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misure compresa quella molto ridotta per mangiare le uova e per la saliera. Sulla tavola del vicerè si servivano anche i granchi con cucchiaino e paletta, e le lumache con apposito punteruolo; anche per il midollo c’era un cucchiaino adatto. La presenza di speciali posate per questi cibi lascia intendere che essi erano di uso comune e frequente sulle tavole. In guardaroba c’è l’argento che serve per uso personale e quotidiano del vicerè come i “bacili” per lavarsi e i “bocali” per versare l’acqua e i “bacili di barba”. Un “pumo” di argento dorato e tutto bucherellato racchiudeva sostanze profumate. Nella bottiglieria si conservano i boccali e le tazze grandi e piccole per bere, insieme a fiaschetti di stagno e “una quartara” di rame. Una tasca di cuoio adatta a contenere sei piccoli fiaschi di stagno serve per dissetarsi quando si è in viaggio. Dopo gli argenti vengono elencati i gioielli. Tre grandi anelli, due con diamanti e uno con rubino sono conservati dalla nuora del vicerè, contessa di Burrello, e i primi due sono quelli già destinati per testamento ai nipoti Fabrizio e Girolamo. Altri anelli, sempre d’oro, portano incastonati zaffiri o pietre dure come “niccola et calzidonia”. Una tavoletta, guarnita d’oro intorno, è l’unico oggetto di corallo. Moltissime invece le perle che sono di varie misure, sciolte o legate in filo. Non mancano le pietre false che già allora molto diffuse, vengono chiamate diamanti e smeraldi di Milano prendendo il nome della città che li esportava. Un’antica medaglia d’oro era stata montata ad anello. Per alleviare i dolori al fianco, dei quali il vicerè forse soffriva, c’erano degli “ingastetti” d’oro, uno dei quali conteneva una pietra di “pixicorno”. La contessa di Burrello conserva i gioielli destinati al suo uso personale: un fermaglio d’oro con un grosso rubino di forma allungata sormontato da un diamante sfaccettato e quasi quadrato, e con tre grosse perle pendenti; per il collo, un filo d’oro con quattro perle “a piro”. In alcune casse foderate di cuoio vengono riposti i vestiti del vicerè. Per primi i più nuovi e poi quelli vecchi e scuciti. Per l’inverno lunghi vestiti di raso, damasco o velluto foderati di pelli di zibellino, di martora siciliana o di agnello; il colore è sempre nero. Un lungo vestito cammellotto foderato di agnello è l’abbigliamento per le notti invernali. I vestiti più leggeri sono di velluto foderato di panno o di raso, o di raso foderato di taffetà, ma sempre neri e privi di ogni segno che possa far pensare a un vestire elegante o ricercato. Ci sono poi i cosciali e i calzoni, sempre di panno o velluto, e per la parte superiore il “sayo” di velluto foderato di raso o di damasco e tela. Cosciali e calzoni erano foderati di pelle di agnello o di volpe, o di tela e seta per la stagione calda. Vengono anche conservati i cortinaggi del baldacchino e i drappi che ricoprono il letto della duchessa nuora: tela d’oro e argento foderata di damasco incarnato con frangia di seta rossa e oro, e panni di velluto pardiglio foderati di tela cangiante per “paramento di camera” e per ricoprire porte e finestre. E poi ancora cortinaggi verdi e turchesi,tappeti di seta rossa e gialla e coperture di letto di taffetà arancio e tela bianca. L’arredo delle camere da letto è straordinariamente ricco di colori e sfumature soprattutto se confrontato con il rigore dei vestiti. L’assenza di mobilio, che non siano sedie e tavoli, è compen- 170

