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◙ Marcello Andriola<br />

∞ Vinicio Vito Savino<br />

Dipartimento di Biologia Animale<br />

e Genetica “Leo Pardi”<br />

Laboratori di Antropologia e Etnologia<br />

Gruppo di Antropologia Cognitiva<br />

Università di Firenze<br />

Via del Proconsolo 12<br />

50122 Firenze (Italia)<br />

e-ma<strong>il</strong>:marcello.andriola0@alice.it<br />

∞ Facoltà di Medicina e Chirurgia<br />

Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologiche<br />

Università Degli Studi di Brescia<br />

Viale Europa n. 11<br />

25123 Brescia (Italia)<br />

e-ma<strong>il</strong> vinicio.savino@abiogen.it<br />

Genere Homo, evoluzione di una specie microsmatica<br />

Key words: Olfatto, corteccia olfattoria primaria,<br />

disosmie, feromoni.<br />

Introduzione<br />

Abstract: l’olfatto, o odorato, è uno dei cinque «sensi<br />

specifici» e rende possib<strong>il</strong>e, per mezzo di chemiorecettori, le<br />

percezioni di sostanze chimiche volat<strong>il</strong>i e di gas presenti<br />

nell’aria. L'olfatto è funzionalmente connesso al senso del<br />

gusto, come dimostrato dalla comune osservazione che quando<br />

un raffreddore congestiona le cavità nasali, compromettendo la<br />

funzione olfattiva, i cibi hanno pressoché tutti lo stesso sapore.<br />

Mentre nell'uomo <strong>il</strong> ruolo dell’olfatto come strumento di<br />

conoscenza dell’ambiente è secondario rispetto alla vista, negli<br />

animali è uno strumento indispensab<strong>il</strong>e per attività<br />

fondamentali, quali la ricerca del cibo, la localizzazione dei<br />

partner sessuali e di predatori: in alcune farfalle, l’odore di una<br />

femmina può attrarre <strong>il</strong> maschio da molti ch<strong>il</strong>ometri di<br />

distanza, sottovento.<br />

La funzione olfattiva nell'uomo si realizza per mezzo di strutture specifiche: i recettori degli<br />

stimoli, situati nella mucosa nasale in numero di 10-20 m<strong>il</strong>ioni, transducono l’informazione chimica<br />

in impulso nervoso che percorre gli assoni emergenti dall’estremità basale delle cellule recettoriali<br />

stesse, giungendo ai bulbi olfattori, uno per lato, collocati subito al di sopra delle cavità nasali;<br />

questo primo tratto della via olfattiva costituisce <strong>il</strong> nervo olfattivo (I paio di nervi cranici). Qui<br />

avviene <strong>il</strong> contatto con <strong>il</strong> secondo neurone della via olfattiva, <strong>il</strong> quale proietta <strong>il</strong> proprio assone al<br />

sistema limbico, all’ipotalamo, all’amigdala e alla cosiddetta corteccia olfattoria primaria dove<br />

avviene l’interpretazione dei segnali olfattivi. Negli animali, i recettori olfattivi hanno collocazioni<br />

anatomiche diverse a seconda dei casi; negli Insetti, p. es., si trovano normalmente sulle antenne,<br />

nei pesci sulla superficie esterna del corpo.<br />

Nell’uomo, le correnti d’aria trasportano le sostanze volat<strong>il</strong>i direttamente a contatto con le<br />

cellule olfattive, ma poiché la cavità nasale è poco vent<strong>il</strong>ata, per aumentare la quantità d’aria che<br />

circola al suo interno, è ut<strong>il</strong>e annusare, atto semiriflesso che si verifica normalmente quando un


odore nuovo o inusuale attrae la nostra attenzione. I recettori olfattivi hanno un’elevata sensib<strong>il</strong>ità<br />

discriminativa; sono, infatti, in grado di distinguere una gamma percettiva che negli esseri umani<br />

arriva fino a 10.000 odori differenti.<br />

Molte sostanze odorose sono in grado di dare una sensazione olfattiva anche in<br />

concentrazioni minime; p. es. l’uomo è capace di percepire l’olio essenziale di menta piperita anche<br />

a una concentrazione di 0,024 mg/litro di aria; esistono odori anche più forti, come quello di<br />

muschio artificiale, usato in profumeria, che viene percepito a concentrazioni di 0,00004 mg/litro di<br />

aria. Nei bassi Vertebrati, nei quali l’olfatto ha un’importanza assai maggiore che nei Mammiferi, la<br />

componente più evoluta del cervello, è un centro eminentemente olfattivo, <strong>il</strong> rinencefalo.<br />

Significato di microsmàtico è agg. [comp. Di micr(o)- e osmatico] (pl. m. -ci). – Che ha <strong>il</strong><br />

senso dell’olfatto poco sv<strong>il</strong>uppato, detto di animale, soprattutto mammifero acquatico (cetacei,<br />

sirenî, pinnipedi), e anche dell’uomo.<br />

Genere Homo<br />

Genere della famiglia Ominidi al quale appartengono l'uomo moderno (Homo sapiens) e<br />

alcune specie estinte (Homo hab<strong>il</strong>is, Homo rudolfensis, Homo ergaster, Homo erectus). La<br />

categoria tassonomica Homo fu introdotta nel 1758 dal naturalista svedese Linneo, nella sua opera<br />

Systema Naturae, per ospitare esclusivamente H. sapiens. Solo a partire dalla seconda metà del XIX<br />

secolo, con la scoperta del primo reperto di Neandertal avvenuta nel 1856 e di alcuni resti trovati a<br />

Giava nel 1890-91, al genere Homo vengono assegnate anche specie foss<strong>il</strong>i. Nelle descrizioni<br />

tassonomiche moderne, <strong>il</strong> genere Homo viene descritto sulla base di caratteristiche che lo<br />

discriminano da altri membri estinti della famiglia e dalle scimmie antropomorfe viventi.<br />

Tra le altre, W. E. Le Gros Clark suggerì le dimensioni del cervello, la morfologia del cranio<br />

e dei denti. Lo studio dell'evoluzione degli Ominidi è progredito significativamente negli ultimi<br />

decenni grazie alla scoperta di importanti nuovi foss<strong>il</strong>i, avvenuta in vari territori e in particolare (per<br />

quanto riguarda le fasi più antiche) in Africa, e a seguito di fondamentali avanzamenti metodologici<br />

della paleoantropologia. Il perfezionamento e la diffusione di metodi di datazione assoluta hanno<br />

consentito un più preciso inquadramento geocronologico dei foss<strong>il</strong>i umani.<br />

