Le orchidee spontanee del piacentino - Osservatorio Trebbia
Le orchidee spontanee del piacentino - Osservatorio Trebbia
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alla coltivazione e completamente naturalizzate:<br />
fra queste ricordiamo il Fico<br />
d’India nano (Opuntia compressa), diversi<br />
Narcisi e lo Zafferanastro giallo (Sterbergia<br />
lutea); significativa è anche la presenza di<br />
specie molto rare come l’Asplenio maggiore<br />
(Asplenium onopteris), la Speronella<br />
lacerata (Delphinium fissum) e la Ballerina<br />
(Aceras antropophorum), orchidacea a<br />
distribuzione stenomediterranea.<br />
Uno degli elementi caratterizzanti il paesaggio<br />
collinare e montano <strong>del</strong>la nostra<br />
provincia è dato dalla diffusione degli<br />
affioramenti ofiolitici; queste rocce costituiscono<br />
un substrato particolarmente<br />
selettivo per le piante, sia per la composizione<br />
chimica che per le condizioni fisiche<br />
che vi si riscontrano (forte irraggiamento<br />
solare, accentuate escursioni termiche,<br />
carenza d’acqua, ecc.). La loro superficie<br />
è colonizzata da estesi popolamenti di<br />
licheni epilitici; essi contribuiscono alla<br />
formazione di quel minimo di terra fine<br />
che consente la crescita di poche piante<br />
specializzate; alcune sono esclusive di<br />
questo substrato, come la Felcetta lanosa<br />
(Notholaena marantae), l’Asplenio <strong>del</strong> serpentino<br />
(Asplenium cuneifolium) e l’Alisso<br />
di Bertoloni (Alyssum bertolonii); altre, pur<br />
non essendo esclusive, si presentano da<br />
noi solo su queste rocce: il Lino a campanelle<br />
(Linum campanulatum, in regione<br />
presente solo nella nostra provincia),<br />
l’Euforbia spinosa (Euphorbia spinosa<br />
ssp. ligustica), la Costolina appenninica<br />
(Robertia taraxacoides), la Linajola dei<br />
serpentini (Linaria supina) e, in alta Val<br />
Nure (uniche stazioni regionali) la Reseda<br />
pigmea (Sesamoides pygmaea).<br />
Dall’alta collina e fino a ridosso <strong>del</strong> crinale<br />
appenninico sono abbastanza frequenti i<br />
boschi di conifere, aghifoglie sempreverdi<br />
che spiccano con il loro verde cupo<br />
nel brullo paesaggio invernale; sono tutti<br />
impianti artificiali che hanno sostituito<br />
la copertura forestale naturale. <strong>Le</strong> principali<br />
specie utilizzate sono il Pino nero<br />
(Pinus nigra), soprattutto sui substrati<br />
rocciosi, l’Abete bianco (Abies alba) e<br />
l’Abete rosso (Picea excelsa), tutte specie<br />
estranee alla nostra flora, ad eccezione<br />
<strong>del</strong>l’Abete bianco, presente con una piccola<br />
popolazione autoctona sul Monte<br />
Nero; l’utilizzo di queste piante fuori dal<br />
loro areale è ormai stato abbandonato<br />
grazie ai nuovi indirizzi <strong>del</strong>la selvicoltura.<br />
La massiccia intrusione <strong>del</strong>le conifere nei<br />
nostri ambienti forestali ha comportato<br />
diversi effetti negativi (sostituzione <strong>del</strong>la<br />
vegetazione autoctona, maggior suscettibilità<br />
agli incendi, diffusione di parassiti<br />
come la Processionaria, alterazione <strong>del</strong>le<br />
caratteristiche <strong>del</strong>l’humus forestale), ma<br />
anche l’introduzione di alcune specie<br />
nuove, strettamente legate ai boschi di<br />
conifere e probabilmente giunte da noi<br />
con il materiale vivaistico; fra queste<br />
ricordiamo due rare <strong>orchidee</strong>: la Godiera<br />
(Goodiera repens) e la Listera minore (Listera<br />
cordata), quest’ultima recentemente<br />
scoperta in Val Nure.<br />
Sopra i 900-1000 m d’altitudine e fino<br />
alle quote maggiori, la copertura forestale<br />
è dominata dal Faggio. Questa pianta ha<br />
esigenze particolari in fatto di clima (predilige<br />
un ambiente fresco e con precipitazioni<br />
