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Michael Pollan Il dilemma dell'onnivoro - newitalianlandscape

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Politecnico di Milano<br />

Facoltà del Design CLS I anno<br />

a.a. 2008/09<br />

<strong>Michael</strong> <strong>Pollan</strong><br />

<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

relazione ed approfondimenti<br />

Metodi di ricerca del progetto<br />

Prof. Stefano Maffei<br />

tutor Elena Giunta<br />

Elif Ayalp 735998<br />

Lucia Fontana 735740<br />

Alberto Solazzi 733284


2 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

Politecnico di Milano_Facoltà del Design_Metodi di ricerca del progetto prof. Stefano Maffei/tutor Elena Giunta


Indice<br />

Introduzione<br />

Struttura del libro<br />

Tematiche<br />

<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 3<br />

Parte I<br />

La catena industriale<br />

Approfondienti bibliografici<br />

Wandell Berry - “The pleasure of Eating”<br />

Betty Fussel – “The story of Corn”<br />

Arturo Warman - Corn and Capitalism: How a Botanical Bastard Grew to Global Dominance.by Allan G. Bogue<br />

Approfondimenti tematici<br />

<strong>Il</strong> contesto socio-economico-politico<br />

La struttura dell’USDA: una multinazionale??<br />

<strong>Il</strong> sistema delle Extension<br />

History<br />

<strong>Il</strong> report della National Farmers Union rispetto al mercato agricolo americano (2007)<br />

Le Food Companies<br />

Fibersol-2<br />

Product Specification<br />

Parte II<br />

La catena pastorale: l’erba<br />

Ritorno a un antico sogno pastorale<br />

L’impero del biologico<br />

Un percorso formativo<br />

Domande da farsi<br />

L’erba: mille modi di vivere un pasto<br />

Gli animali:la complessità al lavoro<br />

<strong>Il</strong> macello trasparente<br />

<strong>Il</strong> popolo senza codice a barre<br />

L’esperienza in una cena<br />

Parte III<br />

Schema primordiale<br />

Dilemma dell’onnivoro<br />

Dilemma del vegetariano<br />

L‘esperienza<br />

Gli animali felici e quelli che soffrono<br />

La cena<br />

Politecnico di Milano_Facoltà del Design_Metodi di ricerca del progetto prof. Stefano Maffei/tutor Elena Giunta


4 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

Metodo di ricerca<br />

User Centered Design & Participatory Design<br />

Etnografia e Antropologia<br />

<strong>Il</strong> Cambiamento Tecnologico<br />

I risultati di <strong>Pollan</strong><br />

Approfondimenti: le esperienze alternative<br />

1. Slow Food vs Food Design Studio<br />

Filosofia<br />

Cos’è<br />

La storia<br />

...Cosa può are il Food Design<br />

La progettazione di portata<br />

2. Microrealities<br />

3. Milano Expo 2015<br />

Un eco contrario<br />

<strong>Pollan</strong> e il suo progetto di ricerca: “In Defense of Food, An Eater’s Manifesto”<br />

Book Review: “In Defense of Food, An Eater’s Manifesto” by <strong>Michael</strong> <strong>Pollan</strong><br />

Politecnico di Milano_Facoltà del Design_Metodi di ricerca del progetto prof. Stefano Maffei/tutor Elena Giunta


<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 5<br />

Introduzione<br />

“Quel grande orto che continuiamo a chiamare terra” recita il titolo del Corriere della Sera di<br />

Lunedì 5 gennaio 2009. Ciò ci dà subito l’idea del tema del libro: l’alimentazione, o meglio il<br />

sistema di produzione dell’alimentazione su ampia scala. <strong>Michael</strong> <strong>Pollan</strong> è un giornalista del<br />

New York Times si è cimentato in una virtuosa impresa: posto che la complessità oggi ha raggiunto<br />

anche il cibo e i suoi processi produttivi, commerciali, economici, scegliere cosa mangiare<br />

richiede diventare esperti di un settore in profonda evoluzione. L’uomo ha infatti necessità<br />

essere informato, o meglio informarsi su ciò che gli sta nel piatto, poichè in realtà non conosce<br />

cosa c’è dentro, da dove viene, come è arrivato, etc.<br />

L’onnivoro è dunque l’uomo moderno, che ontologicamente parlando è in grado di cibarsi di<br />

qualsiasi cosa, la sua indole è rivolta alla varietà ed alla necessità di variabilità, ma la perdita di<br />

contatto con la terra (assunta come luogo di produzione del cibo) rappresenta anche una drammatica<br />

serie di dubbi, domande su cosa sia giusto o non giusto mangiare, su cosa sia dannoso o<br />

meno, etc.. tutto ciò è <strong>dilemma</strong>.<br />

È l’eterno problema del “nuovo”, rappresentata nel racconto come l’antitesi di neofilia e neofobia:<br />

il nuovo piace ed è ricercato, ma è affrontato con timore perchè potenzialmente pericoloso.<br />

L’America, storicamente terra di migrazioni e porto di culture generalista, non ha prodotto,<br />

assunto, sviluppato una propria tradizione culinaria. Lo si vede, lo si respira passeggiando per<br />

le strade della Grande Mela, si respira la diversità e l’apparententemente insolita ma ormai<br />

consolidata convivenza di centinaia di culture, e ad ogni pasto è possibile “provare” qualcosa<br />

di diverso. In realtà un quinto dei pasti sono consumati in auto, un terzo dei giovani mangia<br />

ogni giorno nei fast food, la “Repubblica obesa” si carica ogni giorno di qualche nuovo seguace.<br />

Ci sono due altri aspetti veramente significativi del contesto sociale americano in materia di<br />

alimentazione: l’esplosione del vegetariano, versione extreme, la conversione di tantissime<br />

persone a questa tipologia di alimentazione a cavallo tra biologico e anoressia. Un paradosso,<br />

insomma. Ma la grande città, la moda, producono culture dell’alimentazione distorte e pericolose.<br />

L’altro aspetto riguarda la scomparsa dell’angolo cucina nei nuovi flat: ebbene sì, al massimo<br />

una piastra per farsi il caffè, ma d’altronde ogni occasione è buona per uscire a cena, e ciò<br />

significa che possiamo fare a meno dell’angolo cottura.<br />

Probabilmente in paesi come Francia e Italia queste cose non potrebbero esistere, ma anche<br />

in questi luoghi europei vi sono neofili, e le nuove mode si importano con facilità e accondiscendenza,<br />

e lo sviluppo di interner e dei social network ne sono uno strumento di rapidissima<br />

diffusione su larga scala.<br />

Ma torniamo al nostro <strong>Pollan</strong>: la chiave di lettura che ci siamo proposti di adottare è duplice e<br />

parallela; innanzitutto un percorso storico che segna le tappe dell’evoluzione del sistema alimentare<br />

americano, inoltre un percorso socio-economico che riguarda più da vicino gli aspetti<br />

decisionali e le conseguenze ed implicazioni in termini di impatto sociale (cambiamento delle<br />

abitudini), economico (mercato), sanitario-ambientale (salute e qualità della vita).<br />

L’introduzione si conclude con l’enunciazione delle tre catene alimentari: industriale, biologica<br />

(organica), tradizionale o primordiale. Ognuna di esse dà luogo ad una esperienza alimentare<br />

relativa, risepttivamente: il pasto fast food, il pasto biologico del supermarket vs. pasto naturale,<br />

ed infine il pasto primordiale (o perfetto). L’obiettivo è riprendere un contatto con la terra,<br />

con il sistema del sostentamento, con la presa di coscienza dell’evoluzione del cibo nell’era<br />

moderna.<br />

Politecnico di Milano_Facoltà del Design_Metodi di ricerca del progetto prof. Stefano Maffei/tutor Elena Giunta


6 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

“Mangiare è un atto agricolo” sottolineava Wendell Berry* nel 1990. E <strong>Pollan</strong> aggiunge: “Ma è<br />

anche un gesto ecologico e politico.” Nulla di più vero e concreto, se pensiamo come le nostre<br />

scelte in termini di acquisto di alimenti ( sia al supermercato, sia al ristorante dove di fatto<br />

acquistiamo un piatto pronto) sia connesso strettamente con l’utilizzo del mondo e delle sue<br />

risorse, ed il futuro di esso e dunque nostro e dei nostri figli.<br />

Politecnico di Milano_Facoltà del Design_Metodi di ricerca del progetto prof. Stefano Maffei/tutor Elena Giunta


<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 7<br />

Struttura del libro<br />

Politecnico di Milano_Facoltà del Design_Metodi di ricerca del progetto prof. Stefano Maffei/tutor Elena Giunta


8 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

Politecnico di Milano_Facoltà del Design_Metodi di ricerca del progetto prof. Stefano Maffei/tutor Elena Giunta<br />

Tematiche


Catena industriale<br />

<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 9<br />

Parte I<br />

La descrizione dell’impero del mais inizia dalla coda, rappresentata da un moderno supermarket:<br />

in esso si trova il paradigma della varietà, e l’autore relaziona questo luogo alla foresta,<br />

nella quale non sarebbe possibile trovare numeri e quantità analoghe di cibo. Ma ogni cosa che<br />

è acquistabile, tangibile, che si tocca con mano, da dove arriva? Che terre ha incontrato? Come<br />

è arrivata al reparto ortofrutta metropolitano? La risposta risulta pià o meno la stessa, e il luogo<br />

è da risalire alla Corn Belt, la regione del mais del Midwest americano. Qui si produce tutto<br />

il mais degli Stati federali, che è il principale componente di ogni singolo prodotto, attraverso le<br />

sue mille forme: sciroppi, malti, lieviti, olii, grassi di varia denominazione, coloranti, acidi, etc..<br />

L’impero della varietà e della scelta, il supermercato, non è altro che paladino di una varietà<br />

effimera ed apparente: 45.000 prodotti al mais, con 17.000 novità ogni anno. Todd Dawson afferma:<br />

“L’americano medio è un sacchetto di chips con le gambe.<br />

Ma qual è la storia di Zea Mays?(The story of Corn*) Una pianta erbacea dell’America Centrale,<br />

che ha colonizzato il mondo.<br />

William Cobbett: “il mais è la maggior benedizione che Dio abbia mai donato all’uomo”. Punti di<br />

vista, diciamo noi. Dal momento che dall’800 ad oggi sono cambiate innumerevoli cose.<br />

Le caratteristiche principali dell’ascesa del mais sono da ricercare nella grande versatilità<br />

d’impiego, nella capacità di adattamento al clima, nella resa mediamente più elevata rispetto<br />

agli altri cereali, più possibilità di conservazione. Una pianta protocapitalista, che ha determinato<br />

la traslazione da economia di sussistenza ad economia di mercato. Ma l’uomo, in questo,<br />

ha avuto un ruolo determinante.<br />

Innanzitutto nel processo di addomesticamento del mais, con la creazione di specie coltivabili<br />

per la cui riproduzione è stato necessario l’intervento dell’uomo (dal teosinte al mais). Ed<br />

inoltre attraverso innumerevoli cause antropiche connesse allo sviluppo dell’agricoltura, come<br />

la creazione e l’impiego degli ibridi (semi conciate), l’utilizzo dei concimi chimici a scapito dei<br />

cicli biologici, le politiche liberiste senza alcun controllo sulle quote di produzione, la politica<br />

dei sussidi statali, le scoperte scientifiche come l’azoto di sintesi (capacità produttiva garantita<br />

dalla chimica), etc in altri termini la MONOCOLTURA.<br />

<strong>Il</strong> sistema alimentare americano si è strutturato ed gestito, consolidato sulla spinta della politica,<br />

rappresentata dal Ministero dell’Agricoltura, che oggi rappresenta un organo tra i più<br />

potenti e influenzanti del potere americano nel mondo. La curiosità sta nel fatto che fin dalla<br />

sua costituzione, esso ha sempre rappresentato interessi commerciali privati, dal momento che<br />

alla sua dirigenza convergono rappresentanze del mondo agricolo ed industriale, ammesso che<br />

ci sia una differenza.<br />

Lo USDA*, infatti, stabilisce attraverso le Farm Bill* gli obiettivi da raggiungere, con una logica<br />

da business plan di una multinazionale, ricercando (come si legge nella mission) la leadership<br />

nei settore dell’agricoltura ma anche dello sfruttamento delle risorse energetiche e, più<br />

esteso, naturali. Tutto ciò affiancandosi della più moderna sperimentazione e ricerca scientifica,<br />

con organi di ricerca estesi su tutto il territorio federale, colalborando con le università e i<br />

centri ricerca, e da qui fino alle associazioni dei farmers (National Farmers Union*), attraverso<br />

programmi specializzati di educazione (es. eXtension Web*) e divulgazione dei nuovi progressi<br />

Politecnico di Milano_Facoltà del Design_Metodi di ricerca del progetto prof. Stefano Maffei/tutor Elena Giunta


10 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

scientifico-tecnologici, nonchè la creazione di una classe dirigente e profili di alto livello per<br />

sostenere il sistema delle farm come vere e proprie industrie di produzione delle commodities.<br />

Dal’altro lato (o dallo stesso) stanno le Food Companies, che forniscono al farmer le sementi<br />

ed i fertilizzanti, prendono il raccolto e lo lavorano scomponendolo molecolarmente nei componenti<br />

principali per poi ricomporre nuovi alimenti progettati, forniscono i mangimi aI CAFO<br />

(allevamenti intensivi), macellano le carni e le inviano al sistema della Food Comsumer Production<br />

o della Global Distribution.<br />

<strong>Il</strong> consumatore finale è all’oscuro di tutti questi processi, ma è l’elemento finale chiave in<br />

quanto “consumatore”, soggetto economico che sceglie l’acquisto e determina un utile per il<br />

sistema.<br />

La presenza del mais così consistente ma invisibile attorno a noi è principalmente determinata<br />

dal fatto che la produzione non ha mai conosciuto un arresto in termini di crescita quantitativa,<br />

pertanto è stato necessario trovare nuove strade di applicazione per poter smaltire e movimentare<br />

i flussi di mais: la nutrizione degli animali, la creazione di nuovi prodotti alimentari complessi<br />

per l’uomo, l’utilizzo energetico nei biocarburanti.<br />

La catena industriale presenta un dettaglio più profondo: se è vero che il mais è presente in<br />

maniera incontrastata, l’uomo ha giocato il ruolo fondamentale di sfruttamento economico di<br />

questa risorsa.<br />

Le strategie economiche rispetto all’alimentazione sono state sviluppate nel corso degli ultimi<br />

decenni dalle grandi catene del cibo: McDonalds & co.<br />

Come fare mangiare di più le persone se lo stomaco è in qualche modo legato ad una fissità<br />

biologica della quantità di cibo che può ingerire? Ecco che la Food Technology si è adoperata<br />

per produrre maggiore varietà possibile con un solo prodotto di base multiforme, oltre che<br />

produrre sostanze indigeribili che non ci portano nutrizione e pertanto possiamo mangiarne<br />

all’infinito, superando l’orizzonte della sazietà. L’amido resistente, per esempio, il Fibersol-2*,<br />

con tanto di brevetto di Matsutani Chemical Industry, ma già acquistato da giganti come ADM<br />

(Archer Daniels Midlands)*. Un’altra strategia riguarda l’aumento graduale della porzione one–<br />

person di cibo, per smaltire più merce, ad un consumatore che è disposto a pagare anche un pò<br />

di più. (Supersizing)<br />

Ogni nuovo prodotto contiene maggiore varietà di componenti derivati da mais, poi si opera<br />

una scelta “di gusto”: si tolgono quanti più componenti possibili senza che il gusto al palato ne<br />

risenta, contenendo quanto più possibile i costi. Ecco perchè 4 centesimi di mais diventano 4<br />

dollari! La teoria (e la pratica) del valore aggiunto al prodotto.<br />

Posto che dunque la CocaCola è fatta per il 100% di mais, l’esperienza di <strong>Pollan</strong> si conclude con<br />

la presentazione dei risultati: ognuno ogni anno ingerisce circa una tonnellata di mais (piuttosto<br />

impensabile ma è così), e un pasto in auto per 3 persone (Cheeseburget, Cobbsalad e McNuggets,<br />

giustamente differenziato, c’è un target da rispettare!) equivale al consumo di un intero<br />

bagagliaio dell’auto stessa (non ci è dato sapere se fosse una station wagon e quanti litri contenesse).<br />

In ogni caso, cifre, esempi significativi.<br />

In aggiunta ad esso la dimensione sociale, quale perdita della convivialità del cibo, del piacere<br />

della tavola in comunione con altre persone, oltre che la dimensione economica: più calorie<br />

pro capite, più spreco di risorse rinnovabili per produrle (combustibili fossili, nochè l’humus del<br />

suolo americano), più inquinamento sanitario-ambientale.<br />

Che senso ha dunque trascurare gli effetti che questo sistema sta causando sull’uomo e la sua<br />

sopravvivenza, in nome di una logica economica che troppo spesso, pur essendo “governata” da<br />

uomini, sembra esserne al di sopra?<br />

Politecnico di Milano_Facoltà del Design_Metodi di ricerca del progetto prof. Stefano Maffei/tutor Elena Giunta


Titolo<br />

bla bla<br />

<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 11<br />

Politecnico di Milano_Facoltà del Design_Metodi di ricerca del progetto prof. Stefano Maffei/tutor Elena Giunta


12 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

Politecnico di Milano_Facoltà del Design_Metodi di ricerca del progetto prof. Stefano Maffei/tutor Elena Giunta


Approfondimenti bibliografici<br />

Wendell Berry – “The Pleasures of Eating” (from What are people for?)<br />

<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 13<br />

Many times, after I have finished a lecture on the decline of American farming and rural life,<br />

someone in the audience has asked, “What can city people do?”<br />

“Eat responsibly,” I have usually answered. Of course, I have tried to explain what I meant by<br />

that, but afterwards I have invariably felt that there was more to be said than I had been able to<br />

say. Now I would like to attempt a better explanation.<br />

I begin with the proposition that eating is an agricultural act. Eating ends the annual drama<br />

of the food economy that begins with planting and birth. Most eaters, however, are no longer<br />

aware that this is true. They think of food as an agricultural product, perhaps, but they do not<br />

think of themselves as participants in agriculture. They think of themselves as “consumers.”<br />

If they think beyond that, they recognize that they are passive consumers. They buy what they<br />

want-or what they have been persuaded to want-within the limits of wifery of the old household<br />

food economy. But one can be thus liberated only by entering a trap (unless one sees ignorance<br />

and helplessness as the signs of privilege, as many people apparently do). The trap is the ideal<br />

of industrialism: a walled city surrounded by valves that let merchandise in but no consciousness<br />

out. How does one escape this trap? Only voluntarily, the same way that one went in: by restoring<br />

one’s consciousness of what is involved in eating; by reclaiming responsibility for one’s<br />

own part in the food economy. One might begin with the illuminating principle of Sir Albert<br />

Howard’s The Soil and Health, that we should understand “the whole problem of health in soil,<br />

plant, animal, and man as one great subject.” Eaters, that is, must understand that eating takes<br />

place inescapably in the world, that it is inescapably an agricultural act, and that how we eat<br />

determines, to a considerable extent, how the world is used. This is a simple way of describing a<br />

relationship that is inexpressibly complex. To eat responsibly is to understand and enact, so far<br />

as one can, this complex relationship. What can one do? Here is a list, probably not definitive:<br />

Participate in food production to the extent that you can. If you have a yard or even just a porch<br />

box or a pot in a sunny window, grow something to eat in it. Make a little compost of your<br />

kitchen scraps and use it for fertilizer, Only by growing some food for yourself can you become<br />

acquainted with the beautiful energy cycle that revolves from soil to seed to flower to fruit to<br />

food to offal to decay, and around again. You will he fully responsible for any food that you grow<br />

for yourself, and you will know all about it. You will appreciate it fully, having known it all its life.<br />

Prepare your own food. This means reviving in your own mind and life the arts of kitchen and<br />

household. This should enable you to eat more cheaply, and it will give you a measure of “quality<br />

control’’: you will have some reliable knowledge of what has been added to the food you eat.<br />

