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La Biodiversità del Terminillo - Lynx - Natura & Ambiente

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1<br />

<strong>La</strong> <strong>Biodiversità</strong> <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong><br />

Alla scoperta <strong>del</strong>la vegetazione, <strong>del</strong>la fauna e degli habitat dei Monti Reatini


LA BIODIVERSITÀ DEL TERMINILLO<br />

ALLA ScoPERtA dELLA VEGEtAzioNE, dELLA fAuNA E dEGLi hABitAt dEi MoNti REAtiNi<br />

REGIONE LAZIO<br />

PROVINCIA DI RIETI<br />

Accordo di programma multiregionale in materia<br />

di biodiversità nella ZPS Monti Reatini, nei<br />

SIC Gruppo Monte <strong>Terminillo</strong>, Vallone <strong>del</strong> Rio<br />

Fuggio, Valle Avanzana Fuscello e interventi di<br />

riqualificazione ambientale a tutela <strong>del</strong>la Batracofauna.<br />

Con la collaborazione di<br />

Si ringraziano<br />

l’Arch. Roberta Galluzzi e<br />

l’Ing. Mariangela Guerrieri.<br />

Citazione bibliografica consigliata:<br />

Cammerini Giancarlo (Ed), 2012.<br />

<strong>La</strong> <strong>Biodiversità</strong> <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>.<br />

Alla scoperta <strong>del</strong>la vegetazione, <strong>del</strong>la fauna e degli<br />

habitat dei Monti Reatini.<br />

Regione <strong>La</strong>zio, Amministrazione Provinciale di Rieti.<br />

Regione <strong>La</strong>zio<br />

Amministrazione Provinciale di Rieti<br />

Coordinamento editoriale<br />

Giancarlo Cammerini<br />

Testi:<br />

Giancarlo Cammerini<br />

Enrico Calvario<br />

Silvia Sebasti<br />

Francois Salomone<br />

Stefano Sarrocco<br />

Cartografia:<br />

Giancarlo Cammerini<br />

Foto:<br />

Mauro Bernoni: pagg. 83,84,113,114 alto.<br />

Fabrizio Bartolucci: pagg. 69, 106.<br />

Enrico Calvario: pagg. 95, 112 basso,115.<br />

Giuliano Cappelli (panda Photo): pagg. 90,112.<br />

Gabriele Casciani: pag. 81.<br />

Giancarlo Cammerini: pagg. 10,14,19,20,21,22,23,24,25,26,27,28,31,33, 34, 35, 37, 38,39,40,<br />

42,43,45,47,48,51,55,57,58,61,63,65,66,71,73,75,76,77,78,96, 99,100,103,105,118,121,123,124 alto,<br />

130,134,145,153,155,159,160,163,164,166,177.<br />

Andrea Capponi: pagg. 5,9.<br />

Romano Fabi: pag. 13.<br />

Roberta Galluzzi: pagg. 135,136,137,138,139,140,141,142,143,144,145,171.<br />

Mariangela Guerrieri: pagg. 146,147,148,149,150,151,152,153,173.<br />

Domenico Marchetti: pagg. 5,9.<br />

Gianpaolo Montinaro pagg.108,126 alto.<br />

Guido Prola: pagg. 89,93,109,110,111,116,117.<br />

Stefano Sarrocco: pagg. 126basso, 125 basso.<br />

Silvia Sebasti: pag. 127 alto.<br />

Francois Salomone: pag. 107.<br />

Alberto Venchi: pagg. 109,123 basso .<br />

2<br />

3<br />

INDICE<br />

4 Presentazione<br />

8 Scoperta e difesa <strong>del</strong>la biodiversità<br />

16 <strong>La</strong> Rete Ecologica <strong>Natura</strong> 2000<br />

30 Geografie e paesaggi<br />

50 Vegetazione e habitat<br />

80 <strong>La</strong> fauna<br />

104 Specie di valore europeo<br />

120 Progetto laghetti e fontanili<br />

124 Gli anfibi presenti nei laghetti e fontanili ripristinati<br />

132 Gli interventi per la tutela e valorizzazione di laghetti e fontanili<br />

154 <strong>La</strong> cultura <strong>del</strong>la montagna<br />

168 Buone pratiche e gestione dei fontanili<br />

174 Bibliografia


Presentazione<br />

Michele Beccarini - Assessore alle Politiche Ambientali<br />

Quale è il futuro <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>? Sono molti anni, oramai, che amministratori,<br />

operatori, ambientalisti e semplici abitanti dei paesi<br />

pedemontani dibattono intorno a questa domanda, provando a<br />

trovare soluzioni e proposte interessanti. Una <strong>del</strong>le risposte che la nostra<br />

Amministrazione vuole dare è racchiusa in questo volume, che prova a<br />

far emergere l’evidenza scientifica <strong>del</strong> valore ambientale e naturalistico dei<br />

Monti Reatini.<br />

Un patrimonio fino a oggi poco considerato, ma che è parte <strong>del</strong> mosaico di<br />

proposte che vedono la montagna reatina protagonista in tutti i suoi aspetti<br />

e in tutte le stagioni. Un progetto ideato per la tutela e la valorizzazione<br />

di specie peculiari e poco conosciute, come gli anfibi, ci ha consentito di<br />

curare la manutenzione, a volte la ristrutturazione e certamente la valorizzazione,<br />

di diciotto fontanili e due laghetti ma, soprattutto, ci ha permesso<br />

di dimostrare come sia possibile conciliare le esigenze <strong>del</strong>l’uomo con quelle<br />

<strong>del</strong>la natura. I fontanili, per esempio, hanno un ruolo strategico per le specie<br />

animali; ma la scelta ha dovuto tenere conto <strong>del</strong>le esigenze degli allevatori<br />

che quotidianamente vi fanno riferimento per l’abbeveraggio <strong>del</strong> bestiame<br />

allevato allo stato brado e anche di offrire ai turisti luoghi di ristoro.<br />

Ecco, nello sviluppo dei Monti Reatini si devono tenere in considerazione<br />

molti ambiti di intervento e tra questi, sicuramente, la tutela <strong>del</strong>la biodiversità<br />

deve essere messa al primo posto. <strong>La</strong> politica ha il dovere di impegnarsi<br />

nel coniugare le esigenze <strong>del</strong>la tutela ambientale con lo sviluppo<br />

economico, magari scoprendo e mostrando, come si fa in questo progetto,<br />

che possono viaggiare sullo stesso binario.<br />

4<br />

5


<strong>La</strong> conservazione è uno stato di armonia<br />

fra gli uomini e le terre.<br />

Aldo Leopold<br />

6<br />

7


I crocus dipingono di viola<br />

i prati nel passaggio tra<br />

l’inverno a la primavera.<br />

Scoperta e difesa <strong>del</strong>la <strong>Biodiversità</strong><br />

di Giancarlo Cammerini<br />

Parlare <strong>del</strong>la <strong>Biodiversità</strong> dei Monti Reatini, <strong>del</strong>la ricchezza naturalistica<br />

<strong>del</strong>le montagne che sovrastano la città di Rieti, è probabilmente<br />

una novità rispetto alle decine di pubblicazioni che la celebrano per<br />

la sua storia legata alla costruzione <strong>del</strong>la stazione turistica di Pian dé Valli<br />

alle piste da sci, all’urbanizzazione capillare che nel corso di cinquanta anni<br />

ha portato il segno tangibile, a volte sconsiderato <strong>del</strong>l’uomo su queste montagne<br />

più che in tutti gli altri gruppi montuosi appenninici.<br />

Certamente questo tipo di sviluppo ha contribuito a dare un largo palcoscenico<br />

al <strong>Terminillo</strong> più per i suoi aspetti mondani che per il suo ambiente<br />

naturale. Tuttavia questa è solo una visione parziale, perché su quelle rocce,<br />

tra i boschi, nei prati ci sono persone che sono state e sono interessate soprattutto<br />

a osservare boschi e rocce, prati e farfalle, lupi e aquile; scienziati,<br />

naturalisti o semplici appassionati che hanno percorso le valli e i versanti<br />

dei Monti Reatini, decifrando il grande valore <strong>del</strong>la loro biodiversità.<br />

Fin dal XVI secolo sono iniziate le prime descrizioni cartografiche e relazioni<br />

scientifiche sul mondo naturale dei Monti Reatini. Nel secolo XVII,<br />

il botanico francese Jacques Barrelier fu il primo naturalista a esplorare le<br />

pendici <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>. In seguito, considerata anche la vicinanza alla Capitale,<br />

decine di scienziati hanno continuato ad approfondire la conoscenza<br />

<strong>del</strong>le caratteristiche ambientali <strong>del</strong>la montagna. Il botanico ligure Paolo<br />

Boccone nel 1682 analizzò molte piante, specialmente quelle in quota, individuando<br />

una pianta rara come Potentilla appenninica.<br />

Nel 1818, con grandi capacità escursionistiche, il naturalista danese Joakim<br />

Frederik Schouw giunse sino in cima dove compì la prima misurazio-<br />

8<br />

9


10<br />

11<br />

I costoni <strong>del</strong>la Valle Scura conservano gli ambienti<br />

più preziosi <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong><br />

ne barometrica <strong>del</strong>la vetta, risultò di 2150 metri<br />

e la chiamò <strong>Terminillo</strong> grande, (R. Marinelli-Il<br />

<strong>Terminillo</strong>, storia di una montagna - Il Velino).<br />

Con lui inizia un nuovo sistematico studio <strong>del</strong>la<br />

geologia, <strong>del</strong>la flora e <strong>del</strong>la fauna reatina, anche<br />

se le scienze naturali ancora non avevano la divisione<br />

disciplinare che avrebbe iniziato a distinguerle<br />

dai primi <strong>del</strong> Novecento.<br />

Così negli anni venti il geologo Lotti, Presidente<br />

<strong>del</strong>la Società Geologica Italiana, avviò lo studio<br />

<strong>del</strong>la geologia dei Monti Reatini secondo la concezione<br />

moderna <strong>del</strong>le scienze <strong>del</strong>la terra, Giuliano<br />

Montelucci sistematizzò la conoscenza <strong>del</strong>la<br />

flora dei Monti Reatini. Sempre nell’immediato<br />

dopoguerra fu fondato il Centro Appenninico<br />

<strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>, per iniziativa <strong>del</strong>lo scienziato reatino<br />

Carlo Jucci; il primo erbario custodito presso<br />

il museo di quella che in seguito sarebbe diventata<br />

la foresteria <strong>del</strong> Centro di ricerca reatino,<br />

conteneva già mille esemplari e, di fatto catalizzò<br />

l’interesse di molti studiosi, entomologi, erpetologi,<br />

ornitologi che cominciarono a riempire le<br />

lacune di conoscenza, ma anche a meravigliarsi<br />

<strong>del</strong>la varietà di ambienti, a volte rari, presenti su<br />

queste montagne. Per quanto concerne lo studio<br />

<strong>del</strong>l’ornitofauna va ricordato il contributo, sia in<br />

termini scientifici sia culturali, <strong>del</strong> Dott. A. Augusto<br />

Di Carlo che per alcuni anni fu medico<br />

condotto a Leonessa.<br />

Arriviamo ai giorni nostri in cui alla consapevolezza<br />

<strong>del</strong> valore <strong>del</strong>la biodiversità si unisce il rischio<br />

<strong>del</strong>la sua scomparsa. Negli anni Ottanta<br />

anche a Rieti la parola ecologia comincia a farsi<br />

sentire attraverso l’impegno degli ambientalisti.<br />

Oltre alla strenua difesa <strong>del</strong>la montagna dagli ultimi<br />

attacchi “cementificatori”, questi cercano di<br />

divulgare i valori <strong>del</strong>la biodiversità per far conoscere<br />

alla grande massa di turisti che sarebbe stato<br />

sufficiente fare capolino dietro i casermoni di<br />

Pian dé Valli per scorgere quella natura che ormai<br />

appare solo nei documentari televisivi.<br />

Infatti, già nel 1988 con la pubblicazione <strong>del</strong> volume<br />

<strong>Terminillo</strong> Anno Zero, da parte di W.W.F e<br />

CAI, veniva rilevato come la percezione <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong><br />

doveva essere più legato agli aspetti naturali<br />

che a quelli di “Montagna di Roma”.<br />

Tuttavia, a livello planetario, si stava affermando<br />

una nuova visione nella gestione <strong>del</strong>l’ambiente<br />

che a breve avrebbe portato a una riformulazio-


Una <strong>del</strong>le farfalle diurne più comuni è il Tabacco di Spagna<br />

Argynnis paphia, nell’immagine posata su una pianta di cardo<br />

rosso Cardus nutans.<br />

ne <strong>del</strong>le politiche di conservazione e alla reinterpretazione<br />

di una legislazione ormai inadeguata.<br />

Il 5 giugno 1992 a Rio de Janeiro è sottoscritta<br />

la Convenzione Internazionale sulla Diversità<br />

Biologica, ratificata poi nel 1993 dalla Comunità<br />

Europea. Quest’accordo sancisce un concetto<br />

fondamentale: la tutela <strong>del</strong>la biodiversità è una<br />

parte inscindibile <strong>del</strong> processo economico e sociale<br />

di un territorio. L’Unione Europea crea la<br />

Rete <strong>Natura</strong> 2000, un programma per lo studio,<br />

la tutela e la valorizzazione <strong>del</strong>le specie e degli<br />

habitat più importanti. Anche nei Monti Reatini<br />

sono individuati gli elementi naturali più sensibili<br />

o rari e sulla base di questi create le aree<br />

di tutela. Su alcuni di essi sono stati sviluppati<br />

Piani di Gestione e progetti di studio e divulgazione<br />

per far conoscere la biodiversità ma anche<br />

per promuovere un nuovo e più coinvolgente approccio<br />

alla conservazione.<br />

Così oggi, in termini di biodiversità, c’è una visione<br />

chiara sia sulla conoscenza degli elementi<br />

naturali sia sulle azioni da attuare per la loro tutela.<br />

Simboli rappresentativi di questa tutela sono<br />

le specie d’interesse comunitario e in particolare<br />

quelle che nell’immaginario collettivo rappre-<br />

sentano la natura selvaggia: dai lupi alle faggete<br />

monumentali, dai fiori che crescono in alta quota<br />

agli anfibi, dalla miriade di farfalle e coleotteri ai<br />

rapaci che nidificano tra le pareti di roccia.<br />

Tuttavia ci sono due specie che richiamano più di<br />

ogni altro elemento la sensazione di wilderness<br />

nei Monti Reatini: nel panorama vegetale la Betulla,<br />

in quello animale l’Aquila reale. <strong>La</strong> Betulla, specie<br />

relitta diffusasi in Italia durante le glaciazioni<br />

è presente solo nel versante nord <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>,<br />

tra i massi <strong>del</strong>la morena postglaciale (Pleistocene<br />

sup.) e la faggeta. Le betulle sopravvivono in formazioni<br />

arbustive, sotto la parete nord <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong><br />

e ci riportano ad un periodo in cui i Monti<br />

Reatini erano ricoperti dai ghiacci e, tra i boschi<br />

di faggio, acero, abete bianco e betulla, ancora si<br />

aggiravano orsi, lupi, cavalli selvatici e mammut.<br />

L’Aquila reale invece, ci testimonia ancora oggi<br />

un ambiente sano, il suo nido ricavato su pareti<br />

strapiombanti è il simbolo chiaro di una montagna<br />

affascinante e severa, di una natura incontaminata<br />

che in parte oggi è scomparsa, ma che<br />

guardando questo superbo rapace volteggiare<br />

sulle alte valli è possibile richiamare, consapevoli<br />

che per la regina di questi cieli nulla è cambiato.<br />

12<br />

13


<strong>La</strong> salvezza <strong>del</strong> mondo sta<br />

nella natura selvaggia<br />

Henry David Thoreau<br />

14<br />

15


L’area dei Monti Reatini<br />

è oggetto <strong>del</strong>le Direttive<br />

emanate dall’Unione Europea<br />

e incardinate nel sistema di<br />

tutela da parte <strong>del</strong>la<br />

Regione <strong>La</strong>zio.<br />

<strong>La</strong> Rete Ecologica <strong>Natura</strong> 2000<br />

di Enrico Calvario SIC<br />

<strong>La</strong> Rete <strong>Natura</strong> 2000 è un sistema europeo coordinato e coerente di<br />

aree (Siti di Interesse Comunitario – SIC e Zone di Protezione Speciale<br />

– ZPS) che devono essere adeguatamente tutelate dagli Stati<br />

membri <strong>del</strong>l’Unione Europea, per conservare una serie di habitat e di<br />

specie animali e vegetali indicate negli allegati <strong>del</strong>la Direttiva 92/43/CEE<br />