Confronti biomolecolari (cromosomi, DNA, proteine) tra l'uomo e altri Primati viventi (in<br />

particolare, scimpanzé e gor<strong>il</strong>la) hanno inoltre fornito elementi di dibattito spesso decisivi nel<br />

chiarire alcuni aspetti f<strong>il</strong>ogenetici. Tra Oligocene e Miocene (25-20 m<strong>il</strong>ioni di anni fa) compaiono<br />

Primati che chiaramente preludono alla comparsa delle scimmie attuali. In particolare, nel Miocene<br />

inferiore si può individuare in Proconsul africanus <strong>il</strong> più antico e indubbio rappresentante dei<br />

Catarrini, cui appartengono le scimmie antropomorfe e l'uomo attuali. Un'ulteriore radiazione<br />

evolutiva avvenne in coincidenza di periodi con clima più fresco e arido nel Miocene mediosuperiore,<br />

quando in regioni tropicali e subtropicali la savana si espanse, e vennero ridotte le aree<br />

coperte da foresta.<br />

A 14 m<strong>il</strong>ioni di anni fa si fa risalire <strong>il</strong> Kenyapithecus di Fort Ternan (Kenya) da cui<br />

discenderebbe Ramapithecus, antenato dell'orangutan vissuto in Eurasia 12-8 m<strong>il</strong>ioni di anni fa. Tra<br />

8 e 5 m<strong>il</strong>ioni di anni fa (Miocene finale), gruppi di Primati superiori sv<strong>il</strong>upparono i preadattamenti<br />

ad una particolare forma di locomozione: l'andatura eretta. I resti foss<strong>il</strong>i di questi Primati sono oggi<br />

ancora sostanzialmente sconosciuti. Tuttavia, poiché nessun primate precedente dimostra<br />

adattamenti anatomici alla stazione eretta, che invece appare affermata con i primi australopiteci<br />

(ca. 4 m<strong>il</strong>ioni di anni), si ritiene che i preominidi siano vissuti tra 8 e 5 m<strong>il</strong>ioni di anni fa. I dati<br />

biomolecolari indicano inoltre che l'ultimo antenato comune dell'uomo e delle scimmie<br />

antropomorfe africane attuali (gor<strong>il</strong>la e scimpanzé) visse circa 6-5 m<strong>il</strong>ioni di anni fa.<br />

Da Australopithecus a Homo. I più antichi Ominidi attualmente conosciuti appartengono ai<br />

generi Ardipithecus, Australopithecus e Paranthropus. La maggioranza dei paleoantropologi ritiene<br />

che gli antenati del genere Homo siano da ricercarsi in una specie di australopiteci grac<strong>il</strong>i vissuta in<br />

Africa tra 3 e 2,5 m<strong>il</strong>ioni di anni fa. Nel 1964 Louis Leakey, Ph<strong>il</strong>lip Tobias e John Napier


annunciarono <strong>il</strong> ritrovamento, nella Gola di Olduvai, di alcuni frammenti cranici associati a<br />

strumenti litici estremamente primitivi. Gli autori proposero di assegnare tali reperti a una nuova<br />

specie, Homo hab<strong>il</strong>is, individuando in essa le tendenze evolutive che hanno portato alla comparsa di<br />

Homo erectus e, successivamente, Homo sapiens.<br />

Sebbene l'associazione con utens<strong>il</strong>i litici non facesse formalmente parte della diagnosi, la<br />

sua importanza è evidente dal tipo di denominazione assegnata alla specie, che denota, oltre l'ab<strong>il</strong>ità<br />

di manipolazione, anche l'attribuzione di un sofisticato comportamento culturale. L’introduzione<br />

della nuova specie fu accolta dalla comunità scientifica con notevole scetticismo in quanto allora<br />

nessuno dubitava della relazione f<strong>il</strong>ogenetica diretta tra Australopithecus africanus e Homo erectus.<br />

Inoltre, i resti di Olduvai presentavano una capacità cranica ridotta (ca. 600 cc) rispetto a quella<br />

allora considerata diagnostica del genere Homo. Il pensiero dominante dell'epoca non riteneva<br />

comunque plausib<strong>il</strong>e la comparsa del genere Homo già in epoca pliocenica.<br />

Homo hab<strong>il</strong>is e Homo rudolfensis<br />

Il riconoscimento formale della specie Homo hab<strong>il</strong>is avvenne solo nel 1972 con la scoperta<br />

del cranio KNM-ER 1470 a Koobi Fora (Kenya), un reperto che ora alcuni autori vorrebbero<br />

classificare in una specie diversa. Resti foss<strong>il</strong>i attualmente attribuiti a Homo hab<strong>il</strong>is sono stati<br />

rinvenuti in Etiopia (Omo), Kenya (Olduvai e Koobi Fora) e Sud Africa (Sterkfontein e<br />

Swartkrans). I reperti più antichi attribuiti con certezza a Homo hab<strong>il</strong>is sono venuti alla luce negli<br />

strati della formazione di Chemeron, nei pressi del lago Baringo in Kenya, datati ca. 2,4 m<strong>il</strong>ioni di<br />

anni. La più recente documentazione foss<strong>il</strong>e di Homo hab<strong>il</strong>is è invece costituita da resti trovati a<br />

Olduvai in depositi risalenti a ca. 1,6 m<strong>il</strong>ioni di anni fa. Homo hab<strong>il</strong>is è <strong>il</strong> primo ominide in cui si<br />

evidenzia una chiara tendenza all'aumento del volume encefalico.<br />

La scatola cranica è più voluminosa rispetto ad Australopithecus, mostrando una variab<strong>il</strong>ità<br />

intraspecifica compresa tra 600 e 800 cc. Inoltre, la presenza di particolari solchi r<strong>il</strong>evati sui calchi<br />

endocranici e lo sv<strong>il</strong>uppo delle aree di Broca e Wernicke, hanno indotto alcuni antropologi ad<br />

ipotizzare che questi Ominidi possedessero le basi neurologiche del linguaggio concettuale. Le ossa<br />

degli arti indicano che Homo hab<strong>il</strong>is fu un bipede efficiente e i foss<strong>il</strong>i della mano suggeriscono la<br />

capacità di una fine manipolazione degli oggetti. Il lavoro di Mary Leakey a Olduvai ha permesso<br />

di attribuire ad Homo hab<strong>il</strong>is le industrie olduvaiane, culture arcaiche che comprendono schegge e<br />

strumenti su ciottolo a scheggiatura unifacciale (choppers) o bifacciale (chopping tools).<br />

