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0949-9 interno (VERIFICA INCORPORAZIONE) - Aracne editrice

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Astrid Pellicano<br />

geografia e storia dei<br />

TRATTURI DEL<br />

MEZZOGIORNO<br />

Ipotesi di recupero funzionale di una risorsa antica<br />

Prefazione di<br />

Simonetta Conti<br />

ARACNE


Copyright © MMVII<br />

ARACNE <strong>editrice</strong> S.r.l.<br />

www.aracne<strong>editrice</strong>.it<br />

info@aracne<strong>editrice</strong>.it<br />

via Raffaele Garofalo, 133 A/B<br />

00173 Roma<br />

(06) 93781065<br />

ISBN 978–88–548–<strong>0949</strong>–9<br />

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,<br />

di riproduzione e di adattamento anche parziale,<br />

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.<br />

Non sono assolutamente consentite le fotocopie<br />

senza il permesso scritto dell’Editore.<br />

I edizione: febbraio 2007


E vanno per tratturo antico al piano;<br />

quasi per un erbal fiume silente,<br />

sulle vestige degli antichi padri.<br />

(Gabriele D’Annunzio, I pastori)


INDICE<br />

Prefazione di Simonetta Conti p. 9<br />

Introduzione p. 13<br />

Capitolo I - L’evoluzione storica dei tratturi e del sistema pastorale<br />

dell’Appennino centro-meridionale<br />

1.1 Dall’età romana agli Angioini; 1.2 Gli Aragonesi e la costruzione delle<br />

arterie tratturali; 1.3 Il viceregno spagnolo; 1.4 La monarchia borbonica;<br />

1.5 I francesi; 1.6 Il ritorno dei Borbone; 1.7 L’Unità d’Italia; 1.8 Il<br />

XX secolo e gli ultimi cambiamenti<br />

Capitolo II - L’evoluzione dei tracciati nella cartografia e la<br />

toponomastica pastorale del Regno di Napoli-delle Due Sici-<br />

lie<br />

2.1 I tracciati tratturali nella cartografia; 2.2 I termini geografici del<br />

mondo pastorale del Regno di Napoli<br />

7<br />

p. 17<br />

p. 115<br />

Capitolo III - L’ambiente fisico e il paesaggio agrario p. 175<br />

3.1 L’ambiente fisico; 3.2 Il paesaggio agrario<br />

Capitolo IV - Nuove opportunità di sviluppo per i Tratturi tra<br />

economia agro-pastorale, industria e turismo<br />

4.1 Le vie armentizie oggi; 4.2 Il paesaggio dei tratturi e della transumanza<br />

nel XXI secolo; 4.3 Le razze ovine meridionali, i prodotti tipici e i costumi<br />

pastorali, l’artigianato; 4.4 I progetti Integrati e “le vie dei parchi”<br />

per un turismo culturale<br />

p. 209<br />

Conclusioni p. 253<br />

Bibliografia p. 255


Prefazione<br />

Mezzogiorno d’Italia: queste parole spesso sbrigativamente dette o<br />

scritte e che nell’intenzione di chi le pronuncia pretendono di indicare,<br />

nella sua diversità, un’unica realtà nella sua complessità fisica, storica<br />

ed economica, sono il denominatore comune del fenomeno geografico,<br />

storico ed economico descritto in questo libro e che ha le sue origini<br />

molto lontano nel tempo e che ha avuto il grave onere di essere<br />

uno degli assi portanti della vita economica di tutti i governi succedutisi<br />

in lunghi secoli nel sud d’Italia, la transumanza.<br />

Questa parola farà tornare alla mente di molte persone i versi di una<br />

celeberrima poesia di Gabriele d’Annunzio, l’Immaginifico poeta nato<br />

in terra d’Abruzzo, che ha immortalato quel fenomeno che ben conosceva,<br />

la migrazione temporanea che interessava quasi tutte le regioni<br />

del sud, attraverso un fittissimo reticolo di strade erbose, mettendo in<br />

comunicazione le une con le altre al ritmo lento dell’avanzare delle<br />

greggi ovine.<br />

L’allevamento ovino è documentato fin dalla più lontana antichità<br />

in molte aree europee, basti pensare ai Re pastori dell’Ellade, alle popolazioni<br />

pastorali dell’Italia arcaica, e ai Romani, sotto il cui governo<br />

la rete dei percorsi divenne fissa. Tra le sue maglie sorsero città importanti<br />

per i commerci, come Sepino romana, oggi ampiamente riscoperta<br />

dall’archeologia, e sorta su un decumano che fungeva da tratturo.<br />

9


10<br />

Prefazione<br />

M. Terenzio Varrone nel suo De Re Rustica scriveva: «Itaque greges<br />

ovium longe abigintur ex Apulia in Samnium aestivatum…». In<br />

secoli più vicini a noi l’allevamento ovino transumante divenne una<br />

pratica codificata sia in Castiglia che in Aragona, servita da modello<br />

agli allevamenti italiani, sia quello dello Stato della Chiesa che quello<br />

del Regno di Napoli. Particolarmente importante risultò anche<br />

l’incremento e il miglioramento delle razze ovine, da quella greca reclamizzata<br />

da Plinio: «Lana autem laudatissima Apulia et quae in Italia<br />

Greci pecoris appellatur, alibi Italica», alle merinos, introdotte da<br />

Alfonso d’Aragona e denominate Gentili in Italia.<br />

Questa pratica è stata per molti secoli la spina dorsale<br />

dell’economia delle regioni meridionali, irreggimentata da una ferrea<br />

legislazione le cui radici risalgono ai re normanni Guglielmo I il Malo<br />

e Guglielmo II il Buono, rinverdita nelle Constitutiones di Melfi del<br />

1231 di Federico II ed infine ulteriormente codificata da Alfonso<br />

d’Aragona nel 1447 con lo Statuto De jurisdictiones Regiae Dohanae<br />

menae pecudum Apuliae, che ben sapeva, per conoscenza diretta,<br />

quanto quel «Mare d’Erba» potesse rendere.<br />

Il lungo scorrere dei secoli porterà però alla luce i molti problemi<br />

che questo sistema di allevamento recava in sé e che sfociarono in un<br />

contrasto, sempre più aspro, tra le popolazioni residenti che reclamavano<br />

parte dei terreni per le coltivazioni e i grandi latifondisti, i proprietari<br />

delle greggi e i pastori che dall’agricoltura avevano solo un<br />

nocumento. Tutto ciò, unito alla presenza di un territorio fragile e difficile<br />

allo stesso tempo, e a fenomeni malarici, sfocierà nel XVIII secolo<br />

in un contraddittorio tra i fautori e i contrari alla pratica della<br />

transumanza, preludio della più complessa questione meridionale, esplosa<br />

in tutta la sua virulenza dopo l’annessione del Mezzogiorno allo<br />

stato unitario.<br />

La transumanza in realtà è stata molto di più che non solo<br />

un’entrata economica. Idee, modi di vita, usi e costumi si sono trasferiti<br />

da un capo all’altro della lunga strada nel corso dei secoli, basti<br />

pensare al modo di costruire (le tipiche Pajare abbruzzesi altro non<br />

sono se non la trasposizione dei trulli di Puglia), alla toponomastica,<br />

alla fede semplice e popolare che si rinnovava nei piccoli luoghi di<br />

culto eretti lungo le strade, allo scambio dei cibi e il modo di cucinarli<br />

e a tanti altri vicendevoli scambi.