sato dall’esposizione alle pareti e ai pavimenti di arazzi e tappeti. Gli arazzi o “panni di raso” raccontano per figure episodi biblici di Betsabea e Salomone, o disegnano fiori e animali. I tappeti più lunghi arrivano a 28 palmi e sono quasi tutti gialli con la bordura turchina; molti anche i panni di cuoio argentato o azzurro. Un bel paramento di camera è un panno tutto d’oro e d’argento con un disegno di garofani ai bordi. In uno scrigno a parte viene conservata la biancheria da letto e quella intima. Lenzuoli, tovaglie, comprese quelle “di mano”, camicie per la notte e per il giorno, pettinatoi, “mutanti seu brachi”, cuffie e fazzoletti per il naso sono tutti di tela di Olanda; uniche eccezioni 24 tovaglie per piedi e “altri servizi” in tela calabrese, e una tovaglia di tela di Cambrai lavorata in seta gialla e ad intaglio. Per coprire il capo sia di giorno che di notte, ci sono “coppuletti” di raso nero e “berretti” di velluto nero. I cappelli grandi sono, invece, di raso o taffetà di seta con lacci e fiocchi ma sempre neri. Di feltro bianco, invece, tre cappelli che hanno, però, “le ali” di velluto nero. Le tovaglie da tavola, la più grande è lunga 36 palmi e larga 11, e le salviette sono di damasco, o di “lavuri comuni” indicando con questo termine quelle di uso quotidiano. Un’altra cassa contiene gli stivali per cavalcare, di cuoio nero o bianco, gli stivaletti neri aperti davanti, le scarpe di velluto foderate di cuoio, le pantofole di velluto e quelle fatte di cuoio fuori e dentro rivestite di panno. Per giudicare di straordinario interesse l’inventario dei beni che Ettore Pignatelli tiene nel palazzo in cui vive basterebbe tutta la serie di oggetti minuti ma di ogni genere e qualità che vanno a riempire uno scrigno che verrà poi messo in una cassa più grande. Pensiamo possa trattarsi degli oggetti che riempivano le stanze destinate al riposo notturno o al lavoro e alla lettura 59 . Si inizia con un gran numero di “paternostri” che sono da intendere nel senso di “corona del rosario” o semplicemente di “grani”. Il loro uso come gioielli da portare alla cintura, tanto da uomini che da donne, o come bracciali e collane risale già al secolo XIV ed è per questo che alcuni sono di materiali preziosi come il corallo, il diaspro, l’ambra e l’argento. Molti sono di “juvetto” il materiale fossile di colore nero di uso comune in Sicilia e di antichissime origini.La presenza di un sacchetto nel quale sono rinchiusi alcuni paternostri conferma che ad essi si attribuiva anche una funzione curativa: è infatti detto che essi “servino per medichini”. I più umili sono fatti di peli di cavallo. Scopo curativo aveva anche “la ugna di lo animale de la granbestia” che si usava contro il mal caduco: così veniva chiamata l’epilessia e ciò conferma la provenienza non terrena e le cause extrasensoriali attribuite in passato alle convulsioni tipiche di quel male. Il vicerè era anche, certamente, raffinato collezionista, come dimostrano i due medaglieri con i piccoli cassetti per conservare le medaglie e la bilancetta con i 59 La grande biblioteca del vicerè con il prezioso elenco dei testi che la componeva è argomento del lavoro di Carmen Salvo, La biblioteca del vicerè - Politica religione e cultura nella Sicilia del Cinquecento, Il Cigno edizioni, Roma 2004. 171

misure compresa quella molto ridotta per mangiare le uova e per la saliera.<br />

Sulla tavola del vicerè si servivano anche i granchi con cucchiaino e paletta, e<br />

le lumache con apposito punteruolo; anche per il midollo c’era un cucchiaino<br />

adatto. La presenza <strong>di</strong> speciali posate per questi cibi lascia intendere che essi<br />

erano <strong>di</strong> uso comune e frequente sulle tavole. In guardaroba c’è l’argento che<br />

serve per uso personale e quoti<strong>di</strong>ano del vicerè come i “bacili” per lavarsi e i<br />

“bocali” per versare l’acqua e i “bacili <strong>di</strong> barba”. Un “pumo” <strong>di</strong> argento dorato<br />

e tutto bucherellato racchiudeva sostanze profumate. Nella bottiglieria si<br />

conservano i boccali e le tazze gran<strong>di</strong> e piccole per bere, insieme a fiaschetti <strong>di</strong><br />

stagno e “una quartara” <strong>di</strong> rame. Una tasca <strong>di</strong> cuoio adatta a contenere sei piccoli<br />

fiaschi <strong>di</strong> stagno serve per <strong>di</strong>ssetarsi quando si è in viaggio.<br />

