli e anche nell’utilizzo della
lingua per parlare del mondo e del suo tempo. Krifka invece propone una possibile
categorizzazione su base semantica della Zeitkonstitution, ossia del tempo in rapporto ad
aspetto e Aktionsart. Nel capitolo in cui tratta specificamente questo tema, Krifka
propone anche una raccolta delle teorie sul concetto di tempo degli anni settanta e
ottanta. La trattazione di questo argomento ha permesso di sollevare, dopo ogni nuova
definizione, un nuovo problema oppure di evidenziare un aspetto del tema che
richiedeva un’analisi più approfondita.
Le opere che abbiamo consultato hanno messo in luce la mancanza di un sistema
unificato attraverso il quale poter condurre un confronto interlinguistico analizzando il
tempo e l’aspetto verbali. Per questo motivo abbiamo scelto, all’interno di una lunga
catena di trattazioni e di analisi linguistiche di cui abbiamo accennato sopra solo le più
recenti, l’approccio proposto da Klein nel 1994 nel volume “Time in language”, il quale
riprende e perfeziona l’idea di tempo tripartito introdotta negli anni sessanta da
Reichenbach. Di seguito vogliamo dimostrare, citando i volumi che abbiamo consultato,
l’utilità e i vantaggi della proposta di Klein per un’analisi interlinguistica che si pone
come obiettivo quello di un confronto nella realizzazione linguistica di tempo e aspetto
senza trascurare la base storico-culturale collegata allo sviluppo di tali concetti. Il nostro
punto di partenza è l’aspetto verbale che, come dimostreremo nei prossimi capitoli, è il
2 Reichenbach, 1966:288.

nocciolo duro del confronto interlinguistico che intendiamo sviluppare. Nella maggior
parte della bibliografia che abbiamo consultato, il concetto di aspetto verbale viene
codificato nel modo proposto da Comrie nel 1976 3 . Nella sua definizione di aspetto,
Comrie scrive:
“aspects are different ways of viewing the internal temporal constituency of
a situation”. 4
Questa definizione è stata ed è tuttora alla base di molta letteratura e di molte
ricerche linguistiche e si basa sull’idea che l’aspetto verbale permetta di guardare a un
evento o processo in due modi. Il primo modo è di guardare il processo “dall’interno”,
descrivendolo con le caratteristiche temporali intrinseche proprie al contenuto lessicale
del verbo stesso e presentandolo come “ancora in atto” o “non ancora completato,
finito”. Questo primo modo indica quello che viene definito aspetto imperfettivo. Il
secondo modo invece, permette di avere uno sguardo esterno sull’evento o processo,
descrivendolo come concluso. Da questo modo di guardare ad un evento o processo
traiamo il termine di aspetto perfettivo 5 . L’approccio di Comrie, ancorché molto seguito
ed applicato, presenta almeno una difficoltà intrinseca, che la proposta di Klein
permetterebbe di superare. Infatti, ciò che noi riteniamo innovativo e utile nella sua
proposta è il fatto di seguire un approccio non grammatico-morfologico alla categoria
dell’aspetto, come quello di Comrie, quanto piuttosto una sua analisi attraverso la
concettualizzazione del verbo, attuata servendosi del suo contenuto lessicale ovvero
della categoria della Aktionsart. Comrie si basa sulla categoria grammaticale
3
Citiamo Comrie in quanto la sua presentazione di questo argomento ci è sembrata la più
strutturata e anche quella di più ampio respiro rispetto ai vincoli di una sola lingua.
4
Comrie, 1976: 3.
5
Smith presenta il concetto di aspetto in un modo molto simile a questo, fondendo però al suo
interno anche il concetto di Aktionsart. Smith descrive, infatti, i due tipi di informazioni veicolate da un
enunciato, ossia il punto di vista (sulla situazione in corso, chiamato dall’autrice viewpoint) e il tipo di
situazione (situation type, ossia la classe azionale caratterizzata o meno da duratività e telicità). Secondo
Smith in un enunciato si codificano la Aktionsart tramite il verbo e i suoi argomenti e il punto di vista
sulla situazione tramite un morfema grammaticale, di solito parte del V o del VP. L’autrice spiega i
diversi rapporti fra punto di vista e Aktionsart tramite gli esempi: 1. Mary walked to school (predicato
telico, azione compiuta, obiettivo raggiunto) vs. 2. Mary was walking to school (predicato telico, azione
in corso, nessuna informazione riguardo all’obiettivo) vs. 3. Mary walked in the park (predicato nontelico,
azione compiuta, nessun obiettivo). (Smith, 1991:5-6).
9

dell’aspetto che è, a ben guardare, la forma grammaticalizzata della categoria nozionale
dell’aspetto, quella cioè su cui si basa Klein 6 .
1.2. Il concetto di tempo e la proposta di Klein
10
Riteniamo importante fare una premessa alla presentazione della proposta di Klein
per l’analisi di tempo, aspetto e azione verbali. Si tratta di una considerazione generale,
riguardante l’atto del proferire un enunciato “di per sé”. Quando un parlante proferisce
un enunciato, egli descrive o racconta la realtà attraverso le sue parole. Non bisogna
dimenticare che situazioni, processi o stati di cose vengono descritti in maniera selettiva
dal parlante: questo significa che un enunciato non contiene la realtà, ma la descrive e
quindi che quest’operazione è soggettiva, strettamente legata al modo di percepire la
realtà di ciascun parlante 7 . Questo concetto si collega all’idea di “conoscenza del
mondo” o “conoscenza enciclopedica” dei parlanti. Il modo in cui un parlante vede e
percepisce la realtà dipende dalla sua cultura, dalla sua istruzione e da altre variabili più
o meno personali. La lingua 8 diventa allora un modo per trasmettere la realtà vista
attraverso i propri occhi e quindi attraverso lenti estremamente personali che forniscono
un’interpretazione diversa della medesima (porzione di) realtà da parte di parlanti
diversi. Per questo motivo apprezziamo nell’idea di Klein il non tenere in
considerazione queste conoscenze enciclopediche per la definizione di categorie
concettuali e relative codifiche linguistiche, anche se ovviamente vi è la consapevolezza
della loro esistenza e anche del fatto che in altre teorie esse vengono poste alla base di
molte definizioni come, per esempio, quella di aspetto verbale. Questo tipo di
generalizzazioni, ancorché corrette rispetto a una certa cultura e porzione di parlanti,
vengono, invece, volutamente non attivate nella proposta di Klein. Per capire meglio
6
Klein: 1994, 100.
7
In un articolo apparso nel primo numero di “Intercultural pragmatics” Mey trattava appunto di
questo argomento: seguendo una prospettiva “esternalista” sul contesto, è esso stesso che suggerisce quali
informazioni codificare e quali lasciare invece in “sottofondo”. Queste ultime vengono definite
dall’autore come “underspecified word meaning” e sono le informazioni non codificate direttamente dal
parlante perché, per esempio, sono inferibili dal contesto o sono visibili per tutti gli interlocutori
coinvolti. (Mey, 2004:27-48).
8
In questo senso la parole di De Saussure, intesa come effettiva produzione linguistica,
contrapposta alla langue intesa come facoltà di linguaggio. (De Saussure, 1979:29-32).

cosa intendiamo dire con questa introduzione, passiamo alla presentazione della
proposta, evidenziando dapprima due importanti novità che vengono da essa introdotte
rispetto alla trattazione del tempo.
Per prima cosa Klein introduce una tripartizione per descrivere il tempo
linguistico, riprendendo l’idea di Reichenbach: ogni qualvolta viene pronunciata
un’espressione si è sicuramente in presenza del momento dell’enunciazione, ossia del
momento in cui un’espressione viene effettivamente realizzata, e del tempo della
situazione, ossia dell’ancoraggio di una situazione all’asse temporale. Da ora in avanti
tali concetti verranno abbreviati con TU (time of utterance) e TSit (time of situation) 9
rispettivamente. Ma il concetto innovativo di Klein è il cosiddetto Topic Time (da qui
TT), il “tempo topicale” o tempo di validità dell’asserzione 10 . Il TT identifica il
momento o il lasso temporale per cui vale l’asserzione 11 . Questa diventa la componente
finita dell’enunciato ed è dalla sua relazione sia con TU che con TSit che possiamo
definire meglio i concetti di tempo e aspetto verbali. Non esistono, quindi, soltanto il
momento dell’enunciazione e un fatto successo oppure uno stato di cose descritto.
Esiste anche un momento, un tempo, per il quale l’asserzione enunciata è valida 12 .
Per chiarire meglio il concetto, pensiamo a un esempio dello stesso Klein: in una
corte di giustizia, il giudice pone una domanda a un testimone relativamente a quanto
egli avesse visto entrando nell’abitazione che costituisce il luogo del fatto per quel caso.
Il testimone risponde:
9
I termini qui utilizzati sono stati introdotti sulla base della traduzione presente in Banfi/Bernini
(Giacalone Ramat 2003: 73:74).
10
Banfi/Bernini in Giacalone Ramat 2003:74.
11
Un’analisi in questi termini rispetto al concetto di tempo topicale era già stata avanzata alla fine
degli anni settanta da Wunderlich in occasione di un congresso tenutosi presso l’Università di Costanza. Il
centro del discorso era stato però il tentativo di trovare una definizione univoca per i concetti di “evento”
e di “istante” al fine di comprendere meglio l’ancoraggio temporale negli enunciati. (Kamp, in Bäuerle et
al. 1979:376-417).
12
In realtà il TT fa parte di una serie di topic informations che Klein identifica nella topic situation
(TS). In un articolo più recente Klein riunisce tutta una costellazione spazio-temporale rispetto alla quale
viene detto qualcosa. La costellazione spazio-temporale costituisce la topic situation. Ossia, l’attenzione
non è più al singolo elemento della costellazione, ma al suo insieme, e quindi a: tempo, spazio, entità,
mondo (reale oppure inventato). Questi sono i quattro aspetti topici fondamentali, ai quali è poi possibile
aggiungere altre informazioni (per esempio: si tratta di una “situazione-esempio” oppure di una
continuazione di un’altra situazione?). Quindi, soltanto in rapporto ad una precisa TS è possibile
affermare che un enunciato è vero o falso. (Klein, 2008:287-289)
11

12
(2) The book was on the table 13 .
Il libro era sul tavolo.
Cosa ci dice con questo enunciato il testimone? Egli ci dice che per il lasso
temporale in cui era nell’abitazione, è vero che il libro “era” sul tavolo. Il testimone
però non dice nulla rispetto al momento precedente o a quelli successivi di questo lasso
temporale. Il fatto che il testimone utilizzi un tempo passato e non un presente, indica
che il tempo topicale precede quello dell’asserzione. Questo significa che l’uso del
tempo passato non si riferisce al TSit, cioè non si intende che il TSit si collochi nel
passato (ovvero che il libro era sul tavolo nel passato e ora non lo è più o non lo sarà in
futuro), ma che il lasso di tempo per il quale il parlante si impegna (il TT) si colloca nel
passato, e per tale TT il libro “era” sul tavolo. È fondamentale allora, introdurre una
distinzione a livello concettuale fra:
• situazione possibile, ossia una situazione astratta che può verificarsi e che
viene rappresentata linguisticamente tramite predicato verbale ed
argomenti,
• situazione effettivamente verificatasi, quindi una situazione (evento, stato
o processo) ancorato all’asse temporale, ed infine
• enunciazione fatta dal parlante, la quale asserisce qualcosa rispetto ad un
certo lasso temporale al quale è ancorata la situazione verificatasi.
La validità dell’asserzione viene messa in relazione con il lasso di tempo topicale
ed è valida solo per quel particolare intervallo di tempo. La situazione possibile ma
astratta viene definita “componente non-finita” dell’enunciato 14 , da qui abbreviata con
INF, mentre la situazione ancorata temporalmente ad un TSit e asserita valida per un
certo TT è la “componente finita” dell’enunciato, da qui abbreviata con FIN.
Citando il primo esempio che lo stesso Klein riporta nel suo volume 15 :
(3) The light was on.
13 Klein, 1994:52.
14 Ricordiamo che questo schema concettuale può essere espresso anche in altri modi, utilizzando
ad esempio la forma sostantivata di un verbo all’infinito, come in: “L’uscire di casa di Filippo”.
15 Klein, 1994:3.

La luce era accesa.
possiamo identificare la parte INF dell’espressione con: the light be on. Invece, la
componente FIN è più difficile da definire in modo univoco. È però possibile
caratterizzarla attraverso le due sottocomponenti che la formano: la forza illocutiva e le
componenti temporale. Ossia, in questo caso si tratta di una frase dichiarativa, quindi da
questo identifichiamo la forza illocutiva dell’enunciato 16 , e FIN contiene un’asserzione
in cui il tempo verbale restringe la validità dell’asserzione stessa a un lasso di tempo
particolare, ossia il TT. Le componenti temporali, invece, sono desumibili dal tempo in
cui il verbo viene espresso, dalla presenza di avverbi temporali, attraverso
l’introduzione di un TT tramite una domanda esplicita a priori oppure grazie al
contenuto lessicale del verbo stesso. Riportiamo due esempi dal volume di Klein:
(4) The book was on the table.
Il libro era sul tavolo.
(5) The book was in russian. 17
Il libro era in russo.
Sebbene entrambi gli enunciati siano al passato, esiste una differenza nei loro
contenuti lessicali: nel primo esempio il contenuto lessicale ha caratteristiche temporali,
mentre nel secondo esse non ci sono. Infatti, se in entrambi gli enunciati viene assegnata
una proprietà al libro, essere o meno sul tavolo ed essere in russo piuttosto che in
un’altra lingua, è solo nell’esempio (4) che la proprietà spaziale assegnata al libro è
valida per il TT di cui si sta parlando, introdotto per esempio tramite una domanda posta
dal giudice durante un processo “What did you see when you entered the room?”. In
entrambi gli enunciati possiamo rilevare la funzione assertiva (forza illocutiva) della
componente FIN (avere la proprietà X), ma rispetto al contenuto lessicale del verbo
“essere” non è possibile parlare di proprietà temporali intrinseche, poiché questo verbo
può riferirsi a proprietà estemporanee o permanenti del suo soggetto. Possiamo allora
affermare che le proprietà temporali di una situazione, qualora non siano intrinseche al
contenuto lessicale del verbo, possono essere espresse dall’enunciato nella sua interezza
grazie a predicato, flessione verbale e avverbi temporali.
16 La forza illocutiva indica l’atto linguistico compiuto da un parlante grazie all’azione di proferire
un enunciato. Esistono varie classi di atti illocutivi: asserire, chiedere, ordinare, promettere, ecc. La
trattazione completa del tema si trova in Searle, 1970.
17 Klein, 1994:52.
13

14
L’operazione di ancoraggio temporale di una situazione del mondo reale, descritta
appunto dal contenuto lessicale di una proposizione, a un lasso temporale per il quale
l’asserzione espressa è valida è attuabile in vari modi: Klein distingue fra mezzi esterni
e interni. Nel primo caso si determina il TT, ma in generale un elemento topicale della
situazione di cui stiamo parlando, innanzitutto attraverso il contesto in cui avviene una
situazione, come in:
(6) [Event on soccer field]: Offside! 18
[Durante una partita di calcio]: Fuori!
In questo caso il TT non è esplicitato, ma s’intende esprimere che il momento
dell’enunciazione e il TT coincidono.
In secondo luogo, possiamo anche sfruttare i criteri di strutturazione di un
discorso, per esempio essendo consci che raccontando degli avvenimenti uno in seguito
all’altro, rispecchiamo anche il loro effettivo ordine cronologico nel mondo reale. Si
veda l’esempio:
(7) We arrived around 10. Mary opened the kitchen door. The light was on. 19
Arrivammo verso le 10. Mary aprì la porta della cucina. La luce era accesa.
In questo esempio il TT viene introdotto nel primo enunciato con around 10 e
viene mantenuto anche nel secondo attraverso il movimento referenziale espresso da
“Mary opened the door”. Per quanto riguarda invece il terzo enunciato, è verosimile
credere che il TSit di the light be on sia più esteso rispetto al TT around 10, tuttavia
l’asserzione “the light was on” è valida per quel TT.
Infine, uno dei metodi più diretti per introdurre un TT o un elemento della topic
situation (TS) è quello di introdurlo direttamente, come in:
(8) What did you notice WHEN YOU ENTERED THE ROOM? 20
Cosa notò QUANDO ENTRÒ NELLA STANZA?
A seguito di questa introduzione teorica, vediamo ora nel dettaglio come possono
relazionarsi fra loro i valori di TT, TU e TSit e quali informazioni essi codificano.
18 Klein, 2009:293.
19 Klein, 2009:293.
20 Klein, 1994:40. Il carattere maiuscolo è della scrivente.

1.3. Classificazione dei verbi in base al loro valore temporale intrinseco: la
Aktionsart 21
Per quanto riguarda il contenuto lessicale di un verbo, è possibile effettuare,
seguendo Klein, una tripartizione in verbi a 0 stati, 1 stato e 2 stati. Per giungere a
questa suddivisione bisogna prima superare alcune difficoltà concettuali che possono
generare confusione. Per prima cosa bisogna definire nel modo più preciso possibile ciò
che s’intende con “contenuto lessicale”. Nella sua proposta, Klein ricorre a due principi
per delineare questo contenuto: la massima della minimizzazione e la massima del
contrasto 22 . La prima richiede di indicare il minimo indispensabile nel contenuto
lessicale, mentre la seconda richiede di aggiungervi altre caratteristiche per evitare che
esso non possa essere distinto da un altro contenuto lessicale. La prima massima è più
forte e più importante della seconda, ma per spiegarle meglio riportiamo un esempio:
(9) To bake a cake. 23
Cuocere una torta.
Se da un lato è chiaro per tutti che cosa si intenda con questa espressione e ci si
possa facilmente rappresentare mentalmente cosa debba fare una persona per compierla
ed ottenere il prodotto “torta”, è meno chiaro se tutte le sottoattività che ci si è
rappresentati mentalmente appartengano al contenuto lessicale o alle conoscenze del
mondo di ciascun parlante. Seguendo la prima massima, possiamo minimizzare il
contenuto lessicale di to bake a cake in: “cake not there vs. cake there”. Le azioni poste
in essere per passare dal primo stato di cose al secondo non rientrano nel contenuto
lessicale del verbo, ma sono piuttosto conoscenze che ciascun parlante possiede. Per
aggiungere ulteriori distinzioni e precisazioni al contenuto lessicale appena individuato,
utilizziamo la seconda massima e diventa allora possibile distinguere il contenuto
lessicale di to bake a cake da quello di to make a cake, espressione in competizione con
21 In realtà Klein non propone un termine particolare per questa categoria di “significato lessicale“
del verbo e per questo motivo abbiamo preferito riprendere il termine tradizionalmente utilizzato in
questo ambito.
22 Traduzione della scrivente. Le espressioni „maxim of minimality“ e „maxim of contrast“ sono di
Klein, 1994:75.
23 Klein, 1994:74.
15

la precedente. Il riferimento all’esistenza o meno di una certa torta non è più sufficiente:
in questo caso bisogna specificare se la torta viene cotta nel forno (to bake) oppure no
(to make).
16
Seguendo le due massime appena descritte possiamo definire il contenuto
lessicale di un verbo, ma per giungere alla tripartizione dei verbi che vogliamo
presentare in questo paragrafo, dobbiamo introdurre il concetto di contrasto di tempo
topicale. Per fare ciò partiamo dall’idea che il contenuto lessicale di un verbo venga
ancorato ad un certo intervallo temporale. La nostra analisi dei contenuti lessicali,
seguendo Klein, si baserà allora su quest’unico principio: il comportamento di un
contenuto lessicale rispetto al suo ancoraggio a un certo lasso temporale 24 .
Immaginando di avere un certo TT e un contenuto lessicale, pensiamo di ancorare il
contenuto lessicale a TT attraverso l’espressione di un enunciato. Ma come possiamo
interpretare la relazione che può crearsi fra il contenuto lessicale e un altro tempo
topicale, diciamo TT1? Esistono tre possibilità: che il contenuto lessicale sia ancorato
anche a TT1, oppure che non lo sia oppure che resti indefinito se vi è ancorato o meno.
Negli ultimi due casi si parla di contrasto di tempo topicale fra TT e TT1 per lo stesso
contenuto lessicale. Il contrasto di TT può verificarsi in modi diversi, può essere cioè
limitato a dei TTx precedenti o seguenti il TT dell’asserzione oppure può non verificarsi
del tutto. Unendo allora la definizione di contenuto lessicale e di contrasto di TT, quindi
analizzando il comportamento del contenuto lessicale di un verbo nei confronti
dell’ancoraggio al TT dell’asserzione, possiamo individuare le tre classi di verbi
presentate all’inizio: verbi a 0 stati, 1 stato e 2 stati.
1.3.1. Verbi a 0 stati
Secondo questa suddivisione, i verbi a 0 stati non presentano alcun tipo di
contrasto di TT. Riportiamo gli esempi:
24
Klein propone anche l’analisi classica che viene fatta dei contenuti lessicali dei verbi, la quale si
basa su cinque caratteristiche temporali caratterizzanti i contenuti lessicali: cambiamento qualitativo,
limiti, durata, quantificazione interna (ripetizioni o sottostati), fase (il contenuto lessicale è confinato solo
all’inizio, alla fine o ad un’altra fase della situazione?). La scelta di Klein di adottare un solo principio di
base rispecchia la sua idea che tali caratteristiche non siano necessarie per la descrizione di tempo e
aspetto all’interno del suo schema. Con ciò non si intende dire che tali caratteristiche non esistano nel
contenuto lessicale, ma piuttosto che selettivamente ne viene scelta una di respiro più ampio e più adatta
per la descrizione che si intende fare di tempo e aspetto. (Klein, 1994:79-81).

(10) The Nile is in Africa.
Il Nilo è in Africa.
(11) The pen was red. 25
La penna era rossa.
Indicando il contenuto lessicale di questi due enunciati abbiamo: e . Siamo in entrambi i casi in presenza del verbo che viene
presentato da Klein come esempio di verbo a 0 stati, ossia il verbo essere (+ qualità).
L’interpretazione del presente e del passato che vediamo negli enunciati deve essere
ricondotta al TT per il quale valgono le asserzioni contenute negli enunciati. Quindi, nel
primo caso possiamo considerare che si prenda a riferimento tutto il tempo (storico e
cronologico) conosciuto, dal momento che la proprietà essere in Africa riferita al Nilo è
vera sempre ed invalida la negazione corrispondente per qualsiasi TT. Nel secondo
enunciato abbiamo un passato perché il parlante asserisce che la penna è rossa per un
preciso TT anteriore al TU, ma egli non intende dire che esiste un TTx per cui la penna
NON è (più) rossa. Ossia: la negazione dell’enunciato, anche in questo caso, non è vera
e quindi non si ha contrasto di TT rispetto al contenuto lessicale essere rossa.
1.3.2. Verbi a 1 stato
Nei casi di verbi a 1 stato abbiamo il primo esempio di contrasto di TT.
Preliminarmente va detto che questo non significa che qualsiasi altro TTx sia in
contrasto con il TT dell’asserzione, ma piuttosto che ne esista almeno uno che introduce
un contrasto rispetto al contenuto lessicale di cui si parla. I contenuti lessicali a 1 stato si
caratterizzano con quelli che Klein definisce pre-tempo (pretime) e post-tempo
(posttime). Prendiamo l’esempio:
(12) Peter was asleep. 26
Peter era addormentato.
Il contenuto lessicale di questo enunciato può essere indicato con . Questo tipo di contenuto lessicale ci informa che Peter era addormentato nel
TT1 per il quale vale l’asserzione contenuta nell’enunciato, ma per sua natura, esso ci
informa anche del fatto che Peter era addormentato in TT adiacenti al TT1
25 Entrambi gli esempi tratti da Klein, 1994:81.
26 Klein, 1994:83.
17

dell’asserzione. Chiamiamo TT- i precedenti (pretime) e TT+ i successivi (posttime).
Per essi è comunque sempre valida l’asserzione espressa in Peter was asleep. Ma ciò
che distingue questo verbo a 1 stato dai verbi a 0 stati che abbiamo introdotto poco
sopra è la caratteristica di introdurre un contrasto di TT. I TT-, il TT1 e i TT+
costituiscono il tempo della situazione, del quale, nel contenuto lessicale, non sono
indicati espressamente i confini (sia a destra, che a sinistra). Ma con questo contenuto
lessicale è possibile spiegarli o introdurli, per esempio con un avverbiale come “from
two to four”. Di conseguenza, potendo introdurre dei limiti temporali, quindi un inizio e
una fine dello stato, deduciamo che esistano dei TTx prima e dopo il TSit (o che ne
esista almeno uno) per i quali l’asserzione non è valida e che quindi convalidano la
negazione del contenuto lessicale con .
1.3.3. Verbi a 2 stati
18
Infine, abbiamo i verbi a 2 stati. In questo caso il contenuto lessicale contiene uno
stato di cose ma anche il suo opposto. Poiché è impossibile che questi due stati
contrastanti avvengano contemporaneamente, si è cercato di pensarli in un ordine
cronologico, per cui possiamo identificare uno “stato di partenza” SS e uno “stato di
arrivo” TS 27 . La prima differenza importante rispetto ai verbi a 1 stato riguarda la
collocazione del contrasto di TT: per i verbi a 1 stato essa era esterna al TSit, mentre
con i verbi a 2 stati essa è intrinsecamente dipendente dal significato del verbo e
possiamo quindi parlare di contrasto di TT interno. Essendo in presenza di due stati,
possiamo presupporre che il TT possa trovarsi nel SS, nel TS oppure contenga una parte
di entrambi gli stati. Klein si basa sul principio che uno stato sia la controparte negativa
dell’altro, senza però specificare quale sia la parte “negativa”, ossia se le proprietà
ascrivibili a un certo stato siano del tipo “sì-no” oppure “no-sì”. 28
Klein si riferisce sempre al principio della minimizzazione per caratterizzare il
contenuto lessicale dei verbi. Anche con i verbi a 2 stati si applica la stessa massima.
27
Le abbreviazioni derivano dalla definizione inglese di „source state“ e „target state“ tradotte
dalla scrivente. (Klein, 1994:86).
28
Vi sono casi in cui è liberamente interpretabile quale sia la controparte negativa. Pensiamo ad un
verbo come “morire”: si hanno i due stati quindi diremmo da un SS negativo a un
TS positivo (relativamente parlando, ossia riferendosi solo alla presenza di una negazione grammaticale).
Ma il contenuto lessicale può essere espresso anche con , quindi introducendo il
passaggio contrario. Non esistono, insomma, criteri fissi per preferire una lettura all’altra.

