La Biodiversità del Terminillo - Lynx - Natura & Ambiente

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12.06.2013 Views

164 165 che si è visto quando si era più in alto. Quando non è più possibile vedere, almeno è possibile sapere. Questa filosofia della montagna, forse si sposa più con una visione cittadina, meno con il duro lavoro del montanaro, tuttavia ci lascia una metafora molto efficace della vita e un aspetto della cultura alpinistica molto profondo. Tuttavia se la montagna è un Pantheon di miti e simboli arcaici, oggi questi simboli possono vivere anche attraverso la Natura, la montagna non solo come ascesa-ascesi ma anche come giardino dell’Eden popolato da migliaia di specie animali e vegetali. Anche qui la visione di una natura incontaminata da ammirare e tutelare spesso si è scontrata con la lotta che il montanaro ha sostenuto per proteggere i suoi greggi dai lupi: celebri i Lupari di Leonessa, che della caccia al famoso mammifero ne fecero una professione. Una lotta che spesso si è trasformata in un abbraccio, perché non si può non amare l’ambiente in cui si nasce e si vive. La millenaria cultura della montagna ha interpretato la difficile sfida del vivere in un ambiente tanto magnifico quanto severo, elaborando soluzioni di equilibrio tra le proprie esigenze e il mantenimento di quelle condizioni, senza di cui la vita stessa sarebbe diventata precaria, mediante una cura paziente, tenace e normalmente lungimirante che le ha consentito stabilità e perduranza fino a poche generazioni fa. Oggi questo mondo è quasi scomparso, come stanno scomparendo molte specie animali; la perdita di una cultura o di una forma vivente ci fa sempre sentire tutti più poveri. Per questo i Monti Reatini oggi sentono il bisogno di valori prima che di opere: non si tratta di recuperare la figura mitica del montanaro o del buon selvaggio, ma di costruire una cultura della montagna che abbia come fulcro la storia umana e la biodiversità, perché se riportare indietro la storia non è possibile, tutelare l’ambiente sì, cercando di coglierne non solo l’evidente valore scientifico, ma anche quello culturale. Infine, può esserci una sintonia, culturale, tra le esigenze degli uomini di oggi e “loro”, gli uomini delle montagne che mossero i primi passi attraversando queste catene montuose per andare a caccia, per guidare gli armenti, per prendere il ghiaccio o più semplicemente per soddisfare quell’insopprimibile esigenza di cercare, attraverso la montagna, l’armonia della vita.

Abbiamo la Terra non in eredità dai genitori, ma in affitto dai figli. Proverbio Indiano 166 167

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che si è visto quando si era più in alto. Quando non è più possibile vedere, almeno<br />

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Questa filosofia <strong>del</strong>la montagna, forse si sposa più con una visione cittadina,<br />

meno con il duro lavoro <strong>del</strong> montanaro, tuttavia ci lascia una metafora molto<br />

efficace <strong>del</strong>la vita e un aspetto <strong>del</strong>la cultura alpinistica molto profondo.<br />

Tuttavia se la montagna è un Pantheon di miti e simboli arcaici, oggi questi<br />

simboli possono vivere anche attraverso la <strong>Natura</strong>, la montagna non solo come<br />

ascesa-ascesi ma anche come giardino <strong>del</strong>l’Eden popolato da migliaia di<br />

specie animali e vegetali. Anche qui la visione di una natura incontaminata<br />

da ammirare e tutelare spesso si è scontrata con la lotta che il montanaro ha<br />

sostenuto per proteggere i suoi greggi dai lupi: celebri i Lupari di Leonessa,<br />

che <strong>del</strong>la caccia al famoso mammifero ne fecero una professione. Una lotta<br />

che spesso si è trasformata in un abbraccio, perché non si può non amare<br />

l’ambiente in cui si nasce e si vive. <strong>La</strong> millenaria cultura <strong>del</strong>la montagna ha<br />

interpretato la difficile sfida <strong>del</strong> vivere in un ambiente tanto magnifico quanto<br />

severo, elaborando soluzioni di equilibrio tra le proprie esigenze e il mantenimento<br />

di quelle condizioni, senza di cui la vita stessa sarebbe diventata<br />

precaria, mediante una cura paziente, tenace e normalmente lungimirante<br />

che le ha consentito stabilità e perduranza fino a poche generazioni fa.<br />

Oggi questo mondo è quasi scomparso, come stanno scomparendo molte<br />

specie animali; la perdita di una cultura o di una forma vivente ci fa sempre<br />

sentire tutti più poveri. Per questo i Monti Reatini oggi sentono il bisogno<br />

di valori prima che di opere: non si tratta di recuperare la figura mitica <strong>del</strong><br />

montanaro o <strong>del</strong> buon selvaggio, ma di costruire una cultura <strong>del</strong>la montagna<br />

che abbia come fulcro la storia umana e la biodiversità, perché se riportare<br />

indietro la storia non è possibile, tutelare l’ambiente sì, cercando di coglierne<br />

non solo l’evidente valore scientifico, ma anche quello culturale. Infine, può<br />

esserci una sintonia, culturale, tra le esigenze degli uomini di oggi e “loro”,<br />

gli uomini <strong>del</strong>le montagne che mossero i primi passi attraversando queste<br />

catene montuose per andare a caccia, per guidare gli armenti, per prendere<br />

il ghiaccio o più semplicemente per soddisfare quell’insopprimibile esigenza<br />

di cercare, attraverso la montagna, l’armonia <strong>del</strong>la vita.

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