Learn the origins of the food you buy, and buy the food that is produced closest to your home.<br />

The idea that every locality should be, as much as possible, the source of its own food makes<br />

several kinds of sense. The locally produced food supply is the most secure, the freshest, and<br />

the easiest for local consumers to know about and to influence,<br />

Whenever possible, deal directly with a local farmer, gardener, or orchardist. All the reasons<br />

listed for the previous suggestion apply here. In addition, by such dealing you eliminate the<br />

whole pack of merchants, transporters, processors, packagers. and advertisers who thrive at<br />

the expense of both producers and consumers.<br />

Learn, in self-defense, as much as you can of the economy and technology of industrial food<br />

production. What is added to food that is not food, and what do you pay for these additions?<br />

Politecnico di Milano_Facoltà del Design_Metodi di ricerca del progetto prof. Stefano Maffei/tutor Elena Giunta


14 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

Learn what is involved in the best farming and gardening.<br />

Learn as much as you can, by direct observation and experience if possible, of the life histories<br />

of the food species.<br />

The last suggestion seems particularly important to me. Many people are now as much estranged<br />

from the lives of domestic plants and animals (except for flowers and dogs and cats)<br />

as they are from the lives of the wild ones. This is regrettable, for these domestic creatures are<br />

in diverse ways attractive; there is much pleasure in knowing them. And farming, animal husbandry,<br />

horticulture, and gardening, at their best, are complex and comely arts; there is much<br />

pleasure in knowing them, too.<br />

It follows that there is great displeasure in knowing about a food economy that degrades and<br />

abuses those arts and those plants and animals and the soil from which they come. For anyone<br />

who does know something of the modern history of food, eating away from home can be a<br />

chore. My own inclination is to eat seafood instead of red meat or poultry when I am traveling.<br />

Though I am by no means a vegetarian, I dislike the thought that some animal has been made<br />

miserable in order to feed me. If I am going to eat meat, I want it to be from an animal that has<br />

lived a pleasant, uncrowned life outdoors, on bountiful pasture, with good water nearby and<br />

trees for shade. And I am getting almost as fussy about food plants. I like to eat vegetables and<br />

fruits that I know have lived happily and healthily in good soil. not the products of the huge,<br />

bechemicaled factory-fields that I have seen, for example, in the Central Valley of California.<br />

The industrial farm is said to have been patterned on the factory production line. In practice, it<br />

looks more like a concentration camp.<br />

The pleasure of eating should be an extensive pleasure, not that of the mere gourmet. People<br />

who know the garden in which their vegetables have grown and know that the garden is healthy<br />

will remember the beauty of the growing plants, perhaps in the dewy first light of morning when<br />

gardens are at their best. Such a memory involves itself with the food and is one of the pleasures<br />

of eating. The knowledge of the good health of the garden relieves and frees and comforts<br />

the eater. The same goes for eating meat. The thought of the good pasture and of the calf<br />

contentedly grazing flavors the steak. Some. I know, will think it bloodthirsty or worse to eat a<br />

fellow creature you have known all its life. On the contrary, I think it means that you eat with understanding<br />

and with gratitude. A significant part of the pleasure of eating is in one’s accurate<br />

consciousness of the lives and the world from which food comes. The pleasure of eating, then,<br />

may be the best available standard of our health. And this pleasure, I think, is pretty fully available<br />

to the urban consumer who will make the necessary effort.<br />

I mentioned earlier the politics, esthetics, and ethics of food. But to speak of the pleasure of<br />

eating is to go beyond those categories. Eating with the fullest pleasure-pleasure, that is, that<br />

does not depend on ignorance-is perhaps the profoundest enactment of our connection with the<br />

world. In this pleasure we experience and celebrate our dependence and our gratitude, for we<br />

are living from mystery, from creatures we did not make and powers we cannot comprehend.<br />

When I think of the meaning of food, I always remember these fines by the poet William Carlos<br />

Williams, which seem to me merely honest:<br />

There is nothing to eat,<br />

seek it where you will,<br />

but the body of the Lord.<br />

The blessed plants<br />

and the sea, yield it<br />

to the imagination<br />

intact.<br />

Politecnico di Milano_Facoltà del Design_Metodi di ricerca del progetto prof. Stefano Maffei/tutor Elena Giunta


Betty Fussel – “The story of Corn”<br />

<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 15<br />

Like its subject, The Story of Corn is a unique hybrid, drawing upon history and mythology, science<br />

and art, anecdote and image, personal narrative and epic, to tell the extraordinary story of<br />

the grain that built the New World. Indeed, corn transformed the way the whole world eats, providing<br />

both a hardy, inexpensive alternative to rice or wheat and cheap fodder for livestock. And,<br />

with its mercurial genetic structure, it found its way into everything from explosives to embalming<br />

fluid. As Fussell writes, “Corn made the whole world kin.”<br />

But the story of corn is essentially an American saga, entwining the histories–and often clashing<br />

worldviews–of the indigenous peoples who first cultivated the grain and the European conquerors<br />

who appropriated and then propagated it around the globe. With characteristic wit and<br />

passion, Fussell explores its roles as food and fetish, crop and commodity, to the peoples who<br />

for seven centuries have planted, consumed, worshiped, processed, and profited from it. If corn<br />

makes the whole world kin, in Fussell’s eloquent account it also reveals the inherent tragedy of<br />

our tribalism.<br />

From Publishers Weekly<br />

Fussell ( Food in Good Season ) documents the history of corn on many levels in this wellresearched<br />

book. As food, fertility symbol, genetic marvel, and subject of ancient myths, corn is<br />

one of the oldest food staples and a truly American food source. And because the author covers<br />

so much material, it’s best to approach The Story of Corn bit by bit to avoid being overwhelmed.<br />

While it’s fun to read about the history of popcorn (popcorn poppers dating back to A.D. 100<br />

have been found in Peru), it’s downright fascinating to read about what corn meant to native<br />

North and South Americans. Apparently corn was used in everything from funerals to birth<br />

rituals; corn images are embedded in the Hopi language. Fussell even tracked down a retired<br />

moonshiner to find out how corn was used to make corn whiskey and its more socially acceptable<br />

cousins, bourbon and Peruvian chicha . The author, descended from Nebraska farmers for<br />

whom corn was a mainstay, weaves her family’s history into the larger saga. And along the way,<br />

she unfortunately consorts with some rather highfalutinok language (”The migration of my ancestors<br />

was across continents, up and away from the earth navel of fallen man. My own journey<br />

had been down . . . into the darkness of seeds and roots to find my dead mother and her mothers<br />

. . . in the womb not of Eden but of Mother Earth”). But the volume is otherwise so absorbing<br />

and well written that she’s easily forgiven. Photos not seen by PW.<br />

From Library Journal<br />

Like a modern variety of Zea mays , this book is a sophisticated hybrid, a skillful blend of history,<br />

science, art, and anthropology. Written in a lively and nontechnical style, with 150 photographs<br />

and 100 line drawings, it is an accessible, handsome volume. Fussell, food journalist,<br />

historian of foodways, and author of cookbooks, including the highly recommended Food in<br />

Good Season ( LJ 9/15/88), is known as a likeable and knowledgeable writer. These qualities are<br />

evident in this tour de force about corn, covering every aspect of this important commodity and<br />

offering an extensive bibliography. Anyone reading all or a substantial portion of this book will<br />

never pass a cornfield again in quite the same way. Recommended.<br />

- Richard Shotwell, Hancock Shaker Village, Pittsfield, Mass.<br />

From Kirkus Reviews<br />

Fussell (Food in Good Season, 1988, etc.) has steeped herself in corn lore and emerged with<br />

this encyclopedic entry on that sustaining American grain in myth, ritual, history, science and<br />

technology, breeding and cultivation, industry, processing, and cookery (not recipes, just a<br />

Politecnico di Milano_Facoltà del Design_Metodi di ricerca del progetto prof. Stefano Maffei/tutor Elena Giunta


16 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

survey)–with a chapter on corn whiskey thrown in and an interweaving of personal root-claiming<br />

by way of a Nebraska grandfather. Fussell has clearly done a good deal of research and a lot of<br />

traveling–peering over a precipice at Machu Picchu, descending into a restored ceremonial kiva<br />

of the Anasazi people in New Mexico, visiting the sole surviving corn palace from the Midwest<br />

boosters’ glory days of a century ago–but her prose fails to vivify the scenes she’s visited, and,<br />

without any argument or added insights, her research reports have a secondhand, summarizing<br />

quality. Still, the labor and immersion are evident, and libraries should find uses for Fussell’s<br />

odd compilation.<br />

Arturo Warman - Corn and Capitalism: How a Botanical Bastard Grew to Global Dominance.<br />

by Allan G. Bogue<br />

The distinguished Mexican anthropologist, Arturo Warman, published the Spanish language<br />

edition of this sweeping survey of the place of corn in world history since the sixteenth century<br />

in 1988. The colorful subtitle refers to corn’s disputed parentage and the fact that through history<br />

the crop has stayed outside “the system of accepted norms” (p. xiii). As a Mexican social<br />

scientist Warman became deeply interested in the social and economic significance of corn and<br />

planned a history of the crop’s place in Mexican life. Various scholarly projects prepared him for<br />

that work but he ultimately deferred it in favor of the current volume.<br />

Several preliminary chapters lay a foundation for the book. Warman begins by describing the<br />

many useful American plants that have had major “repercussions” in “the development of the<br />

world economy, and the world market place.” At the heart of corn’s story, he writes, “lies the<br />

history of capitalism” (p. 11). The corn plant (Zea mays), Warman explains, has various amazing<br />

characteristics. Evolved from the grass teosinte, it does not propagate itself in nature, is selfpollenizing,<br />

is remarkably responsive to hybridization, is adaptable to a wide range of environments,<br />

has outstripped other food plants in its yields, is accommodative to complementary<br />

crops, is easily converted to edible form, and is capable of conversion into a myriad of derivative<br />

products ranging from bourbon to adhesives and automotive fuel, as well as providing livestock<br />

feed that enters the human diet as animal protein. Debate has raged as to whether the birthplace<br />

of corn was the Americas or Asia. Sketching the archeological evidence, Warman accepts<br />

Mexico as the place of origin.<br />

Warman devotes most of the remainder of the book to tracing the history of corn in major areas<br />

of the world, dealing first with Asiatic locales. First introduced there in the early sixteenth<br />

century by the Portuguese, corn became a crop of the mountains and frontier regions and<br />

particularly a food of the poor. He links its history to the complex land tenures and labor intensive<br />

systems of cropping in that great region and the relation of this crop to other major crops<br />

including a number of other western immigrants. Corn, he explains, was an important part of<br />

the second great agricultural revolution that occurred in China during the nineteenth and twentieth<br />

centuries.<br />

He follows with an account of the place of corn in the Atlantic slave trade. Slaves endured their<br />

passage to the new world on a diet consisting almost solely of corn meal paste, the grain’s high<br />

vitamin content warding off scurvy. Introduced primarily by the Portuguese, corn became a major<br />

crop in the African slave shipping areas and their hinterlands to meet the provisioning needs<br />

of the slavers. The crop adapted well to slash and burn agriculture. By the seventeenth century,<br />

corn was well established on the Atlantic coast of Africa and probably in much of the interior.<br />

With the decline of the slave trade in Africa, European nations developed colonial relations with<br />

its peoples. Corn now became increasingly important as a subsistence crop grown by peasants.<br />

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<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 17<br />

Colonial administrators and white settlers emerged as a ruling class in the colonial dependencies<br />

and a native worker class emerged to provide labor for extractive ventures and settler<br />

agriculture. Corn products also sustained this labor sector but corn’s resistance to disease,<br />

short growth cycle, versatility, low requirements of capital and labor, and high yields also commended<br />

it to white farmers. Colonial land policies, Warman explains, benefited white interests<br />

and confined native populations in restricted areas, thus limiting native livestock operations.<br />

Hampered by natural hazards and colonial policies, peasants used corn both as sustenance and<br />

to provide agricultural surplus. Corn became, Warman concludes “one of the secret weapons<br />

in peasant resistance to colonial rule” (p. 81). In the era of national independence that followed<br />

the colonial era in Africa growth in the volume of commercial export crops -- coffee, tobacco,<br />

cacao, and cotton -- far outstripped growth in domestic food crops; a condition of dietary dependence<br />

prevailed. Corn flour was one of the cheapest foods per thousand calories available<br />

in urban African markets. The hope for future growth in food production in Tropical Africa lies,<br />

Warman suggests, in land reform.<br />

Turning to Europe, Warman reviews the treatment of corn in European publications from the<br />

sixteenth century to the modern era. First grown as a curiosity in Andalusia and later as an<br />

agricultural crop, by the eighteenth century it had displaced long established cereals both in<br />

irrigated areas and in the subsistence peasant economy of northern Spain. By the end of that<br />

century corn was planted from the Black Sea to Gibraltar and, it was said, south of a line from<br />

the mouth of the Garonne to the Rhine above Strasbourg. It was often planted on land that<br />

formerly had been fallowed. Ripening at a time that had typically been one of food scarcity, it<br />

reduced the threat of famine and became the food of those who lived in “poverty, rural deprivation,<br />

and primitive ... conditions.” Corn contributed vitally to the ongoing, “intellectual, political,<br />

industrial, and agricultural revolutions” then underway (p. 111). Finding no “ubiquitous and<br />

precise cultural agent” that accounted for the diffusion of corn growing through much of early<br />

Modern Europe, Warman identifies four “natural and social factors”: “growing conditions and<br />

the agricultural systems or their associated methods: population dynamics; trade, prices, and<br />

markets; and landownership and the relations of domination existing between landowners and<br />

direct producers” (p. 112). Their interaction, sometimes affected by more subtle influences,<br />

made corn “the bread of southern Europe’s poor.” But it also “generated wealth for landowners,<br />

shopkeepers and money lenders, overlords, and the new middle class,” who, ironically, ate<br />

wheat bread (p. 131). This occurred as an agricultural revolution took place between the sixteenth<br />

and eighteenth centuries involving more intensive cultivation of the land and dwindling<br />

use of fallow.<br />

Two American agricultural exports had tragic consequences -- the potato famines of the mid<br />

nineteenth century and the widespread incidence of pellagra in southern Europe and later in<br />

the southern United States. Those highly dependent on corn as a food might develop pellagra<br />

and this chronic disease, causing dermatitis, diarrhea, and ultimately dementia, battered the<br />

population of European corn growing regions during the nineteenth century. Warman describes<br />

the various efforts to explain the disease and the developing conviction that diets heavily dependent<br />

on corn were responsible. Such dependence was usually associated with poverty and such<br />

onerous rents that peasants could not eat a balanced diet. Pellagra was “a symptom of a process<br />

of fierce modernization in peripheral areas” (p. 150).<br />

In telling the story of corn in the United States, Warman stresses the importance of Native<br />

American tutelage. “Once the settlers had fully grasped the secrets and potential of corn, they<br />

no longer needed the Native Americans. Indigenous peoples were wiped out, scattered or relocated<br />

as settlers penetrated even further inland” (p. 155). Warman’s discussion of American<br />

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18 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

economic development sketches many of the familiar facts of that story. Corn was a basic crop<br />

in the long continuing American frontier experience but played “its most important and longlasting<br />

role,” he writes, “ in the predominantly rural world of the American South” (p. 159). It<br />

was a staple of slave diets but these were apparently sufficiently varied that the slaves did not<br />

suffer from nutrition deficiency diseases. Corn cultivation was far more extensive than cotton<br />

in the South but the latter produced the wealth and contributed most to the development of<br />

class differences. Sharecroppers became so hard pressed that pellagra was endemic by the<br />

early twentieth century. U.S. Public Health Service researchers discovered that a diet rich in<br />

milk, meat, and beans countered the disease. In the 1930s the University of Wisconsin’s Conrad<br />

A. Elvehjem showed that nicotinic acid deficiency was the specific cause. The human digestive<br />

process failed to unlock corn’s content of this vitamin when it was prepared as food in certain<br />

ways. Warman here comments that “pellagra was a disease born of development, a product of a<br />

type of progress that was imposed, unjust, and unequal”(p. 173).<br />

Prior to the nineteenth century corn’s history was “tied directly to human nutrition.” In the<br />

expanding, industrializing, railroad-building United States, however it also became “the raw<br />

material for the production of meat and dairy products” and in the first half of twentieth century<br />

the U.S. crop accounted for half of the world’s production. It was the “very backbone” of American<br />

agriculture (pp. 181, 183). During that era U.S. corn production was more or less stable. The<br />

successful development of hybrids, however, along with improvements in mechanization, and<br />

fertilizer and herbicide use resulted in unprecedented yields of the crop after World War II. Now<br />

American corn became a significant factor in the world trade in cereals. By the beginning of the<br />

twentieth century U.S. pioneer subsistence agriculture had been replaced by commercial farming<br />

but farmers still continued “to supply the largest part of the means of production”-- “labor,<br />

motive power, seeds, organic fertilizers.” Now the farmer became increasingly dependent on<br />

the market for these things. A massive institutional framework developed to sustain and direct<br />

agriculture and agribusiness became the “dominant force” in American agriculture (pp. 186,<br />

188). In 1954 the Agricultural Trade Development and Assistance Act of 1954 was designed “to<br />

use U.S. agricultural surpluses abroad in the effort to eradicate world hunger” (p. 190). Related<br />

programs followed and corn was a major element in the U.S. contribution. Because “corn<br />

entered the world market ... as a food stuff for the poor and as forage for the rich it surmounted<br />

the inelasticity of demand typically associated with cereals” (p. 192).<br />

In a final substantive chapter Warman describes the world market for food as it developed between<br />

the 1950s and the mid 1980s. Prior to World War II, Western Europe was the only major<br />

agricultural region that did not meet its own needs and also provide some export grains. By the<br />

1960s only the United States, New Zealand, Australia, and Canada were independent producers.<br />

U.S. aid programs exacerbated this trend and “food dependence became a chronic and<br />

widespread phenomenon in many Third World countries” as did population explosions (p. 203).<br />

Wheat dominated in U.S. exports until the 1970s and then corn became increasingly important.<br />

American aid had generated “an entirely new market, whether by introducing the consumption<br />

of wheat or by displacing existing domestic production” (p. 205). The U.S., charges Warman, distributed<br />

aid with a view to its strategic political impact. The political considerations of the United<br />

States and its allies dictated the magnitudes of supply and demand, prices and the conditions of<br />

sale, that defined the world cereal market and interacted with domestic tariffs, subsidies, and<br />

other production controls (p. 209). By the 1970s five great multinational grain handling companies<br />

dominated world trade in cereals. After a food production crisis in Russia and a failure<br />

of the hybrid corn crop in the U.S. during the early 1970s, however, food production outpaced<br />

population growth. Although “corn’s incredible growth as a commodity for reexport was the<br />

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<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 19<br />

most outstanding phenomenon.” most third world countries had entered a condition of dietary<br />

dependence (p. 212). Despite adequate world supplies of food at the time of writing, Warman<br />

identifies a major problem of distribution and future vulnerability to shortages.<br />

In two concluding chapters Warman discusses the recent phenomenal expansion of food production<br />

in which corn has been an important part and the possible ways in which growth in food<br />

production may be sustained. He sees two available agricultural modes -- “capitalized intensive<br />

agriculture, also known as scientific agriculture or production by the wealthy.” The other<br />

is traditional peasant agriculture, utilizing few resources beyond those readily available and<br />

controlled by the production unit. This is farming by the poor” (p. 218). The first of these, he argues,<br />

has not improved world diets in the past nor solved the problem of distribution. Advocates<br />

of the Green Revolution tried to increase production in peasant agriculture by the use of hybrid<br />

crop varieties but had very limited success because of the high costs involved. Warman identifies<br />

less expensive ways of increasing peasant production -- reduction of fallowing, bringing<br />

marginal lands into production and land reform. “The only way to confront the problem of world<br />

hunger,” he argues, “is to increase peasant production, using the many and at times unimaginable<br />

means to achieve that goal” (p. 231).<br />

In the final chapter “New Reflections on Utopia and the New Millennium,” Warman explains<br />

that he has attempted “to analyze some social processes in which corn has played an important<br />

role” (p. 232). From one perspective his book is a sweeping historical survey of the adoption of<br />

corn as a major food and feed crop in much of the world. In this respect it is a fascinating compendium<br />

of thought-provoking facts and illustrative statistics. The volume is also a somewhat<br />

sour Marxist critique of modernization and, one may argue, a defense of peasant agriculture. A<br />

few passages illustrate Warman’s perspective. Concluding his discussion of the Chinese case,<br />

he writes “Growing rural surpluses did not remain in the rural countryside or even in China itself.<br />