Considerando, per esemplificare, un verbo come trovare, potremmo concludere,
basandoci sulla caratterizzazione classica dei verbi introdotta da Vendler (1957), che il
verbo trovare indica un’azione puntuale, quindi il passaggio immediato dal SS al TS . Tale caratterizzazione del contenuto lessicale può valere per un
enunciato come Marco trovò una conchiglia, ma viene messa in dubbio per un
enunciato come Marco trovò un secchio di conchiglie. Nel secondo caso il passaggio da
SS a TS non è immediato ma graduale, anche se al suo interno contiene dei sottoeventi
definibili come puntuali (per esempio pensando che il secchio si è riempito un po’ di più
ogni volta che Marco ha trovato una nuova conchiglia). Risulta evidente che il tipo di
passaggio da SS a TS dipende da vari fattori (in questo caso dipendeva da cosa si stava
cercando, come, dove, in quale quantità e per quali fini), i quali appartengono alle
conoscenze enciclopediche dei parlanti e non al contenuto lessicale dei verbi. La
presentazione dei verbi a 2 stati con la relativa interpretazione rispetto all’ancoraggio ad
un certo TT verrà quindi fatta in quest’ottica basandoci soprattutto sulla massima della
minimizzazione.
Vorremmo ora spiegare un’altra proprietà dei verbi a 2 stati, che, come abbiamo
visto, si caratterizzano per il passaggio da SS a TS. Una proprietà che Klein prende in
considerazione per interpretare il contenuto lessicale è definita “target-directed
activity”. Cioè: con i verbi a 2 stati siamo in presenza di un soggetto che “è intento al
raggiungimento di TS”. Precisiamo che questo concetto è simile a quello di agentività,
concetto utilizzato per descrive uno dei ruoli tematici all’interno di un enunciato
(appunto quello dell’agente). Ma, come spiega anche Klein, la “target-directed activity”
è un concetto più ampio, poiché si pone anche il caso ipotetico in cui una persona o un
oggetto passi da SS a TS contro la propria volontà, su costrizione o perché viene
manipolato da un’altra persona. Riportiamo alcuni esempi per dimostrare entrambi i
casi. I prossimi quattro esempi si contraddistinguono per l’assegnazione di una proprietà
spaziale (valida per un certo TT) a un soggetto e a un oggetto:
(13) Clive entered the kitchen.
Clive entrò in cucina.
(14) Clive left the kitchen. 29
29 Klein, 1994:89.
19

20
Clive lasciò la cucina.
Il contenuto lessicale di questi enunciati è rappresentato dall’espressione
linguistica e dal relativo opposto. Il TT può essere rappresentato
dalla domanda “what happened next?”, la quale introduce un TT posteriore a una
situazione descritta in precedenza ma comunque anteriore al TU, ecco perché abbiamo
un tempo passato. In questi enunciati, la situazione di partenza per (13) e quella di
arrivo per (14) sono caratterizzate entrambe dal contenuto linguistico . Per quanto riguarda infine la “target-directed activity”, possiamo dire che in
questo caso agente e soggetto grammaticale, di fatto, corrispondono, in quanto Clive è
intento a portare la propria persona in o fuori dalla cucina. Forniamo ora invece un'altra
coppia di esempi per dimostrare come il principio introdotto da Klein dell’”essere
intento al raggiungimento di TS” non coincide con l’agentività:
(15) Clive put the book on the table.
Clive mise il libro sul tavolo.
(16) Clive took the book from the table. 30
Clive prese il libro dal tavolo.
Qui ci troviamo di fronte di nuovo a una proprietà spaziale attribuita a un oggetto
“libro” esprimibile tramite vs. .
Ricollegandoci al principio della minimizzazione, possiamo dedurre che lo stato o gli
stati che costituiscono il passaggio da SS a TS non fanno parte del contenuto lessicale
del verbo, ma derivano dalle conoscenze enciclopediche del parlante. Tuttavia la forza
assertiva degli enunciati rispetto alla proprietà spaziale dell’oggetto è valida per il TT
introdotto dalla domanda esemplificativa riportata poc’anzi “what happened next?”. Ma
in questo caso il passaggio da SS a TS non dipende dall’oggetto libro di per sé, perché
l’oggetto è manipolato da un agente esterno, in questo caso Clive.
Infine, potrebbe sembrare che il posttime di un verbo a 1 stato coincida con il TS
di un verbo a due stati. In realtà, invece, il posttime di un verbo a 1 stato si definisce
temporalmente rispetto al TSit della situazione descritta, mentre il TS di un verbo a 2
stati viene caratterizzato qualitativamente dal contenuto lessicale del verbo, il quale però
30 Klein, 1994:90.

non contiene alcuna indicazione temporale rispetto al TSit. Esemplifichiamo il concetto
con un confronto fra un verbo a 2 stati, to find, e un verbo a 1 stato, to seek.
(17) Clive found a solution.
Clive trovò una soluzione.
(18) Clive sought a solution. 31
Clive cercò una soluzione.
Trovare, come abbiamo già detto sopra, presenta il SS e il TS
, mentre il verbo cercare veicola il contenuto lessicale . Supponendo che il
TT sia identico per entrambi gli enunciati, la differenza è allora che in (17) abbiamo la
caratterizzazione linguistica del contenuto del TS, ossia Clive raggiungerà un momento
in cui avrà la soluzione, mentre in (18) il raggiungimento della soluzione non viene
espresso dal contenuto lessicale del verbo. Semplicemente a un certo TT successivo al
TSit Clive non sarà più nella situazione di “raggiungere uno stato in cui ha la
soluzione”, ossia, per esempio, avrà smesso di cercare la soluzione. In più, poiché in
entrambi i casi notiamo un passato semplice, possiamo precisare che il momento in cui
Clive avrà trovato la soluzione, nell’esempio (17) è contenuto nel TT, mentre di quello
stesso momento, situato comunque anche per l’esempio (18) all’interno del TT, non ci
vengono fornite indicazioni nel contenuto linguistico.
1.4. Espressione flessiva di temporalità: il tempo
Giova ripetere il concetto di TT: si tratta del tempo per il quale un’asserzione è
valida. La possibilità che la lingua offre di relazionare un contenuto lessicale ad un lasso
di tempo ci permette di: interpretare il contenuto lessicale come evento, stato o
processo; mettere in relazione la situazione di cui si parla ad altre situazioni; mettere in
relazione il lasso di tempo di cui si parla ad altri intervalli temporali.
Il rapporto tra TT e TU permette di codificare il tempo verbale di un enunciato,
ossia ne permette l’espressione grammaticale. Il verbo finito esprime il TT, ossia la
31 Klein, 1994:94.
21

forza illocutiva contenuta nell’enunciato e non il solo significato lessicale che descrive
una certa situazione. Ciò che avviene è che, rispetto al TU, il TT può essere precedente,
simultaneo oppure seguente. Queste tre differenti relazioni permettono di identificare le
tre categorie concettuali di tempo: passato, presente e futuro.
1.5. Espressione flessiva di temporalità: l’aspetto
22
L’aspetto viene descritto da Klein come il modo particolare in cui il TSit, quindi il
tempo in cui si svolge una situazione, è correlato al TT conosciuto, ossia il lasso di
tempo per cui l’asserzione contenuta nell’enunciato è valida. Seguendo il modo
dell’autore di schematizzare questi concetti, riportiamo le tre principali possibilità che si
verificano quando si analizza l’aspetto verbale:
1. TSit include completamente TT (abbreviato: TT incl TSit);
2. TSit include parzialmente TT (abbreviato: TT at TSit);
3. TSit esclude completamente TT (abbreviato: TT ex TSit).
Dal momento che la nostra interpretazione del collegamento che nasce fra TT e
TSit è guidata dal contenuto lessicale, possiamo chiarire meglio questo rapporto
applicandolo ai tre tipi di verbi elencati nel par. 1.3.
1.5.1. L’aspetto nei verbi a 0 stati
Nel caso di verbi a 0 stati il TSit include sempre il TT, perché in questo caso non
si ha alcun tipo di contrasto di TT e quindi si tratta di asserzioni che valgono “per il
tempo intero” (cfr. esempi 10 e 11). Confrontiamo i due enunciati seguenti:
(19) The book was in Russian.
Il libro era in russo.
(20) *The book has been in Russian. 32
32 Klein, 1994:101.
*Il libro era stato in russo.

Il contrasto di TT non è possibile poiché la caratteristica be in Russian riferibile a
un libro è vera sempre per lo stesso libro ed è quindi impossibile che esista un
momento, dopo questa situazione, in cui il libro non è più in russo ma in un’altra lingua.
1.5.2. L’aspetto nei verbi a 1 stato
Guardando ai verbi a 1 stato, ricordiamo che essi sono caratterizzati dal contrasto
di TT esterno al TSit, ossia esiste almeno un TTx per il quale la negazione del contenuto
lessicale valido per il TT dell’asserzione è valida. Ciò può avvenire secondo tre
modalità differenti:
a. TSit include TT, che Klein rappresenta nel modo seguente 33 :
---------------[--------]----------------
Pretime { TSit } Posttime
Un esempio per questo caso potrebbe essere:
(21) [In risposta alla domanda di un giudice “What did you observe when you
entered the room?”] There was a book on the table. 34
Cosa osservò quando entrò nella stanza? C’era un libro sul tavolo.
In questo caso non si assume né che il tempo per cui il libro si trovava sul tavolo è
solo il lasso temporale in cui il testimone entrò nella stanza, né tantomeno che il TSit
non abbia inizio o fine, ossia che i pre- e i posttime siano vuoti. Semplicemente, il
parlante si impegna per un certo lasso temporale topicale precedente al momento in cui
enuncia questa risposta.
b. TSit include una parte di TT. TSit può essere incluso in parte in TT, come
rappresentato in:
-------------------------------[-------- ] → TT inizia in TSit
Pretime { TSit } Posttime
[ -------------------]-------------------- → TT inizia prima di TSit
Pretime { TSit } Posttime
33 I simboli indicano: ---- contenuto lessicale, [ ] TT e { } TSit.
34 Questa domanda esplicita è il capo del filo conduttore di tutta l’analisi linguistica presente nel
volume. (Klein:1994:102).
23

24
oppure TSit è incluso completamente in TT:
[ --------------------------------------- ]
Pretime { TSit } Posttime
Klein riporta l’esempio:
(22) Mary slept. 35
Mary dormì.
Questo enunciato esprime le possibilità in cui TSit e TT si sovrappongano (terzo
schema) ma anche la situazione in cui lo stato di cose inizi nel TSit, continui nel TT e
finisca nel post-tempo del TSit (primo schema). Questo perché, con l’utilizzo di un
verbo al passato senza valore “imperfettivo”, mettiamo in risalto la componente
lessicale del verbo ad 1 stato, che contrasta con verbi a 2 stati, come addormentarsi o
svegliarsi. Il TT di (22) comprende una parte del contenuto e una parte
del contenuto , ma non per via del contenuto lessicale in sé. Ciò
piuttosto dipende dalla scelta relativa alla marcatura o meno dell’aspetto nell’enunciato.
Questo fatto dipende dal modo in cui è stato introdotto il TT: se supponiamo di
introdurlo tramite una domanda diretta, come quella posta da un giudice, non basta
chiedere a un testimone che cos’ha visto entrando nella stanza, ma occorre richiedere
una descrizione dei fatti avvenuti, per esempio, fra le due e le quattro, includendo ciò
che ha fatto Mary in quel lasso di tempo. Con lo stesso enunciato, riferendoci al
secondo schema, è possibile esprimere l’idea che Mary all’inizio di TT non fosse
addormentata, si fosse poi addormentata durante il TT (quindi all’inizio di TSit) e
avesse dormito per tutto il TT.
c. TSit esclude TT perché si verificano due situazioni precise: TT precede o
segue TSit.
--------------------------------------- [ ] → TT segue TSit
Pretime { TSit } Posttime
35 Klein, 1994:103.

[ ] --------------------------------------- → TT precede TSit
Pretime { TSit } Posttime
Klein presenta brevemente le possibilità che l’inglese offre per codificare il primo
e il secondo caso. Nel primo caso avremmo un perfect (present perfect, past perfect,
future perfect) come in:
(23) John has slept without a blanket. 36
John ha dormito senza coperta.
In questo caso si evidenzia il fatto che il tempo in cui John ha dormito senza
coperta precede il TT (primo schema) e il TT, a sua volta, include il TU (l’ausiliare
avere è al presente). Mentre invece, per esprimere la relazione opposta, si può ricorrere
in inglese al going to (ma è solo una scelta):
(24) Mary was going to sleep. 37
Mary stava andando a dormire.
In questo caso (secondo schema) l’ipotetico testimone dell’esempio in (23)
potrebbe aver visto Mary mentre si preparava per andare a dormire e rispetto alla sua
asserzione, egli si impegna dicendo che per il lasso temporale per cui essa è valida Mary
si trovava in uno stato di cose precedente all’azione del dormire.
1.5.3. L’aspetto nei verbi a 2 stati
Prendiamo infine in considerazione i verbi a 2 stati. Klein pone in rilievo il fatto
che molte lingue scelgono uno dei due stati come riferimento per la codifica
dell’aspetto. Una volta compiuta la scelta, si ripresentano i casi trattati per i verbi ad 1
stato, con l’unica differenza che i pre- e i post-tempi del TSit sono caratterizzati anche
linguisticamente e non sono solo definiti in termini di tempo. Nel suo volume, Klein
porta l’esempio dell’inglese, che sceglie il SS come base per la codifica e quindi
l’organizzazione degli altri tempi, TSit e TT. Occorre precisare che sia SS sia TS hanno
un proprio TSit, con gli adiacenti pre- e posttime. Quindi il posttime di TSit per SS è il
36 Klein, 1994:104.
37 Klein, 1994:104.
25

tempo posteriore al TSit di SS e coincide con la prima parte del TSit del TS. I casi che
possono presentarsi sono i seguenti:
26
a. il TSit di SS include completamente il TT 38 ,
--------[-------]---------- ++++++++++++++
Pretime of TSit of SS { TSit of SS } posttime of TSit of SS
b. il TSit di SS include parzialmente il TT. Questo caso presenta due sottocasi,
perché il TT potrebbe essere compreso in parte nel TSit di TS e in parte nel
TSit di TS oppure potrebbe iniziare nel pretime del TSit di SS e concludersi
nel suo posttime.
-------------------[------ +++++]+++++++++
Pretime of TSit of SS { TSit of SS } posttime of TSit of SS
[ ------------------------- +++++]+++++++++
Pretime of TSit of SS { TSit of SS } posttime of TSit of SS
Pensiamo all’esempio:
(25) Mary opened the window. 39
Mary aprì la finestra.
Come descritto sopra all’esempio (22), per i verbi a 1 stato è possibile applicare il
corrispettivo del secondo schema qui riportato in inglese con un verbo al passato
semplice, perché il TT include non solo il TSit del singolo stato, ma il tempo che lo
precede e una parte di quello che lo segue. Con i verbi a 2 stati questo non è possibile,
perché il TT include, dal momento che abbiamo un’indicazione lessicale nel verbo,
anche una parte del tempo nel quale la finestra è aperta (si vedano i due schemi sopra
riportati: si possono indicare i contenuti lessicali di SS e di TS rispettivamente con
e ) e questo poiché Mary è attiva nel
raggiungimento di questo momento (target-directed activity).
38 Negli schemi seguenti i simboli sono: ----- per il contenuto lessicale di SS, +++++ per il
contenuto lessicale di TS, [ ] per il TT e { } per il TSit sia di SS che di TS.
39 Klein, 1994:106.

c. Il TSit di SS esclude completamente il TT. Di nuovo, come per i verbi a 1
stato, abbiamo due possibilità, a seconda che il TT segua (primo schema) o
preceda (secondo schema) il TSit di SS:
------------------------- ++[+++++++]+++++
Pretime of TSit of SS { TSit of SS } posttime of TSit of SS
[ ] ------------------------- +++++++++++++++
Pretime of TSit of SS { TSit of SS } posttime of TSit of SS
In questo caso valgono le realizzazioni linguistiche e le considerazioni fatte al par.
1.6.2 nel caso presentato con la lettera “c”. Per riassumere brevemente: nel caso in cui il
TT segua il TSit, che ora, lo ricordiamo, coincide con la parte iniziale del TSit di TS,
abbiamo un perfect, mentre il secondo schema rappresenta la realizzazione linguistica
dell’inglese going to. Una differenziazione che va però introdotta riguarda la differenza
fra il posttime di un TSit di un contenuto lessicale a 1 stato e il tempo posteriore al TSit
di un SS di un contenuto lessicale a 2 stati. Infatti, il primo schema riportato qui sopra
può essere suddiviso in due ulteriori schemi, ossia: una volta, considerando che il TT
coincida con la parte iniziale del TSit di TS (ovvero lo schema vero e proprio che
abbiamo riportato sopra). Questo corrisponderebbe a un enunciato al perfect e, per
essere più precisi, al present perfect, come in “John has opened the window” 40 , dal
quale deduciamo che TT e TU sono simultanei e l’asserzione contenuta nell’enunciato
convalida il contenuto lessicale del TS per il TT di cui si sta parlando.
In alternativa è possibile considerare che il TT si situi oltre il TSit di TS, il cui posttime
dura all’infinito. Non esistono molti contesti in cui applicare questo tipo di
interpretazione, ma è possibile tuttavia trovarne alcuni. Klein per esempio caratterizza
un contesto in cui, per ogni volta che si apre la finestra, bisogna pagare un certo
importo. In quel caso allora, anche a posteriori, quindi nel posttime del TSit di TS, è
possibile che l’asserzione sia valida e dimostrabile.
40 Klein, 1994:107.
27

1.6. Espressione lessicale di temporalità: gli avverbi di tempo
28
A questo punto della nostra introduzione teorica è importante ricordare che non
soltanto attraverso la flessione verbale si possono esprimere tempo e aspetto verbali. Un
contributo significativo è apportato anche dagli avverbi di tempo (da qui TADV), che
possono modificare, dettagliare o chiarire il significato di un VP o di un sostantivo
presenti in un’espressione.
Per prima cosa, sempre riferendoci alla presentazione che ne fa Klein, vorremmo
introdurre delle caratteristiche generali per questa categoria grammaticale. Intanto è
bene chiarire come si compongono gli avverbi temporali: essi hanno delle caratteristiche
formali, che permettono di dividerli in avverbi semplici o composti. Semplici, quando
sono formati da una sola parola (per esempio: soon, then), composti quando invece sono
costituiti da più componenti. In questo secondo caso, possiamo distinguere fra avverbi
temporali composti morfologicamente (come: recently, meanwhile, thereafter 41 ) e altri
composti secondo principi sintattici, ossia formati da un operatore temporale (come una
congiunzione temporale) e da un elemento da esso governato (per esempio un predicato
nominale). Da questa combinazione si possono ottenere vari risultati: dalle frasi
preposizionali come “during the Big Ben; at Christmas”, ai sintagmi nominali quali
“next week” 42 , alle frasi subordinate o non finite (in questo caso pensiamo alle frasi che
si reggono su un verbo al gerundio come leggendo il libro).
Va inoltre ricordato che questi avverbi possono occupare posizioni diverse
all’interno di un enunciato, non soltanto se si guarda a un confronto interlinguistico
(come faremo più avanti in questo lavoro con italiano e tedesco), ma anche in
prospettiva intralinguistica. Spesso, infatti, nella stessa lingua questi avverbi possono
occorrere in posizioni diverse all’interno di un enunciato e modificarne quindi il
significato in modi differenti a seconda degli elementi sui quali si apre o si restringe
l’azione dell’avverbio stesso.
41
Klein, 1994:147.
42
Tutti questi esempi sono stati tratti da Klein, 1994:148. Abbiamo preferito mantenere quelli per
l’inglese proposti da Klein, dal momento che una descrizione specifica per questo tipo di avverbi per
l’italiano e il tedesco è presente nel successivo capitolo 2.

Gli avverbi temporali vanno poi classificati in base alla funzione che svolgono
nell’enunciato. In questo caso, utilizziamo il termine funzione intendendo dire che
diversi tipi di avverbi temporali veicolano i diversi e possibili rapporti fra i lassi
temporali, la loro durata e i loro limiti e la possibilità che si possano quantificare o
enumerare oppure no. Klein individua tre tipi principali di avverbi temporali:
a. Avverbi temporali di posizione, da qui TADV-P. Essi esplicitano le relazioni
fra i tempi topicali che, si presume, siano già conosciuti nel contesto. Alcuni
esempi: “yesterday, much later, at five o’clock”.
b. Avverbi temporali di frequenza, da qui TADV-Q. Essi indicano la frequenza
con cui le situazioni (quindi gli eventi, gli stati e i processi) avvengono.
Alcuni esempi: “often, rarely, three / four times a year”.
c. Avverbi temporali di durata, da qui TADV-D. Essi specificano la durata dei
lassi temporali. Alcuni esempi: “briefly, for a while, during the autopsy” 43 .
Vi sono infine altri TADV che non rientrano in queste tre categorie, ma veicolano
comunque significati importanti.
d. Avverbi che descrivono le caratteristiche temporali intrinseche di una
situazione, come per esempio: “quickly, slowly”.
e. Avverbi che indicano la posizione di una situazione in una serie di situazioni,
e abbiamo ad esempio: “firstly, at last, eventually”.
f. Avverbi temporali di contrasto: “still, already, again”. 44 Per quanto riguarda
la definizione di questi avverbi, abbiamo potuto notare che in vari volumi
posteriori a quello di Klein, tali avverbi venivano definiti appunto avverbi
temporali di contrasto e gli autori si riferivano poi a “Time in language” come
punto di uscita di tale definizione. In realtà vorremo far notare che nella
trattazione di tali avverbi, Klein non fornisce alcuna definizione di questa
categoria. È però possibile dedurne il nome in base alla descrizione delle
43 Abbiamo tratto gli esempi da Klein: 1994, 149. Come sopra, abbiamo mantenuto in questa parte
introduttiva gli esempi che Klein fornisce per l’inglese. Nella prossima sezione tratteremo nello specifico
italiano e tedesco sulla base dei nostri dati.
44 Klein, 1994: 149.
29

30
finzioni che ne viene fatta. In questo, ci spostiamo sulle due lingue di cui
proponiamo l’analisi, quindi italiano e tedesco. La funzione di “contrasto”
attribuita ad avverbi come ancora, già per l’italiano e ai corrispettivi tedeschi
noch/immer noch, schon è primariamente quella di rimandare a una situazione
precedente con la quale istituire un confronto, che nella descrizione di Klein è
identificato come contrasto. Si costruisce in questo modo una relazione
paradigmatica fra due enunciati che descrivono due eventio che si susseguono
temporalmente. Per chiarire questo concetto, riportiamo un esempio con
ancora:
(26) John still eats. / John eats again.
John mangia ancora.
Si può rappresentare questo enunciato indicando con X l’attività descritta dal
verbo mangiare e quindi intendendo: “X – ancora X”. L’avverbio ancora
indica che l’azione di cui si parla era valida per un TT precedente, menzionato
esplicitamente o meno negli enunciati precedenti, ed è valida anche per il TT
introdotto con il nuovo enunciato. L’idea di continuazione dell’azione e di non
interruzione della stessa fra le due scene viene veicolata dall’avverbio ancora,
il quale istituisce un riferimento implicito a una situazione precedente. Questo
esempio rende evidente che il “contrasto” indicato nel nome “avverbi di
contrasto” può essere fuorviante se non viene specificato nel dettaglio cosa si
intenda per “contrasto”. Nel nostro esempio abbiamo visto un confronto con
un’altra situazione, della quale sia la polarità che l’entità topicale sono state
mantenute mentre il TT è successivo e quindi sommato a quello della
situazione precedente.
1.7. Definizione del termine “contrasto”
A questo punto, avendo spesso menzionato l’idea di “contrasto” sia riferendoci
agli avverbi temporali, sia riferendoci al contenuto lessicale dei verbi, vorremmo

mettere a fuoco i significati che tale principio ha rispetto alla strutturazione del discorso
(importante sia quando si analizzano dati di apprendenti di L2 45 ma di parlanti L1 46 ).
1.7.1. Contrastiveness e aboutness
Ci basiamo sull’articolo di Dimroth (2002): la studiosa ha suddiviso l’idea della
struttura dell’informazione (information structure) in due sottoprincipi. Il primo
concerne il rapporto fra un’informazione topicale e l’enunciato in cui essa è contenuta:
si tratta di una relazione sintagmatica che la studiosa chiama di aboutness. Quando
invece si mette in relazione un’informazione topicale con la stessa informazione
presente in un enunciato precedente si ha una relazione paradigmatica di
contrastiveness 47 . Il principio della contrastiveness diventa necessario perché enunciati
susseguenti differiscono in alcune parti di contenuto per via del procedere del discorso.
Questo ovviamente non implica che debba esservi per forza una nuova informazione in
ogni nuovo enunciato: come vedremo anche per i nostri dati, spesso si è di fronte alla
continuazione di un’azione già presentata in precedenza. Allora entra in gioco il
principio della aboutness, poiché ogni elemento topicale deve contribuire alla
comprensione del significato di una situazione oppure al suo ancoraggio nel contesto.
Fino ad ora abbiamo utilizzato spesso l’idea di “contrasto”, presentandola anche
in questo paragrafo sotto la forma di contrastiveness. Riteniamo a questo punto che sia
importante ridefinire i confini in cui intendere l’idea di contrasto, che è basilare per la
nostra ricerca e sulla quale fondiamo le nostre osservazioni sulle lingue che abbiamo
confrontato. Fondamentalmente, possiamo intendere il concetto di contrast in tre
accezioni:
1. Idea di contrastiveness e di avverbi temporali di contrasto (TAC). Come
abbiamo spiegato anche sopra, intendiamo in questo caso un confronto
45
Von Stuttterheim ha condotto un’analisi testuale per il tedesco L2 avendo come punti di
partenza la Quaestio e l’obiettivo degli apprendenti di fornire una struttura alle conoscenze del mondo
condivise con l’interlocutore. (von Stutterheim, 1998:108-109).
46
Si veda uno dei primi studi sull’organizzazione del discorso basato sulla continuità degli
elementi topicali, condotto da Givón nel 1983.
47
È bene non farsi trarre in inganno dal termine contrastiveness: non siamo, infatti, di fronte ad
informazioni in contrasto presenti in enunciati che si susseguono in un testo, bensì abbiamo a che fare con
la stessa informazione che funge quasi da ancora o da punto di riferimento paradigmatico per strutturare
l’informazione nel discorso in modo conseguente. (Dimroth, 2002:894-895).
31

32
istituito fra due situazioni che si susseguono e nelle quali non deve essere
presente per forza un qualche tipo di contrasto informativo. Si tratta quindi di
un rimando o confronto con una situazione precedente.
2. Contrasto di tempo topicale. In questo secondo caso abbiamo il rimando a una
situazione precedente, ma abbiamo anche la presenza di un cambiamento nella
seconda situazione, ossia una polarità opposta. Per questo motivo a un certo
TTx l’asserzione che prima valeva per una certa entità nel TT nella situazione
precedente, viene invalidata nella nuova situazione. Quindi ci riferiamo al
cambiamento del contenuto lessicale rispetto a un TT precedente.
3. All’interno del contrasto di TT, possiamo trovare una focalizzazione proprio
su questo contrasto grazie all’utilizzo degli avverbi temporali e delle perifrasi
preposti all’esplicitazione di tale contrasto.
1.7.2. TT shift, aggiunta di TT e contrasto di TT
Di fronte a queste “specificazioni” per il diverso significato del concetto di
contrast ci è possibile spiegare su quali scelte linguistiche abbiamo focalizzato la nostra
attenzione: la marcatura dell’aggiunta e del contrasto di TT. In entrambi i casi abbiamo
a che fare con gli avverbi temporali di contrasto che abbiamo descritto e
problematizzato nel par. 1.6. Abbiamo evidenziato due casi distinti: definiamo aggiunta
di TT quando abbiamo un’azione svoltasi in una scena precedente rispetto a quella che
sta raccontando il parlante e che continua anche nella scena che viene raccontata al
momento. Ciò significa che il contenuto lessicale del predicato era valido per il TT
precedente e continua a essere valido per il TT presente rispetto alla stessa entità: il TT
di “adesso” si aggiunge a quello della scena precedente. Questo, come vedremo meglio
grazie ai dati, è possibile in tre modi diversi: attraverso la continuazione, la ripetizione o
la restituzione di un’azione 48 . Quando, invece, parliamo di contrasto di TT intendiamo
dire che si è verificato un cambiamento nel rapporto tra il contenuto lessicale di un
predicato e il TT per cui esso è valido, sempre rispetto alla stessa entità. Si tratta di un
cambiamento nella polarità del predicato, cioè se un soggetto “prima” non aveva fatto
qualcosa, “ora” lo fa, o viceversa (anche rispondendo o meno alle aspettative del
48 Per la definizione delle tipologie di aggiunta di TT ci siamo basati sull’articolo di Dimroth,
Andorno, Benazzo (in stampa).

parlante che vede la storia scena dopo scena). Infine bisogna sempre tenere presente
che, per sua natura, una storia costituita da scene che si susseguono fa corrispondere a
ogni scena un TT che il parlante può decidere di marcare o meno. Si parla in questo
caso di TT shift, ovvero, muovendoci sul naturale asse cronologico del tempo, ad ogni
nuova scena, corrisponde un nuovo intervallo temporale che, per sua natura, è seguente
a quello precedente. Questo fenomeno però, non deve essere confuso con l’aggiunta o il
contrasto di TT che abbiamo appena descritto.
Riprendendo un articolo di Klein (2008) troviamo cinque modi di marcare il
tempo topicale e i cambiamenti che lo riguardano. Ci si può basare sull’ordine delle
parole, perché nella maggior parte delle lingue gli elementi topicali sono i primi della
frase. A questa regola tipologica è possibile applicare molte variazioni, in quanto le
marcature degli elementi linguistici possono avvenire anche secondo altre regole, o per
fini diversi legati al discorso in atto. Tuttavia possiamo ritenerla un punto di riferimento
in mancanza di altre marcature linguistiche in un enunciato. Queste, per esempio,
possono avvenire grazie al secondo mezzo presentato da Klein, ossia l’intonazione.
Grazie ad essa è possibile agire sul topic senza per forza cambiare la struttura della
frase. Vi sono poi delle particelle linguistiche che permettono di evidenziare
espressamente il costituente topicale di un enunciato. Klein cita il giapponese wa, che
può essere associato a vari costituenti nella frase, i quali vengono poi (tradizionalmente)
interpretati come topic. La morfologia flessionale è il quarto elemento studiato da Klein:
la finitezza di un verbo indica il topic time, indipendentemente dal fatto che tale verbo
sia ripetuto o mantenuto nel discorso. Infine, Klein parla di topic drop, ossia della
possibilità di elidere l’informazione nota all’interno dell’enunciato 49 . Riportando questo
tipo di analisi al nostro caso, il racconto di una storia a scene, il fatto che si verifichi
spesso il topic drop è indice del fatto che è noto che ad ogni nuova scena corrisponde un
TT successivo al precedente.
49
All’inizio dell’articolo, Klein affronta brevemente il problema della definizione di topic, spesso
posto in relazione alla dicotomia “vecchia vs. nuova informazione”, apparentemente riconducibile anche
all’applicazione del topic-drop. (Klein, 2008:290).
33

2. ITALIANO E TEDESCO A CONFRONTO
La nostra analisi istituirà un confronto fra l’italiano e il tedesco rispetto alla
marcatura dei fenomeni di continuità e contrasto temporale nel racconto orale. Non
abbiamo trovato, nella letteratura relativa alle due lingue che abbiamo consultato, dei
criteri omogenei per definire le categorie tempo-aspettuali delle due lingue. Per questo
motivo abbiamo deciso di basarci sul modello proposto da Klein, in quanto si tratta di
un modello di ampio respiro e non pensato unicamente riferendosi ad una lingua in
particolare 50 . Ma a questo punto della nostra trattazione, vorremmo fare una
precisazione riguardo a tale modello: con esso Klein presenta la sua idea di tempo e
aspetto linguistici riferendosi prevalentemente all’inglese. Come si sarà notato nei
capitoli precedenti, quasi tutte le esemplificazioni addotte per spiegare la teoria di
questo studioso sono state prese dal suo volume e per questo motivo si riferiscono
all’inglese. Abbiamo allora fatto ricorso ad altri volumi per orientarci nei sistemi tempo-
aspettuali delle due lingue che stiamo analizzando.
Per quanto riguarda l’italiano esistono descrizioni che si basano su un modello
molto simile a quello di Klein eseguite da Pianesi e Giorgi, di cui abbiamo consultato il
volume “Tense and Aspect” (1997) e un articolo, pubblicato in Probus 12. Le
informazioni relative al sistema verbale dell’italiano sono state tratte dall’opera di
Bertinetto del 1986. Rispetto al tempo verbale, Bertinetto riprende l’idea di tripartizione
del tempo già proposta da Reichenbach (1966) 51 e cioè: momento dell’enunciazione,
momento dell’avvenimento e momento di riferimento 52 . Per la descrizione dell’aspetto
verbale, invece, Bertinetto riprende la divisione tradizionale fra aspetto perfettivo e
imperfettivo di Comrie mettendola in relazione alle caratteristiche dei predicati verbali
50 Vorremmo comunque precisare che nello sviluppo del presente lavoro abbiamo completato la
teoria di Klein con altre teorie, perché dalla loro unione abbiamo ricavato i mezzi migliori per poter
interpretare i dati che abbiamo raccolto. Nei casi in cui questo è stato necessario, abbiamo indicato quali
altre teorie o proposte sono state seguite.
51 Reichenbach, 1966: 287-288.
52 Bertinetto, 1986:35.
35

codificate nella loro Aktionsart (in particolare telicità, statività, duratività e infine
opposizione fra predicati risultativi e trasformativi). 53
36
Per il tedesco abbiamo confrontato Markus (1977), Kroeger (1977), Fabricius-
Hansen (1986) e Thieroff (1992). Anche in essi viene seguita l’idea di tripartizione del
concetto di tempo, nella quale il moment of speech di reichenbachiana memoria diviene
Betrachtzeit, termine chiaramente espresso nella descrizione di Fabricius-Hansen 54 . In
ambito germanofono si è affrontata poi, anche in tempi più recenti, la questione della
codifica dell’aspetto verbale, sia in relazione alla sua parziale sovrapposizione con la
categoria della Aktionsart, sia mettendo in discussione la sua effettiva esistenza come
categoria concettuale, non solo (o non unicamente) come categoria grammaticale.
Andersson, Shanen e Marschall presentano una discussione nei loro articoli, raccolti
insieme a altri articoli da Gautier e Haberkorn nel volume “Aspekt und Aktionsarten im
heutigen Deutsch” (2004). Risulta lampante che in ciascuno di questi contributi si
oppongano il concetto di tempo e di aspetto verbali, ma mai nei parametri descritti da
Reichenbach e ripresi da Klein. Ossia, il problema sostanziale che emerge da queste
analisi 55 riguarda soprattutto la terminologia e i “confini” nei quali si racchiude il
concetto di aspetto verbale. Per molti, infatti, si tratta solo di una parte della categoria
più ampia di aspettualità 56 , per altri si tratta di uno dei modi in cui si può descrivere un
processo in svolgimento 57 . Vi è poi tutta la discussione onomasiologica sulla
differenziazione tra categoria morfologica e sintattico-lessicale 58 , su aspetto come
termine “ombrello” per più categorie, e via dicendo tutte le problematiche più frequenti
relative alla definizione di aspetto verbale.
53 Tali caratteristiche del predicato svolgeranno una finzione importante anche per l’analisi di
Klein, come vedremo nei cap. 1.6 e 2.
54 Fabricius-Hansen, 1986:29. L’idea di tripartizione del concetto di tempo di questa studiosa
deriva da Bäuerle 1979:47.
55 Ovviamente vi sono analisi precedenti e successive a quelle che abbiamo citato che non
riportiamo in questa sede per evitare un allargamento spropositato del tema che non corrisponde
all’obiettivo di questo lavoro.
56 Andersson, 2004:6.
57 Schanen, 2004:14-15.
58 La sovrapposizione di queste categorie porta spesso a confondere aspetto e azione verbali.

