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IL SOTTOTETTO: UNO SPAZIO DA VIVERE - Intesa Sanpaolo.

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<strong>IL</strong> <strong>SOTTOTETTO</strong>:<br />

<strong>UNO</strong> <strong>SPAZIO</strong> <strong>DA</strong> <strong>VIVERE</strong><br />

di Giovanna Mottura<br />

Pagina 1 di 19


SOMMARIO<br />

1. L’evoluzione architettonica del sottotetto<br />

2. L’evoluzione degli ultimi anni in Italia<br />

3. Gli aspetti progettuali<br />

3.1 La copertura<br />

3.2 La distribuzione interna<br />

3.3 L’illuminazione naturale<br />

3.4 Abitare il sottotetto<br />

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1. L’evoluzione architettonica del sottotetto<br />

In Amate l’Architettura Giò Ponti dedica molta attenzione a questo aspetto:<br />

«da noi il tetto è una sovrapposizione, non una composizione. Al nord invece<br />

l’architettura finisce al sommo del tetto, il tetto è una sua capigliatura monumentale, il<br />

tetto è metà dell’architettura di una casa, l’abitazione lo occupa tutto, la struttura di<br />

quei tetti è un’architettura sapiente e complicata. Il tetto, fatto Architettura, è lassù<br />

bello, ordinato e vivente con i suoi comignoli e abbaini. Da noi, fuori come sono<br />

dall’Architettura, i tetti sono disordinati, i comignoli, gli sfiatatoi, vi spuntano a caso:<br />

pochi architetti disegnano il tetto. […] I nostri tetti sono morti. […]<br />

Però o è copertura, e allora niente solai, o è Architettura e allora ai solai sostituiamo<br />

belle stanzette; oppure abitiamo il tetto e facciamo giardini pensili chiusi da mura o da<br />

reti metalliche, Una città che fiorisce al sommo tutta di giardini: città felice. Metà –dico<br />

io– della superficie della città (i tetti) nessuno la gode».<br />

Con la Legge (L.15/96) per il recupero a fini abitativi dei sottotetti, si è offerta la possibilità a<br />

spazi morti di vivere ed entrare a far parte integrante della vita dell’edificio e della città.<br />

Tuttavia osservando il proliferare delle coperture che si stanno realizzando un po’ ovunque, si<br />

ha l’impressione che i sottotetti anziché trasformarsi in completamento vivo dell’edificio<br />

sottostante, appaiono piuttosto come protesi o innesti che poco hanno a che spartire sia con<br />

l’edificio che con la vita; ciò è probabilmente da imputare al fatto che questa tipologia di<br />

coperture e, analogamente, l’elemento architettonico dell’abbaino, non appartengono alla<br />

cultura progettuale sud europea.<br />

L’abbaino è infatti un elemento caratteristico delle architetture nordiche.<br />

La sua introduzione nasce dalla necessità di dare luce e aria alle spaziose soffitte ricavate al di<br />

sotto delle falde, in forte pendenza, tipiche dei tetti nordici.<br />

I primi abbaini comparvero sicuramente nella Francia del nord, nelle Fiandre e nella Germania<br />

settentrionale, regioni dove le condizioni climatiche, generose di abbondanti nevicate,<br />

imponevano una forte inclinazione del tetto, che raggiungeva di media i 45°.<br />

Inizialmente realizzata in legno e in posizione molto arretrata rispetto al filo di gronda, si tratta<br />

di una sopraelevazione di una porzione della falda inclinata del tetto, dimensionata in maniera<br />

tale da consentire l’inserimento di una finestra.<br />

L’importanza dell’abbaino viene più o meno sottolineata con forma e posizione, a seconda<br />

dell’utilizzo che viene fatto dello spazio del sottotetto: soffitta, granaio o abitazione.<br />

In copertura l’abbaino può essere collocato “in ritiro”, cioè arretrato rispetto al filo di facciata,<br />

oppure a filo con la facciata stessa, costituendone il coronamento.<br />

A seconda della sua forma, della sua posizione e della finestra che ospita, gli abbaini assumono<br />

nomi differenti, quali:<br />

a) abbaino a comignolo, aperto nella sommità del tetto e con copertura che simula un<br />

frontone;<br />

b) abbaino convesso, con copertura a botte;<br />

c) finestra alla cappuccina, con copertura a falde inclinate che non necessariamente<br />

possiedono la stessa inclinazione del tetto;<br />

d) abbaino fiammingo, costruito in muratura quale prolungamento verticale della facciata<br />

oltre al filo di gronda, che viene così interrotto, e terminante a timpano;<br />

e) abbaino quadrato, la cui larghezza è uguale all’altezza, chiuso superiormente da un<br />

architrave;<br />

f) abbaino rotondo, che oltre alla copertura a volta ha apertura circolare; è frequente il<br />

suo utilizzo per l’illuminazione delle cupole;<br />

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Man mano che si diffonde la consuetudine di utilizzare gli ambienti del sottotetto quali locali di<br />

abitazione, gli abbaini vengono realizzati in muratura, anziché in legno, e portati sul filo di<br />

facciata per dare agli ambienti la possibilità dei godere della vista della strada, o del cortile, o<br />

del giardino sottostante. Gli abbaini assunsero così maggiore importanza architettonica e<br />

vennero utilizzati anche quale ornamento di facciate troppo severe e spoglie, interrompendo<br />

aritmicamente la linea orizzontale di gronda, e coronando artisticamente prospetti a volte<br />

uniformi e pesanti.<br />

In epoca gotica l’abbaino ha una larga diffusione sottolineando la caratteristica “aspirazione al<br />

cielo” che impronta, col suo verticalismo compositivo, l’architettura di quel periodo.<br />

Tale elemento compositivo viene poi ripreso dalle epoche successive con differenti modellazioni<br />

stilistiche, proporzioni e collocazione in copertura.<br />

Addirittura, sull’esempio degli edifici realizzati dall’architetto francese Jules Hardouin Mansart<br />

(1646-1708), ebbe origine la tipologia, largamente diffusa fino ai giorni nostri, della mansarda.<br />

L’abbaino assume la sua importanza maggiore fra il 1300 e il 1440, in epoca tardogotica,<br />

grazie all’opera degli architetti francesi e fiamminghi.<br />

Esso non costituisce più una semplice fonte di luce, ma assume un vero e ruolo di elemento<br />

architettonico che concorre alla composizione della facciata.<br />

La sua decorazione, coerentemente con lo stile dell’epoca, si arricchisce soprattutto nelle spalle<br />

laterali e nel timpano: si introducono così sottili ramificazioni fiorite, pinnacoli, campanelle,<br />

archetti rampanti e arcatelle a giorno, come si può vedere negli abbaini dell’Hôtel di Cluny a<br />

Parigi, del Palazzo di Giustizia di Rouen e del il Castello di Blois.<br />

Vengono poi introdotte leggere balaustre, che contrastano con la ricchezza della decorazione<br />

dell’abbaino e che corrono tutto lungo il cornicione fra un volume e l’altro degli abbaini, quasi a<br />

cancellare la presenza del tetto e introdurre un piano che ha lo stesso valore di quelli<br />

sottostanti.<br />

Non è raro trovare, soprattutto nel secolo XVI, abbaini addirittura a più ordini di aperture.<br />

