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Apicoltura della Valtellina - Associazione Produttori Apistici Sondrio

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Miele <strong>della</strong> <strong>Valtellina</strong>: una<br />

lunga storia ed una antica<br />

tradizione.<br />

L’apicoltura è un’attività nata e coltivata,<br />

sempre e soprattutto, per il potente e segreto<br />

fascino che il mondo dell’ape sa esercitare sulle<br />

persone intelligenti e curiose: il miele è il frutto di<br />

questa passione. Il miele <strong>della</strong> <strong>Valtellina</strong> ha<br />

raggiunto importanti traguardi nella Qualità e<br />

nell’Eccellenza percorrendo una strada, una storia<br />

che è giusto conoscere anche per rispetto di chi ci<br />

ha preceduto e ha reso possibile i successi e il<br />

cammino di oggi.<br />

Quando si osservano gli insetti sociali al lavoro,<br />

come le api ma più facilmente le formiche, si nota<br />

un forte scoordinamento: lavori iniziati e lasciati in<br />

sospeso, più individui che trasportano pesi<br />

impegnativi, la cui fatica spesso si trasforma in un<br />

tiro alla fune improduttivo più che in una<br />

collaborazione. E non manca chi disfa quanto altri<br />

costruiscono. I risultati, quando ci sono, sembrano<br />

più miracoli che altro, e in cuor nostro pensiamo<br />

che sono insetti stupidi nella loro<br />

disorganizzazione. Eppure non è così, alla fine<br />

realizzano.<br />

Così noi.<br />

Per quanto ci affanniamo a dare razionalità al<br />

nostro operato individuale, il contesto globale è<br />

coordinato da forze spesso deboli e sottoposte a<br />

contrazioni determinate da azioni contrarie o<br />

concorrenti. Forse la “stupidità” degli insetti


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

sociali è anche la nostra ….. ma forse è anche la<br />

“nostra” (e loro) bellezza, la contraddizione, il<br />

fascino, l'asperità <strong>della</strong> vita e <strong>della</strong> democrazia. Il<br />

fare e il disfare. Un bene e un male. Uno ying e uno<br />

yang. Abbracciati ed inscindibili. Conflittuali e<br />

complementari.<br />

Questa è la storia dell’apicoltura, metafora<br />

<strong>della</strong> Storia, con momenti di forte progresso che<br />

convivono o si succedono a quelli di disfacimento,<br />

un costruire ed un distruggere, un progredire e un<br />

fermarsi. Un andamento che è la risultante di<br />

tante piccole azioni e forze anche contrastanti,<br />

che agiscono e si combinano in modo a volte<br />

contraddittorio, a volte coordinato ed armonico. La<br />

storia è ripercorrere tali risultanti. Indagare la<br />

storia, anche quella minima dell’apicoltura, è<br />

percorrere un sentiero con umiltà e rispetto per<br />

queste azioni e forze che hanno saputo lasciare<br />

traccia di se.<br />

<strong>Valtellina</strong> e i suoi prodotti è tutto questo ….<br />

Una lunga storia.<br />

2


Il Miele – prodotto tradizionale<br />

GGeennee rr aalliitàà t<br />

UGeneralità<br />

La storia fra le api e l’uomo è sicuramente molto antica, tanto<br />

che il saccheggio di favi di miele è stato raffigurato in<br />

un'incisione rupestre del mesolitico, 7.000 anni fa. Ma ancora<br />

oggi, nelle popolazioni di cacciatori-raccoglitori, il miele<br />

rappresenta una risorsa alimentare attivamente ricercata.<br />

L’apicoltura vera e propria ebbe inizio quando l’uomo<br />

incominciò a salvaguardare il futuro delle famiglie di api che<br />

scopriva nelle cavità degli alberi o <strong>della</strong> roccia. Gradualmente<br />

singole famiglie che avevano trovato posto in ricoveri naturali<br />

mobili furono concentrate in primitivi apiari. L’apicoltura<br />

nacque e si radicò nelle attività dell’uomo congiuntamente alle<br />

altre attività agricole. Se le prime arnie furono i ricoveri naturali<br />

(quali le cavità nei tronchi),<br />

successivamente l’uomo utilizzò il<br />

sughero o altri tipi di corteccia e<br />

quindi cesti in paglia per costruire<br />

primitive arnie. Nell’antico Egitto,<br />

ma ancor oggi in molte aree del<br />

mediterraneo, le api venivano<br />

ricoverate nelle olle di terra cotta.<br />

Questi vasi d’argilla erano posti<br />

coricati sul terreno e potevano anche essere impilati in file<br />

sovrapposte. In <strong>Valtellina</strong> non è rimasta traccia di tale forma di<br />

allevamento, se non nella parola dialettale che designa l’arnia<br />

“Vasell degl’äv”. L’arnia, ricovero <strong>della</strong> famiglia di api, localmente<br />

viene ancor oggi chiamata vaso; tale italianizzazione è stata<br />

rintracciata anche in un documento di successione del 1594,<br />

steso dal notaio Paolo Galli di Pendolasco (odierno Poggiridenti,<br />

<strong>Sondrio</strong>), in cui vengono elencati i beni di Giovanni Galli, morto<br />

il 20 luglio di quell’anno. Nella quintultima riga di tale<br />

documento vengono citati “Vasi numero ventuno di api, co li<br />

api dentro”.<br />

Nella storia dell’apicoltura, particolare importanza riveste l’arnia<br />

in cesta di paglia o di vimini, che veniva impermeabilizzata con<br />

una copertura in creta o in creta e sterco. In questo caso si<br />

richiama l’attenzione sull’uso greco di porre i cesti rovesciati<br />

verso l’alto con una serie di legnetti ed una copertura di pietra o<br />

di corteccia. In tale caso i favi venivano spesso costruiti dalle api<br />

appesi ai legni mobili posti superiorimente e la sfasatura delle<br />

3


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

pareti, analoga a quella naturale dei favi, non provocava la<br />

saldatura alle pareti tipica altrimenti di questi “bugni villici”:<br />

erano le antesignane delle arnie moderne a favi mobili.<br />

In <strong>Valtellina</strong> (e Valchiavenna) si afferma sicuramente un altro<br />

tipo di arnia o “bugno villico”, costituito da quattro assi poste a<br />

formare un parallelepipedo vagamente piramidale con un<br />

imbocco leggermente più piccolo rispetto alla parte terminale.<br />

Quest’ultima veniva chiusa da uno sportellino rimovibile.<br />

L’origine di tali ricoveri per le api si perde nei secoli e il loro<br />

utilizzo, in maniera quasi immutata, è continuato fino a qualche<br />

decina di anni fa.<br />

L’uso e l’allevamento delle api è comune a<br />

molte culture: da quella egizia, che li ha effigiati<br />

nelle decorazioni tombali 1 , a quella greca 2 e<br />

romana, che inseriva con sapienza il miele nella<br />

propria alimentazione, codificandone l’uso<br />

gastronomico. Virgilio, nelle “Georgiche”<br />

descrive le tecniche apistiche 3 . Il miele è poi<br />

citato anche nelle religioni ebraiche e<br />

mussulmane dove “fiumi di latte e miele ristoreranno i guerrieri<br />

morti valorosamente per la fede”.<br />

In <strong>Valtellina</strong>, come nel resto d’Europa, nel diradarsi <strong>della</strong> cortina<br />

che avvolge l’alto Medio Evo 4 , troviamo gli evidenti segni di<br />

rinascita e razionalizzazione dell’agricoltura, tramite l’opera degli<br />

ordini religiosi monastici. In <strong>Valtellina</strong> un sicuro centro di tale<br />

diffusione sorge a Monastero, attuale frazione del comune di<br />

Berbenno, a cui si fa risalire la paternità dell’attuale tecnica<br />

viticola. Essa è basata sul terrazzamento e sulla capacità di<br />

utilizzare appieno il versante solivo, abbarbicando alla roccia<br />

anche minuscoli fazzoletti di terra.<br />

1 Gli Egizi furono i primi a prelevare miele e cera dagli alveari senza praticare<br />

apicidi. L’ape e il miele assumevano anche un valore sacro. Il propoli poi era<br />

l’elemento base, essenziale per le pratiche di inumazione e preparazione delle<br />

mummie.<br />

2 Aristotele nella sua “Storia degli animali” descrive le arnie greche a favi<br />

mobili.<br />

3 Molti scrittori naturalisti latini trattano dell’apicoltura e tra questi Plinio,<br />

Varrone, Columella. Non viene praticato apicidio e l’allevamento è di tipo<br />

semirazionale; si assiste ad un florido commercio di miele per l’alimentazione e<br />

la cera per svariati usi tra cui per le “tabulae”.<br />

4 Con le invasioni barbariche si perdono quelle cognizioni di allevamento delle<br />

api e i prodotti dell’alveare vengono ricavati per apicidio. Una pratica forse<br />

nata anche dalla insicurezza dei tempi e quindi da una mentalità più volta al<br />

saccheggio delle risorse che a un teorizzare le ricchezze per tempi futuri. Si<br />

selezionavano così, inconsapevolmente, solo le famiglie con una forte attitudine<br />

alla sciamatura.<br />

4


UL’ apicoltura valtellinese nel 1800<br />

Il binomio apicoltura e religione poi, per vari motivi, rimane<br />

sempre una costante fino ai nostri giorni. Non bisogna infatti<br />

dimenticare, ad esempio, che la cera vergine rappresenta la<br />

materia prima delle candele che rischiarano i luoghi di culto.<br />

Globalmente la cera dà luogo ad un commercio particolarmente<br />

ricco ed attivo, tanto che nell’elenco <strong>della</strong> “Tariffa del datio delle<br />

Eccelse Tre Leghe che si scode nella <strong>Valtellina</strong>” stampato a Coira<br />

nel 1568, ovvero le tariffe del dazio che i Grigioni riscuotono in<br />

<strong>Valtellina</strong>, si cita per la cera nuova, non lavorata, la tariffa di soldi<br />

10.<br />

LL’’ aappiiccoollttuurraa vvaalltteelllliinneessee nneell 11880000<br />

Voltando le spalle alla dominazione<br />

Grigiona e giungendo a<br />

tempi più recenti, troviamo una ricca documentazione nel corso<br />

del 1800.<br />

In “Notizie statistiche<br />

intorno alla <strong>Valtellina</strong>, memoria di F.<br />

Visconti Venosta” del 1844 troviamo interessanti riferimenti<br />

all’apicoltura. “Si calcolano a 2.470 gli alveari <strong>della</strong> Provincia, ed<br />

a 120 quintali il miele ed a 60 quelli di cera. Del primo è<br />

squisitissimo ed emulo dello spagnolo quello che si raccoglie a<br />

Bormio, l’altro ordinario”(pag. 66) e viene citato che “Chiavenna<br />

esporta la rinomata sua birra, e Bormio lo squisito suo miele”<br />

( pag. 68). Mentre nella pagina successiva viene quantificata<br />

l’eccedenza di miele, ovvero la quantità di esportazione e quindi<br />

5


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

il suo contributo alla crescita del rapporto import-export ante–<br />

litteram. A pagina 74 delle citate “Memorie”, nell’ambito del<br />

capitolo dedicato all’industria, Visconti Venosta enumera, alla<br />

voce “Fabbriche di miele e di cera”, ben “6 opifici e 10 addetti”.<br />

Altre interessanti notizie sull’apicoltura, sul suo radicamento e<br />

sulla qualità e pregio del miele locale si trovano su una serie di<br />

pubblicazioni dal titolo “Cenni statistici e notizie patrie<br />

Valtellinesi con almanacco per l’anno …. “. In tali opere sono<br />

compendi di dati ed informazioni sulla <strong>Valtellina</strong> (intesa come<br />

globalità <strong>della</strong> provincia), su fatti e temi considerati di maggior<br />

rilievo dell’anno appena trascorso o riflessioni di quanti vi<br />

scrivevano. 5 In quello dell’anno 1855 viene riportato uno scritto<br />

di Pietro Malsen che descrive in forma epistolare la <strong>Valtellina</strong> e<br />

con parole quasi analoghe al Visconti Venosta esalta il miele di<br />

Bormio “…Il più pregevole prodotto di questo paese si è il mele<br />

che con molta cura di quei terrazzani vi è coltivato, e per lo<br />

squisito pascolo che vi trovan le api, è rinomato fra i più delicati<br />

d’Italia, da pareggiarsi con quelli di Spagna dell’Acaja” (pag. 18) .<br />

Nell’anno 1857 “ Cenni statistici e notizie patrie Valtellinesi”, lo<br />

scritto che prende in rassegna tutto il comparto agricolo, rivolge<br />

all’apicoltura le seguenti riflessioni “Ottimo pensiero sarebbe<br />

quello di spingere con più energia la coltivazione delle api, tanto<br />

utile e tanto negletta nel nostro paese , per cui è duopo farne<br />

introduzione dall’estero, mentre se fossero bene coltivate, se ne<br />

potrebbe fare una buona esportazione.” (pag. 91).<br />

5 La pubblicazione veniva realizzata dalla “Società Agraria <strong>della</strong> <strong>Valtellina</strong>”, una<br />

consorteria di nobili possidenti che in tali scritti riflettevano una concezione agricola per<br />

certi aspetti moderna ed imprenditoriale e per altri alquanto partigiana e classista.<br />