Dopo aver consultato questi riferimenti bibliografici, abbiamo deciso di fornire
una descrizione dell’italiano e del tedesco tenendo a mente la teoria proposta da Klein 59 .
In alcuni casi prenderemo in considerazioni le caratteristiche azionali dei verbi come
proposte da Vendler nel 1957 60 , perché pensiamo che siano molto utili per valutare la
compatibilità delle perifrasi verbali con i vari tipi di verbi, non considerando soltanto il
loro contenuto lessicale suddiviso in stati come proposto da Klein. Le caratteristiche
azionali di Vendler suddividono i verbi come segue:
a. Verbi puntuali (non telici e non durativi), come prendere un voto, stupirsi e i
corrispettivi tedeschi eine Note bekommen, sich überraschen. Questi verbi
sono incompatibili con gli avverbi temporali che hanno la caratteristica
semantica della “durata”, per esempio per due ore, e non sono telici perché
non comportano il raggiungimento di un fine.
b. Verbi trasformativi (telici ma non durativi), come arrivare, trovare e i
corrispettivi tedeschi kommen, finden. Questi verbi veicolano l’idea di
raggiungimento di un obiettivo ma sono incompatibili con gli avverbi
temporali di durata, come i verbi puntuali.
c. Verbi risultativi (telici e durativi), come costruire una casa, imparare e i
corrispettivi tedeschi ein Haus bauen, erlernen. Questi verbi sono compatibili
con gli avverbi temporali di durata e veicolano il concetto di “raggiungimento
di un obiettivo”.
d. Verbi non-risultativi (durativi ma non telici), come essere (+ qualità), sapere,
studiare e i corrispettivi tedeschi sein, wissen/können, lernen. Questi verbi non
veicolano l’idea di raggiungimento di un obiettivo, ma sono compatibili con
59 Per evitare una trattazione troppo estesa di tutto quanto il sistema linguistico italiano e tedesco,
ci siamo basati sui dati di L1 raccolti durante le nostre registrazioni per mettere maggiormente in
evidenza le realizzazioni linguistiche da descrivere che fossero più pertinenti con l’obiettivo di questo
lavoro. Non va dimenticato, inoltre, che tratteremo tempi verbali appartenenti alla categoria
dell’indicativo, in primo luogo perché sono gli unici utilizzati nelle storie raccontate dai nostri parlanti ma
anche perché, da un punto di vista teorico, i modi come il congiuntivo e il condizionale aprono altre
discussioni e aggiungono nuovi dubbi relativamente al loro effettivo status temporale.
60 Vendler, 1957:146-147.
37

38
gli avverbi temporali di durata (anche se più avanti introdurremo delle
differenziazioni per i verbi di questa categoria). 61
Vogliamo impostare questo capitolo mostrando le possibilità linguistiche
grammaticalmente corrette offerte da entrambe le lingue che analizzeremo. Per fare ciò,
presenteremo l’italiano e il tedesco rispetto alla realizzazione del tempo e dell’aspetto e
infine confrontando l’utilizzo di vari avverbi temporali. Precisiamo da ora che abbiamo
ristretto la nostra attenzione solo ad alcuni tipi di avverbi perché sono quelli che
mostrano maggiormente le differenze tra le due lingue e che abbiamo riscontrato anche
nei nostri dati.
2.1. Il tempo in italiano e tedesco
Rispetto a questa categoria grammaticale non esistono particolari differenze fra
italiano e tedesco se non una diversa quantità di tempi morfologici grammaticalizzati.
Se si guarda in una qualsiasi grammatica della lingua tedesca, si troverà la suddivisione
dei tempi verbali per l’indicativo grosso modo come segue:
Futur I ich werde arbeiten (lavorerò)
Futur II ich werde gearbeitet haben (avrò lavorato)
Präsens ich arbeite (lavoro / sto lavorando)
Präteritum ich arbeitete (lavoravo / lavorai)
Perfekt ich habe gearbeitet (ho lavorato)
Plusquamperfekt ich hatte gearbeitet (avevo lavorato). 62
L’indicativo italiano, invece, si caratterizza in questo modo:
61
Abbiamo ripreso lo schema proposto da Banfi/Bernini in Giacalone Ramat, 2003:73.
62
Queste traduzioni sono a cura della scrivente e sono da intendersi come indicazioni di massima
in cui si possono tradurre queste espressioni. Questo per vari motivi: in primo luogo siamo consci del
fatto che una traduzione perfetta non esiste, soprattutto (come in questo caso) in totale mancanza di
co(n)testo. Poi, come vedremo anche più avanti, esistono differenze rilevanti fra queste due lingue nella
codifica delle forme progressive al presente e al passato su cui focalizzeremo la nostra analisi e che, in
queste brevi traduzioni, non vengono prese in considerazione.

Tempi semplici
Presente lavoro
Imperfetto lavoravo
Passato remoto lavorai
Futuro semplice lavorerò
Tempi composti
Passato prossimo ho lavorato
Trapassato prossimo avevo lavorato
Trapassato remoto ebbi lavorato
Futuro anteriore avrò lavorato.
Dal momento che intendiamo il tempo linguistico come espressione del rapporto
TT-TU, notiamo che in entrambe le lingue è possibile esprimere i tre rapporti di
antecedenza, contemporaneità e posteriorità di TT rispetto a TU che indicano
rispettivamente passato, presente e futuro. Notiamo solo che in tedesco il Präsens,
soprattutto nella lingua parlata, sostituisce il futuro semplice. Questo dipende da varie
ragioni: per esempio perché il futuro che si forma con “werden + infinito” può veicolare
anche un valore modale e non esprimere il semplice valore temporale di futuro 63 . In
italiano invece, com’è possibile notare, vi è un maggiore ventaglio di tempi passati
grammaticalizzati, che veicolano comunque il rapporto “TU after TT” e che portano
piuttosto diversi valori aspettuali. Vediamo quindi a questo riguardo come si
differenziano le due lingue.
2.2. L’aspetto in italiano e tedesco
2.2.1. Il tedesco
63
Un’analisi approfondita viene presentata in Calbert e Vater, 1975. Nella seconda parte del
volume Vater si occupa precisamente del verbo werden con valore modale.
39

40
Se guardiamo al tedesco e riprendiamo il rapporto TT-TU per la codifica del
tempo linguistico, escludendo per ora dalla nostra analisi il Futur II e il
Plusquamperfekt che dipendono dall’interpretazione che si segue rispettivamente per
Futur I e Perfekt, dovremmo aspettarci delle relazioni temporali come:
Futur I TU before TT
Präsens TU incl TT
Präteritum TU after TT
Perfekt TU after TT.
Già a un primo sguardo esse rivelano che vi sono delle sovrapposizioni che
pongono quantomeno dei dubbi rispetto al significato espresso dai tempi verbali. Per gli
obiettivi che ci prefiggiamo in questo lavoro, a noi interessano in particolare i passati e
il presente. Per questo motivo focalizzeremo le nostre riflessioni qui di seguito su questi
due tempi verbali e sui loro valori aspettuali.
Il presente dipende in modo cruciale dal significato lessicale del verbo che viene
utilizzato e quindi sottolinea la forte interazione che si crea con la Aktionsart del verbo
stesso. Riprendiamo alcuni esempi proposti da Klein per capire meglio l’interazione fra
Aktionsart e significato del tempo linguistico:
(27) Hans kommt.
Hans arriva.
(28) Hans schläft. 64
Hans dorme.
(29) Der Nil ist in Afrika.
Il Nilo è in Africa.
(30) Der Stift ist rot. 65
La penna è rossa. 66
Seguendo l’interpretazione di Klein, è possibile supporre che il TT si collochi:
64 Klein, 1994:127.
65 Gli esempi sono traduzioni dall’inglese al tedesco degli esempi di Klein, 1994:81. L’esempio
(29) è stato reso al presente dalla scrivente per meglio rappresentare il concetto che si sta spiegando in
questo paragrafo.
66 Traduzioni della scrivente.

- nel TSit dei verbi a 1 stato o nel TSit del SS del verbi a 2 stati (e quindi il TSit di
TS segue il TU);
- a cavallo fra il TSit di SS e il TSit di TS, includendo una parte di entrambi,
oppure includendo una parte del TSit dei verbi a 1 stato e una parte del rispettivo
posttime. 67
Nei tre esempi appena riportati, abbiamo verbi con contenuti lessicali differenti:
kommen (in questo caso: arrivare), viene interpretato come verbo a 2 stati con un SS
descrivibile in termini di e un TS identificabile con . Schlafen
(dormire) è invece un verbo a 1 stato, caratterizzato quindi da un contrasto di TT esterno
al proprio TSit, per cui esisterà almeno un TTx per il quale l’asserzione “Hans dorme”
non è valida, e questo TTx può trovarsi subito prima o subito dopo il TSit di .
Infine negli esempi (29) e (30) siamo in presenza di un verbo a 0 stati, il verbo essere (+
qualità). A questo proposito abbiamo già spiegato nei par. 1.3.1 e 1.5.1 che l’utilizzo di
un tale verbo al presente non concerne il rapporto TSit-TT, dal momento che i verbi a 0
stati non hanno contrasto di TT per il loro contenuto lessicale, ma concerne il rapporto
TT-TU, ossia se l’enunciato è stato proferito prima, dopo o contemporaneamente al
tempo topicale. Nei nostri due esempi abbiamo un presente, quindi il TT e il TU
coincidono, ma in realtà l’asserzione contenuta in questi enunciati è sempre valida. Se
per questi ultimi due esempi non vi sono problemi nell’interpretazione al presente
dell’enunciato, con (27) e (28) siamo normalmente di fronte a due diverse
interpretazioni del Präsens. (27) viene infatti interpretato come “Hans arriverà” quindi
un presente con valore di futuro, mentre (28) viene interpretato come “Hans dorme”
intendendo “adesso”, quindi con valore di presente. Questo perché i verbi a 2 stati si
comportano diversamente dai verbi a 1 stato quando vengono utilizzati al Präsens: con
il verbo arrivare si veicola l’idea che il TSit del SS sia ora, mentre il TSit del TS sia nel
futuro ed è per questo motivo che è possibile anche un’interpretazione al futuro. Invece
con un verbo a 1 stato, sebbene in alcuni contesti potrebbe essere privilegiata
un’interpretazione al futuro, il TSit viene di norma interpretato come presente e quindi
67
Rimandiamo al par. 1.6, nel quale abbiamo presentato, con l’aiuto di alcuni schemi, questi
possibili rapporti fra TT e TSit tenendo in considerazione il contenuto lessicale dei verbi.
41

anche il TT a cui si ancora la situazione e per il quale viene asserito qualcosa è nel
presente (cronologico).
42
Ampliando queste considerazioni sull’interazione fra azionalità e valori aspettuali,
possiamo ora considerare i passati: dalla prima schematizzazione, non dovrebbe esserci
differenza nell’interpretazione temporale fra Perfekt e Präteritum stando ai loro rapporti
TT-TU. Ovviamente non è così. È opportuno partire dalla considerazione che, come
tutte le lingue, anche il tedesco è in continuo cambiamento e questo fatto influenza le
scelte linguistiche e stilistiche dei parlanti nei periodi che si susseguono
cronologicamente. Al momento attuale, è plausibile pensare che il rapporto ‘TU after
TT’ sia espresso in prima linea dal Perfekt, di cui il Präteritum rappresenta una variante
stilistica. Ma questa motivazione non è comunque esaustiva: ciò che è successo è stato
uno slittamento della funzione aspettuale per il Perfekt, ossia il passaggio da un valore
aspettuale ‘TT after TSit’ ad uno temporale ‘TU after TT’ e la forma che ricopriva
originariamente questa funzione aspettuale si è “ridotta” a variante stilistica.
Per rendere più chiara questa riflessione, dobbiamo servirci di studi che trattino la
storia della lingua tedesca e i suoi cambiamenti morfo-sintattici e concettuali. Nel
volume di Nübling (2008) viene riportato un esempio che torna perfettamente utile alla
nostra analisi e la rende chiara soprattutto per i parlanti che non hanno il tedesco come
lingua madre. L’esempio riguarda l’estensione del Perfekt, il passato prossimo tedesco,
a discapito del Präteritum, l’imperfetto tedesco 68 . Riportiamo l’esempio dal testo di
Nübling:
(31) Phīgboum habēta sum giflanzōtan in sīnemo wīngarten (Tatian, 102, 2).
„(Einen) Feigenbaum hatte einer als gepflanzten in seinem Weingarten“ 69
„(Un) fico aveva uno (come) piantato nel suo giardino“.
“Uno aveva piantato un fico nel suo giardino”.
Bisogna sapere che l’estensione del Perfekt si basa sulla grammaticalizzazione di
haben (avere) e sein (essere) come verbi ausiliari per la formazione del Perfekt stesso.
68
La cautela con cui paragoniamo i tempi tedeschi a quelli italiani deriva dal fatto che non è
sempre possibile istituire un rapporto di 1:1 fra di essi e a questo punto della descrizione teorica vogliamo
fornire dei concetti di base per rendere chiara l’analisi interlinguistica che svilupperemo più avanti.
69
Nübling, 2008: 252. In questo caso nell’esempio si ha il precursore dell’attuale
Plusquamperfekt, ossia il trapassato prossimo. Il concetto e il tipo di sviluppo sono però identici a quelli
avuti dal Perfekt.

L’esempio appena citato si riferisce a haben, che in antico alto tedesco (circa dal 500 al
1050 d.C.) si scrive habēn e si comporta come un aggettivo e concorda quindi per
numero e genere con il sostantivo a cui si riferisce e rispetto al quale può essere pre- e
posposto. In (31) il sostantivo phīgboum (fico, pianta di fico) è maschile, accusativo,
singolare e queste caratteristiche vengono riprese dalla desinenza –an in giflanzōtan,
che concorda quindi con il sostantivo precedente. Per giungere all’interpretazione
verbale dell’odierno participio perfetto occorre ancora un cambiamento: una rianalisi
sintattica del participio stesso. Se nell’antico alto tedesco il participio fungeva da
aggettivo, nell’odierno tedesco esso viene visto come designatore del risultato
dell’azione del verbo piantare (un fico in giardino). Per quanto riguarda il
cambiamento, o meglio, lo slittamento del valore aspettuale e temporale del participio,
bisogna considerare che nell’antico alto tedesco esistevano molte restrizioni per
l’interpretazione dell’aspetto verbale. In (31) abbiamo un esempio di aspetto perfettivo,
o meglio risultativo, ossia viene posta in primo piano la fase finale di un certo processo
(piantare) ovverossia il suo risultato. In antico alto tedesco si sviluppa una
Perfektperiphrase (perifrasi perfettiva) che ha all’inizio un forte carattere aspettuale e
che veicola soprattutto l’idea di risultatività (quindi pone l’attenzione sulla fase finale di
un processo). Lo sviluppo linguistico di questa forma si espande ulteriormente con
l’introduzione del prefisso gi- che diventa il vettore dell’aspetto perfettivo; in questo
modo molti verbi imperfettivi (che storicamente designano un processo non ancora
concluso) possono acquisire un valore perfettivo. Alcuni esempi sono: winnan >
arbeiten (lavorare) che diviene giwinnan “conquistare, raggiungere con sforzo”, beran
> tragen (trasportare, portare su di sé) che diviene giberan “partorire, figliare” 70 . I verbi
che semanticamente contengono già un’idea di perfettività nel proprio contenuto
lessicale, come treffan (incontrare), bringan (portare) e findan (trovare) prendono il
prefisso gi- per ultimi, confermando le aspettative rispetto all’espansione del prefisso e
del suo significato perfettivo (dal momento che questi verbi focalizzano già l’attenzione
sulla fase finale di un processo con il loro contenuto lessicale, la forma linguistica non
avrebbe di per sé necessità di esprimere ancora tale concetto). 71
70
Nübling, 2008: 253.
71
I motivi che hanno spinto lo sviluppo della lingua tedesca in questa direzione possono essere
dovuti contemporaneamente alla forza del passato prossimo (e quindi si potrebbe parlare di una sua
43

44
A seguito di questo sviluppo storico è oggi possibile, per alcune classi di verbi,
esprimere con il Perfekt ciò che originariamente richiedeva il Präteritum. Riportiamo
due esempi da Musan (1999) per meglio evidenziare in cosa continuano comunque a
distinguersi questi due tempi, nonostante spesso vengano usati indistintamente:
(32) Lola rannte.
Lola correva / corse.
(33) Lola ist gerannt. 72
Lola ha corso / è corsa.
Il verbo rennen (correre) è un verbo che ha contenuto lessicale a 1 stato e che
identifica un processo durativo ma non telico, ossia senza l’indicazione di un obiettivo.
Normalmente nel tedesco standard è più usuale pronunciare l’enunciato al Perfekt per
via appunto dello sviluppo linguistico che ha avuto luogo nel passato. Tuttavia questi
due tempi veicolano diversi rapporti fra TT-TU-TSit. Con il Perfekt e quindi con un
verbo ausiliare al presente, si localizza innanzitutto il TT nella regione del TU 73 e
questo fatto quindi costituisce un collegamento con esso e con il momento presente. In
secondo luogo il Perfekt veicola il rapporto di parziale inclusione del TSit nel TT,
quindi il TT è iniziato nel TSit ma si è concluso aldilà di esso. Al contrario il Präteritum
codifica il TT coincidente con il TSit e cronologicamente anteriore al TU. Quindi nel
Präteritum si ha una completa sovrapposizione di TT e TSit, mentre nel Perfekt questo
non avviene. Con il Perfekt si esprimono di fatto due tempi di due situazioni diverse,
ovvero si pone l’accento sia sul tempo “finale”, cioè sul tempo del risultato dell’azione
descritta dal verbo, sia sul tempo dell’azione in svolgimento (questo tempo si situa
espansione) oppure alla debolezza del Präteritum (e quindi si parla di Präteritumschwund, ossia
scomparsa del Präteritum). In generale comunque, dal punto di vista geografico, questo cambiamento
riguarda principalmente il Nord della Germania, dove i dialetti non contengono praticamente più alcuna
forma di Präteritum. Infine è possibile notare, nel contesto di una lingua in continuo cambiamento, che
tali perifrasi per le indicazioni temporali si stanno affermando anche in contesti di passivo, futuro,
congiuntivo/condizionale e verbi modali. Questo testimonia, da un lato, che la lingua tedesca sta mettendo
in atto dei processi analitici, ma dall’altro, che essa non è ancora arrivata (ammesso che in futuro ci arrivi)
a essere una lingua solo isolante. Il processo analitico porta alla combinazione di più parole che formano
le perifrasi e che quindi non rispettano il criterio dell’1:1 delle lingue isolanti, secondo il quale ogni
parola veicola una sola informazione. (Nübling, 2008:253-254).
72
Musan, 1999:29.
73
TU non indica mai un singolo istante sull’asse cronologico del tempo, ma piuttosto un (seppur)
breve lasso di tempo, identificabile come una “regione”. Si veda a questo proposi l’esempio riportato da
Klein riguardante l’avverbio temporale now. Klein sottolinea che questo avverbio è descrivibile con un
contenuto lessicale simile a sottintendendo però che now non ricopre il
contenuto . (Klein, 1994:155).

prima del TU mentre il tempo in cui vediamo il risultato dell’azione è contemporaneo o
è compreso nei confini di TU). Infine, dal momento che il Perfekt si compone di un
verbo finito al presente e di un participio passato, si crea una distanza temporale fra
queste due parti che permette al parlante diversi tipi di focalizzazione, per esempio
tramite l’intonazione. Infine, per rifarci anche alla distinzione dell’azionalità dei verbi
proposta da Klein, è possibile dire che con i verbi a 0 stato come sein (essere), il
Präteritum e il Perfekt veicolano due significati differenti, come abbiamo mostrato con
gli esempi precedenti tratti da Musan per i verbi a 1 stato. Infatti:
(34) Ich war.
Io ero.
(35) Ich bin gewesen.
Io sono stato.
veicolano due rapporti diversi di TT-TSit, con il Perfekt dell’esempio (35) che
riporta ad un’inclusione solo parziale del TSit nel TT e sottolinea quindi i due tempi
delle due differenti situazioni a cui, inevitabilmente, si fa riferimento per via della
composizione del verbo in due parti. Unendo la divisione in classi azionali di Vendler a
quella proposta da Klein, ci sembra di poter affermare che la non differenziazione di
significato e quindi l’utilizzo indistinto di Perfekt o Präteritum è applicabile ad ogni
classe verbale salvo al gruppo dei non-risultativi (Vendler) e al gruppo dei verbi a 0
stato (Klein), ovvero quei gruppi di verbi che non veicolano valori aspettuali (relazione
TT-TSit) e i cui predicati non posseggono proprietà temporali intrinseche.
Dopo queste riflessioni è possibile affermare che, quindi, non è corretto dire che il
tedesco non marchi l’aspetto verbale. Come abbiamo dimostrato, spesso i verbi finiti
veicolano anche un valore aspettuale (per esempio ‘TT after TSit’ oppure ‘TT at TSit’)
che però non è ancora possibile delineare con precisione, dal momento che la lingua è in
cambiamento e quindi i processi di slittamento funzionale non sono ancora completi 74 .
Il tedesco ha avuto nel suo percorso storico uno slittamento funzionale imperniato sulla
74
Concordiamo con Klein nel dire che questa spiegazione, che lascia ancora aperte molte strade di
ricerca e offre spazi a dubbi e domande, possa non sembrare esaustiva. Tuttavia, dal momento che le
lingue mutano lentamente nel corso del tempo, non è possibile voler arrivare troppo lontano con le
supposizioni rispetto ai cambiamenti che sono in atto in un certo momento storico (riflessione che diviene
ancora più pregnante nel momento in cui si studiano lingue non così ben conosciute e documentate come
il tedesco). (Klein, 1994: 129).
45

categoria dell’aspetto verbale che ha scambiato i valori di Präteritum e Perfekt e
permette oggigiorno di esprimersi prevalentemente con il Perfekt pur veicolando un
significato aspettuale, nonostante i rapporti sottintesi fra TT e TU e fra TT e TSit siano
differenti nei due tempi.
2.2.2. L’italiano
46
Spostando la nostra attenzione all’italiano, vorremmo analizzare innanzitutto il
Presente, l’Imperfetto il Passato prossimo, conducendo un’analisi speculare a quella
condotta per la lingua tedesca in modo da fornire uno schema contrastivo. Chiameremo
il Passato prossimo con il termine di Perfetto, riprendendo la proposta di Bertinetto 75
che identifica in modo univoco una categoria riconoscibile trasversalmente nelle lingue
romanze. Per cominciare, portiamo degli esempi per il Presente seguendo lo stesso
schema che abbiamo utilizzato per la presentazione dei tempi tedeschi:
(36) Gianni arriva.
(37) Gianni dorme.
(38) Il Nilo è in Africa.
(39) La penna è rossa.
Le considerazioni che possiamo fornire riguardo a questi enunciati, sono le stesse
che abbiamo indicato precedentemente per il tedesco. Intanto abbiamo fornito degli
esempi che contengono verbi con diversi contenuti lessicali, ossia a 0, 1 e 2 stati. In
sostanza, per gli esempi (38) e (39) l’interpretazione al presente degli enunciati non
comporta particolari problemi, per il fatto appunto che si tratta di un predicato a 0 stati
per il quale è possibile evincere solo il rapporto TT-TU. Non esistono, infatti, TTx per i
quali le asserzioni degli enunciati, cioè che il Nilo si trova in Africa e che il colore della
penna è rosso, non sono valide. Gli esempi (36) e (37) ci permettono invece di riflettere
su una possibile interpretazione al futuro del verbo espresso al presente. Dobbiamo
basarci sul contenuto lessicale dei verbi: in (36) si ha un verbo a 2 stati, in (37) un verbo
a 1 stato. Come per l’esempio (27) del tedesco, abbiamo in (36) una possibile lettura al
75
Nel caso del Passato prossimo si tratta del Perfetto composto, il quale ha la sua controparte nel
Perfetto semplice che traduce il Passato remoto. In questo lavoro utilizzeremo il termine Perfetto senza
aggiungere specificazioni, poiché ci concentreremo solo sul Passato prossimo. (Bertinetto, 1986:18).

