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A. CAMPESE SIMONE, Iscrizioni funerarie cristiane dell ... - BibAr

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ISCRIZIONI FUNERARIE CRISTIANE<br />

DELL’APULIA FRA TARDOANTICO<br />

ED ALTO MEDIOEVO<br />

di<br />

ANNA <strong>CAMPESE</strong> <strong>SIMONE</strong><br />

L’esiguo numero di testimonianze epigrafiche rinvenute<br />

in 39 siti indagati, che alla luce di una ricognizione<br />

sugli spazi funerari fra IV e IX secolo, non sembra essere<br />

sempre giustificabile con lo stato di distruzione dei monumenti,<br />

non consente di redigere per la Puglia settentrionale<br />

un inventario finalizzato alla ricerca demografica o biometrica<br />

e ancor meno alla storia <strong>dell</strong>e strutture familiari<br />

(<strong>CAMPESE</strong> <strong>SIMONE</strong> 2003).<br />

Gran parte dei rinvenimenti epigrafici tardoantichi proviene<br />

da Canosa, sede diocesana dal 343 (PL X, 643) e capoluogo<br />

<strong>dell</strong>a provincia Apulia et Calabria (PANCIERA 1979,<br />

pp. 255-267; CARLETTI 1984, pp. 123-137; CHELOTTI et<br />

al. 1985; CHELOTTI, MORIZIO, SILVESTRINI 1990; <strong>CAMPESE</strong> SI-<br />

MONE 1993, pp. 91-124; VOLPE et al. 2002, pp. 133-190).<br />

Seguono con epigrafi databili all’ Alto Medioevo altre quattro<br />

sedi diocesane pugliesi: Sipontum (D’ANGELA 1983, pp.<br />

449-454; SERRICCHIO 1999, pp. 275-279), Luceria (CARLET-<br />

TI 1979, pp. 93-104), Aecae (D’ANGELA 1988, pp. 653-659;<br />

ID. 1983, 453; CHELOTTI 1994, p. 18) e Turenum, vicus, ma<br />

sede diocesana già dalla fine del V secolo (MGH,AA,12,<br />

434, 444-445; CASSANO, CARLETTI 1992, pp. 901-906). Dall’area<br />

funeraria subdiale di Monte Sant’Angelo provengono<br />

altre due iscrizioni databili alla fase altomedievale più<br />

matura (D’ANGELA 1980, p. 358).<br />

Fra intere e frammentarie 10 sono le iscrizioni note da<br />

trascrizioni, 7 sono certamente pertinenti ad aree <strong>funerarie</strong><br />

subdiali e 6 a cimiteri sotterranei; dubbia rimane la localizzazione<br />

degli altri rinvenimenti occasionali, spesso fuori<br />

contesto e accompagnati da scarne notizie sul ritrovamento.<br />

Appena due si collocano nell’ambito del IV secolo avanzato,<br />

la gran parte occupa lo spazio del V e VI secolo, per<br />

attardarsi al più fino agli inizi del VII. Dopo una fase di<br />

transizione, caratterizzata soltanto da scarni, ma significativi<br />

documenti di scrittura graffita, la prassi di segnalare la<br />

tomba con l’epitaffio si riafferma, con modi diversi, nell’VIII<br />

e IX secolo, quando le aree <strong>funerarie</strong> si dispongono intorno<br />

o entro gli edifici di culto.<br />

Ciò premesso, la maggior parte <strong>dell</strong>e considerazioni riguardanti<br />

il periodo tardoantico è estrapolata dal solo contesto<br />

culturale omogeneo che offra esempi significativi:<br />

Canosa, le cui epigrafi contengono elementi di novità nel<br />

panorama cronologico <strong>dell</strong>’epigrafia funeraria paleocristiana,<br />

che meglio conosciamo attraverso la produzione cimiteriale<br />

romana (FIOCCHI NICOLAI 1997, pp. 121-141; CAR-<br />

LETTI 1998, pp. 39-67). Mentre quest’ultima aveva visto una<br />

parabola discendente quanto a logicità grafica e ricchezza<br />

di formulari proprio durante i secoli V e VI, in controtendenza<br />

per esempio rispetto alla ricca produzione epigrafica<br />

africana (PETRUCCI 1995, p. 42), le iscrizioni canosine con<br />

datazione consolare, sono assegnabili in un solo caso alla<br />

fine del IV secolo, le rimanenti sono comprese invece fra il<br />

519 e il 549, nella prima metà dunque del VI secolo.<br />

Se le poche lapidi rinvenute non hanno peculiarità degne<br />

di nota, più originale è la tecnica di esecuzione del<br />

materiale epigrafico dei cimiteri sotterranei. Sulla scorta<br />

<strong>dell</strong>e iscrizioni trovate in loco o descritte da archeologi del<br />