Tale associazione, confermata dai reperti trovati anche a Sterkfontain, Koobi Fora e Omo, ha<br />

persuaso molti autori a interpretare la capacità di costruire strumenti come un fattore fondamentale<br />

degli eventi che hanno determinato <strong>il</strong> successo evolutivo della linea umana. L’ampia variab<strong>il</strong>ità<br />

morfologica delle dimensioni craniche e dello scheletro facciale riscontrata nei reperti di Koobi<br />

Fora, ha indotto alcuni studiosi ad ipotizzare la presenza di più di una specie del genere Homo nel<br />

periodo compreso tra 2 e 1,6 m<strong>il</strong>ioni di anni.<br />

Oltre a individui piuttosto grac<strong>il</strong>i e dotati di crani più piccoli (p. es. KNM-ER 1813), ne<br />

esistevano infatti altri con maggiori dimensioni corporee e cervello più voluminoso (p. es. KNM-<br />

ER 1470). Alcuni paleoantropologi considerano le forme grac<strong>il</strong>i, che hanno mantenuto<br />

caratteristiche primitive a livello dello scheletro postcraniale, come appartenenti ad Homo hab<strong>il</strong>is,<br />

mentre le forme di maggiori dimensioni sono attribuite alla specie più derivata Homo rudolfensis.<br />

Altri studiosi preferiscono invece ipotizzare la presenza contemporanea di Homo hab<strong>il</strong>is e una<br />

forma tardiva di Australopithecus africanus o più semplicemente riconoscono in tale variab<strong>il</strong>ità un<br />

marcato dimorfismo sessuale intraspecifico. In ogni caso, queste specie coabitarono nello stesso<br />

ambiente con Australopithecus boisei, ma solo da una di esse ha avuto origine Homo erectus,<br />

mentre le altre si sono estinte.<br />

Homo erectus


Con la comparsa di Homo erectus, avvenuta ca. 2 m<strong>il</strong>ioni di anni fa, si osserva un’ampia<br />

diffusione geografica del genere Homo e l'introduzione di acquisizioni tecniche e comportamentali<br />

di estrema importanza per l'evoluzione umana: l'invenzione dei primi bifacciali e la capacità di<br />

controllo del fuoco. I più antichi ritrovamenti di Homo erectus risalgono al 1891-92, quando<br />

Eugène Dubois scoprì a Giava una calotta cranica e un femore risalenti a circa 900.000 anni fa.<br />

Dubois assegnò i resti a una nuova specie, Pithecanthropus erectus (l'uomo-scimmia eretto),<br />

individuando in essa l'anello mancante tra le scimmie antropomorfe e l'uomo. Nei primi decenni del<br />

XX secolo, altri foss<strong>il</strong>i con caratteristiche sim<strong>il</strong>i vennero alla luce in Cina, in Africa e in altre<br />

località di Giava.<br />

Ogni scoperta fu invariab<strong>il</strong>mente assegnata ad una nuova unità tassonomica<br />

(Pithecanthropus robustus, Sinanthropus pekinensis, Meganthropus palaeojavanicus, Atlanthropus<br />

mauritanicus, Telanthropus capensis, ecc.), ma attualmente la maggioranza dei paleoantropologi<br />

attribuisce tali resti a Homo erectus. La maggior parte del materiale foss<strong>il</strong>e di questa specie è stata<br />

scoperta in Asia, in particolare nel sito di Sangiran (Giava), dove a partire dal 1936 sono stati<br />

rinvenuti numerosi foss<strong>il</strong>i risalenti a circa un m<strong>il</strong>ione di anni fa. In Cina, accurati scavi condotti tra<br />

<strong>il</strong> 1927 e <strong>il</strong> 1937 nella caverna di Zhoukoudian, restituirono i resti frammentari di almeno 40<br />

individui e circa 100.000 manufatti litici.<br />

I primi ritrovamenti di Homo erectus in Africa, avvenuti nel 1949 a Swartkrans, e<br />

successivamente a Ternifine (Algeria), dimostrarono l'ampia distribuzione geografica della specie. A<br />

partire dagli anni '60 la presenza di Homo erectus fu documentata anche in Africa orientale. Nella<br />

Gola di Olduvai esistono prove ben documentate della presenza di Homo erectus in un arco di<br />

tempo che va da 1,4 a 0,6 m<strong>il</strong>ioni di anni fa. Il ritrovamento di diversi foss<strong>il</strong>i a Koobi Fora, in<br />

Kenya, ha inoltre permesso di stab<strong>il</strong>ire che già 1,8-1,7 m<strong>il</strong>ioni di anni fa erano presenti in Africa<br />

popolazioni sim<strong>il</strong>i a quelle asiatiche ma caratterizzate da alcuni tratti anatomici peculiari.<br />

L’antichità delle testimonianze foss<strong>il</strong>i in Africa e in Asia, suggerisce che Homo erectus fosse<br />

presente in Europa alla fine del Pleistocene inferiore, ma i foss<strong>il</strong>i attualmente disponib<strong>il</strong>i risalgono<br />

solo al Pleistocene medio.<br />

Tracce del popolamento europeo di Homo erectus sono rappresentate da manufatti litici<br />

trovati nella grotta Le Vallonet e a Soleihac (Francia), a Isernia La Pineta (Italia) e a Karlich<br />

(Germania). Il più antico foss<strong>il</strong>e europeo di Homo erectus è una mandibola scoperta a Dmanisi, in<br />

Georgia, la cui età che potrebbe essere di circa 1,5 m<strong>il</strong>ioni di anni. Sfortunatamente, i reperti di età<br />

successive risalgono a 600.000 anni fa, lasciando un vuoto di ca. 400.000 anni nella<br />

documentazione foss<strong>il</strong>e. Tra questi i più noti sono la mandibola trovata a Mauer (Germania), <strong>il</strong><br />

cranio di Petralona (Grecia), gli oltre 50 reperti provenienti dalla grotta dell'Arago (Francia), <strong>il</strong><br />

frammento cranico di Vértesszöllös (Ungheria), e ca. 90 reperti foss<strong>il</strong>i cranici portati alla luce nella<br />