futuro se pensiamo che il TSit del SS si colloca nel presente (adesso, ora)
e il TSit del TS si colloca in un momento futuro, quindi nel posttime del TSit
di TS. Rispetto ai contenuti lessicali a 2 stati, l’italiano offre la possibilità di esplicitare
meglio questa interpretazione del TS nel futuro attraverso la perifrasi progressiva “stare
+ gerundio”. Quindi l’esempio (36) diventerebbe:
(361) Gianni sta arrivando.
Se però applichiamo la stessa perifrasi a un verbo a 1 stato, come quello di (37)
dormire, abbiamo esclusivamente un’interpretazione al presente in cui TT e TU
coincidono. L’enunciato sarebbe:
(371) Gianni sta dormendo.
Ciò che questi esempi ci suggeriscono è che pur utilizzando lo stesso tempo
verbale e quindi mantenendo inalterato il rapporto TT-TU, l’italiano dispone di una
perifrasi verbale, ossia “stare + gerundio”, che applicata a una classe di verbi, ossia i
verbi a 2 stati, permette di veicolare in modo esplicito il valore della categoria
dell’Aktionsart più che determinati valori aspettuali. Come vedremo tra poco, la stessa
perifrasi è applicabile anche al passato.
Proseguendo, infatti, con Perfetto (ossia Passato prossimo) e Imperfetto bisogna
prestare ancora più attenzione al legame che s’instaura fra la nozione dell’aspetto e la
nozione della Aktionsart e, successivamente, alle scelte linguistiche per la loro
espressione, ovvero un predicato verbale semplice o una perifrasi. Se è vero che Perfetto
e Imperfetto veicolano lo stesso tipo di rapporto “TU after TT”, essi veicolano però due
diversi rapporti fra TSit e TT. Intuitivamente è possibile dedurre che il Perfetto veicoli il
rapporto “TSit parzialmente incluso in TT” e che l’Imperfetto veicoli il rapporto “TSit
completamente incluso in TT”, che corrisponde alla verità. Ma bisogna anche tenere
conto di altre caratteristiche semantiche dei verbi: per prima cosa, bisogna vedere a
quale classe azionale essi appartengono, ossia se si tratta di verbi puntuali, trasformativi,
risultativi o non-risultativi e le caratteristiche della Aktionsart dei verbi individuate da
Klein. Proviamo ora a unire i concetti di puntualità, trasformatività, risultatività e non-
risultatività con le classi di verbi a 0, 1 e 2 stati. In questo modo possiamo verificare
47

quali tempi veicolano valori aspettuali e in quale modo. In aggiunta utilizzeremo la
perifrasi progressiva “stare + gerundio” che abbiamo applicato poco sopra al Presente.
Per prima cosa, rispetto all’utilizzo del Perfetto, va detto che esso è possibile
sempre con i verbi a 1 e 2 stati. Ciò è dovuto al fatto che il Perfetto veicola il rapporto di
parziale inclusione di TSit nel TT e quindi indica che esiste un TTx nel quale l’azione o
l’evento non è più in corso e quindi l’asserzione valida inizialmente per un TT non è
valida per un TT1 esterno al TSit della situazione. Questo invece non è possibile con i
predicati a 0 stati perché, come abbiamo visto, l’asserzione di un enunciato che li
contiene è vera sempre e frasi come:
(40) *Il Nilo è stato in Africa.
(41) *La penna è stata rossa,
sono concettualmente impossibili, perché non esiste un TT1 per il quale non è più
valido asserire che il Nilo si trova in Africa o che la penna è rossa.
Come secondo punto, invece, opposto al precedente, pensiamo a quali verbi
ammettono l’utilizzo dell’Imperfetto: tutti i tipi riportati sopra, sia rispetto
all’Aktionsart, sia rispetto alle altre quattro categorie azionali. Con l’Imperfetto
veicoliamo il rapporto di inclusione totale del TSit nel TT per i verbi a 1 e 2 stati, come
abbiamo presentato più dettagliatamente nel par. 1.5, mentre per i verbi a 0 stati
abbiamo visto che la presenza di un verbo al passato veicola solo il rapporto “TU after
TT” non includendo alcun valore aspettuale, poiché non esiste un contrasto di TT per il
contenuto lessicale di tali verbi. Ciò significa che asserire che “la penna era rossa”
significa asserirlo per un particolare TT, introdotto per esempio da una domanda
esplicita, ma non significa asserire che prima o dopo quel TT la penna non è (più) rossa.
Possiamo ora fare una prova con la perifrasi progressiva “stare + gerundio” per
vedere quali valori essa veicola, dal momento che poco sopra per il Presente abbiamo
visto che rendeva possibile l’interpretazione del TSit del TS nel futuro (enunciato al
presente con verbo a 2 stati). Riteniamo dunque possibile che, veicolando valori
aspettuali grazie alla flessione verbale, l’applicazione della perifrasi si combina solo con
alcune classi azionali di verbi, rispondendo in questo modo anche a caratteristiche di
Aktionsart. Intanto il verbo stare della perifrasi progressiva si può coniugare solo
48

all’imperfetto e non al passato prossimo, e ciò ci farebbe dedurre che la perifrasi
risponde a qualche valore aspettuale del tipo “TSit incluso in TT”. Ma se guardiamo alle
classi azionali dei verbi e ai loro stati nei contenuti lessicali, vediamo che essa è
applicabile solo ai gruppi dei trasformativi, risultativi e non-risultativi. Tuttavia in
quest’ultima categoria dobbiamo fare una distinzione: come esempi per i non-risultativi
abbiamo volutamente riportato tre verbi con contenuti lessicali diversi, e in questo caso
parliamo degli stati (Klein), ossia essere (+ qualità), sapere e studiare. Solo al verbo
studiare è applicabile una perifrasi progressiva al passato, perché solo questo verbo ha
un contenuto lessicale a 2 stati che è compatibile con questa perifrasi. Non è possibile
dire:
(42) *La penna stava essendo rossa.
(43) ?Gianni stava sapendo la lezione.
Nel primo caso, con un verbo a 0 stati, non possiamo veicolare alcun valore
aspettuale, perché esso è collegato all’esistenza di un contrasto di TT che con questi
verbi non esiste. Nel secondo caso abbiamo un contrasto di TT esterno al TSit di
, ma la perifrasi non è utilizzabile perché manca la caratteristica
della “target-directed activity” 76 , propria dei verbi a 2 stati che contengono un
significato lessicale e anche la sua controparte. Se prendiamo a titolo di esempio il
verbo sapere, possiamo dire che un soggetto sa, ossia conosce qualcosa nel TT1, ma
esiste almeno un TTx, per esempio antecedente al TSit di , nel quale la
situazione era descrivibile come , quindi esprimibile con un’asserzione
che invalida la sua controparte positiva . Diversamente invece, il verbo
studiare veicola il contenuto lessicale , conoscenza raggiunta in un certo TT presumibilmente
nel TSit del TS di .
Con questi esempi abbiamo dimostrato che la perifrasi progressiva “stare +
gerundio” è sensibile alle caratteristiche del contenuto lessicale dei verbi e per questo
può essere applicata solo ai verbi di alcune classi azionali, ma dal momento che si
76 Cfr. par. 1.5.3.
49

compone di un verbo che si può flettere al Presente e all’Imperfetto, dalla sua
applicazione si veicolano anche valori aspettuali di inclusione del TSit nel TT.
2.3. Le perifrasi verbali
50
Un’altra differenza fra l’italiano e il tedesco riguarda l’esistenza, in italiano, di
altri tipi di perifrasi che veicolano l’idea di “essere in corso” e di durata di una
situazione. Citiamo a titolo esemplificativo tre perifrasi che saranno utili nella nostra
prossima analisi dei dati: “iniziare a + infinito”, “continuare a + infinito” e “finire di +
infinito”. Ricollegandoci alla perifrasi progressiva “stare + gerundio” abbiamo detto che
essa è sensibile alle caratteristiche azionali dei verbi ma veicola contemporaneamente
anche valori aspettuali.
Le perifrasi verbali che vogliamo presentare ora, invece, sembrano agire in
funzione delle proprietà azionali dei verbi. Ciò che suggeriscono queste tre perifrasi è
esprimibile in questi termini: “iniziare a” presuppone un pretime del TSit vuoto, nel
quale l’azione non è ancora iniziata e nel quale può trovarsi un possibile contrasto di
TT. “Continuare a” presuppone l’esistenza di un TT- pieno, perché l’azione in
svolgimento viene appunto “continuata” e il contrasto di TT è dato dal significato
lessicale del verbo (che ne prevede o meno uno). “Finire di” presuppone che esista un
TT- pieno, cioè un pretime nel quale TSit vale (come per “continuare a”), ma il
contrasto non si verifica rispetto a un posttime di TSit, ma rispetto al posttime di TT.
Questo significa che la fine di TSit coincide con la fine di TT, utilizzando invece solo il
verbo si lascerebbe aperta la possibilità che TSit si prolunghi oltre il TT. Compiendo un
ulteriore passo in questa riflessione, siamo portati a dire che queste perifrasi sono
compatibili solo con predicati che veicolino l’idea di durata di un’azione o di un
processo. Questo dipende dal fatto che se un’azione viene iniziata, continuata o finita,
essa ha una durata quantificabile attraverso un’indicazione esplicita fornita, per
esempio, dagli avverbi temporali. Tenendo a mente le classi azionali e i contenuti
lessicali dei verbi, possiamo affermare che tutte e tre le perifrasi qui presentate sono
compatibili con i verbi risultativi, che offrono uno sguardo sul risultato dell’azione
espressa dai loro contenuti lessicali. Forniamo gli esempi:

(44) Gianni inizia a / continua a / finisce di costruire una casa.
(45) Gianni inizia a / continua a / finisce di imparare. 77
Confermando le nostre supposizioni, le tre perifrasi sono compatibili con i verbi
che ammettono una durata. L’altra classe di verbi durativi è quella dei non-risultativi,
della quale abbiamo portato gli esempi: essere (+qualità), sapere, studiare. Rispetto a
questi verbi però, abbiamo delle difficoltà a esprimere enunciati con queste perifrasi e
un verbo a 0 stati. Ciò è da correlare al fatto che l’asserzione contenuta negli enunciati
con questi verbi è valida sempre ed è quindi molto difficile trovare contesti in cui
applicare ai contenuti lessicali a 0 stati una perifrasi progressiva di quelle elencate
sopra 78 . Per quanto riguarda i verbi “sapere” e “studiare”, solo il secondo è compatibile
con queste perifrasi, ossia è possibile dire:
(46) Gianni inizia a / continua a / finisce di studiare.
Con sapere possiamo applicare queste perifrasi solo se aggiungiamo degli
argomenti, per esempio un oggetto, alla componente INF di un enunciato. Sapere di per
sé è un verbo a 1 stato, ma se parliamo di “sapere la lezione”, per esempio, allora
veicoliamo un significato simile a quello di studiare, per cui per giungere allo stato di
partiamo da uno stato di , raggiunto
attraverso lo studio, la ripetizione, la ricerca, ecc (ossia mettendo in pratica la target-
directed activity). Tuttavia in questo caso non possiamo applicare la perifrasi “finire di”,
poiché intendiamo che, una volta imparata, il soggetto ricorderà e quindi saprà sempre
la lezione. Ma se prendiamo a confronto un altro verbo non-risultativo a 1 stato come
camminare allora possiamo applicare tutte e tre le perifrasi, dicendo:
77
Per quanto riguarda l’esempio (45) con “finire di imparare”, forse questo enunciato è più
conosciuto nella forma di “smettere di imparare”, per esempio nel modo di dire “non si smette mai di
imparare”.
78
A titolo esemplificativo riportiamo questo esempio contestualizzato che abbiamo inventato per
giustificare la presenza di una perifrasi progressiva. Si pensi al contenuto lessicale . Ora,
se sapessimo di una persona che si tinge i capelli con una certa frequenza, potremmo, in risposta ad una
domanda come “E adesso com’è X?”, pronunciare l’enunciato “Per ora X continua ad essere bionda”
sottintendendo l’implicazione >>”finché non si tinge i capelli di un altro colore” e l’implicatura →“X si
tinge spesso i capelli con colori diversi”. In questo caso abbiamo un TT1 per il quale l’asserzione “X è
bionda” non è più valida e questo TT1 è posteriore al TSit di . Tuttavia sottolineiamo il
fatto che abbiamo usato la perifrasi “continuare a” e non “iniziare a” o “finire di”, più suscettibili a fattori
aspettuali che non di azione verbale.
51

52
(47) Gianni inizia a / continua a / finisce di camminare.
Per quanto riguarda i due gruppi di verbi non durativi, ossia i puntuali e i
trasformativi, forniamo una spiegazione dell’utilizzo o meno delle perifrasi che richiede
la suddivisione del contenuto lessicale di tali verbi in: verbi che designano un’azione
immediata e verbi che designano un’azione graduale. Sebbene nella proposta di Klein
queste caratteristiche siano state ricondotte alla conoscenza del mondo dei parlanti e non
al contenuto lessicale vero e proprio del verbo 79 , noi ce ne serviamo qui per spiegare il
motivo per cui le perifrasi che abbiamo descritto possono essere o meno utilizzate con i
verbi puntuali e trasformativi. Dal momento che tali perifrasi vengono utilizzate per
fornire uno sguardo sull’azione “in corso”, è possibile (ma è solo una scelta) associarle
a verbi trasformativi come fermarsi, esprimendo ad esempio l’enunciato:
(48) Il treno ha iniziato a fermarsi.
Questo esempio ci suggerisce che possiamo utilizzare le perifrasi compatibilmente
con il contenuto lessicale dei verbi trasformativi, perché in questo caso pronunciare “Il
treno ha finito di fermarsi” risulterebbe contenere un eccesso d’informazione, dal
momento che se un treno finisce di fermarsi, allora è fermo o si ferma (ossia: il verbo
fermarsi pone già l’attenzione sulla fase finale del movimento e ciò non necessita di
essere esplicitato ulteriormente dalla perifrasi “finire di”) mentre per esprimere il
concetto di sarebbe più corretto, dal punto di vista stilistico,
utilizzare il verbo rallentare 80 . Un altro verbo di questa categoria è trovare, un verbo a 2
stati che abbiamo trattato al par. 1.3.3, riportando appunto l’idea di Klein rispetto a cosa
è il contenuto lessicale e cosa invece non vi appartiene. Anche con questo verbo però, se
ammettiamo una situazione che si svolge gradualmente, possiamo esprimere:
(49) Gianni continua a trovare le conchiglie. 81
Anche con questo esempio dimostriamo che è possibile applicare solo una delle
tre perifrasi che abbiamo presentato perché solo “continuare a” è compatibile con questa
interpretazione del contenuto lessicale di trovare.
79 Klein, 1994:74-81.
80 Rallentare è un verbo a 2 stati ed è compatibile con tutte e tre le perifrasi trattate.
81 Si veda in questo lavoro l’es. (9) e la relativa spiegazione per la trattazione del contenuto
lessicale dei verbi.

Trattando invece la categoria dei verbi puntuali, escludiamo che le perifrasi
possano applicarsi a questi ultimi che, per definizione, indicano nel contenuto lessicale
un’azione “senza durata”, ovvero con una durata estremamente breve e non esprimibile
con un avverbio di tempo introdotto dalla preposizione “per”, che indica appunto la
durata prolungata.
Possiamo concludere la panoramica sull’italiano dicendo che le perifrasi
presentate in questo paragrafo sono compatibili con i verbi a 2 stati mentre con i verbi a
1 stato è necessario prendere in considerazione altri parametri per definire il contenuto
lessicale stesso al fine di poter stabilire se il verbo e le perifrasi sono compatibili. Infine
con i verbi a 0 stati è necessaria la definizione di un contesto di applicazione molto
preciso e tendenzialmente meno facile da trovare. Tutto questo dimostra quindi che le
perifrasi progressive si collegano soprattutto a caratteristiche di Aktionsart e non tanto
di aspetto verbale, poiché abbiamo visto come sia possibile esprimere le perifrasi con
due dei tempi linguistici (presente e imperfetto) che abbiamo analizzato.
Per quanto riguarda il tedesco invece, è più difficile riuscire a trovare una tale
classe di perifrasi. Le discussioni a riguardo sono molte e risalgono già agli inizi del XX
secolo. Ciò che si può affermare con certezza è che, nonostante le molte classificazioni
proposte, ciò che nessun ricercatore o studioso ha mai messo in dubbio è l’espressione,
attraverso quelle che oggi si chiamano Funktionsverbgefüge, di caratteristiche legate
all’aspetto o ancora di più alla Aktionsart dei verbi stessi. Non esistono classificazioni
univoche che aiutino a distinguere una perifrasi da un’altra e nemmeno classificazioni
che propongano termini univoci per riferirsi all’una o all’altra costruzione. Van
Pottelberge (2000) propone una descrizione critica di molte classificazioni apparse in
ambito tedescofono negli ultimi 200 anni circa 82 . Se si è consci del fatto che una
costruzione contenente il verbo anfangen (cominciare) o il verbo aufhören (finire,
smettere) designano un momento delimitato di un processo, ossia la fase iniziale o
quella finale, esiste meno omogeneità nella definizione di strutture che sostituiscono
predicati verbali esistenti prediligendo però un momento particolare del processo
descritto. Prendiamo ad esempio il verbo entscheiden (decidere). Se guardiamo alle
classi di Vendler per definire la Aktionsart dei verbi, ci troviamo di fronte ad un verbo
82 Si veda in particolare il capitolo 3. (van Pottelberge, 2000:145-152).
53

puntuale, che quindi descrive un’azione “quasi senza durata”. Da questo tipo di
predicato si è sviluppata la perifrasi “zur Entscheidung bringen”, che vuol dire
“ponderare e poi prendere una decisione” e quindi rimanda sia a tutto il processo
decisionale, sia al momento della presa della decisione. È quindi possibile pensare che
tali “perifrasi” in tedesco, nascendo dall’unione di un verbo con un sostantivo, affinino
il significato del predicato verbale semplice attivando precise caratteristiche azionali
intrinseche alla semantica del verbo che sta alla base. Come in italiano, quindi, ci
ritroviamo a confronto con la Aktionsart dei verbi più che con valori aspettuali. Le
strutture del tedesco non sono grammaticalizzate (e utilizzate) come le perifrasi verbali
italiane 83 , ma fondamentalmente rispondo agli stessi principi di azionalità.
2.4. Tedesco e italiano: gli avverbi temporali
54
Gli avverbi temporali di cui dispongono italiano e tedesco sono piuttosto simili
nel loro significato e possono essere suddivisi nei gruppi che abbiamo presentato nel
par. 1.6. Classifichiamo di seguito in tabella gli avverbi di posizione e di contrasto che
meglio si prestano a marcare i fenomeni di continuità e contrasto temporale che
vogliamo prendere in considerazione nei nostri dati:
Tabella 1: Gli avverbi temporali in italiano e tedesco
TADV-P TADV di contrasto
ITA Adesso, all’inizio, alla
fine, finalmente
TED Jetzt, anfangs, zuletzt,
am Ende, endlich,
letztendlich,
schließlich,
anschließend
Ancora, ancora una
volta, di nuovo
Immer noch (anche:
noch immer), noch,
weiter, wieder, nochmal,
erneut
Tenendo a mente che stiamo presentando questi due sistemi linguistici nell’ottica
della proposta di Klein, osserviamo quanto segue. Iniziando con i TADV-P, diciamo
83
Una struttura come „bei etwas sein“, che letterealmente significa „essere nel fare qualcosa“
indica, nella zona renana, ciò che in italiano si esprime tendenzialmente con la perifrasi progressiva
„stare+gerundio“. Ma anche in questo caso di tratta di una particolarità regionale.

che essi svolgono una funzione molto importante rispetto alla fissazione di un TT.
Avverbi come “alla fine, all’inizio, adesso” e i loro corrispettivi tedeschi “am Anfang,
am Ende, jetzt” identificano delle sottoparti del tempo topicale, aiutando così il parlante
a posizionare temporalmente gli eventi. Per quanto riguarda l’ancoraggio temporale di
una situazione all’asse cronologico, ciò diventa possibile grazie ai valori contenuti nelle
indicazioni temporali dell’enunciato (flessione o avverbi). Questo permette di ancorare
il valore INF del verbo a un intervallo temporale, rendendo così FIN il verbo. Questo
principio spiega il collegamento che si crea fra FIN e INF, o meglio, fra le loro
caratteristiche temporali. Il TT del verbo finito che regge l’enunciato e introduce e
governa la parte non finita dell’enunciato deve coincidere con il TT in cui si colloca
l’azione descritta da INF, ossia T(INF), perché l’enunciato abbia senso. A seconda del
tipo di verbo, il TT del verbo finito si trova nel TSit del singolo stato dei verbi a 1 stato
e in entrambi gli stati o nel posttime del TSit dei verbi a 2 stati. L’asserzione allora è
valida nei limiti specificati dall’avverbio temporale di posizione. Solo in questo modo si
ottiene un’effettiva congruenza temporale nell’enunciato, evitando espressioni come:
(50) *Penso di lavorare ieri dalle due alle quattro.
Il verbo al presente “penso” si riferisce ad un TT anch’esso nel presente, come
“adesso” oppure “oggi”. La parte non finita sulla quale governa questo verbo è delineata
invece dal TADV-P “ieri”, che indica esplicitamente il TT del verbo all’infinito
“lavorare” e si tratta di un TT nel passato. Da questa incongruenza fra gli ancoraggi
temporali dei due TSit, “adesso, oggi” vs. “ieri” nasce l’impossibilità di concepire un
enunciato come in (50). Enunciati corretti che rispettano il Principio della Congruenza
Temporale sarebbero:
(501) Penso di lavorare OGGI dalle due alle quattro.
(502) PENSAVO di lavorare ieri dalle due alle quattro. 84
Spostando la nostra attenzione sugli avverbi temporali di contrasto, essi occorrono
per inserire nell’enunciato un contrasto di TT rispetto al contenuto lessicale che descrive
la situazione topicale. Bisogna chiarire bene cosa s’intende con “contrasto”, dal
84 Maiuscole della scrivente.
55

momento che questo termine può portare a dei fraintendimenti. Se guardiamo alla
Tabella 1, vediamo che alcuni avverbi sono stati evidenziati in rosso e altri in blu.
Grazie a questi avverbi possiamo spiegare quali accezioni del contrasto sono da
prendere in considerazione 85 .
56
Consideriamo gli avverbi temporali di posizione evidenziati in rosso e per
chiarezza esemplificativa ci concentriamo sugli avverbi italiani: alla fine, finalmente.
Sebbene entrambi veicolino l’idea di un momento finale in un processo, essi non
vengono utilizzati in modo complementare. Questo è un problema che abbiamo
riscontrato nella fase dell’interpretazione dei dati e che è bene chiarire a priori, in modo
da non incappare in fraintendimenti con i dati stessi. La domanda che ci siamo posti è
stata innanzitutto quella di capire quando viene usato quale avverbio e in secondo luogo
come discriminare questo uso. Siamo giunti alla seguente conclusione: in entrambi gli
avverbi è presente il significato di “fase finale di un processo”. Ma per discriminare
l’uso dei due avverbi occorre svolgere un piccolo test ponendosi la domanda: “Quando
avviene X?”. A tale domanda è possibile rispondere solo con “alla fine (avviene X)” e
in questo modo, grazie al pronome interrogativo “quando” abbiamo l’effettiva
fissazione di un punto, di un lasso temporale topicale. Allora l’avverbio alla fine è
meramente un avverbio temporale di posizione 86 , mentre l’avverbio finalmente veicola
un contenuto lessicale più complesso ed implicito descrivibile con “si aspettava X già
da prima e FINALMENTE 87 X avviene”. Può anche essere che X avvenga
effettivamente nella parte finale di un certo processo, ma finalmente veicola un
contrasto informativo al livello della polarità dell’azione topicale, ossia: “non X –
finalmente X”. X non è avvenuto nel passato mentre era atteso e nel momento in cui X
avviene si esplicita il contrasto di polarità nella nuova situazione topicale rispetto alla
precedente (quella in cui X non era avvenuto). Queste considerazioni sono riportabili
anche agli avverbi tedeschi “am Ende vs. letztendlich/endlich/schließlich” rispetto
85
Ringrazio molto Cecilia Andorno per avermi suggerito questa riflessione e per la disponibilità
che ha dimostrato nel discuterla dettagliatamente.
86
Casi in cui „alla fine“ ricopre un ruolo di avverbio di contrasto si possono avere grazie
all’utilizzo dell’intonazione, che sposta il focus dell’enunciato proprio sull’avverbio. Per cui gli enunciati
“alla fine avviene X” e “ALLA FINE avviene X!” veicolano di nuovo due informazioni differenti rispetto
al contrasto fra due situazioni, perché solo il primo risponde alla domanda “Quando?”.
87
Maiuscole della scrivente.

appunto al solo valore posizionale introdotto dall’avverbio am Ende e a un valore di
tipo contrastivo introdotto dagli altri avverbi letztendlich, endlich, schlielich.
Rimanendo nell’ambito del contrasto, passiamo ad analizzare gli avverbi che
abbiamo evidenziato in blu: ancora per l’italiano e noch/immer noch per il tedesco. In
questo caso ci troviamo in presenza di avverbi di contrasto, eppure dobbiamo introdurre
un altro tipo di discriminazione. Si tratta in questo caso di capire di quale tipo di
contrasto parliamo. Se pensiamo a frasi come:
(51) Il Signor Rossi dorme ancora.
(52) Herr Rot schläft noch,
possiamo rappresentare il rapporto introdotto dall’avverbio ancora, noch in questi
termini: “X – ancora X”, dove X rappresenta l’azione svolta. La domanda che ci siamo
posti ha riguardato il fatto che, a nostro avviso, con questi enunciati non si instaurava
alcun tipo di contrasto fra una situazione precedente e la sua continuazione successiva.
Abbiamo allora dedotto che in casi come questi, il “contrasto” pensato da Klein fosse in
realtà da intendersi in termini di “confronto” fra due situazioni: dal momento che nessun
elemento topicale cambia e che la polarità dell’azione rimane la stessa, gli avverbi
ancora, noch veicolano un’aggiunta di TT dato che indicano che la situazione
presentata in precedenza continua in un momento successivo e l’asserzione che ad essa
si riferisce rimane valida anche per il TT successivo della situazione seguente 88 .
Come ultima considerazione vorremmo affrontare l’analisi di nochmal, l’avverbio
temporale di contrasto utilizzato in tedesco per descrivere un’azione ripetuta. Ci siamo
intanto chiesti come discriminare fra l’idea di un’azione continuata e di una ripetuta,
soprattutto notando che in tedesco l’idea di ripetizione e quindi di azione iterata è
fornito grazie ad un avverbio composto da noch, ossia dall’avverbio utilizzato per
esprimere la continuità di un’azione. Riprendendo la proposta di Klein, abbiamo notato
che anch’egli conduce un’analisi di questo genere proponendo degli esempi con il verbo
to sleep, dormire:
par.17.
(53) For three months, he slept.
88 Le considerazioni relative alle varie accezioni del termine “contrasto“ sono state presentate nel
57

58
Dormì per tre mesi.
(54) For three months, he slept on the floor. 89
Per tre mesi, dormì sul pavimento.
Per spiegare il motivo per il quale l’enunciato in (53) è difficilmente credibile
mentre l’enunciato in (54) è pienamente comprensibile, Klein introduce il Principio del
Contrasto Ragionevole:
“The assertion, which extends over the focused part of the lexical content,
must allow for a reasonable contrast.” 90
Grazie a questo principio, Klein spiega che, basandosi sulle conoscenze del
mondo dei parlanti e prendendo in considerazione il contenuto lessicale dei verbi, è
possibile stabilire una lettura “continuativa” (ongoing) oppure una lettura iterativa di un
enunciato. I due esempi riportati sopra ci dimostrano l’applicazione di questo criterio: in
primo luogo bisogna identificare la parte INF dell’enunciato, che in (53) è solo mentre in (54) contiene anche altre informazioni . A
questo punto è possibile, grazie alle conoscenze che ciascuno possiede rispetto
all’attività del dormire riferita ad una persona, ritenere possibile l’enunciato (54) e poco
plausibile l’enunciato (53). Con una lettura iterativa (53) sarebbe plausibile, ma
tendenzialmente non diamo una lettura di questo tipo quando abbiamo a che fare con
fatti ovvi come quello del dormire. Invece riteniamo logico leggere iterativamente (53)
in un contesto in cui, per esempio, ci si informi se qualcuno per tre mesi ha dormito a
terra. Il contesto gioca un ruolo molto importante: se ipotizziamo che la persona di cui
si parla soffre d’insonnia e in seguito a una cura si dice di tale persona che “dormì per
tre mesi (sottintendendo: poi però ebbe di nuovo i suoi problemi d’insonnia)” allora è
possibile effettuare una lettura iterativa del contenuto lessicale perché si è in
presenza di altre informazioni contestualizzate.
Ritornando alle due lingue in analisi, abbiamo notato che, mentre nella lingua
tedesca la lettura iterativa di un’azione è fornita tramite l’utilizzo di nochmal (ed
89 Klein, 1994:206.
90 Klein, 1994:207.

eventualmente di wieder), in italiano tale lettura è possibile grazie all’affisso iterativo
“ri-“ applicato direttamente al verbo, per cui si hanno enunciati del tipo:
(55) Herr Blau ruft nochmal die Feuerwehr.
(56) Il signor Blu richiama i pompieri.
Quindi è possibile dedurre che in tedesco sia l’iteratività sia la continuità di un
processo o di un’azione vengano prevalentemente marcate con avverbi di contrasto,
mentre in italiano è possibile marcare la continuità sia con avverbi di contrasto (ancora)
sia con perifrasi verbali (continuare a), mentre l’iteratività viene marcata
prevalentemente a livello verbale grazie ad affissi iterativi come “ri-“.
Quindi, per concludere questo confronto interlinguistico, posto che l’italiano offre
una morfologia più complessa ma anche più analizzabile, mentre il tedesco dispone di
una maggiore quantità di avverbi di cui fa un utilizzo diverso rispetto all’italiano, ci
siamo posti le seguenti domande, alle quali vorremmo dare una risposta in ottica
acquisizionale, trattando successivamente nello specifico l’acquisizione di italiano L2
da parte di germanofoni:
1. Quali mezzi utilizzano i parlanti per codificare l’aspetto verbale nella L2?
Seguono le regole della loro L1 oppure hanno già “importato” le regole che
governano la L2? Se sì, in maniera generale oppure prevalentemente rispetto a
certi gruppi di verbi e avverbi?
2. Come viene introdotto il contrasto di TT dai parlanti germanofoni di italiano
L2? E di quale tipo contrasto si tratta: (effettivo) contrasto informativo o
aggiunta di TT come continuazione, ripetizione o restituzione? Infine: se il
contrasto viene marcato, quale marcatura è utilizzata per quale informazione?
59