passato (<strong>CAMPESE</strong> <strong>SIMONE</strong> 1993, pp. 91-124; VALENTINI 1888,<br />

pp. 531-532) e di quelle ancora leggibili nelle vicine catacombe<br />

ebraiche di Venosa (COLAFEMMINA 1975, p. 42; SAL-<br />

VATORE 1984, pp. 88-89) la maggior parte dei testi nei cimiteri<br />

ipogei fu dipinta in rosso a fresco sulla malta scialbata<br />

di bianco all’interno dei nicchioni, al lato <strong>dell</strong>e tombe o sui<br />

muretti di chiusura dei nicchioni ad inumazioni sovrappo-<br />

135<br />

ste. Pressoché sconosciuta alle catacombe romane, la rapidità<br />

<strong>dell</strong>’esecuzione ed il basso costo del supporto fanno sì<br />

che questa tecnica sia soprattutto appannaggio <strong>dell</strong>e aree<br />

periferiche e rurali. Peculiare <strong>dell</strong>e aree ipogee geograficamente<br />

contigue di Castelvecchio Subequo in Abruzzo e di<br />

Venosa in Lucania, risulta particolarmente diffusa nelle catacombe<br />

<strong>dell</strong>’Etruria meridionale, e in quelle laziali e siracusane<br />

(GIUNTELLA et al. 1992, pp. 249-321; SALVATORE 1984;<br />

pp. 88-89; FIOCCHI NICOLAI 1988, p. 37). Nell’unico caso<br />

recentemente rinvenuto in situ, una tabula ansata delimita<br />

lo specchio epigrafico, che quasi sempre è corredato dagli<br />

elementi tipici e distintivi <strong>dell</strong>’epigrafia funeraria del periodo<br />

posteriore alla metà del IV secolo, espressi da segni<br />

cristologici: pesce, croci, Chrismon o figurine di oranti<br />

(<strong>CAMPESE</strong> <strong>SIMONE</strong> 1993, pp. 91-124; VALENTINI 1888, pp. 531-<br />

532) (Fig. 1).<br />

La struttura prevalente, piuttosto semplice, è quella caratterizzante<br />

l’epigrafia romana posteriore alla seconda metà<br />

del IV secolo (CARLETTI 1998, p. 47), in cui compaiono dati<br />

biometrici, il ruolo svolto nella sfera familiare o civile ed<br />

ecclesiale, la menzione <strong>dell</strong>a depositio e la data consolare.<br />

Il consueto formulario canosino di esordio: hic requiescit<br />

in pace, ripetitivamente proposto per esprimere la pace col<br />

Signore al momento <strong>dell</strong>a morte, con significato escatologico<br />

(COLAFRANCESCO, CARLETTI 1995, pp. 269-292), denuncia<br />

come già avvenuto «il passaggio dalla struttura dedicatoria<br />

a quella segnaletica», che si ritrova nelle catacombe<br />

romane più tarde e che si cristallizza definitivamente nella<br />

seconda metà del V secolo nel modulo hic requiescit in pace<br />

spesso preceduto da una croce (CARLETTI 1998, p. 64).<br />

Un formulario dipinto in rosso lungo l’estradosso di un<br />

arcosolio ad edicola, affrescato, che fissa dipinta sul tufo<br />

l’acquisizione del sepolcro in vita, sottolineandone il possesso,<br />

utilizza l’espressione A. Spanus fecit (<strong>CAMPESE</strong> SIMO-<br />

NE 1993, pp. 99-100), accompagnato da un grande cristogramma<br />

dipinto sulla chiave <strong>dell</strong>’arco (Fig. 2). La sua datazione<br />

al pieno V secolo è possibile grazie al complesso programma<br />

decorativo interno all’arcosolio, che imita il cielo<br />

stellato con clipeo centrale <strong>dell</strong>e cupole o <strong>dell</strong>e absidi degli<br />

edifici di culto (<strong>CAMPESE</strong> <strong>SIMONE</strong> 2001, pp. 69-82).<br />

