Scarica il PDF - Psicolab
Scarica il PDF - Psicolab
Scarica il PDF - Psicolab
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
◙ Marcello Andriola<br />
∞ Vinicio Vito Savino<br />
Dipartimento di Biologia Animale<br />
e Genetica “Leo Pardi”<br />
Laboratori di Antropologia e Etnologia<br />
Gruppo di Antropologia Cognitiva<br />
Università di Firenze<br />
Via del Proconsolo 12<br />
50122 Firenze (Italia)<br />
e-ma<strong>il</strong>:marcello.andriola0@alice.it<br />
∞ Facoltà di Medicina e Chirurgia<br />
Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologiche<br />
Università Degli Studi di Brescia<br />
Viale Europa n. 11<br />
25123 Brescia (Italia)<br />
e-ma<strong>il</strong> vinicio.savino@abiogen.it<br />
Genere Homo, evoluzione di una specie microsmatica<br />
Key words: Olfatto, corteccia olfattoria primaria,<br />
disosmie, feromoni.<br />
Introduzione<br />
Abstract: l’olfatto, o odorato, è uno dei cinque «sensi<br />
specifici» e rende possib<strong>il</strong>e, per mezzo di chemiorecettori, le<br />
percezioni di sostanze chimiche volat<strong>il</strong>i e di gas presenti<br />
nell’aria. L'olfatto è funzionalmente connesso al senso del<br />
gusto, come dimostrato dalla comune osservazione che quando<br />
un raffreddore congestiona le cavità nasali, compromettendo la<br />
funzione olfattiva, i cibi hanno pressoché tutti lo stesso sapore.<br />
Mentre nell'uomo <strong>il</strong> ruolo dell’olfatto come strumento di<br />
conoscenza dell’ambiente è secondario rispetto alla vista, negli<br />
animali è uno strumento indispensab<strong>il</strong>e per attività<br />
fondamentali, quali la ricerca del cibo, la localizzazione dei<br />
partner sessuali e di predatori: in alcune farfalle, l’odore di una<br />
femmina può attrarre <strong>il</strong> maschio da molti ch<strong>il</strong>ometri di<br />
distanza, sottovento.<br />
La funzione olfattiva nell'uomo si realizza per mezzo di strutture specifiche: i recettori degli<br />
stimoli, situati nella mucosa nasale in numero di 10-20 m<strong>il</strong>ioni, transducono l’informazione chimica<br />
in impulso nervoso che percorre gli assoni emergenti dall’estremità basale delle cellule recettoriali<br />
stesse, giungendo ai bulbi olfattori, uno per lato, collocati subito al di sopra delle cavità nasali;<br />
questo primo tratto della via olfattiva costituisce <strong>il</strong> nervo olfattivo (I paio di nervi cranici). Qui<br />
avviene <strong>il</strong> contatto con <strong>il</strong> secondo neurone della via olfattiva, <strong>il</strong> quale proietta <strong>il</strong> proprio assone al<br />
sistema limbico, all’ipotalamo, all’amigdala e alla cosiddetta corteccia olfattoria primaria dove<br />
avviene l’interpretazione dei segnali olfattivi. Negli animali, i recettori olfattivi hanno collocazioni<br />
anatomiche diverse a seconda dei casi; negli Insetti, p. es., si trovano normalmente sulle antenne,<br />
nei pesci sulla superficie esterna del corpo.<br />
Nell’uomo, le correnti d’aria trasportano le sostanze volat<strong>il</strong>i direttamente a contatto con le<br />
cellule olfattive, ma poiché la cavità nasale è poco vent<strong>il</strong>ata, per aumentare la quantità d’aria che<br />
circola al suo interno, è ut<strong>il</strong>e annusare, atto semiriflesso che si verifica normalmente quando un
odore nuovo o inusuale attrae la nostra attenzione. I recettori olfattivi hanno un’elevata sensib<strong>il</strong>ità<br />
discriminativa; sono, infatti, in grado di distinguere una gamma percettiva che negli esseri umani<br />
arriva fino a 10.000 odori differenti.<br />
Molte sostanze odorose sono in grado di dare una sensazione olfattiva anche in<br />
concentrazioni minime; p. es. l’uomo è capace di percepire l’olio essenziale di menta piperita anche<br />
a una concentrazione di 0,024 mg/litro di aria; esistono odori anche più forti, come quello di<br />
muschio artificiale, usato in profumeria, che viene percepito a concentrazioni di 0,00004 mg/litro di<br />
aria. Nei bassi Vertebrati, nei quali l’olfatto ha un’importanza assai maggiore che nei Mammiferi, la<br />
componente più evoluta del cervello, è un centro eminentemente olfattivo, <strong>il</strong> rinencefalo.<br />
Significato di microsmàtico è agg. [comp. Di micr(o)- e osmatico] (pl. m. -ci). – Che ha <strong>il</strong><br />
senso dell’olfatto poco sv<strong>il</strong>uppato, detto di animale, soprattutto mammifero acquatico (cetacei,<br />
sirenî, pinnipedi), e anche dell’uomo.<br />
Genere Homo<br />
Genere della famiglia Ominidi al quale appartengono l'uomo moderno (Homo sapiens) e<br />
alcune specie estinte (Homo hab<strong>il</strong>is, Homo rudolfensis, Homo ergaster, Homo erectus). La<br />
categoria tassonomica Homo fu introdotta nel 1758 dal naturalista svedese Linneo, nella sua opera<br />
Systema Naturae, per ospitare esclusivamente H. sapiens. Solo a partire dalla seconda metà del XIX<br />
secolo, con la scoperta del primo reperto di Neandertal avvenuta nel 1856 e di alcuni resti trovati a<br />
Giava nel 1890-91, al genere Homo vengono assegnate anche specie foss<strong>il</strong>i. Nelle descrizioni<br />
tassonomiche moderne, <strong>il</strong> genere Homo viene descritto sulla base di caratteristiche che lo<br />
discriminano da altri membri estinti della famiglia e dalle scimmie antropomorfe viventi.<br />
Tra le altre, W. E. Le Gros Clark suggerì le dimensioni del cervello, la morfologia del cranio<br />
e dei denti. Lo studio dell'evoluzione degli Ominidi è progredito significativamente negli ultimi<br />
decenni grazie alla scoperta di importanti nuovi foss<strong>il</strong>i, avvenuta in vari territori e in particolare (per<br />
quanto riguarda le fasi più antiche) in Africa, e a seguito di fondamentali avanzamenti metodologici<br />
della paleoantropologia. Il perfezionamento e la diffusione di metodi di datazione assoluta hanno<br />
consentito un più preciso inquadramento geocronologico dei foss<strong>il</strong>i umani.<br />
Confronti biomolecolari (cromosomi, DNA, proteine) tra l'uomo e altri Primati viventi (in<br />
particolare, scimpanzé e gor<strong>il</strong>la) hanno inoltre fornito elementi di dibattito spesso decisivi nel<br />
chiarire alcuni aspetti f<strong>il</strong>ogenetici. Tra Oligocene e Miocene (25-20 m<strong>il</strong>ioni di anni fa) compaiono<br />
Primati che chiaramente preludono alla comparsa delle scimmie attuali. In particolare, nel Miocene<br />
inferiore si può individuare in Proconsul africanus <strong>il</strong> più antico e indubbio rappresentante dei<br />
Catarrini, cui appartengono le scimmie antropomorfe e l'uomo attuali. Un'ulteriore radiazione<br />
evolutiva avvenne in coincidenza di periodi con clima più fresco e arido nel Miocene mediosuperiore,<br />