Con la diffusione del Rinascimento anche oltralpe, le decorazioni e le modanature degli abbaini<br />

assumono le forme classiche del nuovo stile anche se, inizialmente, non abbandonano le<br />

caratteristiche salienti dello stile gotico: il movimento verticale delle masse, e i pinnacoli.<br />

A coronamento dell’abbaino si introduce l’ampio frontone classico, che può essere presentato o<br />

semplice e nudo, ridotto alla sue linee essenziali, oppure più frequentemente decorato con<br />

piccole fiaccole stilizzate.<br />

Successivamente, in piena epoca barocca e tardobarocca, anche l’abbaino assume i caratteri<br />

sontuosi voluti dal nuovo gusto; gli abbaini degli edifici barocchi si arricchiscono spesso di un<br />

pesante attico, costituito da semicolonnine che inquadrano o una targa, o un nicchione per una<br />

statua oppure sorreggono un frontone spezzato, o festonato, o raccordato con volute alla parte<br />

inferiore dell’abbaino. L’abbaino arriva ad avere l’importanza di un edificio in miniatura<br />

collocato a completamento della facciata, le sue dimensioni si ampliano a tal punto che se ne<br />

riduce notevolmente il numero, perdendo così l’incalzante ritmo caratteristico invece dell’epoca<br />

gotica.<br />

Alla fine del 1600, nella Francia settentrionale, si diffonde l’uso di ornare gli abbaini<br />

esclusivamente con gruppi di sculture, spesso di carattere simbolico, come caschi, corazze,<br />

stemmi, ecc., come si può vedere nel Castello di Courseulles.<br />

Contrariamente all’Europa settentrionale, l’Italia non possiede una tradizione così ricca per<br />

quanto riguarda l’abitazione nel sottotetto e, di conseguenza, la necessità di creare delle<br />

aperture in copertura che ne consentano illuminazione e aerazione.<br />

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Fotografia 1: Un esempio di sottotetto abitato a Stoccarda<br />

Ciò naturalmente dipende dalle condizioni climatiche del nostro paese; la scarsità di frequenti e<br />

abbondanti nevicate non ha introdotto, in architettura, la realizzazione di tetti a forte<br />

pendenza; di conseguenza l’esiguità degli spazi del sottotetto non ha fatto sorgere la necessità<br />

di un loro utilizzo.<br />

Solamente in questi anni, esigenze di contenere il consumo di nuovo territorio per l’espansione<br />

delle nostre città, ha portato al riutilizzo degli spazi di sottotetto per realizzare nuove<br />

abitazioni.<br />

2. L’evoluzione degli ultimi anni in Italia<br />

Negli ultimi cinque anni a Milano il fenomeno del recupero dei sottotetti a fini abitativi ha<br />

conosciuto una crescita esponenziale; si va dai 23.400 mq recuperati nel 1999 ai 157.200 mq<br />

del 2 003, stando ai dati finora messi a disposizione dal Comune di Milano002E<br />

La larghissima diffusione di questo fenomeno architettonico ha monopolizzato il dibattito<br />

culturale di questi anni e purtroppo mette in luce un problema ben più grave. A differenza di<br />

altre capitali europee dove l’architettura e l’urbanistica conducono alla realizzazione di nuovi<br />

brani di città che entrano a pieno titolo nella storia dell’architettura contemporanea (Berlino ne<br />

è un esempio eclatante), la metropoli milanese è stata solo in grado di produrre speculazione a<br />

danno degli edifici esistenti.<br />

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In questa maniera l’attenzione si è spostata su cappuccine e abbaini, spesso di rara bruttezza,<br />

dimenticando le grosse ferite ancora aperte nella grande città: l’area della stazione Garibaldi,<br />

quella della stazione di Porta Vittoria, il Sieroterapico e la realizzazione del parco dei Navigli<br />

che attendono da decenni una soluzione urbana che li riconduca a nuova vita. Il dibattito<br />

cittadino non verte su queste aree, in compenso i media scrivono fiumi di parole sui sopralzi,<br />

primo fra tutti quello della Scala, perfettamente in linea con la tendenza snaturante dei<br />

recuperi di sottotetto.<br />

Si sta verificando un altro fenomeno speculativo analogo a questo: la realizzazione di loft nelle<br />

storiche aree industriali milanesi, venduti poi sul mercato immobiliare come “surrogati di<br />

appartamenti” senza avere le opportune autorizzazioni di legge ma solo speranze di futuri<br />

condoni edilizi.<br />

Il problema dell’abitazione in città è reso evidente dalla fame di recupero di quegli spazi che<br />

prima non erano preposti alla vita, quali appunto i sottotetti e le aree industriali. Ciò crea poi<br />

pesanti risvolti su un assetto urbanistico e viabilistico metropolitano già seriamente provato.<br />

Probabilmente con la legge del recupero dei sottotetti a fini abitativi si è cercato di arginare<br />

entro le mura della città il consumo di territorio dovuto all’espansione residenziale dei centri<br />

abitati. Al fine di contenere quanto avvenuto negli anni ’80 con il dilagare del fenomeno che ha<br />

portato alla saturazione di vaste aree di pianura padana nel triangolo compreso fra Milano,<br />

Como e Bergamo caratterizzato dal prezioso paesaggio delle rogge, dei fontanili, delle<br />

risorgive, dei campi delimitati dai filari, delle piccole frazioni, delle risaie, delle cascine storiche,<br />

dei mulini, dei campanili, dei boschi e delle brughiere, paesaggio formatosi gradualmente<br />

nell’arco dei secoli e oggi compromesso irreparabilmente nell’arco di pochi decenni.<br />

La possibilità di recuperare i sottotetti ha arginato l’espansione nell’hinterland risparmiando<br />

vaste aree agricole ancora superstiti.<br />

Quello che però è mancato alla progettazione delle nuove coperture residenziali è il retaggio<br />

culturale che caratterizza il nord Europa, già esperto utilizzatore dei tetti quali porzioni di<br />

abitazione. La scarsa preparazione stilistica sull’elemento architettonico della “cappuccina” ha<br />

purtroppo condotto alla proliferazione di “cucce per cani”, “cabine da spiaggia”, “villette in<br />

miniatura”, affiancate da extracorse di ascensori, parabole, antenne e antiestetici impianti di<br />

condizionamento.<br />

La legge 15/96 per il recupero abitativo dei sottotetti non consentiva la modifica della<br />

copertura all’imposta di gronda, al colmo e nella sua inclinazione; per il raggiungimento<br />

dell’altezza media ponderale minima di 2,40 m per ciascun locale abitabile era consentito<br />

utilizzare il volume della cappuccina; di conseguenza minore era l’altezza del colmo del<br />

sottotetto esistente, maggiore doveva essere il volume della cappuccina per consentire il<br />

recupero abitativo.<br />

Molti sottotetti comunque, avendo un’altezza interna insufficiente, non avrebbero potuto<br />

essere recuperati; con l’introduzione della Legge Regionale n. 22 del 1999 si è consentite la<br />

modifica della pendenza nell’imposta di gronda, al colmo e nella pendenza al fine esclusivo del<br />

raggiungimento del minimo delle altezze medie interne.<br />

In questa maniera potè essere immessa sul mercato edilizio tutta quella massa di sottotetti<br />

troppo bassi che con la precedente legge erano sfuggiti al recupero.<br />

Così anche inesistenti intercapedini tecniche di poche decine di centimetri assunsero l’ambito<br />

titolo di sottotetto e poterono essere trasformate a pieno diritto in un nuovo piano residenziale.<br />