Il sistema onomastico, nella norma tendenzialmente<br />

uninominale per l’età tardoromana (FERRUA 1966, pp. 496-<br />

497; CORDA 1999, pp. 233-235), non sfugge alla prassi “provinciale”<br />

e <strong>dell</strong>e aree rurali nell’uso dei duo nomina, attestato<br />

anche con una certa frequenza nella non lontana<br />

Aeclanum in Irpinia (FELLE 1993, p. 83). Il gentilizio A, che<br />

precede Spanus risulta ripetuto ancora in iscrizioni latine e<br />

greche <strong>dell</strong>a stessa catacomba nel gruppo binominale A. S<br />

seguito da tabula ansata, il cui nomen, compreso in una<br />

lacuna, non si lascia completare. L’abbreviazione che nelle<br />

iscrizioni canosine di età classica era riferibile al praenomen<br />

Aulus (CHELOTTI, MORIZIO, SILVESTRINI 1990, p. 385), in età<br />

tardoantica, se espressa potrebbe riferirsi ad Aurelianus<br />

(CALDERINI 1974, p. 216), ove la reiterazione <strong>dell</strong>’abbreviazione<br />

all’interno <strong>dell</strong>o stesso ipogeo presuppone la sua diffusione<br />

e quindi la immediata interpretazione da parte del<br />

lettore. Le epigrafi canosine tuttavia, mostrano una particolare<br />

predilezione per i nomi provenienti dal santorale orientale:<br />

Paolo, Eusebio, Acacio, ed uguale fortuna sembrano<br />

incontrare quei nomi legati alla provenienza straniera che<br />

hanno probabilmente perso le implicazioni geografiche:<br />

Spanus, Brizynus (abitante di Bryzos, città <strong>dell</strong>a Frigia) e<br />

un Grecus che fa la dedica al domino meo Alexander fidelis,<br />

ove fidelis sta per cristiano battezzato (<strong>CAMPESE</strong> <strong>SIMONE</strong><br />

1993, p. 114). L’indicazione di ben tre provenienze diverse<br />

degli inumati, percentualmente alta, in relazione al numero<br />

<strong>dell</strong>e epigrafi recuperate offre il quadro di una situazione<br />

composita e mobile che doveva esser tale già alla fine del<br />

IV secolo. Una società nella quale con esponenti di categorie<br />

rilevanti quali i consulares Apuliae et Calabriae, destinati<br />

a far parte del rango senatorio (DE BONFILS 1992,<br />

pp. 837-839) e con gli ultimi rappresentanti <strong>dell</strong>e famiglie


Fig. 1 – Canosa, epigrafe latina e greca proveniente dal cimitero tardoantico<br />

di Lamapopoli, <strong>CAMPESE</strong> <strong>SIMONE</strong> 1993.<br />

Fig. 3 – Fibule con protomi animali dall’Italia meridionale, SALVA-<br />

TORE 1977.<br />

locali, coesistono gli immigrati di data più recente. Quanto<br />

al ruolo svolto nella sfera civile o ecclesiale, Canosa registra<br />

la sepoltura di un procurator, equivalente genericamente<br />

ad un amministratore e di un primicerius, carica militare<br />

(JONES 1964, p. 599) o di un semplice ufficio capitolare,<br />

istituito per ammaestrare diaconi e chierici (PALAZZINI 1953,<br />

pp. 20-21).<br />

La sepoltura è segnalata talora come arca, talora come<br />

sepulcrum.<br />

I fenomeni grafo-fonetici ricorrenti sono quelli comunemente<br />

individuati nelle iscrizioni <strong>dell</strong>a tarda antichità.<br />

Quanto alla tecnica scrittoria, l’inserimento <strong>dell</strong>e onciali,<br />

la traversa obliqua <strong>dell</strong>a A, l’ occhiello triangolare <strong>dell</strong>a B,<br />

Fig. 2 – Canosa, Lamapopoli, Epigrafe di A. Spanus, <strong>CAMPESE</strong> <strong>SIMONE</strong> 1993.<br />

136<br />

che avrebbero potuto far pensare ad una équipe di artefici<br />

specializzati canosini, trovano puntuale riscontro anche in<br />

centri del Tavoliere e <strong>dell</strong>’Irpinia (CARLETTI 1979, pp. 93-<br />