quando in regioni tropicali e subtropicali la savana si espanse, e vennero ridotte le aree<br />
coperte da foresta.<br />
A 14 m<strong>il</strong>ioni di anni fa si fa risalire <strong>il</strong> Kenyapithecus di Fort Ternan (Kenya) da cui<br />
discenderebbe Ramapithecus, antenato dell'orangutan vissuto in Eurasia 12-8 m<strong>il</strong>ioni di anni fa. Tra<br />
8 e 5 m<strong>il</strong>ioni di anni fa (Miocene finale), gruppi di Primati superiori sv<strong>il</strong>upparono i preadattamenti<br />
ad una particolare forma di locomozione: l'andatura eretta. I resti foss<strong>il</strong>i di questi Primati sono oggi<br />
ancora sostanzialmente sconosciuti. Tuttavia, poiché nessun primate precedente dimostra<br />
adattamenti anatomici alla stazione eretta, che invece appare affermata con i primi australopiteci<br />
(ca. 4 m<strong>il</strong>ioni di anni), si ritiene che i preominidi siano vissuti tra 8 e 5 m<strong>il</strong>ioni di anni fa. I dati<br />
biomolecolari indicano inoltre che l'ultimo antenato comune dell'uomo e delle scimmie<br />
antropomorfe africane attuali (gor<strong>il</strong>la e scimpanzé) visse circa 6-5 m<strong>il</strong>ioni di anni fa.<br />
Da Australopithecus a Homo. I più antichi Ominidi attualmente conosciuti appartengono ai<br />
generi Ardipithecus, Australopithecus e Paranthropus. La maggioranza dei paleoantropologi ritiene<br />
che gli antenati del genere Homo siano da ricercarsi in una specie di australopiteci grac<strong>il</strong>i vissuta in<br />
Africa tra 3 e 2,5 m<strong>il</strong>ioni di anni fa. Nel 1964 Louis Leakey, Ph<strong>il</strong>lip Tobias e John Napier
annunciarono <strong>il</strong> ritrovamento, nella Gola di Olduvai, di alcuni frammenti cranici associati a<br />
strumenti litici estremamente primitivi. Gli autori proposero di assegnare tali reperti a una nuova<br />
specie, Homo hab<strong>il</strong>is, individuando in essa le tendenze evolutive che hanno portato alla comparsa di<br />
Homo erectus e, successivamente, Homo sapiens.<br />
Sebbene l'associazione con utens<strong>il</strong>i litici non facesse formalmente parte della diagnosi, la<br />
sua importanza è evidente dal tipo di denominazione assegnata alla specie, che denota, oltre l'ab<strong>il</strong>ità<br />
di manipolazione, anche l'attribuzione di un sofisticato comportamento culturale. L’introduzione<br />
della nuova specie fu accolta dalla comunità scientifica con notevole scetticismo in quanto allora<br />
nessuno dubitava della relazione f<strong>il</strong>ogenetica diretta tra Australopithecus africanus e Homo erectus.<br />
Inoltre, i resti di Olduvai presentavano una capacità cranica ridotta (ca. 600 cc) rispetto a quella<br />
allora considerata diagnostica del genere Homo. Il pensiero dominante dell'epoca non riteneva<br />
comunque plausib<strong>il</strong>e la comparsa del genere Homo già in epoca pliocenica.<br />
Homo hab<strong>il</strong>is e Homo rudolfensis<br />
Il riconoscimento formale della specie Homo hab<strong>il</strong>is avvenne solo nel 1972 con la scoperta<br />
del cranio KNM-ER 1470 a Koobi Fora (Kenya), un reperto che ora alcuni autori vorrebbero<br />
classificare in una specie diversa. Resti foss<strong>il</strong>i attualmente attribuiti a Homo hab<strong>il</strong>is sono stati<br />
rinvenuti in Etiopia (Omo), Kenya (Olduvai e Koobi Fora) e Sud Africa (Sterkfontein e<br />
Swartkrans). I reperti più antichi attribuiti con certezza a Homo hab<strong>il</strong>is sono venuti alla luce negli<br />
strati della formazione di Chemeron, nei pressi del lago Baringo in Kenya, datati ca. 2,4 m<strong>il</strong>ioni di<br />
anni. La più recente documentazione foss<strong>il</strong>e di Homo hab<strong>il</strong>is è invece costituita da resti trovati a<br />
Olduvai in depositi risalenti a ca. 1,6 m<strong>il</strong>ioni di anni fa. Homo hab<strong>il</strong>is è <strong>il</strong> primo ominide in cui si<br />
evidenzia una chiara tendenza all'aumento del volume encefalico.<br />
La scatola cranica è più voluminosa rispetto ad Australopithecus, mostrando una variab<strong>il</strong>ità<br />
intraspecifica compresa tra 600 e 800 cc. Inoltre, la presenza di particolari solchi r<strong>il</strong>evati sui calchi<br />
endocranici e lo sv<strong>il</strong>uppo delle aree di Broca e Wernicke, hanno indotto alcuni antropologi ad<br />
ipotizzare che questi Ominidi possedessero le basi neurologiche del linguaggio concettuale. Le ossa<br />
degli arti indicano che Homo hab<strong>il</strong>is fu un bipede efficiente e i foss<strong>il</strong>i della mano suggeriscono la<br />
capacità di una fine manipolazione degli oggetti. Il lavoro di Mary Leakey a Olduvai ha permesso<br />
di attribuire ad Homo hab<strong>il</strong>is le industrie olduvaiane, culture arcaiche che comprendono schegge e<br />
strumenti su ciottolo a scheggiatura unifacciale (choppers) o bifacciale (chopping tools).<br />
Tale associazione, confermata dai reperti trovati anche a Sterkfontain, Koobi Fora e Omo, ha<br />
persuaso molti autori a interpretare la capacità di costruire strumenti come un fattore fondamentale<br />
degli eventi che hanno determinato <strong>il</strong> successo evolutivo della linea umana. L’ampia variab<strong>il</strong>ità<br />
morfologica delle dimensioni craniche e dello scheletro facciale riscontrata nei reperti di Koobi<br />
Fora, ha indotto alcuni studiosi ad ipotizzare la presenza di più di una specie del genere Homo nel<br />
periodo compreso tra 2 e 1,6 m<strong>il</strong>ioni di anni.<br />
Oltre a individui piuttosto grac<strong>il</strong>i e dotati di crani più piccoli (p. es. KNM-ER 1813), ne<br />
esistevano infatti altri con maggiori dimensioni corporee e cervello più voluminoso (p. es. KNM-<br />
ER 1470). Alcuni paleoantropologi considerano le forme grac<strong>il</strong>i, che hanno mantenuto<br />
caratteristiche primitive a livello dello scheletro postcraniale, come appartenenti ad Homo hab<strong>il</strong>is,<br />
mentre le forme di maggiori dimensioni sono attribuite alla specie più derivata Homo rudolfensis.<br />
Altri studiosi preferiscono invece ipotizzare la presenza contemporanea di Homo hab<strong>il</strong>is e una<br />
forma tardiva di Australopithecus africanus o più semplicemente riconoscono in tale variab<strong>il</strong>ità un<br />
marcato dimorfismo sessuale intraspecifico. In ogni caso, queste specie coabitarono nello stesso<br />
ambiente con Australopithecus boisei, ma solo da una di esse ha avuto origine Homo erectus,<br />
mentre le altre si sono estinte.<br />
Homo erectus
Con la comparsa di Homo erectus, avvenuta ca. 2 m<strong>il</strong>ioni di anni fa, si osserva un’ampia<br />
diffusione geografica del genere Homo e l'introduzione di acquisizioni tecniche e comportamentali<br />
di estrema importanza per l'evoluzione umana: l'invenzione dei primi bifacciali e la capacità di<br />