... They were transferred to foreign powers’ spheres of economic influence and accumulated<br />

there. Peasants were the source of agricultural know-how and labor, yet they were increasingly<br />

threatened ... settling marginal lands on the nation’s domestic frontier. For many decades<br />

they accepted the destiny of peasants everywhere, unable to eat what they produced because it<br />

was prohibitively expensive. Thus they transformed corn and other American plants, previously<br />

foods for the poor, into essential resources for their very survival. They did even more, they carried<br />

out a [social] revolution” (p. 50). He summarizes the slave trade this way: “the slave trade<br />

was not destiny or fate, but a series of opportunities and limitations.” Those “opposed to slavery<br />

... were social groups with the emerging power and will to confront that circumstance. The<br />

slave trade was an aberration, but neither was it the result of a general law of historical development.<br />

Rather, it was history; something that happened, but that just as easily could not have<br />

taken place at all” (p. 65). In considering the European agricultural revolution of 1600 to 1800,<br />

Warman rejects the common assumption that it was “the result of the application of scientific<br />

knowledge to production, diffused by elites and intellectual vanguards,” preferring instead<br />

“the idea of revolution as a result of collective knowledge and collective action” (p. 119). Leaving<br />

discussion of pellagra, he argues, “Change was promoted in the periphery from above and<br />

from abroad in order to recreate society in accordance with an ideological model; the industrial<br />

millennium that sought to establish a homogenous world. ... Pellagra was not simply a disease<br />

of poverty and deficiencies, but one of the many diseases of modernization, of development, of<br />

prodevelopment capitalism” (p. 150). And finally, the history of U.S. agriculture is a process of<br />

accumulation with very different and increasingly accelerated rhythms. It is also a history of<br />

inequality, of exclusion, and of subjugation. Each process created its own marginal groups” --<br />

Native Americans, rural poor, urban poor, migratory workers, food stampers (p. 193). “Margin-<br />

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20 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

alization threatens the American farmer, the most outstanding product of the U.S. democratic<br />

ideal” (p. 194). He contrasts these developments with the diversity, stability, community reinforcement,<br />

and population controls found in peasant societies.<br />

Although the principle of comparative advantage was at work in the spread of corn, it was<br />

conditioned by relations of power and dominance, argues Warman; accumulated wealth put<br />

less powerful groups at severe disadvantage. He was apparently unaware of ongoing cliometric<br />

research on the profits of imperial enterprise. He does not offer a rigid formula of class differentiation;<br />

to him the process was one of diverse conditions and forces but invariably involved<br />

exploitation. In considering the sections dealing with corn’s history in the United States, Americanists<br />

will consider some of his judgments to be overstated. The achievements of American<br />

plant scientists are brushed aside in a sentence, and the mechanics of diffusion are described<br />

in terms more general than modern scholarship has achieved. Warman emphasizes the need<br />

for increasing the effectiveness of peasant agriculture’s national or regional dietary independence<br />

but he gives much less attention to the issue of population control. Warman’s translator<br />

has produced a lucid, stimulating, and informative narrative but the reviewer remains happy<br />

that he is not one of Warman’s peasants nor sentenced to relive the existence that he, himself,<br />

experienced as a farm boy, living the democratic ideal.<br />

Allan G. Bogue is Professor Emeritus of History at the University of Wisconsin<br />

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Approfondimenti tematici<br />

<strong>Il</strong> contesto socio-economico-politico<br />

USDA, US Minister of Agriculture.<br />

<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 21<br />

La biografia del segretario al Ministero dell’Agricoltura: la politica rappresenta gli interessi<br />

privati.<br />

Ed Schafer was sworn in as the 29th Secretary of the U.S. Department of Agriculture (USDA) on<br />

January 28, 2008.<br />

Secretary Schafer brings a record as an innovative two-term governor of North Dakota to USDA<br />

along with extensive private sector experience as both an entrepreneur and a business executive.<br />

Schafer served as North Dakota’s governor from 1992 to 2000 and made diversifying and expanding<br />

North Dakota’s economy, reducing the cost of government and advancing agriculture<br />

his top priorities in office.<br />

He worked to normalize trading relations with China and develop that nation as an export market<br />

for North Dakota farm products. He also led efforts to upgrade North Dakota’s communications<br />

infrastructure and make high-speed voice and data networks available to farmers, ranchers<br />

and rural businesses.<br />

To expand the state’s job base, he encouraged the growth of value-added agricultural industries<br />

such as pasta and corn sweetener manufacturing.<br />

As governor, Schafer managed a state workforce of 12,000 people, oversaw a budget of $4.6<br />

billion, and led the state’s response to emergencies such as the severe floods that hit the Grand<br />

Forks area in 1997.<br />

As chair of the Western Governors Association, Schafer led regional efforts to demonstrate how<br />

technology could improve the efficiency and lower the cost of delivering government services<br />

such as health benefits and food stamps. He also worked to make telemedicine more available<br />

and affordable in rural areas.<br />

Schafer was elected chair of the Republican Governors Association in 2000 and that same year<br />

he co-founded and co-chaired the Governors Biotechnology Partnership to increase public understanding<br />

and support for the benefits of agricultural biotechnology.<br />

He has had a lifelong interest in conservation and helped arrange the U.S. Forest Service’s May<br />

2007 purchase of the 5,200 acre Elkhorn ranch in North Dakota. The site was where Theodore<br />

Roosevelt had his home and operated a cattle ranch in the 1880s. It is near the preserved town<br />

of Medora-the state’s leading tourist attraction.<br />

Born and raised in Bismarck, North Dakota, Schafer graduated from the University of North<br />

Dakota in 1969 with a bachelor’s degree in Business Administration and earned an MBA from<br />

the University of Denver in 1970.<br />

Secretary Schafer’s grandfather immigrated to North Dakota from Denmark and homesteaded<br />

land in Hettinger County that he turned into a wheat and livestock farm. Schafer spent summers<br />

there while growing up. He helped his uncles with chores, tinkered with engines and<br />

learned firsthand about agriculture.<br />

Before entering public life, Schafer was an executive with the Gold Seal Company in Bismarck,<br />

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22 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

a successful marketer of nationally-known consumer products such as “Mr. Bubble” bubble<br />

bath, “Glass Wax” glass cleaner and “Snowy Bleach.” The company had been founded by his<br />

father, Harold Schafer.<br />

Secretary Schafer joined Gold Seal after he earned his MBA and held a series of management<br />

positions with the company before becoming president in 1978. Under his leadership, Gold<br />

Seal’s sales climbed to $50 million through acquisitions and new product introductions and its<br />

net worth tripled. It was sold in 1986. Schafer then went on to launch several new businesses,<br />

including a commercial real estate development company, a fish farm and a classic car dealership<br />

After leaving office in 2000, he co-founded Extend America, a venture capital-backed company,<br />

to provide wireless voice and high-speed data services to commercial and residential customers<br />

in five rural Midwestern states.<br />

He also served as a director of the Theodore Roosevelt Medora Foundation that oversees the<br />

historic town’s operations and became active in leading several other nonprofit and citizens<br />

advocacy groups in North Dakota.<br />

Secretary Schafer enjoys the outdoors and his hobbies include bicycling, hiking, scuba diving<br />

and restoring classic automobiles. He and his wife, Nancy, have four children; Tom Schafer, Ellie<br />

Schafer and Eric Jones and Kari Hammer; and eight grandchildren.<br />

La struttura dell’USDA: una multinazionale??<br />

The Cooperative State Research, Education, and Extension Service (CSREES) is an agency<br />

within the U.S. Department of Agriculture (USDA), part of the executive branch of the Federal<br />

Government. Congress created CSREES through the 1994 Department Reorganization Act, by<br />

combining the USDA’s Cooperative State Research Service (CSRS) and Extension Service (ES)<br />

into a single agency. This move united the research, education, and extension portfolios of both<br />

agencies and consolidated their expertise and resources under one leadership structure.<br />

CSREES is one of four USDA agencies that make up its Research, Education, and Economics<br />

(REE) mission area. The other three agencies are:<br />

• Agricultural Research Service (ARS)<br />

• Economics Research Service (ERS)<br />

• National Agricultural Statistics Service (NASS)<br />

The USDA-REE agencies provide federal leadership in creating and disseminating knowledge<br />

spanning the biological, physical, and social sciences related to agricultural research, economic<br />

analysis, statistics, extension, and higher education.<br />

CSREES’ unique mission is to advance knowledge for agriculture, the environment, human<br />

health and well-being, and communities by supporting research, education, and extension programs<br />

in the Land-Grant University System and other partner organizations. CSREES doesn’t<br />

perform actual research, education, and extension but rather helps fund it at the state and local<br />

level and provides program leadership in these areas.<br />

CSREES’ targeted areas of interest—its 60 identified programs—are grouped in the following<br />

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National Emphasis Areas:<br />

• Agricultural & Food Biosecurity<br />

• Agricultural Systems<br />

• Animals & Animal Products<br />

• Biotechnology & Genomics<br />

• Economics & Commerce<br />

• Education<br />

• Families, Youth & Communities<br />

• Food, Nutrition & Health<br />

• International<br />

• Natural Resources & Environment<br />

• Pest Management<br />

• Plants & Plant Products<br />

• Technology & Engineering<br />

CSREES’ two key mechanisms for accomplishing its mission of “advancing knowledge” are:<br />

<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 23<br />

National program leadership. We help states identify and meet research, extension, and education<br />

priorities in areas of public concern that affect agricultural producers, small business<br />

owners, youth and families, and others.<br />

Federal assistance. We provide annual formula grants to land-grant universities and competitively<br />

granted funds to researchers in land-grant and other universities.<br />

CSREES collaborates or has formal working partnerships with many institutions and individuals.<br />

Our key partners are the institutions of higher learning making up the Land-Grant University<br />

System. However, we also partner with other federal agencies, within and beyond USDA;<br />

non-profit associations; professional societies; commodity groups and grower associations;<br />

multistate research committees; private industry; citizen groups; foundations; regional centers;<br />

the military; task forces; and other groups.<br />

CSREES and its partners focus on critical issues affecting people’s daily lives and the nation’s<br />

future. The advanced research and educational technologies we support empower people and<br />

communities to solve problems and improve their lives on the local level.<br />

We respond to quality-of-life problems such as:<br />

• Improving agricultural productivity<br />

• Creating new products<br />

• Protecting animal and plant health<br />

• Promoting sound human nutrition and health<br />

• Strengthening children, youth, and families<br />

• Revitalizing rural American communities<br />

We do this through an extensive network of state, regional, and county extension offices in every<br />

U.S. state and territory. These offices have educators and other staff who respond to public<br />

inquiries and conduct informal, noncredit workshops and other educational events. You’re connected<br />

to this system—which is now 90 years old—through your nearest extension office, which<br />

provides answers to commonly encountered problems through educational materials (print,<br />

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24 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

video, CD), Web-based information, the telephone, and other means.<br />

With support from more than 600,000 volunteers, 4-H—USDA’s 105-year-old youth development<br />

program administered through CSREES—engages more than 6.5 million young people every<br />

year and teaches them life skills through hands-on learning and leadership activities.<br />

Through all of these activities, CSREES impacts the lives of millions of Americans each day.<br />

Si consulti il USDA FY 2008 Performance and Accountability Report. (in allegato digitale)<br />

<strong>Il</strong> sistema delle Extension<br />

All universities engage in research and teaching, but the nation’s more than 100 land-grant<br />

colleges and universities, have a third critical mission—extension. “Extension” means “reaching<br />

out,” and—along with teaching and research—land-grant institutions “extend” their resources,<br />

solving public needs with college or university resources through non-formal, non-credit programs.<br />

These programs are largely administered through thousands of county and regional extension<br />

offices, which bring land-grant expertise to the most local of levels. And both the universities<br />

and their local offices are supported by CSREES, the federal partner in the Cooperative Extension<br />

System (CES). CSREES plays a key role in the land-grant extension mission by distributing<br />

annual Congressionally appropriated formula grants to supplement state and county funds. CS-<br />

REES affects how these formula grants are used through national program leadership to help<br />

identify timely national priorities and ways to address them.<br />

Congress created the extension system nearly a century ago to address exclusively rural, agricultural<br />

issues. At that time, more than 50 percent of the U.S. population lived in rural areas,<br />

and 30 percent of the workforce was engaged in farming. Extension’s engagement with rural<br />

America helped make possible the American agricultural revolution, which dramatically increased<br />

farm productivity:<br />

In 1945, it took up to 14 labor-hours to produce 100 bushels of corn on 2 acres of land.<br />

By 1987, it took just under 3 labor-hours to produce that same 100 bushels of corn on just over<br />

1 acre.<br />

In 2002, that same 100 bushels of corn were produced on less than 1 acre.<br />

That increase in productivity has allowed fewer farmers to produce more food.<br />

Fewer than 2 percent of Americans farm for a living today, and only 10 percent of Americans<br />

now live in rural areas. Yet, the extension service still plays an important role in American life—<br />

rural, urban, and suburban. With its unprecedented reach—with an office in or near most of the<br />

nation’s approximately 3,000 counties—extension agents help farmers grow crops, homeowners<br />

plan and maintain their homes, and children learn skills to become tomorrow’s leaders.<br />

Despite the decline in the population and and economic importance of rural America , the<br />

national Cooperative Extension System remains an important player in American life. It increasingly<br />

addresses urban, suburban, in addition to rural issues, and it has responded to information<br />

technology changes in America by developing a national Web presence.<br />

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History<br />

<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 25<br />

The roots of U.S. agricultural extension go back to the early years of our country. There were<br />

agricultural societies and clubs after the American Revolution, and in 1810 came the first Farm<br />

Journal. It survived for only 2 years, but in 1819 John Stuart Skinner of Baltimore began publishing<br />

the American Farmer. Farmers were encouraged to report on their achievements and<br />

their methods of solving problems. Some worthwhile ideas, along with some utterly useless<br />

ones, appeared on the pages of the publication.<br />

The Morrill Act of 1862 established land-grant universities to educate citizens in agriculture,<br />

home economics, mechanical arts, and other practical professions. Extension was formalized<br />

in 1914, with the Smith-Lever Act (link to that topic in About Us). It established the partnership<br />

between the agricultural colleges and the U.S. Department of Agriculture to provide for cooperative<br />

agricultural extension work. At the heart of agricultural extension work, according to the<br />

Act, was:<br />

Developing practical applications of research knowledge.<br />

Giving instruction and practical demonstrations of existing or improved practices or technologies<br />

in agriculture.<br />

Smith-Lever mandated that the Federal Government (through USDA) provide each state with<br />

funds based on a population-related formula. Today, CSREES distributes these so-called formula<br />

grants annually.<br />

The extension service’s first big test came during World War I, when it helped the nation meet<br />

its wartime needs by:<br />

Increasing wheat acreage significantly, from an average of 47 million acres annually in 1913 to<br />

74 million in 1919.<br />

Helping the USDA implement its new authority to encourage farm production, marketing, and<br />

conserving of perishable products by canning, drying, and preserving.<br />

Helping to address war-related farm labor shortages at harvest time by organizing the Women’s<br />

Land Army and the Boys’ Working Reserve.<br />

More generally, extension’s role in WWI helped it expand its reputation as an educational entity<br />

to one that also emphasized service for individuals, organizations, and the Federal Government.<br />

During the Great Depression, state colleges and the USDA emphasized farm management for<br />

individual farmers. Extension agents taught farmers about marketing and helped farm groups<br />

organize both buying and selling cooperatives. At the same time, extension home economists<br />

taught farm women—who traditionally maintained the household—good nutrition, canning surplus<br />

foods, house gardening, home poultry production, home nursing, furniture refinishing, and<br />

sewing—skills that helped many farm families survive the years of economic depression and<br />

drought.<br />

During World War II, the extension service again worked with farmers and their families, along<br />

with 4-H club members, to secure the production increases essential to the war effort. Each<br />

year for 5 years, total food production increased. In 1944, food production was 38 percent above<br />

the 1935-1939 average.<br />

The Victory Garden Program was one of the most popular programs in the war period, and<br />

extension agents developed programs to provide seed, fertilizer, and simple gardening tools for<br />

victory gardeners. An estimated 15 million families planted victory gardens in 1942, and in 1943<br />

some 20 million victory gardens produced more than 40 percent of the vegetables grown for<br />

that year’s fresh consumption.<br />

Between 1950 and 1997, the number of farms in the U.S. declined dramatically—from 5.4 mil-<br />

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26 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

lion to 1.9 million. Because the amount of farmland did not decrease as much as the number<br />

of farms, the remaining farms have a larger average acreage. During the same period, farm<br />

production increased from one farmer supporting the food needs of 15.5 persons in 1950 to<br />

one farmer supporting 100 persons in 1990. By 1997, one farmer supported the food needs<br />

of almost 140 U.S. citizens. That increased productivity, despite the decline in farm numbers,<br />

resulted from increased mechanization, commercial fertilizers, new hybrid seeds, and other<br />

technologies. Extension played an important role in extending these new technologies to U.S.<br />

farmers and ranchers.<br />

Extension today (including eXtension)<br />

Over the last century, extension has adapted to changing times and landscapes, and it continues<br />

to address a wide range of human, plant, and animal needs in both urban and rural areas.<br />

Today, extension works in six major areas:<br />

4-H Youth Development —cultivates important life skills in youth that build character and assist<br />

them in making appropriate life and career choices. At-risk youth participate in school retention<br />

and enrichment programs. Youth learn science, math, social skills, and much more, through<br />

hands-on projects and activities.<br />

Agriculture —research and educational programs help individuals learn new ways to produce<br />

income through alternative enterprises, improved marketing strategies, and management skills<br />

and help farmers and ranchers improve productivity through resource management, controlling<br />

crop pests, soil testing, livestock production practices, and marketing.<br />

Leadership Development —trains extension professionals and volunteers to deliver programs<br />

in gardening, health and safety, family and consumer issues, and 4-H youth development and<br />

serve in leadership roles in the community.<br />

Natural Resources —teaches landowners and homeowners how to use natural resources<br />

wisely and protect the environment with educational programs in water quality, timber management,<br />

composting, lawn waste management, and recycling.<br />

Family and Consumer Sciences —helps families become resilient and healthy by teaching nutrition,<br />

food preparation skills, positive child care, family communication, financial management,<br />

and health care strategies.<br />

Community and Economic Development —helps local governments investigate and create viable<br />

options for economic and community development, such as improved job creation and retention,<br />

small and medium-sized business development, effective and coordinated emergency<br />

response, solid waste disposal, tourism development, workforce education, and land use planning.<br />

Regardless of the program, extension expertise meets public needs at the local level. Although<br />

the number of local extension offices has declined over the years, and some county offices have<br />

consolidated into regional extension centers, there remain approximately 2,900 extension offices<br />

nationwide. Increasingly, extension serves a growing, increasingly diverse constituency<br />

with fewer and fewer resources.<br />

The extension system also supports the eXtension Web site. One of the goals of eXtension is to<br />

develop a coordinated, Internet-based information system where customers will have roundthe-clock<br />

access to trustworthy, balanced views of specialized information and education on a<br />

wide range of topics. For customers, the value will be personalized, validated information addressing<br />

their specific questions, issues, and life events in an aggregated, non-duplicative approach.<br />

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<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 27<br />

Information on the eXtension Web site is organized into Communities of Practice (COP). Each<br />