104; CHELOTTI 1994, pp. 17-35; FELLE 1993, p. 83). Dal che<br />

non sembra azzardato desumere che l’équipe servisse l’intera<br />

subregione, con spostamenti continui e possibili grazie<br />

al raro impiego <strong>dell</strong>a loro mano d’opera.<br />

Complesso, ed unico nella regione, il carme funerario<br />

di contenuto cristiano di Ilarianus, morto a soli otto mesi,<br />

originariamente dipinto col minio sulla fronte di un sarcofago<br />

in muratura (CARLETTI 1984, pp. 123-137). Interessanti<br />

i versi che seguono i dati biometrici, intesi a sviluppare la<br />

contrapposizione corpo-terra, anima-cielo tipica <strong>dell</strong>e iscrizioni<br />

più tarde. Non è un caso che l’iscrizione metrica<br />

afferisca ad un piccolo mausoleo familiare subdiale, restaurato<br />

e riadattato con l’aggiunta di due nuove sepolture ed<br />

una diversa decorazione pittorica. Agli inizi del V secolo,<br />

data cui è stato assegnato il carme, ma forse già alla metà<br />

del IV (<strong>CAMPESE</strong> <strong>SIMONE</strong> 1996, pp. 375-401), è riaffiorato il<br />

concetto e quindi la ricerca di una memoria, simbolo di uno<br />

status, che ad imitazione del costume funerario romano si<br />

affidi alla morfologia privilegiata <strong>dell</strong>a tomba associata al<br />

colto epitaffio metrico.<br />

Un monumento canosino significativo quanto originale<br />

per lo studio <strong>dell</strong>a prassi epigrafica di V secolo in Puglia,<br />

rinvenuto in una catacomba di recente scoperta, si articola<br />

in quattro iscrizioni latine e greche, dipinte in rosso sul<br />

muretto di chiusura di un nicchione a deposizioni sovrapposte,<br />

pertinenti a tre inumati (<strong>CAMPESE</strong> <strong>SIMONE</strong> 1993,<br />

pp. 113-119) (Fig. 1). Se si eccettua parte del formulario<br />

greco iniziale, lacunoso e di modulo difforme, che esprime<br />

la pace col Signore e che fa pensare ad una formula acclamatoria<br />

finale di un’epigrafe soprastante perduta, le evidenti<br />

affinità nel segno, nella grafia e nell’organizzazione<br />

<strong>dell</strong>o specchio epigrafico, in presenza almeno di due nomi<br />

di defunti lasciano perplessità sulla contemporaneità <strong>dell</strong>e<br />

deposizioni. Come si è talora riscontrato nelle catacombe<br />

romane, è possibile che quando l’imbocco del nicchione è<br />

stato definitivamente sigillato dopo l’ultima deposizione,<br />

sia stata reintonacata buona parte del prospetto sottostante<br />

e siano stati scritti nuovamente da mano diversa i nomi degli<br />

inumati precedenti. Queste epigrafi, pur nella fissità dei<br />

moduli formulari, lasciano segnalare una formula<br />

comminatoria con ammenda finale contro i violatori del<br />

sepolcro. L’originalità <strong>dell</strong>’epitaffio risiede nella sommatoria<br />

di formule comminatorie che ne fa una sorta di florilegio<br />

di maledizioni <strong>funerarie</strong> <strong>cristiane</strong> (<strong>CAMPESE</strong> <strong>SIMONE</strong> 1993,<br />

pp. 111-119). L’ammenda finale da pagare al fisco o all’erario,<br />

parzialmente asportata, il cui ammontare è dubbio se<br />

contempli argenti pondo quinque o quinquaginta, non dà<br />

lumi sull’eventuale costo di una sepoltura, designata in modi<br />

diversi a Concordia e a Salona, ove si rileva una grande


Fig. 4 – Trani, lastra graffita dal cimitero sotto la cattedrale, CAS-<br />

SANO, CARLETTI 1992.<br />

varietà di tariffe, ma che a Roma sappiamo oscillare da 1 a<br />

17 solidi proporzionalmente alla struttura ed alla posizione<br />

rispetto alla tomba del martire (LETTICH 1983, p. 51; EGGER<br />

1926, pp. 64-109; DIGGVE, EGGER 1939, pp. 149-157; CAR-<br />

LETTI 1998, p. 58).<br />

Luceria, che nel IV secolo aveva preso l’appellativo di<br />

Costantiniana (CIL IX, 801) ed era conosciuta come “città<br />

d’Italia” da Stefano di Bisanzio, ha restituito soltanto quattro<br />

epigrafi parte pervenute in copia, parte incise su lapidi<br />

riutilizzate nel castello federiciano <strong>dell</strong>a città. Due sono riferibili<br />