controllo del fuoco. I più antichi ritrovamenti di Homo erectus risalgono al 1891-92, quando<br />
Eugène Dubois scoprì a Giava una calotta cranica e un femore risalenti a circa 900.000 anni fa.<br />
Dubois assegnò i resti a una nuova specie, Pithecanthropus erectus (l'uomo-scimmia eretto),<br />
individuando in essa l'anello mancante tra le scimmie antropomorfe e l'uomo. Nei primi decenni del<br />
XX secolo, altri foss<strong>il</strong>i con caratteristiche sim<strong>il</strong>i vennero alla luce in Cina, in Africa e in altre<br />
località di Giava.<br />
Ogni scoperta fu invariab<strong>il</strong>mente assegnata ad una nuova unità tassonomica<br />
(Pithecanthropus robustus, Sinanthropus pekinensis, Meganthropus palaeojavanicus, Atlanthropus<br />
mauritanicus, Telanthropus capensis, ecc.), ma attualmente la maggioranza dei paleoantropologi<br />
attribuisce tali resti a Homo erectus. La maggior parte del materiale foss<strong>il</strong>e di questa specie è stata<br />
scoperta in Asia, in particolare nel sito di Sangiran (Giava), dove a partire dal 1936 sono stati<br />
rinvenuti numerosi foss<strong>il</strong>i risalenti a circa un m<strong>il</strong>ione di anni fa. In Cina, accurati scavi condotti tra<br />
<strong>il</strong> 1927 e <strong>il</strong> 1937 nella caverna di Zhoukoudian, restituirono i resti frammentari di almeno 40<br />
individui e circa 100.000 manufatti litici.<br />
I primi ritrovamenti di Homo erectus in Africa, avvenuti nel 1949 a Swartkrans, e<br />
successivamente a Ternifine (Algeria), dimostrarono l'ampia distribuzione geografica della specie. A<br />
partire dagli anni '60 la presenza di Homo erectus fu documentata anche in Africa orientale. Nella<br />
Gola di Olduvai esistono prove ben documentate della presenza di Homo erectus in un arco di<br />
tempo che va da 1,4 a 0,6 m<strong>il</strong>ioni di anni fa. Il ritrovamento di diversi foss<strong>il</strong>i a Koobi Fora, in<br />
Kenya, ha inoltre permesso di stab<strong>il</strong>ire che già 1,8-1,7 m<strong>il</strong>ioni di anni fa erano presenti in Africa<br />
popolazioni sim<strong>il</strong>i a quelle asiatiche ma caratterizzate da alcuni tratti anatomici peculiari.<br />
L’antichità delle testimonianze foss<strong>il</strong>i in Africa e in Asia, suggerisce che Homo erectus fosse<br />
presente in Europa alla fine del Pleistocene inferiore, ma i foss<strong>il</strong>i attualmente disponib<strong>il</strong>i risalgono<br />
solo al Pleistocene medio.<br />
Tracce del popolamento europeo di Homo erectus sono rappresentate da manufatti litici<br />
trovati nella grotta Le Vallonet e a Soleihac (Francia), a Isernia La Pineta (Italia) e a Karlich<br />
(Germania). Il più antico foss<strong>il</strong>e europeo di Homo erectus è una mandibola scoperta a Dmanisi, in<br />
Georgia, la cui età che potrebbe essere di circa 1,5 m<strong>il</strong>ioni di anni. Sfortunatamente, i reperti di età<br />
successive risalgono a 600.000 anni fa, lasciando un vuoto di ca. 400.000 anni nella<br />
documentazione foss<strong>il</strong>e. Tra questi i più noti sono la mandibola trovata a Mauer (Germania), <strong>il</strong><br />
cranio di Petralona (Grecia), gli oltre 50 reperti provenienti dalla grotta dell'Arago (Francia), <strong>il</strong><br />
frammento cranico di Vértesszöllös (Ungheria), e ca. 90 reperti foss<strong>il</strong>i cranici portati alla luce nella<br />
Cueva Mayor di Ibeas, presso Atapuerca (Spagna).<br />
Nel complesso si tratta di popolazioni piuttosto differenziate rispetto agli altri reperti di<br />
Homo erectus e alcuni studiosi le considerano forme arcaiche di Homo sapiens. Le differenze<br />
anatomiche che distinguono Homo erectus da Homo sapiens riguardano le dimensioni e la forma<br />
del cranio e dei denti, mentre le ossa degli arti, sebbene più robuste, sono sim<strong>il</strong>i a quelle dell'uomo<br />
moderno. Homo erectus possedeva una capacità cranica di dimensioni ridotte, variab<strong>il</strong>e tra 750 e<br />
1225 cc. Le caratteristiche anatomiche del cranio sono costituite dalla fronte sfuggente e dalla<br />
presenza di un torus sopraorbitario e di uno occipitale.<br />
Lo splacnocranio presenta inoltre una faccia larga moderatamente prognata, naso largo,<br />
mandibola priva di mento e dentatura robusta. Esistono tuttavia numerose eccezioni a questo piano<br />
strutturale generale, espressione di una considerevole variab<strong>il</strong>ità morfologica. Alcuni<br />
paleoantropologi hanno enfatizzato la differenza tra i reperti asiatici e alcuni resti africani<br />
proponendo di assegnare alla specie Homo erectus solo i foss<strong>il</strong>i rinvenuti in Asia. Il<br />
paleoantropologo Bernard Wood ha recentemente introdotto la denominazione Homo ergaster per<br />
contraddistinguere le popolazioni di Koobi Fora e Nariokotome. Secondo questa interpretazione,<br />
Homo ergaster si sarebbe evoluto verso forme umane più moderne, mentre Homo erectus fu una
specie che si sv<strong>il</strong>uppò e diffuse, soprattutto in Asia, parallelamente alla linea evolutiva che ha dato<br />
origine a Homo sapiens.<br />
Altri studiosi forniscono invece un’interpretazione in termini di variab<strong>il</strong>ità intraspecifica che<br />
connoterebbe Homo erectus come una specie politipica con ampia diffusione geografica. Recenti<br />
scoperte hanno dimostrato la presenza di Homo erectus in Asia in epoche molto più antiche di<br />
quanto fosse ritenuto in passato. Il riesame della datazione di alcuni reperti indonesiani trovati a<br />
Mojokerto e a Sangiran alla fine degli anni '70, ha permesso di stab<strong>il</strong>ire un’età di 1,8-1,6 m<strong>il</strong>ioni di<br />
anni, attestando la contemporaneità di questi resti con i foss<strong>il</strong>i africani più antichi. Inoltre, nel 1995<br />
sono stati scoperti resti dentari associati a utens<strong>il</strong>i litici nei depositi del Pleistocene inferiore della<br />
grotta di Longgupo, in Cina centrale.<br />
Questa scoperta non solo conferma la presenza di ominidi in Asia già 1,9 m<strong>il</strong>ioni di anni fa,<br />
ma l'anatomia sembrerebbe indicare l'appartenenza a una specie più primitiva di Homo erectus,<br />
probab<strong>il</strong>mente affine a Homo ergaster o addirittura a Homo hab<strong>il</strong>is. Queste nuove scoperte<br />
suggeriscono che <strong>il</strong> primo ominide ad aver lasciato l'Africa fu primitivo almeno quanto H. ergaster<br />
e implicano che Homo erectus potrebbe aver avuto origine in Asia e solo successivamente si sia<br />
diffuso in Europa e Africa. Una controversia che alimenta un appassionato dibattito tra i<br />
paleoantropologi consiste nella modalità con le quali ha avuto luogo la transizione tra Homo erectus<br />
e Homo sapiens.<br />