“Habitat” e <strong>del</strong>la Direttiva 79/409/CEE “Uccelli” (sostituita dalla Direttiva<br />

2009/147/CE). Le due direttive non solo hanno colto l’importanza di<br />

tutelare gli habitat per proteggere le specie, recependo in pieno i principi<br />

<strong>del</strong>l’ecologia che vedono le specie animali e vegetali strettamente connesse<br />

con le componenti biotiche e abiotiche che le circondano ma, per la prima<br />

volta, hanno dato rilevanza agli habitat “seminaturali”, la cui presenza<br />

e conservazione dipendono strettamente dalle attività umane “sostenibili”<br />

che in essi si svolgono.<br />

Per assicurare il mantenimento di uno stato di conservazione soddisfacente<br />

degli habitat e <strong>del</strong>le specie di flora e fauna di importanza comunitaria,<br />

che sono stati alla base <strong>del</strong>la designazione dei Siti <strong>Natura</strong> 2000, la Direttiva<br />

individua sostanzialmente i seguenti strumenti:<br />

• la definizione di misure di conservazione;<br />

• l’attuazione <strong>del</strong>la procedura di valutazione d’incidenza per tutti i piani<br />

ed i progetti che insistono all’interno dei siti <strong>Natura</strong> 2000 o che, anche se<br />

esterni, possono produrre effetti che si ripercuotono all’interno dei siti;<br />

• la conduzione <strong>del</strong>le attività di monitoraggio;<br />

• L’individuazione dei Siti <strong>Natura</strong> 2000 comporta l’impegno da parte <strong>del</strong>la<br />

Regione <strong>del</strong> mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente degli<br />

16<br />

17<br />

SIC<br />

VALLE AVANZANA<br />

FUSCELLO<br />

LEGENDA<br />

Siti di Interesse Comunitario<br />

Zona di Protezione Speciale<br />

MONTE<br />

FAUSOLA<br />

SIC<br />

RIO FUGGIO<br />

ZPS<br />

MONTI REATINI<br />

SIC<br />

VALLONINA<br />

SIC<br />

MONTE TERMINILLO


habitat e <strong>del</strong>le specie per cui essi sono stati individuati,<br />

nonché il ripristino di ambienti compromessi.<br />

Nel <strong>La</strong>zio la Valutazione di incidenza va<br />

effettuata tenendo conto <strong>del</strong>le Linee Guida emanate<br />

dalla Regione con DGR 64/2010, pubblicata<br />

nel supplemento n°38 al BURL <strong>del</strong> 27/02/2010,<br />

con le quali vengono definiti in modo chiaro gli<br />

elaborati tecnici da produrre e le modalità di attivazione<br />

<strong>del</strong>la procedura.<br />

Per quanto riguarda le Misure di Conservazione,<br />

il Ministero <strong>del</strong>l’<strong>Ambiente</strong> ha emanato il Decreto<br />

<strong>del</strong> 17 ottobre 2007, recante “Criteri minimi per<br />

la definizione di misure di conservazione relative<br />

a Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e a Zone<br />

di Protezione Speciale (ZPS)”, pubblicato sulla<br />

Gazzetta Ufficiale n. 258 <strong>del</strong> 6 novembre 2007,<br />

che individua una serie di obblighi, divieti ed<br />

azioni wda incentivare all’interno dei siti <strong>Natura</strong><br />

2000; esso è stato adottato anche per replicare alla<br />

Procedura di Infrazione comunitaria 2131/2006,<br />

ove si eccepiscono evidenti carenze di misure di<br />

protezione nei confronti <strong>del</strong>le Zone di Protezione<br />

Speciale presenti sul territorio nazionale.<br />

<strong>La</strong> Regione <strong>La</strong>zio ha provveduto all’adeguamento<br />

<strong>del</strong>la propria normativa al citato DM 17 ottobre<br />

2007, emanando la DGR 363/2008, successivamente<br />

modificata con DGR 928/2008 ed entrambe<br />

sostituite dalla DGR n° 612 <strong>del</strong> 16 dicembre<br />

2011 denominata “Rete Europea <strong>Natura</strong> 2000:<br />

misure di conservazione da applicarsi nelle Zone<br />

di protezione Speciale e nelle Zone Speciali<br />

di Conservazione”. Infine per quanto riguarda il<br />

Monitoraggio, <strong>La</strong> Regione <strong>La</strong>zio, per adempiere<br />

all’obbligo normativo previsto dalla Direttiva Habitat,<br />

si è dotata di una Rete Regionale di Monitoraggio<br />

(DGR n. 497 <strong>del</strong> 3/07/2007) che consiste<br />

in una vera e propria rete diffusa sul territorio<br />

regionale organizzata in un Centro Regionale<br />

(“Focal Point”), alcuni centri tematici (“Topic<br />

Center”) e una rete capillare di laboratori territoriali<br />

(ubicati presso le Aree Protette regionali). <strong>La</strong><br />

gestione operativa <strong>del</strong> Focal Point è affidata all’Agenzia<br />

Regionale Parchi. L’ARP, con la Direzione<br />

Regionale <strong>Ambiente</strong> e con l’Osservatorio per la<br />

<strong>Biodiversità</strong> <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio, dovrà mettere a punto l’architettura<br />

relativa alle banche dati, agli standard<br />

e a tutti gli aspetti tecnico scientifici <strong>del</strong>le attività<br />

di monitoraggio. I Monti Reatini fanno parte<br />

<strong>del</strong>la Rete <strong>Natura</strong> 2000, essendo stati designati come<br />

ZPS “Monti Reatini”, al cui interno sono stati<br />

individuati ben cinque SIC: Vallone <strong>del</strong> Rio Fuggio,<br />

Gruppo <strong>del</strong> Monte <strong>Terminillo</strong>,Valle Avanzana–Fuscello,<br />

Monte Fausola, Bosco Vallonina.<br />

Questo sistema di aree è un riconoscimento al<br />

valore “monumentale” <strong>del</strong>la biodiversità <strong>del</strong>le<br />

montagne reatine, anche da considerare come<br />

una straordinaria opportunità di studio e promozione<br />

turistica.<br />

18<br />

19<br />

Il moscardino è un gliride<br />

stabilmente presente sui<br />

Monti Reatini.<br />

<strong>La</strong> Peonia<br />

Paeonia officinalis è una<br />

specie floristica localizzata<br />

nei versanti erbosi occidentali<br />

dei Monti Reatini.


<strong>La</strong> cascata di Malopasso<br />

nella Valle Scura.<br />

20<br />

21<br />

Il Monte <strong>Terminillo</strong> visto<br />

dalle sponde <strong>del</strong> <strong>La</strong>go di<br />

Ventina al confine tra<br />

<strong>La</strong>zio e Umbria.


Monti Reatini<br />

ZPS IT6020005<br />

Comuni: Morro Reatino,<br />

Rivodutri, Poggio<br />

Bustone, Cantalice, Castel<br />

Sant’Angelo, Borgo Velino,<br />

Micigliano, Leonessa, Posta,<br />

Rieti<br />

Estensione: 24.446,00 ha.<br />

Monti Reatini Valle Avanzana-Fuscello<br />

Questo comprensorio montano ospita comunità vegetali e animali tipiche<br />

<strong>del</strong>la regione appenninica. Numerose le specie animali a elevato valore zoogeografico<br />

e le specie vegetali endemiche <strong>del</strong>l’Appennino centrale; presenti<br />

anche 12 habitat di interesse comunitario, fra cui 5 prioritari. Gli habitat<br />

maggiormente rappresentati sono costituiti da “Faggeti degli Appennini<br />

a Taxus e Ilex” e “Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine”, estesi<br />

secondo il Formulario Standard rispettivamente sul 25% e sul 14% <strong>del</strong>la<br />

superficie <strong>del</strong>la ZPS. L’ambiente naturale è di tipo altomontano, con faggete<br />

di quota e forme di vegetazione al di sopra <strong>del</strong> limite dei boschi. Di notevole<br />

valenza botanica sono le praterie submontane, quelle subalpine e la<br />

vegetazione <strong>del</strong>le rupi e dei brecciai. <strong>La</strong> composizione floristica rivela una<br />

notevole diversificazione e ricchezza, con una elevata residualità e relittualità.<br />

Presente la specie floristica di interesse comunitario bivonea di Savi<br />

Jonopsidium savianum.<br />

I monti Reatini ospitano due specie di anfibi di interesse comunitario, la<br />

salamadrina dagli occhiali e l’ululone dal ventre giallo appenninico, e una<br />

popolazione estremamente localizzata di Vipera di Orsini. Presente anche<br />

il lepidottero Euphydrias aurinia. Di notevole interesse sono i mammiferi<br />

di medie e grandi dimensioni, tra cui un nucleo stabile di lupo e alcune<br />

segnalazioni recenti di orso bruno. Rilevante il numero di specie ornitiche.<br />

Sul gruppo montuoso vi sono 2 coppie nidificanti di aquila reale, alcune<br />

decine di coppie di coturnice e di gracchio corallino, e infine 3-4 coppie<br />

di falco pellegrino. Nelle faggete d’alto fusto vi sono due specie d’interesse<br />

legate alle comunità degli alberi vetusti, come la balia dal collare e il picchio<br />

dorsobianco. Nidificano inoltre il biancone, la tottavilla, l’averla piccola e il<br />

calandro.<br />

22<br />

23<br />

Valle Avanzana-Fuscello<br />

SIC IT6020004<br />

Comuni: Morro Reatino,<br />

Rivodutri, Leonessa,<br />

<strong>La</strong>bro.<br />

Estensione: 1151,3 ha<br />

<strong>La</strong> Valle Avanzana - Fuscello prende origine dai versanti montuosi di<br />

Monte Tilia e Collelungo e <strong>del</strong>imita la parte nord-occidentale dei Monti<br />

Reatini.<br />

Si tratta di una valle situata al confine con l’Umbria che si sviluppa da quota<br />

1100 a quota 600 m s.l.m., interamente ricoperta di formazioni forestali<br />

montane e submontane, dalle faggete ai boschi di roverella. Nel torrente di<br />

fondovalle, fosso di Leonessa, lo scorrimento idrico superficiale, a causa<br />

<strong>del</strong>le captazioni <strong>del</strong>le sorgenti, è discontinuo ed irregolare e si mantiene<br />

più o meno permanente soltanto nella parte alta <strong>del</strong>la valle, lungo il rio<br />

Fuscello. A quote elevate è presente una faggeta che verso valle rimane<br />

solo a ridosso <strong>del</strong>l’alveo. I versanti <strong>del</strong>la media valle sono occupati da una<br />

foresta mista costituita da aceri, carpini neri e, subordinatamente cerri. Il<br />

fondo valle e alcune vallecole laterali ospitano una cospicua popolazione<br />

di salamandrina dagli occhiali e alcuni nuclei di ululone a ventre giallo,<br />

tra le specie faunistiche di Direttiva. Le scarpate rocciose che bordano<br />

i versanti <strong>del</strong>la valle sono occupati da una coppia nidificante di falco<br />

pellegrino. Un problema ambientale che presenta la valle è la quasi totale<br />

assenza <strong>del</strong>lo scorrimento idrico superficiale, se non nella parte alta di<br />

Fuscello, a seguito <strong>del</strong>la captazione quasi integrali <strong>del</strong>le sorgenti. Infatti<br />

il torrente Avanzana ha un regime torrentizio molto pronunciato, nei<br />

mesi di maggiore piovosità e scioglimento <strong>del</strong>le nevi ha una portata che<br />

consente la riproduzione di alcune specie di anfibi ma nel resto <strong>del</strong>l’anno<br />

resta asciutto, sfocia nel lago di Piediluco. <strong>La</strong> valle Avanzana nei secoli ha<br />

rappresentato un passaggio importante sia come corridoio faunistico che<br />

per la transumanza <strong>del</strong>le greggi, un collegamento tra le montagne umbre<br />

e la pianura reatina certamente utilizzato anche da carovane e pellegrini.


Vallone <strong>del</strong> Rio Fuggio<br />

SIC IT6020006<br />

Comuni: Leonessa.<br />

Estensione: 292,9 ha<br />

Vallone <strong>del</strong> Rio Fuggio Gruppo Monte <strong>Terminillo</strong><br />

Il Vallone <strong>del</strong> Rio Fuggio corrisponde al bacino idrografico <strong>del</strong> fosso omonimo,<br />

un affluente in riva sinistra <strong>del</strong> fosso Tascino di Leonessa. Il sito è<br />

situato ad una altezza media di 1298 m s.l.m. ed è ricoperto per buona parte<br />

da faggete ad alto fusto. Le faggete a tasso che ricoprono i versanti <strong>del</strong>la<br />

stretta valle, rappresentano una vegetazione montana relitta, sviluppatasi<br />

nel corso <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> Terziario, ridotta progressivamente dalle crisi glaciali<br />

quaternarie. Lungo il vallone <strong>del</strong> Rio Fuggio, sul fondo <strong>del</strong>la stretta<br />

valle, si rinvengono anche dei nuclei di foresta mista, da riferire all’habitat<br />

prioritario <strong>del</strong>le “Foreste di versanti, ghiaioni e valloni <strong>del</strong> Tilio-Acerion”.<br />

Lungo la valle, in corrispondenza <strong>del</strong>le confluenze di piccoli rii laterali alla<br />

valle principale, è presente l’habitat prioritario denominato “Sorgenti pietrificanti<br />

con formazioni di travertino”. Sono inoltre presenti altri 3 habitat<br />

di interesse comunitario, quali “Faggeti degli Appennini a Taxus e Ilex” ,<br />

“Pareti rocciose calcaree con vegetazione casmofitica” e “Bordure planiziali<br />

montane e alpine di megaforbie idrofile”. Tra le specie <strong>del</strong>la Direttiva<br />

segnalate nel sito vi sono la balia dal collare, nidificante nella faggeta, e la<br />

tottavilla, un alaudide presente nelle radure di quota. Il Piano di Gestione<br />

ha evidenziato la necessità di migliorare l’utilizzo <strong>del</strong>le risorse idriche, evitando<br />

ulteriori captazioni e cementificazioni <strong>del</strong>le rive e <strong>del</strong>l’alveo, prevedendo,<br />

inoltre, un regime speciale di protezione che escluda tutti gli<br />

interventi di taglio forestale e di trasformazione territoriale che possano<br />

provocare l’alterazione <strong>del</strong>le condizioni di efficienza <strong>del</strong> flusso <strong>del</strong>le sorgenti.<br />