alla fine del V-VI secolo e le altre alla fine del VI<br />

inizi VII secolo, forse provenienti dall’eventuale necropoli<br />

di Piano dei Puledri (CARLETTI 1979, pp. 93-104; D’ANGELA<br />

1982, pp. 587-600). Nelle più tarde epigrafi lucerine compare<br />

ancora l’intitolatura di carattere funerario Dis Manibus,<br />

da considerare ormai svuotata del suo significato originale,<br />

mentre il sistema nominale comincia ad includere gli antroponimi<br />

di origine longobarda Lupus e VVinelaupo, in consonanza<br />

con quanto attestato dalle fonti, che descrivono la<br />

città sede gastaldale già nel 570 (Hist. Lang. 5, 7, 147; CO-<br />

NIGLIO 1974, p. 45). L’elemento paleografico più caratteristico<br />

è la lettera Q, costituita da O con un trattino verticale<br />

inscritto, che generalmente compare nel V secolo.<br />

137<br />

Per quanto riguarda la prima fase di età longobarda, si è<br />

rinvenuta un’altra sola epigrafe appartenente alla sfera funeraria<br />

cristiana presso il casale di S. Lorenzo in Carmignano,<br />

in territorio di Troia, incisa sul retro di una lastra<br />

riutilizzata. L’antroponimo Pauludiriu, preceduto da una<br />

croce sembrerebbe derivare dal latino Paulus col suffisso<br />

dir, considerato variante di deor ricorrente in nomi longobardi<br />

(CHELOTTI 1994, p. 18). La paleografia presenta affinità<br />

con l’epigrafe bilingue di Canosa: la A col tratto obliquo,<br />

la D e la R con gli occhielli triangolari.<br />

L’acclamazione biba in Deo, contenuta in questa epigrafe,<br />

con la variante biba in pace, che ha valenza escatologica,<br />

ricorre ormai con lo scambio <strong>dell</strong>a labiale con la velare<br />

in un formulario frequente in ambito meridionale, in Puglia,<br />

in Basilicata e nel Beneventano, non più nelle epigrafi<br />

sepolcrali di tipo canonico, che sembrano del tutto scomparse,<br />

ma nella scrittura graffita <strong>dell</strong>e iscrizioni murali del<br />

Santuario di Monte Sant’Angelo come biba in Deo, di un<br />

lastrone sepolcrale di Trani, di una tomba adiacente alla<br />

chiesa di S. Pietro a Crepacore, (CARLETTI 1980, pp. 7-180;<br />

CASSANO, CARLETTI 1992, pp. 901-906; FELLE 1999, pp. 65-<br />

69) e soprattutto di fibule ad anello aperto con protomi animali<br />

(Fig. 3). Queste ultime, contraddistinte spesso dall’iscrizione<br />

Lupus biba, si sono rinvenute numerose in contesti<br />

funerari indigeni di Puglia e Basilicata e sono state attribuite<br />

al VI-VII secolo, nonostante l’onomastica e la paleografia<br />

rimandino anche ad un momento più tardo. L’alto numero<br />

di questi manufatti, attestato nel Beneventano, ha fatto<br />

recentemente dedurre che la loro produzione sia circoscrivibile<br />

fra Benevento e Capua (D’ANGELA 1991, p. 138;<br />

GASPERINI 1993, pp. 9-14).<br />

La lastra graffita reimpiegata a copertura di una tomba<br />

sotto la cattedrale di Trani, sembra riassumere le variazioni<br />

dei rituali <strong>dell</strong>a morte, strettamente connesse all’ideologia<br />

