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13.06.2013 Views

io è motivata “dall’essere li detti pezzi atti ad servitio et io haverne molto bisogno” 58 . Intanto però, prima di trasferirsi in Calabria, Ettore Pignatelli alla presenza di Francesco Bologna, tesoriere, e di Antonio Branciforti, barone di Melilli, chiede la stesura dell’inventario ereditario. E proprio anche dalla lettura, ormai un po’ di anni fa, di questo documento, unico per i molteplici aspetti che trasformano un comune inventario ereditario del cinquecento in una testimonianza storica di eccezionale rilievo, nasce il piacere di esplorare tra le carte del fidato notaio De Marchisio per ricostruire e conoscere quanto della vita e dei sentimenti di un uomo si può attraverso documenti d’archivio. Ciascuno sa che gli oggetti posseduti nelle nostre case, oggi come ieri, oltre ad esprimere la consistenza delle nostre possibilità finanziarie, portano impresso il segno di scelte e selezioni che non sono solo frutto di un alto tenore di vita. Affascinante inventario delle “cose” del vicerè che ci porta tra le stanze della sua piccola corte e fin in quelle povere e spoglie dei più umili servi dei quali egli, padrone ricco e potente, come padre buono e premuroso, si è ricordato chiamandoli per nome nei suoi ultimi memoriali e includendoli nella spartizione del denaro a tale scopo destinato. L’inventario porta la data del 17 aprile 1535; accanto ad Ettore c’è sempre Antonio Minturno che firmerà poi come teste insieme ad Antonio Bologna, Pietro Cabrera e a Giovanni Vincenzo De Marchisio che già conosciamo come figlio del notaio. Interamente scritto in un volgare comune alla prosa notarile del cinquecento siciliano, presenta tuttavia parole come “previti” o “perna”, che ricordano più da vicino la lingua di Napoli e Calabria. Oltre che per l’inconsueta lunghezza, esso si distingue per la ricchezza dei particolari che indicando forme, colori, peso e lavorazione degli oggetti, rivela l’attenzione posta nella sua compilazione, che certamente avrà impegnato per più giorni il notaio e tutti i presenti. L’inventario inizia con la descrizione degli oggetti d’argento e dei gioielli che appartennero all’arredo dell’oratorio e della cappella. Mano a mano che si procedeva nell’elencazione, essi venivano riposti in casse, cassoni e scrigni ricoperti di cuoio, in previsione del loro trasporto in Calabria. Con lo stesso sistema verranno conservati tutti gli oggetti anche quelli di minor valore. Gli ambienti del palazzo viceregio che il notaio elenca per identificare la provenienza degli oggetti che si sistemano nelle casse sono, oltre all’oratorio e alla cappella destinati il primo alla preghiera e al raccoglimento e la seconda alla celebrazione delle funzioni religiose, il “guardarobba” che doveva trovarsi molto vicino alle stanze private del vicerè e quindi non facilmente accessibi- Conservatore del real patrimonio Federico Lombardi,per un debito di 930 onze da pagare a creditori elencati in un memoriale firmato dal defunto vicerè, del quale non abbiamo trovato traccia agli atti del notaio. Ibid., doc. del 18 aprile 1535. 58 Ibid., doc. del 7 giugno 1535. 168

li visto che è proprio lì che vengono conservate le casse contenenti le cose più preziose come l’argento, i gioielli e le “scripturi”, il “reposto”, la “butteglaria”, il “tinello”, la “cucina e dispenza”. Seguono poi le camere degli impiegati e degli inservienti, alcuni identificati con nome e cognome, altri, invece,con il mestiere che svolgono a palazzo: mastro Lorenzo è il “repostere”, Buzuto il fattore, mastro Ferrante il panettiere. Mastri di sala, mastri di casa e famiglia, paggi, aiutanti di camera e di “riposto e butteglaria”, il medico, schiavi negri di stalla o di cucina formano la piccola corte che abita il palazzo. L’arredamento delle loro camere è veramente essenziale. Quelli fra loro che contano di più hanno un letto con materasso e lenzuoli. I negri della stalla solo un sacco e una coperta. Spesso nella camera degli impiegati riposa anche il garzone” o il “famiglio” per i quali c’è solo sacco e coperta accanto ai letti dei padroni. Letto, tavoli, sedie e casse sono comunque il solo mobilio che arreda gli ambienti. Per far luce solo tre paia di candelieri e una lanternula, entrambi in argento. I candelieri grandi, a colonna o più piccoli ma sempre a colonna e con la croce, sono per l’altare della cappella e per l’oratorio. Fra gli argenti dell’oratorio, e quasi certamente sull’altare davanti al quale ci si raccoglieva in preghiera, due grandi icone d’argento, una raffigurante la Madonna con Gesù in braccio e l’altra san Giovanni con il calice in mano. Tra le due, forse, era un Crocifisso d’argento dorato con il piede lavorato a rilievo e arricchito con le figure della Madonna e san Giovanni. Un panno intrecciato con fili d’oro sul quale spiccavano ricami di seta bianca, ricopriva l’altare. Altre icone di legno e alcune con la cornice d’argento adornavano le pareti dell’oratorio. Una grande medaglia d’oro con l’effigie di san Giorgio e tutta circondata di foglie anch’esse d’oro, guarniva una immagine “in uno tundo” della Madonna con il Bambino che a sua volta era tutta circondata da una cornice d’argento impreziosita da quattro angeli pure d’argento. Alle pareti anche un quadro di Cristo che porta la croce, un altro con la Madonna e Giuseppe, e un “nostro Signore del sudario”. Sempre nell’oratorio il vicerè conservava un “quatro di brunzo” nel quale egli stesso era stato “depinto” con il re e il Consiglio. In uno scrigno ricoperto di cuoio chiaro vengono conservati gli argenti, gli arredi sacri e i paramenti usati per le funzioni religiose nella cappella. Sull’altare una croce d’argento con il piede dorato e smaltato e con un lavoro di madreperla, sull’altra faccia, raffigurante il Volto Santo e i quattro evangelisti; poi due grandi candelieri a colonna, il calice, la patena, le ampollette, l’ostensorio, l’aspersorio e la campanella: tutto in argento. Alcuni paramenti e tovaglie d’altare portano ricamate in oro le armi dei Pignatelli. Cuscini di velluto nero vengono usati per mettersi in ginocchio. In una cassa, ricoperta di vecchio cuoio, viene conservato l’argento da tavola che si trovava in “reposto”. I piatti sono “mezzani”, “cupi” o “piactelletti”; poi i piatti grandi “da portata” e le scodelle, le saliere, il portaspezie e le oviere. Un “marzapane grande” viene usato per servire i confetti e un altro più piccolo per lo zucchero. Per posate, solo cucchiai che però hanno varie 169