Prefazione<br />

Quale la ragione di un nuovo libro sulla transumanza? Tante opere<br />

sono state edite sul tema, di carattere storico, legislativo, economico,<br />

antropologico e anche geografico; e in quest’ultimo caso non si può<br />

non ricordare l’opera di Luchino Franciosa e la sua puntuale ricostruzione,<br />

nell’ormai lontano 1951, della rete tratturale.<br />

Il libro qui presentato è un’opera nuova in questo panorama, dal<br />

momento che l’autrice affronta il problema sotto i suoi molteplici aspetti,<br />

da quelli storico-politici strettamente connessi all’analisi geografica<br />

di un territorio aspro, difficile e nello stesso tempo fragile,<br />

all’analisi della cartografia storica di riferimento, mediante gli Atlanti<br />

delle Locazioni, e alla puntuale ricognizione dei tracciati viari eseguita<br />

sulla monumentale Carta del Regno di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni,<br />

mentre un’attenta analisi toponomastica è stata fatta con l’esame<br />

della moderna cartografia IGM, per ritrovare quanti dei termini legati<br />

a questa pratica siano sopravvissuti sul terreno e quindi per una attenta<br />

lettura della storia di un territorio e della sua evoluzione, vista attraverso<br />

una dinamica economica e sociale molto particolare.<br />

Se la transumanza nelle forme classiche in cui è conosciuta è ormai<br />

scomparsa quasi ovunque sulle terre delle regioni meridionali, lasciando<br />

dietro sé un retaggio amplissimo di usi e di ricordi, perché si è<br />

chiesta l’autrice non renderli di nuovo vivi e economicamente appetibili?<br />

Ancora molti sono i chilometri tuttora percorribili sia dei tratturi<br />

principali, come dei tratturelli, e dei bracci, che potrebbero convertirsi<br />

in percorsi di trekking come di passeggiate a cavallo, così come in<br />

piedi sono ancora molti dei ricoveri pastorali che potrebbero essere ristrutturati<br />

in agriturismi e alberghi, pronti ad accogliere una clientela<br />

che sempre più va alla ricerca di pace, di tranquillità e di paesaggi poco<br />

frequentati, per immergersi nella contemplazione della natura.<br />

E’ questo il secondo importante e ponderoso lavoro che l’autrice<br />

dedica al Mezzogiorno del quale aveva tracciato, nel volume frutto<br />

della sua tesi di dottorato, Terre e Confini del Sud, l’articolata e intricata<br />

storia amministrativa che ha visto il territorio frazionarsi in circondari,<br />

province, comuni, con frequenti spostamenti di confini, cambi<br />

di nomi, e addirittura soppressione di province e accorpamenti con<br />

regioni contermini. E’ indubbio che quel lavoro che le è valso il riconoscimento<br />

del Premio Ferro, da parte della Società Geografica Italia-<br />

11<br />

11


12<br />

Prefazione<br />

na, le ha permesso di muoversi con agilità e scientifica preparazione,<br />

su un problema complesso come quello dell’allevamento transumante<br />

e della conseguente gestione del territorio. Proprio la conoscenza delle<br />

dinamiche storiche, economiche e sociali che si sono susseguite nel<br />

tempo possono permettere oggi una migliore e più efficace fruizione<br />

di aree che, dall’Abruzzo alla Puglia, rischiano o di essere completamente<br />

abbandonate con il conseguente disgregamento dell’equilibrio<br />

naturale, o al contrario, in quelle più facilmente raggiungibili, un eccessivo<br />

sfruttamento dal punto di vista urbanistico.<br />

Simonetta Conti


Introduzione<br />

Nel Mezzogiorno Continentale d’Italia, sin da tempi remoti, esisteva<br />

una pratica pastorale così come documentata dagli storici latini che<br />

raccontano di una transumanza dalla Daunia verso l’Abruzzo in periodo<br />

estivo e viceversa durante l’inverno. Non era agevole spostarsi a<br />

piedi, pertanto durante il Basso Medioevo venne creato un sistema di<br />

comunicazione ben congegnato e interconnesso, costituito da tratturi,<br />

tratturelli e bracci (per permettere di spostarsi da un tratturo all'altro), i<br />

primi con andamento pressoché rettilineo, in senso nord-sud, in ragione<br />

della loro funzione. I tratturi più importanti anche per estensione<br />

furono: Aquila-Foggia, Celano-Foggia, Pescasseroli-Candela e Lucera-Castel<br />

di Sangro (lunghi tra 243 e 127 km).<br />

Originati esclusivamente dall’esigenza di collegare il luogo di partenza<br />

con il luogo di arrivo della transumanza, sono diventati utili per<br />

unire i vari centri abitati, da essi toccati (a volte in parte attraversati),<br />

secondo un modello gerarchico che li considerava assi primari del sistema<br />

di comunicazione (insieme con sentieri e piccoli bracci minori,<br />

gli assi secondari); e quindi mezzo insostituibile di comunicazione fra<br />

popoli per la trasmissione di usi, tradizioni, forme culturali e modelli<br />

espressivi.<br />

Furono le "autostrade delle pecore", dei riposi, dei luoghi di fiera e<br />

di mercato che stimolarono l’industria della lana e il commercio dei<br />

prodotti della pastorizia (animali, latte/formaggi e carne) e, quindi, fa-<br />

13


14<br />

Introduzione<br />

vorirono lo sviluppo delle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata<br />

e Puglia: centri abitati sorsero nei territori attraversati, in rapporto<br />

alle opportunità di scambi, con sedi di culto e del potere amministrativo.<br />

Tutti i tratturi erano ben visibili, contrassegnati da segni evidenti<br />

(lapidi o siepi), opere infrastrutturali per garantire la percorribilità<br />

(ponti), manufatti di servizio per pastori e greggi (fontane); immobili<br />

per il ristoro (taverne); immobili e manufatti per la devozione religiosa<br />

(chiese, santuari, edicole e croci viarie). Elementi esterni, molti dei<br />

quali ancora visibili, in parte in forma quasi integra, in parte compromessi,<br />

fagocitati dalla vegetazione spontanea o demoliti per fare posto<br />

a tralicci, edifici residenziali e infrastrutture per la viabilità.<br />

Il loro ruolo e l’importanza rivestita per la storia economica, sociale<br />

e culturale delle cinque regioni meridionali da essi attraversate non<br />

è sfuggita. Tanto che si continua a legiferare per la loro salvaguardia e<br />

si lanciano idee per interessanti itinerari culturali o per un riuso a fini<br />

turistici e di sviluppo di alcuni centri minori ancora in parte attraversati<br />

da queste piste. Costituiscono una ricca fonte di tradizioni, di cultura<br />

storica e di civiltà rurale, nonché elemento di notevole valore ambientale<br />

e paesaggistico.<br />

Non ha più il valore di una volta la produzione della lana per la<br />

scomparsa dell’allevamento e delle trasformazioni fondiarie del Tavoliere,<br />

per l’esodo dai centri della borghesia fondiaria, per la perdita di<br />

funzione e di valore della produzione artigiana rispetto alla produzione<br />

industriale e quindi per la disoccupazione e soprattutto per la concorrenza<br />

estera. Alcuni opifici importanti nel Sud sono entrati in crisi<br />

subito dopo l'Unità per la caduta delle barriere doganali.<br />

Vanno però rivalorizzandosi i prodotti caseari e alcune specie di animali,<br />

ormai diventati stanziali.<br />

Questo studio vuole essere un utile riferimento per quanti si dedicano<br />

a ricerche sulla nostra storia passata e vogliano soffermarsi su alcuni<br />

elementi (tracciati ed edifici dismessi) che costituiscono una<br />

memoria preziosa del loro tempo, da tutelare, recuperare e riadattare; e<br />

per quanti si occupano di civiltà rurale. Le vecchie strutture immobiliari<br />

e i prodotti tipici legati alla tradizione transumante oggi costituiscono<br />

un volano per la rinascita del settore agricolo in associazione al comparto<br />

turistico.