e agli strumenti di trasmissione del potere nell’Alto Medioevo,<br />

in particolare nel VII secolo, data cui è stata assegnata<br />

la lastra (CASSANO, CARLETTI 1992, pp. 901-906) (Fig. 4).<br />

Tra gli 83 graffiti che la ricoprono, disposti senza ordine<br />

apparente, ricorrono motivi figurati quale la croce equilatera,<br />

ornata nei bracci da losanghe, cui seguono pavoni, aquile,<br />

grifi, protomi equine, pesci e teste barbate di cavalieri<br />

dalla tipica forma a pera. La resa con motivi iconografici<br />

elementari, si inserisce in quella produzione minore che interessò<br />

elementi di corredo funerario quali: fibule, fermagli<br />

e piccole croci e, che conobbe una certa diffusione durante<br />

il VII secolo nell’Italia meridionale. Tra i graffiti si sono<br />

individuate 20 brevi iscrizioni ispirate alla formula acclamatoria<br />

biba in Deo. Quanto all’onomastica si trovano ripetuti<br />

antroponimi longobardi ed altri di sostrato latino:<br />

Forte, Raddelchisi, Boiando, Bonesso e Petrus.<br />

La terza coeva testimonianza di questa espressione epigrafica<br />

funeraria popolare riguarda il bordo di appoggio del<br />

lastrone di chiusura di una tomba, rimasta ancora intatta, presso<br />

la chiesa di S. Pietro a Crepacore. Qui si ripropongono<br />

molti di quei motivi iconografici elementari, tra cui la stella<br />

a cinque punte, nota per la sua valenza apotropaica<br />

(COLAFEMMINA 1980, pp. 339-352) e brevi formulari ispirati<br />

alla stessa formula acclamatoria biba in Deo. In definitiva,<br />

queste forme epigrafiche legate ad un periodo di transizione<br />

rispetto alla costituzione <strong>dell</strong>o spazio funerario cristiano definito<br />

e comunitario <strong>dell</strong>e installazioni parrocchiali (<strong>CAMPESE</strong><br />

<strong>SIMONE</strong> 2003; <strong>CAMPESE</strong> <strong>SIMONE</strong> 2002, c.s.) sembrano riassumere<br />

quelle forme di continuità e trasformazioni poste come<br />

problema dalla diversa impostazione degli studi degli ultimi<br />

decenni, basata su una lettura integrata dei processi. La loro<br />

datazione coincide con il momento in cui i cimiteri lasciano<br />

da parte le iscrizioni e le tombe monumentali che caratterizzavano<br />

il periodo precedente per ricorrere a variazioni nelle<br />

componenti del corredo rappresentate da oggetti di abbigliamento<br />

più o meno sontuosi in stile “germanico”, “romano” o<br />

“bizantino” per ostentare il prestigio sociale raggiunto localmente<br />

(LA ROCCA 2000, pp. 50-53).


Fig. 5 – Siponto, epigrafe dall’area circostante la cattedrale di<br />

S. Maria, SERRICCHIO 1999.<br />

Fig. 7 – Troia, epigrafe di Gaidefreda, Soprintendenza archeologica <strong>dell</strong>a Puglia.<br />

Per il periodo altomedievale più maturo, ad eccezione di<br />

Aecae (odierna Troia), ove la tomba di Gaidefreda attesta<br />

nell’VIII secolo la continuità d’uso del cimitero tardoantico<br />

suburbano, le epigrafi costringono a rivolgersi ai cimiteri circostanti<br />

gli edifici di culto, divenuti ormai luogo alternativo<br />

di sepolture privilegiate appartenenti alla gerarchia ecclesiastica<br />

e monastica e all’aristocrazia longobarda (SERRICCHIO<br />

1999, pp. 275-279; <strong>CAMPESE</strong> <strong>SIMONE</strong> 1996, pp. 107-114). Le<br />

tre iscrizioni provenienti dal cimitero circostante la cattedrale<br />

intramuranea di S. Maria di Siponto: due lapidee ed un<br />

apografo (Fig. 5), quella incisa su stele cruciforme di Monte<br />

Sant’Angelo e le due con croci dipinte all’interno di<br />

Gaidefreda e Rainus, provenienti da Troia e Monte Sant’Angelo,<br />

sono infatti databili all’VIII-IX secolo. Le epigrafi, prive<br />

di simboli tranne la croce, hanno un formulario e particolarità<br />

linguistiche che non trovano riscontri prima del VII<br />

secolo. Elemento di continuità con la prassi epigrafica tardo-<br />

138<br />

Fig. 6 – Siponto, apografo del chierico Giovanni, D’ANGELA 1983.<br />

Fig. 8 – Monte Sant’Angelo, epigrafe su stele cruciforme,<br />

D’ANGELA 1980.<br />

antica è il consueto formulario di esordio hic requiescit in<br />

pace, che talora si completa con in somno pacis, usato nell’epigrafia<br />

cristiana funeraria dal VI all’VIII-IX secolo. Lo<br />

ritroviamo nelle testimonianze <strong>dell</strong>a vicina Eclano, su una<br />

stele cruciforme di Monte Sant’Angelo, a Lucera, a Brindisi<br />

(DIEHL 1970, pp. 3185, 3186; CARLETTI 1979, pp. 137-148;<br />

SERRICCHIO 1999, pp. 275-279; DIEHL 1970, p. 1026; D’AN-<br />

GELA 1980, p. 360). La variante hic…recubat, tuttavia richiama<br />

un’iscrizione precedente al secolo VIII (CIL V, 6227) e


altre formule simili come hic recubo felix (DIEHL p. 3463, 2)<br />

e recubent…membra sepulcro (DIEHL 1700, 1) in uso in iscrizioni<br />

di poco anteriori all’inizio <strong>dell</strong>’VIII secolo. Elemento<br />

di novità rispetto al periodo precedente sono gli epiteti<br />

peccator e miser che precedono il nome del defunto<br />

Cadelaitus monachus. Spesso usati negli epitaffi altomedievali<br />

(DIEHL, 79a, 2364 a,b), quali formule di umiltà, se riferite<br />

alla più alta carica <strong>dell</strong>a gerarchia ecclesiastica diventano<br />