li visto che è proprio lì che vengono conservate le casse contenenti le cose più<br />

preziose come l’argento, i gioielli e le “scripturi”, il “reposto”, la “butteglaria”,<br />

il “tinello”, la “cucina e <strong>di</strong>spenza”. Seguono poi le camere degli <strong>imp</strong>iegati<br />

e degli inservienti, alcuni identificati con nome e cognome, altri, invece,con<br />

il mestiere che svolgono a palazzo: mastro Lorenzo è il “repostere”,<br />

Buzuto il fattore, mastro Ferrante il panettiere. Mastri <strong>di</strong> sala, mastri <strong>di</strong> casa<br />

e famiglia, paggi, aiutanti <strong>di</strong> camera e <strong>di</strong> “riposto e butteglaria”, il me<strong>di</strong>co,<br />

schiavi negri <strong>di</strong> stalla o <strong>di</strong> cucina formano la piccola corte che abita il palazzo.<br />

L’arredamento delle loro camere è veramente essenziale. Quelli fra loro<br />

che contano <strong>di</strong> più hanno un letto con materasso e lenzuoli. I negri della stalla<br />

solo un sacco e una coperta. Spesso nella camera degli <strong>imp</strong>iegati riposa anche<br />

il garzone” o il “famiglio” per i quali c’è solo sacco e coperta accanto ai<br />

letti dei padroni. Letto, tavoli, se<strong>di</strong>e e casse sono comunque il solo mobilio che<br />

arreda gli ambienti. Per far luce solo tre paia <strong>di</strong> candelieri e una lanternula,<br />

entrambi in argento. I candelieri gran<strong>di</strong>, a colonna o più piccoli ma sempre<br />

a colonna e con la croce, sono per l’altare della cappella e per l’oratorio. Fra<br />

gli argenti dell’oratorio, e quasi certamente sull’altare davanti al quale ci si<br />

raccoglieva in preghiera, due gran<strong>di</strong> icone d’argento, una raffigurante la<br />

Madonna con Gesù in braccio e l’altra san Giovanni con il calice in mano.<br />

Tra le due, forse, era un Crocifisso d’argento dorato con il piede lavorato a rilievo<br />

e arricchito con le figure della Madonna e san Giovanni. Un panno intrecciato<br />

con fili d’oro sul quale spiccavano ricami <strong>di</strong> seta bianca, ricopriva<br />

l’altare. Altre icone <strong>di</strong> legno e alcune con la cornice d’argento adornavano le<br />

pareti dell’oratorio. Una grande medaglia d’oro con l’effigie <strong>di</strong> san Giorgio e<br />

tutta circondata <strong>di</strong> foglie anch’esse d’oro, guarniva una immagine “in uno<br />

tundo” della Madonna con il Bambino che a sua volta era tutta circondata<br />

da una cornice d’argento <strong>imp</strong>reziosita da quattro angeli pure d’argento. Alle<br />

pareti anche un quadro <strong>di</strong> Cristo che porta la croce, un altro con la Madonna<br />

e Giuseppe, e un “nostro Signore del sudario”.<br />

Sempre nell’oratorio il vicerè conservava un “quatro <strong>di</strong> brunzo” nel quale<br />

egli stesso era stato “depinto” con il re e il Consiglio. In uno scrigno ricoperto<br />

<strong>di</strong> cuoio chiaro vengono conservati gli argenti, gli arre<strong>di</strong> sacri e i paramenti<br />

usati per le funzioni religiose nella cappella. Sull’altare una croce<br />

d’argento con il piede dorato e smaltato e con un lavoro <strong>di</strong> madreperla, sull’altra<br />

faccia, raffigurante il Volto Santo e i quattro evangelisti; poi due gran<strong>di</strong><br />

candelieri a colonna, il calice, la patena, le ampollette, l’ostensorio, l’aspersorio<br />

e la campanella: tutto in argento. Alcuni paramenti e tovaglie<br />

d’altare portano ricamate in oro le armi dei Pignatelli. Cuscini <strong>di</strong> velluto nero<br />

vengono usati per mettersi in ginocchio.<br />

In una cassa, ricoperta <strong>di</strong> vecchio cuoio, viene conservato l’argento da tavola<br />

che si trovava in “reposto”. I piatti sono “mezzani”, “cupi” o “piactelletti”;<br />

poi i piatti gran<strong>di</strong> “da portata” e le scodelle, le saliere, il portaspezie e le<br />

oviere. Un “marzapane grande” viene usato per servire i confetti e un altro<br />

più piccolo per lo zucchero. Per posate, solo cucchiai che però hanno varie<br />

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