COP includes articles, news, events, and frequently asked questions (FAQs). The information<br />

comes from Land-Grant University System faculty and staff experts. It is based on unbiased<br />

research and undergoes peer review prior to publication. Current COPs are organized around a<br />

many topics, including but not limited to diversity, entrepreneurship, agrosecurity, cotton, dairy,<br />

and more.<br />

The eXtension Web site also includes a collection of news stories from partner institutions,<br />

aFrequently Asked Questions section, a calendar of extension events, online-learning opportunities,<br />

and content feeds.<br />

Per maggiori info si consulti il sito: http://www.extension.org/<br />

La Farm Bill 2008: Food, Conservation, and Energy Act of 2008.<br />

Per il testo si consulti il Food, Conservation, and Energy Act of 2008 Text.pdf (in allegato digitale)<br />

Di seguito proponiamo il commento di Associated Press:<br />

US Offers a Subsidy Concession at Trade Talks<br />

By Associated Press<br />

July 23, 2008<br />

The United States took the first bold step in a week of crucial trade talks Tuesday, slicing $1.4<br />

billion from a previous offer to limit contentious, trade-distorting subsidies to American farmers.<br />

The United States Trade Representative, Susan C. Schwab, told a news conference that<br />

Washington was prepared to rewrite elements of its recently passed farm bill to ensure that<br />

American subsidies deemed to unfairly enhance the competitiveness of American farmers were<br />

limited to $15 billion annually. While Congress may view the move skeptically, the Bush administration’s<br />

top negotiator shifted pressure on Brazil, India and other emerging economies to<br />

open up their markets for industrial goods — a crucial demand of rich countries in the World<br />

Trade Organization’s seven-year-old trade round.<br />

Emerging countries have demanded a cap closer to $12 billion for the United States, noting that<br />

actual American subsidies have fallen to around $9 billion a year amid higher prices for basic<br />

commodities. The poorer countries say the payments are providing farmers in developed economies<br />

an unfair advantage that hinders Third World development. But the Bush administration<br />

and Congress have sought flexibility in case crop prices fall and American farmers need greater<br />

support. Washington is currently allowed to distribute more than $48 billion in subsidies linked<br />

to price, production and other trade-distorting criteria. It agreed last year to come to at least<br />

below $16.4 billion in a move that generated criticism for American farm groups. The European<br />

Union and Japan are also offering steep cuts in subsidy limits. “Anyone who understands farm<br />

programs will understand how significant the reduction is implied by this number,” Ms. Schwab<br />

said, noting that United States subsidies have exceeded her proposed limit in 7 of the last 10<br />

years.<br />

Without a global trade deal, they may exceed $15 billion again as part of the United States’ new<br />

five-year farm bill worth nearly $300 billion that Congress passed over President Bush’s veto.<br />

Ms. Schwab described the concession as a ”major move, taken in good faith, with the expectation<br />

that others will reciprocate and step forward with improved market access” for farm and<br />

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28 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

industrial exports. Rich and poor countries have clashed repeatedly in the W.T.O. talks started<br />

in Qatar’s capital in 2001, and now known as the Doha round. Developing nations want to reduce<br />

agricultural tariffs and subsidies in rich countries so they can sell more of their produce, while<br />

the United States, European Union and others seek better conditions in emerging economies<br />

for their manufacturers, banks, insurers and telecommunications companies.<br />

Negotiators are hoping for agreement this week on a deal that would liberalize world agriculture<br />

and manufacturing, setting the stage for an overall trade accord by the end of the year.<br />

But there is widespread skepticism. Ms. Schwab said her move showed leadership.“Here’s the<br />

catch: We are making this offer without actually knowing what others will do,” she said in Geneva.<br />

“For this round to succeed as a developing round, all of the main developed and emerging<br />

market players will be faced with hard decisions.” Brazil and India, as co-leaders of a broad<br />

coalition of developing countries, have resisted cuts in manufacturing tariffs that would create<br />

new opportunities for automakers, machinery and electronics from the United States, Europe<br />

and Japan.Brazil’s foreign minister declined to say how it would respond, and instead criticized<br />

the United States offer as not going far enough. “I hope this is not the last offer,” the minister,<br />

Celso Amorim, said. “It’s a very low level of ambition.”<br />

Di seguito proponiamo il commento tradotto del Ministro del Commercio australiano rispetto ai<br />

provvedimenti del Farm Bill 2008: competitività internazionale.<br />

Più info: http://www.trademinister.gov.au/<br />

By Agrolinker.com (articolo di Luca Federico Fianchini)<br />

30 giugno 2008<br />

<strong>Il</strong> Ministro Australiano per il Commercio (trade) Simon Crean, come riportato sul suo sito personale,<br />

ha espresso la sua costernazione per il verificarsi di un incremento dei sussidi statunitensi<br />

alle aziende agricole (US farm support) proposti nel ‘Farm Bill 2008’, che ha superato il<br />

vaglio dell’assemblea del Congresso statunitense , il 15 maggio 2008.<br />

Egli è rimasto deluso poichè evidentemente contava sul fatto che il Congresso Statunitense<br />

avrebbe eliminato i sussidi all’agricoltura, riformando completamente la politica agricola. Invece<br />

così non è avvenuto.<br />

Sulla vena del disappunto ha quindi riferito le seguenti dichiarazioni: ‘Questo Farm Bill ha<br />

fallito il test della riforma’, egli dice, “Esso connette (entrenches) l’approccio del ‘welfare’ alla<br />

politica agricola. Ed è particolarmente fastidioso (disappointing) che il ‘Bill’ (atto, documento)<br />

incrementi le elemosina (hands-out; per soldi, o denaro) governative anziché ridurre il sostegno<br />

all’agricoltura in un epoca di prezzi record dei prodotti agricoli (commodities) e dei redditi<br />

aziendali (farm incomes) negli Stati Uniti”.<br />

“<strong>Il</strong> Farm Bill ha una visione di breve periodo (letteralmente: ‘ha la vista ridotta’, short-sighted),<br />

è reazionario (reactive) ed è una opportunità perduta (a lost opportunity)”, egli riferisce.<br />

“Io sono preoccupato in particolare riguardo l’impatto negativo del Farm Bill sugli altamente<br />

competitivi esportatori australiani, i quali non possono contare su sussidi attualmente in vigore”<br />

(which do not rely on ongoing subsidies).<br />

Egli afferma quindi che i sussidi negli Stati Uniti sono adesso più facilmente disponibili per gli<br />

agricoltori, relativamente alle principali produzioni (major commodities), inoltre alcuni aggravi<br />

con effetto discriminante (some discriminatory charges) presenti nel Farm Bill potrebbero<br />

influenzare negativamente gli esportatori australiani operanti sul mercato mondiale e su quello<br />

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<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 29<br />

statunitense (would negatively affect australian exporters in the world and US market).<br />

Dopo le notazioni critiche rilancia la sua idea:”Io ho anche sostenuto che (to argue=litigare;<br />

ragionare; to argue that=sostenere che) l’implementazione di politiche agricole orientate al<br />

mercato (implementing market-oriented farm policies), come ha fatto l’Australia, creerebbe<br />

significative nuove opportunità per l’agricoltura statunitense e globale”.<br />

L’ufficio stampa del Ministro meglio precisa il suo orientamento, in aggiunta alle dichiarazioni,<br />

facendoci capire che egli spera ancora in una modifica del ‘Farm Bill’, essendo convinto che il<br />

Presidente statunitense, a cui il Farm Bill è stato inviato nella fase successiva del procedimento<br />

di approvazione, possa rinviarlo al Congresso (essendo questo uno dei suoi poteri). Infine vine<br />

sottolineata l’importanza dei prossimi negoziati di Doha (Doha Round) sulla via di una maggiore<br />

liberalizzazione degli scambi di prodotti agricoli sul mercato mondiale. Un forte esito delle<br />

negoziazioni nel senso della riduzione dei sussidi statali interni (A strong Doha outcome on domestic<br />

support) al settore agricolo, potrebbe imporre una limitazione della spesa statunitense<br />

in favore dell’agricoltura.<br />

In questo ambito sono evidentemente riposte le maggiori speranze del Ministro australiano.<br />

<strong>Il</strong> report della National Farmers Union rispetto al mercato agricolo americano<br />

(2007)<br />

NFU: Study Shows Ag Market Concentration Increasing<br />

WASHINGTON (April 16, 2007) – Agricultural market concentration is rising steadily, according<br />

to a study released today by National Farmers Union.<br />

NFU released the findings of a NFU-commissioned study conducted by Drs. Mary Hendrickson<br />

and William Heffernan of the University of Missouri on the concentration of agricultural markets.<br />

The statistics revealed increased concentration in every industry except ethanol production.<br />

The NFU study documents that the top four beef packers dominate 83.5 percent of the market,<br />

four pork packers control 66 percent of that market and the top four poultry companies process<br />

58.5 percent of the broilers in the United States. Tyson Foods is listed in the top four of each of<br />

these categories. The retailing industry has been gradually increasing its degree of concentration,<br />

with the top five companies controlling 48 percent of U.S. food retailing, compared to 24<br />

percent a decade ago.<br />

“This study supports what we have long known,” NFU President Tom Buis said. “In the absence<br />

of public policy intervention, consolidated and non-competitive markets flourish, while independent<br />

family farmers disappear. Congress must take action to restore competition in the marketplace.<br />

The 2007 Farm Bill is the perfect opportunity to make that happen.”<br />

The study also found that ethanol production is the only agricultural sector in which concentration<br />

has steadily decreased. Today, the top four companies control 31.5 percent of the marketplace.<br />

In 1987 the top four companies owned 73 percent. Farmer owned ethanol plans account<br />

for 39 percent of total capacity.<br />

“Renewable fuels is one of the most exciting areas of agriculture and is a clear example of the<br />

impact and potential for public policies that encourage competition and reward local ownership,”<br />

Buis said. “It is important to continue this trend for ethanol but also expand rural ownership<br />

to our other agriculture-related sectors.”<br />

Buis will testify before the House Agriculture Subcommittee on Livestock, Dairy and Poultry,<br />

chaired by Rep. Leonard Boswell, D-Iowa, at a Tuesday hearing to discuss market concentra-<br />

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30 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

tion.<br />

Si consulti il report: NFU Concentration of Agriculture Market 2007.pdf (allegato digitale)<br />

Le Food Companies<br />

Per i dati relative alle companies comparsi nella presentazione si consulti: http://money.cnn.<br />

com/magazines/fortune/<br />

Inoltre:<br />

ADM (Archer Daniels Midlands) http://www.admworld.com/<br />

Smithfield Foods http://www.smithfieldfoods.com/<br />

Tyson Foods http://www.tyson.com/<br />

Kraft Foods http://www.kraft.com/<br />

Pepsico http://www.pepsico.com/<br />

Sara Lee Corporation http://www.saralee.com/<br />

Procter & Gamble http://www.pg.com<br />

Monsanto http://www.monsanto.com/<br />

Whole Foods http://www.wholefoodsmarket.com/<br />

Cargill http://www.cargill.com/<br />

General Mills http://www.generalmills.com & Cereal Partners Worldwide http://www.generalmills.com/corporate/company/cereal_partners.aspx<br />

Fibersol-2<br />

Fibersol-2, detto anche amido resistente: la nuova frontiera della Food Technology.<br />

Si tratta di un amido progettato che è indigeribile, per aggirare il limite fisiologico dell’uomo,<br />

cioè la capacità di ingerire. Una sostanza che entra ed esce nel nostro corpo senza lasciare<br />

traccia, consente di mangiare di più perchè per nutrirci dobbiamo mangiare di più. La politica di<br />

diffusione è quella del miglior benessere fisico, e soprattutto nel poter mangiare qualsiasi cosa,<br />

dal momento che gli alimenti contenenti questa sostanza sono poveri di calorie.<br />

Di seguito riportiamo la descrizione di ADM (ha acquistato lo sfruttamento commerciale dalla<br />

giapponese Matsutani Chemical Industry Co. Ltd.) e la presentazione della proprietaria del brevetto<br />

(Matsutani Chemical Industry Co).<br />

Fibersol-2<br />

Fibersol-2 digestion resistant maltodextrin is an innovative, highly soluble fiber. It is very<br />

stable, has low viscosity, is transparent in solution and adds virtually no flavor to the finished<br />

product. These remarkable physical and sensory attributes make ADM’s Fibersol-2 digestion<br />

resistant maltodextrin an exceptional ingredient for a myriad of ingredient applications:<br />

reduced-calorie products, beverages, baked goods, cereals, processed meats, dairy and frozen<br />

dairy items, soups, dressings, meal replacements, dietary supplements, medical foods, functional<br />

foods and more.<br />

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Attività nello stomaco<br />

Impendenza fisiologica<br />

<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 31<br />

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32 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

Livello di batteri<br />

Livello di acidi<br />

Livello di glucometrici<br />

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Livello di grassi<br />

Livello di grassi<br />

<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 33<br />

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34 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

Product Specification<br />

Total Dietary Fiber : 90% minimum, dry-weight basis via AOAC Official Method 2001.03<br />

Appearance : White free-flowing powder<br />

Taste / Odor : Non-sweet / odorless<br />

Solution : Clear<br />

Moisture : 5% max.<br />

Dextrose Equivalent : DE 8.0 - 12.0 via the WS method<br />

pH : 4 - 6 in 10% solution<br />

Ash : 0.2% max.<br />

Arsenic : 1 ppm max.<br />

Heavy Metals : 5 ppm max.<br />

Microbiological<br />

Standard Plate Count : 300 /g max.<br />

Yeast and Mold : 100 /g max.<br />

Salmonella : Negative / 25 g<br />

Coliform : Negative /g<br />

Labeling Information<br />

US: Maltodextrin (FDA GRAS)<br />

Labeling Examples:<br />

Maltodextrin<br />

Resistant Maltodextrin<br />

Digestion Resistant Maltodextrin<br />

Maltodextrin (Fiber)<br />

Maltodextrin (Dietary Fiber)<br />

Maltodextrin (Soluble Dietary Fiber)<br />

Maltodextrin (Source of Soluble Fiber)<br />

Maltodextrin (Digestion Resistant Type)<br />

Maltodextrin (Fibersol-2)<br />

Maltodextrin (Dietary Fiber, Fibersol-2), etc.<br />

EU: Dextrin/ Maltodextrin<br />

JAPAN: Indigestible Dextrin<br />

Caloric Values<br />

Caloric value for soluble dietary fibers varies depending on the regulation in each country. Scientifically,<br />

the caloric value for Fibersol-2 is estimated as 1.0-1.5 kcal/ gram. For more specific<br />

information, please contact us.<br />

US: 3.8 kcal/ gram<br />

EU: 1.5-2.0 kcal/ gram<br />

Australia & New Zealand: 1.9 kcal/ gram<br />

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JAPAN: 1.0 kcal/ gram<br />

Korea: 0.27 kcal/ gram<br />

Affirmation as a FOSHU ingredient<br />

- Intestinal regularity (1992)<br />

- Moderating post-prandinal blood glucose levels (1994)<br />

- Lowering serum cholesterol levels (1998)<br />

- Lowering triglyceride levels (1998)<br />

- Recommended intake amount: 3-10 grams/serving<br />

<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 35<br />

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36 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

La catena pastorale: l’erba<br />

Ritorno a un antico sogno pastorale<br />

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Parte II<br />

<strong>Michael</strong> <strong>Pollan</strong> nella seconda parte del libro intraprende un esperienza diretta all’interno di una<br />

fattoria agricola che si definisce oltre il movimento biologico. La fattoria è a gestione familiare,<br />

il padre, Joel Salatin, ne è il direttore e lavora insieme a sua figlio Daniel e i due aiutanti. Joel si<br />

definisce “un contadino cristiano conservatore libertario ecologista e un po’ matto”, che come<br />

obiettivo il tentativo di riprodurre il vecchio ideale agricolo-pastorale in vera e propria erba,<br />

descrivendo che all’interno della propria fattoria “gli animali fanno la maggior parte del lavoro”,<br />

e dimostrando che l’antico sogno pastorale è vivo ed è ancora necessario.<br />

Alla base dell’intricata catena alimentare della Polyface una delle aziende alternative più<br />

produttive d’America, c’è la coltivazione dell’erba.<br />

<strong>Il</strong> processo produttivo si basa sulla gestione a rotazione dei pascoli: i quali non solo sostentano<br />

i bovini ma vengono curati dalle galline, le quali si occupano della parte sanitaria, inoltre forniscono<br />

al terreno centinaia di chili di azoto, dopo una settimana di riposo i pascoli si possono dare<br />

in pasto ai manzi che convertono l’erba in carne al ritmo di due chili al giorno.<br />

Nella Polyface si riprende quell’antico legame tra l’animale e la terra descritto nella Bibbia<br />

“Ogni carne è come l’erba” Isaia 40,6; oggi questo antico legame ci sfugge in quanto si è trasformato<br />

piuttosto in “ogni carne è come il mais”<br />

Questo legame nasce da un attrazione innata per le piante gli animali e gli ambienti insieme ai<br />

quali ci siamo evoluti, legame che E. O. Wilson definisce “biofilia”: la quale nell’uomo si manifesta<br />

nella sua esistenza come cacciatore raccoglitore, nel momento in cui è sceso dagli alberi<br />

il rapporto uomo-erba fu mediato da specie animali capaci già di dirigere l’erba; inoltre si manifesta<br />

nella sua esistenza come agricoltore, definendosi appunto come “inventore dell’ agricoltura”,<br />

una definizione autocelebratoria che non tiene conto del ruolo delle piante.<br />

Successivamente <strong>Pollan</strong> effettua un confronto tra due realtà diverse, l’agricoltura biologica di<br />

Naylor e la fattoria dei Salatin, entrambi coltivano piante erbacee con cui nutrire bovini polli e<br />

maiali che a loro volta nutriranno noi.<br />

<strong>Il</strong> modello di Naylor è parte di un sistema industriale, mentre Salatin rappresenta una realtà<br />

alternativa.<br />

Alternativa all’agricoltura industriale in America è stato il biologico (J. I. Rodale), dove si ebbe<br />

una superiorità del modello naturale in agricoltura contrapposto a quello industriale.<br />

Dopotutto la Polyface non è una fattoria biologica, lo stesso Salatin dice che sono oltre il biologico,<br />

sono a un livello superiore.