Dopo gli argenti vengono elencati i gioielli. Tre gran<strong>di</strong> anelli, due con<br />

<strong>di</strong>amanti e uno con rubino sono conservati dalla nuora del vicerè, contessa <strong>di</strong><br />

Burrello, e i primi due sono quelli già destinati per testamento ai nipoti<br />

Fabrizio e Girolamo. Altri anelli, sempre d’oro, portano incastonati zaffiri o<br />

pietre dure come “niccola et calzidonia”. Una tavoletta, guarnita d’oro intorno,<br />

è l’unico oggetto <strong>di</strong> corallo. Moltissime invece le perle che sono <strong>di</strong> varie<br />

misure, sciolte o legate in filo. Non mancano le pietre false che già allora<br />

molto <strong>di</strong>ffuse, vengono chiamate <strong>di</strong>amanti e smeral<strong>di</strong> <strong>di</strong> Milano prendendo<br />

il nome della città che li esportava. Un’antica medaglia d’oro era stata montata<br />

ad anello. Per alleviare i dolori al fianco, dei quali il vicerè forse soffriva,<br />

c’erano degli “ingastetti” d’oro, uno dei quali conteneva una pietra <strong>di</strong> “pixicorno”.<br />

La contessa <strong>di</strong> Burrello conserva i gioielli destinati al suo uso personale:<br />

un fermaglio d’oro con un grosso rubino <strong>di</strong> forma allungata sormontato<br />

da un <strong>di</strong>amante sfaccettato e quasi quadrato, e con tre grosse perle<br />

pendenti; per il collo, un filo d’oro con quattro perle “a piro”. In alcune casse<br />

foderate <strong>di</strong> cuoio vengono riposti i vestiti del vicerè. Per primi i più nuovi<br />

e poi quelli vecchi e scuciti. Per l’inverno lunghi vestiti <strong>di</strong> raso, damasco o<br />

velluto foderati <strong>di</strong> pelli <strong>di</strong> zibellino, <strong>di</strong> martora siciliana o <strong>di</strong> agnello; il colore<br />

è sempre nero. Un lungo vestito cammellotto foderato <strong>di</strong> agnello è l’abbigliamento<br />

per le notti invernali. I vestiti più leggeri sono <strong>di</strong> velluto foderato<br />

<strong>di</strong> panno o <strong>di</strong> raso, o <strong>di</strong> raso foderato <strong>di</strong> taffetà, ma sempre neri e privi <strong>di</strong> ogni<br />

segno che possa far pensare a un vestire elegante o ricercato. Ci sono poi i<br />

cosciali e i calzoni, sempre <strong>di</strong> panno o velluto, e per la parte superiore il “sayo”<br />

<strong>di</strong> velluto foderato <strong>di</strong> raso o <strong>di</strong> damasco e tela. Cosciali e calzoni erano foderati<br />

<strong>di</strong> pelle <strong>di</strong> agnello o <strong>di</strong> volpe, o <strong>di</strong> tela e seta per la stagione calda. Vengono<br />

anche conservati i cortinaggi del baldacchino e i drappi che ricoprono il letto<br />

della duchessa nuora: tela d’oro e argento foderata <strong>di</strong> damasco incarnato<br />

con frangia <strong>di</strong> seta rossa e oro, e panni <strong>di</strong> velluto par<strong>di</strong>glio foderati <strong>di</strong> tela<br />

cangiante per “paramento <strong>di</strong> camera” e per ricoprire porte e finestre. E poi<br />

ancora cortinaggi ver<strong>di</strong> e turchesi,tappeti <strong>di</strong> seta rossa e gialla e coperture <strong>di</strong><br />

letto <strong>di</strong> taffetà arancio e tela bianca. L’arredo delle camere da letto è straor<strong>di</strong>nariamente<br />

ricco <strong>di</strong> colori e sfumature soprattutto se confrontato con il rigore<br />

dei vestiti. L’assenza <strong>di</strong> mobilio, che non siano se<strong>di</strong>e e tavoli, è compen-<br />

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