Risulta inoltre necessario prevedere un’adeguata regolamentazione<br />

<strong>del</strong> transito carrabile. <strong>La</strong> risalita di questa valle conduce nei vasti prati in<br />

quota verso i monti Tilia e Corno.<br />

24<br />

25<br />

Gruppo Monte <strong>Terminillo</strong><br />

SIC IT20007<br />

Comuni: Leonessa,<br />

Cantalice, Micigliano.<br />

Estensione: 3185,7 ha<br />

Il sito include tutte le principali cime <strong>del</strong> gruppo <strong>del</strong> monte <strong>Terminillo</strong>.<br />

Sono presenti molti degli habitat degli orizzonti montano superiore, subalpino<br />

ed alpino, tipici <strong>del</strong>la regione appenninica: faggete, cespuglieti e<br />

praterie d’altitudine, ghiaioni e brecciai. Nell’alternarsi <strong>del</strong>le diverse morfologie,<br />

si rinvengono alcune tra le cenosi vegetali più tipiche e peculiari<br />

<strong>del</strong>l’Appennino centrale come le brughiere altomontane, corrispondenti<br />

all’habitat di interesse comunitario <strong>del</strong>le “<strong>La</strong>nde alpine e boreali” con popolamenti<br />

di mirtillo nero, che nel comprensorio si trova al limite meridionale<br />

<strong>del</strong> suo areale. Le praterie subalpine, corrispondenti agli habitat<br />

<strong>del</strong>le “Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine”, <strong>del</strong>le “Formazioni<br />

erbose a Nardus, ricche di specie, su substrato siliceo <strong>del</strong>le zone montane”,<br />

e le comunità vegetali colonizzatrici dei brecciai e dei liscioni calcarei che<br />

caratterizzano gli habitat dei “Ghiaioni calcarei e scisto-calcarei montani<br />

ed alpini (Thlaspietea rotundifolii)” e dei “Pavimenti calcarei”. Il sito è l’unico<br />

<strong>del</strong> comprensorio montano dove sono distribuite le formazioni arbustive<br />

a ginepro nano, una specie rara al limite meridionale <strong>del</strong> suo areale.<br />

Ai limiti superiori <strong>del</strong>la faggeta è segnalata la presenza di popolazioni di<br />

betulla, specie assai rara nel <strong>La</strong>zio. Per quel che riguarda le specie faunistiche<br />

di Direttiva, nel sito sono segnalate le principali aree di alimentazione<br />

e di riproduzione <strong>del</strong> calandro, <strong>del</strong> gracchio corallino, <strong>del</strong>la coturnice e<br />

l’unico nucleo presente nel comprensorio di fringuello alpino. Nell’area<br />

è inoltre presente una coppia di aquila reale. Segnalata anche la Vipera<br />

di Orsini, un serpente di piccole dimensioni, dalle abitudine schive, che<br />

si alimenta di cavallette montane. Questa è la parte sommitale dei monti<br />

Reatini che comprende la vetta principale e la cresta Sassetelli che rappresentano<br />

uno dei paesaggi più suggestivi e di carattere realmente montano.


Monte Fausola<br />

SIC IT20008<br />

Comuni: Rivodutri<br />

Estensione: 143,2 ha<br />

Monte Fausola Bosco Vallonina<br />

Situato nel comune di Rivodutri, il sito è localizzato nel settore nordoccidentale<br />

dei monti Reatini e include versanti e la parte sommitale di<br />

monte Fausola. Il paesaggio <strong>del</strong> monte Fausola, che raggiunge i 1325 m<br />

s.l.m., è caratterizzato da praterie montane ricche di specie endemiche. Da<br />

segnalare la presenza di “Formazioni erbose secche seminaturali e facies<br />

coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia)(*notevole<br />

fioritura di orchidee)”, habitat di importanza prioritario esteso sull’80%<br />

<strong>del</strong>la superficie. È altresì presente il Jonopsidium savianum, una crucifera<br />

anche nota come bivonea di Savi, in genere considerata rara, sebbene negli<br />

ultimi anni sia stata segnalata in nuove località. Sarebbe infatti necessaria<br />

una gestione controllata <strong>del</strong> pascolo per evitare sia l’eccesso di pascolamento,<br />

sia l’abbandono totale <strong>del</strong>le attività pastorali. <strong>La</strong> specie vegeta prevalentemente<br />

in aree a morfologia dolce, poco inclinate e subpianeggianti,<br />

nelle radure boschive su suolo acido dai 300 ai 1300 m s.l.m. Si tratta di<br />

un paleoendemismo relitto, molto raro e localizzato, con areale limitato a<br />

poche stazioni distribuite nell’Appennino Umbro-<strong>La</strong>ziale e in Toscana. Le<br />

principali cause di minaccia per questa entità risultano essere l’evoluzione<br />

<strong>del</strong>la vegetazione rappresentata dall’espansione <strong>del</strong>la macchia che colonizza<br />

le praterie dove vive la specie, e la presenza di cinghiali che distruggono<br />

continuamente le radure dove la specie è preferenzialmente presente. Sulla<br />

strada, dal paesino di Cepparo verso Monte Fausola si trova il Faggio di<br />

San Francesco, un esemplare monumentale di Fagus sylvatica dall’età di<br />

circa 250 anni. <strong>La</strong> leggenda narra che la rarissima conformazione ad ombrello<br />

sia stata assunta, miracolosamente, per proteggere il Santo da un<br />

temporale, in realtà si tratta di una mutazione genetica.<br />

26<br />

27<br />

Bosco Vallonina<br />

SIC IT6020009<br />

Comuni: Leonessa.<br />

Estensione: 1125,3 ha<br />

Situato a un’altezza media di 1471 m s.l.m., il sito include l’intera valle <strong>del</strong>la<br />

Meta e gran parte <strong>del</strong>la Vallonina, nonché l’alta valle <strong>del</strong> fosso Tascino di<br />

Leonessa. I boschi di faggio rappresentano la tipologia vegetazionale più<br />

frequente nell’area, rivestendo quasi ininterrottamente le pendici dei monti<br />

tra i 1000 e i 1900 m circa. Alle quote più elevate si rinvengono prevalentemente<br />

faggete pure, accompagnate sporadicamente da aceri, sorbi e salici.<br />

In alcune località la faggeta si arricchisce anche di tasso e di agrifoglio, costituendo<br />

l’habitat prioritario “Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex”. Il<br />

tasso è presente soprattutto sugli affioramenti di roccia calcarea <strong>del</strong>le pareti<br />

<strong>del</strong>le forre, in stazioni generalmente più umide, ombreggiate e con scarse<br />

oscillazioni termiche. I nuclei di megaforbie idrofile, caratterizzanti l’habitat<br />

<strong>del</strong>le “Bordure planiziali montane e alpine di megaforbie idrofile” si<br />

rinvengono nella fascia <strong>del</strong>la faggeta in prossimità di corsi d’acqua, nelle<br />

radure e sui margini <strong>del</strong> bosco. È inoltre presente l’habitat “Fiumi alpini<br />

con vegetazione riparia legnosa di Salix eleagnos”. Tra le specie faunistiche,<br />

il lupo è presente nell’area <strong>del</strong>la Vallonina in buona parte <strong>del</strong>l’anno. Tra le<br />

specie ornitiche nidificanti, oltre alla balia dal collare, sono state recentemente<br />

segnalate tre ulteriori specie di interesse comunitario. Si tratta di un<br />

picide, il picchio dorsobianco, e due passeriformi, il gracchio corallino e<br />

la tottavilla. <strong>La</strong> captazione <strong>del</strong>le sorgenti <strong>del</strong> fosso di Tascino di Leonessa<br />

e gli interventi idraulici di risistemazione in alveo hanno distrutto parte<br />

<strong>del</strong>la fascia di salici preesistente. Sarebbe inoltre necessario mantenere la<br />

massima varietà di situazioni qualitative <strong>del</strong> legno morto in quanto questi<br />

elementi forniscono sia cavità disponibili per la nidificazione <strong>del</strong>la balia<br />

dal collare e <strong>del</strong> picchio dorsobianco sia il substrato alle comunità animali<br />

saproxiliche di cui queste due specie si alimentano.


Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto,<br />

l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato,<br />

vi accorgerete che non si può mangiare<br />

il denaro.<br />

Anonimo<br />

28<br />

29


A Roma, dalle alture <strong>del</strong><br />

Gianicolo, nelle giornate<br />

con vento di tramontana è<br />

possibile ammirare il profilo<br />

<strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> al fianco <strong>del</strong><br />

Cupolone.<br />

Geografie e paesaggi<br />

di Giancarlo Cammerini<br />

Quando si parla dei Monti Reatini si ha sempre un piccolo disagio<br />

a non riuscire comunicare con completezza a quali montagne ci<br />

si riferisce, tanto la loro conoscenza è legata alla sua vetta più alta<br />

e famosa, il monte <strong>Terminillo</strong>. In effetti, le vette, pur rappresentando una<br />

sintesi orografica, quasi mai ci offrono la complessità <strong>del</strong>le montagne di<br />

cui sono il punto culminante.<br />

Così è anche per i Monti Reatini, dove i paesaggi talvolta nascondono una<br />

geografia articolata, a volte sorprendente che, anche nell’era <strong>del</strong>la cartografia<br />

satellitare, può riservare piacevoli sorprese al viaggiatore curioso.<br />

Infatti, se la percezione <strong>del</strong> paesaggio <strong>del</strong>le montagne reatine normalmente<br />

lo fa apparire come familiare, domestico, tanto siamo abituati a osservarlo<br />

velocemente tra le strade che lo attraversano, così non è per la visione geografica<br />

che ha sempre bisogno di uno sforzo per conquistare una conoscenza<br />

più approfondita, per scoprire il Genius Loci che inevitabilmente si<br />

nasconde tra l’evoluzione storica e la natura dei luoghi.<br />

Così, se l’immagine paesaggistica <strong>del</strong> Mons Tetricus appare già nelle fonti<br />

classiche, la sua rappresentazione cartografica ha il proprio battesimo in<br />

una pergamena <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> XIII secolo (anche se con rappresentazioni<br />

fantasiose), con caratteristiche che in seguito saranno una costante anche<br />

nelle definite carte <strong>del</strong> XVIII e XIX sec. Queste caratteristiche mostrano<br />

il gruppo dei Monti Reatini come una serie di aspri pinnacoli, isolati e<br />

rivolti verso sud, verso la Capitale, orientati verso il paesaggio visivo che<br />

s’incrocia percorrendo la via consolare Salaria. Ancora oggi, percorrendo<br />

l’antica Via <strong>del</strong> Sale, già dalle colline <strong>del</strong>la Sabina il <strong>Terminillo</strong> appare<br />

30<br />

31


imponente rispetto a tutte le altre alture vicine.<br />

Così la visione da sud dei tre “coni” di Terminilletto,<br />

Terminilluccio e <strong>Terminillo</strong> nel corso<br />

dei secoli ha fissato l’icona geografica e mentale<br />

di tutto il gruppo montuoso. Un’immagine<br />

cuneiforme che in antichità ha fatto pensare a<br />

un vulcano spento: in realtà non è così, infatti, è<br />

sufficiente girargli intorno per scoprire i versanti<br />

a nord-est e capire immediatamente che la loro<br />

conformazione è quella tipica dei massicci calcarei<br />

<strong>del</strong>l’Appennino.<br />

<strong>La</strong> vetta <strong>del</strong> Monte <strong>Terminillo</strong> è alta 2.217 m.s.l.m.,<br />

questa quota, rilevata recentemente dalle apparecchiature<br />

satellitari <strong>del</strong>la Facoltà d’Ingegneria<br />

<strong>del</strong>l’Università <strong>La</strong> Sapienza, è stata misurata in un<br />

punto poco più a nord rispetto alla storica vetta<br />

dove ancora oggi è ubicata la colonnina <strong>del</strong>l’Istituto<br />

Geografico Militare. Ecco dalla vetta, e dalle circostanti<br />

alture l’orizzonte è sempre quello di altri<br />

gruppi montuosi, alcuni più imponenti, altri che<br />

degradano verso la pianura e il mare.<br />

A nord, dal sistema montuoso umbro si stagliano<br />

i monti Sibillini fino a giungere nelle marche<br />

con il M.te Vettore 2.476 m.s.l.m. Il fiume Tronto<br />

segna lo spartiacque dal quale s’innalzano le<br />

montagne abruzzesi che rappresentano certamente<br />

l’orografia più rappresentativa degli Appennini.<br />

I Monti <strong>del</strong>la <strong>La</strong>ga (M.te Gorzano 2.458<br />

m.s.l.m.) aprono il panorama che tuttavia è rimpicciolito<br />

dalla vicinanza <strong>del</strong> Gran Sasso (Corno<br />

Grande 2.912 m.s.l.m.), la più alta <strong>del</strong>le vette degli<br />

Appennini. Poi lo sguardo si sposta verso le<br />

montagne <strong>del</strong> Velino-Sirente (M.te Velino 2.487<br />

m.s.l.m.). A sud-ovest si apre la grande pianura<br />

reatina contornata dai monti Sabini che degradano<br />

nel sistema collinare <strong>del</strong>la Sabina fino alla<br />

pianura fluviale <strong>del</strong> Tevere. Questi gruppi montuosi<br />

hanno altezze e uno sviluppo orografico<br />

molto ampio, fanno da quinta teatrale alle montagne<br />

più vicine ai Monti Reatini, nella provincia<br />

di Rieti. Sempre partendo da nord abbiamo<br />

monte Pozzoni (1.903 m.s.l.m.) dalle cui pendici<br />

nasce il fiume Velino, poi a est monte Giano<br />

(1.820 m.s.l.m.) che con i suoi scoscesi versanti<br />

da origine alle gole di Antrodoco; al fianco si ergono<br />

il monte Nuria (1.888 m.s.l.m.) e il sistema<br />

montuoso <strong>del</strong> Cicolano che si estende fino<br />

alle montagne <strong>del</strong>la Duchessa. A sud troviamo i<br />

gruppi montuosi che circondano le valli dei fiumi<br />

Salto e Turano, prima con i rilievi di monte<br />

Cervia e Navegna (1.508 m.s.l.m.), più a sud con<br />

i monti Lucretili (M.te Pellecchia 1.368 m.s.l.m.).<br />

A sud-ovest si apre la pianura reatina, attraversata<br />

dal fiume Velino, stretta tra i rilievi dei monti<br />

Sabini (M.te Tancia 1.292 m.s.l.m.) e i Monti Reatini<br />

per questo può essere anche definita come<br />

conca intramontana.<br />

Il gruppo dei Monti Reatini ha un’estensione ben<br />

circoscritta: i crinali, le valli, gli spartiacque definiscono<br />

nei dettagli la sua forma ed è possibile<br />

32<br />

33<br />

Versante Nord-est dei Monti Reatini in estate<br />

Versante sud Monti dei Reatini in inverno


Le caratteristiche climatiche dei Monti Reatini sono spiegate dalla posizione geografica “aperta” verso il Tirreno e pertanto esposta<br />

agli influssi dei venti caldo-umidi provenienti dai quadranti occidentali che incontrandosi con le minori temperature determinano<br />

copiose precipitazioni. Il rigoglio <strong>del</strong>la vegetazione ne è una conseguenza. Nella foto il Terminilletto visto dalla cresta Sassetelli.<br />

34<br />

35<br />

<strong>La</strong> parete est <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> ricoperta da una copiosa nevicata dalla colorazione marrone. Tali eventi sono dovuti all’influsso dei venti<br />

caldo-umidi provenienti da sud-ovest, normalmente dal nord Africa, che hanno caricato di sabbia e polvere le formazioni nuvolose<br />

che successivamente si spostano a grande velocità verso nord.