Solo nel 2004 una circolare del Comune di Milano pone un minimo all’altezza che deve avere il<br />

sottotetto esistente per poter essere recuperato, pari a 1,80 m al colmo.<br />

La Legge Regionale n. 22 e la contemporanea introduzione della super-DIA, pratica comunale a<br />

totale responsabilità del proprietario e del progettista che non viene sottoposta nemmeno al<br />

parere della commissione edilizia, portarono alla totale liberalizzazione degli interventi.<br />

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Una volta perso il controllo del fenomeno sottotetto, si è cercato di far fronte alle polemiche<br />

insorgenti con una serie di circolari interpretative interne emesse dall’ufficio tecnico del<br />

Comune di Milano, fino alla circolare n. 16 del 17 ottobre 2003 che impone il rispetto delle<br />

linee guida per l’esame paesistico dei progetti, come previsto dall’art. 30 delle norme di<br />

attuazione del Piano Territoriale Paesistico Regionale, anche nel caso di interventi di recupero<br />

abitativo dei sottotetti.<br />

La circolare ha restituito al Comune il controllo dei progetti, sfuggitogli tre anni prima<br />

dall’introduzione della super-DIA e, soprattutto, ha riaperto il dibattito sulla qualità<br />

architettonica degli interventi.<br />

Parallelamente ai dibattiti sulla qualità dell’architettura moderna, ad ogni scala, la legge sul<br />

recupero abitativo dei sottotetti ha, in questi primi 8 anni di applicazione, avuto un enorme<br />

seguito soprattutto in quei grandi centri urbani dove il fabbisogno di abitazioni è molto elevato.<br />

Ciò ha portato alla diffusione sui nostri tetti di nuovi elementi che non esistevano<br />

precedentemente e che nemmeno appartenevano al linguaggio architettonico di quel sito.<br />

L’esempio più rappresentativo di come una legge possa trasformare in pochi anni il volto di una<br />

città è Milano.<br />

Alla luce degli interventi realizzati e della crescente polemica sulla bontà della legge per il<br />

recupero abitativo dei sottotetti la Regione Lombardia ha recentemente introdotto la<br />

“Valutazione di impatto paesistico” per gli interventi di recupero sottotetti. Ciò ha restituito alla<br />

Commissione edilizia il controllo estetico dei progetti senza che si potessero sviluppare criteri<br />

di interventi o linguaggi autonomi per il nuovo tipo di intervento ma catalogando una serie di<br />

regole rispettando le quali l’intervento avrebbe avuto parere favorevole da parte della<br />

Commissione edilizia.<br />

Ciò non ha prodotto nuova bellezza per la città bensì posticce imitazioni di un piano anonimo di<br />

un palazzo storico al di sopra della sua copertura.<br />

Non è possibile pensare di pianificare la bellezza urbana stipulando il decalogo del buon<br />

costruttore di finestre alla cappuccina.<br />

in fondo la stessa legge sul recupero abitativo dei sottotetti è una legge speculativa che va in<br />

deroga a qualunque prescrizione del Piano Regolatore e che non tiene in minimo conto la già<br />

carente situazione degli standard, della capacità viabilistica e di parcheggio dei tessuti urbani<br />

consolidati, della frequenza dei mezzi pubblici e dell’ampiezza delle strade; quello che oggi è<br />

visibile non è altro che il risultato di una speculazione così come avvenuto nel dopoguerra per i<br />

sopralzi.<br />

Questa legge ha da un lato rappresentato un’ottima occasione progettuale per i progettisti ma<br />

dall’altro non ha fatto che legalizzare quegli interventi che prima venivano realizzati<br />

abusivamente, ciò è evidente dal numero di sottotetti condonati nel 1996.<br />

La legge sul recupero dei sottotetti e tanto meno la Valutazione di impatto paesistico, non<br />

possono e non devono contenere una sorta di pianificazione della bellezza o addirittura di<br />

codificazione della stessa e, analogamente il Comune di Milano e la Commissione edilizia,<br />

profondamente feriti dagli effetti della legge e erroneamente additati dalla comunità quali<br />

responsabili degli effetti, possono pensare di istituire corsi di bellezza a pagamento per<br />

professionisti, ciò rappresenta un pericoloso regresso all’accademia, alla codificazione degli stili<br />

che nell’architettura è lo specchio di una profonda crisi di identità della società contemporanea.<br />

In una società dove il pubblico non ha più nessun valore se non per uno speculativo interesse<br />

privato, non si sviluppa la cultura della bellezza esteriore: le facciate delle case sono brutte e<br />

contemporaneamente celano appartamenti bellissimi in cui il dettaglio è curato in maniera<br />

sopraffina e i materiali parlano di potere e grandezza dell’individuo.<br />

Nella società dell’individuo che si è fatto da solo non c’è spazio per la cultura del pubblico: se le<br />

strade sono degradate anche nei centri storici, se le periferie sono svalutate, sei pochi spazi<br />

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verdi sono occasione di pubblicità per privati perché il cittadino dovrebbe sviluppare una<br />

cultura della bellezza urbana intesa come bene sia collettivo sia individuale?<br />

La bellezza è il frutto della cultura, della cura e della sensibilità nei confronti di una comunità,<br />

senza questo presupposto non si crea bellezza ma accademia.<br />

Celebri architetti quali Ludwig Mies van der Rohe ed Ernesto Rogers hanno speso la loro vita<br />

professionale nella ricerca del legame col contesto, nella comprensione del genius loci e nella<br />

traduzione di ciò in un segno contemporaneo e moderno e allo stesso tempo consapevole e<br />

complementare del contesto in cui si inserisce.<br />

Consapevolezza del sito urbano e pertinenza dell’intervento sono criteri progettuali che non si<br />

possono tradurre in un decalogo morfologico ma che non possono mancare al progetto per fare<br />

di esso, si tratti anche di una semplice finestra alla cappuccina, un intervento complementare e<br />

necessario al quadro urbano.<br />

Oggi Milano non è più la città ottocentesca, in cui un intervento edilizio nel segno della<br />

continuità riproponeva un senso estetico consolidato. Non esiste più un linguaggio<br />

univocamente codificato, di conseguenza il nuovo intervento pone un problema non<br />

esclusivamente di qualità ma di necessità di valutare, luogo per luogo, la pertinenza al luogo<br />

dove si interviene. La pertinenza si può avere sia proponendo una sorta di continuità con il<br />

contesto sia con la trasgressione ad esso confermando o smentendo il quadro urbano<br />

circostante. Per questo tipo di operazione è assolutamente necessaria la consapevolezza del<br />

proprio intervento quale segno tangibile di una posizione nei confronti della città. Un palazzo di<br />

traverso, idoneo per corso Italia, non lo è necessariamente per ogni altro contesto urbano.<br />