6


UL’ apicoltura valtellinese nel 1800<br />

Nell’anno 1858 “Cenni statistici e notizie patrie Valtellinesi”<br />

riporta un intero articolo ricco di osservazioni e note<br />

sull’apicoltura in generale ma soprattutto promuove il nascente<br />

associazionismo in questo settore (pag. 75 – 86). In particolare si<br />

ricollega all’esperienza milanese <strong>della</strong> “Società anonima” e ne<br />

propone “una casa figlia” a <strong>Sondrio</strong>. Il compito precipuo<br />

dovrebbe essere quello di istruire all’allevamento delle api,<br />

un’opera di educazione e acculturazione rivolta essenzialmente ai<br />

contadini locali. Nell’edizione dell’anno successivo <strong>della</strong><br />

medesima pubblicazione compare una riflessione <strong>della</strong> Società<br />

Agraria Valtellinese “Sul progetto di un’esposizione agricolo<br />

industriale in <strong>Valtellina</strong>” (pag. 55), dove ad un certo punto viene<br />

riportata la seguente frase: “Bormio esponga il suo miele, i<br />

prodotti metallurgici delle sue cave; Chiavenna la sua birra, le sue<br />

granaglie, i suoi filati di cotone e di amianto; Morbegno, i suoi<br />

formaggi e le sue saporite pesche, <strong>Sondrio</strong> e Tirano, le loro sete, i<br />

loro vini, le loro castagne, le varietà degli animali.” Colpisce<br />

come il miele in Alta Valle è divenuto un prodotto così<br />

importante per qualità e quantità da considerarlo quello che<br />

7


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

contraddistingue la zona di Bormio. L’edizione del 1862 cambia<br />

leggermente il nome (oltre che tipografia) e diviene “Almanacco<br />

Valtellinese pubblicato a cura <strong>della</strong> Società Agraria <strong>della</strong><br />

<strong>Valtellina</strong>”. A pagina 46 troviamo un articolo relativo alla<br />

partecipazione <strong>della</strong> Società Agraria Valtellinese all’Esposizione<br />

italiana del 1861 in Firenze. Nelle successive pagine è pubblicato<br />

l’elenco degli espositori locali, con provenienza e prodotti<br />

presentati. Fra vari tipi di acque minerali e i vini (questi ultimi<br />

presentati da aziende di famiglie nobili), sono riportati molti<br />

prodotti e nominativi di produttori legati all’apicoltura locale, in<br />

alcuni casi con bizzarri abbinamenti di prodotti quali, per la ditta<br />

Orsatti Francesco da <strong>Sondrio</strong>, “cera vergine, granzuolo e in<br />

candele” e quindi “uova di formiche”. La ditta Pizzatti Pietro,<br />

<strong>Sondrio</strong>, più sobriamente si limita a modello d’arnia, favi di<br />

miele, e cera vergine. Capararo Francesco, da <strong>Sondrio</strong>, presenta<br />

Miele comune, Miele sopraffino, Cera vergine e Modello d’arnia<br />

con api vive. Bottamini Bartolomeo da Bormio presenta Miele<br />

sopraffino e Favo in miele.<br />

Questo breve scritto apre alcune interessanti riflessioni. In<br />

particolare è da segnalare che vengono presentati modelli di<br />

arnie. Infatti in questo periodo, in tutto il mondo, il settore<br />

apistico registra un fermento nuovo, una storica rivoluzione.<br />

L’arnia in paglia con favi mobili di tipo greco aveva ispirato nel<br />

corso dei secoli alcuni sviluppi verso l’arnia razionale, ma si erano<br />

tutti arenati. Nel 1851 Langstroth fa proprie alcune esperienze<br />

precedenti ed inventa il favo mobile. Apre una strada. E’ tutto un<br />

pullulare di invenzioni, molte delle quali abortiscono o non<br />

vengono raccolte, ma altre determinano in pochi anni<br />

un’autentica rivoluzione, che porta all’arnia moderna. A<br />

differenza dell’arnia di antica concezione, la nuova struttura è<br />

costituita da un modulo base contenente favi mobili e un<br />

sistema modulare di melari, contenenti favetti, sempre mobili,<br />

per il periodo di raccolto. Ma le invenzioni non si limitano alle<br />

arnie: nel 1857 sono i fogli cerei, e nel 1865 lo smielatore<br />

centrifugo. Nasce la moderna apicoltura. Ci vorrà quasi un<br />

secolo però per soppiantare completamente i bugni villici e<br />

l’apicoltura di tipo più tradizionale.<br />

Il documento richiamato ci permette di proporre anche un’altra<br />

considerazione: l’apicoltura era diffusa relativamente poco fra i<br />

contadini e infatti, anche nell’elenco degli espositori, troviamo<br />

nomi di famiglie Valtellinesi che appartenevano alla borghesia<br />

(artigianato, commercio, servizi). L’attività apistica ha quindi<br />

8


Bormio in una<br />

stampa del ‘800<br />

UCome venivano allevate le api<br />

spesso attirato la classe, le persone più curiose e creative, spesso<br />

con una discreta manualità: un mix che ci permette di ammirare<br />

molti piccoli adattamenti ed invenzioni anche nei più riposti<br />

apiari. Sfortunatamente l’individualismo che spesso<br />

contraddistingue gli abitanti delle zone di montagna poco ha<br />

permesso che le esperienze acquisite dai singoli divenissero<br />

patrimonio produttivo comune.<br />

In una nota di piè di pagina del libro già citato dello storico<br />

Francesco Visconti Venosta viene riportato: “La produzione di<br />

miele ha profonde radici nella cultura tradizionale:<br />

all’Esposizione di Milano del 1881 ritroviamo in questo settore<br />

tal Parravicini di Castione, Moretti di Delebio, Carlo e Marco di<br />

Chiavenna, Bottamini di Bormio, Picceni di Lanzada e Don<br />

Giuseppe Giacomoni di Cadelsasso.” Dalla relazione di Giovanni<br />

Robustelli (G. Robustelli “La <strong>Valtellina</strong> all’Esposizione di Milano”<br />

<strong>Sondrio</strong> 1881”) veniamo anche saper che il Parravicini di<br />

Castione, oltre al miele, ha esposto “vino di miele, alcol di miele,<br />

aceto di miele, cera e miele in favi, ha esposto anche attrezzi …”<br />

Per quanto riguarda la cera viene citata la ditta Raineri di Delebio,<br />

specializzata nella produzione di candele.<br />

Anche Cesare Cantù nel suo saggio “Storia di <strong>Sondrio</strong> e <strong>della</strong><br />

<strong>Valtellina</strong>” cita l’allevamento delle api nella Valmalenco e il<br />

pregiato miele di Bormio.<br />

CCoommee vveenniivvaannoo aalllleevvaa tt ee llee aappii<br />

L’allevamento delle api era, a prima vista, più semplice in passato<br />

rispetto ad oggi. Dalla documentazione raccolta risultano<br />

aziende che realizzavano produzioni cospicue. Queste quindi<br />

9


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

avevano raggiunto un livello professionale notevole, soprattutto<br />

tenendo conto delle difficoltà che dovevano sussistere<br />

nell’operare con una attrezzatura così povera. Riprendiamo la<br />

descrizione dell’attività apistica da un articolo comparso il 1°<br />

marzo 1862 sul settimanale “La <strong>Valtellina</strong>” relativo all’apicoltore<br />

Bartolomeo Bottamini di Bormio.<br />

…. “II Coltivatore adunque, quando le nevi sono dai campi<br />

dileguate, ed i fiori o le erbe annunciano la primavera, trae fuori<br />

le arnie dalle oscure o rimote camere, ove passarono l’ inverno e<br />

le trasporta negli alveari già dispost i in luoghi rivolti a mezzodì,<br />

difesi possibilmente dai venti, perché questi non impediscano alle<br />

api di portare a casa il dolce cibo.<br />

Questi alveari sono di forma quadrilatera, fabbricati o di legno o<br />

dì muro, coperti di tetto per difendere le arnie dalle rovinose<br />

intemperie, e davanti guardati da sottili spranghe di ferro,<br />

disposte a traverso dell’alveare, onde né belva vi possa arrecar<br />

danno, né ladri rubarle, ma in modo però di non impedire<br />

l’uscita alle api. I quattro travi angolari, che servono per tenere<br />

unito l’alveare, hanno l’estremità inferiore basata sopra pietra<br />

cava nella parte superiore, contenente acqua, perché né rettili, né<br />

topi e <strong>della</strong> terra possano arrampicare sulla trave e quindi entrare<br />

nel arnie. AI giungere adunque <strong>della</strong> primavera; trasportate le<br />

arnie negli alveari, Apicultore quando conosce che i fiori e le<br />

erbe dei campi possono offrire bastevole alimento alla api, leva<br />

dalle parti posteriori delle arnie tutti i favi che contengono il<br />

miele fabbricato nell’antecedente autunno, che forma la terza<br />

qualità, ossia inferiore sino al punto in cui si trovano i novelli<br />

allievi.<br />

Qualora però sorgano intemperie a flagellare le campagne, come<br />

nevi, pruine, piogge, piogge dirotte, venti impetuosi che<br />

riconducono giorni freddi, (la qual cosa suole accadere di<br />

frequente in queste regioni alpine), per cui le api non possono<br />

uscire a procurarsi il cibo, si deve fornire loro in sufficiente<br />

quantità, per esempio due cucchiai di miele al giorno per<br />

cadauna arnia, finché il tempo ritorni sereno e caldo.<br />

Giunto il mese di luglio, epoca, in cui in Bormio si taglia il primo<br />

fieno, e precisamente subito dopo il taglio di questo,<br />

l’Apicultore leva di nuovo i favi, dei quali con quelli levati in<br />

primavera, estrae il miele con il seguente metodo:<br />

levato il coperchio dalla parte posteriore dell’arnia si accosta ai<br />

favi un fascetto di stracc i di tela acceso, ma in modo che mandi<br />

fumo e non fiamma, curando che il fumo penetri tra mezzo i<br />

10


Bugni villici ad<br />

Albosaggia (vista<br />

anteriore)<br />

UCome venivano allevate le api<br />

favi. Le api per fuggire il fumo, loro nocivo, vanno ritirandosi<br />

verso la parte anteriore dell’arnia, e lasciano cosi agio al<br />

Coltivatore di osservare se i favi contengono miele od allievi. Nel<br />

primo caso levano i favi, usando però la cautela di cessare dalla<br />

operazione alquanto prima di incontrare gli allievi per non<br />

guastare la covatura delle uova; nel secondo si cessa dall’opera e<br />

si rimette il coperchio.<br />

Dai favi estratti dalle arnie si separano i più bianchi (che danno la<br />

prima qualità del miele) dai meno bianchi, il miele dei quali, per<br />

essere mescolato ad altre materie eterogenee, come polline ed<br />

altri fecee, riesca alquanto disgustoso, più oscuro, sa di cera e<br />

forma la seconda qualità.<br />

Separati i favi più bianchi dai meno, si pongono quelli sopra una<br />

tavola di latta traforata, posta a metà altezza di una cassa la cui<br />

parte inferiore è destinata a ricevere miele che dai trafori vien<br />

colando. I favi a questo scopo vengono spazzati con una paletta<br />

di legno: con la vertenza di eseguire l’operazione in una camera<br />

chiusa ermeticamente, perché non vi possano entrare le api, che,<br />

per essere tagliato il fieno e quindi i campi sprovvisti di fiori,<br />

tratte dall’odore del miele, cercano penetrare nella camera<br />

approfittando perfino <strong>della</strong> toppa <strong>della</strong> chiave dell’uscio, o del<br />