Introduzione 15<br />

Il lavoro inizia con una ricostruzione storico-economica del sistema<br />

pastorale e dei tracciati a partire dal periodo romano; soffermandosi in<br />

modo particolare sul periodo a partire dal quale queste piste sono state<br />

ben strutturate (1447), e sulla descrizione che se ne ricava dall’Atlante<br />

del Regno di Napoli (1789-1832) del Rizzi Zannoni, il primo più chiaro<br />

ed esaustivo. Segue un’analisi dell’ambiente fisico e del paesaggio<br />

agrario dell’Appennino centro-meridionale utile a comprendere quanto<br />

le trasformazioni economico-territoriali ed agrarie abbiano influito<br />

sulla “scomparsa” di buona parte dei tracciati e dell’“industria” nel<br />

Regno di Napoli. Lo studio trova la sua conclusione con la descrizione<br />

dello stato attuale dei tracciati secondo le ricostruzioni del 1959 e del<br />

1998, e con le iniziative per una messa in valore o riuso (anche se non<br />

per la transumanza o per il recupero dell’industria laniera come fonte<br />

economica di rilievo) promosse alle diverse scale per il tramite di leggi<br />

nazionali e regionali e progetti su fondi europei.<br />

Nel corpo del testo sono state inserite diverse tabelle con informazioni<br />

relative a patrimonio ovino, produzione laniera ed agropastorale,<br />

prezzi e introiti doganali/statali nell’arco temporale (1443-<br />

2000); numerose carte di riferimento storiche relative alle piste armentizie<br />

e ai flussi e una attuale; carte amministrative con relativa legenda<br />

comunale evidenzianti i comuni toccati dai tracciati tratturali, e carte<br />

fisiche delle cinque regioni del Mezzogiorno continentale. Infine, un<br />

appendice con tutti i termini geografici relativi al mondo pastorale.


CAPITOLO I<br />

L’EVOLUZIONE STORICA DEI TRATTURI E DEL<br />

SISTEMA PASTORALE DELL’APPENNINO<br />

CENTRO-MERIDIONALE<br />

I tratturi sono le particolari vie erbose nate con la transumanza percorse<br />

da uomini e greggi, che per secoli hanno modificato l’intero<br />

spazio territoriale attraversato; della montagna con insediamenti temporanei<br />

e aumenti di densità di popolazione, e della pianura con<br />

l’organizzazione e gestione dell’allevamento e delle attività economiche<br />

connesse. Presentavano un maggiore sviluppo in pianura perché la<br />

morfologia del terreno era più idonea alla pastorizia, mentre verso i<br />

monti si riducevano di numero.<br />

Nel Mezzogiorno sono nati con confini non ben definiti almeno fino<br />

all’età di Mezzo e fino all’avvento del governo borbonico, quando<br />

si sono allungati i quattro tratturi andati a costituire la spina dorsale<br />

del sistema armentizio: Aquila-Foggia, Celano-Foggia, Lucera-Castel<br />

di Sangro, Pescasseroli-Candela. Sono stati delimitati da termini lapìdei<br />

1 (blocchi di pietra squadrati, divisi in principali, propri e fissi, e in<br />

casuali ed amovibili) con scolpite le lettere R.T. (Regi Tratturi) e un<br />

numero (ASFg, 1987).<br />

Il loro ruolo di strade della transumanza è passato attraverso fasi<br />

cicliche e si è esaurito negli ultimi due secoli, non dovendo più soddisfare<br />

le diverse esigenze di movimento, di sosta e di alimentazione<br />

delle greggi.<br />

Persistono ancora ma sono pochi, fortemente ridotti nelle dimensioni<br />

e solo in parte utilizzabili. Fra le cause:<br />

la deficienza numerica di pastori, sempre più rari; soprattutto di quelli qualificati<br />

capaci, non soltanto di condurre le greggi, ma di curarle e sorvegliarle<br />

nelle esigenze specifiche delle singole categorie; la censuazione di molte terre<br />

del piano per la necessaria trasformazione agraria, terre che costituivano i<br />

più grandi pascoli saldi utilizzabili d’inverno dalle numerose greggi<br />

1 I primi furono posti nel 1574, gli ultimi nel 1884.<br />

17


18<br />

Capitolo I<br />

Appendice A - I quattro “macroregi Tratturi” e il loro percorso<br />

- l’Aquila-Foggia (detto “Tratturo del Re”, lungo 244 km), era il più vicino al mare. Partiva dalla<br />

città di L’Aquila e proseguiva attraversavando i territori di Petacciato, Montenero di Bisaccia, Termoli,<br />

Guglionesi, Portocannone, Campomarino e San Giacomo degli Schiavoni. Costeggiando l’Aterno, passava<br />

tra il Castello di Pietranico e quello di Ripalta (situato nello stesso territorio del paese), fino a Corvara<br />

e Forca di Penne nei piani di Ansidonia dove sostava; ripartiva poi per Santa Maria di Collemaggio di<br />

L’Aquila, transitando per Capestrano, Navelli e Caporciano. Deviava in località ponte delle fascine di<br />

Rosciano, dopo aver attraversato il territorio di Alanno (in località S. Maria delle Grazie) e la dorsale<br />

Ciappino di Pietranico (in località Santa Maria della Croce) e passava a sud est del Borgo pietranichese.<br />

Dopo S. Pio delle Camere le greggi potevano percorrere una delle due seguenti piste parallele: Manoppello-Guardiagrele-Montenegro<br />

e Bucchianico-Chieti-Lanciano. Quest’ultimo raggiungeva il mare a nord di<br />

Punta di Penna per poi allontanarsene e aggirare Vasto e Termoli. I due percorsi si ricongiungevano presso<br />

Serracapriola e, passando presso San Severo, raggiungevano Foggia.<br />

- il Celano-Foggia (207 km). Questo tratturo aveva inizio a Celano, proseguiva fino a Sulmona, da<br />

dove le greggi, seguendo un tracciato <strong>interno</strong>, l’aggiravano e raggiungevano i riposi di Casale e Taverna<br />

del Piano presso Rivisondoli dove sostavano. Il percorso toccava le alte valli del Trigno e del Biferno<br />

fino alle alte colline del Larinese, e, da qui, passando attraverso il Subappenino Dauno, raggiungeva prima<br />

Lucera e dopo 15 km Foggia.<br />

- il Lucera-Castel di Sangro (127 km). Si dirama[va] dal Celano-Foggia a sud di Lucera; taglia[va]<br />

le vallate dei torrenti che scende[vano] al Salsola, si inerpica[va] sulle colline di Volturara, attraversa[va]il<br />

Fortore entrando nel Molise, ove segui[va] per un buon tratto il Tappino lasciandolo a Campo di<br />

Pietra; volge[va] a nord per le colline settentrionali di Campobasso, passa[va] il Biferno, sali[va] all’alta<br />

valle del Trigno e, proseguendo fra Carovilli e Roccasicura, raggiunge[va] la Bocca di Forlì passando<br />

attraverso molti centri fortificati (Gambatesa, Campobasso, Oratino, S. Stefano, Castropignano, Duronia,<br />

Pescolanciano, Roccasicura) e si innesta[va] al Pescasseroli-Candela presso il torrente Zittola.<br />

- il Pescasseroli-Candela (211 km). Gli armenti che seguivano questo percorso, partivano dal territorio<br />

di Pescasseroli, raggiungevano Castel di Sangro, da dove seguivano altri due tracciati (il primo passava<br />

per i monti del Matese e comprendeva i tre riposi di Colle della Guardia, di Casanicola e di Santa<br />

Margherita - posti tra Isernia e Vinchiaturo - e quello di Casalbore - presso Ariano Irpino - toccava Rocchetta<br />

Sant’Antonio e raggiungeva la locazione di Canosa; il secondo, Lucera-Castel di Sangro, aveva un<br />

percorso sannitico - Pescolanciano-Castropignano-Campobasso - prima di entrare nel territorio di Lucera,<br />

che aggirava a sud-ovest, per raggiungere Foggia).<br />

Iniziava il suo tracciato dal Piano delle Cinque Miglia, che fungeva da collettore di percorsi naturali<br />

minori appenninici (con la sorgente del fiume Sangro e, ad occidente, Santa Maria di Canneto, nel cuore<br />

dei monti delle Mainarde dove era il tempio della dea Mefite). Dopo aver attraversato il territorio di Aufidena<br />

il tragitto proseguiva verso meridione dove, all’altezza del ponte della Zittola sul fiume Sangro, si<br />

collegava al tratturo Lucera-Castel di Sangro. Continuando nel suo percorso, il tratturo "Pescasseroli-<br />