Cueva Mayor di Ibeas, presso Atapuerca (Spagna).<br />

Nel complesso si tratta di popolazioni piuttosto differenziate rispetto agli altri reperti di<br />

Homo erectus e alcuni studiosi le considerano forme arcaiche di Homo sapiens. Le differenze<br />

anatomiche che distinguono Homo erectus da Homo sapiens riguardano le dimensioni e la forma<br />

del cranio e dei denti, mentre le ossa degli arti, sebbene più robuste, sono sim<strong>il</strong>i a quelle dell'uomo<br />

moderno. Homo erectus possedeva una capacità cranica di dimensioni ridotte, variab<strong>il</strong>e tra 750 e<br />

1225 cc. Le caratteristiche anatomiche del cranio sono costituite dalla fronte sfuggente e dalla<br />

presenza di un torus sopraorbitario e di uno occipitale.<br />

Lo splacnocranio presenta inoltre una faccia larga moderatamente prognata, naso largo,<br />

mandibola priva di mento e dentatura robusta. Esistono tuttavia numerose eccezioni a questo piano<br />

strutturale generale, espressione di una considerevole variab<strong>il</strong>ità morfologica. Alcuni<br />

paleoantropologi hanno enfatizzato la differenza tra i reperti asiatici e alcuni resti africani<br />

proponendo di assegnare alla specie Homo erectus solo i foss<strong>il</strong>i rinvenuti in Asia. Il<br />

paleoantropologo Bernard Wood ha recentemente introdotto la denominazione Homo ergaster per<br />

contraddistinguere le popolazioni di Koobi Fora e Nariokotome. Secondo questa interpretazione,<br />

Homo ergaster si sarebbe evoluto verso forme umane più moderne, mentre Homo erectus fu una


specie che si sv<strong>il</strong>uppò e diffuse, soprattutto in Asia, parallelamente alla linea evolutiva che ha dato<br />

origine a Homo sapiens.<br />

Altri studiosi forniscono invece un’interpretazione in termini di variab<strong>il</strong>ità intraspecifica che<br />

connoterebbe Homo erectus come una specie politipica con ampia diffusione geografica. Recenti<br />

scoperte hanno dimostrato la presenza di Homo erectus in Asia in epoche molto più antiche di<br />

quanto fosse ritenuto in passato. Il riesame della datazione di alcuni reperti indonesiani trovati a<br />

Mojokerto e a Sangiran alla fine degli anni '70, ha permesso di stab<strong>il</strong>ire un’età di 1,8-1,6 m<strong>il</strong>ioni di<br />

anni, attestando la contemporaneità di questi resti con i foss<strong>il</strong>i africani più antichi. Inoltre, nel 1995<br />

sono stati scoperti resti dentari associati a utens<strong>il</strong>i litici nei depositi del Pleistocene inferiore della<br />

grotta di Longgupo, in Cina centrale.<br />

Questa scoperta non solo conferma la presenza di ominidi in Asia già 1,9 m<strong>il</strong>ioni di anni fa,<br />

ma l'anatomia sembrerebbe indicare l'appartenenza a una specie più primitiva di Homo erectus,<br />

probab<strong>il</strong>mente affine a Homo ergaster o addirittura a Homo hab<strong>il</strong>is. Queste nuove scoperte<br />

suggeriscono che <strong>il</strong> primo ominide ad aver lasciato l'Africa fu primitivo almeno quanto H. ergaster<br />

e implicano che Homo erectus potrebbe aver avuto origine in Asia e solo successivamente si sia<br />

diffuso in Europa e Africa. Una controversia che alimenta un appassionato dibattito tra i<br />

paleoantropologi consiste nella modalità con le quali ha avuto luogo la transizione tra Homo erectus<br />

e Homo sapiens.<br />

La teoria della continuità multiregionale prevede che le diverse popolazioni geografiche di<br />

Homo erectus abbiano dato origine a ominidi più moderni in una progressione graduale ininterrotta.<br />

Secondo i sostenitori dell'origine africana di Homo sapiens, Homo erectus è invece una specie<br />

diffusasi prevalentemente nel continente asiatico. Essi attribuiscono le popolazioni africane più<br />

arcaiche ad una specie separata, Homo ergaster, che successivamente ha dato origine a Homo<br />

sapiens. Per i sostenitori di questo secondo modello, Homo erectus costituisce una specie troppo<br />

specializzata per essere ancestrale alle popolazioni più moderne.<br />

Homo sapiens<br />

Foss<strong>il</strong>i umani anatomicamente moderni furono scoperti per la prima volta nel 1868 nel<br />

riparo sottoroccia di Crô-Magnon (Francia). Negli anni seguenti, altri siti europei restituirono<br />

reperti umani associati a ossa animali o artefatti che ne comprovavano l'antichità. Tra gli altri,<br />

particolare importanza ebbero i ritrovamenti effettuati in alcune località della Moravia (a Mladec,<br />

Brno e Predmostí), in Francia (a Chancelade e Combe-Chapelle) e in Italia (nelle caverne dei Balzi<br />

Rossi a Grimaldi). Il risultato di questi e numerosi altri scavi effettuati in tempi più recenti hanno<br />

fornito la testimonianza diretta della presenza di popolazioni umane anatomicamente moderne in<br />

numerose regioni dell'Europa ca. 35.000 anni fa. I ritrovamenti avvenuti a partire dalla seconda<br />

metà del XX secolo in Africa, nel Vicino Oriente, in Asia e in Australia hanno permesso di<br />

ricostruire un quadro preciso della variab<strong>il</strong>ità delle caratteristiche fisiche nello spazio e nel tempo,<br />

fornendo le basi per formulare alcune ipotesi in merito all'origine delle popolazioni anatomicamente<br />

moderne della nostra specie.<br />

Il processo evolutivo che ha determinato la transizione da Homo erectus a Homo sapiens ha<br />

prodotto notevoli cambiamenti strutturali e funzionali dell'anatomia. Le principali caratteristiche<br />

craniche che contraddistinguono la specie Homo sapiens sono <strong>il</strong> cospicuo aumento del volume<br />

encefalico medio (1350 cc), la volta elevata, la fronte arrotondata e verticale, i r<strong>il</strong>ievi sopraorbitari<br />

poco marcati e la regione occipitale arrotondata. Sulla mandibola è presente un mento osseo e i<br />