compiere il periplo attraverso strade asfaltate in<br />

meno di cento chilometri. Da Rieti, si risale la<br />

valle <strong>del</strong> fiume Velino fino ad Antrodoco, poi le<br />

gole omonime dominanti a est, da monte Giano<br />

fino al paese di Posta, quindi ci si orienta ad ovest<br />

percorrendo la strada che, attraverso il paese di<br />

Albaneto, giunge a Leonessa. Da qui si gira nuovamente<br />

a sud verso la Forca <strong>del</strong> Fuscello, poi la<br />

strada costeggia i versanti fino a scoprire di nuovo<br />

il panorama <strong>del</strong>la pianura reatina per tornare<br />

al punto di partenza, Rieti.<br />

Riprendendo il percorso in senso antiorario troviamo<br />

le principali valli, articolate su un profilo<br />

altimetrico che va dalla base <strong>del</strong>la montagna<br />

(500-1000 metri) fino alle aree sommitali: sono<br />

il Vallone di Lisciano, Valle Ravara, Valle Scura,<br />

Vallonina e la Valle di Cantalice. Da queste è possibile<br />

risalire la montagna fino alle vette maggiori,<br />

incontrando le diramazioni di altre valli boscose<br />

e circhi glaciali, creste, pratoni scoscesi, pascoli<br />

in uno scenario paesaggistico di rilievo che, pur<br />

nella limitatezza spaziale <strong>del</strong> gruppo montuoso,<br />

riesce a offrire una bella articolazione di scenari<br />

di montagna.<br />

Le vette che superano i 2.000 metri sono individuate<br />

nel <strong>Terminillo</strong> e la Cresta Sassetelli<br />

(2.217 m.s.l.m.), il M.te Elefante (2.015 m.s.l.m.)<br />

con la cresta dei M.ti Valloni e il M.te Cambio<br />

(2.081 m.s.l.m.) che si prolunga con una cresta<br />

su M.teCatabio fino alla pianura di Leonessa. Le<br />

dorsali e le creste sommitali descrivono i perimetri<br />

<strong>del</strong>le valli in quota che sono uno degli elementi<br />

più interessanti <strong>del</strong>la geografia, in particolare<br />

la Cresta Sassetelli che separa la Valle <strong>del</strong>la Meta<br />

dalla Valle degli Angeli, e tra <strong>Terminillo</strong> e Terminilletto<br />

la valle <strong>del</strong>l’Inferno, sopra Leonessa la<br />

vall’Organo e numerose altre valli I crocus meno dipingoconosciute, nascoste dai i boschi e dalla<br />

no<br />

morfologia<br />

di viola i prati<br />

e<br />

<strong>del</strong>la primavera<br />

forse per questo più attraenti da visitare.<br />

Tutte le altre cime non superano gli 1.800 metri,<br />

le più importanti sono Colle Leprino (1.746<br />

m.s.l.m.), Cima d’Arme (1.678 m.s.l.m.) che insieme<br />

a Monte Rosato <strong>del</strong>imitano il versante<br />

ovest, poi il settore leonessano con monte Corno<br />

e Tilia (1.775 m.s.l.m.) e quello <strong>del</strong>la valle <strong>del</strong> Velino<br />

con Cimata di Castello e Colle <strong>del</strong>le Porrare<br />

(1.603 m.s.l.m.). Tutte queste cime sono intervallate<br />

da valichi e passi montani alcuni dei quali<br />

sono una chiave fondamentale per capire la geografia<br />

dei Monti Reatini. Certamente il più famoso<br />

di questi è il passo di Sella di Leonessa (1.900<br />

m.s.l.m.), oggi percorribile in estate da una comoda<br />

strada panoramica, collega i due versanti<br />

nell’asse sud-nord, la città di Rieti con il paese di<br />

Leonessa. Questa strada (da Rieti S.S. bis Salaria)<br />

ha facilitato l’accesso in quota e al fianco <strong>del</strong>la<br />

quale sono nate le stazioni turistiche di Pian dé<br />

Valli e Campoforogna. Un altro valico strategico<br />

per capire la geografia dei Monti Reatini, ma anche<br />

la storia, è il Passo <strong>La</strong> Fara, tra i comuni di<br />

36<br />

37<br />

<strong>La</strong> città di Rieti si trova alla base dei Monti Reatini sulla pianura reatina. Dal binomio pianura- montagna e acque-boschi deriva la<br />

bellezza e la biodiversità di questo territorio.


Le rocce calcaree sono sottoposte ad una costante erosione sia ad opera degli agenti atmosferici che per l’accentuato fenomeno <strong>del</strong><br />

carsismo che opera la dissoluzione <strong>del</strong> carbonato di calcio.<br />

38<br />

39<br />

I Monti Reatini comprendono anche una rilevante geodiversità. Da Sella di Leonessa si trovano le imponenti megabrecce, ad elementi<br />

di Calcare Massiccio (sulla sinistra <strong>del</strong>la foto), presenti all’interno <strong>del</strong>la formazione <strong>del</strong>la Corniola. Questa formazione denominata<br />

Megabrecce nella Corniola è uno dei geositi individuati dalla Regione <strong>La</strong>zio nel territorio <strong>del</strong> Montepiano Reatino.


Versante nord di Valle Scura con la spaccatura <strong>del</strong> Fosso dei Cavalli, sovrastati da Monte di Cambio e Monte Iazzo .<br />

Questa è una <strong>del</strong>le aree meglio conservate <strong>del</strong> comprensorio montano.<br />

40<br />

41<br />

Leonessa e Poggio Bustone-Cantalice-Rivodutri,<br />

infatti fin dal medioevo è stato uno dei passaggi<br />

che collegavano l’Umbria con la pianura reatina.<br />

Certamente vi ha camminato San Francesco e<br />

oggi sono ancora visibili le tracce di quel passato<br />

medievale, in seguito è diventata linea di confine<br />

tra Stato Pontificio e Regno <strong>del</strong>le Due Sicilie.<br />

<strong>La</strong> geografia dei luoghi ha comunemente il destino<br />

che le rocce e la loro formazione gli hanno<br />

assegnato. Nel massiccio <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>, analogamente<br />

a quanto accade in gran parte <strong>del</strong>l’Appennino,<br />

le rocce sono di origine sedimentaria.<br />

<strong>La</strong> dorsale montuosa dei Monti Reatini è racchiusa<br />

tra due ampie depressioni, che molti sostengono<br />

essere, tuttora in lento abbassamento: il bacino<br />

di Rieti e quello di Leonessa, originatisi tra il<br />

Pleistocene e l’Olocene durante una fase tettonica<br />

distensiva. Le formazioni rocciose più antiche <strong>del</strong><br />

gruppo montuoso sono costituite da calcari massicci<br />

e da successioni calcaree e calcareo-dolomitiche<br />

di piattaforma carbonatica sub-tropicale, intensamente<br />

tagliate da faglie e tra loro accavallate.<br />

Stratigraficamente sovrastanti vi sono altre formazioni<br />

di natura calcarea e marnosa originatesi<br />

in un ambiente marino pelagico.<br />

Il mo<strong>del</strong>lamento <strong>del</strong> paesaggio è quello dovuto<br />

in parte alla presenza <strong>del</strong> ghiaccio ed è rilevabile<br />

in corrispondenza <strong>del</strong> massiccio <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>,<br />

dove sono ancora visibili i segni <strong>del</strong>l’ultima<br />

glaciazione, quella di Würm, risalente a 10.000<br />

anni fa. A quote più elevate sono evidenti i circhi<br />

glaciali e le piccole valli sospese; scendendo<br />

lungo il versante occidentale s’incontrano le Valli<br />

degli Angeli e <strong>del</strong>l’Inferno, mentre su quello settentrionale<br />

la Vall’Organo e la Valle <strong>del</strong>la Meta<br />

che presentano tutte una tipica conformazione<br />

a “U”, dovuta all’azione erosiva di lingue glaciali.<br />

A quote minori, dove lo scorrimento <strong>del</strong>le acque<br />

superficiali non ha rimo<strong>del</strong>lato completamente il<br />

paesaggio, è possibile rintracciare i resti <strong>del</strong>le antiche<br />

morene. Anche la Vallonina e la Valle Scura<br />

sono di origine glaciale, ma la loro forma attuale<br />

è stata fortemente condizionata dalla presenza di<br />

corsi d’acqua che, erodendo il fondo, hanno conferito<br />

loro un profilo a “V”. Altre forme presenti<br />

sono connesse per lo più all’erosione operata dallo<br />

scorrimento <strong>del</strong>le acque superficiali.<br />

Tuttavia se si vuole capire veramente la storia geologica<br />

di queste montagne bisogna andare nelle<br />

gole di Antrodoco, lì si trova un’importante struttura<br />

geologica <strong>del</strong>l’Appennino centrale: la linea di<br />

faglia “Ancona-Anzio”. Si tratta di una profonda<br />

frattura che divide gli appennini a metà, e che è<br />

alla base di alcune odierne differenze ambientali.<br />

Ad esempio l’area di monte Nuria fino alle montagne<br />

<strong>del</strong>la Duchessa, si è originata in un ambiente<br />

marino con acque basse, con clima subtropicale,<br />

con vaste aree di barriera corallina (Piattaforma<br />

Carbonatica) e oggi ci appare con successioni<br />

rocciose calcaree, che lasciano infiltrare gran par-


<strong>La</strong> vetta <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> non è più di 2216 metri come riporta la cartografia ufficiale. Infatti, nel 2006 il Prof. Mattia Crespi, <strong>del</strong>la<br />

Facoltà di Ingegneria <strong>del</strong>l’Università <strong>La</strong> Sapienza ha compiuto il rilevamento altimetrico <strong>del</strong>la montagna con la strumentazione<br />

satellitare. Il punto dove è collocato il segnale trigonometrico ha fornito quota 2215,41, vicina al 2.216 ufficiale. In quell’occasione fu<br />

verificata anche l’altezza <strong>del</strong>la vicina cima Nord, quella con la piramide di sassi, che risultò quota di 2217,13, di 1 metro più alta.<br />

Così, la vetta <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> oltre ad avere cambiato luogo e quota oggi si trova nel Comune di Leonessa.<br />

42<br />

43<br />

Due classiche panoramiche dal <strong>Terminillo</strong>, la catena dei Monti Sibillini, con la vetta Monte Vettore (2.476 metri) e in basso i Monti<br />

<strong>del</strong>la <strong>La</strong>ga con il Monte Gorzano (2.458 metri) la più alta vetta <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio. Questi gruppi montuosi appenninci confinano con la<br />

catena dei Monti Reatini.


te <strong>del</strong>l’acqua impedendo lo sviluppo di una coltre<br />

vegetale arborea diffusa e uniforme.<br />

In quest’area le rocce, per effetto <strong>del</strong> carsismo si<br />

sciolgono, e sviluppano inghiottitoi, grotte e lunghi<br />

reticoli carsici, per questo motivo la presenza<br />

di acquiferi sotterranei in quota è molto scarsa,<br />

mentre nel fondovalle c’è una straordinaria concentrazione<br />

di sorgenti, prima fra tutte quelle <strong>del</strong><br />

Peschiera. Questa sorgente, con una portata di<br />

circa 20.000 l/sec e che rifornisce di acque sorgive<br />

una metropoli come Roma, ha il suo bacino<br />

di alimentazione proprio dalle montagne che si<br />

estendono dal Cicolano fino alla Marsica.<br />

Per contro i Monti Reatini, pur essendo un massiccio<br />

sostanzialmente calcareo, presentano una<br />

maggiore diversità sedimentologica dovuta alla<br />

presenza di sabbie, marne, selce e argille. Questo<br />

si riflette in una minore permeabilità dei suoli e<br />

in una maggiore presenza di acqua in prossimità<br />

<strong>del</strong>la superficie che consente alla vegetazione di<br />

giungere a quote elevate. Per tali caratteristiche il<br />

massiccio dei Monti Reatini alimenta, oltre a falde<br />

sospese che danno origine a piccole sorgenti<br />

poste in alta quota contiene anche una potente<br />

ed estesa falda basale è una <strong>del</strong>le più ricche <strong>del</strong>la<br />

regione.<br />

Guardando la vegetazione è facile capire anche la<br />

geologia <strong>del</strong>la montagna. Ad esempio nelle valli<br />

dove l’erosione carsica drena le acque nel sottosuolo<br />

troviamo una vegetazione meno rigogliosa,<br />

certamente non arborea; mentre nei versanti con<br />

una stratigrafia meno permeabile si trovano le<br />

faggete, talvolta fino a quote considerevoli. Proprio<br />

in queste aree, le rocce calcaree sono inframezzate<br />

dalle marne pertanto hanno la capacità<br />

di sostenere acquiferi, dando origine a sorgenti<br />

puntuali, anche a quote elevate. Tra queste ultime,<br />

le più conosciute e frequentate sono quelle di Acquasanta,<br />

sotto la cresta Sassetelli, e di Capo Scura,<br />

nella valle Scura, rispettivamente a 1745 e 1490<br />

metri di quota. È soprattutto a quote meno elevate,<br />

in prossimità <strong>del</strong> paesaggio morfologico dal rilievo<br />

alla Piana Reatina e alla valle <strong>del</strong> Velino, che<br />

le acque emergono in una miriade di sorgenti la<br />

cui portata può arrivare anche a qualche migliaio<br />

di litri/secondo, come nel caso <strong>del</strong>la sorgente di<br />

Santa Susanna, in prossimità di Rivodutri.<br />

Infatti, sui Monti Reatini hanno sede due bacini<br />

idrografici che danno origine rispettivamente ai<br />

fiumi Corno e Velino entrambi appartenenti al<br />

bacino idrografico <strong>del</strong> fiume Tevere e tributari<br />

<strong>del</strong> fiume Nera. Il Corno, attraversa il paese di<br />

Leonessa, poi scorre verso la Valnerina in Umbria.<br />

Il fiume Velino invece circonda quasi completamente<br />

i Monti Reatini rappresentandone<br />

sia il confine geografico che il corridoio ecologico<br />

per i territori circostanti e insieme rappresentano<br />

l’elemento storico-geografico e ambientale<br />

più importante. <strong>La</strong> rete ecologica collega le aree<br />

umide <strong>del</strong>la pianura, al sistema collinare, alle<br />

44<br />

45<br />

Il versante nord <strong>del</strong>la cresta Sassetelli conserva le tracce più evidenti <strong>del</strong>l’erosione glaciale. In alto la parete nord <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>,<br />

in primo piano la morena residuale <strong>del</strong> ghiacciaio di epoca quaternaria risalente a circa 20.000 anni fa.