Candela" giungeva presso Aesernia (Isernia), dove ancora si tramanda la memoria di un antico mercato<br />

del bestiame proprio in un’area fuori dalle mura cittadine a ridosso del percorso tratturale. Proseguiva per<br />

il “pagus” (territorio) Samnium nei pressi delle sorgenti del fiume Volturno e si snodava lungo la Valle<br />

dei Pentri, attraversando alcune aree sacre (Castelpetroso, Sant’Elena Sannita, Spinete, Colle d’Anchise,<br />

Vinchiaturo, San Giuliano del Sannio), fino a giungere presso Bovianum e le sorgenti del Biferno. Attraversando<br />

il territorio che conduce verso sud, il tratturo arrivava a Saepinum (anch’esso in piano, nel punto<br />

dove la direttrice tratturale incontrava il tragitto che collegava l’”arx” di Terravecchia - Saipins con le<br />

sorgenti del fiume Tammaro). Il tracciato raggiungeva poi La Civita (dove si ergevano i sacri templi protetti<br />

da una poderosa cortina di mura poligonali) e Terravecchia e, oltrepassando il territorio di Benevento,<br />

sfociava negli immensi pianori apuli, nelle colline dell’estremo sud del Tavoliere (Ortanova, Cerignola,<br />

Stornara e l’Ofanto) fino a Candela.<br />

Fonte: Franciosa, cit., 1951, pp. 49ss.<br />

ridiscendenti dai monti; i prezzi dei prodotti e i diminuiti traffici commerciali<br />

per la concorrenza tra i vari paesi, i pesi fiscali, imposti in base al diffuso


L’evoluzione storica dei tratturi e del sistema pastorale 19<br />

concetto che la pecora renda in un anno un frutto equivalente al suo valore<br />

capitale (Franciosa, cit., 1951, p. 15).<br />

Più rilevanti, la crescita delle sedi umane per effetto del cambiamento<br />

socio-economico, l’incremento delle infrastrutture viarie e ferroviarie<br />

e la forte riduzione del manto boschivo.<br />

Da qualche tempo sono oggetto di studio, non tanto per una ripresa<br />

del fenomeno transumante 2 (anche se non se ne disdegna l’idea per la<br />

ricostituzione del prezioso manto boschivo), quanto per la messa in<br />

valore della memoria storica e per un loro riuso per fini turistici; considerando<br />

anche che alcuni di essi ricadono all’<strong>interno</strong> dei vari Parchi<br />

Nazionali e Regionali 3 , dove vanno promuovendosi i prodotti tipici<br />

legati al fenomeno e le attività agrituristiche. E, soprattutto, perché<br />

l’intera rete infrastrutturale racchiude diversi ambiti paesaggistici, ricadenti<br />

nelle cinque regioni, ciascuna con proprie peculiarità naturali<br />

ed antropiche.<br />

1.1 Dall’età romana agli Angioini<br />

Non è chiaro quando e come sia nata la pastorizia transumante in<br />

Italia 4 ; quel che è certo è che il fenomeno è molto antico, rientrando,<br />

più dell’agricoltura, nel quadro della vita dei popoli dell’Appennino<br />

2 Ovunque “la transumanza lunga si è trasformata in trasmigrazione locale o in<br />

allevamento stanziale, là dove i miglioramenti apportati alla tecnica agricola, e particolari<br />

orientamenti di gestione, hanno offerto la possibilità di approvvigionamenti di<br />

scorte foraggere sufficienti a coprire il fabbisogno nei mesi di mancanza di erbe pascolive<br />

per le condizioni climatiche” (FRANCIOSA, cit., 1951, p. 15).<br />

3 Il PN d’Abruzzo, Lazio e Molise; il PN del Gran Sasso-Monti della Laga; il<br />

PN della Maiella; il PR Sirente-Velino; il PR del Matese; il PN del Gargano;<br />

il PN Alta Murgia; il PNR “Bosco Incoronata”) (cfr. capitolo IV e Appendice<br />

L). 4 Bisogna ricordare che il fenomeno transumante a carattere stagionale non era<br />

tipico soltanto dell’Italia meridionale, nel resto d’Italia erano noti i pascoli maggiori<br />

nelle zone montane liguri fino al Nizzardo; umbro-marchigiani e dell’Agro Romano;<br />

quelli minori veneti, piemontesi, senesi, calabresi, siciliani e sardi. All’estero (vecchio<br />

continente) si distinguevano quelli in Spagna, (Aragona, Castiglia, Andorra); in<br />

Francia, nei Carpazi meridionali, in Corsica, in Svizzera, nella Germania meridionale,<br />

in Scozia; nonché nei Balcani e in Algeria.


20<br />

Capitolo I<br />

costretti dalle condizioni fisiche, sociali ed igieniche. E’ noto che la<br />

pecora è stata uno dei primi animali addomesticati, capace di supplire<br />

a tutti i bisogni di prima necessità, dal vitto al vestiario, come scrisse<br />

Columella nel libro 7, capo 2:<br />

Post mojores quadrupedes ovilli pecoris secunda ratio est, quae prima fit si<br />

ad utilitatis magnitudinem referas. Nam id praecipua nos contra frigoris violentiam<br />

protegit, corporibusque nostris liberaliora praebet velamina. Tum<br />

enim casei, lactisque abundantia non solum agrestes saturat, sed etiam elegantium<br />

mensas jacundis. E numerosis dapibus exornat (Rosati, 1808, p.<br />

170).<br />

Come ci narrano i georgici latini Varrone 5 , Virgilio 6 e Plinio il<br />

Giovane 7 , ai quali si devono le prime notizie documentate (anche se<br />

non in modo sufficiente), durante il periodo sannitico 8 esisteva una<br />

pratica pastorale con la sua “industria” coinvolgente Appuli e Lucani.<br />

Credito singolare avevano i velli di Taranto e di Mileto (bianchi e<br />

morbidi), di Canosa (di colore fulvo) 9 , della Japigia (attuale provincia<br />

5 “… quelle greggi, che si fanno pascolare nelle terre salde, e che son lontane<br />

dalle case, portan seco graticci, reti per costruire delle chiuse in luoghi solitari ed<br />

ogni altro utensìle; perché si vuole condurle a pascolare in luoghi lontani ed anche<br />

tra di essi distanti ed avviene non di rado che i pascoli dell’inverno sieno lontani<br />

molte miglia da quelli dell’estate... La maggior parte dimora durante l’inverno nella<br />

Daunia e nella Bruzia e passa prima di cominciar l’estate nel Sannio e nella Lucania<br />

ove i vicini monti e boschi prestano loro frescura e pastura in molta copia… Tra<br />

questi luoghi vi sono dei pubblici sentieri (calles pubblicae), che congiungono le pasture<br />

distanti” (VARRONE, 118 a.C., II).<br />

6 “…Le menano al pascolo in diradate foreste e lungo correnti copiose, dove il<br />

muschio, la riva, che erbosa verdeggia, e una grotta fanno riparo e l’ombra ricade dai<br />

monti” (VIRGILIO, Georgiche, III, pp. 143-147).<br />

7 In una sua lettera del I sec. d.C. parla dei multi greges ovium che ammirava nel<br />

corso dei suoi viaggi da Roma in Puglia dove aveva una villa (PAONE, 1987).<br />

8 Secondo le indagini di Valerio Cianfarani (1970), anche in età preistorica la<br />

Daunia era l’epicentro di fenomeni di transumanza essendosi riscontrate tracce di<br />

risalita estiva di greggi da pascoli dell’attuale Puglia verso alture abruzzesi.<br />

9 Plinio il Vecchio nel suo Naturalis Historia libri XXXVII, Venezia, I, 1784,<br />

lib. VIII, cap. 73 (48), p. 323 esprime il suo apprezzamento sulla lana pugliese: lana<br />

autem laudatissima Apula et quae in Italia graeci pecoris adpellatur, alibi Italica.<br />

Anche se ammette che quella lana, essendo di fibra corta, era adatta solo alla confezione<br />

di mantelli: apulae breves villo, nec nisi paenulis celebres.