ben distribuite nell’arco <strong>del</strong>l’anno, ed è<br />
molto sensibile alle gelate primaverili), ma<br />
si adatta bene ai diversi substrati; si presenta<br />
con diverse varianti, che si differenziano<br />
soprattutto per il corteggio floristico. Alle<br />
quote inferiori abbondanti sono le specie<br />
provenienti dalla fascia dei querceti, sia<br />
legnose (Carpino nero, Acero campestre,<br />
Orniello, Corniolo) che erbacee (Primula,<br />
Erba trinità, Anemoni, Ellebori); nel suo<br />
aspetto più tipico, sopra i 1200-1300 m<br />
(fascia subatlantica) troviamo specie più<br />
spiccatamente montane, come il Sorbo<br />
degli uccellatori (Sorbus aucuparia) e<br />
l’Acero montano (Acer pseudoplatanus),<br />
ed una flora ebacea caratteristica; fra le<br />
specie più significative ricordiamo il Sigillo<br />
di Salomone (Polygonatum verticillatum), la<br />
piccola Moscatella (Adoxa moschatellina),<br />
la Dentaria (Cardamine heptaphylla), la<br />
Mercorella (Mercurialis perennis), l’Orchide<br />
macchiata (Dactylorhiza maculata), la<br />
Veronica (Veronica urticifolia), la Lattuga<br />
montana (Prenanthes purpurea), la Coralloriza<br />
(Corallorhiza trifida), la Felce maschio<br />
(Dryopteris filix-mas) e la Felce femmina<br />
(Athyrium filix-foemina); solo in un paio di<br />
stazioni è presente il rarissimo Epipogium<br />
aphyllum, orchidea saprofita dalla fioritura<br />
incostante. Sui suoli acidificati ed impoveriti<br />
è spesso molto abbondante il Mirtillo<br />
(Vaccinium myrtillus).<br />
Nelle radure e nelle superfici di recente<br />
ceduazione si sviluppa una rigogliosa<br />
vegetazione, ad indicare la presenza di un<br />
terreno ricco di nutrienti: qui spiccano le<br />
fioriture estive <strong>del</strong> Garofanino maggiore<br />
(Epilobium angustifolium), <strong>del</strong> Botton d’oro<br />
(Trollius europaeus), <strong>del</strong> Giglio martagone<br />
(Lilium martagon), le rosse bacche <strong>del</strong> Lam-<br />
pone (Rubus idaeus) ed isolati alberelli di<br />
Sambuco rosso (Sambucus racemosa).<br />
Lungo le forre dei versanti più acclivi<br />
<strong>del</strong>la Val Boreca, la vegetazione dei boschi<br />
mesofili arriva fino a lambire il greto <strong>del</strong><br />
torrente; questi ambienti freschi e umidi,<br />
quasi perennemente in ombra, sono il<br />
luogo elettivo per alcune rare felci, come<br />
il Capelvenere (Adiantum capillus-veneris),<br />
la Lingua cervina (Phyllitis scolopendrium)<br />
e l’Asplenio <strong>del</strong>le fonti (Asplenium fontanum).<br />
Nella fascia montana vasti settori di<br />
territorio, per lo più lungo i crinali, nelle<br />
aree meno acclivi e meglio esposte, sono<br />
stati disboscati fin da tempi remoti per<br />
fare spazio a praterie da destinare al<br />
pascolo. Questi prati, tutti originatisi<br />
grazie all’azione <strong>del</strong>l’uomo e per questo<br />
chiamate “praterie secondarie”, sono<br />
caratterizzati da un cotico erboso dominato<br />
da graminacee perenni (Festuca,<br />
Poa, Brachypodium, Phleum, Anthoxanthum,<br />
Dactylis, Cynosurus, ecc.) ed ospitano una<br />
flora molto ricca e dalle vistose fioriture;<br />
esse iniziano quando il manto nevoso<br />
non è ancora <strong>del</strong> tutto scomparso, con<br />
lo schiudersi <strong>del</strong>le corolle dei Crochi<br />
(Crocus spp.) e <strong>del</strong>le Genziane (Gentiana<br />
kochiana), per raggiungere il loro culmine<br />
con l’estate: fra le specie più significative<br />
e vistose ricordiamo numerose <strong>orchidee</strong><br />
(soprattutto Dactylorhiza sambucina, Orchis<br />
mascula, Traunsteinera globosa), diversi<br />
Trifogli, Garofani selvatici, Ranuncoli e<br />
Potentille, le Poligale (Polygala nicaeensis<br />
e P. vulgaris), l’Eliantemo (Helianthemo<br />
nummularium), alcune Viole (Viola tricolor<br />