camino, ove esista, e misere quelle che vi entrano poiché,<br />

11


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

impaniate nel miele, rimangono vittima <strong>della</strong> loro gola, ovvero<br />

pel troppo cibo si rendono inette a ritornare al lavoro.<br />

Quando l’Apicultore conosce che i favi più bianchi naturalmente<br />

non danno più miele, li raccoglie dalla tavola; e in un ai meno<br />

bianchi li pone sopra un’altra tavola adattata del pari di un Cassa,<br />

come sopra. Quindi dopo aver ridotti a pezzi minuti e alquanto<br />

compressi i favi, li copre di un vetro o cristallo e li espone ai raggi<br />

solari, avendo cura che la Cassa sia collocata in modo che<br />

davanti, ossia verso il sole, sia più bassa, per esempio abbia<br />

l’altezza di 20 Centimetri, e nella posteriore di 30, onde i raggi<br />

del sole cadano perpendicolari sul vetro. Il miele che si ottiene<br />

colla forza calorifica del sole è quello che viene detto di seconda<br />

qualità.<br />

All’incominciare del mese di agosto la vegetazione in queste<br />

campagne cessa e quindi anche l’alimento per le api. Allora<br />

l’attento Coltivatore perché le api non abbiano a correre pericolo<br />

di morire di fame e per riconoscere il frutto delle sue fatiche,<br />

trasporta con grande dispendio le arnie più al basso, nei dintorni<br />

di Grosio, di Grosotto, e di Tirano, ove per essere il clima ancora<br />

caldo, la vegetazione si conserva florida e specialmente abbonda<br />

dei fiori di grano saraceno, detto volgarmente formentone, i<br />

quali vengono giudicati i più opportuni dare abbondanza di<br />

miele, che sebbene inferiore di molto a quello di seconda qualità<br />

torna però molto nutritivo e salubre alle api nella stagione<br />

remale. Questo forma la terza qualità e si estrae nel modo<br />

praticato per quello di seconda qualità.<br />

E perché i favi non abbiano a soffrire alcun danno nel trasporto si<br />

fa uso di carri con molle per evitare le scosse che potrebbero<br />

distaccare i favi dalle pareti delle arnie.<br />

Le arnie hanno qual più qual meno la lunghezza di un metro,<br />

l’altezza di 25 cm e la larghezza di 20 circa; si trasportano di<br />

notte tempo, quando l’aria è quieta e fresca, e nella parte<br />

anteriore si coprono di tela alquanto rada, perché le api non<br />

rimangano soffocate, ma solo trovino impedito il passaggio.<br />

Nel mese di novembre le arnie vengono levate anche dalle<br />

campagne, ove si trasportarono nell’autunno, e perché le api<br />

passino l’inverno sicure dalle intemperie <strong>della</strong> stagione, vengono<br />

collocate in camere asciutte, oscure, lontane dai rumori le quali<br />

abbiano però alcuni spiragli per mutarvi l’aria, ma in guisa che<br />

non vi possano avere accesso topi od altri animali, che troppo<br />

danno potrebbero arrecare loro.<br />

12


Bugni villici ad<br />

Albosaggia (vista degli<br />

sportelli posteriori)<br />

UCome venivano allevate le api<br />

Le api passano nell’inverno una vita pressoché letargica, non<br />

lavorano, usano pochissimo cibo per cui durante la fredda<br />

stagione ogni arnia non consuma più di due chilogrammi di<br />

miele.<br />

Finalmente l’Apicultore usa speciale cura non solo nel collocare<br />

le arnie contenenti le api, ma il miele stesso, in luoghi asciutti e<br />

in media temperatura; poiché l’umidità e specialmente quella<br />

delle cantine, procurerebbe molte infermità e sicura sorte delle<br />

api e corromperebbe il miele liquefacendolo e ciò avverrebbe del<br />

miele anche qualora si tenesse in camere soverchiamente calde.<br />

13


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

Questo sono le poche norme collo quali il nostro apicoltore<br />

Bottami coltiva le sue api, dalle quali ritrae si felice successo, che,<br />

quantunque il miele di Bormio godesse fin da prima distinta<br />

fama sia per la candidezza che per il sapore, pure avendolo egli<br />

assai migliorato ottenendone la preferenza sopra tutti i mieli<br />

<strong>della</strong> Penisola e merito di venire distinto con medaglia alla<br />

Esposizione di Firenze, tenutasi lo scorso autunno.<br />

Si lode al Bottamini, il quale volle rendere di pubblica ragione il<br />

suo metodo, benché semplicissimo e affatto empirico, non già<br />

per vanagloria di far conoscere i miglioramenti introdotti in<br />

siffatto genere di industria ma al nobile scopo che gli altri<br />

apicoltori <strong>della</strong> nostra Valle sappiano cavarne profitto per<br />

migliorare il metodo proprio, e quindi maggiormente aumentare<br />

si utile e importante prodotto. E qualora essi trovassero modo di<br />

rendere questo metodo più perfetto, il Bottamini non solo<br />

accoglierebbe volentieri le loro osservazioni, ma sarebbe loro<br />

gratissimo. In ciò egli si mostra ben diverso da quei cultori di<br />

varie industrie, che gelosi dei propri ritrovati, li rivolgono nel<br />

mistero, dando così a dividere di avere a cuore quasi unicamente<br />

il ben proprio, e pochissimo il comune.<br />

Io vorrei pertanto che specialmente i RR. Parroci di certi villaggi<br />

si prendessero a cuore questo genere di coltivazione, lo<br />

studiassero con tutta diligenza e ne istruissero i loro popoli,<br />

introducendo così fra loro una fonte di ricchezze,<br />

opportunissima a migliorare la condizione loro economica,<br />

resasi più triste dacché la crittogama flagella continuamente i<br />

nostri prodotti.<br />

Un Bormiese<br />

A questa interessante descrizione dell’attività apistica tradizionale<br />

si possono aggiungere solo alcune notazioni. Fino a che non<br />

vennero adottate le arnie razionali, esisteva essenzialmente solo<br />

la sciamatura naturale. Il grappolo di api che costituiva lo sciame<br />

veniva raccolto facendolo cadere nel bugno villico<br />

appositamente preparato, provvedendo ad effettuare<br />

preliminarmente un’aspersione di vino e miele o di vino e<br />

zucchero. I vapori alcolici avevano il compito di sedare le api,<br />

mentre l’odore del miele e quello <strong>della</strong> cera delle famiglie che in<br />

passato avevano utilizzato il medesimo riparo doveva favorire<br />

l’accettazione <strong>della</strong> nuova casa.<br />

La pratica per fermare gli sciami in volo, prima che si perdessero<br />

nelle selve, era quella di inseguirli attrezzando una banda di<br />

14


Bugni villici ad<br />

Albosaggia (vista<br />

degli sportelli<br />

posteriori)<br />

L’affascinante<br />

geometria dei<br />

favi naturali<br />

UCome venivano allevate le api<br />

ragazzi con coperchi e mestoli di<br />

latta. Suonando e soprattutto<br />

sfregando tali attrezzi le nuove<br />

famiglie arrestavano il loro volo.<br />

Esperienze dirette hanno<br />

effettivamente verificato che la<br />

produzione di ultrasuoni (P.<br />

Bianchini), o l’illuminare la massa di api in volo con il riflesso del<br />

sole ferma gli sciami.<br />

Altri testi coevi ci completano l’immagine dell’apicoltura<br />

ottocentesca in <strong>Valtellina</strong>.<br />

“Descrizione statistica <strong>della</strong> provincia di <strong>Valtellina</strong><br />

giusta lo stato in cui trovasi l’anno 1833” di Pietro<br />

Rebuschini (CAP. XXXVIII – API – )<br />

“In tutti i distretti di questa provincia vengono dove in<br />

maggiore, dove in minor quantità, coltivate le api, senza però<br />

darsi alcuna pena onde seguire i metodi migliori per la più<br />

prospera loro riescita, e pel maggior profitto che render<br />

potrebbero, avuto riguardo alla propizia situazione, ed alla<br />

quantità che ottenersene potrebbe.<br />

La qualità, la bontà ed il buon odore del miele non sono eguali<br />

in tutti i luoghi, ciò che dipende dalla diversità di fragranza delle<br />

piante e de’ fiori delle medesime da cui le api lo raccolgono. Ed è<br />

perciò che il miele vien tenuto in differenti gradi d’estimazione,<br />

giusta i luoghi da cui proviene.<br />

Infatti il miele di Bormio,<br />

quando non sia alterato, è il<br />

migliore di tutta la provincia e<br />

paragonabile al miglior e<br />

eziandio di Spagna: esso è di<br />

un color canino che tira al<br />

bianco, granelloso, duro, di<br />

grato odore, ed assai dolce.<br />

Ciò si reputa provenire dalla<br />

qualità delle piante<br />

aromatiche da questo industre<br />

insetto trascelte, onde farne<br />

raccolta. Ne’ prossimi comuni di Sant’Antonio di Morignone, di<br />

Sondalo e Grosio con Tiolo, la qualità del miele scorgesi tosto<br />

degradar in bontà, sebben siavi più abbondante; e ciò si<br />

attribuisce ai fiori del saraceno, dai quali l’ape lo raccoglie, i cui<br />

15


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

sughi debbono essere più scarsi di parti aromatiche e zucc herine,<br />

e rendono un miele colorito, ossia giallognolo e piuttosto<br />

tenero.<br />

E’ tuttavia in questi luoghi osservato il barbaro metodo di<br />

uccidere le api, onde toglier loro il miele; metodo il quale<br />

dovrebbe assolutamente bandirsi, quando non per altro, per<br />

essere dannosissimo al proprietario. Difatti il Galli fa conto che le<br />

api non solo vivano fino a sei anni, ma che pure a tal età siano<br />

nello stato primiero di produzione, e tanto miele producono nel<br />

sesto anno, quanto nel secondo; per la qual cosa è<br />

convincentemente provato non doversi uccidere le api. Lo stesso<br />

Galli osserva eziandio che, tenuto vivo un solo sciame per sei<br />

anni, levandovi anche un solo figlio per anno, se ne<br />

ricaverebbero non meno di 64; e da ciò conchiude essere<br />

imperdonabile errore il tanto danneggiar il proprio interesse coll’<br />

ucciderle ogni anno, onde toglier da esse il miele e la cera, non<br />

approfittando così che <strong>della</strong> sola trentesima parte di ciò che<br />

render potrebbero lasciandoli in vita.<br />

Osservisi infatti che chi pratica tal cattivo metodo non può<br />

aumentar giammai il numero degli alveari, tranne la rara<br />

circostanza nello seiamar molto; ed arrisehia in vece spesissime<br />

volte pel cattivo governo, specialmente nella stagione jemale, di<br />

vedersene perire buona<br />

parte, od anche tutti; laddove se si fossero lasciati vivi, essendo<br />

questi d’ordinario i più forti e già sperimentati, andrebbero senza<br />

meno ad aumentarsi.<br />

Si è questo il motivo per cui nella <strong>Valtellina</strong> mantiensi scarsa la<br />

coltivazione delle api; dal che deriva non raccogliersi nemmeno<br />

quella quantità di cera sufficiente per gl’interni suoi ‘usi.<br />

Imperocchè calcolandosi 1’ annuo consumo <strong>della</strong> medesima per<br />

tutta la provincia in libbre 9.400 grosse di <strong>Sondrio</strong>, e quindi<br />

ritenuta in libbre 1.650 quella che si ha dalla coltivazione delle<br />

api in provincia, havvi la deficienza di libbre 7.750 che<br />

d’ordinario si provvede a Milano; la quale valutata in ragione di<br />

L. 5,50 per ogni libbra fa sortir dalla provincia L. 42.625: perdita<br />

la quale evitar si potrebbe tenendo più attiva ed in miglior conto<br />

l’educazione delle api.<br />

Il miele di Bormio è assai ricercato in Lombardia, vendendovisi<br />

anche L. 5 per ogni libbra grossa di <strong>Sondrio</strong>, cioè più del doppio<br />

di quello che producono gli altri paesi <strong>della</strong> provincia; oltre la<br />