L’aspetto estetico della città o di qualunque contesto edificato non può essere considerato un<br />

dato indifferente o aggiuntivo; l’architettura italiana ha storicamente fatto scuola all’estero ma,<br />

nonostante questo illustre passato, nel dopoguerra le nuove realizzazioni hanno contribuito alla<br />

diffusione del luogo comune che l’architettura moderna sia brutta.<br />

Questo luogo comune sorto in difesa dei contesti urbani consolidati ha messo in dubbio la<br />

formazione dei professionisti, l’adeguatezza della preparazione offerta dagli Atenei che pur<br />

godono di fama internazionale.<br />

Un contesto di qualità rappresenta un bene prezioso in grado di valorizzare l’intervento<br />

contemporaneo se si trova la chiave per far dialogare sinergicamente le due parti in maniera<br />

tale che il prodotto finale non sia una semplice giustapposizione di vecchio e nuovo bensì un<br />

nuovo organismo, un nuovo insieme dotato di senso compiuto.<br />

3. Gli aspetti progettuali<br />

Nelle pagine di qualunque architetto, moderno, contemporaneo o del passato anche più<br />

remoto, si evince che il primo passo della progettazione è l’analisi del contesto in cui inserire il<br />

nuovo manufatto. Il contesto è uno degli elementi fondanti se non ispiratori del nuovo<br />

intervento; il passo successivo sarà stabilire la posizione che il nuovo intervento assumerà<br />

rispetto al contesto.<br />

Senza questi due passaggi è difficile produrre architettura di qualità.<br />

Il genius loci, o spirito del luogo, racchiude un concetto considerato dagli antichi in modo assai<br />

concreto: una vera e propria realtà cui l'uomo si rapporta nel suo vivere quotidiano (dal latino:<br />

genius = spirito e loci = del luogo).<br />

Il famoso architetto Aldo Rossi definisce il locus quale “rapporto singolare eppure universale<br />

che esiste tra una certa situazione locale e le costruzioni che stanno in quel luogo” 1 .<br />

Un luogo, nel vero senso della parola, è uno spazio dotato di uno specifico carattere, e ciò lo<br />

contraddistingue da altri luoghi.<br />

1 Rossi A., L’architettura della città, Milano, Clup, 1987, p. 145.<br />

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Riscoprire questo concetto, capirlo in modo razionale, può aiutare a verificare quanto il luogo<br />

possa collaborare con il progettista, in misura determinante, durante tutto lo sviluppo del<br />

processo creativo; di fatto il genius loci individua qualcosa di straordinario e unico legato a un<br />

luogo, a volte fatto semplicemente di suggestioni, con le quali confrontarsi per scoprire<br />

l'anima, lo spirito, le virtù e la concretezza di quello specifico luogo, in tutte le sue componenti.<br />

La difficoltà si ha invece nello stabilire in cosa si concretizza l’individualità di un luogo o di un<br />

manufatto: nella sua forma, nella sua funzione o in ciò che esso evoca, nel suo utilizzo o nella<br />

tradizione.<br />

Se si analizza meticolosamente lo sviluppo edile di un qualsiasi edificio risultano evidenti i<br />

numerosi aspetti ed elementi di cui è necessario tenere conto nella valutazione d’impatto<br />

paesistico dell’edificio stesso, sia esso costruito in città, in campagna o qualunque altro luogo<br />

possibile della terra.<br />

Un’attenta analisi consente di comprendere come l’edificazione di una semplice casa vada ben<br />

oltre gli interessi del committente, del progettista, dell’impresa edile, dell’utente finale e degli<br />

abitanti del vicinato, ma arrivi ad influire, anche se in piccola parte (ma alla fine gli edifici sono<br />

milioni), sull’intero paese.<br />

Nella valutazione d’impatto paesistico esistono quindi fattori da considerare ancor prima della<br />

progettazione dell’edificio; si dovrà porre attenzione soprattutto ai materiali edili da utilizzare e<br />

che influiranno anche nella qualità degli ambienti interni.<br />

In qualunque contesto si intervenga non bisogna sottovalutare la capacità dell’intervento,<br />

seppur limitato, di operare modifiche al suo intorno.<br />

Obiettivo di un’architettura di qualità dovrebbe essere sempre e comunque l’ambizione ad un<br />

prodotto finale superiore che metta in luce gli aspetti positivi preesistente e ne occulti o mitighi<br />

quelli negativi.<br />

Purtroppo la progettazione eseguita a tavolino non è sufficiente per soddisfare il requisito della<br />

qualità, troppo scarso è il tempo dedicato ai sopralluoghi e quasi nulla è la fase di preprogettazione<br />

eseguita in loco.<br />

La fase di progettazione si riduce, nel caso del recupero dei sottotetti ma non solo, ad una<br />

sommaria distribuzione planimetrica che tenga con del vincolo dell’allineamento delle finestre<br />

in facciata, cui segue una macchinosa verifica delle volumetrie per stabilire l’ampiezza delle<br />

finestre alla cappuccina da collocare in copertura. Completamente assente è la verifica<br />

tridimensionale delle nuove volumetrie in relazione all’edificio esistente.<br />

I tetti di Milano non sono belli, non sono coperture di particolare pregio e spesso sono già<br />

deturpati dalla presenza di volumi tecnici, sistemi di parabole e antenne, macchinari per<br />

l’impianto di condizionamento, ecc.<br />

Recuperare i sottotetti avrebbe potuto essere l’occasione per ripensare la funzione delle<br />

coperture degli edifici e non relegarle a ad una sorta di catalizzatore della spazzatura<br />

dell’edificio stesso.<br />

Si fanno spesso critiche alla città perché manca di spazi verdi, perché è soffocante, perché non<br />

è a misura d’uomo e poi si applica una legge in maniera tale da acuire ulteriormente i problemi<br />

della città.<br />

I nuovi interventi di recupero dei sottotetti hanno di fatto reso più “pesanti” i palazzi<br />

soprattutto in quei casi in cui si è prolungata la linea di facciata al di sopra della gronda; la<br />

scelta di materiali leggeri quali il vetro e il ferro o la realizzazione di porzioni verdi, ma<br />

soprattutto l’arretramento rispetto al filo di facciata avrebbero sicuramente conferito più<br />

leggerezza alle coperture.<br />

La copertura è l’elemento architettonico dell’edificio che lo separa dal cielo, dall’orizzonte,<br />

dall’aria e contiene al suo interno l’elemento della rarefazione grazie alla sua forma inclinata e<br />

sfuggente alla vista.<br />

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Con la realizzazione di un sottotetto abitato si presente l’occasione per riproporre sotto nuova<br />

forma il concetto di rarefazione della copertura.<br />

L’edificio, così come pensato nel suo progetto originario, trovava la sua conclusione con la linea<br />

di gronda, il fronte godeva di una sua armonia e proporzionamento nel confronti della strada e<br />

degli edifici circostanti, le dimensioni delle aperture e il loro passo trovano una giustificazione<br />

all’interno della composizione e tutti ha una sua naturale conclusione con la copertura.<br />

Intervenire su un sottotetto significa sia ripensare la conclusione di un edificio sia ricreare la<br />

sua originaria proporzione e il rapporto con gli edifici attigui nonché con la strada; questa<br />

dovrebbe essere un’operazione molto stimolante paragonabile al tema dell’angolo che ha<br />

interessato numerosi studi nella storia dell’architettura in quanto l’angolo deve avere un “peso”<br />

differente rispetto al resto della facciata in quanto sottoposto a differenti visuali.<br />

3.1. La copertura<br />

In generale le zone dove è incentivato il recupero dei sottotetti a fine abitativo sono quelle<br />

relative ai centri storici e alle loro immediate vicinanze.<br />

In queste zone la tipologia edilizia più diffusa è quella della casa tradizionale in linea con<br />

copertura a falda e struttura lignea, salvo modifiche successive all’epoca di costruzione<br />

dell’edificio; non è raro trovare anche coperture con struttura in laterocemento.<br />