e V. calcarata), la Vulneraria (Anthyllis vulneraria),<br />
la Pelosella (Hieracium pilosella),<br />
il Tulipano montano (Tulipa australis) e,<br />
circoscritta alla Val <strong>Trebbia</strong>, la Primula<br />
odorosa (Primula veris).<br />
Nei pascoli alle quote maggiori troviamo<br />
una flora particolarmente interessante, soprattutto<br />
dal punto di vista fitogeografico:<br />
sui crinali <strong>del</strong>la Val Boreca fioriscono la<br />
Nigritella (Nigritella rhellicani) e l’Orchide<br />
candida (Pseudorchis albida), la Genziana<br />
maggiore (Gentiana lutea), l’Arnica (Arnica<br />
montana); in alta Val Nure è possibile osservare<br />
il Garofano a pennacchio (Dianthus<br />
superbus), il Lino celeste (Linum alpinum),<br />
la Pulsatilla alpina e la rarissima Crotonella<br />
alpina (Lychnis alpina).<br />
Abbastanza diffusi sul nostro Appennino<br />
sono anche gli ambienti umidi; la loro tipologia<br />
è molto varia: si va dai veri e propri<br />
laghetti, come Lago Bino (ove è presente<br />
una abbondante popolazione di Nannufaro<br />
– Nuphar lutea) o Lago Nero, fino ad<br />
arrivare, passando attraverso i vari stati di<br />
interrimento (Lago Moo, Lago di Averaldi),<br />
ai prati umidi e più o meno torbosi (come<br />
Pramollo, in alta Val Nure). Flora e vegetazione<br />
si diversificano in relazione ai diversi<br />
stadi evolutivi di questi ecosistemi; poco<br />
comuni e frammentarie sono le torbiere<br />
vere e proprie, che ospitano specie molto<br />
rare, come la Drosera rotundifolia e la Viola<br />
palustris; più comuni sono i prati umidi<br />
e gli stagni con acque basse, con i loro<br />
densi popolamenti di Ciperacee (Carex,<br />
Eleocharis, Scirpus, Eriophorum, ecc.) che<br />
possono sfumare da una parte in canneti<br />
a Phragmites, dall’altra in specchi d’acqua<br />
con densi popolamenti a Trifoglio fibrino<br />
(Menyanthes trifoliata). Fra le specie più<br />
tipiche di questi ambienti ricordiamo<br />
alcune Orchidacee, come Dactylorhiza<br />
incarnata ed Epipactis palustris, la Genziana<br />
mettimborsa (Gentiana pneumonanthe),<br />
l’Angelica (Angelica sylvestris), la Salvastrella<br />
(Sanguisorba officinalis), la Saxifragacea<br />
Parnassia palustris, il Giuncastrello<br />
(Triglochin palustre) ed il rarissimo Salix<br />
rosmarinifolia, presente al Lago di Averaldi<br />
con l’unica stazione regionale.<br />
<strong>Le</strong> quote maggiori dei nostri monti superano<br />
raramente la quota di 1700 m<br />
(M. <strong>Le</strong>sima, M. Nero, M. Bue, M. Ragola),<br />
corrispondente al limite superiore di<br />
diffusione <strong>del</strong>la faggeta: la fascia culminale,<br />
quella oltre il “limite degli alberi”,<br />
viene così ad essere nella nostra provincia<br />
estremamente ridotta (pochi ettari) e<br />
frammentata. Il suo aspetto vegetazionale<br />
più tipico, quello dei Vaccinieti a Vaccinium<br />
gaultherioides e Hypericum richeri, è però<br />
relativamente diffuso e si spinge anche<br />
a quote più basse, presentandosi come<br />
fase evolutiva <strong>del</strong>le praterie secondarie.<br />
Due <strong>del</strong>le nostre cime più alte, M. Nero e<br />
M. Ragola, consistono in imponenti massicci<br />
ofiolitici, dove hanno trovato rifugio<br />
diversi relitti graciali, oltre alla flora tipica<br />
degli ambienti rocciosi e <strong>del</strong>le praterie<br />
d’altitudine, come il Pino uncinato, il<br />
Ginepro nano, il Bupleuro ranuncoloide<br />
(Bupleurum ranunculoides) e la Ginestra<br />
stellata (Genista radiata). Questi lembi<br />
di vegetazione culminale sono talmente<br />
circoscritti e così interessanti dal punto<br />
di vista fitogeografico, da meritare<br />
senz’altro il massimo <strong>del</strong>l’attenzione e<br />
<strong>del</strong>la salvaguardia.<br />
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