Nelle giornate particolarmente limpide, da Campoforogna è possibile vedere Roma e fino al mar<br />

Tirreno (la striscia chiara che attraversa l’immagine) proprio per l’assenza di montagne nel settore<br />

sud-ovest <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio<br />

aree di alta montagna, insieme conferiscono a tutto il comprensorio <strong>del</strong><br />

Montepiano Reatino un alto valore di biodiversità. <strong>La</strong> Valle <strong>del</strong> Velino e<br />

la Pianura Reatina raccolgono un sistema di acquiferi e di sorgenti straordinarie<br />

che insieme ai boschi rappresentano la principale alleanza naturale<br />

di questo territorio. <strong>La</strong> diffusione capillare <strong>del</strong>le acque ci regala una<br />

vegetazione rigogliosa anche nelle estati siccitose, il tutto si trasforma in<br />

virtù estetica che fa annoverare questo territorio tra i più belli e suggestivi<br />

paesaggi d’Italia, certamente meritevole di tutela e valorizzazione.<br />

Certo, alla formazione <strong>del</strong> paesaggio attuale hanno contribuito molti elementi,<br />

naturali e generati dalla storia <strong>del</strong>l’uomo, ma il vero volto di questi<br />

luoghi, il Genius loci dei Monti Reatini nonostante il passare dei secoli è<br />

rimasto lo stesso.<br />

Forse si può incontrare, osservando il massiccio da lontano, nel silenzio<br />

invernale <strong>del</strong>le valli in quota, percorrendo una <strong>del</strong>le creste da cui si scopre<br />

l’ampio panorama, arrampicandosi sulla gelida parete nord <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong><br />

o semplicemente percorrendo i tornanti <strong>del</strong>la strada statale che attraversa<br />

tutto il massiccio. Sì, forse l’immagine e la percezione non sono cambiate<br />

rispetto a 2000 anni fa, quando poco si sapeva di questa montagna.<br />

Così ancora oggi, nelle limpide giornate di tramontana, dal Gianicolo a<br />

Roma è possibile intravedere al fianco <strong>del</strong>la cupola di Michelangelo, all’orizzonte,<br />

il Monte <strong>Terminillo</strong>; e allora è facile capire che i Tetricae Horrentes<br />

rupes di Virgilio o i Gurgures alti montes narrati di Varrone non potevano<br />

non corrispondere a quel paesaggio oggi è impresso sui Monti Reatini.<br />

46<br />

47


Quanto monotona sarebbe la faccia <strong>del</strong>la<br />

terra senza le montagne<br />

(Immanuel Kant)<br />

48<br />

49


<strong>La</strong> Valle Scura è rimasta<br />

intatta per via dei suoi<br />

versanti scoscesi.<br />

Vegetazione ed habitat<br />

di Francois Salomone<br />

Il paesaggio vegetale che caratterizza i Monti Reatini è costituito prevalentemente<br />

da formazioni di tipo alto-montano, rappresentate in massima parte<br />

da faggete di quota e da forme di vegetazione che si sviluppano al di sopra<br />

<strong>del</strong> limite <strong>del</strong>la vegetazione forestale; queste ultime, in particolare, rivestono un<br />

ruolo chiave soprattutto da un punto di vista fitogeografico, in quanto evidenziano<br />

come questo sia uno dei territori più conservativi per la flora continentale<br />

a carattere boreale di tutta l’Italia Centrale.<br />

<strong>La</strong> maggior parte <strong>del</strong>le informazioni di seguito riportate sono tratte dal volume<br />

“Guida ai Monti Reatini” (AA.VV., 2002) e dai Piani di Gestione <strong>del</strong>la ZPS dei<br />

Monti Reatini (AA.VV., 2004 a) e <strong>del</strong> SIC di Vallonina (AA.VV., 2004 b).<br />

<strong>La</strong> relittualità, infatti, è uno degli aspetti che maggiormente caratterizza la flora<br />

e la vegetazione di questo comprensorio: recenti indagini sulla distribuzione<br />

altitudinale <strong>del</strong>la flora evidenziano come per questo territorio sia presente un<br />

generale fenomeno di persistenza di entità floristiche tipiche <strong>del</strong>la vegetazione<br />

steppica che durante l’ultima fase glaciale caratterizzava ampi settori <strong>del</strong>l’Italia<br />

peninsulare. Anche la presenza <strong>del</strong>la Bivonea di Savi (Jonopsidium savianum),<br />

una specie endemica estremamente rara in Italia, è altamente rappresentativa<br />

di una condizione di relittualità, riconducibile a nuclei di conservazione di flora<br />

di ambienti semidesertici sopravvissuti al cambiamento climatico postglaciale.<br />

Non meno rilevante è il valore <strong>del</strong>la vegetazione forestale e <strong>del</strong>le sue forme di<br />

transizione con la vegetazione <strong>del</strong>le praterie subalpine. Ampie e compatte sono<br />

ancor oggi le faggete di tipo mediterraneo-montano a tasso e agrifoglio, nelle<br />

quali si conservano popolazioni di betulla (Betula pendula), come residuo di<br />

più complesse forme di vegetazione forestale <strong>del</strong>l’Olocene medio. Un ulteriore<br />

elemento di relittualità e costituito dai nuclei di foresta temperata a tigli (Tilia<br />

platyphyllos, T. cordata) e aceri (Acer sp. pl.), diffusi su alcune pendici a clima<br />

relativamente caldo umido.<br />

50<br />

51


Carta <strong>del</strong>la Vegetazione<br />

e degli habitat di interesse<br />

comunitario.<br />

Fonte: Piano di Gestione <strong>del</strong>la ZPS dei<br />

Monti Reatini (AA.VV., 2004 a).<br />

52<br />

53


Formazioni boschive<br />

Boschi di faggio<br />

I boschi di faggio (Fagus sylvatica) dominano in assoluto il paesaggio vegetale<br />

<strong>del</strong> comprensorio, ricoprendo in modo pressoché continuo le pendici<br />

dei rilievi entro una fascia altimetrica compresa fra 800-1.000 e i 1.900<br />

metri circa. Si possono distinguere due aspetti principali:<br />

Faggeti d’alta quota<br />

Alle quote più elevate l’azione di pascolamento <strong>del</strong> bestiame domestico ha<br />

determinato nel corso dei secoli un abbassamento <strong>del</strong>la distribuzione altimetrica<br />

<strong>del</strong> faggio. Le faggete più elevate (in quota 1900 – 1600 m s.l.m.) sono<br />

costituite da popolamenti monostratificati a dominanza assoluta di Fagus<br />

sylvatica, in cui la presenza di aceri (Acer pseudoplatanus, A. obtusatum,<br />

A. platanoides) testimonia eventi passati di apertura e chiusura <strong>del</strong>la volta<br />

arborea. In corrispondenza di siti rupestri al limite superiore <strong>del</strong>la faggeta<br />

tendono ad accantonarsi nuclei di rosacee legnose dominate da sorbi (Sorbus<br />

aria, S. aucuparia), mentre in condizioni di ristagno idrico compaiono<br />

occasionalmente popolazioni di salice <strong>del</strong>le capre (Salix caprea), che, per<br />

la capacità di resistenza <strong>del</strong>la specie alle alte concentrazioni di zolfo nel<br />

terreno, si sviluppa spesso nei pressi di terreni caratterizzati dai resti <strong>del</strong>la<br />

combustione <strong>del</strong>le carbonaie che per secoli hanno costellato la foresta.<br />

Il sottobosco <strong>del</strong>la faggeta pura è di norma estremamente rarefatto e povero<br />

a causa <strong>del</strong>la competitività <strong>del</strong> faggio. Nello strato erbaceo si rinvengono<br />

la lattuga montana (Prenathes purpurea), la piroletta pendula (Orthilia<br />

secunda), la lattuga dei boschi (Mycelis muralis), la dentaria a nove foglie<br />

(Cardamine enneaphyllos) e la moehringia a tre nervi (Moehringia trinervia).<br />

<strong>La</strong> componente arbustiva è costituita dalla madreselva alpina (Lonicera<br />

alpigena), dal rovo ideo (Rubus idaeus), dal ranno alpino (Rhamnus<br />

alpinus) e dal ginepro nano (Juniperus nana); quest’ultimo tende spesso<br />

ad occupare ampie depressioni, dove pascolo, accumulo di neve, ristagno<br />

idrico o inversione termica rendano difficile la affermazione o la riaffer-<br />

54<br />

55<br />

Nel versante nord dei Monti Reatini le faggete giungono alla<br />

quota di 1900 metri ricoprendo i versanti fino alle praterie e alle<br />

rocce sommitali.


mazione <strong>del</strong>la faggeta. Studi di tipo dendrocronologico effettuati in aree<br />

limitrofe hanno evidenziato che le faggete di quote più elevate ospitano<br />

individui di faggio che, nonostante le dimensioni normali, hanno raggiunto<br />

età plurisecolari; questo costituisce un dato di estrema importanza<br />

scientifica sulle variazioni a scala secolare e millenaria <strong>del</strong>le condizioni<br />

ambientali a queste latitudini.<br />

Faggeti a tasso e agrifoglio<br />

A quote più basse, entro una fascia altitudinale compresa fra 800 e 1600 m<br />

s.l.m., si rinviene in tutto il comprensorio una faggeta più strutturata rispetto<br />

alla precedente, nella quale si riconosce uno strato dominato a tasso<br />

(Taxus baccata) e agrifoglio (Ilex aquifolium) e uno strato erbaceo costituito<br />

da numerose specie nemorali, quali l’erba laurella (Daphne laureola), la<br />

fusaria maggiore (Euonimus latifiolius), l’euforba <strong>del</strong>le faggete (Euphorbia<br />

amygdaloides), la melica comune (Melica uniflora), la cinquefoglia fragolasecca<br />

(Potentilla micrantha), l’erba fragolina (Sanicula europaea), il caglio<br />

odoroso (Galium odoratum), l’erba trinità (Hepatica nobilis), l’anemone<br />

<strong>del</strong>l’Appennino (Anemone apennina) e l’iva comune (Ajuga reptans).<br />

Il tasso e l’agrifoglio rappresentano gli ultimi rappresentanti (relitti) di un<br />

paesaggio vegetale di tipo subtropicale diffuso nelle ultime fasi <strong>del</strong> Terziario;<br />

questo era dominato da specie sempreverdi di ambiente temperato<br />

(laurifille). Progressivamente scomparso in seguito alle crisi glaciali quaternarie,<br />

i resti di questo paesaggio sono conservati all’interno <strong>del</strong>la vegetazione<br />

forestale diffusasi dall’ultimo postglaciale ad oggi lungo i monti<br />

<strong>del</strong>l’Europa meridionale.<br />

Attualmente in Europa la faggeta a tasso e agrifoglio si presenta poco diffusa<br />

e prevalentemente disturbata dall’azione <strong>del</strong>l’uomo: questo è dovuto<br />

soprattutto al regime d’uso a cui questa foresta è stata sottoposta nel corso<br />

dei secoli (pascolamento e utilizzazione <strong>del</strong> materiale ligneo e <strong>del</strong>la corteccia<br />

<strong>del</strong> tasso).<br />

56<br />

57<br />

Un esemplare di tasso<br />

(Taxus baccata), specie<br />

caratteristica <strong>del</strong>l’habitat<br />

di interesse comunitario<br />

prioritario Faggeti degli<br />

Appennini con Taxus e Ilex


<strong>La</strong> cresta Sassettelli e la parete nord <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> sono un vero<br />

monumento naturale, sovrastano i luoghi più preziosi <strong>del</strong>la<br />

montagna, Prato Sassi, Valle <strong>del</strong>la Meta, Vallonina e rappresentano<br />

uno scenario di alta montagna unico in provincia di Rieti.<br />

58<br />

59<br />

Ai Monti Reatini un fattore decisivo è stato il pascolo ovino e bovino, che ha<br />

determinato sia la frammentazione <strong>del</strong>le faggete sia la rarefazione <strong>del</strong>le popolazioni<br />

di tasso e agrifoglio, riducendo significativamente l’area di diffusione<br />

potenziale locale di tali consorzi a favore <strong>del</strong> bosco puro di faggio (impoverito).<br />

<strong>La</strong> faggeta con tasso e agrifoglio è tutelata dalla Direttiva 92/43/<br />

CEE “Habitat” ed è riferibile all’habitat di interesse comunitario prioritario<br />

9210* Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex).<br />

Foreste decidue mesofile<br />

Si tratta di nuclei di foresta mista accantonati su pendii acclivi a suolo relativamente<br />

maturo, presenti nei fondovalle <strong>del</strong> settore centro settentrionale<br />

<strong>del</strong> massiccio e in particolar modo lungo il Vallone <strong>del</strong> Rio Fuggio e in Vallonina.<br />

Questi sono costituiti dal tiglio nostrano (Tilia platyphyllos), dall’acero riccio<br />

(Acer platanoides), dall’acero di monte (A. pseudoplatanus) ,dall’acero di<br />

Ungheria (A. obtusatum), dall’olmo montano (Ulmus glabra), dal frassino<br />

comune (Fraxinus excelsior), dal ciliegio selvatico (Prunus avium) e dal cerro<br />

(Quercus cerris).<br />

Questo tipo di bosco ha una distribuzione prevalentemente centroeuropeocaucasica<br />

e si caratterizza per un’elevata ricchezza floristica: il piano subordinato<br />

vede la presenza <strong>del</strong> nocciolo (Corylus avellana) e <strong>del</strong> carpino nero<br />

(Ostrya carpinifolia), mentre nello strato erbaceo, oltre alle specie già citate<br />

per faggeta a tasso e agrifoglio, sono presenti la campanula maggiore (Campanula<br />

latifolia), la campanula di Tanfani (Campanula tanfanii), la billeri<br />

chelidonia (Cardamine chelidonia), la digitale appenninica (Digitalis micrantha),<br />

la balsamina minore (Impatiens parvi flora), il laserpizio <strong>del</strong> meridione<br />

(<strong>La</strong>serpitium garganicum), il giglio martagone (Lilium martagon), la linajola<br />

purpurea (Linaria purpurea), la sassifraga alpina (Saxifraga paniculata), il<br />

senecione alpino (Senecio cordatus), la lingua di cane appenninica (Solenanthus<br />

apenninus) e la gramigna <strong>del</strong>l’Appennino (Trisetum villosum).


