imp. Arch. Stato ok - Archivio di Stato di Palermo
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Il giorno dopo aver <strong>di</strong>sposto le donazioni, il 2 ottobre, manifesta la sua<br />
volontà <strong>di</strong> unire ed aggregare in un solo corpo in<strong>di</strong>viso tutti i suoi beni e vincola<br />
la successione al primogenito dei suoi figli maschi e, in caso <strong>di</strong> morte, al<br />
primogenito dei maschi <strong>di</strong> quest’ultimo; se anche egli venisse meno si passerà<br />
al secondogenito e poi al terzogenito e così via: “omnes masculi legitimi<br />
et naturales de domo et familia sua de Pignatellis servata prerogativa gradus<br />
et primogeniture <strong>imp</strong>erpetuum”. È, ovviamente, l’istituto del maggiorascato<br />
che però per essere istituito prevedeva una formale licenza regia. Un privilegio<br />
dato in Granada il 7 <strong>di</strong>cembre 1526 aveva concesso tale licenza al vicerè;<br />
un anno dopo esso viene presentato al notaio De Marchisio perché,<br />
dopo aver verificato l’autenticità della sottoscrizione regia insieme ai testimoni,<br />
e la presenza del grande sigillo pendente “non abraso, non abolito nec<br />
in aliqua sui parte suspetto”, ne faccia “sumptum sive exemplum publicum” 23 .<br />
Il 5 ottobre del 1527 24 , dopo aver revocato ogni altro precedente testamento,<br />
istituisce erede universale il figlio primogenito Camillo, già conte <strong>di</strong> Burrello.<br />
Tre giorni dopo scrive i suoi primi co<strong>di</strong>cilli con i quali, dopo aver confermato<br />
il testamento appena scritto, prende <strong>imp</strong>ortanti decisioni. I co<strong>di</strong>cilli dell’8<br />
ottobre 25 meritano particolare attenzione perché nell’ansia sempre manifestata<br />
e presente <strong>di</strong> voler emendare la propria coscienza <strong>di</strong> errori o colpe commesse<br />
nel passato, Ettore Pignatelli giustifica alcune sue decisioni collegandole<br />
a fatti della sua vita accaduti anche molti decenni prima. E così, in quella<br />
occasione, egli fa scrivere al notaio che re Fer<strong>di</strong>nando, venti anni prima, gli<br />
ha donato tutti i beni appartenuti a Bernar<strong>di</strong>no e Giacomello de Barone, accusati<br />
<strong>di</strong> ribellione contro il re, nel regno <strong>di</strong> Napoli, perché eressero “gallica<br />
vexilla” insieme con il principe <strong>di</strong> Rossano. Tra i beni confiscati c’è anche il<br />
feudo “lo Olivade” e tutti i <strong>di</strong>ritti su introiti e proventi della terra <strong>di</strong> Misiano.<br />
Questi <strong>di</strong>ritti che i due ribelli possedevano anche in nome <strong>di</strong> altri due loro<br />
fratelli, erano stati da loro acquistati per il prezzo <strong>di</strong> 1200 ducati. In seguito,<br />
nel 1507, Ettore Pignatelli, “volens uti urbanitate et equitate” con Bernar<strong>di</strong>no<br />
e Giacomello suoi vassalli, ad<strong>di</strong>viene ad un accordo con il quale restituisce<br />
ai due ex ribelli il feudo “lo Olivade” e tutti i loro beni stabili; trattiene per<br />
se, però, i red<strong>di</strong>ti provenienti dalla baronia <strong>di</strong> Misiano. Ed ancora concede<br />
loro alcuni territori posti in quelle vicinanze ottenendone in cambio la definitiva<br />
rinuncia da parte dei de Barone sulla quarta parte dei red<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> Misiano<br />
ancora <strong>di</strong> loro proprietà.<br />
Ma nel 1515 “volens se eximere et liberare a <strong>di</strong>cto onere cosciencie”<br />
sborsa parecchie centinaia <strong>di</strong> ducati a favore dei figli dei due fratelli<br />
Gerolamo e Bartolomeo de Barone i quali, essendo già morti al tempo dei fatti,<br />
non hanno potuto commettere delitto <strong>di</strong> ribellione e i loro figli, essendo<br />
23 Notaio G. De Marchisio, appen<strong>di</strong>ce 37, doc. del 2 ottobre 1527, c. 104v.; e doc. del 18 novembre<br />
1527, c. 250r.<br />
24 Notaio G. De Marchisio, appen<strong>di</strong>ce 35 e appen<strong>di</strong>ce 37<br />
25 Notaio G. De Marchisio, appen<strong>di</strong>ce 37, c. 138v.<br />
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