L’impero del biologico<br />

<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 37<br />

La Whole Foods è una catena di supermercati biologici più grande del mondo, dove i prodotti<br />

alimentari presentano diverse etichette come: biologico certificato, allevato in modo umano o<br />

allevato in libertà.<br />

È il classico caso dove i consumatori sono disposti a pagare di più per sentirsi raccontare semplicemente<br />

una bella storia.<br />

Paradossalmente in una catena industriale l’unica informazione che viaggia lungo essa, e lega<br />

il produttore all’utente finale, è il prezzo, quindi con l’agricoltura biologica si rafforza il circuito<br />

dei prodotti a buon mercato.<br />

Da questo si denota che l’innovazione del biologico oggi sta nel maggiore scambio di informazioni<br />

che intercorrono tra il produttore e l’utente finale<br />

La parola biologico si è dimostrata una delle più forti al mondo del commercio al dettaglio,<br />

questa etichetta non è che un sostituto dell’osservazione diretta, il marchio biologico ci fa venire<br />

in mente un’ agricoltura più tradizionale, ma la sua stessa esistenza è un artefatto industriale.<br />

<strong>Pollan</strong> lo chiama “Arcadia da supermercato”, cioè la creazioni di storie solo con la lettura<br />

dell’etichetta biologico, diventando una forma letteraria molto seducente perché soddisfa uno<br />

dei nostri desideri più antichi: mangiare sano e mantenere un legame con la terra e con le<br />

creature domestiche. Con l’impressione di partecipare ad esperienze autentiche.<br />

Al contrario Leo Marx in “La macchina nel giardino” scrive del tutt’altro che primitivo pastore<br />

Ritiro:il quale ”gode del meglio dei due mondi, l’ordine raffinato dell’arte e la semplice spontaneità<br />

della natura”<br />

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38 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

Così Whole Foods offre un paesaggio di riconciliazione tra i regni della natura e della cultura,<br />

un luogo dove la gente si riunisce e attraverso il biologico torna alle origini delle cose.<br />

In questa visione idilliaca si manifesta la più grande contraddizione nella storia<br />

dell’alimentazione: l’industrializzazione della catena alimentare biologica e gli ideali agresti da<br />

cui parte.<br />

La domanda è: Vi aspetteresti di trovare qualcosa di veramente bucolico nel cuore di un industria<br />

che fattura 11 miliardi di dollari?non molto.<br />

<strong>Il</strong> biologico ha radici nel movimento radicale degli anni 60. <strong>Il</strong> People’s park nasce il 20 aprile del<br />

1969 un gruppo autonominatosi “commissione Robin Hood” occupò un appezzamento di terra<br />

incolta di proprietà dell’università della California e incominciò a metter su un orto con qualche<br />

erba spelacchiata.<br />

<strong>Il</strong> gruppo di riforma agraria voleva fondare da zero una società cooperativa, che si sarebbe<br />

sostenuta coltivando da sé elementi non contaminati da pesticidi, questo raccolto sarebbe stato<br />

biologico.<br />

Secondo Warren Belasco questo ha cambiato il nostro modo di nutrirci,e fu l’inizio della svolta<br />

ambientalista e bucolica del movimento che avrebbe portato dalle comuni agricole alla nascita<br />

del business del biologico e di imprese come Whole foods.<br />

A questo concetto si unisce un altro pilastro della coscienza umana nata nell’ultimo secolo l’<br />

ecologia, l’uso di questa parola risale al 1940, fu usata nella rivista “Organic Gardenind and<br />

farming” fondata da Rodale con lo scopo di far conoscere i metodi e i benefici delle tecniche<br />

agricole senza l’uso di sostanze sintetiche.<br />

<strong>Il</strong> movimento dei primordi del biologico ha come pilastri:<br />

1. un modo alternativo di produzione<br />

2. un modo alternativo di distribuzione<br />

3. un modo alternativo di consumo<br />

A questo punto entra in gioco la figura di Gene Kahn, fondatore della Cascadian, azienda responsabile<br />

del cibo pronto biologico, la quale oggi è una marchio della General Mills, la quale<br />

nacque quasi come una comune hippy.<br />

Kahn fonda la New Cascadian nel 1971, egli fu pioniere dell’intero movimento biologico e principale<br />

artefice dell’ingresso nel mainstream e del suo passaggio dalla cooperativa agli scaffali<br />

dei supermercati, creatore di quello che oggi Joel Salatin definisce l’ impero del biologico.<br />

Tra i modelli a cui si ispirò possiamo trovare il chimico Albert Howard che ne I diritti della terra,<br />

individua la chiave di volta nell’interconnessione tra ambiti apparentemente separati, come la<br />

fertilità del suole e la salute della nazione, la fondamentale importanza dell’urina animale e il<br />

metodo scientifico.<br />

<strong>Pollan</strong> individua come serpente tentatore un chimico tedesco dell’ 800 Justus von Liebig, il<br />

quale con il NPK pose l’agricoltura sulla strada dell’industrializzazione, dimostrando che le<br />

piante per crescere hanno semplicemente bisogno di una certa quantità di elementi: azoto,<br />

fosforo e potassio.<br />

L’uso di concime artificiale secondo Howard avrebbe portato a uomini e donne artificiali. Avrebbe<br />

annullato la fertilità del suolo, reso la pianta vulnerabile a malattie e parassiti e peggiorato<br />

la salute degli animali e degli uomini. Ma questo non contrastò la vittoria dei sostenitori della<br />

mentalità NPK.<br />

Secondo Howard si doveva ritornare alla natura e copiare i procedimenti che si vedono<br />

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<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 39<br />

all’opera nei boschi e nelle praterie. La madre terra non cerca mai di far crescere qualcosa<br />

senza l’aiuto degli animali.<br />

L’ agricoltura proposta da lui è premoderna e antiscientifica: per lui non abbiamo bisogno di<br />

sapere come funzione l’humus o il compostaggio per poterne fare buon uso.<br />

L’agricoltura biologica ha finito per assomigliare sempre di più a quel sistema industriale cui<br />

all’inizio voleva sostituirsi, come Kahn da contadino alternativo è diventato un imprenditore<br />

agroalimentare.<br />

<strong>Il</strong> caso Alar 1990 determina la nascita della moderna industria agroalimentare biologica, scoprendo<br />

che il pesticida usato nella coltivazione delle mele era cancerogeno, l’America scoprì il<br />

biologico.<br />

Diventare parte del sistema industriale vuol dire gettare due dei pilastri che erano alla base<br />

del biologico: la cucina alternativa e le cooperative alimentari, facendo rimanere in piedi solo il<br />

nuovo modo di produrre, trattando il biologico come un prodotto di nicchia, ma che poteva essere<br />

commercializzato attraverso i canali già esistenti.<br />

Nel 1990 si ebbe il primo riconoscimento legale del settore, e il primo provvedimento risale al<br />

1997, il quale permise l’uso di OGM e l’irrigazione con acque nere nelle culture biologiche.<br />

Un percorso formativo<br />

Per Kahn ciò che vale nel processo si industrializzazione del prodotto biologico è solo la quantità<br />

di ettari che si riesca a convertire nella gestione certificata.<br />

<strong>Pollan</strong> a questo proposito decide di visitare alcune aziende certificate in California:<br />

1. La prima è la Greenways, dove si coltivano i pomodori per le salse per la Muir glen, la parte<br />

certificata occupa 800 ettari affianco a un modello tradizione, in totale ci sono 9600 ettari.<br />

Le cose non sono molto diverse, ogni sostanza chimica utilizzata nella coltivazione convenzionale<br />

viene sostituita con un componente meno aggressivo in quella biologica.<br />

<strong>Il</strong> problema affrontato da questa azienda è come sbarazzarsi delle infestanti senza fare uso di<br />

erbicidi chimici, ma alla fine i campi sono zeppi di erbicidi tanto quanto quelli tradizionali.<br />

La semplice sostituzione di un ingrediente con un altro è una deviazione dell’ideale biologico,<br />

secondo il quale un’ aziende deve creare fertilità il più possibile in modo autoprodotto e combattere<br />

i parassiti con le armi della diversificazione e della rotazione.<br />

Infatti le piccole aziende si limitano a sostituire gli additivi, ma nessuno si rifornisce da esse<br />

perché è inconveniente per due ragioni:<br />

A. alti costi di intermediazione<br />

B. non riescono a coltivare enormi quantità di un singolo prodotto<br />

Facendo si che gli ideali capitalistici prendono il posto di quelli naturali.<br />

<strong>Il</strong> biologico è un business che può funzionare a larga scala (Kahn) i benefici ambientali sono<br />

indubbi ma i costi si alzano, come prima conseguenza si formano grandi agglomerati agricoli:<br />

oggi gran parte dei prodotto freschi sono prodotto dalla Earthbound, nata negli anni ‘80 per<br />

opera di Drew e Myra Goodman, inventori dell’insalata lavata a mano e messa in sacchetti (insalata<br />

pronta).<br />

Una tipica confezione da 500g di insalata fornisce 80 calorie, secondo i calcoli di Pimentel,<br />

coltivare, refrigerare, lavare, confezionare e trasportare lo stesso sacchetto fino a una tavola<br />

americana necessita di 4600 calorie di energia ricavata da combustibili fossili, pari al 57% per<br />

ogni caloria alimentare.<br />

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40 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

L’insalata ci fa comportare come erbivori, cosa c’è di più salutare di una bella forchettata di<br />

foglie verdi?<br />

Qui Polan ci pone di fronte a un nuovo contrasto: tra la semplicità dell’alimento e la complessità<br />

industriale che si trova alle sue spalle, il quale fa pensare a un altro significato della parola<br />

biologico, “alla fine tutto rientra nel modo in cui gira il mondo” Kahn.<br />

<strong>Il</strong> successo di imprese cometa Earthbound e la Small Planet ha scavato un abisso tra il biologico<br />

“grande” e quello “piccolo”, il che ha spinto molti fondatori e sperimentatori come Joel<br />

Salatin a pensare che sia giunto il tempo di superare il biologico e di richiedere standard ancora<br />

più elevati.<br />

2. La seconda è polleria Petaluma, dove vuole conoscere Rosie la gallina.<br />

<strong>Pollan</strong> anche qui è costretto a scontrarsi con una realtà lontana dalle belle storie raccontate<br />

sulle etichette alimentari.<br />

Rosie infatti era una gallina biologica allevata in libertà. Andando a Petaluma conosce Rosie,<br />

tutte galline di razza Cornish, varietà bianca e vengono trattati secondo i metodi correnti<br />

dell’industria agroalimentare, risultando il più efficiente convertitore di mais in carne mai esistito.<br />

I pollai assomigliano a dei campi militari: ventimila polli che bevono e mangiano cibo biologico,<br />

diventando così animali particolarmente vulnerabili alle infezioni: uno dei paradossi più evidenti<br />

della produzione di cibo biologico con metodi industriali.<br />

Comunque per essere certificato un pollo deve avere l’accesso all’aria aperta, le porte rimangono<br />

chiuse per le prime cinque settimane di vita, acquisendo dei comportamenti abituali<br />

all’interno del pollaio. Questi animali vivono in totale sette settimane quindi non sentono la<br />

necessità di avventurarsi al di fuori del pollaio.<br />

3. Infine <strong>Pollan</strong> si reca nella Salinas Valley, dove si produce la maggior parte della coltivazione<br />

delle verdura della Earthbound.<br />

Domande da farsi<br />

Cena comprata da Whole Foods: pollo arrosto (Rosie) con contorno di verdure e un dessert<br />

gelato il tutto biologico.<br />

Le domande che si pone l’autore sono:<br />

<strong>Il</strong> biologico è davvero migliore?vale il prezzo maggiorato?È migliore in che senso?<br />

Se intendiamo più gustoso la risposta è affermativa ma non è così scontato almeno per le carni.<br />

Migliore per la salute?<br />

Anche adesso la risposta sarà quasi sicuramente positiva, ma non in modo automatico, infatti<br />

il cibo biologico sicuramente contengono pochi o punti residui di pesticidi e di tutti quei cancerogeni,<br />

neurotossici e distruttori endocrini che si trovano comunemente in tutti gli altri tipi<br />

di verdure e carni, ma nel verificare i benefici di un alimento non dobbiamo considerare solo la<br />

sua tossicità, ma anche il suo valore nutrizionale.<br />

<strong>Il</strong> ministro dell’Agricoltura Glickman nel 2000 disse che “l’etichetta di Biologico è uno strumento<br />

di marketing, non una certificazione di sicurezza alimentare, né un giudizio di valore nutrizionale<br />

o di qualità”<br />

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<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 41<br />

Ricerche fatte nel 2003 all’università della California a Devis dimostrano che le piante coltivate<br />

con metodi biologici e in generale sostenibili presentavano in modo significativo livelli maggiori<br />

di acido ascorbico (vitamina C) e un buon numero di polifenoli.<br />

È sbagliato fare affidamento su un’unica ricerca ma allo stesso tempo non possiamo pensare<br />

che l’ etichetta biologico su un alimento lo renda automaticamente salutare, nel caso di cibi<br />

preconfezionati e prodotti molto lontani dal luogo di acquisto.<br />

<strong>Il</strong> biologico è meglio per l’ambiente? Per i coltivatori?per la salute pubblica? Per i contribuenti?<br />

Si, eppure gli alimenti biologici di tipo industriale lasciano profonde tracce sull’ambiente.<br />

La cena biologico-industriale gronda combustibili fossili quasi quanto una cena tradizionale<br />

pensando solo al trasporto.<br />

Secondo Pimentel l’agricoltura biologica consuma un terzo di combustibile fossili in meno<br />

rispetto a quella tradizionale, ma questo risparmio scompare nel caso in cui il compost non sia<br />

prodotto in loco o nelle vicinanze.<br />

Coltivare è il meno:solo un quinto dell’energia totale si consuma nei campi.<br />

La catena alimentare biologica industriale è una contraddizione in termini?è una contraddizione<br />

con cui si può convivere, qual è il prezzo che paghiamo per i nostri compromessi?<br />

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42 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

L’erba: mille modi di vivere un pasto<br />

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<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 43<br />

Nella fattoria di Joel Salatin, l’ erba è l’ elemento fondamentale e presenta un infinita varietà.<br />

Joel si definisce un erbicoltore, termine nato in Nuova Zelanda, la salute della fattoria dipende<br />

più di ogni altra cosa dalla salute dei prati.<br />

Nella fattoria si mette in atto la teoria della rotazione del pascolo, nella quale l’erba è la chiave<br />

di volta, il nesso tra l’energia solare che fa da motore al tutto e gli animali di cui ci nutriamo.<br />

Potremmo definire Joel più che un erbicoltore un “eliocoltore”, in quanto l’erba è solo un mezzo<br />

per catturare l’energia del sole.<br />

La crescita delle erbe segue una curva sigmoidale ad S: per individuare i momenti per mandare<br />

le bestie al pascolo,al punto più alto della crescita esplosiva. Alle mucche non deve essere<br />

consentito ripassare su un pezzo di pascolo che non ha ancora avuto il tempo di rimettersi in<br />

forma.<br />

L’unità a cui riferirsi per calcolare i tempi e i luoghi in cui consentire di nuovo l’accesso al<br />

pascolo è il cow-day giorno mucca, che equivale alla quantità media di foraggio che un capo di<br />

bestiame ingerisce in un giorno. Perché la rotazione funzioni è necessario sapere quanti giornimucca<br />

può fornire ogni singolo appezzamento. Per Joel il ritmo ottimale è il polso dei pascoli:<br />

la Polyface è arrivata a una produttività di mille giorni-mucca per ettaro.<br />

Per la rotazione del pascolo Joel sposta le sue mucche su un prato su un erba fresca, i continui<br />

spostamenti aiutano a mantenere le bestie in salute. Senza il lavoro degli erbivori la ricostruzione<br />

del suole non sarebbe né così veloce né così efficiente.<br />

L’ alta produttività fa si che i pascoli di Joel smaltiscono tonnellate di carbonio atmosferico; le<br />

specie erbacee, al contrario di quelle arboree, immagazzinano gran parte di questo elemento<br />

sottoterra, sotto forma di humus.<br />

Wes Jackson, direttore di un centro ricerca il Land Institute di Salina nel Kansas, dove si lavora<br />

a un progetto a lungo termine: rendere perenni i cereali per poterli coltivare in grandi policolture<br />

che andrebbero avanti in modo autonomo, senza o quasi aratura o semina.<br />

L’idea di fondo è quella di vivere con le ricchezze della terra costringendo le specie erbacee a<br />

sviluppare semi più grossi e nutrienti.<br />

La vittoria del mais sull’erba, dipese dalla credenza che un ettaro di cereali produce più calorie<br />

totali di un ettaro di pascolo, in realtà un pascolo ben gestito fornisce una maggiore quantità di<br />

macronutrienti, infatti in un campo di mais si sfruttano solo i chicchi, mentre quasi tutte le parti<br />

delle piante di un pascolo finisco nel rumine di un bovino.<br />

Un motivo che ha portato il bestiame americano ad allevamenti intensivi è che la nostra civiltà<br />

e il modo in cui ci alimentiamo sono organizzati secondo logiche rigidamente industriali, valori<br />

più desiderabili sono l’uniformità, la meccanizzazione,la prevedibilità, la sostituzione degli imput<br />

e l’economia di scala. <strong>Il</strong> mais si lascia stritolare da questa macchina, l’erba no.<br />

L’erba non è una commodity, non è facile da accumulare, scambiare, trasportare o immagazzinare,<br />

almeno su lunghi tempi.<br />

La gestione intensiva di un pascolo segue le regole del biologico e non si adatta a quelle<br />

dell’industria che detta legge.<br />

La casa di Salatin era proprio il focolare di campagna che innumerevoli cucine nelle periferie<br />

americane hanno tentato di emulare dal dopoguerra.<br />

La cena era composta esclusivamente con ingredienti prodotti nella fattoria, da bere c’era solo<br />

acqua: ci stavamo alimentando in modo quasi completamente autosufficiente, rendendomi<br />

conto che l’agricoltura praticata alla Polyface si accorda con lo stile di vita del Salatin.<br />

Joel non voleva avere nulla a che fare con le istituzione e con il governo. La fattoria e la famiglia<br />

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44 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

creavano una comunità, un mondo autosufficiente, l’autonomia agraria era frutto della necessità<br />

(Thomas Jefferson) mentre oggi costituisce una scelta politica, economica e sociale deliberata<br />

e faticosa, un obiettivo da raggiungere.<br />

Gli animali:la complessità al lavoro<br />

Polyface è la prova vivente che a volte è possibile migliorare la salute di un’area coltivandola<br />

piuttosto che lasciandola in pace.<br />

Joel invento un nuovo metodo di allevamento dei polli negli anni 80 Pastured Poultry Profit$<br />

spostando gli animali tutti i giorni migliora la loro salute e quella dei terreni. I polli non rimangono<br />

a contatto con gli agenti patogeni e trovano nelle varie specie erbacee un buon numero di<br />

vitamine e minerali. <strong>Il</strong> loro letame fertilizza i prati fornendo loro tutto l’azoto di cui hanno bisogno.<br />

<strong>Il</strong> mangime convertito in letame dagli uccelli nutre a sua volta l’erba, che nutre le mucche,<br />

che nutrono i maiali e le galline ovaiole.<br />

Entra in gioco anche la uovomobile, un incrocio tra un pollaio e un carro dei pionieri che trasportava<br />

quattrocento chiocce.<br />

In natura gli uccelli seguono gli onnivori, così la uovomobile porta gli uccelli a nutrirsi delle<br />

larve delle mosche presenti nello sterco dei bovini, che tre giorni prima avevano pascolato e che<br />

avevano tagliato l’erba nel brulicare a un altezza gradita alle chiocce, su quel appezzamento di<br />

terra. Così le galline decontaminano lo sterco, ora utile per coltivare il mangime iperproteico<br />

per le galline quindi il costo della produzione di uova si abbatte.<br />

Questo intendeva Joel quando diceva che da lui sono gli animali che lavorano davvero, lui si<br />

definisce come un direttore d’orchestra assicurandosi che tutti stiano al posto giusto al momento<br />

giusto.<br />

Questo tipo di allevamento è differente da quello industriale, perchè questo segue una logica<br />

chiara e gerarchica, mentre la relazione che intercorre tra mucche e le galline della Polyface è<br />

un ragionamento circolare.<br />

>(Joel), in un sistema di tipo biologico<br />

nessuna azione è isolata, tutto è interconnesso, la fattoria è un organismo non una macchina.<br />

<br />

Importane in un azienda agricola è il concetto di efficienza, l’efficienza della natura, piena di<br />

reciproche influenze e relazioni tra specie che si sono evolute insieme.<br />

In un sistema industriale la chiave è la semplificazione: fare sempre le stesse cose in grandi<br />

quantità, arrivando alla monocultura o allevare un solo animale o coltivando una sola pianta.<br />

<strong>Il</strong> punto estremo della semplicità sta nella monocoltura permettendo di introdurre macchinari e<br />

procedure standard che aumentato l’efficienza.<br />

Diversamente l’efficienza di una ecosistema naturale nasce dalla complessità, considerando<br />

non solo i prodotti primari ma anche le spese che vengono abbattute come gli antibiotici, antiparassiti,<br />

fertilizzanti e vermifughi.<br />

Polyface imita le relazioni presenti in natura formando un nuovo ecosistema stratificato.<br />

Ogni livello della stratificazione è un alone, può essere sia un tutto autosufficiente, sia una parte<br />

dipendente da altre come la uovomobile.<br />

Un ulteriore problematica affrontata da Joel è l’osservazione che le istituzioni non aiutano un<br />

impresa a basso capitale e alto tasso intellettuale come la sua: perché non acquista quasi nulla<br />