Anche questa formazione forestale è tutelata dalla normativa comunitaria<br />

ed è riferibile all’habitat di interesse comunitario prioritario “9180 *-Foreste<br />

di versanti, ghiaioni e valloni <strong>del</strong> Tilio-Acerion”.<br />

Foreste decidue submediterranee<br />

Al di sotto dei 900 m di quota, si rinvengono consorzi di latifoglie decidue<br />

sub-mediterranee distinti nei seguenti tipi:<br />

Boschi dominati dal carpino nero<br />

Nel settore settentrionale <strong>del</strong> comprensorio, alla base dei pendii <strong>del</strong>la<br />

bassa Vallonina e bacino di Fosso Ranaro, con esposizione verso i quadranti<br />

meridionali, si accantonano formazioni dominate dal carpino nero<br />

(Ostrya carpinifolia). Questi ostrieti si sviluppano su pendii particolarmente<br />

scoscesi con roccia affiorante, in contesti dominati dalla cerreta<br />

mista.<br />

Querceti a cerro e roverella<br />

Nel territorio fra Rivodutri e Poggio Bustone e sulle pendici meridionali di<br />

M. Calcarone, al di sotto <strong>del</strong> bosco dominato dal carpino nero, sono diffusi<br />

querceti dominati da cerro e roverella. Cerrete a carattere zonale sembrano<br />

essere presenti esclusivamente lungo i distretti a NE <strong>del</strong> comprensorio<br />

di Cittareale: in alcuni siti, infatti, il cerro si associa ad Acer obtusatum<br />

in popolamenti misti che assumono aspetto di comunità durevole. I querceti<br />

dominati dalla roverella (Quercus pubescens s.l) costituiscono invece<br />

le boscaglie di sostituzione che hanno riconquistato parte dei pascoli abbandonati<br />

<strong>del</strong> settore occidentale <strong>del</strong> comprensorio.<br />

Rimboschimenti di conifere<br />

Le aree interessate dai rimboschimenti di conifere (prevalentemente Pinus<br />

nigra) ricadono esclusivamente in una fascia altitudinale compresa tra le<br />

quote medie e basse. Fenomeni di inselvatichimento sono di portata limitata<br />

e pertanto facilmente controllabili.<br />

60<br />

61<br />

In primo piano un semprevivo<br />

maggiore (Sempervivum<br />

tectorum) sullo sfondo<br />

il Monte di Cambio


Formazioni arbUsTive<br />

e cesPUGLieTi<br />

Ginepreti a ginepro nano<br />

Si tratta di comunità arbustive di alta quota dominate dal ginepro nano<br />

(Juniperus communis subsp. nana), a cui si accompagnano la codolina alpina<br />

(Phleum alpinum), la festuca dei nardeti (Festuca nigrescens) e il mirtillo<br />

nero (Vaccinium myrtillus). Queste formazioni arbustive in passato<br />

dovevano ricoprire gran parte <strong>del</strong>l’attuale estensione dei pascoli di alta<br />

quota, occupando le vette secondarie e lasciando alle praterie subalpine le<br />

sommità più elevate. Questo tipo di vegetazione può essere riferito all’habitat<br />

di interesse comunitario “5130 Formazioni a Juniperus communis su<br />

lande o prati calcicoli”. Nei Monti Reatini questi habitat sono abbsatanza<br />

comuni sopra i 1700 metri di quota.<br />

Brughiere altomontane: popolamenti a mirtillo nero<br />

Di estremo interesse nel comprensorio sono alcuni lembi residuali di brughiera<br />

altomontana a mirtillo nero (Vaccinium myrtillus); questa è presente<br />

in maniera discontinua in numerose località poste al di sopra <strong>del</strong> limite<br />

<strong>del</strong>la vegetazione forestale (Sella di Leonessa); rispetto a testimonianze<br />

relative a una sua precedente diffusione locale sembrerebbe in una fase di<br />

regresso, cosa che impone urgenti misure di tutela.<br />

I Monti Reatini possono essere considerati il limite meridionale <strong>del</strong> mirtillo<br />

nero nella nostra penisola, sebbene esistano popolazioni molto ridotte<br />

anche nel Parco Nazionale d’Abruzzo. Nel comprensorio reatino questa<br />

specie può costituire <strong>del</strong>le vere e proprie brughiere a Vaccinium myrtillus<br />

e può far parte di cespuglieti altomontani nei quali si accompagna al ginepro<br />

nano (Juniperus communis subsp. nana). Alcuni aspetti di questo tipo<br />

di vegetazione possono essere riferiti all’habitat di intereresse comunitario<br />

“4060 - <strong>La</strong>nde alpine e boreali”.<br />

Boscaglia alveale a salice ripaiolo<br />

Lungo le sponde <strong>del</strong> corso superiore dei torrenti si rileva la presenza abbastanza<br />

diffusa di saliceti a salice ripaiolo (Salix eleagnos); si tratta di un<br />

piccolo alberello, adattato al disturbo meccanico <strong>del</strong> regime torrentizio dei<br />

62<br />

63<br />

Paesaggio altomontano dei Monti Reatini, caratterizzato da<br />

estese faggete di quota, praterie montane e praterie subalpine<br />

diffuse oltre il limite degli alberi.


Formazioni PraTive<br />

corsi d’acqua in alta quota, comune sui rilievi <strong>del</strong>l’Europa centrale e meridionale.<br />

Nel comprensorio questa boscaglia ha andamento lineare parallelo<br />

al reticolo idrografico e si distribuisce in modo relativamente discontinuo<br />

su substrati ciottolosi, dove la vegetazione forestale dei pendii circostanti<br />

non riesce ad insediarsi. Questa formazione è riferibile all’habitat di<br />

interesse comunitario “3240 Fiumi alpini con vegetazione riparia legnosa<br />

a Salix eleagnos”.<br />

Praterie mesofitiche di alte erbe: i megaforbieti di alta quota<br />

Al limite superiore <strong>del</strong>la vegetazione legnosa su suoli umidi e ricchi di sostanza<br />

organica,si rinvengono lembi di praterie di alte erbe bienni e perenni;<br />

in corrispondenza di tali consorzi si rileva anche l’importante presenza<br />

di popolazioni di betulla (località Scangive). In questi siti la luminosità<br />

elevata, determinata dalla rarefazione <strong>del</strong>la copertura arborea, consente lo<br />

sviluppo di numerose specie erbacee: il cavolaccio meridionale (Adenostyles<br />

australis), il geranio a petali reflessi (Geranium reflexum), l’aconito<br />

di <strong>La</strong>marck (Aconitum lamarckii), il cerfoglio alpestre (Anthriscus nitida),<br />

la lattuga dei boschi (Mycelis muralis), la salvia vischiosa (Salvia glutinosa),<br />

l’alliaria comune (Alliaria petiolata), il garofanino di Dodonaeus (Epilobium<br />

dodonaei) e la lunaria comune (Lunaria rediviva).<br />

Digitazioni di queste comunità possono essere considerati i megaforbieti<br />

che colonizzano piccole radure all’interno <strong>del</strong>la faggeta ove si vengano a<br />

formare accumuli cospicui di sostanza organica Questa vegetazione rientra<br />

nell’ambito <strong>del</strong>l’habitat di interesse comunitario “6430 Bordure planiziali,<br />

montane e alpine di megaforbie idrofile”.<br />

Praterie subalpine<br />

Nonostante i Monti Reatini siano tra le montagne più elevate <strong>del</strong> territorio<br />

regionale, la fascia altitudinale di pertinenza <strong>del</strong>le praterie subalpine<br />

non è molto sviluppata: gran parte <strong>del</strong>le praterie sommitali al di sopra<br />

64<br />

65<br />

<strong>La</strong> Betulla verrucosa (Betula pendula), specie relitta diffusasi<br />

in Italia durante le glaciazioni, è presente solo lungo il versante<br />

nord <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>, tra i massi <strong>del</strong>la morena postglaciale e la<br />

faggeta, (nella foto la vegetazione con il verde più chiaro).


66<br />

67<br />

Da sinistra verso destra: la genziana maggiore (Gentiana lutea),<br />

campanula (Campanula sp.), la pulsatilla alpina (Pulsatilla<br />

alpina) e la primula orecchia d’orso (Primula auricula).<br />

<strong>del</strong> limite superiore dei boschi, infatti, si è originata in seguito all’azione <strong>del</strong><br />

pascolo su consorzi di arbusti contorti e suffruticeti. Vengono qui di seguito<br />

elencate le principali praterie sommitali presenti nel comprensorio dei<br />

Monti Reatini.<br />

Seslerieti<br />

Si tratta di comunità prative dominate dalla sesleria tenuifolia (Sesleria tenuifolia)<br />

presenti lungo le cenge rocciose <strong>del</strong> comprensorio, dove formano aggruppamenti<br />

di limitata estensione. Tra le specie più frequentemente associate<br />

compaiono la carice di Kitaibel (Carex kitaibeliana), la fienarola <strong>del</strong>le<br />

Alpi (Poa alpina), la festuca appenninica (Festuca dimorpha), la vulneraria<br />

montana (Anthyllis montana), l’eliantemo candido (Helianthemum canum),<br />

la campanula graminifolia (Edraianthus graminifolius) e la sassifraga alpina<br />

(Saxifraga paniculata); in aree caratterizzate da una elevata acclività e mobilità<br />

<strong>del</strong> substrato, compaiono il camedrio alpino (Dryas octopetala) e occasionalmente<br />

l’uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi). Queste praterie sono<br />

ascrivibili all’habitat di interesse comunitario “6170 Formazioni erbose calcicole<br />

alpine e subalpine”.<br />

Praterie a paleo genovese<br />

Lungo i versanti meridionali <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>, tra i 1.600 e i 2.100 metri di<br />

quota, su suoli argillosi caratterizzati da una maggiore ritenzione idrica, si<br />

formano comunità erbacee dominate dal paleo genovese (Brachypodium genuense).<br />

<strong>La</strong> flora più frequentemente associata a B. genuense annovera la festuca<br />

pannocchiuta (Festuca paniculata), la poligala di De Angelis (Polygala<br />

angelisii), la festuca rossa (Festuca rubra subsp. commutata), lo spillone bian-


castro (Armeria canescens subsp. majellensis), la crocettona glabra (Cruciata<br />

glabra), l’erba lucciola comune (Luzula campestris), il capellini <strong>del</strong>le<br />

praterie (Agrostis tenuis), la margherita digitata (Leucanthemum tridactylites),<br />

la genziana maggiore (Gentiana lutea) e la viola di Eugenia (Viola eugeniae).<br />

Scarsamente pabulabile, B. genuense, nella sua attuale tendenza<br />

locale all’espansione, potrebbe indicare un processo di rinaturalizzazione<br />

in atto nelle praterie cacuminali. Anche queste praterie sono riferibili<br />

all’habitat di interesse comunitario “6170 Formazioni erbose calcicole alpine<br />

e subalpine”.<br />

Nardeti<br />

Nei pressi di aree pianeggianti, fra 1700 e 2100 m s.l.m., si rinvengono<br />

lembi di praterie dominate dal nardo (Nardus stricta): si tratta di una<br />

graminacea a distribuzione boreale tipica di climi freddi; in Europa è<br />

diffusa nelle praterie montane e alpine e grazie alla sua inappetibilità da<br />

parte <strong>del</strong> bestiame bovino, estendendosi ampiamente al di fuori da proprio<br />

contesto ecologico primario; sui Monti Reatini, infatti, una buona<br />

parte dei nardeti presenti alle alte quote sembra di origine secondaria.<br />

Queste praterie rientrano nell’ambito <strong>del</strong>l’habitat di interesse comunitario<br />

prioritario “6230* Formazioni erbose a Nardus, ricche di specie, su<br />

substrato siliceo <strong>del</strong>le zone montane e <strong>del</strong>le zone submontane <strong>del</strong>l’Europa<br />

continentale”.<br />

Praterie montane: i brometi<br />

Nel comprensorio reatino le praterie continue che prevalgono al di sopra<br />

<strong>del</strong>l’attuale limite superiore degli alberi sono costituite prevalentemente da<br />

comunità erbacee dominate dal forasacco eretto Bromus erectus. I brometi<br />

sono presenti anche alle quote più basse, al di sotto <strong>del</strong> limite superiore degli<br />

alberi, in contiguità sia con la foresta mista decidua sia con la faggeta a<br />

tasso e agrifoglio. In tal caso costituiscono praterie secondarie caratterizzate<br />

dalla presenza di specie relativamente esigenti in fatto di umidità edafica<br />

(brometi mesofili) e si collocano pertanto sui substrati più ricchi di argilla.<br />

68<br />

69<br />

Jonopsidium savianum un paleoendemismo relitto, molto raro<br />

e localizzato, con areale limitato a poche stazioni distribuite<br />

nell’Appennino centrale, con una conspicua popolazione presente<br />

sul Monte Fausola.


Un esemplare di sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia).<br />

Nella foto piccola un particolare <strong>del</strong>le foglie <strong>del</strong> sorbo farinaccio<br />

(Sorbus aria).<br />

Questi sono spesso caratterizzati dalla presenza <strong>del</strong> paleo rupestre (Brachypodium<br />

rupestre), <strong>del</strong>la covetta dei prati (Cynosurus cristatus), <strong>del</strong> loglio<br />

comune (Lolium perenne), <strong>del</strong>la sonaglini comuni (Briza media), <strong>del</strong><br />

paleo odoroso (Anthoxanthum odoratum), <strong>del</strong>l’erba mazzolina comune<br />

(Dactylis glomerata), <strong>del</strong>la codolina comune (Phleum pratense), <strong>del</strong>la festuca<br />

dei prati (Festuca pratensis) e <strong>del</strong>la gramigna comune (Agropyron<br />

repens).<br />

A quote maggiori, in ambiente decisamente montano, in contatto con la<br />

faggeta pura e oltre i suoi limiti altitudinali, compaiono il garofano minore<br />

(Dianthus <strong>del</strong>toides), la festuca rossa (Festuca rubra),la festuca dei nardeti<br />

(Festuca nigrescens) e la cinquefoglia irta (Potentilla hirta). Salendo si ha la<br />

graduale scomparsa di Brachypodium rupestre che viene sostituito da Brachypodium<br />

genuense, specie maggiormente diffusa alle quote più elevate.<br />

Lungo le fasce altitudinali superiori, oltre il limite degli alberi, si sviluppano<br />

i brometi a carattere più “xerico” e continentale; questi costituiscono<br />

l’aspetto dominante <strong>del</strong>le praterie pascolate di alta quota con copertura<br />

<strong>del</strong>lo strato erbaceo a carattere discontinuo.<br />

In questi consorzi a Bromus erectus si associano la festuca debole (Festuca<br />

inops), la codolina meridionale (Phleum ambiguum), il paleo meridionale<br />

(Koeleria slendens), le vedovelle appenniniche (Globularia meridionalis),<br />

la peverina a foglie strette (Cerastium arvense), il lino montano<br />

(Linum tenuifolium), il camedrio comune (Teucrium chamaedrys), il<br />

timo con fascetti (Thymus longicaulis), la finocchiella abrotanina (Seseli<br />

montanum), la santoreggia montana (Satureja montana) e il citiso spi-<br />

70<br />

71


veGeTazione dei<br />

dePosiTi TraverTinosi<br />

veGeTazione deGLi<br />

ambienTi rocciosi<br />

noso (Chamaecytisus spinescens). Queste formazioni prative sono riferibili<br />

all’habitat di interesse comunitario “6210 Formazioni erbose secche<br />

seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-<br />

Brometalia)”.<br />

In prossimità <strong>del</strong>le sorgenti <strong>del</strong> Rio Fuggio, in alcuni tratti <strong>del</strong>l’alto corso<br />

<strong>del</strong>lo stesso fiume e lungo l’alto corso <strong>del</strong>la Valle Scura si verificano venute<br />

a giorno d’acqua con conseguente deposizione di depositi travertinosi.<br />

Questi costituiscono le aree di presenza potenziale per l’erba-unta di Reichenbach<br />

(Pinguicula reichenbachiana), specie <strong>del</strong>le sorgenti stillicidiose,<br />

già segnalata per i massicci limitrofi e <strong>del</strong>la quale si ipotizza a ragione la<br />

presenza nel comprensorio. Questo tipo di vegetazione rientra nell’habitat<br />

di interesse comunitario prioritario “7220* Sorgenti pietrificanti con<br />

formazione di tufi (Cratoneurion)”.<br />

Per quanto riguarda gli ambienti rocciosi <strong>del</strong> comprensorio dei Monti Reatini,<br />

di seguito se ne descrivono i principali tipi di vegetazione presenti.<br />

Vegetazione dei brecciai<br />

Le porzioni sommitali <strong>del</strong> gruppo di M. <strong>Terminillo</strong> sono caratterizzate da<br />

vaste superfici occupate da brecciai, ghiaioni e pietraie; si tratta di ambienti<br />

rocciosi instabili in continuo movimento, non adatti all’insediamento di<br />

vegetazione arbustiva e arborea e colonizzati in genere da comunità vegetali<br />

altamente specializzate.<br />

Nel comprensorio questa vegetazione è rappresentata da popolamenti più<br />

o meno radi a festuca appenninica (Festuca dimorpha), dripide comune<br />

(Drypis spinosa), glasto di Allioni (Isatis allionii), kummel rupestre (Carum<br />

heldreichii) e carice appenninica (Carex macrolepis). Questo tipo<br />

di vegetazione è riferibile all’habitat di interesse comunitario prioritario<br />

“8160* ghiaioni <strong>del</strong>l’Europa centrale calcarei di collina e montagna”.<br />

72<br />

73<br />

Agrifoglio sulle pendici di Monte Fausola, sullo sfondo Cima<br />

d’Arme. In quest’area è frequente incontrare raggruppamenti e<br />

esemplari arborei di Agrifoglio.