Innanzitutto è necessario affidare ad uno specialista competente la verifica strutturale dei<br />

carichi che può sopportare la copertura prevedendo un aumento dei carichi a causa<br />

dell’inserimento di lucernari, finestre alla cappuccina, pacchetti di isolamento, macchinari per<br />

la climatizzazione, ecc.<br />

Nel caso in cui tale copertura venga sostituita da una nuova struttura la verifica della stabilità<br />

delle strutture andrà svolta accuratamente sull’edificio che ne dovrà sopportare il carico.<br />

Le strutture lignee possono essere con capriata poggiante sui muri perimetrali, oppure formate<br />

da puntoni, terzere e trave di colmo poggianti oltre che sui muri perimetrali anche su un muro<br />

di spina, che può essere continuo o costituito da una serie di pilastri.<br />

La struttura portante che si trova associata alle coperture lignee è quella costituita da<br />

muratura portante in mattoni pieni, su cui poggiano molto spesso semplici solai lignei privi di<br />

pavimento.<br />

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Figura 1: esempio di realizzazioni di capriate.<br />

Nel caso di struttura con capriata di tipo palladiano o altri tipi di capriate più complessi, la<br />

presenza dei contrafforti o di strutture reticolari nella porzione medio alta del tetto<br />

compromette lo sfruttamento ottimale dello spazio centrale del sottotetto e rende necessario il<br />

ripensamento generale della struttura di copertura; la validità di questa ipotesi è vincolata<br />

anche alla verifica dello stato di conservazione degli elementi lignei.<br />

Si può pensare alla rimozione di una capriata di tipo palladiano o composta solo se lo stato di<br />

degrado delle travi lo giustifica, altrimenti si procederebbe a distruggere una modalità<br />

costruttiva di interesse storico e raramente utilizzata nelle nuove costruzioni. Più<br />

correttamente si può ipotizzare di collegare tale volume all’appartamento sottostante lasciando<br />

così in vista la struttura e creando un sistema di soppalchi per lo sfruttamento della<br />

volumetria.<br />

Un esempio molto diffuso di copertura lignea e che si presta particolarmente bene al recupero<br />

della volumetria è quello formato da puntoni e terzere sorretti da setti murari portanti. La<br />

grossa orditura potrà essere lasciata a vista e, come si è visto, non influisce sul calcolo della<br />

volumetria utile, mentre la piccola orditura costituita da travetti e reggitegole, sarà poi rimossa<br />

e sostituita dal nuovo pacchetto di copertura.<br />

In tutti i casi va considerata l’ipotesi di taglio delle terzere in alcuni punti per consentire<br />

l’inserimento di abbaini o finestre da tetto; ciò comporta l’inserimento di una nuova struttura<br />

solitamente metallica a bordatura delle aperture in falda e contro cui si intestano i monconi<br />

delle terzere tagliate.<br />

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Figura 2: realizzazione di copertura su setti portanti.<br />

La copertura in laterocemento altro non è che un solaio tradizionale in pignatte e tabelloni, in<br />

posizione inclinata.<br />

L’orditura dei travetti è disposta ortogonalmente al colmo, i travetti hanno un passo circa cm<br />

50, con frapposte pignatte in cotto.<br />

La verifica da eseguire in questo caso, oltre allo stato di conservazione della struttura, riguarda<br />

la presenza di un isolamento termico sufficiente per rispondere ai parametri termici di un<br />

appartamento. In caso di assenza o insufficienza di isolamento termico andrà prevista la<br />

rimozione del manto di copertura, il posizionamento del pacchetto di isolamento termico e di<br />

impermeabilizzazione e la ricollocazione del manto di copertura.<br />

Come per le coperture lignee anche per quelle in laterocemento, l’apertura di porzioni di falda<br />

per l’introduzione di finestre da tetto o abbaini comporta la realizzazione di una struttura di<br />

bordo al perimetro dell’apertura e l’eventuale formazione di una struttura portante degli<br />

abbaini che scarichi il peso sulla muratura perimetrale e su quella di spina.<br />

3.2. La distribuzione interna<br />

Il recupero del sottotetto avviene, per la maggioranza dei casi, in edifici storici o comunque<br />

antecedenti i due conflitti mondiali.<br />

In tali edifici la concezione planimetrico-distributiva dell’alloggio, sempre che questo non sia<br />

stato recentemente modificato e mantenga invece le sue caratteristiche originarie, è quella<br />

tradizionale, con corridoio centrale che accede ai vari ambienti che compongono l’unità<br />

abitativa, generalmente dotata di un unico servizio.<br />

La presenza di poche colonne di scarico delle acque nere costituisce un vincolo abbastanza<br />

forte per la collocazione dei servizi nel nuovo appartamento nel sottotetto.<br />

Generalmente le colonne di scarico dei vecchi edifici si trovano sul lato dell’edificio che affaccia<br />

verso il cortile interno; ciò determina quindi che, anche nel futuro alloggio, i locali di servizio<br />

quali bagni e cucina saranno collocati sul medesimo fronte interno della casa, a meno di non<br />

utilizzare pompe idonee al sollevamento delle acque di scarico, che le convoglino oltre il colmo<br />

del tetto nello spessore della falda, oppure a pavimento.<br />

La posizione dei servizi è il primo vincolo che potrà influenzare le scelte distributive<br />

dell’alloggio, in quanto le attuali offerte tecnologiche consentono di attuare qualunque<br />

soluzione o quasi; il secondo vincolo è quello che chiameremo lo “sfruttamento delle altezze”.<br />

L’abitudine a progettare in pianta conduce spesso a dimenticare, o a demandare a successivi<br />

studi tridimensionali degli spazi, la caratteristica anomalia volumetrica dei sottotetti: ci si trova<br />

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di fronte ad una inversione dell’utilizzo degli spazi, poiché la maggiore altezza si trova al centro<br />

sotto il colmo, dove negli appartamenti tradizionali è collocato il corridoio di distribuzione e i<br />

disimpegni, mentre l’altezza più esigua ai trova al perimetro dove andrebbero collocati gli<br />

ambienti principali.<br />

Il primo suggerimento che consente lo “sfruttamento delle altezze” è quello di ridurre allo<br />

stretto necessario gli spazi di disimpegno e praticamente di abolire i corridoi per scegliere<br />

invece una distribuzione a pianta aperta; inoltre dove la falda risulta troppo bassa per poter<br />

ricavare degli spazi abitabili possono essere collocati o piccoli ripostigli o terrazzini su cui<br />

affacciano, con enormi vantaggi, gli spazi interni.<br />

Se le dimensioni del sottotetto sono tali da far ipotizzare la realizzazione di un alloggio per<br />

circa quattro utenti, e quindi con numerose camere da letto, si suggerisce, seguendo il<br />

principio della pianta aperta, di posizionare la zona giorno in posizione baricentrica in maniera<br />

tale che funga contemporaneamente da spazio distributivo fra locali di servizio (cucina,<br />

lavanderia, guardaroba e studio) e zona notte.<br />

Se, al contrario, le dimensioni del sottotetto sono ridotte la pianta aperta e la flessibilità degli<br />

spazi possono essere ottenute con la progettazione integrata di arredi mobili multifunzione,<br />

che possano trasformare l’unico grande spazio, a seconda dell’uso che se ne intende fare nei<br />

vari momenti della giornata.<br />

3.3. L’illuminazione naturale<br />

I sistemi di illuminazione naturale di un sottotetto sono molteplici: lucernai o finestre da tetto,<br />

abbaini o finestre tradizionali verticali che affacciano su terrazzini in falda, pozzi di luce.<br />