addirittura servus servorum Dei (CAILLET 1993, p. 411). Singolare<br />

è la formula finale hic fuit comes (v)ere, che sta ad<br />

indicare il buon ricordo lasciato dal defunto per la sua vita<br />

esemplare (SERRICCHIO 1999, p. 276). Reiterata infine è la<br />

professione di fede del defunto nella resurrezione, che si esplicita<br />

nel formulario credo resurrectionem, reso anche in forma<br />

abbreviata (Fig 6). Si tratta in realtà di veri e propri stereotipi<br />

resi a grandi lettere e forti contrazioni per favorire il<br />

processo di ricezione del messaggio e la stessa memoria visiva<br />

dei singoli grafi legati al concetto di attestazione di fede<br />

che il pubblico fruitore comprende secondo certi moduli fissati<br />

forse dai centri del potere culturale (SUSINI 1989, pp. 271-<br />

305). L’espressione non è insolita su epitaffi sia paleocristiani<br />

sia altomedievali (ILCV 259, 1304,3458-3480; GROSSI<br />

GONDI 1920, pp. 238-239) e trova riscontri nella stessa Siponto<br />

e nelle tombe dipinte di Rainus a Monte Sant’Angelo e di<br />

Gaidefreda ad Aecae. Le preghiere invece, rivolte dal defunto<br />

ai viventi, che in epoca tardoantica non hanno molti esempi<br />

(DIEHL 2392b, 1291, 2016), qui sembrano attestare meglio<br />

e più frequentemente il legame che unisce il defunto ai vivi<br />

mediante la tomba con la formula orate pro eo. Ciò sottintende<br />

un ulteriore profondo cambiamento di mentalità, che<br />

conferisce un nuovo valore alla tomba, quando la presenza<br />

dei defunti presso i vivi, non solo è accettata, ma caldeggiata<br />

per sollecitare le preghiere di salvezza. Frutto del pensiero<br />

agostiniano, il concetto, ripreso nei Dialoghi di Gregorio<br />

Magno, diventa nel IX secolo fondamento ideologico del clero<br />

carolingio, quando si compie definitivamente quel processo<br />

di avvicinamento del mondo dei vivi e dei defunti, culminato<br />

nella nascita dei cimiteri parrocchiali (Augustinus, De cura<br />

gerenda pro mortuis, Oeuvre de St. Augustin, I-II, ed. G.<br />

Combes, Bibliothèque Augustinienne, Paris 1937, pp. 384-<br />

452 ; Gregorio Magno, Dialoghi, IV-LVII, 14; TREFFORT 1996,<br />

pp. 55-63; <strong>CAMPESE</strong> <strong>SIMONE</strong> 2002, c.s.).<br />

Da inserire nel quadro di questo diverso significato attribuito<br />

alla tomba sono le sepolture decorate all’interno con<br />

croci dipinte in rosso e talora con iscrizioni recanti nomi di<br />

origine longobarda: tomba di Rainus e di Gaidefreda (D’AN-<br />

GELA 1988, pp. 635-659; ID. 1980, p. 362; <strong>CAMPESE</strong> <strong>SIMONE</strong><br />

2002, p. 134) (Fig. 7). Esteriormente poco visibili, i simboli<br />

tratti dal repertorio paleocristiano si sono spostati all’interno<br />

quale trasposizione iconografica <strong>dell</strong>a preghiera (CANTINO<br />

WATAGHIN, LAMBERT 1998, p. 108), e potrebbero trovare la<br />

corretta lettura nella significativa epigrafe dipinta all’interno<br />

di una coeva tomba di S. Vincenzo al Volturno: Crux Christi<br />

confusio diaboli (HODGES, MITCHELL 1982, pp. 373-374).<br />

Influenze <strong>dell</strong>’epigrafia funeraria provenienti da S. Vincenzo<br />

al Volturno compaiono nella particolare impaginazione<br />

<strong>dell</strong>a scrittura che prevede una croce all’interno <strong>dell</strong>o<br />

specchio con il testo ripartito nei quadranti. Il mo<strong>dell</strong>o che<br />