Boscaglia alveale a salice ripaiolo: lungo le sponde <strong>del</strong> torrente<br />

Scura c’è una presenza diffusa di saliceti a salice ripaiolo (Salix<br />

eleagnos); si tratta di un piccolo alberello, adattato al disturbo<br />

meccanico <strong>del</strong> regime torrentizio dei corsi d’acqua in alta quota.<br />

Vegetazione <strong>del</strong>le rupi sommitali<br />

Sulle vette più elevate <strong>del</strong> gruppo di Monte <strong>Terminillo</strong>, in condizioni di<br />

elevata acclività o su emergenze rocciose d’alta quota, si rinvengono aggruppamenti<br />

di specie capaci di colonizzare questi ambienti estremi. Si<br />

tratta di comunità erbacee costituite dalla campanula maggiore (Campanula<br />

latifolia), dalla campanula di Tanfanii (C. tanfanii), dalla sassifraga<br />

meridionale (Saxifraga lingulata), dalla sassifraga alpina (S. panicolata),<br />

dalla primula orecchio d’orso (Primula auricula), dalla cinquefoglia<br />

penzola (Potentilla caulescens) e dal ranno spaccasassi (Rhamnus<br />

pumilus). Questo tipo di vegetazione, poco diffuso ed estremamente localizzato<br />

all’interno <strong>del</strong> comprensorio, rientra nell’ambito <strong>del</strong>l’habitat<br />

di interesse comunitario “8210 Pareti rocciose calcaree con vegetazione<br />

casmofitica”.<br />

Vegetazione dei liscioni calcarei<br />

I liscioni e le spianate calcaree diffusi lungo le vette sommitali si caratterizzano<br />

per una flora adattata a suoli estremamente superficiali in grado di<br />

attecchire nei rari punti dove è possibile il radicamento. Si tratta di specie<br />

succulente o a ramificazione strisciante: la peverina di Thomas (Cerastium<br />

thomasii), la peverina tomentosa (C. tomentosum), e numerose specie <strong>del</strong><br />

genere Sedum. Questa forma di vegetazione, piuttosto rara e localizzata, è<br />

riferibile all’habitat di interesse comunitario prioritario “8240* Pavimenti<br />

calcarei”.<br />

74<br />

75


Faggio di San Francesco.<br />

<strong>La</strong> leggenda vuole che la<br />

sua forma così particolare<br />

sia dovuta al miracolo che<br />

piegò l’albero per riparare<br />

il Santo durante un temporale.<br />

In realtà si tratta di<br />

una rarissima mutazione<br />

genetica.<br />

76<br />

77<br />

I Monti Reatini,<br />

esposti a sud-ovest, sono<br />

oggetto di pertubazioni<br />

temporalesche che<br />

possono formare<br />

bizzarre formazione<br />

di ghiaccio.<br />

Nell’immagine un<br />

faggio su Cima d’Arme,<br />

colpito da una tempesta<br />

di neve.


<strong>La</strong> grandezza di una nazione e il suo<br />

progresso morale si possono giudicare<br />

dal modo in cui tratta gli animali.<br />

M. K. “Mahatma” Gandhi (1869-1948)<br />

Faggetta di Monte Cardito<br />

78<br />

79


Un Lupo attraversa di<br />

giorno la faggeta nel<br />

Vallone di Lisciano.<br />

L’immagine è stata<br />

scattata con una foto<br />

trappola.<br />

<strong>La</strong> Fauna<br />

di Stefano Sarrocco e Enrico Calvario<br />

Nel <strong>La</strong>zio, la Provincia di Rieti spicca per gli elevati valori di <strong>Biodiversità</strong><br />

faunistica e ciò soprattutto a causa <strong>del</strong>la presenza di significativi<br />

gruppi montuosi, di un sistema idrografico di importanza<br />

strategica per l’Italia centrale e di una bassa densità abitativa. In un documento<br />

preparato nel 2004 dal gruppo <strong>del</strong> Prof. Boitani per conto <strong>del</strong>la Regione<br />

<strong>La</strong>zio (Boitani et al., 2004), questo aspetto viene messo fortemente<br />

in evidenza, soprattutto in riferimento all’area dei Sabini, dei Monti Reatini<br />

e <strong>del</strong> Cicolano che raggiungono tra i più elevati valori <strong>del</strong>l’indice di<br />

biodiversità, riferito ai Vertebrati, <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio. Inoltre nel documento citato<br />

viene introdotto il concetto di “irreplaceability” (letteralmente “insostituibilità”),<br />

una misura legata all’importanza conservazionistica di un’area: se<br />

un’area è difficilmente sostituibile per i valori naturalistici che ospita e per<br />

il ruolo ecologico-funzionale che svolge, in uno schema di aree da sottoporre<br />

a conservazione, viene classificata con elevati valori di “irreplaceability”<br />

(cioè non può essere facilmente sostituita da nessun altra area nello<br />

schema di conservazione).<br />

Al contrario, bassi valori di “irreplaceability” indicano che l’area considerata<br />

è relativamente non importante (perché facilmente sostituibile da altre<br />

aree) per raggiungere l’obbiettivo di conservazione che ci si è prefissi.<br />

Ebbene, anche in questo caso la zona dei Monti Reatini (dei Sabini e <strong>del</strong><br />

Cicolano) hanno raggiunto i valori più elevati <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio, mettendo in luce<br />

la peculiarità di questo comprensorio.<br />

Le prime esplorazioni ed i conseguenti contributi scientifici ragionati sulla<br />

fauna a Vertebrati di questo gruppo montano sono riportati in alcuni studi<br />

80<br />

81


svolti da Di Carlo negli anni 1954-58 (Di Carlo<br />

1956, 1958); questo autorevole naturalista ci ha<br />

lasciato un quadro di riferimento notevolmente<br />

esauriente sugli uccelli presenti negli anni ’50<br />

su queste montagne, indispensabile per qualsiasi<br />

indagine successiva.<br />

In tempi più recenti, le informazioni su queste<br />

montagne e più in generale sull’Appennino Centrale<br />

si possono trovare nel volume pubblicato<br />

dalla Società Italiana di Biogeografia (AA.VV.,<br />

1971) in cui sono riportati per alcuni gruppi di<br />

Artropodi dei contributi organici ed esaurienti,<br />

quali quelli sugli Oribatei (Acarida) (Bernini,<br />

1971), sui Collemboli (Dallai, 1971) e sui Coleotteri<br />

Cicin<strong>del</strong>idi e Carabidi (Magistretti, 1965).<br />

Alla fine degli anni ’80 il WWF di Rieti ha raccolto<br />

e pubblicato, con l’aiuto di numerosi specialisti<br />

di diverse discipline, un articolato dossier<br />

sullo stato <strong>del</strong>l’ambiente <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> (AA.VV.,<br />

1988), riportando nei due volumi <strong>del</strong>l’opera anche<br />

una raccolta di informazioni sugli invertebrati e<br />

sui Vertebrati presenti sul gruppo montuoso (Audisio<br />

e Vigna Taglianti, 1988; Bagnoli, 1988; Sarrocco,<br />

1988). Nel 2002 la Provincia di Rieti, con<br />

il Patrocinio <strong>del</strong> CAI e <strong>del</strong> WWF Rieti, pubblicò<br />

una “Guida ai Monti Reatini” (AA.VV., 2002) che<br />

riportava tra l’altro una serie di informazioni faunistiche<br />

sul comprensorio. Il quadro <strong>del</strong>le cono-<br />

scenze <strong>del</strong> gruppo montuoso non sarebbe completo<br />

senza citare le numerose indagini settoriali<br />

su gruppi animali specifici, svolte nell’ambito di<br />

diversi progetti: gli studi sulle comunità ornitiche<br />

<strong>del</strong>le praterie di quota realizzato dall’Università di<br />

Roma “<strong>La</strong> Sapienza” nell’ambito <strong>del</strong> “Piano Pluriennale<br />

Regionale per la tutela e la difesa <strong>del</strong>la<br />

Fauna autoctona in via di estinzione ” (Calvario e<br />

Sarrocco, 1989) e le raccolte di dati faunistici per<br />

gli atlanti regionali degli uccelli (Brunelli et al.,<br />

2011), degli Anfibi e Rettili (Bologna et al., 2000)<br />

e dei Mammiferi (in corso di completamento).<br />

E’ inoltre opportuno sottolineare che i Monti Reatini<br />

sono inseriti tra le “Aree Importanti in Europa<br />

per gli Uccelli” (Important Birds Areas in Europe)<br />

e ritenuti per tale motivo tra i siti europei a<br />

priorità di conservazione secondo un censimento<br />

svolto dall’autorevole associazione internazionale<br />

BirdLife International (Heat & Evans, 2000).<br />

Successivamente gli studi sono continuati soprattutto<br />

grazie alla presenza <strong>del</strong>la Rete <strong>Natura</strong><br />

2000 ed alle politiche messe in campo dalla Regione<br />

<strong>La</strong>zio che ha finanziato una serie di Piani<br />

di Gestione di SIC e ZPS che sono stati l’occasione<br />

per reperire nuovi dati e mettere a sistema le<br />

conoscenze pregresse; e così sono stati realizzati<br />

il Piano di Gestione <strong>del</strong>la ZPS di Monti Reatini e<br />

82<br />

83<br />

Balia dal collare, un<br />

piccolo Passeriforme<br />

che nidifica nelle<br />

faggete dei Monti<br />

Reatini


84<br />

85<br />

Il Picchio dorsobianco,<br />

un picide associato alle<br />

foreste mature di latifoglie<br />

montane.<br />

di due SIC inclusi (AA.VV., 2004a) e il Piano di Gestione <strong>del</strong> SIC Vallonina<br />

(AA.VV., 2004b). Da questi documenti citati sono state tratte per lo più le<br />

informazioni necessarie a comporre questo capitolo.<br />

Nella descrizione che segue si è fatto esclusivo riferimento ai Vertebrati ed in<br />

particolare ad Anfibi, Rettili, Uccelli e Mammiferi, suddividendone la trattazione<br />

secondo le diverse fasce vegetazionali che si possono incontrare procedendo<br />

dagli ambiti collinari e submontani fino all’orizzonte alpino. Gli invertebrati<br />

sono stati trattati in una sezione separata e le informazioni sono<br />

state per lo più desunte dal Piano di Gestione <strong>del</strong>la ZPS dei Monti Reatini<br />

(AA.VV., 2004 a).<br />

<strong>La</strong> fauna dei querceti e dei boschi misti<br />

<strong>La</strong>sciati i coltivi che ricoprono gran parte <strong>del</strong>la Piana di Rieti, <strong>del</strong>l’Altopiano<br />

di Leonessa o <strong>del</strong>la Valle <strong>del</strong> Velino si incontrano le fasce arborate a querce<br />

caducifoglie ed i boschi misti a carpini ed aceri che bordano gran parte dei<br />

versanti <strong>del</strong> gruppo montuoso. Queste formazioni forestali si estendono in<br />

modo continuo dai 500-600 fino agli 800-1000 metri di quota. Le comunità<br />

forestali presenti sono quelle tipiche di gran parte dei boschi di caducifoglie<br />

dei piani collinare e submontano <strong>del</strong>la Penisola. Tra le specie maggiormente<br />

tipiche e visibili possiamo ricordare tra i Rettili la Lucertola muraiola (Podarcis<br />

muralis) che predilige soprattutto i versanti più soleggiati ed il Saettone<br />

(Elaphe longissima), un innocuo serpente dai costumi arboricoli.<br />

Gli uccelli comprendono numerose specie, soprattutto quando i boschi sono<br />

maturi e ben conservati (tipici esempi di queste formazioni sono i boschi<br />

presenti lungo Valle Avanzana di Morro Reatino e lungo i versanti <strong>del</strong>la Val<br />

Carpineto di Leonessa); tra i rapaci diurni possiamo ricordare la Poiana (Buteo<br />

buteo), frequente un po’ dappertutto e lo Sparviere (Accipiter nisus), difficile<br />

da osservare per le sue abitudini schive, ma con una distribuzione forse<br />

più vasta di quella che fanno supporre le sue sporadiche apparizioni.


Spesso, tra la fine <strong>del</strong>l’inverno e l’inizio <strong>del</strong>la primavera,<br />

lo si può osservare mentre svolge le sue<br />

parate nuziali, volteggiando al di sopra <strong>del</strong> bosco.<br />

Gli ambienti dove è più facile incontrarlo sono quelli<br />

di contatto tra il bosco di querce ed i boschi di conifere<br />

di impianto o tra i questi ed i faggeti; ad esempio<br />

lungo la Valle di Fuscello e lungo la Val Carpineto.<br />

I picchi tipici di questi boschi sono il Picchio<br />

rosso maggiore (Dendrocopos major), il Picchio verde<br />

(Picus viridis), il Torcicollo (Jynx torquilla) ed il<br />

Picchio rosso minore (Dendrocopos minor).<br />

Le prime tre specie sono molto frequenti, difficili<br />

da vedere, ma facili da sentire; mentre il Picchio<br />

rosso minore è alquanto localizzato ed ha abitudini<br />

più elusive. <strong>La</strong> presenza <strong>del</strong> Picchio rosso<br />

maggiore è spesso rilevata dal tipico tambureggiare<br />

sui tronchi, prodotto soprattutto all’inizio<br />

<strong>del</strong>la primavera, prima <strong>del</strong>la comparsa <strong>del</strong>le foglie.<br />

Questa specie frequenta soprattutto i boschi<br />

maturi, le fustaie ed i cedui composti. Le altre due<br />

specie hanno una maggiore diffusione, in quanto<br />

occupano anche i boschi aperti, intervallati da radure.<br />

Il Picchio verde è riconoscibile dal verso, caratteristico,<br />

simile ad una risata, emesso per gran<br />

parte <strong>del</strong>l’anno; il Torcicollo è un migratore estivo<br />

che produce un canto ripetuto, sonoro e nasale.<br />

Altre specie caratteristiche di questi boschi sono<br />

il Colombaccio (Columba palumbus) e la Tortora<br />

selvatica (Streptopelia turtur), entrambi appartenenti<br />

alla famiglia dei Columbidi. <strong>La</strong> comparsa<br />

<strong>del</strong> Biancone (Circaetus gallicus) con 1-2 coppie<br />

nidificanti è alquanto recente e nel corso <strong>del</strong>la<br />

tarda primavera è alquanto facile vedere, nelle<br />

stazioni di presenza, quest’aquila di medie dimensioni<br />

a caccia di serpenti nelle praterie <strong>del</strong>la<br />

fascia submontana e montana.<br />

Durante l’inverno nelle radure tra i boschi e nei<br />

cespuglieti si possono fare <strong>del</strong>le interessanti osservazioni.<br />

Infatti la disponibilità di bacche di<br />

ginepri rossi e comuni, di biancospini e di rose<br />

canine attirano una moltitudine di specie, prime<br />

tra tutte quelle appartenenti ai Turdidi; si possono<br />

osservare gruppi di Tordi comuni (Turdus<br />

philomelos) e sasselli (T. iliacus), Tor<strong>del</strong>e (T. viscivorus)<br />

e Cesene (T. pilaris); tra i Fringillidi vi<br />

sono stormi di Fringuelli (Fringilla coelebs) e di<br />

Frosoni (Coccothraustes coccothraustes).<br />

Tra i Mammiferi forestali si può citare la presenza<br />

<strong>del</strong> Quercino (Elyomis quercinus) e <strong>del</strong> Moscardino<br />