denti hanno piccole dimensioni e morfologia semplice. Le ossa lunghe degli arti sono relativamente<br />

grac<strong>il</strong>i e fornite di diafisi poco incurvate. La comparsa di popolazioni umane più moderne è inoltre<br />

associata alle prime manifestazioni di una sensib<strong>il</strong>ità artistica e allo sv<strong>il</strong>uppo di tecnologie più<br />

raffinate e di più efficienti strategie di sfruttamento delle risorse naturali. Testimonianze che<br />

preludono la comparsa di H. sapiens si riscontrano in resti che risalgono a circa 400.000 anni fa, tra<br />

i quali la mandibola di Mauer e <strong>il</strong> cranio di Broken H<strong>il</strong>l (ora Kabwe). In passato foss<strong>il</strong>i di Hidelberg


e Kabwe sono stati assegnati a specie distinte sia da Homo erectus sia da Homo sapiens, denominate<br />

rispettivamente Homo hidelbergensis e Homo rhodesiensis.<br />

Attualmente sono considerati forme arcaiche di Homo sapiens, così come lo sono i crani di<br />

Saldanha (Sud Africa) e Omo 2 (Etiopia) scoperti in tempi più recenti. Maggiore incertezza riguarda<br />

invece i reperti di Bodo (Etiopia), Salé (Marocco) e Ndutu (Tanzania), che la maggior parte degli<br />

studiosi considera varianti evolute di H. erectus. Analogamente, i reperti europei di B<strong>il</strong>zingsleben<br />

(Germania), Vértesszöllös (Ungheria), Arago (Francia) e Petralona (Grecia) sono da lungo tempo<br />

oggetto di accese dispute e vengono attribuiti, a seconda degli autori, a forme evolute di erectus o a<br />

popolazioni di sapiens arcaici.<br />

Durante lo stesso periodo al quale sono riferiti tali foss<strong>il</strong>i, Homo erectus continuò a vivere in<br />

Asia orientale, come testimoniato dai resti di Hexian (Cina), datati probab<strong>il</strong>mente 250.000 anni, e di<br />

Ngandong (Giava), risalenti a 100.000 anni fa. Circa 400.000 anni fa, in Europa ebbe luogo un<br />

ulteriore cambiamento evolutivo, rappresentato dal differenziamento di nuova linea che diede<br />

origine all'uomo di Neandertal. I resti foss<strong>il</strong>i portati alla luce nei siti di Pontnewydd (Galles),<br />

Swanscombe (Ingh<strong>il</strong>terra), Biache (Francia) e Steinheim (Germania) mostrano già alcune delle<br />

specializzazioni anatomiche tipiche dei successivi neandertaliani. Il ritrovamento avvenuto nel 1992<br />

nella grotta di Atapuerca, in Spagna, ha rivelato che popolazioni neandertaliane classiche erano già<br />

presenti circa 300.000 anni fa. L’origine dell'uomo moderno costituisce, come già accennato, una<br />

controversia che alimenta un appassionato dibattito tra i paleoantropologi. Le varie ipotesi proposte<br />

nel tempo sono riconducib<strong>il</strong>i a due modelli principali.<br />

Quello denominato «Eva africana» o «arca di Noè», ipotizza un’origine unica, avvenuta in<br />

Africa in tempi relativamente recenti, alla quale sono seguiti processi migratori che hanno portato<br />

alla diffusione dell'uomo moderno nel resto del mondo. L’altro, definito modello dell'origine<br />

multipla o della continuità regionale, suggerisce che popolazioni ancestrali di Homo erectus si siano<br />

evolute, gradualmente e in ogni parte del mondo, in forme arcaiche di Homo sapiens dalle quali<br />

avrebbe poi avuto origine l'uomo moderno. Questo modello a candelabro prevede che sia possib<strong>il</strong>e<br />

individuare nelle popolazioni moderne caratteristiche anatomiche presenti in epoche antiche.<br />

Inoltre, la comparsa di testimonianze foss<strong>il</strong>i dell'uomo moderno dovrebbe essere quasi<br />

contemporanea nelle diverse regioni del vecchio mondo.<br />

Prove a sostegno di un’origine africana recente derivano sia dall'analisi della variab<strong>il</strong>ità<br />

genetica delle popolazioni attuali sia dalla documentazione paleontologica. Recenti indagini<br />

molecolari condotte a livello del DNA mitocondriale di 182 popolazioni attuali indicano che l'uomo<br />

moderno sia derivato da un antenato comune vissuto probab<strong>il</strong>mente in Africa 200.000 anni fa.<br />

Questi risultati sono avvalorati dal ritrovamento di resti umani di tipo moderno risalenti a ca.<br />

130.000 anni fa, avvenuto in due grotte sudafricane (Border Cave e Klasies River Mouth) e nella<br />

località Omo-Kibish in Etiopia.<br />

Tali reperti testimoniano la presenza dell'uomo moderno in Africa nel periodo in cui l'Europa<br />

era popolata esclusivamente dall'uomo di Neandertal. Inoltre, la documentazione foss<strong>il</strong>e rinvenuta<br />

nel Vicino Oriente a Skhûl e Qafzeh consente di stab<strong>il</strong>ire che gruppi di neandertaliani e popolazioni<br />

di uomini anatomicamente moderni umani condivisero i medesimi territori ca. 100.000 anni fa.<br />

Tuttavia, a partire da ca. 40.000 anni fa le popolazioni anatomicamente moderne furono le sole<br />

presenti nella regione. La diffusione delle popolazioni di tipo moderno in Europa avvenne<br />

probab<strong>il</strong>mente in questo periodo, come testimoniato anche dall'avvento della cultura materiale del<br />

Paleolitico superiore. A sostegno del modello evolutivo dell'origine multipla di Homo sapiens<br />

sarebbe invece l'apparente continuità morfologica dei foss<strong>il</strong>i dell'Estremo Oriente, riscontrab<strong>il</strong>e<br />

nelle testimonianze foss<strong>il</strong>i trovate in Cina, come anche tra Homo erectus di Giava e alcuni dei più<br />

antichi resti australiani.<br />

La principale debolezza di questa teoria risiede nel fatto che in Europa mancano forme di<br />

transizione tra popolazioni arcaiche e moderne. Viceversa, la documentazione più dettagliata di<br />

questa continuità evolutiva si riscontra principalmente in Africa. I resti di Border Cave, Klasies<br />