3. L’APPRENDIMENTO DELL’ITALIANO L2
Questa sezione vuole fornire una panoramica sugli studi svolti finora
sull’apprendimento dell’italiano (L2). Non pretendiamo di essere esaustivi in così poco
spazio e inoltre ci concentreremo soprattutto sull’apprendimento del sistema verbale e
avverbiale in rapporto all’espressione di tempo e aspetto per fornire le basi teoriche alla
nostra futura analisi dei dati.
La bibliografia nell’ambito dell’apprendimento di una L2 è vastissima. Noi ci
siamo basati sui lavori derivati dal Progetto di Pavia 91 per l’acquisizione dell’italiano
L2, lavori che hanno permesso anche di sviluppare riflessioni sull’acquisizione
dell’italiano L1. Avendo presentato nel capitolo precedente le possibilità
grammaticalmente corrette offerte dalle due L1 nell’espressione di tempo e aspetto e
nell’utilizzo degli avverbi temporali, cercheremo con questo capitolo di restringere la
nostra attenzione sulle possibilità effettivamente concretizzate dagli apprendenti di
italiano L2 con l’intento di fornire, se non delle spiegazioni universalmente accettabili,
almeno delle indicazioni che, a nostro avviso, possono costituire la base per la ricerca di
spiegazioni di più ampio respiro.
Per prima cosa introduciamo dei criteri generali riguardanti lo sviluppo in L2 del
sistema verbale, facendo attenzione allo sviluppo del concetto e della sua espressione
tramite i mezzi grammaticali.
3.1. Sviluppo del sistema verbale in L1 e L2
Confrontando l’apprendimento e quindi gli stadi di sviluppo di una L1 e una L2
bisogna subito fare un’osservazione importante, delineata in modo chiaro da Giacalone
Ramat (1986) nella presentazione del Progetto di Pavia. Ciò che distingue
l’apprendimento della L1 da quello della L2 riguarda, prima delle difficoltà linguistiche,
91
Il Progetto di Pavia è iniziato nel 1986, è stato coordinato dalla Prof.ssa Anna Giacalone Ramat
e ha visto la collaborazione di docenti e ricercatori di varie università italiane (Trento, Bergamo, Torino e
Udine). I primi risultati di questa ricerca sono riportati nel volume curato da Giacalone Ramat/Bernini
“La temporalità nell’acquisizione di lingue seconde” (1988).
61

un diverso approccio ai concetti. Un bambino che impara la propria lingua deve
apprendere non solo quali forme veicolano quali idee o funzioni, ma anche le funzioni
stesse. Quindi, apprendendo grazie a vari tipi di stimoli e di input la propria lingua
madre, deve etichettare gli item che impara non solo in base alle loro caratteristiche
morfologiche e sintattiche, ma anche in base al contesto di utilizzo. È chiaro che questo
processo avviene in un lasso di tempo che non è mai troppo breve 92 . Un apprendente di
L2, per esempio un adulto, ma anche un adolescente, possiede già determinati concetti
(pensiamo al nostro caso: idea di tempo, ancoraggio temporale, successione temporale
degli eventi, ecc.), che quindi non deve apprendere ex-novo nella L2. In questo caso,
l’apprendente deve capire come questi concetti vengano codificati nella lingua di arrivo.
L’analisi di Schwarze (1986) ci sembra, a questo riguardo, molto interessante. Lo
studioso propone una suddivisione del sistema dei tempi verbali dell’italiano in tre
livelli: quello della forma, che contiene le informazioni sulla codifica dei tempi verbali,
quello delle funzioni, che contiene i tempi verbali grammaticalizzati 93 , e infine quello
del senso, che fornisce l’interpretazione dei tempi verbali 94 . Se un discente, a livello
formale e funzionale, si trova a dover apprendere buona parte del materiale da principio,
a livello semantico (quindi quello del senso) egli si trova già in possesso di strutture
concettuali che potremmo definire in un certo senso “universali”, cioè che forniscono le
basi cognitive per la deissi temporale in quanto si basano sull’esperienza della
temporalità di ciascun parlante. La difficoltà sta quindi nel relazionare tali concetti
“universali” con la forma grammaticalizzata che essi hanno nella lingua di arrivo 95 .
92
Vi sono comunque delle differenze relazionabili all’età dell’apprendente. Si veda anche Dittmar
(1986) per il tedesco L2.
93
È in questo livello che si trovano le differenze più visibili (e forse per questo più superficiali) fra
le lingue: non tutte le lingue codificano allo stesso modo la stessa funzione. Come abbiamo già visto per
l’italiano e il tedesco (entrambe appartenenti alla famiglia delle lingue indoeuropee) la codifica dei tempi
e dei modi verbali differisce notevolmente. Tuttavia questo non è da intendere come una mancanza, in
una determinata lingua, di certi concetti temporali e aspettuali. La codifica riguarda appunto la
grammaticalizzazione e la morfologia dei paradigmi verbali, i concetti da esprimere risiedono in uno
stadio a monte di questo. (Bernini/Giacalone Ramat, 1990:320).
94
Si trovano quindi in questo livello i concetti come localizzazione temporale, tempo topicale,
tempo della situazione e dell’enunciazione, ordine temporale degli eventi, ecc. (Bernini(Giacalone Ramat,
1988: 317).
95
La difficoltà starebbe quindi, secondo Schwarze, nell’essere indiretto dell’accesso al sistema dei
tempi, che si aggiunge ovviamente all’elaboratezza e all’astrazione che può avere questo sistema nella
L2. (Bernini/Giacalone Ramat, 1990: 321).
62

Vediamo ora più nello specifico quali differenze caratterizzano l’acquisizione di
italiano come L2.
3.2. Italiano L2
Il volume da cui traiamo la maggior parte dei nostri dati è “Verso l’italiano”,
curato da Anna Giacalone Ramat (2003).
3.2.1. Sviluppo di un sistema di forme in italiano L2
Tenendo a mente la fondamentale distinzione fra italiano di bambini e italiano L2
che abbiamo esposto sopra nel par. 3.1, passiamo ora in rassegna le considerazioni
principali che riguardano l’apprendimento della L2 rispetto alla categoria del verbo e
all’espressione dei rapporti temporali. La prima considerazione che si può fare,
seguendo Giacalone Ramat (1990) 96 nella sua presentazione dei dati del Progetto di
Pavia, è che, se è vero che l’italiano come lingua flessiva offre una morfologia verbale
molto ampia e strutturata, è altrettanto vero che tale morfologia viene scomposta
abbastanza facilmente dagli apprendenti stranieri 97 . Ciò significa che è relativamente
facile distinguere nei verbi una radice (che non cambia) e un suffisso morfologico
(variabile) che, una volta separati, possono essere analizzati meglio dagli apprendenti e
ricevere i valori formali e funzionali più corretti nella successiva realizzazione
linguistica. Quindi, la pervasività del sistema flessivo italiano può facilitare
l’osservazione della L2 da parte dell’apprendente; la regolarità della formazione della
flessione può aiutarlo nel suo compito di ricostruzione del sistema flessivo; la
trasparenza del rapporto fra forme e funzioni può aiutarlo a ricostruire il valore
funzionale delle forme che ha individuato. In particolare, possiamo dire che le forme
verbali che si sviluppano per prime nei racconti degli apprendenti sono quelle della II e
III persona singolare del presente indicativo, probabilmente perché più diffuse
nell’input e meno complesse strutturalmente. Questo tipo di analisi degli item linguistici
compare negli apprendenti di L2 più lentamente rispetto ai bambini che apprendono la
L1 98 : questi ultimi sono infatti più inclini a sviluppare i mezzi morfologici per esprimere
96
Bernini/Giacalone Ramat, 1990:33.
97
Ritroviamo lo stesso tipo di considerazione in Noyau (2002).
98
Esistono due tipi di analisi sugli item. Come evidenziava Berretta (1995) le analisi dipendono
dalla L1 dell’apprendente: apprendenti sinofoni, per esempio, seguono un apprendimento per chunk,
63

le diverse funzioni e i valori dell’aspetto verbale, mentre gli apprendenti di L2 restano
più a lungo in uno stadio in cui tali valori sono espressi tramite mezzi lessicali.
3.2.2. Sviluppo di un sistema di funzioni in italiano L2
64
L’apprendimento di una L2 come l’italiano porta gli apprendenti a un’analisi delle
forme e delle funzioni da esse veicolate in modo da utilizzare la forma corretta per la
funzione che si persegue. In quest’ottica è possibile individuare un percorso
acquisizionale che inizia con l’utilizzo di mezzi discorsivi e lessicali e giunge allo
sviluppo di mezzi grammaticali (la flessione verbale) per esprimere i valori tempo-
aspettuali in italiano L2.
I primi mezzi linguistici impiegati per veicolare valori tempo-aspettuali sono
lessicali, in particolare si tratta di avverbi (locali, temporali, deittici) o di toponimi.
Tenendo in considerazione lo sviluppo dell’interlingua attraverso le tre fasi definite
“prebasica > basica > postbasica”, si nota come in ciascuna di esse i valori tempo-
aspettuali vengano veicolati con mezzi linguistici diversi. Nei primi stadi sono infatti gli
elementi lessicali che permettono al parlante di esprimere il susseguirsi cronologico
degli eventi, pur raccontando con enunciati nei quali il verbo è tendenzialmente al
presente. Per esempio, il parlante madrelingua, ponendo una domanda in un tempo
passato all’apprendente, può ricevere una risposta al presente che però si lega alla
domanda al passato e quindi, contestualmente, contiene il racconto di una situazione che
si è svolta nel passato 99 . Un’altra strategia consiste nel racconto degli eventi seguendo il
loro “ordine naturale”, ovvero raccontandoli nell’ordine cronologico in cui sono
avvenuti. Infine, è possibile discriminare il tempo passato da quello presente attraverso
l’utilizzo di avverbi (toponimi relativi alla città di provenienza che veicolano l’idea di
passato di contro ad avverbi deittici, come qua, che collegano al tempo presente).
Alcuni degli avverbi che compaiono per primi sono sempre, che permette di codificare
quindi con un’analisi degli item più lenta nel tempo e con l’utilizzo indistinto dello stesso chunk verbale
indipendentemente, per esempio, dal numero. Invece apprendenti germanofoni e anglofoni tendono a
procedere tramite formazioni analogiche di item che hanno già analizzato e quindi preferiscono un
apprendimento per regole. (Simone, 1995:208).
99
In questi racconti di varietà prebasiche dell’italiano L2 il significato dell’enunciato è
massimamente dipendente dal contesto e dalle conoscenze enciclopediche di parlante e ascoltatore (per
esempio: l’intervistatore sa da dove proviene il parlante che sta intervistando e quale tragitto egli abbia
seguito per giungere in Italia e comprende quindi quale sia la successione cronologia che il parlante dà al
proprio racconto). (Bernini/Giacalone Ramat, 2003:87-88).

la caratteristica di abitualità dell’evento, e qui, adesso per esprimere una valenza
temporale di attualità rispetto a fatti successi precedentemente.
3.2.3. Sviluppo della morfologia flessiva in italiano L2
Quando, soprattutto nelle varietà d’interlingua più avanzate, l’apprendente
sviluppa maggiormente anche la morfologia verbale, egli può esprimere i valori tempo-
aspettuali grazie alla flessione 100 . Volendo tracciare una sorta di percorso evolutivo
della morfologia verbale, si può dire che, per quanto riguarda il tempo verbale, compare
il presente come primo tempo verbale, soprattutto le forme della II e III persona
singolare, in alternativa però all’infinito (questo dipende molto dalla L1
dell’apprendente). Le forme di II e III persona singolare sono comunque molto frequenti
nell’input, ma sono anche più semplice strutturalmente, perché appunto non marcate dal
punto di vista strutturale (come lo sono, per esempio, le forme del plurale). In seguito si
sviluppa il participio passato, che si completa lentamente nel passato prossimo grazie
agli ausiliari, ma è il primo tempo che permette di introdurre la prima distinzione
aspettuale nei racconti. Il participio ha valore aspettuale perfettivo (parziale inclusione
di TSit in TT), mentre l’imperfetto, che si sviluppa dopo il participio, ha valore
aspettuale imperfettivo (inclusione totale di TSit in TT). Quindi, quando, nelle prime
fasi (prebasica-basica) l’apprendente dispone solo della forma base (presente di II e II
persona singolare) e del participio, la distinzione è prevalentemente aspettuale, ovvero
si usa il participio passato per raccontare gli eventi compiuti e la forma base per tutto il
resto. Questo implica che per raccontare eventi passati imperfetti si usa la forma base.
Quando l’apprendente acquisisce anche l'imperfetto, questa forma si specializza per il
passato, cioè ha un chiaro valore deittico di passato, che lo contrappone alla forma base,
e contemporaneamente, forma una coppia oppositiva di tipo aspettuale con il participio.
Quindi, quando l’apprendente arriva allo stadio in cui dispone di tre forme, ovvero
presente (forma base), participio (completato o meno con gli ausiliari) e imperfetto,
allora si riorganizzano anche le funzioni e i valori dei tempi verbali: l’imperfetto veicola
l’idea di TSit incluso in TT (quindi diremmo l’imperfettivo) mentre il participio veicola
l’idea di parziale inclusione del tempo della situazione in quello topicale (quindi
100
Un’analisi più generale relativa alla “aspect hypothesis” per quanto riguarda lo sviluppo dei
concetti tempo-aspettuali e la loro codifica da parte degli apprendenti era stata condotta già nel 1994 da
Andersen e Shirai. (Andersen/Shirai, 1994:133-156).
65

diremmo il perfettivo). Riteniamo comunque molto interessante per la nostra analisi il
fatto che, come prima distinzione, se ne verifichi una di tipo piuttosto aspettuale che
non temporale 101 non appena il parlante possa distinguere grammaticalmente il presente
dal passato, e questo è ascrivibile, a nostro avviso, al fatto che in italiano sia codificata
solo nel passato la distinzione aspettuale del TT che include completamente o
parzialmente il TSit. Tuttavia va tenuto in considerazione che lo sviluppo, per prima,
della forma base al presente, permette di introdurre una primissima distinzione
temporale, e non aspettuale, fra passato e presente. Questo tipo di distinzione con le
relative codifiche morfologiche sul verbo si espande in relazione al significato lessicale
dei lessemi verbali, per cui la flessione imperfettiva si sviluppa prima nei lessemi che
permettono di introdurre un’indicazione aspettuale (come i verbi telici) per poi
raggiungere gradualmente anche altri tipi di verbi, mentre la flessione perfettiva inizia
sui verbi stativi (durativi, non telici). Riprendendo ciò che anche Banfi/Bernini (2003)
avevano concluso, possiamo dire che i verbi con significato telico e puntuale si adattano
meglio all’espressione della parziale inclusione di TSit in TT (perfettivo), mentre quelli
durativi sono più consoni per apprendere ad esprimere la completa inclusione di TSit
nel TT (imperfettivo).
66
Essendo ormai giunti alla descrizione di varietà di apprendimento avanzate
(basica-postbasica) riprendiamo alcuni lavori recenti di Noyau (in Salaberry/Shirai
2002) e del gruppo Carroll, Natale, Starren (2008) grazie ai quali ricostruiamo il
percorso seguito dagli apprendenti per la codifica dei valori tempo-aspettuali 102 : prima
si ha un’ipotesi nulla, appunto perché l’apprendente non ha ancora sviluppato nessun
101
Dal momento che all’inizio dell’apprendimento la morfologia del sistema verbale è molto
lacunosa, riteniamo importante sottolineare, riprendendo l’idea di Andersen, che “in the beginning stages
of language acquisition only inherent aspectual distinctions are encoded by verbal morphology, not tense
or grammatical aspect” (in Huebner/Ferguson, 1991:307). Questo principio della “defective tense
hypothesis” rispecchia appieno il processo di apprendimento riscontrato negli apprendenti del Progetto di
Pavia, ossia un’intensa collaborazione fra azionalità e quindi caratteristiche temporali intrinseche del
verbo (si vedano i verbi telici, puntuali o trasformativi) e la prima codifica di un valore aspettuale per
situazioni esprimibili attraverso i vari tipi di verbi.
102
Anche Bardovi-Harlig (2000) ha condotto uno studio sperimentale utilizzando come stimolo le
scene di „Modern Times“ di Charlie Chaplin al fine di investigare la comparsa della morfologia tempoaspettuale
in relazione al tipo di discorso (scritto oppure orale) che l’apprendente devo organizzare. Lo
studio permette di avere un’idea precisa per quanto riguarda la comparsa di sequenze acquisizionali,
aspetto e organizzazione dell’informazione in apprendenti di inglese L2.

tipo di diversificazione funzionale ed esprime enunciati con la forma base del verbo o
all’infinito, come ad esempio in:
(57) Io pensare così. 103
In secondo luogo l’apprendente crea un’ipotesi legata alla semantica del verbo e
quindi alle caratteristiche temporali interne del lessema, questo introducendo una prima
distinzione fra presente e passato grazie al participio:
(58) Io ho fatto speciale media di medico finito. 104
Infine si raggiunge lo sviluppo di un’ipotesi aspettuale o di una temporale, che
possono anche essere contemporanee 105 , quindi grazie all’apprendimento
dell’imperfetto e alla riorganizzazione del sistema verbale, che consta ora di presente,
participio (con eventuale ausiliare) e imperfetto, l’apprendente può operare
un’opposizione aspettuale al passato raccontando se il TSit di un’azione fosse incluso
oppure no nel TT per il quale sta formulando un’asserzione.
Il gruppo Carroll et al. si è invece concentrato sullo sviluppo delle perifrasi
progressive in varie L2 e ha evidenziato come gli apprendenti germanofoni d’italiano
riescano a sviluppare in modo incredibilmente simile alla lingua d’arrivo la perifrasi
progressiva “stare + gerundio”, utilizzata per descrivere situazioni in svolgimento, e in
particolare situazioni che portino alla produzione di un prodotto finito 106 (verbi telici
con obiettivo materiale). Dal momento che anche i nostri dati sono tratti da parlanti di
livello intermedio e avanzato riteniamo interessante per i nostri fini introdurre
l’osservazione effettuata da Carroll et al. sui loro risultati, che confronteremo più avanti
con quelli della nostra ricerca. Le percentuali di realizzazione della perifrasi progressiva
“stare + gerundio” per lo stesso tipo di scene è molto simile in italiano L1 ed L2 di
germanofoni. Questo ha portato le studiose a concludere che non solo gli apprendenti
“ ‘importent’ la logique sous-jacente au fonctionnement de l’aspect progressif,
mais aussi la fréquence d’utilisation.” 107
103 Giacalone, 2003:89.
104 Giacalone, 2003:90.
105 Salaberry/Shirai, 2002:111.
106 Una descrizione dettagliata dei criteri e degli stimoli per la raccolta dei dati effettuato da questo
gruppo di studiose si trova in Carroll et al. 2008:33-37.
107 Carroll et al. 2008:49.
67

68
Concludendo, pensiamo si possa ipotizzare che gli apprendenti capiscano il
meccanismo per la formazione della perifrasi progressiva e della perifrasi verbale o il
contesto più adatto per utilizzarla (per esempio le situazioni che permettono l’utilizzo di
verbi aventi una limitazione temporale interna) e siano inoltre sensibili anche alla
frequenza con cui questo tipo di perifrasi viene utilizzata nella L2. Terremo conto di
questa osservazione più avanti, quando analizzeremo i dati che abbiamo raccolto.
Avendo a questo punto fornito le basi teoriche su cui fondiamo la nostra analisi e
avendo presentato lo stato della ricerca fatto finora in quest’ambito della linguistica,
passiamo, nel prossimo capitolo, alla presentazione della nostra ricerca di campo.

4. LA RICERCA
Nel presente capitolo vogliamo fornire una descrizione della raccolta dati che è
stata condotta a opera della scrivente nel periodo gennaio – aprile 2008 nella città di
Costanza (D), nella quale risiedeva grazie ad uno scambio universitario. Non si tratta
quindi di uno studio longitudinale in cui i parlanti sono stati intervistati più volte
nell’arco di un lungo periodo di tempo, quanto piuttosto di un’osservazione simultanea
di un determinato fenomeno linguistico: la continuità e il contrasto temporale nella
narrazione orale e la loro marcatura.
I criteri per la scelta dei parlanti sono stati i seguenti 108 :
- età compresa fra i 20 e i 30 anni,
- provenienza dall’Italia del Nord per gli italiani e dal Sud della Germania
per i tedeschi. Vale la stessa regola per la L2, ossia i periodi trascorsi dai
parlanti nel Paese straniero sono avvenuti nell’Italia del Nord e nel Sud
della Germania. Tutto questo in modo da avere una certa compattezza
diatopica,
- competenza progredita in L2, grazie anche all’aver trascorso dei periodi
di studio e/o lavoro nel Paese della lingua studiata 109 ,
- apprendimento non spontaneo della L2, ma grazie a corsi scolastici e
universitari.
I parlanti sono stati individuati attraverso richieste dirette con la presentazione del
progetto di ricerca durante i corsi universitari del Dipartimento di Linguistica e
Lettratura dell’Università di Costanza 110 . In totale, il gruppo consta di 16 soggetti, 8 per
ogni lingua. I parlanti sono in prevalenza di sesso femminile, infatti solo 5 su 16 sono
108
È stato fatto il possibile per rispettare tutti i criteri. Ove vi fossero degli allontanamenti dai
criteri, verrà spiegato il motivo per cui un parlante è stato comunque tenuto in considerazione. Per questi
dettagli si veda più avanti in questa sezione.
109
7 su 8 informanti italiani, infatti, si trovavano nella città di Costanza grazie ad uno scambio
universitario.
110
Questa fase è stata molto difficile, poiché soprattutto i parlanti tedeschi hanno mostrato una
certa reticenza all’idea di “sottoporsi” a un esperimento linguistico. Con il gruppo dei parlanti italiani,
invece, questa difficoltà è stata superata più velocemente grazie a un avvicinamento al di fuori degli
ambienti universitari che è stato possibile instaurare con molti di essi.
69

agazzi (3 italiani e 2 tedeschi). Da subito è stato chiaro che non sarebbe stato facile
trovare studenti disposti a collaborare e per questo motivo si è deciso di non prendere in
considerazione la variante del genere nella scelta dei criteri per costituire il gruppo dei
partecipanti da intervistare.
4.1. I parlanti tedeschi
70
La seguente tabella mostra in breve le caratteristiche dei nostri informanti
tedeschi. Le sigle per la loro identificazione, che valgono anche per i parlanti italiani,
sono state stabilite secondo i criteri di trascrizione compatibili con il programma
CHILDES-Clan 111 . Quindi: i codici identificativi dei parlanti sono stati formati
utilizzando, ove questo fosse possibile, le prime tre lettere del nome anagrafico per
creare un nome fittizio esistente nella stessa lingua del parlante.
111 Si veda Appendice 1.
Tabella 2: Parlanti tedeschi
Codice Età Ita L2 (anni)
Anke ANK 22 3 anni
Sabine SAB 25 3 anni
Alida ALI 23 7,5 anni
Anneli ANN 19 4 anni
Alf ALF 22 3 anni
Faust FAU 25 1 mese
Simone SIM 25 autodidatta
Alyssa ALY 24 6 mesi

Alcune considerazioni da fare rispetto a questo gruppo di parlanti sono le
seguenti: nella terza colonna „Ita L2 (anni)” abbiamo indicato solo il periodo di durata
dei corsi istituzionali, a scuola o in università, ai quali hanno preso parte i parlanti.
Tuttavia, al fine di non causare un’impressione erronea sull’omogeneità dei dati,
rendiamo noto che, grazie al questionario utilizzato per la raccolta delle informazioni
sui parlanti, è stato possibile acquisire informazioni sul loro effettivo uso dell’italiano e
sul contatto che i parlanti stessi hanno o hanno avuto con parlanti italiani, non per
ultimo anche un periodo trascorso in Italia per studio o lavoro. Inoltre, 4 parlanti su 8
hanno detto di poter ascoltare radio o televisione in lingua italiana anche in Germania.
Per comprendere meglio i dati, quindi, occorre tenere presente che:
- tutti i parlanti, tranne Simone e Anneli, hanno passato un periodo di
studio/lavoro in Italia di almeno alcuni mesi (i soggiorni più brevi sono quelli per le
vacanze ma si arriva fino ai 6-12 mesi grazie agli scambi universitari);
- 5 parlanti su 8 erano abitualmente in contatto con parlanti nativi d’italiano al
momento delle registrazioni (e questo implica la frequentazione fuori dall’università o
dagli ambienti istituzionali in generale);
- Faust e Simone hanno studiato la lingua principalmente da autodidatti. Faust ha
trascorso un semestre all’università di Pavia frequentandovi un corso d’italiano per un
mese, mentre Simone ha approfondito le sue conoscenze trascorrendo un periodo in
Italia dopo la data della registrazione. Anche Anneli passerà un periodo in Italia a
posteriori rispetto alle registrazioni.
Per quanto riguarda il criterio della provenienza, abbiamo riscontrato alcune
difficoltà, data l’alta presenza di immigrati italiani e rumeni del secolo scorso. A questo
proposito, la madre di Alida ed entrambi i genitori di Sabine hanno origini italiane.
Invece i genitori di Anneli e di Simone hanno origine rumene. In ciascun caso, riguardo
ai genitori, si tratta comunque di persone “trapiantate” in Germania fin dai primissimi
anni di vita. Questa considerazione ci ha fatto propendere per un’inclusione dei parlanti
nel nostro gruppo, dal momento che tutti questi parlanti hanno poi ammesso di essere
stati cresciuti ed educati dai genitori con la lingua tedesca e non con le rispettive L1.
71

72
L’ultima considerazione che riteniamo corretto fare riguarda le zone italiane in cui
questi parlanti sono stati. Abbiamo detto all’inizio che la nostra varietà di riferimento
era l’italiano settentrionale. Tuttavia Anke e Sabine hanno trascorso dei periodi in Italia
nelle regioni centro-meridionali, sia per via di fattori personali legati alle provenienze
geografiche dei genitori, sia perché, come nel caso di Anke, che ha trascorso un
semestre a L’Aquila, vi sono degli scambi universitari dell’università di Costanza con
città del Centro e del Sud Italia. Abbiamo comunque deciso di ritenere valide le
registrazioni di questi parlanti in quanto abbiamo notato che il fatto di aver trascorso un
periodo nell’Italia centro-meridionale ha influenzato i loro racconti prevalentemente a
livello fonetico 112 . Questi aspetti linguistici non ricoprono però un ruolo importante
nella nostra analisi.
4.2. I parlanti italiani
Come per i parlanti tedeschi, riassumiamo ora in una tabella le caratteristiche dei
nostri informanti italiani. Commenteremo poi i vari casi come abbiamo fatto nel
precedente paragrafo.
Tabella 3: Parlanti italiani
Codice Età Ted L2 (anni)
Antonello ANT 24 4 anni
Fabiola FAB 20 10 anni
Amanda AMA 23 9 anni
Flavia FLA 20 4 anni
Giorgio GIO 21 3 anni
112
Oltre a delle particolarità fonetiche, abbiamo riscontrato negli enunciati di Anke l’utilizzo del
verbo „stare“ in luogo di „essere/esserci“, riconducibile anch’esso ad un utilizzo tipico di questa
espressione nell’Italia centro-meridionale. Altri tipi di influssi che potrebbero essere attribuiti alle varietà
centro-meridionali non sono invece stati riscontrati.

Sandro SAN 27 1 anno
Benedetta BEN 21 5 anni
Luisa LUI 24 10 anni
Come prima osservazione, confrontando i dati della terza colonna di questa tabella
con i dati della Tabella 2, possiamo notare che i partecipanti italiani hanno studiato la
seconda lingua mediamente più a lungo dei parlanti tedeschi. Questo fatto potrebbe
essere indicativo del diverso modo in cui è organizzato il sistema scolastico e
universitario nei due Paesi, rispetto, soprattutto, alla sua efficienza: i parlanti che
dichiarano di aver studiato il tedesco per più di tre anni, hanno iniziato questo studio già
nella scuola superiore eppure, come abbiamo detto all’inizio, tutti i nostri parlanti sono
giunti allo stesso livello nella L2. Solo Antonello ha frequentato dei corsi extra-
scolastici presso il Goethe Institut.
Tutti i parlanti italiani provengono da zone dell’Italia settentrionale 113 , eccezion
fatta per Giorgio che proviene da L’Aquila 114 . Questo, lo ricordiamo, è legato alla
presenza di uno scambio universitario con l’università di Costanza. Tutti i parlanti, al
momento delle registrazioni, stavano trascorrendo un periodo di scambio universitario
nell’ateneo tedesco. Solo Sandro si trovava a frequentare l’ambiente universitario per
via di alcune ricerche di dottorato.
In linea di massima ci sembra di aver rispettato i criteri per la formazione di un
gruppo abbastanza omogeneo di informanti. Per via della quantità ridotta del numero
dei partecipanti, sappiamo fin da ora che le nostre osservazioni non potranno avere un
carattere esaustivo o esplicativo, ma pensiamo che potrebbero essere utili come prime
rilevazioni per approfondire la ricerca nell’ambito della continuità e del contrasto
temporale nelle narrazioni orali.
113
Siamo riusciti, in questo caso, a non superare la latitudine di Bologna a Sud.
114
Come abbiamo chiarito anche per la registrazione di Anke, le influenze della varietà locale di
italiano si sono limitate al livello fonetico-fonologico senza intaccare i contenuti o l’organizzazione del
racconto, punti importanti per la nostra ricerca.
73

4.3. The Finite Story: lo stimolo per la raccolta dei dati
74
Presentiamo in questa sezione i mezzi che abbiamo utilizzato per effettuare la
nostra raccolta dati sul campo.
Lo stimolo che abbiamo utilizzato per i racconti orali è la “Finite Story” creata da
Christine Dimroth (2006) presso il Max-Planck-Institut di Psicolinguistica di Nimega
(Paesi Bassi). La storia che visionano i partecipanti è composta da 31 scene nelle quali
viene progressivamente mostrato ciò che succede in una notte nella casa dei tre
protagonisti: il signor Blu, il signor Verdi e il signor Rossi. In breve, accade che sul
tetto della casa scoppia un incendio, del quale solo il signor Blu si accorge. Per questo
egli cerca di chiamare i vigili del fuoco, che non riescono però a rispondere subito al
telefono. Il signor Blu prova allora a svegliare i suoi due coinquilini, in un primo
momento senza successo. Richiama successivamente i vigili del fuoco, che finalmente
rispondono. Nel frattempo i coinquilini si sono svegliati e si sono accorti del pericolo.
Una volta arrivati i vigili del fuoco, essi cercano di convincere i vari abitanti della casa a
saltare dalle finestre per abbandonare l’edificio in fiamme. Non tutti i coinquilini si
buttano subito dalla finestra, alcuni esitano prima di farlo, ma alla fine tutti vengono
salvati e le fiamme vengono domate.
Le registrazioni sono state effettuate tutto nello stesso luogo, ossia in casa
dell’intervistatrice. A nostro avviso questo fatto ha garantito intanto un luogo
relativamente silenzioso (e quindi pochi disturbi nella registrazione) e poi un contesto
familiare in cui gli informanti si sono generalmente sentiti a proprio agio.
Successivamente, i file sono stati trascritti con il programma Tanscriber 115 . Subito dopo
è stata creata una versione di solo testo per ogni trascrizione, alla quale sono state
aggiunte tutte le informazioni utili per una completa compatibilità con le trascrizioni
CHAT di CHILDES-Clan 116 .
115 Questo programma per le trascrizioni è scaricabile dal sito:
http://sourceforge.net/project/showfiles.php?group_id=40021&package_id=51790. La versione che
abbiamo utilizzato per questo lavoro è la numero 1.4.6.
116 Si veda in Appendice I il punto “Armonizzazione con standard di trascrizione CHAT”.