La teoria della continuità multiregionale prevede che le diverse popolazioni geografiche di<br />
Homo erectus abbiano dato origine a ominidi più moderni in una progressione graduale ininterrotta.<br />
Secondo i sostenitori dell'origine africana di Homo sapiens, Homo erectus è invece una specie<br />
diffusasi prevalentemente nel continente asiatico. Essi attribuiscono le popolazioni africane più<br />
arcaiche ad una specie separata, Homo ergaster, che successivamente ha dato origine a Homo<br />
sapiens. Per i sostenitori di questo secondo modello, Homo erectus costituisce una specie troppo<br />
specializzata per essere ancestrale alle popolazioni più moderne.<br />
Homo sapiens<br />
Foss<strong>il</strong>i umani anatomicamente moderni furono scoperti per la prima volta nel 1868 nel<br />
riparo sottoroccia di Crô-Magnon (Francia). Negli anni seguenti, altri siti europei restituirono<br />
reperti umani associati a ossa animali o artefatti che ne comprovavano l'antichità. Tra gli altri,<br />
particolare importanza ebbero i ritrovamenti effettuati in alcune località della Moravia (a Mladec,<br />
Brno e Predmostí), in Francia (a Chancelade e Combe-Chapelle) e in Italia (nelle caverne dei Balzi<br />
Rossi a Grimaldi). Il risultato di questi e numerosi altri scavi effettuati in tempi più recenti hanno<br />
fornito la testimonianza diretta della presenza di popolazioni umane anatomicamente moderne in<br />
numerose regioni dell'Europa ca. 35.000 anni fa. I ritrovamenti avvenuti a partire dalla seconda<br />
metà del XX secolo in Africa, nel Vicino Oriente, in Asia e in Australia hanno permesso di<br />
ricostruire un quadro preciso della variab<strong>il</strong>ità delle caratteristiche fisiche nello spazio e nel tempo,<br />
fornendo le basi per formulare alcune ipotesi in merito all'origine delle popolazioni anatomicamente<br />
moderne della nostra specie.<br />
Il processo evolutivo che ha determinato la transizione da Homo erectus a Homo sapiens ha<br />
prodotto notevoli cambiamenti strutturali e funzionali dell'anatomia. Le principali caratteristiche<br />
craniche che contraddistinguono la specie Homo sapiens sono <strong>il</strong> cospicuo aumento del volume<br />
encefalico medio (1350 cc), la volta elevata, la fronte arrotondata e verticale, i r<strong>il</strong>ievi sopraorbitari<br />
poco marcati e la regione occipitale arrotondata. Sulla mandibola è presente un mento osseo e i<br />
denti hanno piccole dimensioni e morfologia semplice. Le ossa lunghe degli arti sono relativamente<br />
grac<strong>il</strong>i e fornite di diafisi poco incurvate. La comparsa di popolazioni umane più moderne è inoltre<br />
associata alle prime manifestazioni di una sensib<strong>il</strong>ità artistica e allo sv<strong>il</strong>uppo di tecnologie più<br />
raffinate e di più efficienti strategie di sfruttamento delle risorse naturali. Testimonianze che<br />
preludono la comparsa di H. sapiens si riscontrano in resti che risalgono a circa 400.000 anni fa, tra<br />
i quali la mandibola di Mauer e <strong>il</strong> cranio di Broken H<strong>il</strong>l (ora Kabwe). In passato foss<strong>il</strong>i di Hidelberg
e Kabwe sono stati assegnati a specie distinte sia da Homo erectus sia da Homo sapiens, denominate<br />
rispettivamente Homo hidelbergensis e Homo rhodesiensis.<br />
Attualmente sono considerati forme arcaiche di Homo sapiens, così come lo sono i crani di<br />
Saldanha (Sud Africa) e Omo 2 (Etiopia) scoperti in tempi più recenti. Maggiore incertezza riguarda<br />
invece i reperti di Bodo (Etiopia), Salé (Marocco) e Ndutu (Tanzania), che la maggior parte degli<br />
studiosi considera varianti evolute di H. erectus. Analogamente, i reperti europei di B<strong>il</strong>zingsleben<br />
(Germania), Vértesszöllös (Ungheria), Arago (Francia) e Petralona (Grecia) sono da lungo tempo<br />
oggetto di accese dispute e vengono attribuiti, a seconda degli autori, a forme evolute di erectus o a<br />
popolazioni di sapiens arcaici.<br />
Durante lo stesso periodo al quale sono riferiti tali foss<strong>il</strong>i, Homo erectus continuò a vivere in<br />
Asia orientale, come testimoniato dai resti di Hexian (Cina), datati probab<strong>il</strong>mente 250.000 anni, e di<br />
Ngandong (Giava), risalenti a 100.000 anni fa. Circa 400.000 anni fa, in Europa ebbe luogo un<br />
ulteriore cambiamento evolutivo, rappresentato dal differenziamento di nuova linea che diede<br />
origine all'uomo di Neandertal. I resti foss<strong>il</strong>i portati alla luce nei siti di Pontnewydd (Galles),<br />
Swanscombe (Ingh<strong>il</strong>terra), Biache (Francia) e Steinheim (Germania) mostrano già alcune delle<br />
specializzazioni anatomiche tipiche dei successivi neandertaliani. Il ritrovamento avvenuto nel 1992<br />
nella grotta di Atapuerca, in Spagna, ha rivelato che popolazioni neandertaliane classiche erano già<br />
presenti circa 300.000 anni fa. L’origine dell'uomo moderno costituisce, come già accennato, una<br />
controversia che alimenta un appassionato dibattito tra i paleoantropologi. Le varie ipotesi proposte<br />
nel tempo sono riconducib<strong>il</strong>i a due modelli principali.<br />
Quello denominato «Eva africana» o «arca di Noè», ipotizza un’origine unica, avvenuta in<br />
Africa in tempi relativamente recenti, alla quale sono seguiti processi migratori che hanno portato<br />
alla diffusione dell'uomo moderno nel resto del mondo. L’altro, definito modello dell'origine<br />
multipla o della continuità regionale, suggerisce che popolazioni ancestrali di Homo erectus si siano<br />
evolute, gradualmente e in ogni parte del mondo, in forme arcaiche di Homo sapiens dalle quali<br />
avrebbe poi avuto origine l'uomo moderno. Questo modello a candelabro prevede che sia possib<strong>il</strong>e<br />
individuare nelle popolazioni moderne caratteristiche anatomiche presenti in epoche antiche.<br />
Inoltre, la comparsa di testimonianze foss<strong>il</strong>i dell'uomo moderno dovrebbe essere quasi<br />
contemporanea nelle diverse regioni del vecchio mondo.<br />
Prove a sostegno di un’origine africana recente derivano sia dall'analisi della variab<strong>il</strong>ità<br />
genetica delle popolazioni attuali sia dalla documentazione paleontologica. Recenti indagini<br />
molecolari condotte a livello del DNA mitocondriale di 182 popolazioni attuali indicano che l'uomo<br />
moderno sia derivato da un antenato comune vissuto probab<strong>il</strong>mente in Africa 200.000 anni fa.<br />
Questi risultati sono avvalorati dal ritrovamento di resti umani di tipo moderno risalenti a ca.<br />
130.000 anni fa, avvenuto in due grotte sudafricane (Border Cave e Klasies River Mouth) e nella<br />
località Omo-Kibish in Etiopia.<br />
Tali reperti testimoniano la presenza dell'uomo moderno in Africa nel periodo in cui l'Europa<br />