River e Omo-Kibish non solo mostrano sim<strong>il</strong>itudini anatomiche con l'uomo moderno, ma anche con


foss<strong>il</strong>i di maggiore antichità trovati in altri siti dell'Africa. Comunque sia avvenuta la transizione da<br />

Homo erectus a Homo sapiens, è certo che popolazioni con caratteristiche anatomiche di tipo<br />

moderno erano ubiquitarie in Africa, Asia e Europa tra 35.000 e 25.000 anni fa.<br />

Circa nello stesso periodo, ma forse già in epoche ancora più antiche, iniziarono le prime<br />

migrazioni che portarono alla colonizzazione dell'Australia. Informazioni indirette sul tipo di<br />

organizzazione sociale delle popolazioni del tardo Pleistocene derivano dalla documentazione<br />

archeologica. La struttura sociale dei gruppi del Paleolitico fu probab<strong>il</strong>mente influenzata dal tipo di<br />

ambiente in cui vissero. Le popolazioni che occupavano ambienti marginali, capaci di fornire<br />

sostentamento a piccoli gruppi, erano probab<strong>il</strong>mente organizzate in bande di famiglie imparentate,<br />

analogamente a molte società di cacciatori-raccoglitori di età storica dell'Australia e dell'Africa. Le<br />

popolazioni che invece vivevano in ambienti con maggiori risorse possono avere formato strutture<br />

sociali con un’organizzazione più complessa. Rispetto alle epoche precedenti si riscontra inoltre un<br />

maggiore contatto e scambio di merci tra popolazioni lontane. (M. Delpero, 2005) L’olfatto nel<br />

genere Homo, come <strong>il</strong> tatto, l’udito, <strong>il</strong> gusto e la visione non hanno raggiunto alti livelli di<br />

perfezione, in natura si riscontrano, in altre specie, specializzazioni superiori. Ma, probab<strong>il</strong>mente,<br />

l’adattamento vincente per <strong>il</strong> genere Homo è stato l’universalismo, la sua mancanza di iperspecializzazione<br />

delle sue capacità fisiche e fisiologiche.<br />

Alterazione dell’olfatto<br />

Le alterazioni dell’olfatto (disosmie) consistono nell'alterata percezione degli odori e si<br />

riscontrano in condizioni fisiologiche quali la gravidanza, ambientali, come le variazioni della<br />

pressione atmosferica, o patologiche, come deformità delle cavità nasali, infezioni, alterazioni a<br />

carico delle vie o dei centri olfattivi; possono anche dipendere da assunzione di farmaci.<br />

Le disosmie possono diminuire la soglia di percezione di tutti o di alcuni odori (iposmie), o<br />

deformare la qualità della percezione medesima: le parosmie, p. es., consistono nella percezione di<br />

un odore diverso e possono essere conseguenti a traumi, ep<strong>il</strong>essia e intossicazioni da farmaci; la<br />

cacosmia è la percezione di un odore sgradevole, causata da processi patologici come ozena e<br />

infezioni (cacosmie oggettive); in altri casi è puramente soggettiva e legata a neuropatie, traumi, o<br />

neoplasie. Con anosmia si definisce la perdita totale della capacità di percepire uno o più odori. (S.<br />

Cagliano, 2005)<br />

Feromoni<br />

Sono sostanze che costituiscono messaggi chimici scambiati tra animali di solito della stessa<br />

specie, che ne influenzano <strong>il</strong> comportamento e lo sv<strong>il</strong>uppo. Vengono prodotti da ghiandole<br />

particolari e liberati nell'ambiente. Individuati soprattutto nella comunicazione fra insetti, sono<br />

presenti anche negli animali superiori e nell'uomo.


Maschio di Saturnia pyri le cui antenne hanno la funzione di radar chimici<br />

nell'individuazione di feromoni.<br />

Naso e seni paranasali<br />

Il primissimo tratto delle vie respiratorie dei Mammiferi è costituito dalle cavità nasali<br />

(collegate a cavità accessorie dette seni paranasali) che svolgono oltre a funzioni connesse con<br />

quella respiratoria, anche funzioni olfattive e fonatorie (vedi oltre). Le aperture nasali esterne<br />

(narici), pari e simmetriche, si aprono separatamente e alquanto discoste dal piano mediano del<br />

muso nella maggioranza dei Mammiferi. Nei Catarrini, gruppo di Primati di cui fa parte anche la<br />

specie umana, la presenza di un setto nasale cart<strong>il</strong>agineo assai stretto porta al ravvicinamento delle<br />

due cavità nasali, con formazione di una struttura impari mediana, più o meno r<strong>il</strong>evata sul piano<br />

facciale, alla cui estremità inferiore si aprono le narici e che costituisce <strong>il</strong> naso esterno.<br />

Nell’uomo <strong>il</strong> naso esterno si modella nettamente, stagliandosi al disotto della fronte e al<br />

disopra del labbro superiore, divenendo importante elemento fisionomico ed estetico, la cui<br />

ereditarietà può conservarsi anche tenacemente. Il prof<strong>il</strong>o del suo dorso può essere diritto (naso<br />

retto o augusteo; naso greco), convesso (naso aqu<strong>il</strong>ino o dantesco), concavo (naso arricciato o<br />

rincagnato o socratico); la sua base può essere r<strong>il</strong>evata (naso all’insù), orizzontale o abbassata.<br />

L’incavatura tra radice del naso e fronte può risultare particolarmente depressa (naso a sella) come<br />

carattere fam<strong>il</strong>iare o legato a situazioni patologiche (lue congenita). Il naso può essere lungo o<br />

corto, largo o stretto: parametri, questi, che costituiscono caratteri razziali di primissimo ordine. In<br />

base al rapporto centesimale fra la larghezza del naso a livello delle pinne e l’altezza misurata dalla<br />

radice alla base, si ottiene l’indice nasale.<br />

Metodo degli indici<br />

Metodo diffusissimo in campo antropologico per lo studio iniziale orientativo sulle forme<br />

dei vari segmenti corporei. Consiste nella determinazione del rapporto percentuale tra due o più<br />

variab<strong>il</strong>i. Il vantaggio derivante dall'uso degli Indici nello studio della variab<strong>il</strong>ità morfometrica,<br />

risiede nel fatto che essi prescindono dalle misure assolute descrivendo le forme indipendentemente<br />

dalla loro grandezza. Il metodo degli indici, presuppone siano variab<strong>il</strong>i entrambe le misure da<br />

raffrontare.<br />

Per es. l'Indice cefalico orizzontale (che indichiamo con x), da cui si deduce la forma della<br />

testa vista dall'alto, viene ottenuto dalla proporzione: diametro cefalico anteroposteriore (Ap cf);<br />

diametro trasverso (Dt cf) = 100: x donde x = Dt cf 100/Ap cf Se tale valore risulta basso, si deduce<br />

la tendenza del capo alla forma relativamente lunga o stretta (dolicocefalia), se elevato, alla forma<br />

corta e larga (brachicefalia). Tra gli Indici cranici più comunemente impieganti nell'analisi<br />

morfometrica figurano, oltre all'indice cefalico, l'Indice facciale totale [altezza facciale totale<br />