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<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 45<br />

dall’esterno.<br />

La salute si identifica come la massima efficienza di una fattoria gestita come un ecosistema,<br />

dimostrandosi un sistema forte e molto meno fragile come quello biologico industriale.<br />

Per contare la quantità di produzione della fattoria si deve infatti tenere conto anche di 180 ettari<br />

di bosco.<br />

Che c’ entra il bosco con la produzione alimentare?<br />

1. le riserve d’acqua della fattoria dipendono dagli alberi, che trattengono l’umidità e scongiurano<br />

il pericolo di erosione<br />

2. gli alberi fanno da condizionatori e fanno soffrire meno gli animali d’estate<br />

3. gli alberi bloccano parte del vento che spazza i pascoli<br />

4. più erba per le mucche<br />

5. capacità degli alberi di trattenere l’umidità<br />

6. la biodiversità portata dal bosco<br />

7. più uccelli significa meno insetti che serve a controllare il numero di predatori che evitano<br />

di andare a mangiare le galline<br />

8. gli alberi producono molta più biomassa di quanto potrebbero fare le erbe<br />

Non si può fare una cosa sola, slegata da tutte le altre<br />

Una delle più grandi risorse economiche di una fattoria è data dalla pura e semplice gioia della<br />

vita (Joel)<br />

<strong>Il</strong> macello trasparente<br />

<strong>Il</strong> mercoledì era il giorno per scannare i polli da cerne. <strong>Il</strong> macello si effettuava all’aria aperta, il<br />

quale era considerato un passaggio inevitabile.<br />

Le azione da fare erano: catturare e portare via in apposite cassette i 300 esemplari da macellare<br />

dopo la colazione.<br />

Joel sosteneva quanto fosse importante macellare in fattoria per costruire una catena alimentare<br />

sostenibile. I migliori disinfettanti al mondo sono il sole e l’aria fresca. <strong>Il</strong> difetto delle normative<br />

è che sono pensate per i grandi complessi industriali. Le norme federali descrivono in<br />

minuziosi dettagli come deve essere fatto uno stabilimento, ma non stabiliscono nessuna soglia<br />

massima per i patogeni presenti sulla carne.<br />

L’ obiettivo diventa quindi far chiudere tutti gli impianti di macellazione tranne i più grandi con<br />

la scusa della sicurezza alimentare. Tutte le malattie di origine alimentare sono da ricercare<br />

nella produzione e nella lavorazione centralizzata e nella distribuzione a lunga distanza.<br />

<strong>Pollan</strong> davanti al momento dell’uccisione pensava che fosse una vista difficile da reggere: ”Mi<br />

dissi che gli spasmi erano involontari, che gli animali in attesa del loro turno non avevano idea<br />

di quello che stava succedendo nel cono accanto, che la loro sofferenza dopo il taglio della gola,<br />

dovevano essere brevi. La loro inconsapevolezza mi dava sollievo. Non c’era molto tempo per<br />

pensare a queste cose perché il lavoro era quello di una catena di montaggio. Dopo un po’ il<br />

ritmo del lavoro aveva preso il sopravvento sulle mie paure e l’unica cosa a cui pensavo mentre<br />

uccidevo un animale era l’esecuzione corretta dei movimenti. Come è facile abituarsi a qualcosa,<br />

soprattutto se chi ti circonda sembra non farci caso. L’aspetto che più disturba moralmente<br />

nel macellare i polli è il fatto che dopo un po’ non disturba più.<br />

Arrivavano i primi clienti. Essi possono assistere al macello. Mi resi conto che un macello<br />

all’aria aperta sia un concetto altamente morale, questa trasparenza è la migliore garanzia del<br />

fatto che la carne che stanno per comprare è stata trattata in modo pulito e non crudele.<br />

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46 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

<strong>Il</strong> macellare in casa viene a essere anche meno caro, le leggi non permettono di macellare, affumicare<br />

e stagionare manzi e maiali. Perchè considerati trasformazioni industriali proibiti in<br />

un area destinata all’agricoltura.”<br />

Secondo Joel le leggi sono il principale ostacolo sulla strada della costruzione di una catena<br />

alimentare sostenibile, secondo lui dovrebbe essere un diritto costituzionale la libertà di comprare<br />

una costoletta di maiale dal contadini che l’ha allevato.<br />

Successivamente affrontarono il processo di compostaggio degli scarti della macellazione. “<strong>Il</strong><br />

compost era ripugnante, ma quel mucchio di materia mi ricordava che dietro a una cena a base<br />

di pollo c’è un animale che viene ucciso, dissanguato, sviscerato, e questo sentore di morte accompagna<br />

ogni tipo di carne industriale, biologica.”<br />

<strong>Il</strong> popolo senza codice a barre<br />

I Prodotti della Polyface possono arrivare nelle case dei consumatori per cinque diverse vie:<br />

1. vendita diretta al negozio della fattoria<br />

2. mercatini agricoli<br />

3. gruppi di acquisto metropolitano<br />

4. una manciata di negozietti di Staunton<br />

5. alcuni ristoranti della zona che Art, il fratello di Joel, rifornisce ogni giovedì con il suo<br />

furgone.<br />

Questa è considerata la strada per una riforma radicale del sistema alimentare globale. La<br />

rivoluzione inizia quando il cliente si prende la briga di comprare direttamente da un produttore<br />

del quale si fida: Joel lo chiama “marketing relazionale”. Venditore e compratore possono<br />

guardarsi negli occhi: comprare un pollo alla Polyface è un azione salvifica dal punto di vista<br />

sociale, ambientale, nutrizionale e politico.<br />

I clienti della Polyface non avevano l’aria dei gourmet benestanti di città, alla base di tutto c’ero<br />

lo stesso brodo di cultura, un misto di paure e piaceri alimentari e nostalgie legate al cibo, che<br />

ha fatto crescere l’agricoltura biologica negli ultimi ‘20 anni.<br />

Qui entra in gioco un nuovo personaggio: Bev Eggleston, titolare e unico dipendente della EcoFriendly<br />

Foods società di distribuzione, secondo canale lungo il quale i prodotti Polyface arrivano<br />

ai consumatori.<br />

Consapevole di essere i più economici sul mercato si tiene conto di tutti i costi visibili e invisibili,<br />

come le voci di spesa nascosti che gravano sull’ambiente e sul contribuente come accade nei<br />

prodotti industriali.<br />

La forza di quest’uomo è nell’ idea che la scelta del consumatore sta nel comprare un alimento<br />

con un prezzo onesto o alimenti con un prezzo irresponsabilmente basso.<br />

In America i prodotti a prezzo basso sono sovvenzionati dallo stato, finche le regole saranno<br />

così il cibo biologico o sostenibile costerà sempre un po’ di più all’utente finale.<br />

La famiglia americana media spende solo il 10 % del suo reddito per il cibo, e fra tutte le culture<br />

della storia dell’umanità, dedica meno risorse agli alimenti.<br />

I prodotti artigianali di Joel possono competere per la qualità non per il prezzo e questo è inusuale<br />

per quanto riguarda il cibo.<br />

<strong>Pollan</strong> osserva come sia impressionante quanto la vendita di un prodotto tanto importante per<br />

la nostra salute sia determinata solo dal prezzo. Grazie al marketing relazionale, oltre al prezzo,<br />

si scambiano più informazioni.<br />

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<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 47<br />

In genere invece di un testo che ci racconti come è stato prodotto un cibo troviamo un codice a<br />

barre simbolo della sua totale oscurità.<br />

A questo punto siamo sempre più coscienti che i prodotti del supermercato non regge a un<br />

simile livello di trasparenza.<br />

<strong>Il</strong> prezzo basso e la non conoscenza si rinforzano a vicenda. Tra l’ignoranza e l’incuranza il<br />

passo è breve:non sapendo chi c’è all’altro capo della catena alimentare si alimenta il disinteresse<br />

sia del consumatore che del produttore.<br />

Esistono gruppi di acquisto urbano, gruppi di famiglie che si mettono insieme per fare un grosso<br />

ordine collettivo. La quantità ordinata è sufficiente per giustificare la consegna da parte di<br />

Joel che si spingi e mezza giornata dalla Polyface.<br />

<strong>Il</strong> bello della rete è che permette a persone che la pensano allo stesso modo di trovare la loro<br />

tribù, e questa tribù di arrivare alla Polyface attraverso Bev, che si rilevò un venditore nato,<br />

senza spese pubblicitarie e senza dover affittare un locale.<br />

Allan Nation distingueva tra imprese industriali e artigianali e dimostrava perché i tentativi di<br />

fondere i due modelli fossero destinati al fallimento.<br />

Infatti coltivatori di tipo industriale vendono commodities e operano in un settore dove per<br />

sconfiggere la concorrenza la forza è quella di minimizzare i costi, aumentare la produzione per<br />

sfruttare le economie di scala e compensare il margine di profitto calante.<br />

Nella “produzione artigianale”, la strategia competitiva è vendere qualcosa di speciale. <strong>Il</strong> modello<br />

funziona fino a quando non cerca di imitare la logica industriale. <strong>Il</strong> piccolo coltivatore devo<br />

volgere a sua vantaggio la diversità e le variazioni stagionali, deve concentrarsi sul mercato<br />

locale, basandosi sulla reputazione e sul passaparola piuttosto che sulla pubblicità, deve sfruttare<br />

il più possibile l’energia gratuita del sole e ridurre la dipendenza dai combustibili fossili.<br />

Joel, sentendo le parole di Allan Nation,aveva capito perché riusciva a guadagnare di più con<br />

i polli che con i manzi e i maiali: i primi avevano un processo totalmente artigianale, i secondi<br />

dovevano passare attraverso uno stabilimento industriale, il che faceva aumentare i costi e<br />

diminuire i profitti.<br />

La teoria di Porter-Nation spiegava anche la difficoltà di Bev, la sua azienda era costretta a conformarsi<br />

a un sistema di norme basato sul modello industriale.<br />

Gran parte dei cuochi di Charlottesville si servono dai Salatin soprattutto per polli e uova.<br />

Perché una catena locale abbia successo i consumatori devono imparare di nuovo cosa significhi<br />

alimentarsi seguendo il ritmo naturale delle stagioni. Grazie ai CAFO ci siamo abituati ad<br />

avere carne fresca tutto l’anno. Ci siamo dimenticati che le proteine animali avevano un ciclo<br />

stagionale come i pomodori o il mais.<br />

L’alleanza informale tra cuochi e piccoli produttori esiste da quando Alice Waters aprì nel 1973<br />

il suo Chez Panisse a Berkeley, i migliori chef hanno contribuito non poco a sollevare le sorti<br />

dell’agricoltura locale in America. Essi hanno anche un ruolo importante nell’educare i consumatori<br />

ad apprezzare le virtù del localismo, il piacere di mangiare seguendo il ritmo delle<br />

stagioni e la superiore qualità organolettiche di prodotti coltivati con amore.<br />

Siamo di fronte a un nuovo movimento a un ibrido tra mercato e politica che ha come idea centrale<br />

una nuova figura di consumatore. Tutta quella gente che comprava alla Polyface lo faceva<br />

quasi come se fosse una forma di civismo, una forma di protesta, sobbarcandosi di disagi e<br />

spese per “chiamarsi fuori”: dai supermercati, dalle logiche del fast food, dall’agricoltura industriale<br />

globale che sta dietro a tutto.<br />

Wendell Berry sostiene che per riparare i danni causati alle economie locali e alla terra dal<br />

rullo compressore del commercio mondiale ci vorrebbe “la rivolta dei piccoli produttori e con-<br />

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48 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

sumatori contro l’industrializzazione globalizzata delle multinazionali”<br />

In un suo saggio The Total Economy (2003) sostiene che oggi viviamo in un epoca di


<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 49<br />

prima portata ognuno mangia avidamente, senza parlare o prestare attenzione a ciò che si può<br />

dire intorno”.<br />

<strong>Il</strong> pollo era sensazionale, sapeva di pollo perché aveva vissuto come un pollo.<br />

Nello stesso libro si distingue il piacere di mangiare e il piacere della tavola proprio della specie<br />

umana: la sensazione riflessa che nasce da diverse circostanze di fatti, di luoghi, di cose e di<br />

persone che accompagnano il pasto e costituisce uno dei valori più alti della civiltà.<br />

Ogni pasto che condividiamo con altri in una tavola costituisce questa evoluzione da natura a<br />

cultura, passando dalla soddisfazione silenziosa degli appetiti animali all’eterea sostanza della<br />

conversazione, lo sfamarsi diventa il cenare.<br />

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50 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

Schema primordiale<br />

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Parte III


<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 51<br />

<strong>Il</strong> motivo di questo percorso descritto nella terza parte é provare cosa significa preparare e<br />

mangiare dei cibi con la piena consapevolezza di ciò che comporta. Quindi é il lato più etico e<br />

filosofico del mangiare stando il più vicino possibile a tutti i processi primordiali sfruttando la<br />

brevità della catena alimentare.<br />

L’autore, in questa parte, approfondisce la sua ricerca antropologica sull’evoluzione umana per<br />

capire meglio il rapporto cibo-uomo fin dalla vita primordiale. Questa preparazione teorica gli<br />

servirà poi per capire meglio la difficoltà dell’uomo che una volta sopravviveva con la caccia e<br />

la raccolta. La separazione della logica naturale da quella industriale é appunto per far vedere<br />

il distacco di <strong>Pollan</strong>, un cittadino americano qualsiasi, che si immerge nell’ambiente dell’uomo<br />

primordiale e quindi guarda alla natura con un punto di vista diversa. Inoltre l’autore sottolinea<br />

ogni tanto come l’uomo é capace a complicarsi la vita con la propria intelligenza. Da quando<br />

l’uomo si é industrializzato” non riesce a capire che fa parte di un sistema molto complesso<br />

chiamata “natura” e non é capace dirigerlo.<br />

Dilemma dell’onnivoro<br />

La ricerca antropologica si collega alla ricerca psicologica per capire il comportamento alimentare<br />

dell’uomo rispetto alle condizioni esterne.<br />

Gli esperimenti fatti da Rozin sui topi illumina molto il comportamento della scelta alimentare<br />

degli uomini. I ratti come gli uomini si sono evoluti e diventati numerosi nella natura grazie<br />

alle possibilità dell’onnivoro rispetto alle altre specie. Ma questo vantaggio si controbilancia<br />

con lo stress causato dai due istinti presenti in tutti gli uomini chiamati “neofobia e neofilia” (il<br />

<strong>dilemma</strong> dell’onnivoro). L’uomo, però, con la sua intelligenza si é riuscito a semplificarlo con<br />

l’invenzione della cultura. La maggior parte della complessa rete di tabù, rituali e tradizioni<br />

sono delle codifiche per una saggia alimentazione (Rozin: le cucine nazionali incarnano parte<br />

della saggezza alimentare di una cultura)<br />

Lo svantaggio del passaggio all’agricoltura e vivere insieme é stato forse il passaggio a una<br />

vita monotona ma dall’altra parte si é eliminato o ridotto il <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro. Oggi con la<br />

globalizzazione e l’industrializzazione si é resa disponibile una grande varietà di cibi. Come dice<br />

il sociologo Daniel Bell “Regole e rituali alimentari si opponevano alle esigenze delle industrie<br />

di vendere sempre pi,u roba a una popolazione già ben nutrita.” Soprattutto nei paesi multietnici<br />

che non hanno una dominanza culturale come gli Stati Uniti, ma anche nei paesi industrialmente<br />

sviluppati, le persone hanno cominciato a rivivere lo stress e hanno sentito sempre di più<br />

la necessità di consigli alimentari. Questo ha fatto questi popoli un facile bersaglio per le offerte<br />

seduttive del marketing, quindi del capitalismo. <strong>Il</strong> distacco dal mondo naturale e la completa<br />

fiducia nelle aziende multinazionali ha portato ai problemi salutari fino a diventare un problema<br />

nazionale.<br />

Dilemma del vegetariano<br />

L’esperienza di caccia rappresenta per <strong>Pollan</strong> uno sperimento sia per la consapevolezza di ciò<br />

che mangia ma anche per capire se veramente l’uomo non dovrebbe, come dicono gli animal-<br />

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52 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

isti, cacciare un’animale. Nella caccia moderna non si parla di una dipendenza di sopravvivenza<br />

come dice il filosofo australiano Peter Singer. <strong>Pollan</strong> si sente la necessità di leggere le opinioni<br />

di un vegetariano prima di uccidere un’animale. L’uccisione dell’animale, come dice l’autore, é<br />

un fatto brutale tra i singoli ma ogni singolo fa una cosa buona per la sua Specie.<br />

Secondo gli animalisti e vegetariani come Singer non possiamo uccidere gli animali basando<br />

sull’intelligenza o sull’ordine naturale perchè certi animali sono più intelligenti degli uomini<br />

ritardati e se basassimo sull’ordine naturale dovremmo anche accettare lo stupro e l’assasinio.<br />

Questo suo ragionamento non accetta neanche l’ordine morale perchè crede nel sistema di<br />

diritti dell’uomo. Ma questi diritti, secondo <strong>Pollan</strong>, sono un’invenzione umana e vanno bene solo<br />

per gli uomini.<br />

La conclusione che arriva l’autore é che gli animalisti e i vegetariani vogliono sollevare l’uomo<br />

dal male intrinseco della natura e tutti gli animali con lui. Cioè cercano di cambiare totalmente<br />

la natura senza rispettare prima per ciò che é. (Ortega Y Gasset)<br />

L’esperienza<br />

L’esperienza come cacciatore viene affiancato con gli autori che hanno scritto sull’etica e filosofia<br />

della caccia. Questa lettura é importante per <strong>Pollan</strong> per confermare e confrontare le sue<br />

impressioni con quelle dei cacciatori professionali. Nel suo viaggio viene accompagnato da un<br />

chef (che non fa il cacciotore per lo sport) molto naturalistico.<br />

<strong>Pollan</strong> sottolinea la differenza tra vedere dall’esterno e vivere l’uccisione. <strong>Il</strong> cacciatore rimane<br />

tra il disgusto (sbatte in faccia la parte animale dell’uomo) e il piacere dell’ammazzare (“é un<br />

compimento non un sovvertimento delle regole naturali sia per il cacciatore che per la preda”)<br />

L’esperienza che fa lui non viene consigliato come alternativa del mercato industriale ma é<br />

importante capire il lato animale che c’é dentro ogni uomo. La relazione tra l’animale e l’uomo<br />

é qualcosa di più della caccia, c’é una simbiosi nella natura e sia l’uomo che l’animale la sanno<br />

per istinto. Per l’uomo é necessario guardare negli occhi dell’animale per rispettare e poi per<br />

mangiare con gratitudine come facevano una volta.<br />

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Animali felici e quelli che soffrono<br />

<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 53<br />

La questione importante nel dibattito della condizione degli animali é la misura delle loro sofferenze.<br />

Anche se esistono vari metodi per capire se un animale soffre é difficile capire negli<br />

allevamenti industriali chiusi da tutti i lati. La crudeltà della logica industriale vede gli animali<br />

come delle unità produttive e non come esseri viventi. La separazione di tutti i componenti<br />

della catena naturale porterà sicuramente al deterioramento dei componenti. Un esempio ben<br />

visibile sono le terre monocoltivate che diventano dopo un pò inutilizzabili. Anche la storia del<br />

manzo 534 di <strong>Pollan</strong> é davvero triste.<br />

Cosa é allora la soluzione? Secondo l’autore, La felicità dell’animale sembra coincidere con<br />

la sua forma aristotelica (Aristo: forma di vita caratteristica), quindi la piena espressione delle<br />

aspirazioni istintive come succedeva a Polyface. Per la questione dell’uccisione la soluzione<br />

sembra la trasparenza sempre di Polyface. Se quella trasparenza potesse essere applicata a<br />

grande scala sicuramente cambierà qualcosa. Si aprirà la terza strada senza togliere lo sguardo<br />

dal macello( National Beef) o senza rifiutare la carne (Peter Singer) per iniziare a guardare<br />

in faccia dell’animale e poi mangiarlo.<br />

La cena<br />

Dopo aver analizzato il mondo misterioso dei funghi e raccolto abbastanza per la sua cena<br />

l’autore comincia a preparare la sua cena. Tra tutte le cene che fa (Quella a McDonald’s, quella<br />

con i prodotti della Polyface e questa) questa é più soddisfacente sia per il lavoro fisico e morale<br />

che per consumare in piena coscienza di quanto é costato. <strong>Il</strong> piacere di questo pasto viene dalla<br />

piena conoscenza ed é vario perchè si basa sulla varietà che la natura ci offre. Invece il pasto<br />

fatto da McDonald’s si basa all’ingegnosità dell’industria alimentare che riesce a simulare vari<br />

alimenti basandosi su una sola specie coltivata in un solo ambiente. Si dimentica su cosa si appoggia<br />

l’industria. <strong>Il</strong> costo del primo pasto é giustificabile non come il pasto da McDonald’s che<br />

non riflette i costi reali. (“sono scaricati sull’ambiente, sulla salute pubblica, sulle tasche dei<br />

contribuenti, sul futuro”)<br />

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54 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