era popolata esclusivamente dall'uomo di Neandertal. Inoltre, la documentazione foss<strong>il</strong>e rinvenuta<br />
nel Vicino Oriente a Skhûl e Qafzeh consente di stab<strong>il</strong>ire che gruppi di neandertaliani e popolazioni<br />
di uomini anatomicamente moderni umani condivisero i medesimi territori ca. 100.000 anni fa.<br />
Tuttavia, a partire da ca. 40.000 anni fa le popolazioni anatomicamente moderne furono le sole<br />
presenti nella regione. La diffusione delle popolazioni di tipo moderno in Europa avvenne<br />
probab<strong>il</strong>mente in questo periodo, come testimoniato anche dall'avvento della cultura materiale del<br />
Paleolitico superiore. A sostegno del modello evolutivo dell'origine multipla di Homo sapiens<br />
sarebbe invece l'apparente continuità morfologica dei foss<strong>il</strong>i dell'Estremo Oriente, riscontrab<strong>il</strong>e<br />
nelle testimonianze foss<strong>il</strong>i trovate in Cina, come anche tra Homo erectus di Giava e alcuni dei più<br />
antichi resti australiani.<br />
La principale debolezza di questa teoria risiede nel fatto che in Europa mancano forme di<br />
transizione tra popolazioni arcaiche e moderne. Viceversa, la documentazione più dettagliata di<br />
questa continuità evolutiva si riscontra principalmente in Africa. I resti di Border Cave, Klasies<br />
River e Omo-Kibish non solo mostrano sim<strong>il</strong>itudini anatomiche con l'uomo moderno, ma anche con
foss<strong>il</strong>i di maggiore antichità trovati in altri siti dell'Africa. Comunque sia avvenuta la transizione da<br />
Homo erectus a Homo sapiens, è certo che popolazioni con caratteristiche anatomiche di tipo<br />
moderno erano ubiquitarie in Africa, Asia e Europa tra 35.000 e 25.000 anni fa.<br />
Circa nello stesso periodo, ma forse già in epoche ancora più antiche, iniziarono le prime<br />
migrazioni che portarono alla colonizzazione dell'Australia. Informazioni indirette sul tipo di<br />
organizzazione sociale delle popolazioni del tardo Pleistocene derivano dalla documentazione<br />
archeologica. La struttura sociale dei gruppi del Paleolitico fu probab<strong>il</strong>mente influenzata dal tipo di<br />
ambiente in cui vissero. Le popolazioni che occupavano ambienti marginali, capaci di fornire<br />
sostentamento a piccoli gruppi, erano probab<strong>il</strong>mente organizzate in bande di famiglie imparentate,<br />
analogamente a molte società di cacciatori-raccoglitori di età storica dell'Australia e dell'Africa. Le<br />
popolazioni che invece vivevano in ambienti con maggiori risorse possono avere formato strutture<br />
sociali con un’organizzazione più complessa. Rispetto alle epoche precedenti si riscontra inoltre un<br />
maggiore contatto e scambio di merci tra popolazioni lontane. (M. Delpero, 2005) L’olfatto nel<br />
genere Homo, come <strong>il</strong> tatto, l’udito, <strong>il</strong> gusto e la visione non hanno raggiunto alti livelli di<br />
perfezione, in natura si riscontrano, in altre specie, specializzazioni superiori. Ma, probab<strong>il</strong>mente,<br />
l’adattamento vincente per <strong>il</strong> genere Homo è stato l’universalismo, la sua mancanza di iperspecializzazione<br />
delle sue capacità fisiche e fisiologiche.<br />
Alterazione dell’olfatto<br />
Le alterazioni dell’olfatto (disosmie) consistono nell'alterata percezione degli odori e si<br />
riscontrano in condizioni fisiologiche quali la gravidanza, ambientali, come le variazioni della<br />
pressione atmosferica, o patologiche, come deformità delle cavità nasali, infezioni, alterazioni a<br />
carico delle vie o dei centri olfattivi; possono anche dipendere da assunzione di farmaci.<br />
Le disosmie possono diminuire la soglia di percezione di tutti o di alcuni odori (iposmie), o<br />
deformare la qualità della percezione medesima: le parosmie, p. es., consistono nella percezione di<br />
un odore diverso e possono essere conseguenti a traumi, ep<strong>il</strong>essia e intossicazioni da farmaci; la<br />
cacosmia è la percezione di un odore sgradevole, causata da processi patologici come ozena e<br />
infezioni (cacosmie oggettive); in altri casi è puramente soggettiva e legata a neuropatie, traumi, o<br />
neoplasie. Con anosmia si definisce la perdita totale della capacità di percepire uno o più odori. (S.<br />
Cagliano, 2005)<br />
Feromoni<br />
Sono sostanze che costituiscono messaggi chimici scambiati tra animali di solito della stessa<br />
specie, che ne influenzano <strong>il</strong> comportamento e lo sv<strong>il</strong>uppo. Vengono prodotti da ghiandole<br />
particolari e liberati nell'ambiente. Individuati soprattutto nella comunicazione fra insetti, sono<br />
presenti anche negli animali superiori e nell'uomo.
Maschio di Saturnia pyri le cui antenne hanno la funzione di radar chimici<br />
nell'individuazione di feromoni.<br />
Naso e seni paranasali<br />
Il primissimo tratto delle vie respiratorie dei Mammiferi è costituito dalle cavità nasali<br />
(collegate a cavità accessorie dette seni paranasali) che svolgono oltre a funzioni connesse con<br />
quella respiratoria, anche funzioni olfattive e fonatorie (vedi oltre). Le aperture nasali esterne<br />
(narici), pari e simmetriche, si aprono separatamente e alquanto discoste dal piano mediano del<br />
muso nella maggioranza dei Mammiferi. Nei Catarrini, gruppo di Primati di cui fa parte anche la<br />
specie umana, la presenza di un setto nasale cart<strong>il</strong>agineo assai stretto porta al ravvicinamento delle<br />
due cavità nasali, con formazione di una struttura impari mediana, più o meno r<strong>il</strong>evata sul piano<br />
facciale, alla cui estremità inferiore si aprono le narici e che costituisce <strong>il</strong> naso esterno.<br />
Nell’uomo <strong>il</strong> naso esterno si modella nettamente, stagliandosi al disotto della fronte e al<br />
disopra del labbro superiore, divenendo importante elemento fisionomico ed estetico, la cui<br />
ereditarietà può conservarsi anche tenacemente. Il prof<strong>il</strong>o del suo dorso può essere diritto (naso<br />
retto o augusteo; naso greco), convesso (naso aqu<strong>il</strong>ino o dantesco), concavo (naso arricciato o<br />
rincagnato o socratico); la sua base può essere r<strong>il</strong>evata (naso all’insù), orizzontale o abbassata.<br />
L’incavatura tra radice del naso e fronte può risultare particolarmente depressa (naso a sella) come<br />
carattere fam<strong>il</strong>iare o legato a situazioni patologiche (lue congenita). Il naso può essere lungo o<br />
corto, largo o stretto: parametri, questi, che costituiscono caratteri razziali di primissimo ordine. In<br />
base al rapporto centesimale fra la larghezza del naso a livello delle pinne e l’altezza misurata dalla<br />
radice alla base, si ottiene l’indice nasale.<br />
Metodo degli indici<br />