L’evoluzione storica dei tratturi e del sistema pastorale 21<br />

di Lecce) 10 e della Basilicata 11 ; apprezzate erano anche le lane<br />

dell’Alta valle del Liri dove si erano diffuse le gualchiere 12 . La lavorazione<br />

era affidata alle donne 13 .<br />

Mancando all’epoca le strade e in presenza di frequenti guerre per<br />

le conquiste territoriali, è facile credere che l’allevamento fosse in<br />

forma semplice stanziale con movimenti localizzati tra le vallate e i<br />

rilievi montuosi.<br />

Con i Romani l’“economia dei pascoli alternati” 14 si rafforzò. Favorita<br />

dall’incolto, dall’abbandono di alcune terre da parte dei contadini<br />

e dal formarsi del latifondo che accoglieva sempre più greggi capaci<br />

di spostarsi da una località all’altra, conobbe una prima minima<br />

regolamentazione. Fu posto un Pubblicano (amministrativo) ad ogni<br />

frontiera per il controllo del bestiame e la riscossione di un pedaggio<br />

per l’uso dei pascoli e delle strade di transito (pubblicae calles); restavano<br />

escluse solo quelle utilizzate per raggiungere i saltus o pascoli<br />

liberi. Successivamente, da Teodosio e Giustiniano, nei codici, fu<br />

formalizzato il privilegio di fare uso del corso pubblico da parte dei<br />

pastori col nome di tractoria 15 : l’“ampia via d’erbe e di pietre, deserta,<br />

10 Ateneo riporta che gli Japigi furono gli inventori delle parrucche di lana: Japigi<br />

primi faciem attriverunt, capiti galericolam. E fictitiam comam adaptaverunt. E<br />

soprattutto che le donne furono le prime ad usarle per moda; non solo, Annibale se<br />

ne servirà come artificio per non farsi riconoscere dai Galli (ROSATI, cit., 1808).<br />

11 Cfr. PLINIO, VIII; GIOVENALE, VI; MARZIALE, XIV; VARRONE, cit., 118 a.C.,<br />

II.<br />

12<br />

Erano le “macchine per la lavorazione della lana ad energia idrica, atte a battere<br />

la stoffa che, trattata con acqua, sapone ed argilla, assumeva la consistenza del<br />

feltro” (SCHIOPPA, 2000, p. 42; cfr. DEL RE, vol. I, 1835 e CONTI S., 1984). La follatura<br />

o sgrassatura dei panni è una delle operazioni finali della lavorazione (FRANCO,<br />

1964 e DE MAJO, cit., 1973). Inizialmente l’operazione di sgrassatura avveniva manualmente<br />

immergendo la lana in grosse vasche di acqua mista ad orina (cfr. JAN-<br />

NUCCI, vol. II, 1981 e paragrafo 1.2).<br />

13<br />

Cfr. COLUMELLA, VII e MARZIALE, VIII.<br />

14<br />

FRANCIOSA, cit., 1951.<br />

15<br />

Da una deformazione fonetica del termine tractorìa deriverà quello italiano di<br />

“tratturo”. In seguito alla Prammatica aragonese del 1447 i tratturi prenderanno il<br />

nome dai centri siti alle due estremità del percorso; in tal senso sono citati per la<br />

prima volta in un’istanza fatta a Foggia il 17 dicembre 1480 diretta a Ferdinando I<br />

d’Aragona: “far levare tutte le nove mezzane che fossero fatte dopo la gloriosa memoria<br />

del re Alfonso vostro Padre per li cammini et Tracturi de la Dohana”.


22<br />

Capitolo I<br />

ineguale, come stampata d’orme gigantesche, tacita, la cui origine si<br />

perdeva nel mistero delle montagne lontane e sacre” (D’Annunzio,<br />

1971). Quella via che doveva garantire il passaggio degli armenti e il<br />

loro necessario sostentamento durante il tragitto, non facile e lungo.<br />

La fine dell’Impero e le continue guerre ed invasioni rallentarono<br />

la pratica pastorale e la sua industria 16 , e cancellarono molte strade utilizzate<br />

dalle greggi. Solo l’arrivo dei Normanni, e in particolare di<br />

Guglielmo il Malo, cambiò il corso della storia. Il sovrano inserì nella<br />

“Costituzione” del 1155 norme per impedire gli abusi negli affitti dei<br />

pascoli, per l’esazione dei tributi e per la custodia dei pascoli pubblici.<br />

Cosa importantissima, destinò vaste zone dell’Abruzzo, della Puglia e<br />

della Basilicata al pascolo, e dichiarò il Tavoliere con molte terre circostanti<br />

Regio Demanio. Proprio nella grande pianura pugliese, accanto<br />

alla pastorizia, il Normanno favorì la produzione cerealicola e fece<br />

realizzare vigneti ed oliveti.<br />

La “transumanza” stava avendo il primo concreto riconoscimento<br />

formale, e con essa le “strade delle pecore”. Federico II di Svevia, infatti,<br />

aumentò le risorse pascolive e ne estese lo sfruttamento. Inoltre,<br />

creò una speciale magistratura con compiti fiscali, ma non autonoma,<br />

che prese il nome di “Mena delle Pecore di Puglia”. Non solo, nel<br />

1231, nella Costituzione di Melfi redatta da Pier delle Vigne e Taddeo<br />

da Suessa, fece inserire diverse norme di regolamentazione dei pascoli<br />

con l’indicazione del prezzo di affitto e degli indennizzi per i danni<br />

causati dagli animali.<br />

A livello territoriale il sovrano predispose la spartizione tra “terre<br />

demaniali a coltura” (da dividere o affittare a privati) e “terre salde”<br />

(ovvero “non rotte dall’aratro” e quindi ricche d’erba, da suddividere<br />

tra privati per il pascolo). Il motivo era semplice, la pastorizia rendeva<br />

ed anche molto bene all’erario, ma l’agricoltura era necessaria per<br />

soddisfare il fabbisogno alimentare delle popolazioni che crescevano.<br />

Una sola cosa tralasciò, la delimitazione confinaria delle strade armentizie<br />

lungo le quali stavano prendendo corpo capanne, villaggi, e-<br />

16 In questo periodo Saepinum (un’area recintata da mura e adibita a luogo di<br />

scambi commerciali, situata a 950 m sulle pendici del Matese nei pressi del fiume<br />

Tammaro lungo il Tratturo Pescasseroli-Candela) raggiunse la massima importanza<br />

come centro commerciale.