User Centered Design & Participatory Design<br />

Metodo di ricerca<br />

<strong>Il</strong> percorso di ricerca intrapreso da <strong>Michael</strong> <strong>Pollan</strong> si basa su un cammino a ritroso<br />

nell’osservazione di un sistema complesso, come quello industriale, a un sistema dove l’uomo<br />

è spinto a scegliere cosa mangiare per il suo sostentamento, portandosi fino a sperimentare<br />

l’antico rito della caccia tipico di un sistema primordiale.<br />

In questo percorso, centrale è l’esperienza diretta e l’osservazione sul campo, la quale mette in<br />

relazione sempre più ravvicinata l’uomo e la terra.<br />

<strong>Pollan</strong> ci presenta il paradosso dell’ uomo il quale è illuso dalla sua presunzione di conoscenza,<br />

ma nella realtà si allontanato notevolmente da uno stato di natura che lo portava alla ricerca di<br />

nuovi sapori e alla difesa della vita, parlando di neofilia e neofobia.<br />

Infatti se in un sistema primordiale avevamo la possibilità di scegliere ciò che cacciavamo e<br />

raccoglievamo e quindi mangiavamo, oggi in un sistema complesso industriale, dove le etichette<br />

degli alimenti commercializzati presentano solo messaggi criptati, non interpretabili da<br />

un consumatore comune, il quale ignora la possibilità di una maggiore informazione, non abbiamo<br />

la consapevolezza di mangiare solo mais.<br />

È questo il paradosso più grande della società odierna, dove l’uomo crede di aver raggiunto un<br />

buon grado di conoscenza di ciò che gli sta intorno, tale da poter essere raggirato facilmente da<br />

ricerche di mercato e azioni di marketing, andando contro la nostra essenza di onnivori.<br />

Questo percorso lo ritroviamo in un tipico modello di metodologia di ricerca riscontrabile nel<br />

campo della progettazione industriale. <strong>Il</strong> modello a cui si riferisce è lo User Centered Design e<br />

Participatory Design, il quale ha come punti focali della ricerca la partecipazione dell’utente e la<br />

compresenza di diverse competenze in differenti discipline.<br />

La filosofia che sta alla base di questo tipo di progettazione è il coinvolgimento dell’utente in<br />

relazione a due aspetti fondamentali, il mercato e le dinamiche sociali.<br />

Come punto di partenza ritroviamo l’osservazione di come l’utente interagisce con il prodotto,<br />

successivamente c’è il suo coinvolgimento all’interno del progetto, l’unione di diverse discipline<br />

e conoscenze, arrivando infine a un processo ciclico tra soluzione e verifica.<br />

Le fasi del processo in <strong>Pollan</strong> si esplicano come prima cosa nella comprensione del contesto<br />

d’uso nei diversi sistemi: quello industriale, biologico industriale, agricolo e primordiale; successivamente<br />

mette in relazione tali sistemi con l’obiettivo della sua ricerca, cioè dimostrare<br />

che scegliere cosa mangiare richiede avere una maggiore consapevolezza e informazione da<br />

parte dell’utente , il tutto attraverso l’osservazione sul campo dei diversi sistemi e proponendo<br />

come soluzione progettuale un cambiamento nelle scelte nel quotidiano, arrivando alla definizione<br />

di piccoli gesti responsabili che possono cominciare a far cambiare il mercato. Ovviamente<br />

la valutazione di questa proposta non potrà avere una verifica immediata ma solo a lungo termine.<br />

Etnografia e Antropologia<br />

L’etnografia consiste in una metodologia di ricerca che si esplica nell’osservazione partecipante<br />

da parte del progettista, facendo delle considerazioni entrando direttamente nelle diverse<br />

comunità.<br />

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<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 55<br />

È ciò che fa <strong>Pollan</strong> nel suo percorso verso la definizione del <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro. Presenta<br />

innanzi tutto il contesto naturale del campo di osservazione, avendo in tutti i sistemi un approccio<br />

olistico, e cioè applicando un metodo interdisciplinare nello studio di sistemi complessi<br />

ponendo alla basa l’interazione tra le parti che costituiscono lo stesso sistema. Inoltre vi è un<br />

approccio descrittivo.<br />

Nei tre diversi sistemi presentati da <strong>Pollan</strong> si denota come partendo da un sistema industriale<br />

per arrivare a un sistema naturale, la complessità di questa interazione e relazione tra gli<br />

elementi che li compongono è decrescente.<br />

Nella ricerca entra in gioco il concetto della Situativity, tipica in questa metodologia di una ricerca<br />

fatta su scala territoriale, in quanto il contesto di osservazione è sempre dominato da un<br />

limite fisico e temporale, rendendo le scelte di oggi irreversibili e la base per le scelte del domani,<br />

questa problematica la potremo ritrovare anche nella proposta progettuale di <strong>Pollan</strong> che<br />

pone alla base di un futuro cambiamento le scelte fatte oggi nel piccolo quotidiano di ognuno di<br />

noi.<br />

Un altro concetto in relazione con il problema della scelta è la Path Dependance , che pone la<br />

tematica del cambiamento tecnologico, nei processi e nei sistemi, una variabile che dipende<br />

dalle decisioni fatte lungo il cammino.<br />

<strong>Pollan</strong> segue anche un percorso antropologico in quanto studia l’uomo in relazione con la<br />

terra e le piante, le sua relazioni sociali, culturali e fisiche e quindi il riscontro con i topoi della<br />

società. Disciplina fondamentale è in tal caso la etno-antropologia la quale si occupa delle<br />

reti di relazioni sociali, dei comportamenti, usi e costumi, delle leggi e istituzioni politiche,<br />

dell’ideologia, religione e credenze, degli schemi di comportamento nella produzione e nel consumo<br />

dei beni e negli scambi e nelle altre espressioni culturali, con particolare enfasi al lavoro<br />

sul campo, che prevede un periodo di vita nel gruppo sociale oggetto di studio.<br />

<strong>Il</strong> Cambiamento Tecnologico<br />

<strong>Pollan</strong> mette in forte evidenza come il cambiamento tecnologico è in forte coesione con<br />

l’evoluzione della società, focalizzandosi sul carattere coevolvente della tecnologia con i sistemi<br />

sociali, capaci di plasmare e di essere plasmati con i sistemi tecnologici.<br />

In questo caso la tecnologia si presenta nel suo carattere di variabile di competizione, come<br />

determinante dello sviluppo economico (Schumpeter) nel passaggio da un sistema di autosufficienza<br />

naturale e un sistema complesso come quello industriale.<br />

<strong>Pollan</strong> riesce inoltre a identificare in ognuno di questi sistemi un abilitatore dell’innovazione,<br />

una figura capace di indurre verso la produzione del nuovo.<br />

Nel sistema industriale individua in Fritz Haber che nel 1909 inventò per i campi di concentramento<br />

nazisti i primi gas tossici dello Ziklon-B, grazie al quale prende nel 1920 il premio<br />

Nobel per aver migliorato gli standard dell’agricoltura e aumentato il benessere dell’umanità.<br />

Infatti lo Zyklon-B si è scoperta essere un arma a doppio taglio, una fonte vitale di fertilità e<br />

allo stesso tempo una terribile arma . Grazie a questa scoperta la fertilità dl suolo ha cessato<br />

di dipendere esclusivamente dall’energia solare entrando nella categoria dei combustibili fossili.<br />

Da questo oggi le fattorie si conducono con criteri industriali tali da portare all’estremo la<br />

semplificazione del sistema di produzione con le monocolture, le quali effettuano il processo<br />

di convertire i combustibili fossili in cibo, ovviamente con un prezzo molto alto per la salute<br />

dell’ambiente.<br />

La rivoluzione del mondo industriale verso un nuovo sistema, il biologico, la ritroviamo nella<br />

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56 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

rivoluzione agraria del 20 aprile 1969 di un gruppo autonominatosi “Commissione Robin Hood”<br />

i quali occupano un appezzamento di terra dell’università della California per cominciare a<br />

coltivare piante e frutta senza l’uso di pesticidi e creando una nuova società cooperativa. <strong>Il</strong> movimento<br />

portò alle comuni agricole, alle cooperative alimentari, al capitalismo di guerriglia ma<br />

anche al Business del biologico, rappresentato oggi da Whole Foods.<br />

Artefice dell’ingresso del biologico nel mainstream e del passaggio dalla cooperativa agli scaffali<br />

del supermercato è Gene Kahn fondatore della Cascadian nel 1971.<br />

Ma alla base di questo cambiamento vi è il chimico tedesco Justus von Liebig, che creò la società<br />

dell’NPK. In un trattato del 1840 sostenne che le piante per crescere hanno bisogno solo<br />

della giusta quantità di azoto, fosforo e potassio, lasciando così che la biologia venga sostituita<br />

e ponendo l’agricoltura sulla strada dell’industrializzazione.<br />

La creazione dell’azoto sintetico oltre a rendere le piante maggiormente vulnerabili a insetti<br />

e malattie, porta inevitabilmente alla creazione di pesticidi chimici che rovinano la salute del<br />

suolo e quindi quella di tutti noi.Howard sostiene che partendo dalla creazione di concimi artificiali<br />

passiamo a una nutrizione artificiali, a un cibo artificiale ad animali artificiali e quindi a<br />

uomini artificiali.<br />

<strong>Il</strong> biologico così diventa un sistema industriale che ha gettato via due dei tre pilastri con cui intraprese<br />

il suo cammino, cioè la volontà di creare una cucina alternativa, le cooperative alimentari,<br />

facendo rimanere in piedi solo la volontà di trovare un nuovo modo di produrre.<br />

Ovviamente per quanto riguarda il sistema primordiale, lo stesso uomo è promotore di un autosostentamento,<br />

portato avanti da un innato senso di curiosità verso ciò che non conosce, e di un<br />

naturale attacco alla vita.<br />

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<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 57<br />

I risultati di <strong>Pollan</strong><br />

<strong>Pollan</strong> pensa che il movimento per vincere il mercato industriale deve cominciare dai consumatori.<br />

Una richiesta e ribellione che viene dal basso é un’arma molto potente per vincere contro<br />

le multinazionali e le strategie del governo. <strong>Il</strong> passato di questo deterioramento non é molto<br />

lontano, l’umanità può riprendere il controllo di quello che mangia senza avere più bisogno di<br />

chiedere cosa dovrebbe mangiare per la sua salute.<br />

<strong>Il</strong> primo modo é accettare l’ordine naturale e un’agricoltura sostenibile. Senza la presenza di<br />

animali non si può pensare di una sostenibilità.<br />

<strong>Il</strong> secondo modo é aumentare il prezzo per cui si paga per l’alimentazione. Dobbiamo accettare<br />

che il cibo é un elemento importante della nostra vita, dobbiamo dargli la priorità.<br />

<strong>Il</strong> terzo modo é la trasparenza negli allevamenti industriali. Questo può essere molto inconveniente<br />

per certe aziende o per il governo, ma la trasparenza dovrebbe essere un diritto umano.<br />

L’applicabilità della Polyface su larga scala sarebbe forse un pensiero molto utopistico e probabilmente<br />

ci vuole uno studio economico ma risultato simile potrebbe risolvere tanti dei nostri<br />

problemi.<br />

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58 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

Approfondimenti: le esperienze alternative<br />

1. Slow Food vs Food Design Studio<br />

SLOW FOOD (www.slowfood.it)<br />

Fondata da Carlo Petrini nel 1986, Slow Food è diventata nel 1989 una associazione internazionale.<br />

Nata a Bra, oggi conta 86 000 iscritti, con sedi in Italia, Germania, Svizzera, Stati Uniti,<br />

Francia, Giappone, Regno Unito (in ordine di costituzione) e aderenti in 130 Paesi. Da un’idea<br />

di Slow Food è nata Terra Madre, il meeting mondiale tra le Comunità del Cibo, che giungerà<br />

nell’ottobre 2008 alla sua terza edizione.<br />

Slow Food significa dare la giusta importanza al piacere legato al cibo, imparando a godere<br />

della diversità delle ricette e dei sapori, a riconoscere la varietà dei luoghi di produzione e degli<br />

artefici, a rispettare i ritmi delle stagioni e del convivio.<br />

Slow Food afferma la necessità dell’educazione del gusto come migliore difesa contro la cattiva<br />

qualità e le frodi e come strada maestra contro l’omologazione dei nostri pasti; opera per<br />

la salvaguardia delle cucine locali, delle produzioni tradizionali, delle specie vegetali e animali a<br />

rischio di estinzione; sostiene un nuovo modello di agricoltura, meno intensivo e più pulito.<br />

Slow Food, attraverso progetti (Presìdi), pubblicazioni (Slow Food Editore), eventi (Terra Madre)<br />

e manifestazioni (Salone del Gusto,Cheese, Slow Fish) difende la biodiversità e i diritti dei popoli<br />

alla sovranità alimentare.<br />

La rete degli 86 000 associati di Slow Food è suddivisa in sedi locali - dette Condotte in Italia<br />

e Convivium nel mondo, coordinate da un Convivium leader - che si occupano di organizzare<br />

corsi, degustazioni, cene, viaggi, di promuovere a livello locale le campagne lanciate<br />

dall’associazione, di attivare progetti diffusi come gli orti scolastici e di partecipare ai grandi<br />

eventi organizzati da Slow Food a livello internazionale. Sono attivi più di 1000 Convivium Slow<br />

Food in 130 Paesi, comprese le 410 Condotte in Italia.<br />

E Slow Food è anche:<br />

• Un’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche<br />

Mission<br />

Slow Food è il movimento per la tutela e il diritto al piacere.<br />

Slow Food promuove, comunica e studia la cultura del cibo in tutti i suoi aspetti.<br />

La sua mission è:<br />

• EDUCARE al gusto, all’alimentazione, alle scienze gastronomiche.<br />

• SALVAGUARDARE la biodiversità e le produzioni alimentari tradizionali ad essa collegate: le<br />

culture del cibo che rispettano gli ecosistemi, il piacere del cibo e la qualità della vita per gli<br />

uomini.<br />

• PROMUOVERE un nuovo modello alimentare, rispettoso dell’ambiente, delle tradizioni e delle<br />

identità culturali, capace di avvicinare i consumatori al mondo della produzione, creando una<br />

rete virtuosa di relazioni internazionali e una maggior condivisione di saperi.<br />

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Filosofia<br />

<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 59<br />

La filosofia di Slow Food parte dalla riscoperta del piacere attraverso la cultura materiale. <strong>Il</strong><br />

piacere è quello alimentare, dotto, sensibile, condiviso e responsabile.<br />

Per avvicinarsi a questa conquista, che deve essere di tutti, bisogna innanzi tutto riflettere sulla<br />

lentezza, recuperare ritmi esistenziali compatibili con una qualità della vita che deve essere<br />

totale.<br />

Non è un’eresia dire che il piacere alimentare - spesso tabù, represso, riservato soltanto a élite<br />

facoltose – va democraticamente perseguito per tutti nel mondo. Non è eresia lavorare perché<br />

anche i più poveri ne possano godere.<br />

Dire piacere alimentare significa ricercare le produzioni lente, ricche di tradizione e in armonia<br />

con gli ecosistemi; significa difendere i saperi lenti, che scompaiono insieme alle culture<br />

del cibo; significa lavorare per la sostenibilità delle produzioni alimentari e quindi per la salute<br />

della Terra e la felicità delle persone.<br />

<strong>Il</strong> passaggio non è immediato, ma la storia di Slow Food lo dimostra.<br />

Da eno-gastronomi a eco-gastronomi, fino a porsi come neo-gastronomi alle prese con la cultura<br />

del cibo, in tutta la sua caotica complessità, che coinvolge le nostre vite e le vite di tutti in<br />

un intreccio di saperi e sapori che non riguardano soltanto il cibo, ma che da esso sono strettamente<br />

dipendenti.<br />

Slow Food è consapevole che uno dei nodi centrali, tra le sfide cui ci mette di fronte la post modernità,<br />

è il sistema di produzione, di distribuzione e di consumo del cibo.<br />

Stando dalla parte di chi produce, distribuisce e consuma in maniera buona, pulita e giusta il<br />

sistema può cambiare, e renderci tutti più felici, non frenetici, non omologati, non soli.<br />

Lentamente, Slow Food lavora per avere più bellezza, più piacere, più diversità nel mondo.<br />

Perché tutti possano godere del loro territorio e dei suoi frutti, perché tutti abbiano diritto alla<br />

propria libertà alimentare, in piena fratellanza e nel rispetto del pianeta su cui viviamo.<br />

FOOD DESIGN STUDIO (www.fooddesign.it)<br />

Cos’è<br />

Food Design Studio riunisce esperienze e conoscenze di Chef, Designer, Tecnologi, Chimici,<br />

Fisici e Scienziati. allo scopo di esplorare il cibo e l’alimentazione sotto tutti gli aspetti.<br />

La nostra filosofia vede il cibo come argomento di ricerca. Gli alimenti come i prodotti di Design<br />

nascono per soddisfare un’esigenza dell’uomo.<br />

L’obiettivo primario è la diffusione della cultura di progetto in campo Enogastronomico e<br />

Agroalimentare.<br />

La cultura di progetto è una vera e propria filosofia metodica di lavoro, un modo di porsi verso<br />

la propria attività.<br />

Prevede di studiare e adottare un piano che parte preventivamente in modo organizzato e<br />

ordinato da un’idea e si sviluppa per passi programmati fino ad arrivare alla realizzazione<br />

dell’obiettivo.<br />

Una volta che il progetto è testato, il programma prevede di fissare le regole che ne disciplinano<br />

la corretta riproducibilità nel tempo.<br />

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60 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

Food Design ha individuato il mezzo per raggiungere questo scopo nella progettazione di portata,<br />

disciplina questa che studia la realizzazione di Architetture Alimentari contestualizzate.<br />

La Storia<br />

<strong>Il</strong> Food Design (progettazione del cibo) è una disciplina Internazionale sviluppatasi negli ultimi<br />

anni. Recentemente in Italia è stata amplificata dal Salone Internazionale del Mobile di Milano<br />

2004 grazie alla mostra (aperta anche alla Triennale Coffedesign) Dining Design (Guida Interni<br />

Streetfood Restdesign).<br />

Celebri stilisti, Importanti Università, Ricercatori, Designer ed Aziende stanno investendo notevoli<br />

risorse nel futuro di questa nuova disciplina.<br />

<strong>Il</strong> Food Design, basa le sue regole sull’applicazione di norme derivate dalle arti visive in simbiosi<br />

con il polisensoriale. L’applicazione riguarda settori come industrial, interior e product<br />

design, spaziando dalla Mise en place, all’ambiente, sino al contenuto del piatto, il tutto concentrato<br />

per ottenere l’aura che determina il raggiungimento espressivo del regalare un emozione<br />

al proprio interlocutore.<br />

Le provocazioni di alcuni designer da un lato, l’incursione di alcuni grandi chef nelle categorie<br />

del progetto dall’altro (la cui origine risale all’invenzione della nouvelle cuisine francese di fine<br />

anni ‘70), sono stati elementi determinanti nel suscitare il grande interesse attuale per il food<br />

design, divenuto ormai materia di seminari, corsi universitari (ai Politecnici di Torino e Milano),<br />

iniziative culturali e pubblicazioni, probabili premesse a una futura frequente collaborazione tra<br />

designer, grandi chef e industria.<br />

Parlare di Design nell’alimentazione può far pensare a chi non è designer e non conosce la filosofia<br />

del Bauhaus ad una forzatura o addirittura ad un inflazionamento del termine.<br />