Lombardia smerciasi anche generalmente nella Svizzera e nella<br />

Germania.”<br />

16


UCome venivano allevate le api<br />

Sono diversi i testi e i documenti ottocenteschi che ci<br />

restituiscono l’immagine dell’apicoltura del tempo, la vita e le<br />

attività che circondavano questo settore. Grazie ad alcuni articoli<br />

di questo periodo possiamo anche evincere come alcune<br />

tecniche ed alcuni accorgimenti sono ancor oggi perfettamente<br />

validi ed utilizzati.<br />

Da “Statistiche del dipartimento dell’Adda” di Melchiorre<br />

Gioia:<br />

Alveari<br />

Comuni<br />

Prodotti d’un alveare (pesi in libbre)<br />

Cera Miele<br />

Novate 8 16<br />

Gerola 4<br />

“Si uccidono barbaramente le api. Il miele di Gerola e Pedesina si<br />

vende uno scudo di Milano alla libbra d’once 30, essendo<br />

ricercato quanto quello di Bormio. Più il miele è perfètto,<br />

minore è la cera.<br />

Si fa uso dello zolfo per farle morire.<br />

Ardenno. Prodotto: cera come 1, miele 2.<br />

Chiavenna, un alveare; cera Kili 40, miele 160.<br />

Bormio. Prodotto: miele libbre 2 1/4 di Bormio; cera libbre<br />

1 2/4. Arnie 250. Prodotto totale: Miele pesi 55,<br />

cera 15. (n.d.r. 1 peso = 8 Kg)<br />

Bormio. Per uso sempre vigente in questo comune si<br />

decimano le arnie in proporzione delle loro forze,<br />

e si leva il miele dalle medesime interpolatamente<br />

un anno dalla parte d’avanti, ed il susseguente dalla<br />

parte di dietro perché così facendo, oltre che riesce<br />

più perfetto il miele, perché sempre fabbricato in<br />

cera nuova, che pure è sempre migliore di<br />

qualunque cera si possa vendere, le istesse api<br />

lavorano più volentieri.<br />

In merito poi alla separazione del miele dalla cera, qui si usa una<br />

cassetta bislonga con un cristallo nel coperchio, qual si espone al<br />

sole, mediante la quale in brevissimo tempo segue la separazione.<br />

Nella medesima vien posto il miele posato sopra una latta di tela<br />

forata, inchiusa nella medesima cassetta, sotto cui sta altra<br />

cassettina per ricevere il miele colato, che viene naturalmente col<br />

solo vigor del sole; mai levato il miele colato, detto vergine, il<br />

più perfetto, paragonabile senza eccezione al qualunque miele<br />

17


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

del più prelibato, si sminuzza quanto rimane nella cassetta di<br />

sopra, da cui ne proviene in seguito altro, molto più inferiore,<br />

che si conserva per somministrare il cibo alle api bisognevoli<br />

nelle stagioni critiche.<br />

La raccolta annua sarà di pesi locali 70, compresi 7 pesi locali<br />

d’inferior qualità, che si salva per il detto motivo. Valor del<br />

primo L. 2.832 italiane.<br />

1813 Morti quasi tutti gli alveari nello scorso inverno.<br />

“Statistiche del dipartimento dell’Adda” prosegue con la<br />

seguente notazione<br />

[1, f. 144r] L’arnaio debb’essere più vicino che sia possibile alle<br />

piante, acciò producendo le api non vadino lontane.<br />

Si deve tener pronta un ‘arnia che non abbia cattivo odore<br />

formata con 4 tavole ben connesse a cui s’oppone un coperchio<br />

di dietro ed altro davanti, con una porticellina in fondo, che,<br />

quando si vuol porre in opera, si deve confricare con erbe<br />

odorifere, inzuppate nel miele liquefatto con vino buono, acciò<br />

le api entrino più volentieri nell’arnia preparata. Posate che siano<br />

le api novelle si devono subito coprire, acciò non si partano<br />

disturbate dal sol cocente, ed alla sera tardi si pongono<br />

nell’arnaio quietamente e ben chiuse.<br />

L’arnaio deve pur essere posto vicino alle case in maniera che sia<br />

difeso dallo parte di tramontana, qual è coperto con tetto d’assi,<br />

sporto molto in fuori e formato pure con assi. L’arnaio deve<br />

esser posto discosto dal muro delle case, che mediante li 4 piedi<br />

sostenitivi di esso vien posato sopra 4 sassi incavati, che sempre<br />

debbon essere pieni d’acqua netta, per impedirle l’introduzione<br />

de’ vermi ed insetti nell’arnaio che cagionan la distruzione delle<br />

api, ed anche acciò le medesime non siano costrette a troppo<br />

allontanarsi per bevere.<br />

In tempo estivo, acciò non vengano molestate dal sol cocente, vi<br />

si pone davanti in alto un riparo, formato di frasche con le foglie.<br />

Nell’inverno si pongon le arnie in una stanza asciutt a,<br />

oscura,<br />

lontana da rumori.<br />

Quando s’espongono in primavera si deve procurare che la parte<br />

vuota dell’arnaio resti di dietro, perché le api lavoran più<br />

volentieri all’oscuro.<br />

<strong>Sondrio</strong> 8 in 900 alveari. Il prodotto in cer a pesi locali 130;<br />

miele 1300. Si vende a peso 5,37 circa.<br />

18


L’igiene delle<br />

attrezzature e dei luoghi<br />

di lavorazione di un<br />

tempo può ora far<br />

rabbrividire ma la<br />

maggior parte del miele<br />

commercializzato<br />

proviene da paesi del<br />

terzo mondo che<br />

presentano situazioni<br />

non molto dissimili<br />

UIl commercio del miele e delle api<br />

Teglio Per la longhezza del verno e durata delle nevi<br />

vanno sensibilmente diminuendosi: ragione<br />

balorda, giacché prosperano a Bormio.<br />

Delebio Prodotto d’un alveare: cera libbre nuove 5; miele,<br />

12 a 15<br />

Tirano Prodotto d’un arnario mediamente grande e ben<br />

tenuto:cera 15; miele 20<br />

Chiuro Si nutrono nel verno con miele e farina di castagne<br />

Bormio Il miele di Bormio gareggia con quello di Spagna, e<br />

benché non liquido riesce delicato al palato, quindi<br />

si stima molto nel milanese”<br />

IIll ccoommmmeerrcciioo ddeell mmiieellee ee ddeellllee aappii<br />

Il documento forse più interessante rintracciato nel corso <strong>della</strong><br />

presente ricerca è rappresentato da una piccola pubblicazione dal<br />

19


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

titolo “Coltivazione delle Api nella <strong>Valtellina</strong>” scritta da Enrico<br />

Carlo Hermann e stampata a Milano nel 1860. L’autore, di<br />

origine tedesca, ha viaggiato per molti paesi europei e si<br />

naturalizza in Italia, più precisamente a <strong>Sondrio</strong>. Apicoltore<br />

appassionato, unisce alle sue conoscenze l’evidente abitudine a<br />

viaggiare, così da creare un fiorente mercato di api regine e di<br />

miele con la Svizzera e con i paesi di lingua tedesca. Dichiara ad<br />

esempio che in un solo anno ha prodotto ed esportato 1.500<br />

regine. (dato che francamente si ritiene poco attendibile). Ma<br />

anche il miele gli procura un buon commercio con la Svizzera,<br />

dove il consumo è notevole e il prodotto è presente sul desco del<br />

ricco quanto del povero. L’analisi che compie dell’apicoltura<br />

Valtellinese è ad un tempo spietata e appassionata. Pur<br />

conoscendo gran parte dei territori d’Europa, considera la<br />

<strong>Valtellina</strong> come luogo ideale per conseguire produzioni di miele<br />

di gran pregio grazie anche all’ottima razza autoctona. La<br />

<strong>Valtellina</strong> ha quindi in sommo grado le condizioni ottimali per<br />

eccellenti produzioni ma, tranne alcune eccezioni riscontrabili a<br />

Lanzada e Bormio, Hermann lamenta una generale mancanza di<br />

cultura per una corretta pratica apistica. ….<br />

…”Una poi delle cause principali per la quale gli svizzeri non<br />

comprano, se non a basso prezzo, il miele di <strong>Valtellina</strong>, è , che ad<br />

essi non piace punto il modo che si tiene al fabbricarlo. Sanno<br />

che in <strong>Valtellina</strong> le api vengono ammazzate dai mercanti di<br />

miele, e che questi cacciano tutto il contenuto dell’ arnia, le<br />

covate, i cadaveri, la polvere di fiori (pollina) in un caldaio di<br />

rame, talvolta non stagnato; per cui la mischianza di tutte queste<br />

cose, oltre ad essere schifosa, rende ancora velenoso il miele, più<br />

pericoloso poi, se lasciandolo un poco di tempo nel caldaio,<br />

venga a prendere l’acido di rame, per l’ossidazione che ne<br />

succede. Chiunque conosca tal modo di fabbricare il miele, non<br />

vorrà certo farne uso, mentre lo si mangia per tenersi in buona<br />

salute e non per ammalarsi.<br />

A Bormio e in alcuni altri paesi, come a Lanzada in Valmalengo,<br />

vi sono degli intelligenti apicultori che fanno il miele cosi bene<br />

da essere assai apprezzato, e lo vendono per 20 franchi il peso di<br />

<strong>Valtellina</strong>.<br />

Specialmente il miele di Bormio è assai rinomato.<br />

Niun paese, in Italia, io considero così addatto alla coltivazione<br />

delle api, come la <strong>Valtellina</strong>. Le alte montagne ed i frequenti e<br />

perpetui ghiacciai, tengono nell’estate l’aria fresca, ed i prati<br />

coperti (li fiori, come di primavera, sempre olezzanti ed<br />

20


Un antico<br />

smielatore o<br />

centrifuga<br />

UIl commercio del miele e delle api<br />

aromatici; da ciò ne risulta più squisito il miele e più robusta ed<br />

operosa l’ape)”.<br />

Non possiamo giudicare, a quasi un secolo e mezzo di distanza,<br />

se effettivamente fosse così diffusa questa mancanza di<br />

attenzione all’igiene e cura del prodotto. In realtà sono giunti<br />

fino a noi alcuni attrezzi e recipienti in legno. Il miele per molti<br />

aspetti veniva trattato in modo simile al vino e si giovava <strong>della</strong><br />

diffusa esperienza dei mastri bottai. Quaranta o cinquanta anni fa<br />

erano ancora in uso manufatti in legno, realizzazioni effettuate<br />

nelle lunghe stasi invernali ed ereditate dalle generazioni<br />

precedenti. Diffuse sicuramente le “culdere” e i contenitori di<br />

rame, che a vario titolo entravano nella vita e nel lavoro del<br />

contadino (la “conca” per lo sfioramento <strong>della</strong> panna, la culdera<br />

per la cagliata, il paiolo per la preparazione <strong>della</strong> polenta e più in<br />

generale del pasto). Non a caso i “lavecc”, le pentole di pietra<br />

ollare, erano considerate ricche di molte virtù, tra cui quella di<br />

neutralizzare i veleni. Fama che probabilmente derivava<br />

dall’essere alternativa alla pentola in rame che si può rivelare<br />

tossica.<br />

Prima <strong>della</strong> diffusione massiccia di contenitori in acciaio inox, i<br />

contenitori metallici venivano isolati sciogliendo un panetto di<br />

cera e provvedendo a spalmarlo uniformemente sulla superficie.<br />

Un metodo pratico che, se il lavoro era compiuto con la dovuta<br />

attenzione, permetteva di conservare con sufficiente cura il<br />

miele. Il contenitore doveva però essere riposto in locali freschi e<br />

asciutti. Come ultima nota allo scritto di Hermann si rileva che<br />

21


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

egli stima che, nell’anno 1860, in <strong>Valtellina</strong> fossero presenti<br />