Dare luce a un sottotetto è, a prima vista, un’operazione molto semplice: la luce zenitale ha un<br />

alto potere illuminante e soprattutto è difficilmente oscurata dalla vicinanza di edifici anche più<br />

alti.<br />

D’altro canto se il lucernario, in quanto illuminazione zenitale, ha un’ottima resa dal punto di<br />

vista dell’illuminazione fornita, produce un rapporto aerante inferiore rispetto alla finestra<br />

verticale, a causa della sua collocazione sull’inclinata della falda, che ne riduce notevolmente<br />

l’altezza effettiva, misurata sulla perpendicolare al pavimento.<br />

L’utilizzo del lucernario, o finestra da tetto, si presenta come la soluzione più immediata e di<br />

più semplice realizzazione, oltre al fatto di essere, nella maggioranza dei casi, la scelta più<br />

economica.<br />

Un problema da non sottovalutare causato dall’utilizzo di finestre in falda è il risvolto<br />

psicologico che ha sull’individuo uno spazio con aperture esclusivamente zenitali.<br />

Nel sistema abitativo tradizionale la relazione fra l’interno dell’appartamento e il contesto<br />

circostante, urbano, periferico, rurale, ecc., è garantito in maniera biunivoca dalle finestre<br />

verticali sul perimetro dell’edificio; queste consentono all’individuo di confermare con un<br />

semplice sguardo, anche se tutto ciò avviene in maniera del tutto inconscia e involontaria, la<br />

propria collocazione in un preciso contesto, pur restando all’interno delle proprie mura di casa.<br />

Questo aspetto, anche se spesso sottovalutato, è di grande importanza in quanto influisce sulla<br />

consapevolezza che il soggetto sviluppa per non estraniarsi dal mondo esterno.<br />

Al contrario è proprio quando si ricercano volutamente le condizioni dell’isolamento, ad<br />

esempio in un carcere, che le aperture, se ci sono, sono piccole e collocate al di sopra della<br />

visuale in maniera tale da impedire qualunque relazione con l’esterno e consentire<br />

esclusivamente la visione della volta celeste.<br />

Purtroppo le finestre da tetto consentono quasi esclusivamente una visuale verso l’alto, verso il<br />

cielo, ostacolando così il meccanismo ancestrale di autoidentificazione nel proprio territorio.<br />

In ultima analisi le finestre da tetto, essendo collocate a filo della copertura, non consentono di<br />

aumentare la volumetria in quei locali dove si renda necessario il raggiungimento di un’altezza<br />

media ponderale elevata. Ciò conferma l’idoneità delle finestre a filo della falda per<br />

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l’illuminazione dei locali di servizio, di passaggio o accessori per i quali si richiede una minore<br />

volumetria, mentre per camere, soggiorni, studi e cucine si consiglia l’utilizzo di lucernari<br />

abbinati a sistemi di illuminazione verticali, quali abbaini o finestre su terrazzini in falda.<br />

La versatilità delle finestre da tetto consente di realizzare moltissime combinazioni per ottenere<br />

la qualità di illuminazione desiderata all’interno del locale: le finestre possono essere affiancate<br />

sia orizzontalmente, sia verticalmente, ottenendo superfici vetrate di notevole dimensione.<br />

A parità di superficie vetrata, si possono inoltre combinare serramenti dalle diverse dimensioni,<br />

ottenendo una migliore distribuzione della luce, come illustrato nell’immagine seguente.<br />

46% 48% 65%<br />

Figura 3: esempio schematico di come può variare l’illuminazione a parità di superficie vetrata,<br />

di superficie del locale e di inclinazione della falda.<br />

Inoltre, nel confronto con l’abbaino, a parità di superficie vetrata, la finestra da tetto consente<br />

un’illuminazione superiore fino al 40%, se posizionata su una copertura che ha un’inclinazione<br />

del 100%.<br />

Uno degli elementi maggiormente caratterizzanti di un appartamento ricavato nel sottotetto è<br />

la finestra alla cappuccina, chiamata anche più comunemente abbaino.<br />

Essa caratterizza notevolmente anche l’esterno e, per tali ragioni di impatto urbano e di<br />

immagine degli edifici quali tessere del mosaico cittadino, risulta fondamentale un’accurata<br />

progettazione della cappuccina, del suo aspetto nei confronti della facciata, dei sui allineamenti<br />

con le bucature esistenti, del suo volume, delle sue proporzioni in relazione sia a se stessa, sia<br />

alla copertura, sia alle proporzioni dell’edificio sottostante che, per così dire, le ospita, della<br />

sua forma e dei suoi materiali e colori.<br />

La finestra alla cappuccina è un elemento in grado di cambiare in maniera radicale anche gli<br />

spazi e i volumi interni dell’alloggio: conferisce agli ambienti interni un’ampiezza maggiore,<br />

minimizzando gli inconvenienti causati dalla presenza di una falda inclinata, che riduce<br />

notevolmente lo spazio effettivamente agibile; consente una visuale che si sviluppa in linea<br />

orizzontale fuori dalla finestra, fondamentale all’individuo per sviluppare la consapevolezza del<br />

contesto in cui è inserito, a partire dal semplice sguardo involontario fuori dalla finestra; e, non<br />

da ultimo, contribuisce, con la propria volumetria, al raggiungimento dei requisiti minimi in<br />

termini di altezza media ponderale, potendosi sommare alla volumetria esistente, data dalla<br />

semplice inclinazione delle falde e dall’altezza del colmo, in quei locali dove tali requisiti minimi<br />

sono necessari ai fini dell’abitabilità e della salubrità dell’ambiente.<br />

Un abbaino è un manufatto relativamente complesso; si compone di una parte strutturale, una<br />

di tamponamento e una di copertura.<br />

La parte strutturale è costituita da travi e travetti e può essere lignea o metallica.<br />

La struttura della cappuccina non può poggiare direttamente sull’orditura minuta di un tetto o<br />

su una falda in laterocemento e tanto meno sulla soletta di pavimento.<br />

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Il peso della cappuccina, peso proprio e carico accidentale, va fatto scaricare sugli elementi<br />

portanti dell’edificio e non deve assolutamente poggiare “in falso”, come si dice, su solai piani<br />

o inclinati.<br />

Per realizzare ciò correttamente è necessario prevedere una soluzione per portare il peso<br />

dell’abbaino a scaricare sugli elementi portanti dell’edificio; per esempio: posizionando<br />

semplicemente due putrelle in ferro dal colmo del tetto alla muratura perimetrale e su di esse<br />

impostare il nuovo manufatto.<br />

Tale procedura non è necessaria per il lucernario, in quanto il peso proprio è paragonabile a<br />

quello della porzione di copertura di cui esso fa le veci.<br />

La struttura della copertura è poi composta da una trave posta orizzontalmente a reggere il<br />

peso della facciata, dove è aperta la finestra e da un piccolo colmo se la copertura è realizzata<br />

con un sistema a due falde.<br />

La copertura della cappuccina può essere realizzata, a grandi linee, in quattro maniere: a due<br />

falde, quindi molto simile al tetto su cui probabilmente innesta; a volta a botte, con arco più o<br />