Metodo diffusissimo in campo antropologico per lo studio iniziale orientativo sulle forme<br />
dei vari segmenti corporei. Consiste nella determinazione del rapporto percentuale tra due o più<br />
variab<strong>il</strong>i. Il vantaggio derivante dall'uso degli Indici nello studio della variab<strong>il</strong>ità morfometrica,<br />
risiede nel fatto che essi prescindono dalle misure assolute descrivendo le forme indipendentemente<br />
dalla loro grandezza. Il metodo degli indici, presuppone siano variab<strong>il</strong>i entrambe le misure da<br />
raffrontare.<br />
Per es. l'Indice cefalico orizzontale (che indichiamo con x), da cui si deduce la forma della<br />
testa vista dall'alto, viene ottenuto dalla proporzione: diametro cefalico anteroposteriore (Ap cf);<br />
diametro trasverso (Dt cf) = 100: x donde x = Dt cf 100/Ap cf Se tale valore risulta basso, si deduce<br />
la tendenza del capo alla forma relativamente lunga o stretta (dolicocefalia), se elevato, alla forma<br />
corta e larga (brachicefalia). Tra gli Indici cranici più comunemente impieganti nell'analisi<br />
morfometrica figurano, oltre all'indice cefalico, l'Indice facciale totale [altezza facciale totale<br />
100/diametro bi-zigomatico (= larghezza massima) ], l'Indice nasale (larghezza del<br />
naso·100/lunghezza). Con riferimento al rapporto fra l'altezza del busto e la lunghezza degli arti si<br />
hanno: l'Indice cormico (statura seduto 100/statura totale) e l'Indice schelico (statura totale-statura<br />
seduto 100/statura seduto). (L. Brian, 2007)<br />
Anatomia<br />
Il naso occupa la regione centrale della faccia, superiormente alla bocca, ed è costituito da<br />
una parte sporgente esterna detta piramide nasale e da una parte interna (cavità o fosse nasali) in<br />
comunicazione con la cavità del rinofaringe. La piramide nasale esternamente è rivestita dalla cute<br />
ricchissima di ghiandole sebacee, al disotto vi è uno strato di muscoli mimici posti sull’impalcatura<br />
osteocart<strong>il</strong>aginea; le due facce laterali piane si allargano in basso a formare le ali o pinne del Naso e<br />
seni paranasali Lo scheletro osseo è costituito dalle due ossa proprie del naso e dal processo nasale
del frontale; dalle branche montanti dei mascellari superiori. Le apofisi palatine dei mascellari<br />
chiudono in basso le fosse nasali.<br />
La piramide nasale ha anche una porzione cart<strong>il</strong>aginea. Le fosse nasali sono costituite da due<br />
corridoi pari e simmetrici, che si aprono per mezzo delle coane nel rinofaringe. Ciascuna delle fosse<br />
nasali ha una parte anteriore detta vestibolo nasale e una parte posteriore detta propriamente fossa<br />
nasale. In ognuna delle due fosse nasali si riconosce un pavimento, una volta, una parete laterale e<br />
una parete mediale. La parete mediale è costituita dal setto nasale in parte cart<strong>il</strong>agineo (lamina o<br />
cart<strong>il</strong>agine quadrangolare; in parte osseo (lamina perpendicolare dell’etmoide, vomere).<br />
Dalla parete laterale sporgono i turbinati o cornetti: superiore, medio e inferiore; <strong>il</strong> loro<br />
scheletro è osseo ed è ricoperto da mucosa. Ogni turbinato delimita uno spazio imbutiforme<br />
(meato); sulla parete laterale del meato inferiore sbocca <strong>il</strong> canale naso-lacrimale, in quello medio<br />
sboccano <strong>il</strong> seno mascellare, <strong>il</strong> dotto naso-frontale e le cavità o cellule etmoidali anteriori, in quello<br />
superiore sboccano le cavità o cellule etmoidali posteriori. Le fosse nasali sono rivestite in parte da<br />
mucosa olfattoria, in parte da mucosa respiratoria.<br />
I seni paranasali sono costituiti da cavità pneumatiche (cioè ripiene d’aria), situate<br />
all’interno di varie ossa craniche, in vicinanza delle fosse nasali con cui comunicano per mezzo di<br />
orifizi o canali più o meno ampi. Essi sono 5 per ciascun lato: seno frontale, seno mascellare, cellule<br />
etmoidali anteriori, cellule etmoidali posteriori, seno sfenoidale. La mucosa che riveste<br />
internamente i seni paranasali è rappresentata da una estroflessione della mucosa nasale.<br />
Le funzioni delle capacità nasali<br />
Le cavità nasali svolgono una triplice funzione: respiratoria, olfattoria, fonatoria.<br />
a) Funzione respiratoria:durante l’inspirazione, l’aria, attraversando le fosse nasali, viene<br />
diretta in alto verso <strong>il</strong> turbinato medio dal quale viene divisa in due flussi, di cui uno giunge in<br />
rinofaringe e l’altro arriva a contatto con la mucosa della zona olfattoria, per raggiungere poi <strong>il</strong><br />
rinofaringe. L’aria inspirata viene umidificata e riscaldata per contatto con la mucosa riccamente<br />
vascolarizzata dei turbinati; grossi peli (vibrisse) del vestibolo nasale la f<strong>il</strong>trano; la secrezione<br />
mucosa invischia le particelle ancora presenti e per la presenza nel muco di sostanze batteriolitiche<br />
e antivirali (lisozima e anticorpi) l'aria è ulteriormente depurata.<br />
Il muco è continuamente rimosso e trasportato verso <strong>il</strong> rinofaringe per <strong>il</strong> movimento c<strong>il</strong>iare<br />
dell’epitelio della mucosa respiratoria.<br />
b) Funzione olfattoria:le particelle emanate da sostanze odorose, convogliate durante<br />
l'inspirazione nelle cavità nasali, si sciolgono nel liquido secreto dalle ghiandole del Bowmann,<br />
stimolando le estremità dendritiche delle cellule olfattorie di Schultze. Queste stimolazioni<br />
trasmesse ai centri olfattivi cerebrali divengono sensazioni odorose c) Funzione fonatoria:le fosse<br />
nasali intervengono nella funzione fonatoria dando risonanza, ampiezza e modulazione alla voce<br />
durante la pronuncia delle consonanti nasali. Anche i seni paranasali contribuiscono alla risonanza<br />
della voce durante la fonazione, dando ampiezza e modulazione al suono laringeo e arricchendolo<br />
di sovratoni armonici.<br />
Patologia<br />
Per quanto riguarda <strong>il</strong> naso esterno, le patologie cutanee sono: foruncolo; follicolite; eczemi<br />
ad eziologia allergica; dermatiti virali; ecc. Per quanto riguarda <strong>il</strong> naso interno e i seni paranasali,<br />
quando si verifichi un difetto di secrezione mucosa si avranno secchezza e sottigliezza dell’epitelio,<br />
mancanza della barriera difensiva mucosa; in caso di eccesso di secrezione (densa o liquida) si<br />
avranno l'ostruzione delle vie nasali o l'accumulo di materiale nei seni paranasali. Tra le patologie<br />
olfattivo è particolarmente r<strong>il</strong>evante la ridotta o mancata percezione degli odori (iposmia, anosmia).<br />
Evenienza non rara nell’infanzia (meno frequente nell’età adulta) è la presenza di corpi estranei<br />
introdotti accidentalmente nella cavità nasale.