Normalmente, le registrazioni con ogni singolo partecipante si svolgevano in
questo modo: per prima cosa si compilava col partecipante un questionario 117 relativo
ad alcuni dati personali (soprattutto informazioni sulla lingua madre, la provenienza dei
genitori e la conoscenza della L2 e di altre lingue). Questo passaggio si svolgeva
prevalentemente sotto forma di dialogo, anch’esso registrato, in modo che le
informazioni più dettagliate relative allo studio delle lingue e dei soggiorni all’estero
restassero documentate. In seguito si passava alla visione della Finite Story. Dopo
un’introduzione del compito da parte dell’intervistatrice, era l’informante a parlare,
raccontando e descrivendo quello che vedeva. Ogni scena veniva raccontata
immediatamente dopo essere stata vista e poi si passava alla scena successiva, lasciando
la completa gestione della modalità all’informante stesso, in modo che si sentisse più
libero nel gestire i suoi tempi di riflessione e di risposta. Gli interventi
dell’intervistatrice sono stati il più limitati possibile, e anche quando i partecipanti
dicevano di non conoscere una parola nella L2 sono stati incoraggiati ad esprimersi
prima in un altro modo e soltanto se la situazione rischiava di bloccarsi è stata suggerita
la parola mancante. Ma questo è avvenuto solo in rari episodi.
La storia è stata raccontata da entrambi i gruppi prima in italiano e poi in tedesco
e le motivazioni per questa scelta sono esattamente opposte. L’intervistatrice ha sempre
chiesto, prima di iniziare, in quale lingua l’informante avrebbe preferito raccontare (e su
questo può aver influito il fatto che il questionario veniva sempre compilato parlando in
italiano): gli italiani, quasi per calmarsi o per entrare meglio in contatto con il materiale
preferivano partire dalla propria L1 e i tedeschi preferivano raccontare prima in italiano
per superare subito la parte “più difficile”.
4.4. Il modello della Quaestio
Presentiamo ora il modello concettuale con il quale abbiamo analizzato i racconti
dei parlanti. Per analizzare la struttura informativa degli enunciati e capire perché i
parlanti abbiano compiuto certe scelte, bisogna pensare a tali enunciati come a delle
117
Si veda l’Appendice 2 per un esempio del questionario utilizzato. Facciamo notare che la
seconda parte relativa alle altre lingue o dialetti conosciuti consta di molte più tabelle simili a quella qui
proposta e che non abbiamo inserito nell’appendice per ragioni di spazio.
75

isposte ad alcune domande. Non è ovviamente sempre possibile che si ponga una
domanda aperta a cui poter rispondere e grazie alla quale poter marcare l’informazione
topicale. Tuttavia, come lo stesso Klein in collaborazione con von Stutterheim 118 ha
analizzato, si può pensare che il testo di un racconto risponda a una Quaestio implicita.
La Quaestio non va intesa come una vera domanda, ma piuttosto come un modo di
descrivere il compito che un parlante sceglie a priori quando produce un certo tipo di
testo. Possiamo intenderla come la descrizione di un testo, affrontato come svolgimento
di un task comunicativo, che viene rappresentato schematicamente nella Quaestio. Con
questo termine definiamo la domanda implicita che può generare come risposta una
qualunque delle normali espressioni pronunciate singolarmente o in un discorso. In
questo secondo caso, ogni enunciato viene collegato a quello precedente in base ad
alcuni criteri di costruzione del discorso (contrastiveness) e quindi ogni enunciato
riporta una parte delle informazioni espresse in precedenza e contiene una parte di
informazione nuova. Questo sviluppo dell’informazione viene definito da Klein e von
Stutterheim referentielle Bewegung, movimento referenziale, all’interno di un contesto
in cui viene analizzato il movimento dei referenti in un testo.
76
Partendo dai modelli della Quaestio e del movimento referenziale, la “Finite
Story” si presta, in generale, all’analisi del movimento informativo delle unità (non solo
referenziali) in condizioni particolari, ovvero quando non sono i predicati la parte più
mutevole e le entità la più stabile, in termini di contrastiveness (come è nelle narrazioni
solitamente), ma quando accade il contrario: i predicati ritornano periodicamente e le
entità mutano. Possiamo descrivere il criterio alla base della “Finite Story” come segue:
il task comunicativo richiesto dai parlanti è quello di raccontare (quindi tramite
asserzioni) ciò che succede a diverse entità in intervalli temporali che si susseguono.
Questo compito identifica delle entità e degli intervalli temporali che appartengono alla
situazione topicale o topic (Klein, 2008) e individua anche i predicati che descrivono gli
eventi, e che quindi rappresentano il comment. Nel nostro caso ci siamo concentrati
sulla marcatura dell’aggiunta e del contrasto di tempo topicale (si veda par. 1.7.2).
Questa storia, basandosi sul mutamento più delle entità che non dei predicati che
descrivono gli eventi, è l’ideale per istituire i confronti e contrasti fra scene che si
118 Klein/Von Stutterheim, 1987:164-166.

succedono nelle quali le azioni vengono svolte sia dallo stesso personaggio, sia da
personaggi diversi, hanno polarità diversa da una scena all’altra e quindi cambiano il
rapporto di validità fra il contenuto lessicale che le descrive e il TT per il quale sono
valide. Schematizzando, possiamo trovarci di fronte alle seguenti possibilità, ovvero alle
configurazioni possibili previste dalla “Finite Story”:
1. Mantenimento dell’entità, polarità identica > aggiunta di TT.
2. Cambiamento dell’entità, polarità identica > aggiunta di TT.
3. Mantenimento dell’entità, polarità opposta > contrasto di TT.
4. Cambiamento dell’entità, polarità opposta > contrasto di TT. 119
Unendo allora i concetti di contrastiveness (Dimroth) e di movimento referenziale
(Klein/von Stutterheim), abbiamo cercato di capire come vengono marcati i
cambiamenti relativi al tempo topicale quando sia l’entità che la polarità vengono
mantenute e solo l’intervallo temporale cambia, parlando in questo caso di TT addition,
oppure quando cambia la polarità ma l’entità viene mantenuta, parlando in quest’altro
caso di TT contrast.
Cominciando la nostra riflessione proprio da quest’ultima idea della Quaestio e
della struttura dell’informazione, presentiamo brevemente i tipi di aggiunta e di
contrasto di TT che abbiamo riscontrato nei nostri dati:
1. Un’aggiunta di TT può indicare la continuazione di un’azione già presentata
(continuare a dormire / dormire ancora), la ripetizione di un’azione (rifare una
chiamata), oppure la restituzione di un’azione, ossia il ristabilimento di una
situazione iniziale (ritornare in casa dopo esserne usciti). In ogni caso, l’entità
che compie l’azione viene mantenuta dalla scena o dalle scene precedenti.
2. Un contrasto di TT si evidenzia invece quando viene presentata o raccontata
un’azione che accade con una polarità opposta rispetto ad un TT precedente,
119
Dimroth et. al (2003) parla di “Contrasto di entità topicale”. Tuttavia, abbiamo visto che non è
necessariamente solo questa la configurazione che può essere marcata dai parlanti. Per questo, nel
successivo capitolo di discussione, riprenderemo i concetti di aggiunta e contrasto problematizzando la
loro applicazione alle entità e al tempo topicale rispetto a quanto abbiamo notato nella nostra analisi.
77

78
ma che si riferisce sempre all’entità mantenuta dalla scena o dalle scene
precedenti (non saltare dalla finestra – saltare dalla finestra).

5. ANALISI DEI DATI
In questa sessione presentiamo le scene su cui abbiamo focalizzato la nostra
attenzione. Non abbiamo preso in considerazione tutte le scene che abbiamo trascritto
per il fatto che non tutte si prestavano ad evidenziare le caratteristiche di continuità e
contrasto temporale che sono il nocciolo della nostra analisi.
Ricollegandoci a quanto abbiamo presentato nella prima parte di questo lavoro,
ricordiamo che abbiamo focalizzato la nostra attenzione sulla marcatura dell’aggiunta e
del contrasto di tempo topicale per cercare di capire, grazie ai principi
dell’organizzazione del discorso e della Quaestio, quali scelte linguistiche venissero
poste in essere da apprendenti tedeschi di italiano L2. A questa prima domanda
cercheremo poi di aggiungere una riflessione che prenda in considerazione il piano
cognitivo e concettuale dell’apprendimento di una L2, per vedere come i concetti
presenti nella propria L1 influenzino le scelte linguistiche in L2.
Per analizzare più facilmente i dati, ci siamo serviti di alcune tabelle in cui
abbiamo evidenziato i vari modi di marcare l’aggiunta o il contrasto di TT, scendendo
poi più in profondità in un secondo momento per quanto riguarda il tipo di aggiunta di
TT. Procederemo ora a una presentazione quantitativa dei dati, mentre per una loro
interpretazione linguistica sulla base delle teorie introdotte nella prima parte del lavoro,
sfrutteremo la prossima sezione. Per ogni configurazione di aggiunta e contrasto di
tempo topicale, presenteremo sia i dati in italiano L2, che approfondiremo in seguito,
sia i dati nelle due L1 italiano e tedesco per avere già la base completa dei dati su cui
abbiamo lavorato.
5.1. Aggiunta di TT
Analizziamo per prime le tipologie di aggiunta di TT che abbiamo riscontrato nei
nostri dati: le abbiamo classificate come continuazione, ripetizione e restituzione di
un’azione seguendo la terminologia introdotta da Dimroth, Benazzo e Andorno (in
79

stampa). Brevemente, riassumiamo le caratteristiche delle tre diverse tipologie che
andiamo ad analizzare:
80
- Quando la stessa entità continua un’azione in due o più scene che si susseguono
parliamo di aggiunta di TT – continuazione.
- Quando la stessa entità ripete, in due scene diverse, una stessa azione parliamo
di aggiunta di TT – ripetizione.
- Quando la stessa entità ristabilisce una situazione precedente che nel corso della
storia si era alterata parliamo di aggiunta di TT – restituzione.
5.1.1. Tipologia 1: la continuazione
Presentiamo innanzitutto in modo schematico le scene in cui abbiamo trovato
codifica e marcatura della continuazione di un’azione 120 :
Tabella 4: Le scene analizzate per la TT addition - continuation
Nr. Scena Descrizione
7
Il Sig. Verdi dorme
8 Il Sig. Rossi dorme
13 Il telefono suona
15 Il sig. Verdi e il sig. Rossi dormono
28 Il sig. Rossi non salta
La prima analisi quantitativa che abbiamo eseguito su questi dati è stata condotta
rilevando i tipi di marcatura presenti per l’aggiunta di TT – continuazione, ma anche le
espressioni non marcate o contenenti altre marcature. Intendiamo con espressioni
marcate l’utilizzo dell’avverbio temporale di contrasto ancora, sia con un verbo al
presente semplice, sia con la perifrasi verbale “continuare a”. I casi in cui il parlante non
ha marcato l’aggiunta di tempo topicale si trovano nella colonna “non marcato” 121 .
Nella colonna “altra marcatura” abbiamo incluso i casi in cui veniva marcata l’aggiunta
120 Per un elenco completo delle scene e degli eventi che costituiscono la “Finite Story” e i rimandi
interni alla storia fra le varie scene si veda l’Appendice 3.
121 In questo caso il parlante si è espresso con strutture di base neutre, senza utilizzare avverbi o
perifrasi.

di altri elementi topicali, e normalmente si trattava dell’entità topicale (TE). Va
considerato anche il fatto che non tutti i parlanti hanno codificato tutti gli eventi presenti
nella storia, e che alcuni hanno codificato più volte lo stesso evento (senza che si
trattasse di correzioni o di false partenze): noi abbiamo tenuto in considerazione ogni
occorrenza delle codifiche. In questo caso il totale delle espressioni raccolte differisce
dal totale dei parlanti (8): nel primo caso, esso sarà minore, nel secondo caso sarà
invece maggiore. Per fornire un modello dei dati, riportiamo innanzitutto i dati dei
madrelingua italiani:
nr.
scena
Tabella 5: Le scelte linguistiche in italiano L1 - continuazione
verbo +
ancora
continuare
(ancora) a + verbo non marcato
altra marcatura
(TE)
tot.
codifiche
7 1 0 5 0 6
8 0 0 4 1 5
13 1 0 7 2 10
15 1 1 7 0 9
28 2 0 5 0 7
tot. 5 1 28 3 37
Rispetto a questi eventi, nei quali era possibile marcare l’aggiunta di TT –
continuazione, i parlanti italiani hanno raccontato soprattutto tramite scelte linguistiche
non marcate. Il numero maggiore di marcature della continuazione è stato effettuato
tramite l’avverbio ancora, ma si tratta di 5 occorrenze su un totale di 37 codifiche totali
degli eventi, quindi una quantità decisamente ridotta di marcature. Rispetto ai dati di
L1, i seguenti dati di L2 ci forniscono altre informazioni:
Tabella 6: le scelte linguistiche in italiano L2 - continuazione
altra
marcatura
(TE)
tot.
codifiche
nr. verbo + continuare a non
scena ancora + verbo marcato
7 3 1 5 0 9
8 2 0 0 6 8
13 1 1 6 0 8
tot. 6 2 11 6 25
81

82
Per prima cosa, gli eventi possibili indicati dalla L1 diminuiscono e si restringono
a 3 scene soltanto. In secondo luogo, questi dati ci dicono che i parlanti tedeschi di
italiano L2 scelgono di marcare l’aggiunta di TT – continuazione solo in 8 casi totali,
lasciandola non marcata in 11 occorrenze totali. Chiariamo meglio questa distinzione
fornendo alcuni esempi per ogni scena.
Le scene 7 e 8 presentano i signori Verdi e Rossi che non si svegliano nonostante
l’incendio scoppiato sul tetto della loro casa. Per la scena 7 i parlanti tedeschi scelgono
di codificare l’informazione “X continua a dormire” per 5 volte con la costruzione
“dorme ancora” e una volta soltanto con la perifrasi “continua a dormire” 122 :
[Scena 7: il sig. Verdi dorme]
FAU: okay@s [//] i:l signor verde-; [//] dorme ancora+... ##
non scolta [scolta, sente] niente e sì+... continua a dormire.
SAB: okay@s # (xx) signor verdi dorme ancora e+... niente non succede
niente. 123
La scena 8, identica alla precedente, presenta il signor Rossi, anch’egli sempre
addormentato nonostante l’incendio sul tetto della casa. In questo caso abbiamo avuto
solo due parlanti che hanno scelto di marcare questa aggiunta di TT:
[Scena 8: il Sig. Rossi dorme]
ALY: anche il personaggio rosso dorme ancora.
ANN: la persona [/] rossa dorme anche ancora+...
Richiamando l’articolo di Dimroth et al. (2003 e in stampa) accenniamo già a
questo punto del lavoro una riflessione: i parlanti tedeschi preferiscono la marcatura
sull’entità topicale piuttosto che sul tempo topicale, qualora vi fosse la ripetizione di
un’azione già vista e introdotta precedentemente ma compiuta ora da un altro
personaggio. Questo tipo di marcatura è stata effettuata pressoché esclusivamente grazie
allo scope particle additivo anche, posizionato di norma prima del soggetto, ovvero
122 Per le regole di trascrizione adottate, si vedano le Appendici 1 e 2.
123 Tutte le trascrizioni sono in possesso della scrivente e sono codificate anche secondo gli
standard di CHILDES-Clan.

della nuova entità topicale. Un’altra possibilità scelta per la marcatura è stata “lo stesso
per il signor X”. Questo lavoro non ha lo scopo di analizzare tutti i tipi di marcatura su
tutti gli elementi topicali di una situazione, spesso però siamo venuti in contatto con dati
che, essendo di un’interlingua, ci hanno instillato dei dubbi rispetto alla loro
interpretazione. Come abbiamo detto sopra nel par. 4.4, la “Finite Story” prevede varie
configurazioni possibili di topic-comment e questo permette anche la marcatura non
necessariamente di uno e un solo elemento topicale per ogni evento raccontato. Per
esempio, nei nostri dati abbiamo notato come spesso i tedeschi preferissero marcare
l’aggiunta di entità topicale, piuttosto che quella di tempo topicale. Ciò è reso possibile
dal tipo di configurazioni previste dalla “Finite Story”, ma per questo lavoro noi
abbiamo tenuto in considerazione solo le marcature dell’aggiunta del tempo topicale.
Tuttavia, ci siamo trovati di fronte a enunciati come:
[Scena 8: il sig. Rossi dorme]
FAU: il signor rosso anche dorme.
Dal momento che non eravamo in possesso di intonazione ascendente o accento
d’intensità, ci siamo chiesti se anche si riferisse al signor Rossi, e quindi rappresentasse
una marcatura dell’aggiunta di entità topicale, oppure fosse attribuibile al predicato
verbale con il significato, appunto, di continuità, come se fungesse da sostituto per un
avverbio ancora non padroneggiato del tutto. Per ora possiamo dire che,
tendenzialmente, abbiamo interpretato un enunciato del genere come marcante l’entità
topicale, dal momento che abbiamo potuto constatare che lo stesso parlante che l’aveva
pronunciato, aveva utilizzato la costruzione “verbo + ancora” in altri casi, marcando
chiaramente l’aggiunta di TT. Spiegazioni più dettagliate verranno fornite e discusse nel
prossimo capitolo 124 .
La scena 13, nella quale, mentre un vigile del fuoco è in bagno, suona il telefono
perché il signor Blu sta chiamando per avere soccorso. In realtà, solo due parlanti hanno
codificato questo evento: gli altri sei parlanti si sono soffermati sul fatto che il vigile
124 Per ora riportiamo solo quanto segue: la posizione di anche, che in italiano sarebbe fortemente
anomala, è però la posizione che in tedesco avrebbe auch. Per cui, stante che nel contesto l’uso di anche è
legittimo, stante che la posizione apparentemente strana è giustificabile e stante che il parlante conosce
l’uso di ancora riteniamo che si tratti di TE addition e non di TT addition.
83

fosse in bagno e, solo dopo aver chiuso la porta, si dirigesse al telefono, che non viene
quindi qualificato.
84
[Scena 13: il telefono suona]
ALF: telefono continua a: suo::nare+...
ANN: il pompiere &eh va fuori della toeletta+... e: il telefono suona ancora+…
Possiamo quindi concludere dicendo che la marcatura dell’aggiunta di TT –
continuazione viene realizzata solo in 8 casi totali e ricopre quindi una parte
relativamente ridotta delle codifiche totali degli eventi (25). I casi d’informazione
codificata ma non marcata restano, infatti, maggioritari: circa il 58% delle codifiche
totali degli eventi realizzate dai parlanti.
Confrontiamo, per concludere, i dati di tedesco L1, raccolti sempre secondo gli
stessi criteri e per i quali abbiamo considerato come marcature gli avverbi temporali di
contrasto weiter, noch, immer noch. Notiamo che qui non abbiamo l’utilizzo di perifrasi
verbali, come in italiano, e questa riflessione era già nata nella parte d’introduzione
teorica (cfr. cap. 2). La tabella per i dati di tedesco L1 è la seguente:
Tabella 7: Le scelte linguistiche in tedesco L1 - continuazione
nr.
scena weiter noch
immer noch /
noch immer
non
marcato
altra
marcatura
(TE)
tot.
codifiche
7 1 0 1 6 0 8
8 0 1 1 4 2 8
13 1 0 1 2 0 4
15 3 0 0 2 0 5
28 0 1 6 0 1 8
tot. 5 2 9 14 3 33
Possiamo notare che i parlanti tedeschi marcano l’aggiunta di TT – continuazione
attraverso avverbi temporali e non perifrasi verbali e che essi realizzano la marcatura
più spesso delle espressioni neutre (16 codifiche marcate, 14 non marcate su 33
codifiche totali degli eventi). Come per l’italiano sia L1 che L2, la scena che più si
presta alla marcatura dell’aggiunta dell’entità topicale è la 8 e anche in tedesco L1

notiamo che per quell’evento la concorrenza con una marcatura diversa (TE) è maggiore
che negli altri eventi.
5.1.2. Tipologia 2: la ripetizione
La seconda tipologia di aggiunta di TT che abbiamo riscontrato riguarda la
ripetizione di un’azione già fatta. Nella prossima tabella presentiamo schematicamente
le scene interessate da questo fenomeno linguistico:
Nr. Scena Descrizione
Tabella 8: Le scene analizzate
16 Il sig. Blu risale le scale / torna in casa
17 Il sig. Blu chiama i vigili del fuoco
18 Il sig. Blu chiama i vigili del fuoco
27 I vigili del fuoco tornano dal sig. Verdi
28 I vigili del fuoco tornano dal sig. Rossi
Presentiamo per primi, anche in questo caso, i dati di italiano L1.
Tabella 9: Le scelte linguistiche in italiano L1 - ripetizione
nr. scena ri-verbo di nuovo ancora una volta non marcato tot. codifiche
16 1 0 0 0 1
17 3 1 0 5 9
27 0 0 0 5 5
tot. 4 1 0 10 15
In questi dati abbiamo ritenuto realizzazioni marcate di aggiunta di TT –
ripetizione l’utilizzo del prefisso verbale iterativo “ri-“ (prima colonna), e l’utilizzo
dell’avverbio temporale di contrasto di nuovo. La colonna con l’espressione di
marcatura ancora una volta è per l’italiano L1 vuota, ma per facilità di paragone con i
prossimi dati di italiano L2, nei quali tale struttura compare, abbiamo preferito lasciarla
anche in questa tabella. Vorremmo precisare che l’unica occorrenza che si vede per
85

l’evento della scena 16 riguarda la realizzazione di una parlante, Amanda, la quale
esprime già in questa scena la ripetizione dell’azione del chiamare i vigili del fuoco da
parte del sig. Blu. Tale azione si vede effettivamente solo nella scena seguente, dove
infatti le codifiche con il prefisso “ri-“ sono maggiori, ma era possibile intuire l’azione
anche nella scena 16.
86
Confrontiamo ora le scelte linguistiche dei parlanti di italiano L2:
Tabella 10: Le scelte linguistiche in italiano L2 -ripetizione
nr.scena ri-verbo di nuovo ancora una volta non marcato tot. codifiche
17 2 2 1 3 8
18 0 1 0 6 7
27 1 0 0 2 3
tot. 3 3 1 11 18
Innanzitutto, vediamo che le scene interessate sono differenti: la scena 16 non è
contemplata, e infatti la maggior parte delle marcature è presente nella scena 17. Va
però detto che nei nostri dati abbiamo tenuto in considerazione anche la scena 18, nella
quale si vede brevemente il signor Blu al telefono e il vigile del fuoco che risponde dalla
caserma, perché una parlante, Simone, ha spostato in questa scena l’informazione della
ripetizione della chiamata. Gli altri parlanti hanno, infatti, marcato l’informazione
“rifare una chiamata” nella scena 17 e per ben cinque volte, realizzando solo in tre casi
espressioni non marcate come “il signor Blu fa una chiamata” oppure “il signor Blu va
al telefono”. Le marcature di aggiunta di TT- ripetizione sono sostanzialmente di tre
tipi: aggiunta di affisso iterativo “ri-“ al predicato verbale oppure utilizzo di avverbi
quali di nuovo e ancora una volta. Per esemplificare, forniamo le seguenti trascrizioni:
[Scena 17: il sig. Blu chiama i vigili del fuoco]
ALF: il signor blu è nel suo appartamento+... e riprova di telefonare+...
ANN: &eh il signor blu &eh # prova ancora una volta di telefonare a qualcuno.
SAB: fa di nuovo una chiamata.
La scena 27 invece, costituisce una delle ultime scene della storia. L’evento sul
quale ci siamo concentrati è quello relativo alla prima parte della scena, nella quale i

vigili del fuoco, dopo un primo tentativo senza successo, tornano sotto la finestra del
signor Verdi per convincerlo a buttarsi. Per com’è impostata la scena, avremmo potuto
incontrare una restituzione (verbo tornare) di una situazione, mentre invece l’unico
parlante che codifica questa informazione utilizza un verbo con prefisso iterativo:
riprovare. Ecco l’estratto dalla trascrizione:
[Scena 27: i vigili del fuoco tornano dal sig. Verdi]
ALF: poi ## poi riprovano [/] al primo finestro+...
In conclusione possiamo dire che la marcatura dell’aggiunta di TT - ripetizione è
sicuramente meno presente nei nostri dati. Le realizzazioni marcate costituiscono solo il
39% delle codifiche totali (18), dimostrando una preferenza netta per una codifica non
marcata di questa configurazione. Altre volte invece, come nel caso della scena 27,
l’evento che potrebbe contenere la marcatura dell’aggiunta di TT non viene
semplicemente codificato.
Come sopra, confrontiamo ora i dati di tedesco L1. Anche per quanto riguarda
questa configurazione, come nel caso della continuazione, abbiamo trovato come
marcature solo degli avverbi di contrasto: nochmal, erneut e wieder. In alternativa,
abbiamo notato che non venivano marcate altre informazioni topicali, ma
semplicemente l’evento non era stato codificato.
Tabella 11: Le scelte linguistiche in tedesco L1 -ripetizione
nr. scena nochmal erneut wieder non marcato tot. codifiche
16 1 0 1 0 2
17 3 3 2 1 9
18 0 1 0 0 1
27 1 0 0 0 1
28 0 0 1 0 1
tot 5 4 4 1 14
I dati ci suggeriscono che, in generale, i parlanti tedeschi preferiscono marcare
l’aggiunta di TT – ripetizione e lo fanno attraverso gli avverbi temporali di contrasto
che abbiamo evidenziato in tabella. Soltanto una volta l’evento in 17 viene codificato in
87

modo non marcato, ma bisogna tenere conto di quante volte gli eventi sono
effettivamente stati codificati: salvo infatti l’evento in 17, che riporta in totale ben 9
codifiche, gli altri eventi contenenti una ripetizione di azione sono stati codificati solo 1
o 2 volte dai parlanti, che ricordiamo sono 8 per lingua. Ciò differisce dai dati riportati
nelle altre due tabelle, nelle quali i parlanti hanno comunque codificato gli eventi più
spesso, a livello di ricorrenze totali (ultima colonna a destra delle tabelle). Va
considerato però che in italiano L1 ed L2 il numero degli eventi codificati è minore (ci
si riferisce solo a 3 scene), mentre in tedesco L1 gli eventi in cui la ripetizione è stata
codificata sono di più, quindi diciamo che la codifica della ripetizione è più concentrata
in italiano e maggiormente distribuita nella storia in tedesco.
5.1.3. Tipologia 3: la restituzione
88
La restituzione di un’azione riporta una situazione verificatasi in un precedente
TT a valere anche nel TT di cui si parla al momento e per il quale si asserisce che quella
situazione torna a essere valida. L’esempio tipico che abbiamo trovato nei nostri dati
riguarda il verbo tornare, che di fatto indica tre stati di cose: . Si ristabilisce quindi una situazione che valeva prima per un certo
TT, che ad un altro TT è cambiata e che ora per il TT di cui si parla torna ad essere
valida.
Nei nostri dati abbiamo trovato solo una situazione in cui questo si verifica: la
scena 16, nella quale il signor Blu, dopo aver tentato invano di svegliare i due
coinquilini, torna in casa sua (per richiamare, nella scena dopo, i vigili del fuoco). I
nostri dati in italiano L1 ci dicono che:
Tabella 12: Le scelte linguistiche in italiano L1 restituzione
nr. scena ri-verbo di nuovo tornare non marcato tot. codifiche
16 5 0 8 0 13
17 0 0 1 0 1
tot 5 0 9 0 14
Per prima cosa spieghiamo che abbiamo dovuto considerare la scena 17 perché
Antonello codifica l’evento della restituzione in quella scena e non prima. Poi notiamo

che, nonostante ci si riferisca a una sola scena, le codifiche sono molto numerose.
Notiamo anche che gli italiani madrelingua non hanno marcato la restituzione attraverso
l’avverbio di nuovo, ma solo attraverso l’affisso verbale “ri-“ e la semantica del verbo
tornare. Infine, questo tipo di configurazione viene sempre marcata dai madrelingua.
Vediamo ora i dati di italiano L2:
Tabella 13: Le scelte linguistiche in italiano L2 - restituzione
nr.
scena
ri-
Verbo di nuovo tornare non marcato
tot.
codifiche
16 2 3 1 2 8
Tutti i parlanti hanno codificato l’informazione relativa al ritorno al suo
appartamento del signor Blu. Solo due hanno scelto espressioni non marcate: “se ne va
in camera sua” e “arriva nel suo appartamento”. Le espressioni marcate sono divisibili
in questo modo: due riguardano la marcatura sul predicato con l’affisso “ri-“, una
riguarda l’introduzione di un avverbiale e in un caso è stato utilizzato il verbo tornare,
che semanticamente indica la restituzione di una situazione. Le due occasioni
riguardanti “ri-V” possono essere accomunate in un solo gruppo con quella del verbo
tornare, perché nel primo caso si tratta sempre del verbo ritornare. Ma vediamo alcuni
esempi:
[Scena 16: il sig. Blu risale le scale / torna in casa]
ALI: non ha risposto nessuno e così+... è andato sopra di nuovo # nella sua
stanza.
ALY: il personaggio blu torna nella sua stanza.
ANN: il signor blu [/] scese le scale+... e: &eh ritorna alla sua camera.
La marcatura, in questo terzo caso di aggiunta di TT, è preponderante: nel 75%
dei casi totali, infatti, l’aggiunta di TT viene marcata anche se bisogna considerare che
le codifiche totali sono in quantità minore rispetto ai dati dei madrelingua.
In ultimo, diamo uno sguardo anche ai dati di tedesco L1:
Tabella 14: Le scelte linguistiche in tedesco L1 - restituzione
89