meno ribassato; con copertura piana; oppure a falda inclinata o con pendenza minore a quella<br />

del tetto o addirittura in controtendenza.<br />

In tutti e quattro i casi, la copertura dell’abbaino deve essere realizzata con materiale coibente<br />

e impermeabilizzante, con particolare attenzione alla possibilità di formazione di ponti termici<br />

da un lato e di infiltrazioni d’acqua dall’altro.<br />

Figura 4: esempi di finestre alla cappuccina con tetto piano, con tetto curvo, con tetto a due<br />

falde, con tetto a una falda e in controtendenza.<br />

Un aspetto fondamentale della progettazione riguarderà il corretto proporzionamento degli<br />

abbaini in copertura, in rapporto all’edificio nella sua integrità e alla copertura stessa, e la<br />

relazione con il sistema delle aperture esistenti in facciata.<br />

Assolutamente da evitare, anche se ce ne sono alcuni aberranti esempi di realizzazione, la<br />

collocazione di una cappuccina all’incrocio di due falde; tale scelta non possiede alcuna<br />

giustificazione né stilistica, né estetica, né funzionale, né ha alcun precedente storico.<br />

Con l’inserimento di finestre alla cappuccina sulla copertura si procede, indirettamente, alla<br />

riprogettazione dell’intera facciata dell’edificio, oltre che della sua volumetria.<br />

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Il progetto finale dovrà essere coerente con la natura e l’aspetto dell’edificio esistente, anche<br />

se non necessariamente ricalcarne lo stesso linguaggio.<br />

Per concorrere al raggiungimento di tale obiettivo, nel caso di facciate particolarmente<br />

caratterizzate dalla presenza di decorazioni anche attorno alle finestre, si può pensare di<br />

riprendere tali decorazioni anche attorno alle finestre degli abbaini, o nella maniera più fedele,<br />

oppure anche come semplice citazione stilizzata.<br />

Questa diatriba è già stata approfonditamente affrontata da progettisti e teorici<br />

dell’architettura.<br />

Negli anni successivi al secondo conflitto mondiale l’apparizione di una legge che consentiva<br />

uno sfruttamento maggiore delle aree, anche già edificate, ha dato luogo ai cosiddetti sopralzi<br />

e ha riaperto la problematica del confronto con il carattere dell’esistente; si può dire che<br />

questa problematica si ripresenti ad ogni epoca.<br />

Il bivio che si prospettò allora e che si ripropone oggi con il recupero dei sottotetti esistenti è<br />

quello fra il mantenimento del linguaggio proprio dell’edificio esistente, anche se in contrasto<br />

con le linee espressive dell’architettura contemporanea, o la dichiarazione aperta della<br />

modernità della porzione di edificio che si va realizzando, legandola al suo tempo, oltre che<br />

all’edificio esistente e creando quindi un nuovo edificio in cui vecchio e nuovo risultino<br />

armoniosamente inglobati.<br />

Non si intende entrare nel merito di questa diatriba nei confronti della quale teorici e maestri<br />

dell’architettura si sono già confrontati esaustivamente, in questa sede si intende<br />

semplicemente sottolineare come la recente normativa per il recupero dei sottotetti a fini<br />

abitativi abbia, inconsapevolmente, ripresentato un problema spinoso di linguaggio progettuale<br />

nei confronti del quale ogni progettista, degno della categoria cui appartiene, dovrà cimentarsi<br />

assumendo e difendendo al propria personale posizione.<br />

Se la scelta ricadrà sulla riproposizione degli elementi decorativi della facciata anche sulle<br />

finestre alla cappuccina nel sottotetto, allora si dovrà provvedere, oltre alla riproposizione<br />

formale degli elementi decorativi, al rispetto delle tecniche e dei materiali storici, per non<br />

incorrere in un “finto antico” dal sapore evidentemente posticcio.<br />

Anche la semplice scelta dei materiali e dei colori con cui realizzare esternamente l’abbaino<br />

può confermare, oppure discostarsi nettamente, dall’immagine complessiva dell’edificio<br />

originario.<br />

Oltre a finestre in falda e abbaino è possibile inserire un terrazzino in falda per dare luce e<br />

visuale al sottotetto.<br />

Il terrazzino in falda, oltre ad aumentare la godibilità dell’appartamento, consente di sfruttare<br />

meglio la porzione più bassa sotto la falda che altrimenti non verrebbe utilizzata se non per<br />

ricavare degli scomodi ripostigli.<br />

Le finestre alla cappuccina che affacciano sul terrazzino potranno avere una portafinestra<br />

anziché una finestra migliorando notevolmente la qualità degli spazi interni. Anzi, non sarà<br />

neanche necessario dover realizzare una cappuccina se si imposta il serramento che da<br />

accesso al terrazzino dove la falda ha un’altezza interna netta di m. 2.20.<br />

Se la legge regionale, all’interno della quale si opera, consente aumenti di volumetria,<br />

modifiche alla quota di imposta di colmo e gronda, modifica della pendenza della falda, allora<br />

anche il parapetto del balcone potrà essere realizzato in sporgenza rispetto alla linea della<br />

falda.<br />

Se invece la normativa non consente aumenti di volumetria, il terrazzino andrà realizzato<br />

totalmente all’interno della falda, con un’altezza minima del parapetto, costituito dalla falda<br />

stessa, di m 1.10.<br />

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A<br />

Figura 5: A e C - terrazzo in falda senza<br />

aumento di volumetria; B e D -<br />

terrazzo in falda con aumento di<br />

volumetria.<br />

Figura 6: come si modifica la facciata con<br />

l’introduzione di diverse cappuccine<br />

o di terrazzini in falda più o meno<br />

ampi.<br />

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3.4. Abitare il sottotetto<br />

La forma dello spazio dedicato all’abitare, che è andata consolidandosi nei secoli,<br />

successivamente alle primitive capanne circolari, è quella quadrata.<br />

Nei nostri appartamenti, più o meno recenti, lo spazio “quadrato” costituisce la traccia abituale<br />

sulla base della quale vengono organizzati gli ambienti dell’abitazione.<br />

Per noi quindi le stanze hanno generalmente pareti parallele a due a due e soffitti paralleli ai<br />

pavimenti; sono pochi gli esempi dove ciò non si verifica e, nella maggioranza dei casi, si tratta<br />

di un adeguamento a vincoli preesistenti e solo raramente di una scelta abitativa differente.<br />

L’architettura come frutto di sapiente progettazione non consiste nella somma di larghezze,<br />

lunghezze e altezze degli elementi costruttivi piani che definiscono lo spazio, ma proprio dal<br />

vuoto, dallo spazio racchiuso, dallo spazio interno in cui si inserisce l’uomo.<br />

Il problema si sposta quindi sulla rappresentazione dello spazio in architettura,<br />

rappresentazione che, utilizzando i pochi strumenti forniti da piante e alzati, risulta<br />

insufficiente già a rappresentare uno spazio di tipo tradizionale, parallelepipedale, e ancor più<br />

insufficiente a rappresentarne uno irregolare.<br />

Nel caso dello studio e della rappresentazione di un alloggio ricavato nel sottotetto la<br />

rappresentazione grafica tridimensionale o la realizzazione di modelli diventa quasi necessaria<br />

per aggirare la convenzione inconscia che vede il soffitto quale l’esatta proiezione del<br />

pavimento e le pareti tutte rettangolari e della stessa altezza.<br />

L’ambiente di un sottotetto riproduce lo spazio generato dall’angolo concavo fra le due falde<br />

inclinate del tetto; si genera così un ambiente che non ha sempre caratteristiche identiche, ma<br />

presenta zone dalla volumetria più generosa, in corrispondenza della parte centrale del tetto, e<br />

zone meno vivibili, dove la falda del tetto scende sotto l’altezza di m 1,80.<br />

