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Fig. 1.<br />

Immagine storica del<br />

restauro dell’Arco<br />

di Tito iniziato da<br />

Raffaele Stern (1817) e<br />

proseguito da Giuseppe<br />

Valadier (1821). Foto<br />

dell’archivio Fratelli<br />

Alinari, 1890 circa.<br />

Fig. 2.<br />

Il Partenone prima e<br />

dopo l’intervento di<br />

restauro di Nikolaos<br />

Balanos (1894-1920).<br />

un retroterra culturale in cui si collocano quegli esempi che, ognuno<br />

per le proprie specificità, sono ritenuti autentiche pietre angolari del<br />

rapporto tra architettura, archeologia e museografia.<br />

Da questo quadro, da queste pietre angolari emergono alcune grandi<br />

prospettive che in tempi diversi hanno dato vita al paradigma vincente<br />

nell’intervento sull’antico:<br />

- l’aderenza e ridefinizione figurativa al manufatto originale;<br />

- l’aderenza ed esibizione del palinsesto;<br />

- la monumentalizzazione della protezione.<br />

Capostipiti di questa genealogia sono, come anticipato, gli interventi<br />

del Valadier e del Salvi sul fronte nord-est del Colosseo. Per<br />

certi versi, anche se con modalità e tempi completamente differenti,<br />

anche l’intervento di Raffaele Stern, con il suo fermo immagine del<br />

crollo delle arcate del fronte sud-ovest, può essere considerato un<br />

punto d’inizio. Tuttavia, mentre l’intervento di Stern è considerabile<br />

in un quadro di emergenza statica, quelli di Valadier e Salvi<br />

sono interventi da manuale del restauro, principalmente finalizzati<br />

a restituire e quindi a mostrare un’immagine dell’edificio aderente a<br />

quella originaria (peraltro ben presente su tutto il lato di via dei Fori<br />

Imperiali, ridisegnandone le parti mancanti (Valadier) ed evocandone<br />

le sezioni costruttive (Salvi).<br />

Il successivo intervento di Valadier e Stern per l’Arco di Tito, finalizzato<br />

a restituire forma e immagine originarie alla rovina incastonata<br />

in altre strutture murarie successive, va a consolidare il logos<br />

dell’aderenza evocativa al manufatto originale (fig. 1).<br />

Questo sarà il fil rouge che percorre l’intera storia dell’architettura<br />

per l’archeologia fino al caso del Teatro di Sagunto riabilitato da<br />

Giorgio Grassi e Manuel Portaceli fra il 1985 e il 1993, e a quello<br />

del Neues Museum di David Chipperfield a Berlino, a conclusione<br />

di un lungo percorso.<br />

La figura e l’immagine della rovina in aderenza alla realtà originaria<br />

è una questione di pesi visivi. Cioè di rapporto forma-sfondo. Al di là<br />

delle tecnologie utilizzate, che alla lunga si sono dimostrate aggressive,<br />

il restauro dell’Acropoli attuato da Nikolaos Balanos è il risultato<br />

di un attento quanto calibrato rapporto tra rovina, integrazioni<br />

di nuova realizzazione e immagine complessiva del monumento.<br />

L’intervento di Balanos ha cristallizzato l’immagine dell’Acropoli<br />

finalmente restituita alla sua leggibilità (fig. 2).<br />

E gli attuali lavori di restauro del Partenone, proseguono nella direzione<br />

ricostruttiva indicata da Balanos.<br />

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