90
nr. scena wieder zurück auflegen non marcato tot. codifiche
16 6 5 0 1 12
19 0 0 2 0 2
27 0 1 0 0 1
tot 6 6 2 1 15
Per prima cosa abbiamo considerato altre due scene, la 19 e la 27, nelle quali si
svolgono i seguenti eventi: nella scena 19 abbiamo l’evento “il sig. Blu riappende la
cornetta”, per il quale consideriamo realizzazione marcata di riappendere l’utilizzo del
verbo auflegen; e nella scena 27 abbiamo l’evento “i vigili del fuoco tornano dal signor
Verdi”, che un parlante ha marcato attraverso l’avverbio zurück. Anche questi dati
mostrano molte codifiche totali degli eventi, ma la maggior parte di esse riguardano,
come per l’italiano L1 ed L2, l’evento in 16 in cui il signor Blu torna a casa sua.
5.2. Il contrasto di TT
Terminiamo la parte di analisi dei dati presentando le scene in cui abbiamo
riscontrato la marcatura del contrasto di TT. Questo tipo di contrast si verifica quando il
parlante racconta una situazione in un cui avviene un’azione con una polarità opposta
rispetto ad un TT precedente e rispetto alla stessa entità. Vediamo in tabella per quali
scene abbiamo trovato la marcatura del contrasto di TT:
Tabella 15: Le scene analizzate
Nr. Scena Descrizione
18 Il vigile del fuoco risponde al telefono
20 Il sig. Verdi si sveglia
26 Il sig. Blu salta dalla finestra
27 Il sig. Verdi salta dalla finestra
29 Il sig. Rossi salta dalla finestra

Partendo, come sempre, dai dati d’italiano L1, abbiamo ritenuto realizzazioni
marcate del contrasto di TT le espressioni contenenti gli avverbi: adesso, questa volta,
alla fine e finalmente.
Tabella 16: Le scelte linguistiche in italiano L1 – TT contrast
nr.
scena adesso
questa
volta
alla
fine finalmente
non
marcato
altra
marcatura
tot.
codifiche
18 1 4 0 0 3 0 8
20 0 0 0 1 4 2 7
27 0 0 1 0 6 0 7
29 0 0 6 2 0 0 8
tot 4 1 2 4 10 9 30
Si tratta di scene in cui, potremmo dire, finalmente l’entità topicale fa quello che
avrebbe dovuto fare già in precedenza e in effetti questo avverbio e il complementare
alla fine vengono realizzati in 6 occorrenze. Ma va detto che, sebbene in questa storia
l’aspettativa si crei per via delle azioni che vengono (non) compiute dai personaggi, ciò
va solo ad aggiungersi alla definizione di contrasto di TT che abbiamo introdotto e
chiarito nella prima parte di questo lavoro. Per questo motivo, pensiamo, si trova in
questa categoria l’utilizzo di un altro mezzo di marcatura: l’intonazione, o meglio
l’accento d’intensità. Tale accento si accompagna spesso ai mezzi lessicali che hanno
scelto i nostri parlanti anche d’italiano L2 e che troviamo riassunti nella seguente
tabella:
nr.
scena adesso
Tabella 17: Le scelte linguistiche in italiano L2 – TT contrast
alla
fine finalmente ormai
non
marcato
altra
marcatura
tot.
codifiche
20 0 0 1 1 4 0 6
26 1 0 1 0 6 0 8
27 2 0 0 0 3 3 8
29 1 2 2 0 0 3 8
tot 4 2 4 1 13 6 30
Cerchiamo di capire meglio cos’hanno marcato i nostri parlanti. La scena 20
mostra il signor Verdi che si sveglia, ma solo dopo che il signor Blu ha bussato alla sua
91

porta ed è risalito in casa sua. Due parlanti codificano questa informazione marcando il
contrasto di TT con finalmente e ormai:
92
[Scena 20: il sig. Verdi si sveglia]
FAU: adesso &eh finalmente anche il signor verde ha capito che c'è qualcosa
che [/] non è normale+... 125
SIM: ormai si è sveliato anche il signor verde+...
Rispetto a questo evento, la preferenza è stata per una codifica non marcata del
contrasto di TT: i parlanti hanno raccontato dicendo “X si sveglia” oppure “X si è
svegliato” o ancora “X è a letto”, mentre le marcature rappresentano solo il 25% dei casi
totali di codifica dell’evento.
La scena 26 mostra il signor Blu che, per primo, accetta l’aiuto dei vigili del fuoco
e salta sul telo che gli viene teso. Due parlanti marcano un contrasto di TT
probabilmente riferendosi alle scene precedenti nelle quali gli altri due abitanti della
casa si erano rifiutati di saltare 126 . Quindi, nonostante vi fosse la possibilità di marcare
un contrasto di entità topicale, i parlanti preferiscono marcare il contrasto di TT
riferendosi al predicato: nelle scene precedenti i signori Verdi e Rossi non erano saltati,
mentre ora il signor Blu salta (ed è quindi il primo dei tre personaggi a farlo). I parlanti
raccontano:
[Scena 26: il sig. Blu salta dalla finestra]
FAU: okay@s &eh il terzo dei tre &eh signor blu+... che &eh # vive nello &eh nel
piano più alto+... finalmente è s:: [//] saltato+…
SAB: &eh # non so # e+… # [

come una marcatura nel primo parlante Alf per via della posizione nella frase e nella
seconda parlante Simone per via dell’accento d’intensità (attraverso un eloquio dal tono
di voce più alto) con il quale viene pronunciato. Per questo abbiamo pensato che i
parlanti indicassero il contrasto rispetto a un TT precedente per il quale “il signor Verdi
doveva saltare, ma non l’ha fatto”:
[Scena 27: il sig. Verdi salta dalla finestra]
ALF: &eh sì il signor verde adesso [//] accetta di buttarsi dalla finestra+...
e [/] e arriva poi sul lenzuolo.
SIM: okay@s adesso anche il signor verdi è saltato.
Infine, nella scena 29, nella quale (finalmente) anche il signor Rossi accetta
l’aiuto dei vigili del fuoco, troviamo le seguenti marcature del contrasto di TT:
[Scena 29: il sig. Rossi salta dalla finestra]
ALI: finalmente anche lui è saltato fuori+... si è [//] salvato la vita.
ANK: okay@s alla fine i pompieri: ## &eh lo hanno convinto.
SAB: sì adesso è saltato e salvato.
Il contrasto di TT si colloca a metà strada fra la codifica marcata e quella non
marcata: in circa il 46% delle codifiche viene marcato, nel restante 54% delle codifiche
invece, non si sceglie la marcatura del contrasto.
nr.
scena
Infine, ecco i dati di tedesco L1:
Tabella 18: Le scelte linguistiche in tedesco L1 – TT contrast
diesm
al jetzt
schlie
ßlich
am
Ende doch endlich
letzt
endl
ich
non
marcato
altra
marcatura tot
18 3 4 0 0 3 1 0 4 1 16
20 0 0 0 1 4 0 0 0 0 5
26 0 0 1 0 0 0 0 7 0 8
27 1 0 0 0 0 0 0 2 4 7
29 0 0 0 2 7 2 1 0 0 12
tot 4 4 1 3 14 3 1 13 5 48
93

94
Rispetto ai dati in italiano, sia L1 che L2, notiamo innanzitutto il ventaglio degli
avverbi temporali utilizzati in tedesco. In particolare, si hanno molte più possibilità per
marcare il contrasto di TT con avverbi che rispecchiano l’italiano finalmente e che sono:
schließlich, endlich e letztendlich. Vi è poi anche il corrispettivo di alla fine, ovvero am
Ende. Va inoltre notato che il totale delle codifiche degli eventi è maggiore: 48
codifiche rispetto alle 30 dell’italiano L1 ed L2. Questo è da riportare al fatto che i
parlanti tedeschi hanno codificato più eventi in più scene, in linea generale, ma anche
guardando alla quantità di codifiche marcate del contrasto di TT si nota che in tedesco
L1 esse sono più numerose che in italiano L1 ed L2. Ciò che ovviamente attira subito
l’attenzione è la marcatura del contrasto di TT attraverso doch. Riteniamo importante, a
questo punto del lavoro, dare una descrizione semantico-sintattica di questa particella
della lingua tedesca per affrontare una riflessione a riguardo nel capitolo successivo. Il
volume di Helbig (1988) ci è sembrato fornisse le indicazioni più precise. Per doch
vengono forniti ben otto significati differenti, sia a seconda degli enunciati in cui esso
compare (dichiarazioni, domande, esclamazioni), sia a seconda dell’intonazione
(accentato o non accentato). Ciò che interessa a noi è riportato nella seconda definizione
di doch, nella quale la particella occorre in frasi dichiarative e non è sempre accentata.
Riteniamo che la descrizione fornita sia molto chiara e precisa:
“(doch) Bezieht sich reaktiv auf vorangegangenen Sprechakt (Vorgängerzug) und
stellt zwischen ihm und der durch doch kommentierten Aussage einen leichten
Wiederspruch her; wirkt einerseits konversationskonnektiv, enthält andererseits eine
vom vorangehenden Sprecher nicht gewünschte Reaktion, da Vorgängerzug kritisiert
oder zurückgewiesen wird. Illokutiv handelt es sich um eine Zurückweisung […], um
einen Vorwurf, einen Gegenvorwurf bzw. eine Rechtfertigung. Mit Textverknüpfung und
Rückwärtskonnektion ist oft begründende Funktion verbunden.“ 127
Questa particella permette quindi al parlante di connettere o mettere a confronto
due situazioni di segno opposto, ovvero di polarità opposta, già a livello assertivo,
quindi istituendo un collegamento fra l’asserzione espressa in precedenza rispetto ad
una entità e un certo intervallo temporale e la nuova asserzione, rispetto sempre alla
127 Helbig, 1988:112-113.

stessa entità ma anche a un nuovo intervallo di tempo. È chiaro che doch ha un peso
importante nella L1 e che ne teniamo conto analizzando i dati d’italiano L2 di
germanofoni, e infatti, con il prossimo capitolo, vogliamo cercare di fornire delle
spiegazioni per le scelte linguistiche in L2 dei nostri parlanti.
95

6. DISCUSSIONE DEI DATI
Il lavoro di raccolta e analisi dei dati che abbiamo condotto si è basato sul
confronto fra due lingue e sul modo in cui i parlanti marcano o non marcano i
“contrasti” di tempo topicale, intesi sia come contrasti riferiti alla polarità del predicato
in rapporto ad un nuovo TT, sia come aggiunta di tempo topicale. L’analisi linguistica
che vogliamo proseguire ora si muove nell’ottica dell’acquisizione di una L2 e per avere
una base di dati stabile e confrontabile abbiamo raccolto e trascritto anche i racconti in
entrambe le L1 dei parlanti, per poter confrontare i casi di marcatura e non marcatura
dei fenomeni linguistici in oggetto e trarre inferenze riguardo all’influenza della L1
sulla L2 relativamente alla realizzazione delle configurazioni linguistiche stiamo
studiando. Se l’obiettivo di questo lavoro è l’analisi di italiano L2 di germanofoni,
avendo noi già raccolto dati di tedesco L2 di italofoni, ci auguriamo di poter
approfondire in futuro anche questo aspetto.
Passiamo ora in rassegna le configurazioni di aggiunta e contrasto di TT che
abbiamo presentato nel capitolo precedente con l’intento di spiegare le scelte
linguistiche realizzate in italiano L2. Per fare ciò, ci serviremo di grafici che abbiamo
costruito in rapporto ad ogni configurazione linguistica: per l’aggiunta di TT abbiamo 3
grafici (continuazione, ripetizione e restituzione) e poi un grafico per il contrasto di TT.
Al fine di rendere massimamente paragonabili i dati delle nostre tabelle per quanto
riguarda la preferenza della marcatura dei fenomeni linguistici analizzati, abbiamo
operato come segue: per ogni configurazione, abbiamo calcolato il rapporto fra le
codifiche marcate e le codifiche totali degli eventi considerati (quelli cioè che abbiamo
presentato nelle prime tabelle di ogni paragrafo). Da questo rapporto abbiamo ottenuto
valori oscillanti fra lo 0 e l’1. Ciò significa che quanto più il valore si avvicina allo 0,
tanto meno la configurazione di cu si tratta è stata marcata, mentre quanto più il valore
si avvicina ad 1, tanto più la configurazione è stata marcata.
97

6.1. La marcatura dell’aggiunta di TT
98
Presentiamo innanzitutto il grafico relativo alla marcatura della continuazione.
Grafico 1: Marcatura della configurazione aggiunta di TT - continuazione
Questo grafico mostra chiaramente come, tendenzialmente, il tedesco sia più
portato a una realizzazione marcata della tipologia della continuazione come aggiunta di
TT. Tuttavia, guardando ai valori espressi dal grafico e ricordando che ci muoviamo
all’interno di un range che oscilla fra 0 e 1, notiamo che anche le realizzazioni in
tedesco L1 non sono in quantità elevate: il valore corrispondente infatti, si colloca poco
sotto lo 0,5, ovvero significa che la marcatura di questa configurazione concerne quasi
la metà degli eventi codificati. È comunque importante la differenza quantitativa con
l’italiano L1, che predilige la realizzazione non marcata della configurazione, mentre i
dati di italiano L2 si collocano a metà fra la lingua di partenza e la lingua obiettivo.
Unendo a questo punto le osservazioni contenute nel par. 2.3 relative alle perifrasi
verbali in italiano e le conclusioni a cui è giunto il gruppo di Carroll et al. rispetto
all’acquisizione della perifrasi progressiva da parte di apprendenti germanofoni (par.
3.2.3), possiamo sviluppare alcune ipotesi rispetto a quanto rivelano i nostri dati di
italiano L2. Prendiamo in considerazione il criterio dell’informatività, secondo le
massime di Grice, per cui pensiamo ai seguenti enunciati (possibili in italiano):
(59) Il signor Rossi dorme ancora.

(60) Il signor Rossi sta dormendo ancora.
(61) Il signor Rossi continua a dormire.
(62) Il signor Rossi sta continuando a dormire.
Ci troviamo di fronte a quattro enunciati grammaticalmente corretti.
Tendenzialmente, nei discorsi liberi che si fanno ogni giorno, notiamo che sono
soprattutto le varianti come in (60) e (61) a essere realizzate più di frequente dai parlanti
italiani madrelingua. Per capire il motivo di questa tendenza, ci siamo chiesti cosa
cambia a livello informativo nei vari enunciati, rapportando questo criterio alle strutture
scelte di volta in volta in ogni enunciato. In (59) abbiamo un verbo al presente e
l’avverbio di contrasto ancora, che compare anche in (60) a supporto della perifrasi
progressiva “stare + gerundio”. In (61) e (62) siamo in presenza della perifrasi verbale
“continuare a” sia nella forma semplice sia applicata alla base di un’altra perifrasi
progressiva. A nostro avviso, tendenzialmente, le due opzioni di (60) e (61) sono le più
utilizzate e per dedurlo ci basiamo sulle massime della cooperazione nell’interazione di
Grice 128 : la massima della quantità e la massima del modo. Per quanto riguarda la
massima della quantità, prendiamo in considerazione le informazioni sulla ongoingness
dell’azione, ossia parlare di un’azione in svolgimento, e quelle sulla sua continuazione a
posteriori, ossia il richiamo anaforico a una situazione precedente in cui l’azione si stava
già svolgendo. Rispetto alla massima del modo, teniamo in considerazione quale
struttura viene scelta per veicolare le due informazioni, quale forma assume il verbo e se
ci si serve di un avverbio. Pensiamo quindi che in (59) l’avverbio ancora acquisisca
molta importanza informativa rispetto al richiamo anaforico a una situazione
precedente, ma il verbo al presente forse riduce l’idea di azione in svolgimento, che
invece è chiaramente espressa in (60) con “sta dormendo”. L’avverbio di contrasto, in
questo caso, stabilisce il confronto con una situazione precedente. La scelta invece di
dire (61) e non (62) dipende, a nostro avviso, da una ridondanza d’informazioni
contenuta in “sta continuando a”, perché è come se si applicassero le perifrasi
progressiva e verbale per due volte. Il verbo “continuare a” racchiude già
semanticamente l’idea del protrarsi di un’azione e sostituisce in questo caso l’avverbio
ancora per quanto riguarda la creazione del legame anaforico con una situazione
128 Grice, 1970:7-10.
99

precedente (infatti, se continuo X implico che in precedenza ho già iniziato X). Ma in
più, quando diciamo che un’azione continua e utilizziamo il presente, veicoliamo anche
l’idea che l’azione si sta svolgendo mentre parliamo (quindi concetto di idea in
svolgimento).
100
I nostri dati ci hanno mostrato che i parlanti germanofoni d’italiano L2
preferiscono realizzare la marcatura della continuazione di un’azione attraverso la forma
“verbo + ancora”, che noi abbiamo ritenuto essere “meno informativa” rispetto alle
massime di Grice. Ora, fermo restando che la maggior parte delle codifiche degli eventi
resta non marcata, cerchiamo di spiegare, secondo il nostro punto di vista, perché i
parlanti abbiamo preferito una marcatura piuttosto che l’altra. A nostro avviso, ciò è
dipeso dall’impostazione generale data al racconto. Infatti, sebbene l’intervistatrice,
introducendo la storia grazie alle prime scene, utilizzasse il passato prossimo, la
maggior parte dei parlanti ha proseguito il racconto al presente 129 . Questo ha, a nostro
avviso, semplificato il racconto e proprio seguendo quest’ottica di “semplicità” nel
raccontare, molti parlanti hanno preferito scegliere una forma meno complessa per
veicolare questo tipo di aggiunta di TT 130 . Il fatto che noi, inizialmente, avessimo
identificato questa forma come meno informativa era dipeso dalle nostre conoscenze
linguistiche in quanto parlanti madrelingua italiani. Ora riteniamo che la scelta di
“verbo + ancora” da parte degli apprendenti dipende dal modo in cui le informazioni
sono codificate in questa struttura rispetto alle altre che abbiamo presentato negli
esempi (59)-(62): con “continuare a” si uniscono due informazioni quali la progressione
(ongoingness) dell’azione e il richiamo anaforico a una situazione precedente in cui tale
azione era già in corso, mente invece con un verbo semplice e l’avverbio ancora si
veicola il richiamo anaforico alla situazione precedente, escludendo l’informazione sulla
progressione dell’azione. Posto che i parlanti hanno quasi sempre raccontato al presente
semplice e questo può aver influenzato le loro scelte, esso possono comunque anche
129
Va detto comunque che alcuni parlanti hanno mantenuto la forma del passato prossimo fino alla
scena in cui si vede lo scoppio dell’incendio sul tetto. Da quel momento in poi, forse per il tipo di azione
vista, il racconto è tendenzialmente proseguito al presente, come se l’incendio riportasse ad una
dimensione più vicina al parlante l’intera storia.
130
Precisiamo che un racconto al passato non era “obbligatorio” per svolgere la nostra analisi. È
però vero che, essendo al passato una delle prime distinzioni aspettuali che si apprendono in italiano L2, i
racconti avrebbero dovuto essere preferibilmente al passato. Tuttavia, avendo notato che il fenomeno su
ci siamo focalizzati si realizzava con espressioni molto sensibili a fattori di azionalità più che di aspetto
(perifrasi progressive e avverbi temporali), abbiamo potuto lavorare anche con i racconti al presente.

aver subito l’influsso della L1 tedesca, nella quale non esiste (o almeno non è
grammaticalizzata) una struttura paragonabile alla perifrasi verbale italiana “continuare
a” (cfr. par. 2.3 per le riflessioni sulle perifrasi verbali in tedesco e italiano).
Passando alla tipologia di aggiunta di TT della ripetizione, abbiamo notato che nei
racconti in italiano, sia L1 che L2, essa ricopre una parte relativamente ridotta. Ossia, i
parlanti non sembrano essere molto sensibili a questo tipo di aggiunta di TT.
Innanzitutto riportiamo il grafico anche per questa configurazione.
Grafico 2: marcatura della configurazione di aggiunta di TT - ripetizione
Per l’italiano la marcatura di questa configurazione resta confinata a poche
occorrenze, ossia meno della metà degli eventi contiene una codifica marcata della
ripetizione. Invece in tedesco L1 la preferenza è nettamente per espressioni marcate.
Abbiamo visto che sono stati utilizzati soprattutto degli avverbi di contrasto: nochmal,
erneut e wieder. Dimroth et al. (2003 e in stampa) ritengono che nelle lingue
germaniche la marcatura di questi movimenti informativi si realizzi nell’espressione
della finitezza, marcata anche dal punto di vista della quantificazione grazie agli avverbi
temporali. Nelle lingue germaniche gli avverbi temporali concorrerebbero, nella stessa
posizione del verbo finito, a marcare un evento non solo per il suo TT ma anche per
essere accaduto “di nuovo”, ovvero nochmal, erneut e wieder. Dal momento
dispongono di questo repertorio sistematico di avverbi, le lingue germaniche risultano
101

molto sistematiche nella marcatura 131 . Al contrario, in italiano viene preferito il prefisso
verbale iterativo e quindi si attua una modifica del predicato verbale stesso.
Probabilmente gli apprendenti non gestiscono ancora completamente quest’azione,
sebbene nella loro L1 i verbi cosiddetti “divisibili” (trennbare Verben, verbi costituiti
da un prefisso e da un verbo semplice che, in una frase al tempo presente, vengono
divisi, posponendo il prefisso a fine enunciato) potrebbero suggerire il tipo di azione da
svolgere sul verbo in italiano (ovvero una prefissazione). Essendo però il tedesco anche
molto ricco di avverbi temporali, alcuni parlanti hanno preferito esprimersi con uno di
essi anche in italiano, appunto di nuovo, forse come “traduzione” delle varie possibilità
tedesche, per marcare la ripetizione di un’azione in un TT differente. Il fatto che non
abbiano comunque realizzato altri avverbi, fatto ammissibile in considerazione del
ventaglio disponibile nella loro L1, fa supporre che essi si siano in qualche modo già
adattati alla lingua obiettivo e abbiano iniziato a importare il modo di pensare in quella
lingua.
102
Lo stesso tipo di riflessioni è conducibile anche sulla tipologia della restituzione.
Come di consueto, presentiamo per prima cosa il grafico che abbiamo ricostruito dai
nostri dati.
Grafico 3: marcatura della configurazione di aggiunta di TT - restituzione
131
Dimroth et al. (2003) presenta auch (anche) come il primo scope particle presente nelle
realizzazioni di bambini in tedesco L1, mentre per il tedesco L2 si hanno auch, noch e wieder. La
funzione di queste particelle è la stessa: “(the particles) express that in relation to a previously mentioned
assertion the same predicate holds for another topic element, too”. (Dimroth et al., 2003:80).

In questo caso abbiamo avuto i dati forse maggiormente omogenei, nel senso che
tutti i parlanti, in ogni lingua, hanno marcato questo tipo di aggiunta di TT nella scena
16, in cui il signor Blu torna in camera sua dopo aver cercato di svegliare i coinquilini.
In entrambe le L1, l’informazione “il sig. Blu torna in camera” viene tendenzialmente
codificata. In italiano L1, in particolare, questa informazione viene sempre marcata (si
veda nel Grafico 3 il valore della colonna di “Ita L1”: esso è 1, quindi ogni enunciato
conteneva una marcatura della configut´razione) grazie all’uso del verbo tornare o
eventualmente la sua forma iterativa ritornare. In tedesco è stato utilizzato nuovamente
l’avverbio temporale di contrasto wieder e in generale anche in questa L1 i casi di
marcatura si avvicinano alla totalità delle codifiche (si veda il Grafico 3, colonna “Ted
L1). Le scelte in italiano L2 presentano, dal punto di vista quantitativo, meno casi di
marcatura della configurazione (si veda il Grafico 3, colonna in centro) e dal punto di
vista qualitativo (ovvero del “come” è stata marcata la configurazione) esse risentono di
più del tipo di marcatura nella L1 tedesca, l’avverbio di contrasto wieder, per il quale
vediamo nell’italiano di nuovo la realizzazione avverbiale corrispondente. Inoltre in
tedesco L1 la marcatura per la restituzione di una situazione era stata realizzata anche in
altre scene, a differenza dell’italiano sia L1 che L2: la scena 19, nella quale il signor Blu
riappende la cornetta, in tedesco marcata per due volte dal verbo auflegen 132 , e la scena
27, nella quale i pompieri tornano dal signor Verdi per farlo saltare, marcata una volta
grazie al prefisso divisibile zurück.
I casi di ripetizione e restituzione ci suggeriscono l’idea che la lingua tedesca
marchi maggiormente questi tipi di aggiunta di TT grazie alla varietà di avverbi
temporali di contrasto di cui dispone, mentre in italiano si preferisce agire a livello di
lessico verbale (per esempio con il verbo tornare) oppure con un prefisso verbale
iterativo, “ri-“. In italiano non mancano certo degli avverbi di contrasto, nel paragrafo
2.4 abbiamo visto che in italiano si può dire di nuovo e ancora una volta (presente solo
in L2, si vedano le Tabelle 9 e 10 del capitolo precedente) per indicare ripetizione o
restituzione. Riteniamo, alla luce dei nostri dati, che le realizzazioni in italiano L2
abbiano subito l’influsso della L1 tedesca per quanto riguarda la sistematicità della
marcatura attraverso gli avverbi temporali (Dimroth et al. 2003) e che per questo la
132
Si tratta di un verbo divisibile, il cui prefisso “auf-“, in questo caso, potrebbe essere paragonato
al prefisso iterativo “ri-“ del verbo “riappendere (la cornetta)”.
103

marcatura invece più tipica per la lingua obiettivo (prefisso iterativo “ri-“) sia rimasta
più in sordina. In generale, comunque, tutte e tre le lingue che abbiamo analizzato
(italiano L1 ed L2 e tedesco L1) hanno realizzato la marcatura dell’aggiunta di TT
proprio in questa configurazione della restituzione.
6.2. La marcatura del contrasto di TT
104
Continuando le nostre riflessioni in ottica comparativa, presentiamo il grafico
relativo alla marcatura del contrasto di TT.
Grafico 4: marcatura della configurazione di contrasto di TT
In generale possiamo affermare che la lingua tedesca prediliga una realizzazione
marcata di tale contrasto. Il grafico mostra però che, tutto sommato, la colonna relativa
al tedesco non raggiunge valori elevatissimi: siamo intorno ai due terzi delle codifiche
per la marcatura di questa configurazione. Il che è sicuramente maggiore rispetto alle
realizzazioni in italiano L1 ed L2, per la quali, in questo caso, i valori coincidono (ma
ovviamente non è sempre così).
Il contrasto di TT è stato marcato dai parlanti tramite gli avverbi di contrasto,
oppure alcuni avverbi di posizione (come: alla fine, am Ende) che hanno ricevuto un
accento d’intensità e hanno svolto quindi una funzione di contrasto all’interno

dell’enunciato e del racconto. Riprendiamo nella seguente tabella gli avverbi utilizzati
dai nostri parlanti:
Tabella 19: Avverbi di posizione e di contrasto in italiano L1 e L2 e in tedesco L1
Italiano L1 Questa volta, adesso, alla fine, finalmente
Tedesco L1 Diesmal, jetzt, schließlich, am Ende, endlich, letztendlich, doch
Italiano L2 Adesso, alla fine, finalmente, ormai
Come abbiamo problematizzato nel par. 2.4, spesso gli avverbi di posizione
vengono usati con funzione contrastiva e questo è possibile a livello pragmatico (nel
contesto) grazie all’accento d’intensità 133 . Infatti, quando i nostri parlanti raccontano
alla scena 29 che “finalmente” il signor Rossi salta dalla finestra, spesso viene utilizzato
l’avverbio alla fine: ciò comporta un ragionamento su due livelli, perché i parlanti
intendono sì segnalare che siamo alla fine di un processo nel quale succede che l’entità
topicale salta, ma data la situazione all’interno di una storia a scene, si crea un#altra
ambiguità. Ovvero che il cambiamento di polarità che, in generale, coincide con il punto
finale di un processo, avviene in questo caso (Il sig. Rossi salta) in un momento della
“Finite Story” che qualifichiamo come “fine” della storia, perché gli altri due
personaggi sono già saltati e presumibilmente perciò la storia sta finendo. In questo
senso allora possiamo dire che l’avverbio alla fine è ambiguo fra „cambiamento di
stato“ (rispetto all’evento “saltare”) e „fine della storia“ (in senso più generale
relativamente alla “Finite Story”). La stessa considerazione può essere fatte per il
tedesco con am Ende rispetto agli altri tre avverbi utilizzati, cioè: schließlich, endlich e
letztendlich fungono da avverbi di contrasto, mentre am Ende svolge una funzione
posizionale e di contrasto (posizionale rispetto alla storia complessiva, di contrasto
rispetto all’evento in questione, ovvero il signor Rossi che salta dalla finestra).
Seguendo questo ragionamento, esso è estendibile anche agli avverbi adesso e
questa volta e ai loro rispettivi tedeschi jetzt e diesmal. Adesso può essere utilizzato
133
A livello semantico, gli avverbi di posizione e di contrasto possono essere discriminati ponendo
le domande a cui essi rispondono (esempio: “Quando succede X?” identifica gli avverbi temporali di
posizione).
105

come semplice veicolo per il TT shift, ed essere quindi intrinseco in ogni scena, senza
bisogno di essere esplicitato e in questo caso non riceve nessun accento nell’eloquio.
Nel momento in cui, però, questo avverbio viene posizionato diversamente
nell’enunciato o viene sottolineato intonativamente grazie all’accento d’intensità, allora
esso marca esplicitamente il contrasto di TT rispetto alle (o ad una delle) scene
precedenti. Parlando di questa volta e di diesmal, che ricorre nei nostri dati solo nelle
due L1 e solo nel racconto della scena 18 in cui il signor Blu richiama i vigili del fuoco
che riescono a rispondere al telefono, essi rimandano semanticamente ad un’altra
situazione (nel nostro caso alla scena 13, nella quale si era visto il telefono squillare
mentre il vigile del fuoco andava in bagno e non riusciva a rispondere) perché
semanticamente indicano che vi è già stata “un’altra volta” in cui la medesima azione si
è verificata. A differenza di adesso, questo avverbio non ha bisogno di ricevere un
accento d’intensità o, in generale, non richiede l’utilizzo di mezzi prosodici o sintattici
per marcare la funzione di contrasto di TT.
106
Resta ora una riflessione molto importante da sviluppare relativamente alla
particella tedesca doch. Quantitativamente, essa è molto presente nei dati di tedesco
L1mentre invece l’italiano non possiede una particella simile e quindi abbiamo cercato
di capire come essa è stata resa in italiano L2 dai nostri parlanti. Per prima cosa,
abbiamo cercato una definizione delle funzioni della particella doch e il volume di
Helbig (1988) ci è sembrato fornisse le indicazioni più precise (cfr. par. 5.2 sopra).
In questa descrizione è importante per noi la funzione di doch come connettore
testuale che fornisce coesione attraverso il richiamo anaforico ad una scena precedente
di segno diverso (ovvero di diversa polarità) e che, al tempo stesso, permette di
esprimere la reazione soggettiva del parlante. Ciò che noi abbiamo osservato nei nostri
dati, è stato l’utilizzo di doch in scene che, rispetto ad un’entità topicale già presente
nella scena immediatamente precedente, presentavano un predicato di segno opposto:
l’esempio ideale, la scena 29, presenta il signor Rossi che si butta dalla finestra dopo
che, nella scena precedente, si era rifiutato (peraltro per la seconda volta) di farlo.
Attraverso l’uso di doch si instaura automaticamente un richiamo anaforico ad una
situazione antecedente di polarità inversa; richiamo che in italiano non è possibile in
modo così diretto come in tedesco.