Chi veramente sa cosa è il Design, ossia cultura di progetto e innovazione tecnologica potrà capire<br />

quanto spazio di lavoro ancora c’è nel settore alimentare per questa disciplina trasversale.<br />

A chi mi domanda ma allora il Design può essere applicato a qualsiasi cosa? rispondo sicuramente<br />

SI.<br />

La ricerca tecnologica legata al Design e alla forma di alcuni prodotti, ne ha sicuramente garantito<br />

la fortuna: dal tradizionale cioccolato svizzeroToblerone, la cui architettura invita a<br />

un particolare gesto per spezzarne le porzioni, alle più recenti patatine Pringles, un artificio<br />

chimico-fisico-morfologico dove la fetta di patata è ricostruita in una sagoma ergonomica che si<br />

adagia sul palato e veicola le particelle che determinano il sapore solo sul lato a contatto con le<br />

papille gustative.<br />

Le famose patatine, nascono non solo per stuzzicare il palato, ma per farlo il più a lungo possibile.<br />

A questo devono la loro forma, che si adatta perfettamente alla bocca, lasciando il sapore<br />

più a lungo. E a questo serve il famoso tubo, comodo e perfetto per non schiacciare il prodotto.<br />

Poco importa che la patatina, in fondo, non sia per nulla una patatina, ma il prodotto di una<br />

farina di patata compatta.<br />

O ancora il Solero, granita che sostituisce il ghiaccio tritato con palline che si sciolgono in<br />

bocca, cambiando radicalmente la percezione del gusto.<br />

Nel caso di questi prodotti, la forma diventa l’elemento caratterizzante per identificare il prodotto.<br />

.<br />

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..Cosa può fare il Food Design?<br />

<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 61<br />

Veramente molto, i campi di lavoro sono numerosi, e la metodologia applicata ampiamente<br />

sperimentata. Le direzioni di sviluppo sono fondamentalmente 3: La progettazione per il cibo, la<br />

progettazione con il cibo e la progettazione di portata.<br />

La Progettazione di Portata<br />

Per evitare di creare squilibri di comunicazione, il campo che contiene l’alimento, deve mantenere<br />

basso l’impatto di contrasto formale con il contenuto.<br />

Per possedere un corretto impatto espressivo, la portata deve creare armonia, mantenendo<br />

un’equilibrata interazione tra il piatto e l’alimento. Occorre ricordare che in una portata è il piatto<br />

ad essere a servizio dell’alimento e non viceversa. Se un piatto produce un impatto estetico<br />

eccessivo o possiede una forza espressiva che lo fa spiccare rispetto al suo contenuto avrà la<br />

netta tendenza a sovrastarlo creando uno squilibrio di abbinamento a discapito dell’alimento e<br />

della sua presentazione.<br />

L’abbinamento è particolarmente efficace se l’interazione valorizza il risultato finale, ed ognuno<br />

degli elementi contribuisce in modo equilibrato a formare la forza espressiva alla composizione<br />

della portata (piatto blu e riso giallo, campo che cambia in funzione del contenuto... degustazione<br />

formaggi e piatto portamiele).<br />

L’interazione può avvenire anche per similitudine di appartenenza dei materiali che possono<br />

essere entrambi commestibili, quindi il piatto o strumento di portata può divenire alimento<br />

stesso...<br />

Per comprendere fino a che punto può essere determinante il rapporto tra Packaging e il contenuto,<br />

basti pensare che lo champagne non sarebbe mai esistito se la tecnologia non avesse<br />

inventato la bottiglia stampata in sostituzione a quella soffiata. La bottiglia stampata permette<br />

all’involucro di sopportare pressioni nettamente superiori rispetto a quella soffiata. In questo<br />

modo le bottiglie non esplodono quando lo Champagne inizia la fermentazione.<br />

<strong>Il</strong> rapporto tra il contenitore ed il contenuto è per Food Design il punto principale di sviluppo, e<br />

nello studio per arrivare a ciò, particolare attenzione viene prestata a materie come ergonomia,<br />

morfologia, cromatologia e composizione geometrica.<br />

Per riuscire a mantenere questo equilibrio di gusto ed estetica è necessario sposare stili come<br />

purismo, minimalismo e funzionalismo, resistendo alla tentazione degli inutili barocchismi che<br />

imperano oggi nel settore.<br />

Food Design applica la creatività e le leggi della percezione sensoriale e guarda con interesse<br />

alle ricerche effettuate dalla Gastronomia Molecolare.<br />

Gli elementi che intervengono per ottenere un’Architettura Alimentare passano per<br />

l’interazione tra campo e volume dato dalla materia alimentare tramite l’ausilio della tecnologia.<br />

Possiamo definire un prodotto Architettura Alimentare nel momento in cui grazie alla cultura di<br />

progetto, nulla è lasciato al caso e la materia alimentare è posta sul campo in base a motivi ben<br />

precisi e dimostrabili.<br />

Non ci dobbiamo fermare all’effetto, ma andare ad analizzare a fondo la causa che ha generato<br />

quell’effetto in modo da poterlo riprodurre e soprattutto controllare.<br />

Food Design non accetta una spiegazione non scientifica riguardo un determinato fenomeno,<br />

ogni processo deve essere dimostrato e documentato.<br />

<strong>Il</strong> Design è la disciplina che da sempre si è occupata di studiare e favorire il rapporto che si in-<br />

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62 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

staura tra utente e prodotto, mentre la Gastronomia Molecolare basa i suoi studi sulla chimica<br />

e la fisica, che secondo il suo fondatore Hervè This, non sono che conoscenza della materia e<br />

delle sue trasformazioni.<br />

Mission Lo scopo di Food Design è di trasformare la ricerca effettuata in cucina, studio e laboratorio<br />

in prodotti da portare sulla tavola, nei ristoranti e sugli scaffali dei supermercati.<br />

Unendo l’esperienza degli Chef con quella dei Designer è possibile con l’ausilio degli imprenditori<br />

ottenere risultati che spaziano verso nuove frontiere.<br />

L’interazione tra materia organica ed inorganica nella progettazione di portata è il fulcro degli<br />

studi del nostro movimento. La manipolazione, trasformazione e comportamento della materia<br />

organica per scopi alimentari è uno dei principali ambiti di ricerca e sviluppo. I processi e<br />

le tecnologie utili per controllare e determinare la riproducibilità di un prodotto ottenuto dalla<br />

ricerca sono il target.<br />

In Food Design si uniscono gli studi di Bauhaus e movimenti artistici come Futurismo, Espressionismo<br />

e Pop Art con quelli di nouvelle cuisine e gastronomia molecolare. In laboratorio,<br />

studio e Cucina si parla spesso di teoria del campo, cromatologia, modellazione 3D, tecnologia,<br />

chimica, ricette ecc...<br />

L’obiettivo degli studi di progetto e della ricerca di Food Design è di creare prodotti che soddisfino<br />

il più possibile le esigenze del pubblico sotto tutti i punti di vista.<br />

Per fare ciò è necessario che i Designer si occupino della parte riguardante la forma e la funzione<br />

(rapporti visivo/tattili, composizione ed ergonomia) in stretto rapporto con gli Chef che si<br />

occupano di definire quella relativa all’olfatto ed il gusto.<br />

Trattandosi di materia alimentare, un contributo fondamentale durante gli studi di Designer e<br />

Chef è quello portato da esperti Chimici e Scienziati che si occupano di tecnologia, nutrizione,<br />

salute e sicurezza.<br />

Tutto questo è Food Design, Centro di Ricerca per l’applicazione e diffusione del Design a prodotti<br />

Agroalimentari ed Enogastronomici, una chiave per iniziare la ricerca dell’emozione polisensoriale.<br />

Quando il piatto prima di arrivare in tavola passa per il tecnigrafo…<br />

Filosofia della Polisensorialità<br />

La filosofia sulla Polisensorialità è una delle ricerche più importanti che Food Design ha prodotto.<br />

Consiste in un innovativo e rivoluzionario approccio con il modo di utilizzare i sensi per la<br />

valutazione di un prodotto.<br />

Per richiedere il testo relativo alla Filosofia sulla Polisensorialità e per ricevere informazioni<br />

contatta Food Design.<br />

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2. Microrealities<br />

Si consulti www.microrealities.org & www.cibicpartners.com<br />

3. Milano Expo 2015<br />

Nuove prospettive per l’alimentazione mondiale<br />

SI consulti www.milanoexpo-2015.com<br />

<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 63<br />

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64 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

Un eco contrario<br />

<strong>Pollan</strong> e il suo progetto di ricerca: “In Defense of Food, An Eater’s Manifesto”<br />

<strong>Il</strong> libro che segue il <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro, pubblicato per ora solo negli States.<br />

Si consulti in allegato digitale il primo capitolo: In Defense of Food – Extract.pdf<br />

Di seguito riportiamo la Book Review del blog Joe Pastry ( http://joepastry.web.aplus.net )<br />

Book Review: In Defense of Food, An Eater’s Manifesto, by <strong>Michael</strong> <strong>Pollan</strong><br />

Filed under: Blog, Versus <strong>Michael</strong> <strong>Pollan</strong>— by joe @ 04:55:10 am<br />

Everybody’s had the experience: you’re standing in a line, or sitting on a train or in a bus, and<br />

you share a laugh with a complete stranger. A comment about a politician or a movie star, or<br />

some scandal in the news, and suddenly you find yourself in a conversation. The first few moments<br />

pass pleasantly enough, though as the minutes tick by you notice you’re not doing much<br />

of the talking anymore. Odd comments are made, and with increasing frequency, until you<br />

realize that you’re engaged with, for lack of a better term, a nut. A Rosicrucian say, a JFK conspiracy<br />

theorist...or a food blogger. Oh please oh please, you think behind your nodding grin,<br />

somebody get me out of here! Such, I am very sad to say, has been the trajectory of my relationship<br />

to <strong>Michael</strong> <strong>Pollan</strong>.<br />

In truth, I’d stop short of calling him a “nut”. The fellow is a fabulously talented writer. And<br />

indeed I have found much in his past work to recommend: Omnivore’s Dilemma, but especially<br />

the earlier Botany of Desire, which I consider an extraordinarily well-researched and well-written<br />

collection of essays. Sure, both contained sections that were indicative of radical leanings,<br />

but they were easy enough to gloss over, since information abounded and the prose sparkled.<br />

The diatribes grew longer in Omnivore, but how was I to know that what he was really warming<br />

up to was a full-fledged sermon? And that, unfortunately, is what In Defense of Food is: the purest<br />

distillation yet of Mr. <strong>Pollan</strong>’s thinking on nutrition and the American diet. Just like a sermon<br />

it moves fast, and is filled with angels, devils, sin, hell fire and damnation. It is also, even more<br />

so than Unhappy Meals, the New York Times Magazine article from which it sprung, extremely<br />

selective about its facts, being meant primarily for the ears of true believers.<br />

The base premise of In Defense is that nutritional science is junk, at best worthless and at<br />

worst a manipulative lie, in which nearly everyone is complicit: nutritionists, food journalists,<br />

politicians (especially George McGovern, and later the Nixon administration), regulators and<br />

nonprofits (especially the USDA, FDA and the American Heart Association), farmers, food manufacturers,<br />

advertisers…even the health care establishment. Anyone, in short, who benefits in<br />

any way, whether directly or indirectly, from the way food is grown, processed and consumed.<br />

The only people Mr. <strong>Pollan</strong> doesn’t blame for the state of the American diet are the ones who do<br />

the actual eating.<br />

“Nutritionism” is what Mr. <strong>Pollan</strong> calls it (though in fact that is Gyorgy Scrinis’ term). It can be<br />

defined as any attempt to understand foods as anything less than the total sum of their parts.<br />

To refer to, say, an apple as a repository of energy, vitamins, fiber or other nutrients is to diminish<br />

what it represents in its whole state, and open the door to commercial exploitation. This,<br />

Mr. <strong>Pollan</strong> claims, is exactly what the food industry does when it has the temerity to attempt<br />

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<strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro 65<br />

to make packaged foods healthier. “Adulteration has been repositioned as food science”, he<br />

writes, the upshot being that a whole food like a banana now has a harder time competing with<br />

say, a Lean Cuisine entrée. Seen in that light, the entire field of nutrition becomes one great enabler<br />

to commerce, providing a never-ending stream of opportunities for food manufacturers to<br />

create and sell products that make ever more outlandish health claims. It’s an argument that’s<br />

not entirely without its merits, however the logic upon which it depends is ultimately circular<br />

(we’ll get to that a bit later).<br />

His enemy defined, Mr. <strong>Pollan</strong> sets out to demolish the credibility of nutritional science, and in<br />

fact does a darn good job of it. In the chapter Bad Science he reveals the myriad shortcomings<br />

of “reductionist” single-nutrient health studies, and proceeds to trash even the most sacred<br />

of the nutritional establishment’s sacred cows: the multi-million dollar, years-long Women’s<br />

Health Initiative and the Nurses Health Study. Along the way he makes statements that are truly<br />

astonishing in their presumption and audacity:<br />

It’s important to understand doing nutrition science isn’t easy. In fact, it’s a lot harder than<br />

most of the scientists who do it for a living are willing to admit. For one thing, the scientific tools<br />

at their disposal are in many ways ill suited to the task of understanding systems as complex as<br />

food and diet.<br />

I’m sure the researchers at, say, the Johns Hopkins School of Public Health enjoy it as much as<br />

any when a non-scientist (<strong>Pollan</strong> is a professor of journalism) tells them they don’t know what<br />

they’re doing. And while this statement may in fact be true in the ultimate sense, the fact is that<br />

science is the only tool we have to evaluate the relative value — and safety — of food. Pitch out<br />

the bath water of nutritional science, and you find that more than a few babies go out with it.<br />

Mr. <strong>Pollan</strong> very shortly discovers this when he tries to posit his own arguments in favor of whole<br />

foods, which are of course every bit as reductionist and myopic. He blasts the nutritional establishment’s<br />

obsessive focus on lipids and cholesterol in one chapter, only to return a few chapters<br />

later to extol the trendy science of omega-3’s, omega-6’s and soy isoflavones. Nutritional<br />

science has a value after all, it seems, so long as it props up Mr. <strong>Pollan</strong>’s own arguments.<br />

It’s probably only fitting that a book, devoted as it is to the virtues of whole fruits and vegetables,<br />

should contain this much statistical cherry picking. Though to be fair, Mr. <strong>Pollan</strong> does heavily<br />

favor studies of the least scientific sort: the interesting but ultimately unenlightening research<br />

on Australian Aborigines by Kerin O’Dea, and the work of early 20th century scientific pariahs<br />

Westin Price and Albert Howard. All are heavily populated with Rouseauian noble savages living<br />

in unspoiled freedom from the ravages of the modern diet, yet none provide any real insight<br />

into what exactly it is that results in their comparatively low incidence of Western maladies like<br />

obesity, diabetes, and cancer (their comparatively high incidences of Third World maladies like<br />

infectious disease, child mortality and truncated lifespan are conveniently omitted).<br />

Which brings me to my chief complaint about In Defense of Food, Mr. <strong>Pollan</strong>’s near-total obsession<br />

with the what of the Western diet. Hyperventilating over that, he almost completely glosses<br />

over the how much. Might not the volume of food consumed have something to do with the<br />

so-called “Western diseases”? Might not obesity (to say nothing of diabetes, hypertension and<br />

heart disease) be at least as much a result of overindulgence (a clear factor of wealth) as about<br />

food quality? And what about other possible causes? Exercise is scarcely mentioned in the book,<br />

yet not a doctor I’ve ever encountered considers it to be something we Westerners get nearly<br />

enough of. Occupational stress is another of the great hazards of Western-style living, yet it<br />

goes entirely unmentioned. How about smoking? The bell curve that describes the increase,<br />

then fall-off, of smoking in America corresponds almost exactly with the national incidence of<br />

heart attack, yet it receives only the most cursory nod.<br />

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66 <strong>Il</strong> <strong>dilemma</strong> dell’onnivoro<br />

That said I don’t wish to minimize the seriousness or the impact (human and economic) of the<br />

so-called “Western diseases”. They are the maladies that we in the West mostly die from vis-àvis<br />

the maladies that people in other cultures die from. Thus it is both fair and right to ask ourselves<br />

“why?” and look for a cause. The problem I have with Mr. <strong>Pollan</strong> is that he seeks to prove<br />

that the sole cause of these diseases is dietary, a reductive error on par with any he criticizes in<br />

the book.<br />

On a more minor note, In Defense is riddled with aggravating factual errors: the claim that<br />

trans fats are a “biological novelty” (when in fact 5% of the fat in the milk or meat of any ruminant<br />

animal is composed of trans fat), the assertion that the main reason white flour was created<br />

was for fashion’s sake (the reality being that unlike whole wheat flour, it doesn’t go rancid)<br />

and the implication that the human body is somehow biologically pre-adapted to fresh corn, a<br />

New World crop that the wider world had no experience with prior to the Age of Exploration.<br />

Furthermore it is peppered with cheap cynicism, of which but one example is this testy aside:<br />

No doubt we can look forward to a qualified health claim for high-fructose corn syrup, a tablespoon<br />

of which probably does contribute to your health — as long as it replaces a comparable<br />

amount of, say, poison in your diet and doesn’t increase the total number of calories you eat in a<br />

day.<br />

Forget that there isn’t a shred scientific evidence to support a statement this preposterous (a<br />

fact he lately admitted), it’s just plain embarrassing. But then In Defense of Food isn’t a serious<br />

piece of either scholarship or journalism, it’s a screed. It’s intended targets are the ears<br />

of the faithful, not the critical reader or thinker. Though I should also add to that short list of<br />

demographics “the fearful” for another key point <strong>Pollan</strong> admitted at a recent live event here in<br />

Louisville is that he elected to promote his local/organic foods movement’s policy aims from<br />

the vantage of health “because people think a lot about their health and worry a lot about their<br />

health”. By his own words then, his decision to appeal to the public on the basis of their health<br />

concerns was strategic in nature.<br />

There’s a word for a style of writing that selectively plays upon fears in pursuit of broader political<br />

objectives: propaganda. There’s also a word for a person who perceives the world as one<br />

gigantic racket that everyone — from the president to your doctor on down to the corner grocer<br />

— is in on but keeps secret from you: paranoid. Put those two things together, and well, I’m not<br />

entirely sure what you have, but whatever it is it sure ain’t science, and it definitely isn’t helpful<br />

for dealing with the real issues facing a small planet with steadily growing numbers of hungry<br />

mouths (at least through about 2050, at which point they will level off and begin to decline).<br />

There’s a point in the book where Mr. <strong>Pollan</strong> exults that thanks to the modern local foods movement<br />

it is now possible to enjoy the benefits of Western civilization while at the same time opting<br />

entirely out of the Western diet. Personally, I find the elitism inherent in that notion appalling.<br />

Yet in a free society it is the prerogative of everyone to do just that should they wish to, and<br />

if they can afford it. I think I’d find that sort of permanent opposition to our food culture to be<br />

a rather sad — not to mention stark and lonely — way of living (there’d be no pastries for one<br />

thing). The best advice I’ve ever heard on the subject of eating, and you hear it a lot in medical<br />

circles, is to “eat a mix”. Supplemented with moderation and exercise, I can think of no better<br />

regimen for utilizing — and enjoying — all that our modern food system (including the new local<br />

food system) has to offer.<br />

Per gli articoli, approfondimenti di <strong>Michael</strong> <strong>Pollan</strong> si consulti:<br />

http://michaelpollan.com/<br />

Video: youtube.com digitando “<strong>Michael</strong> <strong>Pollan</strong>”<br />

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