15.000 alveari, più del doppio <strong>della</strong> consistenza attuale.<br />

Abbiamo rintracciato un’interessante pubblicazione “Statistica<br />

Generale <strong>della</strong> Provincia di <strong>Sondrio</strong>” del Prefetto G. Scelsi edita<br />

nel 1866 in cui si legge: “I principali prodotti <strong>della</strong> provincia sono:<br />

frumento, segale, orzo, avena, grano turco, fraina, miglio,<br />

legumi, patate, castagne, frutti, ortaggi, vino, bozzoli, miele, così<br />

lodato alla recente esposizione di Dublino, canape, legna da<br />

costruzione e da fuoco, carbone, fieno, paglia e simili, il cui<br />

valore complessivo di lordo si fa ascendere in media, a circa 7<br />

milioni di lire per ogni anno”.<br />

AAppiiccooll tt uurr aa ee ccooll tt iivvaazziioonnii<br />

Il rapporto fra apicoltura e coltivazioni non è stato facile, o<br />

almeno non sempre. Probabilmente la vera eccezione è quella<br />

del grano saraceno (Fagopyrum Esculentum) detto localmente<br />

“Furmentùn”. La coltivazione di questa pianta è attualmente<br />

pressoché abbandonata. In passato le grandi estensioni di tale<br />

Poligonacea, oltre a<br />

permettere un raccolto di<br />

miele durante la pausa estiva<br />

dei terreni, davano luogo a<br />

partite di mieli monoflorali di<br />

colore scuro e aroma carico.<br />

Questa coltivazione poteva<br />

essere effettuata solo con<br />

l’azione pronuba delle api,<br />

quindi molti agricoltori erano<br />

spesso anche apicoltori; in<br />

ogni caso questa esigenza<br />

incentivava lo sviluppo<br />

dell’attività apistica. L’abbondante fioritura, che cadeva in piena<br />

estate quando si hanno famiglie forti ma scarsissimi pascoli,<br />

incentivava un forte nomadismo, a cui partecipavano apicoltori<br />

provenienti da varie parti <strong>della</strong> provincia. Una transumanza<br />

“eroica”, effettuata su carri agricoli trascinati da buoi, ma che<br />

permetteva comunque un secondo abbondante raccolto estivo e<br />

un buon approvvigionamento per l’inverno. Questo simbiotico e<br />

mutualistico rapporto fra apicoltura e coltivazione di grano<br />

saraceno ha riflessi che giungono fino ad oggi, poiché la<br />

maggiore presenza di apiari si riscontra ancora nelle aree dove<br />

fino a pochi anni fa veniva coltivata questa Poligonacea.<br />

22<br />

Un ape raccoglie nettare<br />

sul fiore del grano<br />

saraceno


IIll mmiieellee iinn ccuu cc iinnaa<br />

UIl miele in cucina<br />

Per millenni il miele è stato l’unico dolcificante nella dieta<br />

umana, ma anche componente di farmaci, e elemento base di<br />

diverse bevande alcoliche. Un sapiente uso che si è incrinato nel<br />

XVIII secolo con l’introduzione dello zucchero di canna, ma che<br />

è stato obliterato in modo radicale in pochi anni con la fine <strong>della</strong><br />

seconda guerra mondiale ed un uso massiccio di zucchero<br />

“bianco”. In realtà lo zucchero ricavato dalla barbabietola si<br />

diffonde già all’inizio del ‘900, ma il 1945, con la ricostruzione e<br />

soprattutto con il boom economico, segna un giro di boa per<br />

una rivoluzione che travolge ideologia, cultura, usanze e<br />

tradizioni. La crescita tumultuosa verso il benessere e la<br />

semplificazione delle incombenze si travasano anche in cucina,<br />

per cui i piatti tradizionali e gli ingredienti naturali non<br />

standardizzati sembrano non trovare più un loro spazio. E’ solo<br />

in tempi più recenti che si riscoprono certi valori, l’importanza<br />

dei segni <strong>della</strong> tradizione, e si rivisita il patrimonio culturale<br />

quale bene da non perdere. Come, a volte, si rimane stupefatti<br />

per l’ingegnosità delle soluzioni escogitate dagli artigiani del<br />

passato, che avevano a disposizione una tecnologia povera, così<br />

non si può fare a meno di ammirare le antiche ricette dolciarie<br />

che dimostrano, soprattutto in <strong>Valtellina</strong>, terra povera di<br />

ingredienti alimentari di base, con quanta maestria il miele<br />

veniva utilizzato per la preparazione dei dolci.<br />

Gli ingredienti impiegati sono quelli prodotti localmente, da una<br />

terra molte volte avara: farina di segale, di grano saraceno, di<br />

granoturco, di castagne oltre che di frumento, e poi burro, noci,<br />

23


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

castagne, uova, uva locale appassita su appositi graticci, grappa e<br />

miele.<br />

La cucina Valtellinese, frugale e povera, era realizzata con i pochi<br />

e semplici ingredienti dei quali ciascuno disponeva e si arricchiva<br />

soltanto nelle grandi occasioni; si sfruttava il forno, già caldo per<br />

la cottura del pane, preparando qualche dolce che all’inizio aveva<br />

per base lo stesso impasto: infatti dal pane di segale si ricavavano<br />

il “panùn” (diventato poi “panettone Valtellinese”)<br />

e le squisite<br />

focacce.<br />

Un tipo di focaccia<br />

particolare è il<br />

“cicc”, a base di pasta di segale,<br />

ricoperta di burro e miele, che<br />

serviva a saggiare la temperatura del<br />

forno.<br />

Il miele si è sempre prestato alle<br />

esigenze <strong>della</strong> cucina per la<br />

caratteristica di potersi sposare a<br />

qualsiasi altro alimento senza mai<br />

perdere il suo gusto originario. E<br />

così assaporiamo il miele di<br />

montagna nella tipica “cupéta”,<br />

dolce al miele e noci racchiuso tra<br />

due cialde, da consumare per<br />

tradizione il 17 gennaio, a S.<br />

Antonio, come pegno <strong>della</strong><br />

consuetudine del “Gabinàt”.<br />

Oppure nelle pastafrolle<br />

“Sebastopoli” del noto e da poco scomparso pasticciere Pietro<br />

Gianoli di Lanzada. E ancora miele nel già citato “cicc”, che in<br />

Valmalenco viene chiamato “cicc balòs”, cotto sul focolare nella<br />

piccola tazza di pietra ollare con latte, uvette, noci e farina gialla<br />

di mais, nato dall’inventiva contadina. Quel sapore in più di<br />

granoturco è inimitabile e non stanca il palato.<br />

Il pane di segale,<br />

o più modernamente i crostini di segale, sono<br />

eccellenti sposati con il miele d’alta montagna.<br />

Attualmente, per praticità di impasto, spesso il miele non viene<br />

più utilizzato nel “panùn”, il dolce tipico dianzi ricordato. In<br />

questi casi vengono a mancare un gusto, un profumo particolare<br />

e quella morbidezza ed elasticità che dona il miele e che gli<br />

additivi non compensano. Una freschezza trattenuta nel tempo,<br />

che ben ricorda chi ha assaggiato il dolce tedesco “Pane d’api”.<br />

24


Api che<br />

raccolgono<br />

nettare su fiori<br />

di Buddleja<br />

AAppii cc oolltuu t rr aa ee rriiccee rr ccaa ss cc iieennttiiffiiccaa<br />

U<strong>Apicoltura</strong> e ricerca scientifica<br />

L’apicoltura era così radicata nel panorama agricolo ed<br />

economico tradizionale <strong>della</strong> provincia di <strong>Sondrio</strong> da attirare<br />

anche l’interesse del modo scientifico. Il botanico Massimo<br />

Longa dedica un lungo studio alla flora apistica e sulla rivista “Il<br />

Naturalista Valtellinese” pubblica nell’anno 1885 a puntate (21<br />

febbraio, 21 marzo, 18 aprile, 16 maggio, 20 giugno, 15 agosto,<br />

19 settembre, 17 ottobre, 21 novembre, 19 dicembre) un<br />

approfondito studio dal titolo “Le piante apistiche del<br />

Bormiense”.<br />

LL’’aappii cc oolltuu t rr aa ddeell ‘‘990000<br />

L’avvento dell’arnia razionale e di nuove metodologie allarga il<br />

solco fra l’apicoltura connessa alle minuscole aziende agricole,<br />

quella professionale (o semi-professionale) e quella amatoriale.<br />

La prima rimane ancorata ai tradizionali bugni villici, mentre la<br />

seconda e la terza si adeguano rapidamente alle nuove tecnologie<br />

contribuendo anche con molta inventiva ed entusiasmo al<br />

grande fervore che pervade il settore.<br />

Le Regie Cattedre Ambulanti d’Agricoltura cercano di<br />

propagandare nel mondo agricolo i nuovi fondamenti<br />

dell’apicoltura ed esperti del settore sono chiamati a svolgere<br />

lezioni financo nelle scuole elementari.<br />

Nel 1925 e nel 1927 sono promulgati due importanti Regi<br />

Decreti a tutela e sviluppo dell’apicoltura, che prevedono la<br />

costituzione obbligatori di consorzi apistici. La <strong>Valtellina</strong> rimane<br />

presto coinvolta con un ruolo attivo e partecipe in questa<br />

trasformazione. Presso l’apicoltura di Walter Nana abbiamo<br />

rintracciato una documentazione storica di notevole pregio al<br />

25


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

riguardo. Fra questa, una nota del 23 ottobre del ’29 a firma del<br />

Conte Zeppi Ricordati circa la costituzione di una “Società<br />

Anonima per l’Industria del Miele Italiano”. Il comitato<br />

promotore è formato da 19 membri (probabilmente in<br />

rappresentanza delle diverse sezioni italiane), tra cui il sig.<br />

Ottavio Nana per <strong>Sondrio</strong> ,di cui parleremo fra poco.<br />

Interessantissimo documento di pregio è inoltre un registro di<br />

censimento effettuato da Ottavio Nana nel 1929 per conto <strong>della</strong><br />

“Federazione dei Sindacati Fascisti degli Agricoltori”. Con bella<br />

scrittura Nana riporta, Comune per Comune, il nome degli<br />

apicoltori e la consistenza degli apiari ripartiti in arnie razionali e<br />

in bugni villici. In totale risulteranno censiti<br />

378 apicoltori e 2859 arnie (di cui 1400<br />

razionali e 1459 villici). (Nel sito internet<br />

<strong>della</strong> <strong>Associazione</strong> si riportano i dati di tale<br />

censimento).<br />

Le organizzazioni corporative nazionali,<br />

nella loro capillare organizzazione<br />

territoriale, favorirono la promozione e la<br />

conoscenza delle produzioni. Il miele locale<br />

nei primi decenni del secolo incomincia a<br />

essere insignito di premi e riconoscimenti<br />

per la sua qualità.<br />

La sensibilità verso il settore apistico, già<br />

presente nelle Cattedre Ambulanti, la<br />

ritroveremo nei successivi organismi<br />

governativi deputati al sostegno e<br />

monitoraggio del settore agricolo. Alcuni,<br />

come il dott. Forlani, capo dell’Ispettorato<br />

Agrario fino dopo la seconda guerra<br />

mondiale, furono promotori di questa<br />

attività: lo stesso dott. Forlani fu un<br />

appassionato apicoltore, con più di 120 alveari.<br />

Ma le maggiori aziende apistiche si sviluppano, come detto, al di<br />

fuori del settore strettamente agricolo - contadino. Alcune delle<br />

aziende nate all’inizio del secolo divennero un riferimento fino<br />

ai giorni nostri. Le più importanti e longeve ditte nascono e si<br />

sviluppano nei maggiori centri turistici <strong>della</strong> provincia: Bormio,<br />