L’evoluzione storica dei tratturi e del sistema pastorale 23<br />

difici religiosi e di ristoro che si animavano alla fine della primavera e<br />

dell’autunno, favorendo il commercio. Quel commercio (monopolizzato<br />

da fiorentini, genovesi e veneziani) che avveniva fiorente con<br />

Venezia e con altri centri delle coste italiane e balcaniche, nonché con<br />

Tunisi, grazie ad un trattato commerciale (siglato tra il sovrano Abdal-Ohuhaid<br />

e l’imperatore svevo) che prevedeva rapporti di reciprocità<br />

negli scambi di vettovaglie. Funzionavano bene “i piccoli scali 17 del<br />

litorale abruzzese-molisano 18 che corre dal Tronto al Fortore (S. Flaviano,<br />

Pescara, Francavilla, Ortona, San Vito, Vasto e Termoli) per<br />

l’export di prodotti naturali (lana, pelli, animali, ecc.) e l’import di<br />

prodotti lavorati (tessuti di lana, ecc.)” 19 , nonché i porti di Trani e di<br />

Barletta per l’export di lana.<br />

Va precisato a questo punto, però, che nonostante la grande movimentazione<br />

e gli sforzi del potere politico, mancò un vero e proprio<br />

inserimento industriale della lana locale 20 .<br />

17<br />

Erano dei caricatoi alle foci dei fiumi (considerando che allora questi erano<br />

navigabili ed ottime vie commerciali), “servivano un retroterra assai limitato, meno<br />

che provinciale, esercitando un piccolo traffico di cabotaggio che suppliva alla mancanza<br />

o alle precarie condizioni delle strade, sia trasversali, sia longitudinali alla linea<br />

di costa” (COSTANTINI, 1977 - 2000, p. 57).<br />

18<br />

Sovente erano collegati con i centri dell’immediato entroterra: Lanciano, Chieti,<br />

Penne, Atri, Teramo.<br />

19<br />

COSTANTINI, cit., 1977 - 2000, p. 55.<br />

20<br />

Come fa notare De Gennaro la mancanza della lana si faceva sentire soprattutto<br />

nel settore della materia prima, ossia delle lane da cardo; e i motivi sembrano duplici:<br />

“1) la ricorrente, sintomatica e significativa classificazione, operata dai doganieri,<br />

di lana gerosolimitana o, in genere, di lana ultramarina, che sbarca nei porti<br />

pugliesi di Trani e Barletta per esservi infondacata, dietro corresponsione dei diritti<br />

di magazzinaggio nella misura di un tarì per oncia, per uscirne di nuovo, ad opera di<br />

mercanti locali e forestieri” (SPALLANZANI, 1974, pp. 152-153). Questo significa che<br />

erano porti di distribuzione e di primo scalo e non luoghi di produzione. Inoltre, il<br />

dazio sulle partite destinate al mercato locale era di un Tarì a cantajo contro i 4 per<br />

l’ultramarina destinata all’estero. Il secondo motivo ci viene dall’esame di un codice<br />

cartaceo rettangolare rinvenuto ad inizio 1900 riportante i rapporti commerciali nel<br />

XIII secolo tra Venezia e la Puglia (COLANGELO, 1901). Si legge infatti che a Venezia<br />

arrivavano balle di lana pugliese a mieri (mirri) grossi (“mier grosso est III pesi e<br />

l’uno peso pexa II rotoli; ovvero un rotolo è mendo di un kg, un cantaro di 100 rotoli<br />

è pari a 89 kg”) mentre in Puglia torselli (balle involtate con feltro e tela doppia)<br />

di 60 canne pugliesi di pannilana in grigio e marrone.


24<br />

Capitolo I<br />

In Puglia il greggio veniva lavorato nei “lanifici” dei Cappuccini<br />

di Francavilla Fontana, di Conversano, di Putignano e di Manduria, e<br />

degli ordini dei Mendicanti di Foggia. Al loro <strong>interno</strong> veniva sottoposto<br />

ad una prima battitura e lavaggio, poi era inviato al “Battendiero”<br />

(una località a 6 miglia da Taranto e attraversata dal Cervaro,<br />

dove era un’officina con gualchiera dei Padri Francescani) per un ulteriore<br />

lavaggio e, infine, tornava ai Monasteri d’origine. La tessitura<br />

avveniva negli impianti di proprietà veneziana (Bragadino, Ondedei,<br />

Marino, Contarini e Palmo di Domenico Scaraggi) e veronese (Allegri,<br />

Timedeo, Dentarino). I prodotti di spicco erano le sariche altamurane<br />

(manufatti grezzi) e i pannilana ordinari per le classi inferiori<br />

e i soldati.<br />

Il Cecchettani (1909) e il De Cesare (1859) riportano la presenza<br />

all’epoca nell’Abruzzo aquilano di 8 milioni di capi ovini, nonché uno<br />

sverno nel 1352 nel Tavoliere di 4.471.496 pecore e 96.000 capi grossi<br />

(CCIAA, Aquila, 1964).<br />

Con la dinastia angioina si riservò nuovamente poca attenzione alla<br />

transumanza, favorendo le coltivazioni agricole per le quali molte terre<br />

a pascolo del regio demanio vennero alienate. In parte riparò Giovanna<br />

II nel 1423 con uno statuto che istituì il foro speciale per gli operatori<br />

della transumanza e riorganizzò la “Mena delle pecore di Puglia”,<br />

come struttura delegata a sovrintendere per conto della Corona i<br />

complessi interessi economici (ricavava 20 ducati d’oro per ogni 100<br />

capi di bestiame grosso e 2 per ogni 100 pecore) e sociali legati alla<br />

pastorizia transumante.<br />

1.2 Gli Aragonesi e la costruzione delle arterie tratturali<br />

Con l’arrivo degli Aragonesi l’interesse per la transumanza si amplificò<br />

comportando grandi trasformazioni.<br />

In continuità con la tradizione angioina di Giovanna e forte<br />

dell’esperienza della propria terra d’origine Alfonso I nel 1447 con la<br />

Prammatica 1 agosto disciplinò tutta la materia in modo organico e<br />

globale attorno a due scelte politiche di fondo: 1) la gestione diretta<br />

dello Stato; 2) l’incremento della produzione della lana, il cui mercato<br />

a livello mondiale in quel periodo aveva subito notevoli cambiamenti


L’evoluzione storica dei tratturi e del sistema pastorale 25<br />

a causa dello sviluppo industriale dell’Inghilterra, dove erano state ridotte<br />

le esportazioni favorendo la domanda interna italiana. (Sprengel,<br />

1975).<br />

In tal senso intervenne importando dalla Spagna (dove dal 1272 si<br />

era andata formando un’articolata organizzazione, la Mesta o Meseta,<br />

solo per certi aspetti assimilabile alla Dogana italiana, che però stava<br />

diventando potente e privata) arieti e pecore di razza merinos, famose<br />

per la qualità superiore della loro lana. Inoltre, concesse privilegi ai<br />

possessori di greggi e guidò dall’alto il commercio favorendo<br />

l’apertura di nuovi mercati.<br />

Ristrutturò la “Regia Dogana della Mena delle Pecore” (con sede<br />

dapprima a Lucera poi a Foggia 21 ) come istituto fiscale con magistratura<br />

autonoma secondo un sistema amministrativo efficiente e fortemente<br />

centralizzato, che andò a togliere i privilegi fino ad allora goduti<br />

dai feudatari: prevedeva un duplice contratto, uno con i proprietari<br />

di terra e di pascoli in Puglia, e l’altro con i proprietari di pecore in<br />

Abruzzo. L’Istituto fu organizzato secondo una rigida struttura gerarchica<br />

che vedeva al vertice un Doganiere 22 per il governo<br />

dell’industria e della esazione, e per la giurisdizione sopra i “locati” 23 ,<br />

i pastori e gli altri addetti: cavallari 24 , soldati di campagna e postaioli<br />

25 ; 2 credenzieri (amministrativi) preposti alla riscossione della fida<br />

(tassa) da parte dei pastori per l’uso dei regi pascoli; un uditore, giudi-<br />

21<br />

Questo spostamento avverrà ad opera del figlio Ferrante nel 1468, che eleverà<br />

la Dogana a Tribunale.<br />

22<br />

Il primo fu il catalano Francisco Montluber. Il doganiere garantiva la libera<br />

circolazione del bestiame tra le province abruzzesi e quelle pugliesi di Capitanata e<br />

Terra di Bari e la difesa degli allevatori dalle molestie e dai soprusi dei baroni e delle<br />

comunità delle quali avrebbero attraversato i territori.<br />

23<br />

Sono i proprietari delle greggi. Secondo la citazione dei capitoli del viceré<br />

Granvela del 1574, i “locati” sono “tutti quelli, che per qualsiasi causa, et esercitio<br />

sono soliti calare in Puglia con la Dohana, alle quali se li debba osservare etiam la<br />

prerogativa del foro” (CASILLI, 1993, p. 99).<br />

24<br />

Erano degli speciali nuclei operativi armati a cavallo che svolgevano un duplice<br />

servizio di polizia doganale: scortavano i fidati durante il trasferimento delle<br />

greggi per assicurare il rispetto dell’indennità da gabelle di passo e più in generale<br />

per proteggerne il cammino. Nei restanti periodi dell’anno ispezionavano il territorio<br />

doganale (DELL’OMODARME, 1996).<br />

25<br />

Erano i rappresentanti delle poste.