Malformazioni e deformazioni<br />
Diaframma vestibolare (o atresia vestibolare).<br />
Per diaframma o atresia vestibolare si intende la mancanza di pervietà dei vestiboli nasali.<br />
Essa può essere monolaterale, b<strong>il</strong>aterale, completa, incompleta, congenita o acquisita. La terapia<br />
consiste nella escissione del diaframma.<br />
Diaframma coanale<br />
Questa malformazione consiste nell’impervietà completa o incompleta, monolaterale o<br />
b<strong>il</strong>aterale, congenita o acquisita delle coane. La terapia consiste nell’escissione del diaframma.‧<br />
Deviazione del setto nasale<br />
Il setto nasale può presentare deviazioni dal piano mediano verso l’una o l’altra delle fosse<br />
nasali, o in entrambe (setto a S italica) determinando asimmetria delle stesse; altre volte la<br />
deviazione può interessare zone limitate del setto. Le deviazioni del setto possono essere<br />
traumatiche o costituzionali. La deviazione del setto nasale è una condizione predisponente<br />
all’insorgenza di processi infiammatori rinofaringei e tubarici e di turbe riflesse (cefalea, spasmi<br />
della glottide, sindromi asmatiformi, ecc.). La terapia è chirurgica.<br />
Traumi<br />
Fratture del naso<br />
Le fratture possono essere semplici o complicate ed interessare lo scheletro osseo o<br />
cart<strong>il</strong>agineo del naso. La sintomatologia, nei traumi lievi, è a volte s<strong>il</strong>ente o limitata ad un breve<br />
dolore. Nelle forme più gravi con spostamento di frammenti si possono avere epistassi, dolore<br />
molto vivo, e ostruzione nasale mono o b<strong>il</strong>aterale, crepitio alla palpazione e abnorme mob<strong>il</strong>ità delle<br />
ossa proprie del naso. Ut<strong>il</strong>i gli esami radiografici.<br />
Fratture del mascellare superiore<br />
Le fratture del mascellare superiore possono essere parziali o totali. La sintomatologia è<br />
sempre caratterizzata da shock traumatico con dolore violento, emorragia e impotenza funzionale.<br />
Le indagini radiologiche evidenzieranno le linee di frattura. La terapia consiste, previo arresto<br />
dell’emorragia, nella riduzione e contenzione della frattura.<br />
Patologia tumorale<br />
Tumori del naso<br />
Tra i tumori di origine connettivale benigni ricordiamo <strong>il</strong> fibroma, <strong>il</strong> condroma, l’osteoma,<br />
l’angioma; tra i maligni <strong>il</strong> sarcoma. I tumori di origine epiteliale sono rappresentati dal pap<strong>il</strong>loma<br />
benigno e dal cancro delle fosse nasali.<br />
Tumori dei seni paranasali e del massiccio facciale<br />
L’osteoma del frontale è una neoformazione circoscritta di consistenza ossea,<br />
istologicamente formata da tessuto osseo ben differenziato di tipo compatto o spugnoso. Esso ha un<br />
accrescimento piuttosto lento e una sintomatologia inizialmente muta. Successivamente compaiono<br />
dolore in sede frontale e tumefazione sopraorbitaria di consistenza duro-lignea; dolore e<br />
deformazione della piramide nasale. La terapia è chirurgica. I tumori maligni della soprastruttura<br />
interessano <strong>il</strong> seno sfenoidale, l’etmoide, <strong>il</strong> seno frontale e la parte adiacente delle fosse nasali.<br />
Nella maggior parte dei casi si tratta di carcinomi, pap<strong>il</strong>lomi maligni e adenocarcinomi; rari i<br />
sarcomi. Nelle fasi iniziali la sintomatologia è quasi muta: epistassi ripetute con esame obiettivo<br />
negativo. Nelle fasi avanzate l’invasione orbitaria potrà provocare spostamento del bulbo oculare e<br />
disturbi visivi; l’invasione endocranica determinerà una sindrome da ipertensione endocranica.<br />
Caratteristica, sin dall'inizio, una cefalea gravativa al vertice e all’occipite. I tumori maligni della<br />
mesostruttura interessano <strong>il</strong> seno mascellare e la parte corrispondente della cavità nasale con<br />
esclusione del pavimento di queste strutture. Come per quelli dell’infrastruttura, <strong>il</strong> carcinoma è <strong>il</strong><br />
tipo istologico che con maggiore frequenza ricorre. Tardive sono le metastasi linfonodali.<br />
La diagnosi precoce è oltremodo diffic<strong>il</strong>e ed essenzialmente radiografica, più fac<strong>il</strong>e è la<br />
diagnosi nelle fasi avanzate. Fra i tumori maligni dell’infrastruttura, <strong>il</strong> più frequente è <strong>il</strong> carcinoma
che interessa <strong>il</strong> pavimento del seno mascellare e della cavità nasale, <strong>il</strong> palato osseo, la tuberosità e <strong>il</strong><br />
bordo alveolare del mascellare superiore, e tende ad invadere <strong>il</strong> processo alveolare del mascellare<br />
superiore provocando la precoce caduta dei denti.<br />
Altri sintomi accessori sono dolori nevralgici, emorragie, difficoltà della masticazione. Il<br />
cancro del palato duro si presenta come una tumefazione dura, irregolare, sanguinante, ulcerata che<br />
può provocare emorragie nasali e buccali. I tumori maligni della tuberosità possono invadere la<br />
faccia interna delle guance, quando invadono la fossa pterigo-mascellare provocano nevralgie e<br />
trisma. Il cancro alveolare è più fac<strong>il</strong>mente diagnosticab<strong>il</strong>e per la sua ubicazione. La terapia dei<br />
tumori della sovra-meso-infrastruttura è esclusivamente chirurgica, ma deve anche essere integrata<br />
dalla cobaltoterapia. (F. Zardo, 2005)
Bibliografia<br />
Agosta W., (1992). Chemical communication, the language of pheromones. Scientific American Library.<br />
Albone E.S. e Shirley S.G., (1984). Mammalian semiochemestry. John W<strong>il</strong>ey & Sons Ltd., Chichester, UK.<br />
Andriola M. (2010). Il concetto di specie e razza: aspetti evolutivi e metodologici,<br />
www.neuroscienze.net<br />
Bagneres A.G., (1996). Chemical usurpation of a nest by paper wasp parasites. Science, 272: 889-892.<br />
Barbiero G. (2007). DNA e RNA, Nova Enciclopedia Multimediale Utet, Torino.<br />
Bartoshuk L.M. e Beauchamp G.K. (1994). Chemical senses. Annual Review of Psychlogy, 45: 419-449.<br />
Beauchamp G., Boyse E. e Yamazaki K., (1985). Il riconoscimento olfattivo dell’individualità genetica. Le<br />
Scienze, 10: 91-97.<br />
Berliner D.L., Monti-Bloch L., Jennings-White C. e Diaz-Sanchez V.J., (1996). The functionally of the<br />
human vomeronasal organ (VNO) evidence for steroid receptors. Journal of Steroid Biochemistry and<br />
Molecular Biology, 58: 259-265.<br />
Broccia, J.R., Jones, E.W. e Pringle, JR (Eds.) (1991): Dinamica del genoma, la sintesi proteica, e<br />
di Energetica. Cold Spring Harbor Laboratory Press, Cold Spring Harbor, NY.<br />
Brossut R., (1996). Phéromones, la communication chimique chez les animaux. CNRS-Editons Belin.<br />
Brown, J. R. & Doolittle, W. F. (1997) Microbiology. Mol. Biol. Rev. 61, 456-502.<br />