Per quanto riguarda i nostri dati, riteniamo che in alcuni casi in italiano sia stato
possibile rimandare anaforicamente alla situazione precedente grazie all’intonazione.
Ovvero, quando il signor Rossi si decide a saltare dalla finestra, alcuni parlanti hanno
sottolineato con un accento d’intensità l’avverbio temporale utilizzato: finalmente o alla
fine. In altri casi abbiamo notato anche l’utilizzo di interiezioni esclamative come: Oh!,
Eh!, adesso sì! Il collegamento anaforico che s’instaura grazie a doch è tuttavia
differente, poiché è mirato al livello dell’asserzione: due asserzioni, contenenti predicati
di polarità opposte e riferite a entità topicali identiche, valgono per due tempi topicali
che si susseguono (e che quindi cambiano attraverso il meccanismo del TT shift) 134 . Il
cambiamento del rapporto fra l’asserzione e il tempo topicale viene marcato in tedesco
attraverso doch, mentre in italiano ciò risulta da una commistione di altri mezzi: accento
d’intensità, interiezioni esclamative e cambiamento nell’ordine delle parole. Grazie a
queste osservazioni, cerchiamo ora di dare coerenza alle nostre analisi e vediamo, in
conclusione, a quali risultati ci hanno portato.
134 Cfr. Dimroth et al. (2003) e Dimroth, Andorno, Benazzo (in stampa).
107

108

7. CONCLUSIONI
Riprendiamo ora le fila di tutto il discorso che abbiamo costruito in questo lavoro.
Inizialmente abbiamo presentato il modello di Klein (1994) per avere un denominatore
comune nel confronto fra i sistemi tempo-aspettuali italiano e tedesco. In particolare,
abbiamo diretto le nostre riflessioni sulle problematiche relative alla categoria
dell’aspetto verbale, legata alla categoria della Aktionsart. Grazie a queste due
categorie, abbiamo delineato alcune strutture, le perifrasi verbali, indicando i verbi ai
quali esse possono venire applicate. A questo riguardo, abbiamo soffermato la nostra
attenzione sulle perifrasi verbali italiane e sulla mancanza di strutture corrispondenti in
tedesco per identificare, a questo punto del lavoro in modo generale, i mezzi linguistici
a disposizione dei parlanti delle due lingue, che permettono la codifica di caratteristiche
aspettuali e azionali dei verbi: abbiamo notato come, nelle L1, i parlanti italiani
sfruttassero maggiormente le perifrasi verbali, mentre i parlanti tedeschi si avvalessero
soprattutto degli avverbi temporali, in particolare di quelli di contrasto.
In seguito, concentrandoci sull’italiano L2 di germanofoni, abbiamo dato rilievo
alla realizzazione linguistica dell’aspetto ongoing di un processo o evento, ossia di
quando il tempo della situazione è completamente incluso nel tempo topicale. Il
modello di Klein ci ha a quel punto fornito un aiuto importante definendo, almeno
funzionalmente, una particolare categoria di avverbi temporali: gli avverbi di contrasto.
Infatti, una volta avuti a disposizione i dati completamente trascritti e confrontabili, ci
siamo resi conto che proprio grazie a questa categoria lessicale è stato marcato
diffusamente il fenomeno linguistico che abbiamo deciso d’indagare: l’aggiunta e il
contrasto di tempo topicale. Indagando questo fenomeno linguistico, abbiamo dovuto
mettere in relazione la categoria degli avverbi temporali di contrasto per entrambe le
lingue e tenere in considerazione la classe delle perifrasi verbali per l’italiano.
Ciò che i nostri dati ci hanno rivelato è stato l’utilizzo di questi due mezzi
linguistici, le perifrasi verbali in minima parte e gli avverbi di contrasto più
diffusamente, per la realizzazione delle marcature dell’aggiunta e del contrasto di tempo
topicale in italiano L2 di germanofoni. Guardando meglio i dati, sia quelli riguardanti
l’aggiunta di TT, sia quelli riguardanti il contrasto di TT, abbiamo rilevato diverse
109

tendenze nella marcatura in italiano e tedesco L1. Queste osservazioni ci sono state utili
per istituire i confronti con i risultati in italiano L2.
110
Riprendendo l’analisi di Dimroth et al. (2003) abbiamo notato una marcatura più
sistematica in tedesco che in italiano delle configurazioni di aggiunta di TT che
abbiamo investigato. Ciò è dovuto alla concorrenza degli avverbi temporali tedeschi con
la finitezza negli enunciati, per cui è possibile quantificare sistematicamente tramite tali
avverbi un evento che si ripete. Dal momento che il tedesco dispone di un sistema di
avverbi di contrasto più ampio di quello italiano, è possibile marcare sistematicamente
più configurazioni relative agli intervalli temporali e ai predicati. Di ciò abbiamo visto
alcune tracce nell’italiano L2 dei nostri parlanti: essi hanno preferito attuare le
marcature dei fenomeni di aggiunta di TT attraverso l’utilizzo di avverbi di contrasto.
Pensiamo che queste scelte risentano del modo in cui si utilizzano gli avverbi nella loro
L1. Non possiamo dire se si tratta di una sorta di “traduzione” mentale degli avverbi
della L1, ma possiamo constatare che la preferenza è per la quantificazione tramite
avverbi di contrasto piuttosto che attraverso altri mezzi come le perifrasi verbali,
l’affissazione verbale o lo sfruttamento della semantica del verbo (si veda il caso di
tornare).
Rispetto all’utilizzo delle perifrasi verbali, abbiamo notato come esse siano state
realizzate in minima parte e come i parlanti abbiano preferito codificare le informazioni
di ongoingness e di richiamo anaforico scegliendo di dare più importanza alla seconda
informazione. Essi infatti, hanno preferito la costruzione “verbo + ancora” alla perifrasi
verbale “continuare a”, tendenzialmente più realizzata dai parlanti madrelingua italiani.
Così facendo hanno disgiunto le due informazioni codificabili che caratterizzano gli
eventi che hanno visionato e che sarebbero invece rimaste unite nella perifrasi
“continuare a”. Su questa scelta riteniamo possa aver influito sia la mancanza di
perifrasi simili nella L1, sia, di conseguenza, il maggiore e sistematico utilizzo degli
avverbi di contrasto nella L1.
Per quanto riguarda la configurazione del contrasto di TT abbiamo dovuto tenere
in considerazione una particolarità della L1 tedesca, ovvero l’utilizzo della particella
doch. Nell’articolo di Dimroth, Andorno e Benazzo (in stampa) si rileva come questa
particella nella lingua tedesca permetta ai parlanti di istituire un collegamento diretto a

livello assertivo fra due situazioni che si susseguono. Anche i nostri dati ci hanno
confermato questo uso, contenendo appunto molte marcature in L1 tedesca del contrasto
di TT attraverso doch. La nostra attenzione sui dati d’italiano L2 si è quindi concentrata
sui mezzi che hanno impiegato i parlanti per sopperire alla mancanza di una tale
particella nella lingua obiettivo. Abbiamo notato che gli apprendenti mettono in atto
modifiche sintattiche e intonative per marcare il contrasto di TT: posizione inusuale
degli avverbi di contrasto nell’enunciato, utilizzo dell’accento d’intensità per spostare il
focus del discorso proprio sugli avverbi di contrasto e infine utilizzo di alcune
interiezioni esclamative. Soprattutto queste ultime ci sembrano un tentativo di esprimere
la parte di soggettività (nel nostro caso relativa l’aspettativa creata dalla storia) che in
tedesco viene veicolata direttamente da doch. Quindi, se in tedesco L1 il riferimento ad
un contrasto informativo e alla reazione soggettiva del parlante possono essere veicolate
tramite un solo mezzo linguistico, una particella, in italiano L1 ma soprattutto L2 i
parlanti germanofoni devono realizzare altri mezzi per sopperire a questa disgiunzione
informativa della lingua italiana.
Rispetto alla posizione anomala che alle volte hanno assunto alcuni avverbi
temporali o la particella additiva anche, abbiamo fatto riferimento sia alla L1 tedesca sia
ai fenomeni di acquisizione che caratterizzano l’interlingua medio-avanzata dei nostri
parlanti. Per quanto riguarda la posizione anomala nell’enunciato di alcuni avverbi di
contrasto italiani, essa è stata spesso accompagnata da un accento d’intensità e quindi
abbiamo interpretato la diversa posizione sintattica e l’accento come modi per
focalizzare l’avverbio di contrasto. Il problema che, invece, si è presentato più spesso ha
riguardato la coppia anche – ancora. Quando abbiamo trovato la particella additiva
anche in una posizione anomala all’interno dell’enunciato (post NP) e ciò ha provocato
dubbi interpretativi sul fatto che si trattasse di un errore sintattico rispetto ad anche
oppure di una non completa padronanza di ancora, abbiamo tendenzialmente proteso
per l’errore sintattico. La posizione anomala di anche corrisponde alla posizione corretta
di auch nella L1 e questo fatto può aver influenzato la costruzione degli enunciati dei
nostri parlanti, che in altre situazioni hanno dimostrato di aver compreso l’utilizzo (e la
posizione sintattica) di ancora.
111

112
Il problema di anche e ancora si collega inoltre alla possibilità fornita dalla
“Finite Story” di marcare le aggiunte e i contrasti non solo del tempo topicale (ciò che
abbiamo indagato noi) ma anche delle entità topicali. Dimroth, Andorno e Benazzo (in
stampa) hanno studiato nello specifico i fenomeni di marcatura relativi al mantenimento
e al cambiamento delle entità topicali, tenendo sempre in considerazione la polarità dei
predicati, utilizzando la “Finite Story” e individuando un modo delle lingue germaniche
e un modo delle lingue romanze per marcare le informazioni topicali mantenute o
cambiate all’interno dei racconti. Questo articolo ci ha permesso di tenere presente che
le configurazioni che abbiamo individuato prima dell’analisi dei dati permettono una
marcatura sia dell’aggiunta e del contrasto di tempo topicale, sia dell’aggiunta e del
contrasto di entità topicali. In effetti, nei nostri dati, abbiamo visto in alcuni casi la
concorrenza fra tempo ed entità nella scelta delle marcature: non abbiamo analizzato i
singoli casi nel dettaglio, ma molto spesso l’informazione topicale che riceveva una
marcatura in casi di mantenimento o cambiamento era quella dell’entità. Ecco perché
abbiamo comunque analizzato i casi in cui la particella additiva anche si trovava in una
posizione inusuale nell’enunciato: si trattava di capire se eravamo in presenza di una
marcatura di aggiunta o contrasto relativa al tempo o all’entità topicale, essendo in
alcuni casi entrambe possibili ed essendo che, sempre seguendo Dimroth et al. (in
stampa) le lingue germaniche preferiscono di norma marcare i mutamenti e i
mantenimenti dell’entità piuttosto che del tempo topicale.
Per concludere, ciò che i nostri dati, a nostro avviso, ci mostrano è l’influenza
della L1 tedesca sulle scelte in L2 italiana relativamente alla presenza di molti avverbi
di contrasto nella marcatura delle configurazioni di aggiunta e di contrasto di tempo
topicale che abbiamo indagato. I nostri parlanti si collocano a un livello medio-avanzato
di apprendimento della L2 però riteniamo di aver notato che, rispetto all’utilizzo delle
perifrasi verbali, essi non ne facciano ancora largo uso poiché protendono per una
quantificazione delle azioni attraverso il lessico, ovvero gli avverbi di contrasto. Quindi,
se Carroll et al. (2008) avevano notato, per la perifrasi progressiva, che gli apprendenti
germanofoni importavano anche la sua frequenza d’uso in italiano L2, noi pensiamo che
i nostri parlanti abbiano realizzato in modo molto meno frequente le perifrasi verbali
come “continuare a” e abbiano preferito esprimersi utilizzando gli avverbi di contrasto.

Tuttavia non possiamo generalizzare questa conclusione, perché anche i madrelingua
italiani con i cui dati abbiamo confrontato i dati in italiano L2, nei loro racconti, non
hanno realizzato spesso marcature con le perifrasi verbali ma riteniamo che l’ipotesi di
una predilezione per la quantificazione sia predominante negli apprendenti
germanofoni. L’impressione è quella di una differente visione della storia: se per gli
italiani è possibile esprimere una visione d’insieme di tutta la storia, dando in questo
modo risalto alle azioni continuate e ripetute al suo interno, per i tedeschi si tratta, a
nostro avviso, di intendere ogni scena come a sé stante e quindi quantificabile tramite
gli avverbi. Ci sembra questo, nonostante tutto, un primo punto di arrivo a cui ci hanno
condotto i nostro dati di L2. Secodariamente, rispetto alle marcature del contrasto di TT,
abbiamo notato come gli apprendenti germanofoni abbiano sviluppato alcuni elementi
prosodici (intensità o spostamenti sintattici) per focalizzare, in certi contesti, gli avverbi
di contrasto. Se un contrasto informativo del genere, nella loro L1, era stato possibile
principalmente attraverso la particella doch che permette un richiamo anaforico a livello
assertivo con un predicato di polarità opposta precedente, essi hanno dimostrato di aver
sviluppato i mezzi tipici dell’italiano per istituire lo stesso tipo richiamo anaforico. È
chiaro che doch e i mezzi espressivi per l’italiano agiscono a due livelli diversi, ma
questo ci porta appunto a pensare che, in questo caso, i parlanti abbiano importato la
logica soggiacente al richiamo anaforico per il contrasto di TT nella lingua obiettivo.
113

114

RINGRAZIAMENTI
Le persone a cui rivolgo i miei più sentiti ringraziamenti per la riuscita di questo
lavoro sono davvero molte. Il mio primo ringraziamento è per la professoressa
Andorno: la ringrazio per avermi suggerito l’idea su cui lavorare, per avermi fatto
approfondire le mie conoscenze in un ambito della linguistica che non avevo ancora
studiato a fondo, per avermi sempre corretta in modo preciso e professionale, perché
così facendo mi ha insegnato molto sulla stesura di un lavoro importante come per lo è
stata questa tesi. La ringrazio per aver collaborato nonostante la situazione difficile in
cui ho scritto la tesi, che non ha permesso dei confronti personali frequenti e ha richiesto
molta più pazienza soprattutto a lei per le correzioni e le spiegazioni. So che non è stato
facile e la ringrazio davvero molto per il suo impegno e la sua precisione.
Vorrei ringraziare la mia correlatrice, la professoressa Remberger, che ha deciso
di seguirmi nella stesura della tesi presso l’università di Costanza. La ringrazio perché
so quanto sia stato difficile per lei seguire questo lavoro, soprattutto dovendosi muovere
in un ambito della linguistica che si discosta, in parte, da quello che è il suo ambito
principale di ricerca. Il suo supporto è stato per me estremamente utile, soprattutto per
quanto riguarda le consulenze bibliografiche e le riflessioni contenutistiche durante la
stesura del lavoro.
Un grazie di cuore alla mia famiglia, perché mi ha sostenuta nonostante la
distanza geografica che ci ha separati e ha sempre creduto nella buona riuscita di questo
lavoro. So quanto sia stato difficile per loro sapermi lontana e non potermi aiutare
concretamente come avrebbero voluto, ma li ringrazio per l’affetto e l’incoraggiamento
che non mi hanno mai fatto mancare.
Grazie di cuore alla mia amica Sara, perché se mi fosse mancato il suo sostegno
allegro e vivace avrei avuto sicuramente dei cedimenti. La ringrazio per le risate che è
riuscita a strapparmi anche quando ero in crisi e per il coraggio mi ha regalato.
Un grazie speciale va anche a Philipp, perché è forse la persona che
maggiormente ha dovuto subire i miei umori, le mie ansie e le mie crisi per la paura di
115

non riuscire a concludere questo lavoro. Nonostante tutto, mi ha sempre sostenuta
occupandosi di me in modo discreto ma sempre presente e infondendomi la voglia di
continuare su questa strada.
116
Grazie alle mie tre amiche di collegio: Elena, Diletta e Giorgia. Nonostante la
lontananza ho sempre sentito il loro affetto e il loro incoraggiamento per il
proseguimento del lavoro e, in generale, per il proseguimento dei miei studi e delle mie
ricerche. Grazie!
Grazie mille a tutte le persone che mi hanno aiutata a realizzare questo lavoro: i
miei “parlanti”, che hanno accettato di sottoporsi alla mia ricerca, perché senza di loro
questo lavoro non sarebbe mai nato. Sono contenta di aver ricevuto il loro aiuto e
auguro a ognuno di loro una splendida continuazione negli studi e nella vita.
Infine rivolgo un pensiero di gratitudine un po’ particolare a tre persone che
hanno già superato il “confine del tempo” e quello dello spazio: grazie a mio nonno, a
Luca e a Don Alfredo. Ho sempre sentito la loro protezione ed è con immensa stima nel
cuore che li ringrazio per non avermi mai abbandonata. So che continueranno a
seguirmi “per tutto il tempo del mondo”.

APPENDICE 1
Norme per la trascrizione di dati – CHAT-Finite Story (stato gennaio 2008)
Denominazione dei file
Tanto il file audio (.wav) quanto il corrispondente file di trascrizione (.trs) vanno denominati con una
sequenza che identifica:
1. Il compito comunicativo:
FS = Finite Story
IN = Intervista
2. La lingua di partenza:
TE = tedesco
SP = spagnolo
IT = italiano
3. La lingua di arrivo:
I = italiano
T = tedesco
S = spagnolo
4. Codice identificativo dell'apprendente, di tre lettere. Ogni apprendente deve avere un codice
identificativo univoco (cioè appartenente solo a lui) all’interno del corpus; nei limiti del possibile, si
usano i primi tre caratteri dello pseudonimo (sia il codice sia lo pseudonimo sono dichiarati all’interno
della scheda informativa relativa a ciascun soggetto): ad es. sulla base dello pseudonimo Alexia = ALE
Quindi la registrazione e la trascrizione della Finite Story di Alexia, apprendente di italiano di
madrelingua tedesca va trascritta in un file denominato FSTEIALE (rispettivamente, i due file avranno
estensione .wav e .trs; la stessa denominazione avrà l’eventuale file con estensione .txt ottenuto
successivamente).
L’eventuale file di informazione biografica che si può creare, in formato .txt, avrà la stessa
denominazione dei file di trascrizione tranne il codice del compito comunicativo, il quale è sostituito dalla
sigla BI. Quindi il file biografico di Alexia è denominato BITEIALE.TXT.
Convenzioni di trascrizione
(convenzioni CHAT modificate da Cresti, Moneglia e Biazzi)
Ortografia
Trascrivere le parole secondo l’ortografia italiana. NB controllare l’ortografia di parole tronche e
accentate (es. gli accenti gravi e acuti su e: è cioè ma perché sicché) e seguire le indicazioni riportate per
le interiezioni.
Sillabe prominenti vanno scritte in maiuscolo.
I numeri sono scritti in cifre.
Sigle e abbreviazioni non sono seguite o intercalate da punti: FIAT D D Lewis
117

Parole non pronunciate secondo la forma nativa:
118
- possono essere rese con il normale sistema ortografico italiano, senza normalizzazioni:
anghe, pelò. La parola italiana effettiva, quando possa non essere chiara, può essere trascritta
subito dopo fra parentesi quadre come glossa (cfr. oltre): pelò [: però];
- qualora si desiderasse riprodurne la pronuncia attraverso la trascrizione fonetica si fa
seguire alla resa ortografica la trascrizione fonetica utilizzando i simboli dell’alfabeto fonetico
SAMPA seguito senza spazio dalla convenzione @p (es. statistica Sta'tistika@p). I simboli
dell’alfabeto fonetico SAMPA per l’italiano sono riportati sull’allegato A. La lista completa dei
simboli dell’alfabeto fonetico SAMPA è disponibile sul sito:
http://www.phon.ucl.ac.uk/home/sampa/home.htm;
- accenti tonici non corretti o non standard possono essere indicati usando la lettera
maiuscola per la vocale accentata: vigIli fuoco.
Confini di unità prosodiche
Ogni turno e ogni segmento deve concludersi con un segnale di confine di unità (terminale o non
terminale)
. confine di unità terminale, profilo discendente (assertivo)
? confine di unità terminale, profilo discendente – ascendente (interrogativo)
! confine di unità terminale, profilo ascendente (enfatico, esclamativo)
+… unità terminale incompiuta, profilo sospeso
-, cesura intonativa interna, non terminale
Fenomeni di esitazione
: allungamento vocale o consonante in fine parola o interno a parola
:: pausa fra sillabe interna a parole (parole sillabate o esitazioni interne)
(pa)rola frammenti di parola non realizzati o non completamente intellegibili
(xx) sillabe non comprensibili (una x ogni sillaba)
# ## ### pause di lunghezza crescente
[/] ripetizione (il testo ripetuto precede il segno ed è racchiuso fra parentesi uncinate)
[//] riformulazione (il testo riformulato precede il segno ed è racchiuso fra parentesi
uncinate)
[>N] discorso in sovrapposizione con parlante del turno successivo (le parti sovrapposte sono
identificate con lo stesso numero N)
[

&parola non-parola o riempitivo (simbolo da inserire davanti a elementi che non devono essere
computati come parole, es. pause piene: &eh &mh)
parola@s
@s
parola@d
@d
[% testo] commento
[: testo] glossa
parola o testo in altra lingua (il testo in altra lingua precede immediatamente il segno e,
se composto da più parole, è racchiuso fra parentesi uncinate)
parola in dialetto (il testo in dialetto precede immediatamente il segno e, se composto
da più parole, è racchiuso fra parentesi uncinate)
Prestare attenzione all’uso degli spazi, che vanno riportati esattamente secondo le convenzioni su
elencate.
Armonizzazione con standard di trascrizione CHAT
Dei file creati con Transcriber (che vengono salvati in formato .trs, leggibile con il programma stesso)
possono successivamente essere salvate copie di formato .txt, leggibili in qualsiasi word processor. Per
armonizzare le trascrizioni con lo standard CHAT seguito per le trascrizioni pavesi, le operazioni da fare
sui file .txt così salvati sono le seguenti:
1. Conversione dei codici identificativi dei parlanti: i codici che identificano l’inizio turno devono in
CHAT avere il formato: *XXX: seguito da tabulazione, dove XXX è il codice del parlante:
*IT0: come va?
*ALE: bene grazie.
2. Inserimento di riga iniziale e finale: La prima riga del file deve sempre essere @Begin. L’ultima riga
del file deve sempre essere @End.
3. Inserimento di headers informativi iniziali (intestazione).
Gli headers seguono immediatamente la riga @begin:
@Languages: la lingua principale in cui si svolge l’interazione
@Participants: il codice identificativo di ciascun parlante seguito dal rispettivo nome e ruolo
@Time in Italy of XXX: il tempo di esposizione all'italiano in Italia (aa.mm.gg) al momento della
registrazione
@Languages of XXX: la L1, L2 e altre lingue conosciute dall’apprendente
@Date: il giorno della registrazione (dd-MON-yyyy) (si riportano in maiuscolo le prime tre lettere del
mese in inglese)
@Location: il luogo della registrazione
@Duration: la durata della registrazione (hh:mm)
@ID: il nome del database di appartenenza ed eventuale sottosezione
@Filename: il nome del file
119

@Tape Location: il codice identificativo del nastro (cassetta, MiniDisc, MiniDVD o altro) di
registrazione
@Transcriber: il nome del trascrittore
@Coding: lo schema di trascrizione utilizzato (ad es. CHAT) ed eventuale versione
@First Revision: il nome di chi ha fatto la prima revisione
@Second Revision: il nome di chi ha fatto la seconda revisione
@Content: i contenuti della registrazione
@Comment : eventuali informazioni non codificate negli headers precedenti (ad es. segnalare altre
persone presenti all’interazione – se sono presenti altri apprendenti e la registrazione è stata trascritta in
altri file va segnalato) o eventuali commenti relativi alla trascrizione
120

SOGGETTO N° ID.
Caratteri task (da compilare per il rilevatore)
APPENDICE 2
TASK ________________________________________________________
LINGUA L1 __________________ L2 ____________________________
DATA ________________________________________________________
LUOGO ________________________________________________________
DURATA ________________________________________________________
PARTECIPANTI
Caratteri Informante (da compilare per l’informante)
SESSO M F
CITTÁ DI RESIDENZA ALLA NASCITA ________________________________________________________
CITTÁ DI RESIDENZA ATTUALE ________________________________________________________
ETÀ ________________________________________________________
OCCUPAZIONE
TITOLO DI STUDIO ________________________________________________________
CITTÁ DI NASCITA PADRE ________________________________________________________
CITTÁ DI NASCITA MADRE ________________________________________________________
MADRELINGUA / MADRELINGUE ________________________________________________________
ALTRE LINGUE O DIALETTI CONOSCIUTI E PRATICATI:
Lingua / Dialetto Fonti di conoscenza Competenza Frequenza d’uso
_____________
l’ho imparato attraverso:
corsi (durata dei corsi:
_____
_____________________
____ )
frequentazione di
parlanti nativi
soggiorno nel paese
(durata del soggiorno:
_____________________
_____________________
__)
ascolto
radio/televisione
so parlarlo
lo capisco
a livello :
elementare
intermedio
avanzato
a livello :
elementare
intermedio
avanzato
lo uso:
occasionalmente
con regolarità
intensamente
121

122
APPENDICE 3
Nella tabella seguente mostriamo tutte le scene della “Finite Story“ che sono state
trascritte. Ogni scena è suddivisa negli eventi che la compongono e ad ogni evento
viene fatta corrispondere la scena a cui esso rimanda.
Nr. Scena Descrizione Riferimento scene precedenti
3 Il sig. Blu si addormenta
4 Il sig. Verdi si addormenta 3
5 Il sig. Rossi si addormenta 4
6 Fiamme sul tetto
I signori Blu, Verdi e Rossi dormono 3, 4, 5
7 Il sig. Verdi dorme 3, 6
8 Il sig. Rossi dorme 5, 7
9 Il sig. Blu si sveglia 7, 8
10 Il sig. Blu pensa di chiamare i vigili del fuoco
11 Il sig. Blu chiama i vigili del fuoco 10
12 Il telefono continua a suonare 11
Un vigile del fuoco è in bagno
Il vigile del fuoco non risponde al telefono
13 Il vigile del fuoco esce dal bagno
Il telefono non suona più 12
14 Il sig. Blu riappende la cornetta 11
Il sig. Blu esce di casa, scendendo le scale
Il sig. Blu bussa dal sig. Verdi
15 Il sig. Blu bussa / continua a bussare dal sig.
Verdi
Il sig. Verdi continua a dormire / non si
sveglia
Il sig. Blu bussa dal sig. Rossi
Il sig. Rossi continua a dormire / non si
sveglia
14
7
8

16 Il sig. Blu risale le scale / torna in casa
17 Il sig. Blu richiama i pompieri 11
18 Il vigile del fuoco risponde al telefono 12, 13
19 Il sig. Blu riappende la cornetta 14
L’incendio sul tetto è aumentato 6
Il sig. Blu è preoccupato
20 Il sig. Verdi si sveglia 7, 15
Il sig. Verdi è preoccupato 19
21 Il sig. Rossi si sveglia 8, 15
Il sig. Rossi è preoccupato 19, 20
22 I vigili del fuoco arrivano alla casa in fiamme
23 I sig. Blu, Verdi e Rossi sono alle finestre
24 I vigili del fuoco sono sotto la finestra del
sig. Verdi
Il sig. Verdi non salta
25 I vigili del fuoco sono sotto la finestra del
sig. Rossi
24
Il sig. Rossi non salta 24
26 I vigili del fuoco sono sotto la finestra del
sig. Blu
Le fiamme sono nella stanza del sig. Blu
24, 25
Il sig. Blu salta 24, 25
27 I vigili del fuoco tornano dal sig. Verdi 24
Le fiamme sono nella stanza del sig. Verdi 26
I sig. Verdi salta 26
28 I vigili del fuoco tornano dal sig. Rossi 25
Le fiamme sono nella stanza del sig. Rossi 26, 27
Il sig. Rossi non salta 25, 26, 27
29 Il sig. Rossi salta 28
30 I vigili del fuoco spengono le fiamme
31 Lieto fine
123

124

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http://corpus1.mpi.nl/ds/imdi_browser?openpath=MPI560350%23
Per il programma Transcriber:
http://sourceforge.net/project/showfiles.php?group_id=40021&package_id=51790
132