Teglio, Lanzada in Valmalenco, Medesimo. Il flusso turistico non<br />

era certamente, agli inizi del secolo, di massa, ma sicuramente era<br />

un forte stimolo all’aprirsi verso nuovi orizzonti, verso nuovi<br />

contatti.<br />

26<br />

Una pagina del<br />

censimento realizzato da<br />

Ottavio Nana


Un miele, ma<br />

anche<br />

un’apicoltura,<br />

ricca di<br />

sfumature<br />

UL’apicoltura del ‘900<br />

Il già citato Ottavio Nana, classe 1896, di Lanzada, ad esempio, si<br />

inizia all’apicoltura nel ’23 a Intra, sul Lago Maggiore, dove<br />

lavorava presso un albergo. Una passione che tornando nella sua<br />

valle coltiva con fervore, tanto da divenire un affermato<br />

professionista che riesce ad inanellare diversi successi grazie alle<br />

sue produzioni di notevole qualità: medaglia d’oro a Bruxelles<br />

nel 1933, premio Croce al Merito sempre nel ’33 a Verona e,<br />

ancora a Verona, medaglia d’oro l’anno successivo. Per la sua<br />

attività verrà insignito Cavaliere e, con la moglie Bianca Viganò 6 ,<br />

avrà, come in parte già detto, un ruolo molto importante<br />

nell’apicoltura locale. Un azienda che è giunta ora alla terza<br />

generazione di apicoltori differenziando i rami d’attività.<br />

A Bormio, la ditta Bottamini, che abbiamo già incontrato nella<br />

seconda parte dell'800, si distingue per il suo attivismo<br />

imprenditoriale tanto che ne troviamo traccia in pubblicità su<br />

giornali fuori <strong>della</strong> provincia di <strong>Sondrio</strong>! Un'azienda che passa,<br />

per parentela e comune passione, alla famiglia Canclini agli inizi<br />

del secolo. I Canclini hanno saputo mantenere l’alto profilo<br />

professionale dell’azienda e si sono conquistati un posto di<br />

rilievo come figure di riferimento per l’apicoltura locale. Il M°<br />

Carlo Canclini, erede di questa tradizione d’apicoltori, ha svolto<br />

un ruolo importante nel sostenere le strutture organizzative e<br />

associative.<br />

L’apicoltura diviene in molti altri casi una passione familiare che<br />

si trasmette per più generazioni (De Paoli, Annulli, Palmieri,<br />

Candiani-Del Curto, Pedeferri, Caligari, Bianchini ecc.), ma<br />

raramente il livello aziendale rimane di così alto profilo come nei<br />

casi citati.<br />

6 La signora Bianca avrà nell’azienda un ruolo di primo piano per la sua<br />

straordinaria capacità e intraprendenza commerciale<br />

27


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

UUnn ccaassoo ppaarrttiiccoollaarree ee ttrraaggiiccoo ddii iinniizziioo sseeccoolloo<br />

Nella documentazione che abbiamo rintracciato c’è un catalogo<br />

di prodotti apistic i <strong>della</strong> ditta Librina & figlio – Talamona<br />

-<br />

stampato nel 1925.<br />

Librina era un impiegato delle poste che si era appassionato<br />

all’apicoltura; una passione che l’aveva portato a realizzare<br />

un'azienda apistica di consistenti dimensioni. L’esperienza<br />

acquisita, l’intelligenza e l’acuta capacità d’osservazione gli<br />

permisero di scrivere un manuale d’apicoltura che arricchì la<br />

scarsa bibliografia che allora caratterizzava il settore. Il libro fu<br />

accolto in tutta Italia con molte valutazioni positive. Librina non<br />

si accontentò solo di unire all’attività apistica quella didatticaletteraria;<br />

ne intraprese una terza, quella di fornitore di<br />

attrezzatura apistica.<br />

Basta sfogliare l’antico catalogo che abbiamo ritrovato per<br />

cogliere un fascino particolare. Questa pubblicazione è<br />

estremamente curata: dagli ornamenti liberty per la veste grafica<br />

all’impaginazione, dai disegni delle attrezzature alle minuziose<br />

spiegazioni delle stesse. E’ soprattutto l’inventiva del Librina che<br />

colpisce mentre si sfogliano queste pagine ingiallite: alcune<br />

attrezzature sono semplici ed ingegnose considerata l'efficacia,<br />

altre talmente complesse che si avrebbe vorrebbe vederle nella<br />

pratica per valutarne la reale validità. Complessivamente si<br />

colgono le tracce di una personalità fuori del comune e<br />

l’ottimismo di un futuro positivo per l’azienda, tanto da<br />

associarne il figlio ancora ragazzo. Nel 1927, i dissapori con il<br />

Potestà di Talamona Vairetti (anche lui apicoltore), da cui lo<br />

divide tutto, non solo la fede politica, e da cui si sente<br />

perseguitato, giungono al tragico epilogo: Librina lo uccide e<br />

scappa. Giunto al cimitero del vicino paese di Sirta, forse per il<br />

terrore che il suo gesto e la fuga possano danneggiare i<br />

famigliari, si suicida. Il duplice fatto di sangue ebbe una forte eco<br />

a quel tempo: il figlio fu ritirato immediatamente dal collegio<br />

che frequentava e sulla famiglia e sulle sue attività economiche<br />

scese l’immediato silenzio.<br />

Gli articoli del tempo dipingono il delitto come “politico”; in<br />

realtà, dalle informazioni che<br />

siamo poi riusciti a raccogliere, ma<br />

anche dalla lettura attenta <strong>della</strong> documentazione rintracciata,<br />

compare un quadro più umano, di antiche amicizie tradite e di<br />

conseguente rancore. Il Vairetti e il Librina avevano inizialmente<br />

condiviso la fede socialista ed erano soci nell’attività apistica. Poi,<br />

quando il primo aveva intrapreso la carriera politica nel Partito<br />

28


UL’apicoltura e la vita associativa dal dopoguerra ai giorni nostri<br />

Fascista, anche l’amicizia era venuta meno. Librina si era sentito<br />

sempre più perseguitato ed era stato vittima di due pestaggi<br />

(diretti dal figlio dell’ex amico). Il tragico epilogo fu in relazione<br />

al suo licenziamento, la vigilia di Natale, da Ufficiale delle Poste<br />

dell’Ufficio di Talamona per ordine, appunto, del Potestà<br />

Vairetti.<br />

La parabola del Librina aveva comunque aperto una strada: le<br />

aziende apistiche più grandi, anche senza l’inventiva e la<br />

professionalità del Librina, assolsero, fra luci ed ombre, anche il<br />

ruolo di approvvigionamento e vendita di attrezzature e<br />

materiale apistico per le realtà economiche più piccole.<br />

LL’’aappiiccoollttuurraa ee llaa vviittaa aassssoocciiaattiivvaa ddaall ddooppoogguueerrrraa aaii<br />

ggiioorrnnii nnoossttrrii<br />

Assistiamo nell’immediato dopoguerra, anche nell’apicoltura<br />

locale, a lla rimozione dei nomi e delle parole d’ordine del<br />

Fascismo, ma certe strutture e quanto è divenuto patrimonio<br />

comune rimangono pur cambiando nome. Al posto <strong>della</strong><br />

“Federazione dei Sindacati Fascisti degli Agricoltori” troviamo la<br />

sicuramente più democratica “<strong>Associazione</strong> Provinciale degli<br />

Agricoltori e dei Coltivatori Diretti”, ma anche il consorzio<br />

obbligatorio “Consorzio apistico provinciale”. In una nota dell' 8<br />

settembre 1947, indirizzata al Consorzio suddetto, il dott. Piero<br />

Viglietti, direttore <strong>della</strong> Coltivatori Diretti, informa che ha<br />

trovato acquirenti per il miele locale a Lire 700 al Kg. (trattabile<br />

a 750) e sollecita a comunicarne le disponibilità.<br />

29


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

Un prezzo questo che rimarrà abbastanza stabile per oltre un<br />

decennio!!. Non è stato possibile per ora rintracciare l’archivio<br />

del Consorzio, probabilmente disperso nei diversi trasferimenti di<br />

sede.<br />

Negli anni ’50, diverse figure di riferimento sono parroci, che<br />

uniscono<br />

al ministero pastorale la passione per l’apicoltura: don<br />

Lino di Triangia, don Stefano Poncetta di Verceia (e poi parroco<br />

di Madesimo) ecc. Di spicco sono inoltre Ottavio Nana, Carlo<br />

Canclini, Orfeo Palmieri, il dott. Forlani. La loro importanza non<br />

è determinata solo dalla consistenza delle loro aziende ma anche<br />

dal fatto che mantengono attivi contatti con il mondo <strong>della</strong><br />

ricerca scientifica e con le aziende leader del settore in Italia.<br />

In quegli anni compare la peste americana e il flagello compatta<br />

il settore intorno alle figure di riferimento. Gli apicoltori<br />

richiedono a questi un aiuto, una indicazione.<br />

Successivamente il Consorzio apistico provinciale viene guidato<br />

dalla signorina Silvia Bertolazzi e quindi dal prof. Del Curto<br />

Candiani. Negli anni ’60 e ’70 è domiciliato presso l’Unione<br />

Agricoltori. Fra i consiglieri troviamo molte persone che hanno<br />

lascito un'impronta ed un ricordo: Adda Primo, Nella, Ciapusci,<br />

Bianchini, Marchionni, e tanti altri.<br />

Gli anni ’70 portano molte novità. Una recrudescenza di peste<br />

americana diffusa attraverso i fogli<br />

cerei che alcune piccole<br />

imprese artigiane hanno stampato senza provvedere alla<br />

sterilizzazione <strong>della</strong> cera ha decimato il patrimonio. Ma ha nel<br />

contempo reso tutti gli apicoltori coscienti che certe<br />

problematiche possono essere affrontate solo con azioni<br />

congiunte e coordinate. Molto più forte diviene lo spirito<br />

associazionistico, tanto che si forma una cooperativa di<br />

consumo, in primo luogo per risolvere il problema dei fogli cerei<br />

quali vettori <strong>della</strong> peste americana. La cooperativa sarà guidata da<br />