Buck L. e Axel R.L., (1991). A novel multigene fam<strong>il</strong>y may encode odorant receptors: a molecular basis for<br />
odor recognition. Cell, 65: 175-187.<br />
Bult C.J. et al. (1996). Complete genome sequence of the methanogenic archaeon, Methanococcus<br />
jannaschii. Science 273 (5278): 1058–1073.<br />
Bult C.J. et al. (1996). Complete genome sequence of the methanogenic archaeon, Methanococcus<br />
jannaschii. Science 273 (5278): 1058–1073.<br />
Caffarelli E. (2007). Biologia molecolare, Nova Enciclopedia Multimediale Utet, Torino.<br />
Chiarelli B. (2003). Dalla natura alla cultura, Piccin, Padova.<br />
Darwin, C. (1859) On the Origin of Species (Harvard Univ. Press Cambridge, MA, and London), p.<br />
484.<br />
Derisi, J.L., Iyer V.R. e P.O. Brown. (1997). Esplorando <strong>il</strong> controllo metabolico e genetico di<br />
espressione genica su scala genomica. Science 278, 680-686.<br />
Doty R.L., (1981). Olfactory communication in human. Chemical Senses, 6: 351-376.<br />
Døving K.B. e Trotier D., (1998). Anatomical description of a new organ in the nose of domesticated<br />
animals, by Ludwig Jacobson (1813). Chemical Senses, 23: 743-754.<br />
Dulac C. e Axel R., (1985). A novel fam<strong>il</strong>y of genes encoding putative pheromone receptor in mammals.<br />
Cell, 83: 195-206.<br />
G<strong>il</strong>lies D., Giorello G. (1998). La f<strong>il</strong>osofia della scienza nel XX secolo, Laterza, Bari.<br />
Goffeau, A., Barrell B.G., H. Bussey, Davis R.W., B. Dujon, H. Feldmann, F. Galibert, Hoheisel<br />
J.D., C. Jacq, M. Johnston, Louis EJ, Mewes HW, Y. Murakami, P. Ph<strong>il</strong>ippsen, H. Tettelin e S.G.<br />
Oliver (1996). Life with 6000 genes. Science 274, 546-552.<br />
Herrada G. e Dulac C., (1997). A novel fam<strong>il</strong>y of putative pheromone receptors in mammals with a<br />
topographically organized and sexually dimorphic distribution. Cell, 90: 763-773.<br />
Hoover R.B. (2011) Foss<strong>il</strong>s of Cyanobacteria in CI1 Carbonaceous Meteorites: Implications to<br />
Life on Comets, Europa, and Enceladus. Journal of Cosmology 13: xxx. Retrieved 2011-03-06.<br />
Iwabe, N. et al. (1989) Evolutionary relationship of archaebacteria, eubacteria, and eukaryotes<br />
inferred from phylogenetic trees of duplicated genes. Proc. Natl. Acad. Sci. U. S. A.86, 9355–9359<br />
Karlson P. e Lüsher M., (1959). Pheromones: a new term for a class of biologically active substances.<br />
Nature, 183: 55-56.<br />
Kirk-Smith M., Booth D., Carrol D. e Davies P., (1978). Human sexual attitudes affected by androstenol.<br />
Research Communications in Psychology, Psychiatry and Behavior, 3: 379-384.
Kloek J., (1961). The smell of some steroid sex hormones and their metabolites: Reflections and<br />
experiments concerning the significance of smell for the mutual relation of the sexes. Psichiatria,<br />
Neurologia, Neurochirurgia, 64: 309-344.<br />
Le Magnen J., (1952). Les phenomenes olfacto-sexuels chez l’homme. Archives of Science and Phisics, 6 :<br />
125-160.<br />
Lenington F., (1994). Of Mais, Men and the MHC. Trends in Ecology and Evolution, 9: 455-456.<br />
Ligabue Stricker F. e Chiarelli B., (1992). Research on olfactory perception of biologically relevant<br />
substances in a sample of school-ch<strong>il</strong>dren, aged from 6 to 14. VIIIth Congress European Anthropological<br />
Association. International Journal of Anthropology, 7: 67-72.<br />
Ligabue Stricker F. e Mazzone M., (1996). Perception of biologically significant substances and<br />
gonadotropin, PRL, gonadotropin hormone levels in man. Relata Technica. International Journal on<br />
Dermopharmaceutical Technology, 28: 6-10.<br />
Ligabue Stricker F. e Tua N., (1993). Indagine sulle capacità olfattive e l’odore personale di un campione<br />
di bambini in età prescolare. IXth Congress Italian Anthropological Association. Antropologia<br />
Contemporanea, 16: 181-186.<br />
Ligabue Stricker F., (1991). I feromoni: conoscenze attuali e brevi cenni sugli esperimenti in corso.<br />
Antropologia Contemporanea, 14: 305-314.<br />
Ligabue Stricker F., (1994). La comunicazione feromonale nell’uomo. Antropologia Contemporanea, 17:<br />
192-281.<br />
Ligabue Stricker F., Amoroso A. e Cerreti N., (1995). Antigeni di istocompatib<strong>il</strong>ità e percezione olfattiva<br />
nell’uomo. Antropologia Contemporanea, 18: 79-86.<br />
Liman E.R., (1996). Pheromone trasduction in the vomeronasal organ. Neurobiology, 6: 487-493.<br />
Macelroy R.D. (1974) Some comments on the evolution of extremoph<strong>il</strong>es. Biosystems 6:74-75.<br />
Marchlewska-Koj A., (1983). Pregnancy blocking by pheromones. In Pheromones and Reproduction in<br />
Mammals, ed. J.G. Vanderbergh, pp.151-174. New York: Academic Press.<br />
Marchlewska-Koj A., (1984). Pheromones in mammalian reproduction. Oxford Reviews of Reproductive<br />
Biology, 6: 226-302.<br />
Matsunami H. e Buck L.B., (1997). A multigene fam<strong>il</strong>y encoding a diverse array of putative pheromone<br />
receptors in mammals. Cell., 90: 775-784.<br />
McClintock M.K., (1971). Menstrual syncrony and suppression. Nature, 229: 244-245.<br />
Potts W.K., (1991). Genotype influences mating pattern in seminatural population of mouse. Nature, 352:<br />
619-621.<br />
Pregnolato M., Andriola M., (2011). Biodiversità nel micro bioma umano: implicazioni sui processi<br />
cognitivi e coevolutivi, Antropologia della salute, Altravista, Pavia. 2, 93-105.<br />
Rees J. e Shuster S., (1981). Pubertal induction of sweat gland activity. Clinical Science, 60: 689-692.<br />
Ryba N.J.P. e Tirindelli R., (1997). A new multigenic fam<strong>il</strong>y of putative pheromone receptors. Neuron, 19:<br />
371-379.<br />
Scalfari F., (1994). Il gusto e l’olfatto nei Primati non umani. Antropologia Contemporanea, 17: 253-261.<br />
Schall B. e Porter R.H., (1991) In Advances in the Study of Behaviour, 20, eds. P.J.B. Slater, C. Beer & M.<br />
M<strong>il</strong>inski pp. 135-199, New York: Academy Press.<br />
Schleidt M. e Hold B., (1982). Human odour and identity. In Olfaction and Endocrine Regulation, ed. W.<br />
Breipohl pp. 181-194. London: IRL Press.<br />
Stoddart D.M., (1988). Human odor culture: a zoological perpective. In Perfumery: The Psychology and<br />
Biology of Fragrance, eds. S. Van Toller & G.H. Dodd, pp. 3-17. London: Champman & Hall.<br />
Vaglio S., Palagi E., Telara S., Boscaro F., Moneti G. e Borgognini Tarli S., (2004). Male scent-marking in<br />
Lemur catta: an investigation by chemical and behavioural approachs. XVIth Congress Italian<br />
Primatological Association. Folia Primatologica, 75: 400-401.<br />
Yamazaki K., Yamaguchi M., Beauchamp G.K., Bard J., Boyse E.A. e Thomas L., (1981). Chemosensation:<br />
an aspect of the uniqueness of the individual. In Biochemistry of Taste and Olfaction, eds. H.R. Cagan &<br />
M.R. Kare. New York: Academic Press.