26<br />

Capitolo I<br />

ce ordinario, civile e criminale, fiscale, di nomina regia e a carica annuale<br />

26 . Alla base e con funzioni minori vi erano il Mastrodatti (funzionario<br />

amministrativo per la redazione dei documenti e la conservazione<br />

dell’archivio doganale) 27 e il cassiere o percettore. Al di fuori<br />

dell’organismo, sempre gestiti dalla Dogana, erano i pesatori di lana 28<br />

e i compassatori o agrimensori 29 .<br />

Secondo un preciso criterio fu stabilito che la transumanza dovesse<br />

seguire un calendario doganale ed essere obbligatoria per tutti coloro<br />

che avessero almeno 20 capi; inoltre, che la produzione e il commercio<br />

(di lana, carne, latte e derivati 30 , e pelli secondo l’ordine di importanza<br />

a quel tempo) dovessero aver luogo soltanto a Foggia (centro<br />

dell’amministrazione fiscale e di tutto l’organismo) nell’ambito di una<br />

fiera della lana da organizzarsi il 25 Maggio.<br />

La tassa per l’uso dei pascoli venne formalizzata in 25 ducati veneziani<br />

31 per ogni 100 capi di bestiame grosso regnicolo - vacche/giumente<br />

- e 8 per ogni 100 pecore 32 .<br />

26 Cfr. LABADESSA, 1933, pp. 9ss. e GAUDIANI, 1981, pp. 328 ss.<br />

27 Erano dei veri e propri arrampicatori sociali, interessati solo al guadagno, facilmente<br />

corrompibili anche perché inesperti (DE DOMINICIS, 1781).<br />

28 Furono 12, ripartiti in tre categorie tra le paranze (stazioni) di L’Aquila (3 pesatori<br />

per la lana bianca e 3 per la nera), Sulmona (3), Casteldisangro (3) per svolgere,<br />

nei magazzini di Foggia, alla fine e all’inizio dell’anno doganale, le operazioni di<br />

“infondacatura” (messa a deposito) e “sfondacatura” (smercio/distribuzione).<br />

29 Andavano da un minimo di 6 ed erano addetti, previo conseguimento di una<br />

patente apposita, alla misurazione dei terreni del Tavoliere e delle vie transumanti, e<br />

alla determinazione dei confini dei pascoli.<br />

30 Tale commercio verrà oltremodo disciplinato con le “Istituzioni” del 5 dicembre<br />

1470 dal re Ferrante per il tramite del governatore della Dogana a cui spettò di<br />

“stabilire e prescrivere in ciascun anno il prezzo delle lane e del cacio (prezzi di<br />

calmiere, pari orientativamente a 40 tarì a cantajo), sentendo i magnifici deputati<br />

della Generalita, ed i mercadanti, ed altri compratori, che ne fanno industria, affinché<br />

non si commettano fraudi e monopoli” (DI STEFANO, vol. I, 1736, p. 473).<br />

31 Lo sviluppo del commercio aveva portato alla coniazione di diverse monete<br />

d’oro come i fiorini di Firenze, i genovini di Genova e i ducati veneziani che ebbero<br />

maggiore diffusione anche fuori dall’Italia. Per il cambio della valuta (cioè delle<br />

monete di un paese con quelle di un altro) si erano così diffusi anche i cambiavalute<br />

ai quali cominciarono a rivolgersi i commercianti. Il ducato era stato istituito da<br />

Ruggiero II nel 1140.<br />

32 “La «fida» venne stabilita tenendo anche conto dei costi di gestione della Dogana<br />

(censi da corrispondere ai privati, diritti di passo, rifacimenti di ponti, e spese


L’evoluzione storica dei tratturi e del sistema pastorale 27<br />

In questo modo il sovrano poteva garantirsi consistenti entrate ed in<br />

cambio tutelare i locati e i pastori, concedendo protezione da soprusi<br />

(Casilli, cit., 1993 e Ivone, 2002, pp. 59 ss.).<br />

Per tutti quegli animali rimasti fuori dal grande circuito apuloabruzzese,<br />

fu istituita la Doganella d’Abruzzo, affidata ad un Luogotenente<br />

per il riscatto di una fida di 6,66 ducati per ogni 100 capi di<br />

pecore. La Doganella si costituiva di due complesse giurisdizioni, nelle<br />

quali fu vietato seminare o piantare: i «Regi Stucchi», chiusi, di 65<br />

o 69 poste di terreno e le «Poste d’Atri», aperte, di 25-29 33 (per un totale<br />

di 100.000 moggi, ciascuno di 600 canne quadrate). I locati avevano<br />

diritto esclusivo di pascolare nei primi e promiscuo nei secondi.<br />

A livello territoriale il sovrano volle sistemare la situazione dei terreni<br />

ancora insalubri del Tavoliere di Capitanata (l’odierna provincia<br />

di Foggia) deserto e quasi privo di alberi, poco adatto alla coltura,<br />

senza mezzi facili di scambi, tremendamente arso durante i mesi estivi,<br />

e quindi abbandonato (per rigenerarsi) dai pastori che ritornavano<br />

verso l’Abruzzo aquilano. Luogo quest’ultimo anch’esso morto ma<br />

nei mesi invernali, quando le sue montagne si innevavano rendendosi<br />

impraticabili dalle greggi che tornavano verso il basso. Erano per<br />

quei tempi due zone del regno poco produttive ma suscettibili di valorizzazione<br />

(Labadessa, cit., 1933, pp. 9ss.), per uno sfruttamento economico<br />

ottimizzato delle risorse naturali delle due aree nel rispetto dei<br />

cicli vegetativi naturali (Ministero, 2004).<br />

Il grande Tavoliere 34 fu riorganizzato tra “terre salde”, sufficienti<br />

per il pascolo, e “terre a coltura” o di “partata” lasciate libere ai privati<br />

delle “masserie” per l’agricoltura. In queste fu vietata la piantagione di<br />

per il personale)” (CANOSA, 2000, p. 7). “La numerazione dei bestiami si faceva in<br />

febbraio dopo che erano passati i pericoli dell’inverno, ed il pagamento si eseguiva<br />

in maggio, tempo in cui i pastori avevano già ritratto il profitto della loro industria,<br />

ed in caso d’adempimento, le lane rimanevano depositate in Foggia fino a che i singoli<br />

padroni purgavano il debito” (DEL RE, cit., vol. II, 1835, p. 138).<br />

33 Erano ubicati nei luoghi più caldi dell’Abruzzo, per il pascolo durante i mesi<br />

freddi, tra due fasce della costa adriatica, la prima tra i fiumi Tronto e Pescara e la<br />

seconda tra i fiumi Sangro e Trigno.<br />

34 “Formava un complesso di 1521 miglia quadrate estendendosi per 70 miglia da<br />

Civitate ad Andria e slargandosi per 30 miglia da occidente ad oriente” (FRANCIOSA,<br />

cit., 1951, p. 54).