Dalla semplice vista in pianta dell’alloggio questa caratteristica dello spazio del sottotetto non è<br />

individuabile e va colta con uno studio tridimensionale dell’ambiente.<br />

La forma e l’illuminazione dello spazio del sottotetto lo rendono quindi differente dagli spazio in<br />

cui abitualmente ci muoviamo e in maniera differente esso va pensato, affrontato e vissuto.<br />

Quando si affronta un sottotetto più che di arredamento sarebbe corretto parlare di interior<br />

design in quanto sia la parte edilizia, per così dire fissa, sia quella mobile, cioè l’arredamento<br />

vero e proprio, sono in stretta relazione uno con l’altro.<br />

A differenza di un appartamento tradizionale, quando si progetta il sottotetto, fin dai primi<br />

passi in cui viene scelta la distribuzione generale, si compiono delle scelte che influenzeranno,<br />

per non dire vincoleranno, il successivo studio dell’arredamento. In maniera molto semplificata<br />

si può affermare che “muri” e “arredi” procedono di pari passo nel loro collocarsi all’interno<br />

dello spazio.<br />

Lo spazio del sottotetto può presentarsi in due modi:<br />

- come insieme sinergico di spazi chiusi e delimitati disposti in maniera stellare attorno alla<br />

zona giorno centrale;<br />

- come unico ambiente, con un nucleo separato e chiuso da pareti, che costituisce il blocco<br />

dei servizi e relativo disimpegno, rispetto al resto dell’appartamento.<br />

Nel primo caso le pareti che delimitano i vari ambienti, che, con la loro presenza, individuano<br />

chiaramente e univocamente sia gli ambienti stessi sia la loro funzione, costituiscono la<br />

superficie naturale contro la quale disporre i vari elementi di arredo.<br />

Lo spazio è generato dalla presenza delle pareti divisorie e, di conseguenza, gli elementi<br />

dell’arredo non possono che seguire le linee guida già dettate dallo spazio, inserendosi in esso<br />

come una naturale conseguenza.<br />

Nel secondo caso, quello dello spazio aperto, saranno gli elementi di arredo a definire di volta<br />

in volta i vari ambienti; ciò conferisce all’intera unità immobiliare una flessibilità maggiore ed<br />

una maggiore adattabilità al modificarsi delle esigenze del nucleo familiare.<br />

Poter avere un appartamento che, a parte alcuni nuclei fissi quali i servizi, la cucina e la<br />

camera da letto principale, è costituito da un unico ambiente che può cederne porzioni per la<br />

realizzazione di stanze separate, potrebbe essere la soluzione a molte esigenze del nuovo<br />

mercato immobiliare destinato alle giovani coppie.


Il sottotetto, in quanto forma sia abitativa sia spaziale non tradizionale, si presta molto bene a<br />

questo tipo di sperimentazione.<br />

L’illuminazione artificiale è un altro aspetto progetturale che concorre alla realizzazione dello<br />

spazio interno. L'utilizzo della luce come elemento, e non complemento, dello spazio è un fatto<br />

piuttosto raro nei comuni appartamenti, piuttosto si tende ad acquistare belle lampade da<br />

esporre in quanto begli oggetti e secondariamente per il tipo di luce che esse fanno.<br />

In un sottotetto, inoltre, la presenza di un soffitto inclinato anziché orizzontale, non favorisce<br />

la diffusione della luce, accentuando maggiormente lo scarto fra zone illuminate e in ombra.<br />

Nelle porzione più basse del sottotetto, dove sono collocate le armadiature fisse a separazione<br />

con la zona non abitabile, l'illuminazione risulta necessaria per l'accesso e la consultazione dei<br />

contenitori ma può anche essere utilizzata nelle ore serali per creare una sorgente di luce<br />

soffusa al limite della zone di sosta degli individui. In questi spazi ribassati è molto difficile<br />

collocare corpi illuminanti tradizionali del tipo a sospensione, a muro o a pavimento, mentre si<br />

prestano con ottimi risultati finali e praticità di installazione i faretti da incasso.<br />

Per quanto riguarda l'illuminazione generale degli ambienti nelle ore serali e notturne è da<br />

escludere l'utilizzo di corpi illuminanti a sospensione, a causa della ovvia presenza di un soffitto<br />

inclinato, mentre è da prediligere l'uso di piantane e apliques. Per quanto riguarda queste<br />

ultime si consiglia da un lato una collocazione sulle pareti dotate di maggiore altezza, in<br />

corrispondenza o quasi del colmo, in maniera tale che una presenza ravvicinata della falda del<br />

tetto non ostacoli la diffusione del fascio luminoso e dall'altro lato bisogna però evitare di<br />

precludersi l'utilizzo delle poche pareti alte per la collocazione di armadi o libreria.<br />

Per quanto riguarda l'illuminazione specifica delle singole zone di lavoro, di riposo, ecc.,<br />

bisogna scegliere accuratamente posizione e corpo illuminante idonei all'attività da svolgere.<br />

Sul piano di lavoro di cucina, in assenza della classica illuminazione sotto i pensili non si è<br />

potuto collocarla, trovandoci in corrispondenza della falda inclinata del tetto, si possono<br />

utilizzare ancor dei faretti direzionabili, posti immediatamente al di sopra del piano di lavoro.<br />

Per illuminare la zona del pranzo esistono più possibilità a seconda della collocazione del<br />

tavolo, ad esclusione sempre dei corpi a sospensione: se il tavolo è collocato in prossimità di<br />

una parete, in maniera tale che quando non viene utilizzato resta a ridosso della medesima, è<br />

consigliabile l'uso di apliques a parete o a braccio per illuminare il centro del tavolo; al<br />

contrario se il tavolo è collocato permanentemente al centro della stanza la scelta dovrebbe<br />

ricadere sull'utilizzo di una piantana che possa essere avvicinata al tavolo senza invadere lo<br />

spazio di movimento dei commensali.<br />

Per illuminare la zona dei divani non si evidenziano differenze con gli appartamenti di tipo<br />

tradizionale.<br />

Nei bagni possono essere utilizzati sia apliques, sia faretti da incasso con una particolare<br />

attenzione per questi ultimi nei confronti della vicinanza con acqua o sorgenti di vapore.<br />

Nelle camere possono essere utilizzate apliques o corpi luminosi sopra le travi, per creare<br />

un'illuminazione diffusa; possono essere collocati faretti orientabili di fronte agli armadi, per<br />

illuminarne maggiormente l'interno; a fianco del letto sono idonee le classiche abat jour, e per<br />

lo scrittoio una piantana o una lampada da tavolo.<br />

Infine corridoi, ripostigli in quota e cabine armadio possono essere trattati analogamente agli<br />

stessi spazi di un appartamento tradizionale.<br />

Documento reperibile, assieme ad altre monografie, nella sezione Dossier del sito http://www.sanpaoloimprese.com/<br />

Documento pubblicato su licenza EDITORE – Copyright EDITORE<br />

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