100/diametro bi-zigomatico (= larghezza massima) ], l'Indice nasale (larghezza del<br />

naso·100/lunghezza). Con riferimento al rapporto fra l'altezza del busto e la lunghezza degli arti si<br />

hanno: l'Indice cormico (statura seduto 100/statura totale) e l'Indice schelico (statura totale-statura<br />

seduto 100/statura seduto). (L. Brian, 2007)<br />

Anatomia<br />

Il naso occupa la regione centrale della faccia, superiormente alla bocca, ed è costituito da<br />

una parte sporgente esterna detta piramide nasale e da una parte interna (cavità o fosse nasali) in<br />

comunicazione con la cavità del rinofaringe. La piramide nasale esternamente è rivestita dalla cute<br />

ricchissima di ghiandole sebacee, al disotto vi è uno strato di muscoli mimici posti sull’impalcatura<br />

osteocart<strong>il</strong>aginea; le due facce laterali piane si allargano in basso a formare le ali o pinne del Naso e<br />

seni paranasali Lo scheletro osseo è costituito dalle due ossa proprie del naso e dal processo nasale


del frontale; dalle branche montanti dei mascellari superiori. Le apofisi palatine dei mascellari<br />

chiudono in basso le fosse nasali.<br />

La piramide nasale ha anche una porzione cart<strong>il</strong>aginea. Le fosse nasali sono costituite da due<br />

corridoi pari e simmetrici, che si aprono per mezzo delle coane nel rinofaringe. Ciascuna delle fosse<br />

nasali ha una parte anteriore detta vestibolo nasale e una parte posteriore detta propriamente fossa<br />

nasale. In ognuna delle due fosse nasali si riconosce un pavimento, una volta, una parete laterale e<br />

una parete mediale. La parete mediale è costituita dal setto nasale in parte cart<strong>il</strong>agineo (lamina o<br />

cart<strong>il</strong>agine quadrangolare; in parte osseo (lamina perpendicolare dell’etmoide, vomere).<br />

Dalla parete laterale sporgono i turbinati o cornetti: superiore, medio e inferiore; <strong>il</strong> loro<br />

scheletro è osseo ed è ricoperto da mucosa. Ogni turbinato delimita uno spazio imbutiforme<br />

(meato); sulla parete laterale del meato inferiore sbocca <strong>il</strong> canale naso-lacrimale, in quello medio<br />

sboccano <strong>il</strong> seno mascellare, <strong>il</strong> dotto naso-frontale e le cavità o cellule etmoidali anteriori, in quello<br />

superiore sboccano le cavità o cellule etmoidali posteriori. Le fosse nasali sono rivestite in parte da<br />

mucosa olfattoria, in parte da mucosa respiratoria.<br />

I seni paranasali sono costituiti da cavità pneumatiche (cioè ripiene d’aria), situate<br />

all’interno di varie ossa craniche, in vicinanza delle fosse nasali con cui comunicano per mezzo di<br />

orifizi o canali più o meno ampi. Essi sono 5 per ciascun lato: seno frontale, seno mascellare, cellule<br />

etmoidali anteriori, cellule etmoidali posteriori, seno sfenoidale. La mucosa che riveste<br />

internamente i seni paranasali è rappresentata da una estroflessione della mucosa nasale.<br />

Le funzioni delle capacità nasali<br />

Le cavità nasali svolgono una triplice funzione: respiratoria, olfattoria, fonatoria.<br />

a) Funzione respiratoria:durante l’inspirazione, l’aria, attraversando le fosse nasali, viene<br />

diretta in alto verso <strong>il</strong> turbinato medio dal quale viene divisa in due flussi, di cui uno giunge in<br />

rinofaringe e l’altro arriva a contatto con la mucosa della zona olfattoria, per raggiungere poi <strong>il</strong><br />

rinofaringe. L’aria inspirata viene umidificata e riscaldata per contatto con la mucosa riccamente<br />

vascolarizzata dei turbinati; grossi peli (vibrisse) del vestibolo nasale la f<strong>il</strong>trano; la secrezione<br />

mucosa invischia le particelle ancora presenti e per la presenza nel muco di sostanze batteriolitiche<br />

e antivirali (lisozima e anticorpi) l'aria è ulteriormente depurata.<br />

Il muco è continuamente rimosso e trasportato verso <strong>il</strong> rinofaringe per <strong>il</strong> movimento c<strong>il</strong>iare<br />

dell’epitelio della mucosa respiratoria.<br />

b) Funzione olfattoria:le particelle emanate da sostanze odorose, convogliate durante<br />

l'inspirazione nelle cavità nasali, si sciolgono nel liquido secreto dalle ghiandole del Bowmann,<br />

stimolando le estremità dendritiche delle cellule olfattorie di Schultze. Queste stimolazioni<br />

trasmesse ai centri olfattivi cerebrali divengono sensazioni odorose c) Funzione fonatoria:le fosse<br />

nasali intervengono nella funzione fonatoria dando risonanza, ampiezza e modulazione alla voce<br />

durante la pronuncia delle consonanti nasali. Anche i seni paranasali contribuiscono alla risonanza<br />

della voce durante la fonazione, dando ampiezza e modulazione al suono laringeo e arricchendolo<br />

di sovratoni armonici.<br />

Patologia<br />

Per quanto riguarda <strong>il</strong> naso esterno, le patologie cutanee sono: foruncolo; follicolite; eczemi<br />

ad eziologia allergica; dermatiti virali; ecc. Per quanto riguarda <strong>il</strong> naso interno e i seni paranasali,<br />

quando si verifichi un difetto di secrezione mucosa si avranno secchezza e sottigliezza dell’epitelio,<br />

mancanza della barriera difensiva mucosa; in caso di eccesso di secrezione (densa o liquida) si<br />

avranno l'ostruzione delle vie nasali o l'accumulo di materiale nei seni paranasali. Tra le patologie<br />

olfattivo è particolarmente r<strong>il</strong>evante la ridotta o mancata percezione degli odori (iposmia, anosmia).<br />

Evenienza non rara nell’infanzia (meno frequente nell’età adulta) è la presenza di corpi estranei<br />

introdotti accidentalmente nella cavità nasale.