28<br />

Capitolo I<br />

alberi ed arbusti di qualsiasi specie per non ridurre le superfici pascolive,<br />

e si impose la forma dell’aratro (piccolo e rotondo) perché non si<br />

estirpassero le radici delle erbe. Inoltre, vennero stabiliti “gli avvicendamenti<br />

colturali nelle terre a semina, assegnando una speciale zona a<br />

pascolo per gli animali da lavoro (buoi e cavalli), detta mezzana, nelle<br />

vicinanze delle masserie, che per nessun motivo poteva essere dissodata<br />

e utilizzata diversamente” (Baldacci, 1972, p. 362).<br />

Le terre salde vennero suddivise in 43 appezzamenti di terreno fiscale<br />

detti “locazioni”, per una estensione di circa 15.000 carri, ed affidate<br />

direttamente dalla Regia Dogana ai locati a partire da un minimo<br />

di 24 ha per ogni 100 pecore. Al loro <strong>interno</strong> furono predisposti<br />

anche altri pascoli detti “poste” e “riposi generali”. Le prime erano<br />

delle aree di sosta ubicate per lo più in luoghi di pendio per favorire<br />

gli scoli e/o a ridosso dei corsi d’acqua per consentire abbeveraggi e<br />

pulizie 35 (cfr. paragrafo 2.2). I “riposi generali” (i più importanti erano<br />

il Saccione 36 , della Montagna dell’Angelo 37 , il Murge 38 e il Gargano<br />

39 ) erano dei grandi ovili (tra i 3 e i 56 ha) 40 con rispettivo pascolo<br />

esposti a mezzogiorno, riparati dai venti di tramontana e in vicinanza<br />

di sorgenti o di corsi d’acqua, perché dovevano servire contemporaneamente<br />

da posti di controllo e di blocco delle greggi, per la conta dei<br />

capi e la riscossione della fida, e come riserve dove gli animali potessero<br />

figliare e trattenersi finché si fosse fatta la distribuzione e<br />

l’assegnazione del pascolo invernale (Galanti, vol. I, 1969; Labadessa,<br />

cit., 1933; Franciosa, cit., 1951).<br />

35 Non vanno confusi con le poste dette “frattose” i cui terreni sono impraticabili<br />

ed adatti solo ad animali grossi.<br />

36 Si estendeva tra i fiumi Fortore, Trigno e Sangro a settentrione della Capitana-<br />

ta, lungo la costa abruzzese.<br />

37 Copriva il Gargano tra Apricena e Vieste.<br />

38 Era formato dai territori di Andria, Corato, Minervino e Bitonto, in Terra di<br />

Bari, a sud della Capitanata.<br />

39 Quest’ultimo sarà aggiunto da Ferdinando I delle Due Sicilie.<br />

40 “La superficie pascoliva, sempre per 100 pecore, saliva a 36 ettari nelle terre<br />

seminatoriali ma incolte da più anni; si riduceva a 32 nelle terre nocchiariche, terre a<br />

riposo per due anni. E raggiungeva i 49 ettari nelle ristoppie: territori rimasti incolti<br />

dopo il raccolto dei cereali” (BALDACCI, cit., 1972, p. 362).


L’evoluzione storica dei tratturi e del sistema pastorale 29<br />

Successivamente, aumentando gli ovini in modo eccessivo rispetto<br />

alla capienza del Demanio, vennero realizzati i “passi” 41 , punti obbligati<br />

di transito dei locati custoditi da cavallari e armigeri, e i “ristori”<br />

42 , “terre tolte ai vicini per assegnarle, durante l’inverno in cui restavano<br />

incolte, ai pastori che più ne avevano bisogno per «rifocillare<br />

gli animali che non avevano trovato comoda sussistenza»” (Franciosa,<br />

cit., 1951, p. 47 e De Dominicis, 1781). Infine, strutture accessorie per<br />

il riposo o per la lavorazione dei prodotti, e, lungo i percorsi, una serie<br />

di strutture complementari alla transumanza, tra cui taverne e chiese<br />

tratturali 43 , e i “riposi laterali” (Casale, Taverna del Piano, Carro o Sequestro<br />

44 , Colle della Guardia, Casanicola o Bottone, Santa Margherita,<br />

Casalbore 45 , Colapazzo 46 , Arneo 47 ), aree di sosta temporanea predisposte<br />

lungo il tragitto che funzionavano anche da posti di controllo e<br />

di blocco delle greggi per la conta dei capi e la riscossione della fida.<br />

Queste realtà, che contribuivano a spezzare l’isolamento economico<br />

e culturale delle terre attraversate, costituivano i cinque “ripartimenti”<br />

amministrativi della Dogana: tre unità fiscali (il Trigno 48 , il<br />

41<br />

Guglionesi, Ponterotto, La Motta, Biccari e S. Vito, Ascoli e Candela, Melfi e<br />

Spinazzola.<br />

42<br />

I più antichi e noti erano quelli di Ruvo, Montemilone, Monteserico, Minervino,<br />

Vieste (SPRENGEL, cit., 1975, p. 50).<br />

43<br />

Erano importanti le prime per il sostentamento e il riposo, le seconde come<br />

protezione durante il grande spostamento stagionale; è noto infatti che subito prima<br />

della grande partenza o subito dopo presso la prima chiesa si ascoltava una messa.<br />

Le masserie maggiori si spostavano con un abate.<br />

44<br />

I primi due erano rispettivamente nei comuni di Roccapia e Rivisondoli sul<br />

Piano delle Cinquemiglia; da questi i transumanti si distribuivano parte sui monti<br />

marsicani e sulla catena del Sirente e parte tra i gruppi del Morrone e della Majella.<br />

Il terzo era poco a nord di Lucera nell’alta valle del Triolo ed era adibito alla conta<br />

degli animali che per quelle vie dal Tavoliere dovevano salire ai monti. Tutti erano<br />

sul Tratturo Celano-Foggia (cfr. Tav. 4 e Tab. B).<br />

45<br />

Questi quattro, tutti visibili sul Tratturo Pescasseroli-Candela, erano rispettivamente<br />

a Isernia, a Cantalupo, a Boiano e a Casalbore (cfr. Tav. 4 e Tab. B).<br />

46<br />

Si trovava nel barese all’innesto dei due tratturi Barletta-Grumo e Canosa-<br />

Ruvo (cfr. Tav. 4 e Tab. B).<br />

47<br />

Quest’ultimo è stato censito nel 1959.<br />

48<br />

Tra i fiumi Trigno e Sangro.


30<br />

Capitolo I<br />

Saccione 49 , la Montagna 50 ) che ospitavano le bestie da lavoro; il grande<br />

ripartimento Puglia, che comprendeva il Tavoliere e altri pascoli<br />

minori nelle province di Capitanata, Terra di Bari, Terra d’Otranto,<br />

Basilicata, Principato Citra, Principato Ultra, Terra di Lavoro; la Doganella<br />

D’Abruzzo, che accoglieva le greggi provenienti dallo Stato<br />

Pontificio, dalle Marche e da quelle aree degli Abruzzi che non svernavano<br />

in Puglia (cfr. Tav. 1).<br />

Tavola 1 - Le 5 suddivisioni amministrative (ripartimenti) della Dogana di Foggia<br />

(Fonte: Sprengel, cit., 1975, p. 273)<br />

Per la prima volta il sovrano fece ben delineare i limiti confinari dei<br />

tratturi (inizialmente furono tre, poi sette come si legge in un documento<br />

del 1533 51 ), dei tratturelli e dei bracci, e ne affidò la sicurezza e<br />

49 Tra i fiumi Fortore e Trigno.<br />

50 Nella penisola del Gargano.<br />

51 Erano: 1) De la marina di Pescara per fi in Puglia; 2) Per valle d’Aventino e<br />

cala in Civitate; 3) Per valle de Sangro che cala at ponte rutto; 4) De Trigno et Piferno<br />

che cala al dicto ponte rutto; 5) De Sangro, Trigno et Piferno che cala a la Motta;

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