è attestato in centri italo settentrionali (DE RUBEIS 2000, pp.<br />

135-137), viene utilizzato nelle tombe affrescate di Rainus<br />

e Gaidefreda, così come la scrittura apicata e piuttosto sviluppata<br />

verticalmente che si accompagna a queste croci. Da<br />

menzionare per la particolarità del supporto è l’epigrafe<br />

incisa sulla stele cruciforme del cimitero di Monte Sant’Angelo<br />

collocabile nell’VIII-IX secolo per la paleografia ed i<br />

moduli formulai esaminati (D’ANGELA 1980, p. 358) (Fig.<br />

8). La stele cruciforme di origine costantinopolitana, ove<br />

compare nel VI secolo, si diffonde nelle provincie orientali<br />

ed occidentali, dove spesso l’iconema <strong>dell</strong>a croce appare<br />

potenziato da una base scalare. Lo si rinviene in Sardegna a<br />

Suelli Casa Ruda o massivamente introdotto nei tipi monetali<br />

bizantini e longobardi, iconema che non compare nella<br />

139<br />

plasica <strong>dell</strong>’arredo liturgico e di apparato, ma in quella particolare<br />

classe di field monuments la cui produzione «assolse<br />

nel sistema <strong>dell</strong>a cultura mediterranea e occidentale fra<br />

la fine <strong>dell</strong>’Antichità e l’Alto Medioevo funzioni d’uso di<br />

tipo liturgico, memoriale, votivo o funerario» (CASARTELLI<br />

NOVELLI 1990, pp. 257-329). Compare nella plastica funeraria<br />

anche all’interno di una tomba a logette scavata presso<br />

l’abside di S. Maria di Siponto databile al VII-VIII secolo<br />

e probabilmente appartenente proprio in forza di<br />

quell’iconema così diffuso sui tipi monetali ad un dignitario<br />

di corte piuttosto che ad un esponente <strong>dell</strong>a gerarchia<br />

ecclesiastica (<strong>CAMPESE</strong> <strong>SIMONE</strong> 1996, pp. 107-114).<br />

La sfera di appartenenza attestata epigraficamente è<br />

quella ecclesiale: sono citati un monachus, un presbyter, un<br />

subdiaconus, ed i nomi leggibili Cadelaitus e Iohannes denunciano<br />

la presenza di antroponimi longobardi. È possibile<br />

che il monaco Cadelaitus fosse un benedettino. L’ordine<br />

monastico erano presente nel Gargano già nell’VIII secolo,<br />

quando Grimoaldo III concede i diritti di pesca nel lago di<br />

Lesina alla fine di quel secolo al monastero di Tremiti (CO-<br />

NIGLIO 1974, pp. 39-72), allora sottoposto ai benedettini di<br />

Montecassino (CONIGLIO 1974, pp. 39-72).<br />

Quanto alla paleografia, va osservata la commistione<br />

di lettere capitali e onciali tipica <strong>dell</strong>e iscrizioni altomedievali<br />

(GRAY 1948, pp. 38-171; SUPINO MARTINI, PETRUCCI 1978,<br />

pp. 45-101): la A è resa con parentesi angolata, in alcuni<br />

casi la O è romboidale, come nelle iscrizioni di Monte Sant’Angelo,<br />

secondo una tipologia sviluppatasi fra VI e VII<br />

secolo (FAVREAU 1997, pp. 60-62), le contrazioni e le abbreviazioni<br />

sono soprallineate e la punteggiatura è resa talvolta<br />

con un triangolino con un punto al centro, eventuale stilizzazione<br />

<strong>dell</strong>a tradizionale foglia d’edera.<br />

Se le stime pervenuteci dai coevi cimiteri romani, laziali<br />

e siciliani denunciano un più alto impiego <strong>dell</strong>a prassi<br />

epigrafica in presenza di un’utenza culturalmente più qualificata<br />

e più abbiente rispetto alle masse anonime deposte<br />

(FIOCCHI NICOLAI 1988; CARLETTI 1998, pp. 45-46), possiamo<br />

dedurre che in area pugliese, tale prassi doveva essere<br />

ancora più limitata e circoscritta alle sole aree urbane, se<br />

persino gli scavi del non modesto complesso rurale di S.<br />

Giusto, identificato forse con un Praetorium e le descrizioni<br />

di ipogei rurali, visitati prima ancora che fossero manomessi,<br />

non riescono a segnalarne la presenza.<br />

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