persone come Felice Paindelli, Emanuele Scilironi, Giancarlo<br />

Canovi, Ernesto Agnelli, fino ad arrivare ai nostri giorni con<br />

Enrico Moroni, Aldo Pizzatti Casaccia, Angelo Ghilardi. Questa<br />

struttura permette una piccola rivoluzione: rende facilmente<br />

reperibile l’attrezzatura necessaria e a prezzi calmierati, ma<br />

soprattutto sconvolge l’universo del fai-da-te così diffuso in<br />

apicoltura verso gli standard di misure, spessori ecc. La medaglia<br />

al merito è soprattutto per aver contribuito a rendere celere<br />

l’ammodernamento delle attrezzature di laboratorio. In pochi<br />

anni si abbandonano le poco sicure lamiere zincate ricoperte di<br />

cera per materiale tutto in sicuro ed igienico acciaio inox. Una<br />

30


La fioritura di<br />

rododendro fornisce un<br />

prodotto di alto pregio<br />

che la struttura<br />

associativa si impegnò a<br />

valorizzare<br />

UL’apicoltura e la vita associativa dal dopoguerra ai giorni nostri<br />

cooperativa di consumo, che con il tempo ha cercato di<br />

coadiuvare la struttura associativa del settore fornendo servizi e<br />

sostenendo la vendita del prodotto dei soci.<br />

Ma torniamo alla storia del Consorzio e agli anni ’70. Nella<br />

struttura sono entrati molti giovani: Lorenzo Erini, Adriano<br />

Maffi, Giampaolo Palmieri, Gaspare Piccagnoni. Nella sede di via<br />

Mazzini c’è come segretaria una giovanissima Luisella Nazzari,<br />

ma soprattutto c’è Ottorino Pandiani, che prende la guida<br />

dell'Istituto nel ’77. Il sodalizio professionale fra Ottorino<br />

Pandiani e Luisella Nazzari sarà oltremodo forte e fecondo,<br />

premessa perché inizi un ‘attività intensa. Tra le prime iniziative,<br />

un censimento capillare per conoscere la consistenza del settore<br />

ma soprattutto per prendere contatto con tutti gli apicoltori e<br />

dare indicazioni per eliminare focolai di peste. Molti Consiglieri e<br />

volontari vengono coinvolti in questa opera che porta ad una<br />

forte sensibilizzazione degli apicoltori, fino ad ora, in<br />

maggioranza, arroccati su posizioni molto individualiste. Il<br />

censimento rilevò 301 apicoltori, n. 4.148 alveari e la presenza<br />

ancora di 68 bugni villici, una produzione totale dichiarata di 475<br />

q. ovvero una produzione media che superava di poco i Kg.<br />

11/arnia. I dati raccolti durante l’intervista dimostrano che la<br />

consistenza del numero degli alveari era cresciuta dal ’75 al ’77,<br />

avendo però una sensibile contrazione nel ’78 per la diffusione di<br />

alcune patologie ed in particolare <strong>della</strong> peste americana.<br />

Pandiani intrecciò buoni rapporti collaborativi con la<br />

Fondazione Fojanini. Questa importante struttura a servizio<br />

del<br />

31


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

mondo agricolo dedicò così forze e risorse anche all’apicoltura.<br />

Pandiani fu un bravo tessitore di<br />

rapporti politici con amministratori<br />

locali e regionali (on. Vercesi), ma<br />

anche con i rappresentanti delle altre<br />

associazioni e con la F.A.I., nostra<br />

struttura di riferimento nazionale, e fu<br />

padre fondatore dell’Unione Regionale<br />

delle Associazioni <strong>Produttori</strong> <strong>Apistici</strong><br />

Lombarde. Ottime le relazioni con il<br />

mondo <strong>della</strong> ricerca e con l’università,<br />

un rapporto che poté essere ben speso<br />

in occasione del Convegno Api e<br />

Frutticoltura dove fu presentata una<br />

ricerca ideata e coordinata da Giampaolo Palmieri ed effettuata<br />

presso la Fondazione Fojanini. Lo studio si avvalse <strong>della</strong><br />

collaborazione e dell'aiuto di Lorenzo Erini, Giuseppe Rainoldi,<br />

Marco Moretti, Natale Giudicatti, Paride Bianchini, Felice<br />

Paindelli, Ferruccio Caligari, Mirko Bonaso, Franco Mossinelli,<br />

Az. Visini. Con tale ricerca venivano registrate le mortalità delle<br />

api nei diversi luoghi, ponendo così a confronto aree agricole<br />

specializzate a frutteto e a vigneto con aree prive di tali colture.<br />

Fu uno studio antesignano o comunque in parallelo rispetto ad<br />

analoghe ricerche svolte dal prof. Celli e collaboratori, pur con<br />

altre metodologie, nell’utilizzare l’ape come test per il rilievo<br />

dell’inquinamento ambientale. Si evidenziarono situazioni<br />

d’allarme in aree fortemente frutticole e alcuni problemi specifici<br />

in quelle vitate. Fu probabilmente un contributo che servì ad<br />

avviare quel processo di maggior attenzione all’equilibrio<br />

ecologico e alla salute dell’ambiente che ora ha raggiunto, in<br />

genere, livelli notevoli da parte delle Cooperative ortofrutticole .<br />

Sotto la guida di Pandiani e del suo staff<br />

(fra cui bisogna ricordare Carlo Canclini e<br />

Giuseppe De Stefani), si inanellarono<br />

molti successi. Il marchio di garanzia, fu<br />

fra questi: istituito dalla Camera di<br />

Commercio venne reso operativo,<br />

funzionante ed efficace dalla tenacia e<br />

dall'intelligenza di Pandiani e dalla<br />

collaborazione <strong>della</strong> Fondazione Fojanini<br />

(che provvedeva agli effettivi controlli di<br />

laboratorio dei campioni).<br />

32


UL’apicoltura e la vita associativa dal dopoguerra ai giorni nostri<br />

Pandiani seppe essere lungimirante negli obiettivi da perseguire,<br />

che possono essere così riassunti:<br />

• garantire la tipicità <strong>della</strong> produzione locale;<br />

• migliorare la qualità del prodotto;<br />

• contrastare la diffusione delle malattie.<br />

Istituito il marchio di garanzia, il miglioramento<br />

<strong>della</strong> qualità del<br />

prodotto fu perseguito attraverso due strade.<br />

La prima<br />

appoggiandosi al laboratorio per l’analisi del miele <strong>della</strong><br />

Fondazione Fojanini. Qui non venivano monitorate solo le<br />

produzioni avviate al mercato, allo scopo di ottenere la<br />

concessione del marchio, ma quasi tutte le partite prodotte (circa<br />

120 analisi all’anno), gratuitamente. Si ebbero così risultati<br />

importanti: una mappatura floristica<br />

del territorio, una forte crescita delle<br />

competenze e conoscenze <strong>della</strong><br />

Fondazione Fojanini in questo campo<br />

e soprattutto il generale<br />

miglioramento <strong>della</strong> qualità <strong>della</strong><br />

produzione, sulla scorta dei risultati<br />

delle analisi e delle indicazioni dei<br />

tecnici. Ne seguì una maggiore<br />

attenzione all’umidità del miele, alla<br />

filtratura e alla decantazione del<br />

prodotto, all’uso del fumo e alla<br />

presenza di odori estranei, ecc.<br />

Ma Pandiani era convinto che la sfida<br />

sulla qualità si vincesse soprattutto<br />

nell’incentivare la produzione del<br />

miele che ci distingue: il “Millefiori<br />

d’Alta Montagna” e il “Monoflorale di<br />

Rododendro”. Si adoperò perché<br />

fossero riconosciute anche<br />

agli apicoltori le agevolazioni per<br />

l’uso dell’elicottero da e per<br />

gli alpeggi e valorizzò in molti modi<br />

questa particolare produzione d’Alta Qualità. Fondò perfino una<br />

Cooperativa – ApiNoma – per incentivare il nomadismo in<br />

alpeggio, nelle “Terre Alte”. Pandiani operò per la realizzazione<br />

di corsi per un aggiornamento professionale degli apicoltori ed<br />

organizzò alcuni convegni. Le amministrazioni da lui guidate<br />

dovettero affrontare l’urto distruttore del terribile parassita<br />

Varroa, e dovettero quindi elaborare strategie e diffondere i<br />

mezzi e le metodologie di contrasto. Questo acaro ebbe un forte<br />

impatto che trasformò il settore, riducendo le realtà produttive<br />

33


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

meno attente ma nel contempo rendendo più compatta e coesa<br />

la struttura associativa. Al fine di fornire una risposta puntuale a<br />

questa nuova emergenza, ma anche per salvaguardare il settore<br />

dal diffondersi di altre patologie, impostò il principio di<br />

“Condotta Apistica”. Il primo responsabile fu Carluccio Canclini.<br />

Con un andamento incerto come i finanziamenti che lo<br />

alimentavano, il concetto di assistenza tecnica “professionistica”<br />

proseguì negli anni con l’alternanza di diversi Esperti: Vasco De<br />

Luis, Enrico Moroni e molti altri.<br />

DDaallllaa ssttoorriiaa aallllaa ccrroonnaaccaa ddeellll’’aa ttttuuaalliittàà<br />

Il cav. Ottorino Pandiani, per età e per problemi familiari, si<br />

dimise intorno agli anni ’90. Venne eletto come Presidente il<br />

dott. Alberto Baiocchi, direttore <strong>della</strong> Fondazione Fojanini e<br />

Presidente dell’Unione Agricoltori, associazione agricola che era<br />

allora nostro riferimento e presso cui avevamo sede.<br />

Il Vice Presidente era Renzo Paniga, che seguì gli aspetti operativi<br />

affiancando il dott. Baiocchi. Paniga fu sicuramente<br />

un<br />

organizzatore intelligente ed un ottimo interprete degli indirizzi<br />

del dott. Baiocchi e del Consiglio Direttivo.<br />

Nel 1993 successi alla guida dell'<strong>Associazione</strong> e, con il nuovo<br />

Direttivo, formato da un gruppo di consiglieri<br />

motivati ed<br />

entusiasti si cercò di portare in pieno la barra nella scia del solco<br />

tracciato da Pandiani. Si avviarono diverse iniziative quali ad<br />

esempio un Censimento – indagine degli apicoltori per poter<br />

meglio valutare e conoscere le esigenze del settore. Si provvide a<br />

creare una etichetta collettiva per<br />

tutti gli apicoltori, che reputavano<br />

troppo oneroso realizzarla per partite<br />

di miele troppo esigue. L’etichetta fu<br />

il frutto di un concorso per grafici ed<br />

artisti, un modo per avvicinare il<br />

mondo dell’arte a quello del miele.<br />

Giunsero contributi di idee da molti<br />

artisti ed in particolare dagli studenti<br />

del Liceo Artistico di Morbegno; nella<br />

scelta del vincitore ebbero una notevole<br />

importanza le votazioni<br />

espresse dal pubblico <strong>della</strong> mostra organizzata<br />

presso una delle<br />

più belle e antiche “stüe” del capoluogo. Vinse la brava Elisabetta<br />

Menesatti di Morbegno, allora studentessa, che poi divenne una<br />

grafica professionista. Ripresero anche i convegni e le occasioni<br />

di inserire l’apicoltura nel contesto delle produzioni tradizionali<br />

34


Corsi di<br />

degustazione sono<br />

stati considerati<br />

un<br />

importante mezzo<br />

per promuovere la<br />

conoscenza e<br />

cultura del miele<br />

UDalla storia alla cronaca dell’attualità<br />

locali. Ma l’obiettivo fondamentale nato allora e tuttora valido<br />

era la nascita di una cultura del miele e del gusto analoga a quella<br />

enologica. Far nascere una consapevolezza nuova e una<br />

conoscenza delle proprietà organolettiche del miele.<br />

Grazie ad un sindacato agricolo, che era<br />

allora di riferimento per la nostra<br />

<strong>Associazione</strong>, venivano realizzati corsi di<br />

apicoltura in diversi luoghi <strong>della</strong> provincia di<br />

<strong>Sondrio</strong>. In quegli anni si concluse anche<br />

l’apporto diretto <strong>della</strong> Regione Lombardia,<br />

tramite le USLL, nella lotta alla Varroa<br />

mediante l’acquisto di presidi sanitari<br />

specifici (Apistan). Provvedimento bollato<br />

come assistenzialismo, ma che permetteva<br />

una azione coordinata e con prodotti sicuri<br />

dal punto di vista <strong>della</strong> qualità del miele.<br />

L’esperienza amministrativa fu molto<br />

interessante per tutti i membri del Consiglio<br />

Direttivo, ma anche fin troppo coinvolgente<br />

e si quindi decise di creare un<br />

avvicendamento abbastanza radicale del<br />

gruppo di amici che si era formato: Ernesto<br />

Agnelli, Mauro Cornaggia, Paola<br />

Crottogini, Battista De Pianto, Giuseppe De Stefani, Roberto<br />

Falcinella, Lucia Formentin,<br />

Carlo Mango, Claudio Miotti, Luigi<br />

Sala Crist, Marco Sertorelli, Marcello Vaninetti, ... solo pochi<br />

rimasero per una successiva esperienza.<br />

Nel 1996 successe alla presidenza Giampietro (“Piter”) Moltoni,<br />

riconfermando Giuseppe De Stefani alla<br />

Vice presidenza quale<br />

segno di continuità. Questa amministrazione centrò la propria<br />

attenzione sulla commercializzazione del prodotto e valorizzò<br />

l’apporto delle aziende di maggiori dimensioni all’interno <strong>della</strong><br />

<strong>Associazione</strong>. L’<strong>Associazione</strong> in quegli anni si staccò dall’Unione<br />

Agricoltori e prese sede presso la Coltivatori Diretti. La segretaria<br />

e responsabile amministrativa rimase la sig.ra Luisella Nazzari,<br />

mentre per una riduzione di finanziamenti non poté proseguire<br />

la collaborazione con il tecnico Vasco De Luis e l’assistenza<br />

tecnica alle aziende fu interamente a carico di Enrico Moroni.<br />

Negli anni ’96 – ’99 si assistette anche ad una situazione di<br />

inefficacia dell’Apistan, presidio utilizzato contro la Varroa, per<br />

l’insorgere di fenomeni di resistenza al principio attivo in esso<br />

contenuto (fluvalinate). Ne conseguì una grave perdita di<br />

35


Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

alveari. In quegli anni ci fu anche una recrudescenza di peste<br />

americana. Un dissesto economico e tensioni interne conclusero<br />

questa esperienza amministrativa in modo alquanto burrascoso.<br />

Nel ’99, allo scadere del mandato, si aprì un periodo di<br />

incertezza, oggettivamente difficile. Con generosità volle<br />

prendere la guida dell'<strong>Associazione</strong> Lorenzo “Renzo” Erini ma,<br />

dato il clima di incertezza e di crisi dovette abbandonare<br />

l’impresa. Nel giugno di quell’anno si giunse ad un nuova<br />

assemblea per decidere se far proseguire la vita dell’APAS o<br />

chiudere definitivamente l’esperienza associativa. Fu<br />

un'assemblea affollata, tutti si resero improvvisamente conto<br />

che, al di là delle momentanee incomprensioni, una struttura<br />

associativa è una ricchezza importante, <strong>della</strong> quale le piccole<br />

realtà produttive non possono fare a meno per poter<br />

sopravvivere, per poter dare risposte adeguate in ambiti in cui ciò<br />

che è marginale e di nicchia viene sempre più estromesso dal<br />

mercato. Ci si accollò la sfida del risanamento economico e del<br />

rilancio dell’<strong>Associazione</strong> e, con molta incoscienza e passione per<br />

questo settore, diedi la disponibilità ad assumere la guida <strong>della</strong><br />

struttura dopo essermi assicurato di poter contare sulla<br />

collaborazione di un valido gruppo di amici.<br />

Ci fu quindi un periodo di rigore, che ci impose di non avvalerci<br />

più <strong>della</strong> collaborazione <strong>della</strong> Coldiretti e dovemmo quindi<br />

rinunciare all’esperienza e competenza <strong>della</strong> sig.ra Luisella<br />