Malformazioni e deformazioni<br />

Diaframma vestibolare (o atresia vestibolare).<br />

Per diaframma o atresia vestibolare si intende la mancanza di pervietà dei vestiboli nasali.<br />

Essa può essere monolaterale, b<strong>il</strong>aterale, completa, incompleta, congenita o acquisita. La terapia<br />

consiste nella escissione del diaframma.<br />

Diaframma coanale<br />

Questa malformazione consiste nell’impervietà completa o incompleta, monolaterale o<br />

b<strong>il</strong>aterale, congenita o acquisita delle coane. La terapia consiste nell’escissione del diaframma.‧<br />

Deviazione del setto nasale<br />

Il setto nasale può presentare deviazioni dal piano mediano verso l’una o l’altra delle fosse<br />

nasali, o in entrambe (setto a S italica) determinando asimmetria delle stesse; altre volte la<br />

deviazione può interessare zone limitate del setto. Le deviazioni del setto possono essere<br />

traumatiche o costituzionali. La deviazione del setto nasale è una condizione predisponente<br />

all’insorgenza di processi infiammatori rinofaringei e tubarici e di turbe riflesse (cefalea, spasmi<br />

della glottide, sindromi asmatiformi, ecc.). La terapia è chirurgica.<br />

Traumi<br />

Fratture del naso<br />

Le fratture possono essere semplici o complicate ed interessare lo scheletro osseo o<br />

cart<strong>il</strong>agineo del naso. La sintomatologia, nei traumi lievi, è a volte s<strong>il</strong>ente o limitata ad un breve<br />

dolore. Nelle forme più gravi con spostamento di frammenti si possono avere epistassi, dolore<br />

molto vivo, e ostruzione nasale mono o b<strong>il</strong>aterale, crepitio alla palpazione e abnorme mob<strong>il</strong>ità delle<br />

ossa proprie del naso. Ut<strong>il</strong>i gli esami radiografici.<br />

Fratture del mascellare superiore<br />

Le fratture del mascellare superiore possono essere parziali o totali. La sintomatologia è<br />

sempre caratterizzata da shock traumatico con dolore violento, emorragia e impotenza funzionale.<br />

Le indagini radiologiche evidenzieranno le linee di frattura. La terapia consiste, previo arresto<br />

dell’emorragia, nella riduzione e contenzione della frattura.<br />

Patologia tumorale<br />

Tumori del naso<br />

Tra i tumori di origine connettivale benigni ricordiamo <strong>il</strong> fibroma, <strong>il</strong> condroma, l’osteoma,<br />

l’angioma; tra i maligni <strong>il</strong> sarcoma. I tumori di origine epiteliale sono rappresentati dal pap<strong>il</strong>loma<br />

benigno e dal cancro delle fosse nasali.<br />

Tumori dei seni paranasali e del massiccio facciale<br />

L’osteoma del frontale è una neoformazione circoscritta di consistenza ossea,<br />

istologicamente formata da tessuto osseo ben differenziato di tipo compatto o spugnoso. Esso ha un<br />

accrescimento piuttosto lento e una sintomatologia inizialmente muta. Successivamente compaiono<br />

dolore in sede frontale e tumefazione sopraorbitaria di consistenza duro-lignea; dolore e<br />

deformazione della piramide nasale. La terapia è chirurgica. I tumori maligni della soprastruttura<br />

interessano <strong>il</strong> seno sfenoidale, l’etmoide, <strong>il</strong> seno frontale e la parte adiacente delle fosse nasali.<br />

Nella maggior parte dei casi si tratta di carcinomi, pap<strong>il</strong>lomi maligni e adenocarcinomi; rari i<br />

sarcomi. Nelle fasi iniziali la sintomatologia è quasi muta: epistassi ripetute con esame obiettivo<br />

negativo. Nelle fasi avanzate l’invasione orbitaria potrà provocare spostamento del bulbo oculare e<br />

disturbi visivi; l’invasione endocranica determinerà una sindrome da ipertensione endocranica.<br />

Caratteristica, sin dall'inizio, una cefalea gravativa al vertice e all’occipite. I tumori maligni della<br />

mesostruttura interessano <strong>il</strong> seno mascellare e la parte corrispondente della cavità nasale con<br />

esclusione del pavimento di queste strutture. Come per quelli dell’infrastruttura, <strong>il</strong> carcinoma è <strong>il</strong><br />

tipo istologico che con maggiore frequenza ricorre. Tardive sono le metastasi linfonodali.<br />

La diagnosi precoce è oltremodo diffic<strong>il</strong>e ed essenzialmente radiografica, più fac<strong>il</strong>e è la<br />

diagnosi nelle fasi avanzate. Fra i tumori maligni dell’infrastruttura, <strong>il</strong> più frequente è <strong>il</strong> carcinoma


che interessa <strong>il</strong> pavimento del seno mascellare e della cavità nasale, <strong>il</strong> palato osseo, la tuberosità e <strong>il</strong><br />

bordo alveolare del mascellare superiore, e tende ad invadere <strong>il</strong> processo alveolare del mascellare<br />

superiore provocando la precoce caduta dei denti.<br />

Altri sintomi accessori sono dolori nevralgici, emorragie, difficoltà della masticazione. Il<br />

cancro del palato duro si presenta come una tumefazione dura, irregolare, sanguinante, ulcerata che<br />

può provocare emorragie nasali e buccali. I tumori maligni della tuberosità possono invadere la<br />

faccia interna delle guance, quando invadono la fossa pterigo-mascellare provocano nevralgie e<br />

trisma. Il cancro alveolare è più fac<strong>il</strong>mente diagnosticab<strong>il</strong>e per la sua ubicazione. La terapia dei<br />

tumori della sovra-meso-infrastruttura è esclusivamente chirurgica, ma deve anche essere integrata<br />

dalla cobaltoterapia. (F. Zardo, 2005)


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