Nazzari. Venne anche trovata una sede più modesta e autonoma.<br />

Si riorganizzò l’assistenza tecnica alle aziende su altre basi e con<br />

altre modalità, per mantenere l’efficienza del servizio ma nel<br />

contempo conseguire le economie necessarie.<br />

Varcato il secondo millennio, è storia recente e si giunge in un<br />

soffio all’oggi. E’ stato risanato il debito pregresso,<br />

si è operato<br />

nel campo <strong>della</strong> promozione<br />

con campagne televisive,<br />

giornalistiche, si è stati<br />

presenti in tutti gli spazi<br />

informativi e in tutte le<br />

occasioni che gli Enti Locali<br />

hanno intelligentemente<br />

creato per la promozione dei<br />

prodotti locali e si è data<br />

piena visibilità al miele quale<br />

prodotto<br />

dell’enogastronomia locale.<br />

36


UDalla storia alla cronaca dell’attualità<br />

Abbiamo intrapreso e portato avanti il percorso per il<br />

conseguimento <strong>della</strong> DOP - Denominazione Origine Protetta e<br />

soprattutto si è data una nuova dignità all’apicoltura, che siede<br />

ora, a pieno diritto, al tavolo dei Consorzi di Tutela dei Prodotti<br />

Locali (Vino, Bresaola, Mele, Formaggio). Il nostro settore è<br />

divenuto parte attiva nel contribuire alla definizione delle<br />

politiche per l’immagine <strong>della</strong> <strong>Valtellina</strong> e dei suoi prodotti.<br />

Si è dato sempre più risalto ed importanza al packaging, ovvero al<br />

confezionamento, convinti che<br />

un prodotto di qualità necessita<br />

di una presentazione accurata ed adeguata. Abbiamo cercato così<br />

anche di creare buoni presupposti per l’ingresso del miele nel<br />

mondo <strong>della</strong> regalistica. Molta attenzione è stata rivolta al<br />

mercato turistico e si sono favoriti tutti quegli eventi che<br />

permettessero di essere presenti e visibili in questo mercato. Ma<br />

soprattutto si è badato a “fare sistema” con gli altri Consorzi<br />

nella presentazione dell’immagine <strong>Valtellina</strong> e dei suoi prodotti.<br />

L’unica nota negativa è il rimanere sempre un po’ sotto traccia<br />

l’uso del marchio di garanzia in attesa del completamento<br />

dell’iter <strong>della</strong> DOP - Denominazione d'Origine Protetta.<br />

Fra gli elementi forti e di spicco <strong>della</strong> storia recente si deve però<br />

prima di tutto menzionare la realizzazione del Centro<br />

di<br />

<strong>Apicoltura</strong> Montana, ovvero la ristrutturazione di un vecchio<br />

edificio – l’ex scuola elementare del Torchione di Albosaggia per<br />

adibirlo a sede dell’<strong>Associazione</strong>, <strong>della</strong> Cooperativa e del<br />

laboratorio di smielatura consortile. L’APAS, sempre protesa a<br />

fornire servizi ai propri soci, ha così potuto aggiungere un nuovo<br />

importante tassello grazie al sostegno degli Enti Locali ed in<br />

particolare <strong>della</strong> Comunità Montana <strong>Valtellina</strong> di <strong>Sondrio</strong> e <strong>della</strong><br />

Provincia di <strong>Sondrio</strong>. Le piccole realtà produttive che non<br />

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Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

potevano commercializzare il proprio prodotto per la mancanza<br />

di locali e strutture idonee ai sensi di legge possono trovare qui<br />

una risposta alle loro esigenze. Un passo importante, che ha<br />

creato basi sempre più solide per la commercializzazione del<br />

prodotto degli associati.<br />

L’Assistenza Tecnica, grazie al supporto e al sostegno <strong>della</strong><br />

Regione Lombardia, è ritornata a buoni livelli, dando stabilità<br />

all’azione dell’ APAS negli anni 2000, dopo che si era azzerata<br />

con il finire del secolo precedente. Dal 2003, per razionalizzare la<br />

spesa, la Regione Lombardia ha richiesto l’aggregazione delle<br />

associazioni nel fornire Assistenza Tecnica e quindi l’APAS<br />

collabora con altri partner in questo campo pur mantenendo un<br />

ruolo di autonomia nella scelta delle priorità.<br />

Anche la didattica e l’aggiornamento tecnico sono ritornati ad<br />

essere una costante <strong>della</strong> nostra <strong>Associazione</strong> con un corso di<br />

“<strong>Apicoltura</strong> di base” di 12 – 13 lezioni attuato da febbraio ad<br />

aprile. Ogni anno si sono registrate presenze superiori a 40<br />

iscritti frequentanti, il che dimostra l’interesse che il mondo<br />

dell’apicoltura suscita. Alcuni ripetono il corso anche l’anno<br />

seguente, segno che non si sono annoiati!!<br />

I seminari o corsi di aggiornamento tecnico hanno invece<br />

caratteristiche che variano di anno in anno: dal corso di “ Analisi<br />

sensoriale del miele” del 2002 tenuto dalla dott.ssa Maria Lucia<br />

Piana a quelli che presentano più appuntamenti e relatori. Dal<br />

2000 al 2004 lo stato dell’arte nel campo <strong>della</strong> ricerca in<br />

apicoltura è stato presentato da importanti figure di riferimento,<br />

quali il dott. Massimo Spreafico, Marco Lodesani, Giorgio Della<br />

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UDalla storia alla cronaca dell’attualità<br />

Vedova, Pierantonio Belletti, Gisella Cremonesi,<br />

Sara Marogna. Nel campo delle attività delle altre<br />

associazioni, si sono organizzati incontri con i<br />

sigg. Giacomo Lorandi, Attilio Cortesi, Davide<br />

Zeni,... Importanti gli apporti anche di esperti di<br />

prestigio per il loro bagaglio di esperienza quali, ad<br />

esempio, il dott. Angelo Sommaruga, i sigg.<br />

Cabrini, Paride Bianchini, Massimiliano Fasoli.<br />

Nel campo dell’informazione ricordiamo la nostra testata<br />

storica, fondata da Ottorino Pandiani, “<strong>Apicoltura</strong> Alpina” con<br />

Alberto Baiocchi direttore responsabile e redatta dal Presidente e<br />

dal Tecnico dell’<strong>Associazione</strong> ed aperta a tutti i contributi. A<br />

questa si è affiancato nel 2004 un altro mezzo di<br />

comunicazione. E’ stato realizzato un sito internet quanto mai<br />

ricco di informazioni ed immagini: www.apicoltori.so.it . Il sito è<br />

stato creato dalla ditta Nerealcom di Claudio Frizziero, mentre<br />

testi ed aggiornamento sono a cura di Giampaolo Palmieri.<br />

Grazie ad un progetto INTERREG e alla collaborazione di tecnici<br />

quali Angelo Ghilardi, Cleto Longoni, Giuseppe Mottalini, a cui<br />

si sono affiancati altri bravi apicoltori come Luigi Pozzi, si è<br />

avviata con successo la produzione di regine selezionate dai<br />

nostri ceppi genetici di riferimento. Abbiamo effettuato<br />

controlli in tutti gli allevamenti coinvolti nel nostro progetto<br />

per verificare che non ci fossero malattie a carico <strong>della</strong> covata ed<br />

effettuato prelievi ed analisi per accertare che non fossero stati<br />

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Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

utilizzati antibiotici o sulfamidici. Un progetto che ha portato<br />

alla diffusione dei ceppi genetici autoctoni e ha contrastato<br />

l’impiego di specie più o meno esotiche e la diffusione di<br />

malattie, e a cui soprattutto, va riconosciuto il merito <strong>della</strong><br />

nascita di una professionalità di tutto rilievo e <strong>della</strong><br />

differenziazione delle produzioni delle aziende.<br />

Non si può infine dimenticare l’ottimo rapporto con Slow Food,<br />

importante riconoscimento per chi costantemente vuole<br />

lavorare nella qualità e nella serietà professionale. Ottimo<br />

rapporto anche con le altre esperienza locali che valorizzano i<br />

prodotti tradizionali che, almeno per ora, hanno un’importanza<br />

economica limitata, quali il Grano Saraceno, in particolare con il<br />

dott. Piero Roccatagliata e con la dott.ssa Ornella Mammola.<br />

Concludiamo questo viaggio nella storia dell’apicoltura fino ai<br />

nostri giorni, con quello che si definisce come mission, ovvero lo<br />

spirito che ci guida, quello che è forse meglio definire come “il<br />

Sogno” :<br />

Abbiamo un piccolo sogno: trasformare l’attuale settore apistico<br />

in un vero comparto produttivo che possa essere una proposta<br />

interessante per i giovani che hanno voglia di cimentarsi in<br />

un’attività imprenditoriale.<br />

Con questa idea in testa siamo riusciti ad aggregare tanta gente<br />

che, come noi, condivide la passione delle api: come a volte<br />

capita, non è solamente importante la meta ma è soprattutto il<br />

viaggio, il percorso con le sue difficoltà e con le soddisfazione<br />

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UDalla storia alla cronaca dell’attualità<br />

che riserva che fornisce motivazioni e slancio. Siamo riusciti a<br />

creare progettualità intorno ad un’idea, trovare le sinergie e le<br />

condivisioni, superare le difficoltà e suscitare interesse.<br />

Abbiamo unito apicoltori che vogliono, con orgoglio e<br />

soddisfazione, valorizzare, con il frutto del loro lavoro, la<br />

<strong>Valtellina</strong>. Il miele vuole contribuire con i “grandi” di <strong>Valtellina</strong>,<br />

ovvero con Bresaola, Bitto, vini DOC e Pizzoccheri, a dare<br />

sempre più lustro e<br />

rinomanza a questa nostra<br />

terra. La cura e la<br />

dedizione che gli<br />

apicoltori profondono per<br />

ottenere un prodotto di<br />

alta qualità fa loro<br />

meritare i giusti<br />

riconoscimenti che<br />

costantemente il loro<br />

miele ottiene nei diversi<br />

concorsi nazionali ed<br />

esteri.<br />

I nostri progetti nascono e<br />

si realizzano per creare e<br />

fornire servizi a chi opera<br />

nel settore o vuole avviarsi<br />

a questa attività.<br />

Cerchiamo di creare<br />

condizioni favorevoli di<br />

sviluppo per le piccole<br />

realtà imprenditoriali ed<br />

avvicinare giovani e meno<br />

giovani ad un settore che<br />

appassiona e può divenire<br />

un' attività o rappresentare<br />

un’interessante integrazione economica.<br />

Fra i nostri obiettivi ricordiamo la valorizzazione del prodotto e<br />

la salvaguardia <strong>della</strong> qualità, nonché il suo forte collegamento<br />

con il territorio. Noi non dobbiamo vendere semplicemente<br />

miele ma un pezzo di <strong>Valtellina</strong>, <strong>della</strong> sua cultura, <strong>della</strong><br />

sua specificità e quindi massima deve essere la cura<br />

alla qualità del prodotto.<br />

Giampaolo Palmieri<br />

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Storia dell’apicoltura valtellinese<br />

Testi e foto<br />

Giampaolo Palmieri<br />

Ringraziamenti per la collaborazione a:<br />

Donatella Fay<br />

Walter Nana<br />

Franco Palmieri<br />

Alberto Pacchi<br />

Franca Prandi<br />

Inoltre un ringraziamento per l’aiuto nella realizzazione a<br />

42<br />

Emma Daniela Fendoni<br />

Angelo Ghilardi<br />

Guido Mazzetta<br />

Massimo Pizzatti

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