(Muscardinus avellanarius), due piccoli<br />

roditori, schivi e poco visibili, ma discretamente<br />

diffusi. Tra l’altro entrambe le specie sono presenti<br />

anche nella faggeta, infatti il Quercino è<br />

stato rinvenuto fino alla quota di 1700 m nella<br />

Vallonina ed il Moscardino fino a circa 1400 m<br />

sempre nella stessa località.<br />

86<br />

87<br />

Analoga è la distribuzione di un altro roditore<br />

arboricolo, il Ghiro (Glis glis), presente in modo<br />

regolare nei boschi <strong>del</strong> piano montano. Un po’<br />

dappertutto è anche visibile lo Scoiattolo (Sciurus<br />

vulgaris) con individui dal caratteristico mantello<br />

nero e dal ventre bianco, con una predilizione<br />

per le pinete a Pino nero (Pinus nigra) di<br />

impianto artificiale che bordano le medie quote<br />

<strong>del</strong>la dorsale montuosa.Nei boschi più termofili,<br />

fino ad almeno 700-800 metri, è anche presente<br />

l’Istrice (Istrix cristata) ed un po’ dappertutto<br />

compaiono la Faina (Martes foina), il Cinghiale<br />

(Sus scrofa), la Volpe (Vulpes vulpes), più localizzata<br />

la Puzzola (Mustela putorius).<br />

Nei boschi <strong>del</strong> gruppo è anche segnalata la Martora<br />

(Martes martes), un Mustelide forestale dal<br />

comportamento schivo, molto difficile da osservare<br />

in quanto di abitudini crepuscolari e notturne;<br />

la specie è presente con un numero di individui<br />

contenuto, ma verosimilmente in continuità<br />

ecologica con la popolazione appenninica; ciò<br />

dovrebbe assicurane il mantenimento nel lungo<br />

periodo (AA.VV., 2004).<br />

<strong>La</strong> fauna <strong>del</strong>le faggete<br />

<strong>La</strong> fauna <strong>del</strong>le faggete non è particolarmente numerosa<br />

sia in termini di ricchezza di specie che<br />

di abbondanza di individui. Generalmente nel<br />

corso di una passeggiata non sempre si riesco-<br />

no ad osservare specie significative; è invece più<br />

semplice rilevare la presenza degli onnipresenti<br />

Scriccioli (Troglodytes troglodytes), Pettirossi<br />

(Erithacus rubecula), Cinciarelle (Cyanistes caeruleus)<br />

), Cince more (Periparus ater) e Cince<br />

bigie (Poecile palustris). Tuttavia il gruppo dei<br />

Monti Reatini è un comprensorio che ospita numerose<br />

specie tipiche dei boschi montani. Nelle<br />

sue faggete è infatti presente il Picchio dorsobianco<br />

(Dendrocopos leucotos), un Picide distribuito<br />

in poche località <strong>del</strong>l’Appennino centrale<br />

e sul Promontorio <strong>del</strong> Gargano. Si tratta di una<br />

specie legata alle faggete mature, con un abbondante<br />

numero di alberi vestusti e marcescenti.<br />

Alcune coppie sono presenti nell’alta Vallonina e<br />

in altre comprensori caratterizzati dalla presenza<br />

di faggete in buono stato di conservazione .<br />

Di notevole interesse sempre nelle faggete <strong>del</strong><br />

gruppo è la presenza <strong>del</strong>la Balia dal collare (Ficedula<br />

albicollis), un Passeriforme di interesse<br />

conservazionistico tipico dei boschi montani,<br />

che presenta una distribuzione alquanto localizzata<br />

in Italia. Sempre tra gli uccelli tipicamente<br />

montani si possono inoltre ricordare il Luì verde<br />

(Phylloscopus sibilatrix) e il Ciuffolotto (Pyrrhula<br />

pyrrhula, tre Passeriformi frequenti nella faggeta.<br />

Inoltre, Di Carlo negli anni’50 (Di Carlo,<br />

1956) segnalava l’osservazione di Regoli (Regulus


L’Aquila reale nidifica con<br />

due coppie nel comprensorio<br />

dei Monti Reatini<br />

regulus) in periodo riproduttivo nel bosco <strong>del</strong>la Vallonina; purtroppo di<br />

questo interessante Silvide montano a distribuzione per lo più alpina, non<br />

vi sono più notizie di nidificazione sulle nostre montagne.<br />

<strong>La</strong> specie è comunque molto comune e numerosa durante l’inverno per<br />

l’arrivo <strong>del</strong>le popolazioni settentrionali migratrici; in questa stagione è facilmente<br />

visibile all’interno dei rimboschimenti a Pino nero. Altrettanto<br />

significativa la conferma <strong>del</strong>la nidificazione <strong>del</strong> Rampichino alpestre<br />

(Certhia familiaris), un piccolo Passeriforme dal becco rivolto all’ingiù,<br />

<strong>del</strong> peso di circa dieci grammi, con una distribuzione localizzata in poche<br />

aree <strong>del</strong>l’Appennino che necessita di una gestione forestale sostenibile<br />

(non solo produttiva), tale da conservare alberi vetusti e legno morto, tramite<br />

regolamentazione degli usi civici.<br />

<strong>La</strong> Salamandra giallo-nera (Salamandra salamandra) è un’altra <strong>del</strong>le entità<br />

da ricercare. Infatti le ultime osservazioni di questo raro anfibio si riferiscono<br />

agli anni’70, in cui Bruno (1973) lo segnalava nella Vallonina,<br />

mentre le successive ricerche effettuate hanno sempre dato esito negativo.<br />

Pochi sono i mammiferi tipici <strong>del</strong>la faggeta, ricordiamo, tra questi, il<br />

Topo selvatico collogiallo (Apodemus flavicollis), presente sulle montagne<br />

reatine ed il Lupo (Canis lupus); questo Canide sebbene frequenti<br />

un’ampia varietà di habitat, trova nelle zone montane densamente forestate<br />

e ben conservate, <strong>del</strong>le aree vitali per la sua sopravvivenza. <strong>La</strong> specie<br />

è distribuita con continuità dall’Aspromonte alle Alpi Marittime, con<br />

importanti espansioni in corrispondenza <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio settentrionale e <strong>del</strong>la<br />

Toscana centro-meridionale; la sua popolazione è stimata in circa 400-<br />

500 individui.<br />

I Reatini sono interessati dalla presenza stabile <strong>del</strong> Lupo ed il gruppo è<br />

frequentato da alcuni individui (Boitani, Fabbri, 1983; AA.VV., 2004;<br />

AA.VV., 2007). Per la Provincia di Rieti è stato pubblicato un volume su<br />

questa specie (Cammerini, 1998). L’Autore sottolinea che nel territorio<br />

88<br />

89


<strong>La</strong> Coturnice è presente nei<br />

Monti Reatini con le densità<br />

più elevate resgistrate nel<br />

<strong>La</strong>zio.<br />

90<br />

91<br />

provinciale, nel quinquennio 1991-1995, la tendenza all’incremento <strong>del</strong>la<br />

popolazione di Lupo si è mantenuta stabile e ne stima la presenza di 10-12<br />

individui: sui Monti Reatini, in particolare, dovrebbe essere presente un<br />

nucleo composto da non meno di tre individui.<br />

Un altro mammifero forestale presente è il Gatto selvatico (Felis sylvestris);<br />

di questo interessante Felide, minacciato di scomparsa in molti comprensori<br />

italiani, si hanno alcune notizie per il gruppo montuoso tra cui una<br />

segnalazione relativa ad una femmina catturata a Cantalice e conservata<br />

in pelle (Ragni,1974) ed una osservazione alle pendici di Monte Cambio<br />

all’inizio degli anni duemila (F.M. Angelici, com.pers.).<br />

Un’altra presenza estremamente significativa anche se saltuaria e irregolare<br />

è quella <strong>del</strong>l’Orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus). <strong>La</strong> presenza<br />

per l’area <strong>del</strong> Reatino è documentata fin dal secolo scorso con segnalazioni<br />

continue per l’area <strong>del</strong>la <strong>La</strong>ga, <strong>del</strong> Turano e <strong>del</strong>la Duchessa, registrate<br />

fino al febbraio 2003. <strong>La</strong> frequentazione è limitata, ma caratterizzata da<br />

continuità temporale, dovuta a fenomeni di dispersione ed erratismo, data<br />

la continuità territoriale ed ambientale con le porzioni centrali <strong>del</strong>l’areale<br />

distributivo nei monti <strong>del</strong> PN d’Abruzzo, <strong>La</strong>zio e Molise. Recentemente la<br />

specie è stata segnalata specificatamente per i Monti Reatini, nell’ambito<br />

<strong>del</strong>le ricerche effettuate per il Progetto PATOM (Piano d’Azione Nazionale<br />

per la tutela <strong>del</strong>l’Orso Bruno Marsicano).<br />

<strong>La</strong> fauna <strong>del</strong>le praterie montane e dei cespuglieti subalpini<br />

Le praterie montane sono costituite da radure più o meno ampie situate<br />

in aree dove originariamente erano presenti boschi montani. Ne sono<br />

un esempio tutte quelle aree che si trovano al di sopra dei 1000 metri<br />

di quota, come i versanti di Monte Tilia, le praterie di Monte Rosato e<br />

di Collelungo e i pascoli di Costa Piana, sopra Micigliano. Attualmente<br />

queste praterie, originatesi in seguito al taglio dei boschi per ricavarne


L’Orso bruno marsicano è<br />

una specie dal forte valore<br />

simbolico che frequenta<br />

irregolarmente le<br />

montagne reatine.<br />

legname, per farne pascoli o prati da fienagione, tendono a richiudersi,<br />

in quanto le attività agrosilvopastorali tradizionali stanno rapidamente<br />

scomparendo.<br />

Queste praterie seminaturali sono di grande interesse faunistico ed attraggono<br />

nel corso <strong>del</strong>la migrazione autunnale e durante l’inverno numerose<br />

specie di uccelli. In praterie quelle più cespugliate compaiono alcuni Alaudidi,<br />

Turdidi e Fringillidi; tra questi la Tottavilla (Lullula arborea), un Alaudide<br />

in decremento in tutta Europa, e salendo di quota, il Prispolone (Anthus<br />

trivialis), un piccolo uccello dalle tonalità marroni, tipico <strong>del</strong>le zone<br />

di margine tra il bosco e la prateria. I rettili che vivono in questi ambienti<br />

non sono particolarmente numerosi, un po’ dappertutto la solita Lucertola<br />

muraiola, il Ramarro (<strong>La</strong>certa bilineata) ed il Colubro liscio (Coronella austriaca);<br />

quest’ultima insieme alla Vipera comune (Vipera aspis) frequenta<br />

le praterie meglio esposte e con una discreta copertura di rocce.<br />

In queste praterie sono anche frequenti i piccoli cumuli di terra smossa<br />

dagli scavi <strong>del</strong>la Talpa romana (Talpa romana), un insettivoro localizzato<br />

in Italia centro meridionale. Particolarmente significativa inoltre appare la<br />

presenza <strong>del</strong>la Lepre italica (Lepus corsicanus) sul Monte Cambio, registrata<br />

nel corso <strong>del</strong>lo studio per la redazione Piano di Azione <strong>del</strong>la specie (Guglielmi<br />

et. al., 2011); una specie che presenta una distribuzione ristretta alla<br />

sola Italia centro meridionale e Sicilia, ritenuta estinta e riscoperta recentemente<br />

negli anni’90 <strong>del</strong> secolo scorso.<br />

Salendo di quota, oltre il limite degli alberi, compare una stretta fascia di praterie<br />

cespugliate, in gran parte ricoperte da Ginepro nano (Juniperus nana); un<br />

arbusto prostrato e dalle foglie poco coriacee, a cui si associano il Mirtillo nero<br />

(Vaccinium myrtillus), l’Uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi) ed il Ranno alpino<br />

(Rhamnus alpinus). Nell’insieme queste praterie cespugliate hanno dei lineamenti<br />

simili a quelli dei prati cespugliati descritti nella fascia dei querceti e dei<br />

boschi misti, ma occupano una fascia altitudinale superiore , intorno ai 1800-<br />

1900 metri di quota. Sono arbusteti originari <strong>del</strong>le montagne appenniniche in<br />

92<br />

93


quanto in equilibrio con le condizioni climatiche<br />

ed edafiche di questi territori.<br />

Come per la faggeta, le specie animali non sono<br />

numerose, ma in questo caso ciò è dovuto anche<br />

alle limitate estensioni di questi ambienti.<br />

Nonostante queste dimensioni ristrette, alcune<br />

specie presenti sono di notevole interesse zoologico,<br />

prima fra tutte la Vipera di Orsini (Vipera<br />

ursinii), un serpente di piccole dimensioni, dalle<br />

abitudine schive, scarsamente velenoso, che si<br />

alimenta di cavallette montane.<br />

<strong>La</strong> specie è stata segnalata solo recentemente sui<br />

Reatini (Capula, & Luiselli, 1992 in Bologna et<br />

al., 2000; Corti et. al, 2010), ma la segnalazione<br />

riveste un’indubbia significatività in quanto questo<br />

piccolo Viperide è minacciato in quasi tutto<br />

il suo areale europeo. In Italia è ritenuto raro,<br />

presente soltanto in pochi massicci montuosi<br />

<strong>del</strong>l’Appennino centrale.<br />

Nei cespuglieti subalpini è anche presente la Coturnice<br />

(Alectoris graeca), uno dei tipici Fasianidi<br />

<strong>del</strong>le aree di media ed alta montagna; frequenta<br />

le praterie acclivi, ricche di rocce e con presenza<br />

di arbusti di ginepro e mirtilli. Nel corso<br />

<strong>del</strong>l’inverno la specie diventa gregaria e forma<br />

dei gruppi composti di alcune decine di individui.<br />

Sui Reatini è ben rappresentata, grazie anche<br />

al vincolo venatorio vigente nel comprensorio<br />

(l’area rientra in un’Oasi di Protezione e Rifugio<br />

per la Fauna), e nel corso <strong>del</strong>la predisposi-<br />

zione <strong>del</strong> piano di azione regionale <strong>del</strong>la specie<br />

(Sorace et al., 2011), si è avuto modo di accertare<br />

che sui Monti Reatini sono state registrate le<br />

densità più elevate <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio (2,53 cp/kmq DS +<br />

- 2,02); tra l’altro uno dei motivi per l’istituzione<br />

<strong>del</strong>l’Oasi <strong>del</strong> Monte <strong>Terminillo</strong> è legata proprio<br />

alla conservazione di questa specie vulnerabile.<br />

<strong>La</strong> fauna <strong>del</strong>le praterie d’altitudine<br />

Tra gli ambienti che si possono visitare su queste<br />

montagne sicuramente le praterie di quota o d’altitudine<br />

sono gli ambiti di maggior pregio e valore,<br />

quelli che meglio esprimono i caratteri <strong>del</strong>le<br />

montagne appenniniche. Sulle cime più elevate,<br />

al di sopra <strong>del</strong> limite degli alberi e degli arbusteti<br />

subalpini, si estendono <strong>del</strong>le praterie naturali<br />

o primarie costituite per lo più da graminacee,<br />

composite, ombrellifere e orchideacee. Si tratta<br />

di estese praterie interrotte nella loro continuità<br />

morfologica da vallette nivali, brecciai, pareti<br />

rocciose, macigni e rocce. Una buona parte <strong>del</strong>le<br />

specie animali presenti sulle montagne reatine<br />

sono osservabili in questi ambienti aperti. Infatti<br />

le praterie costituiscono habitat riproduttivi per<br />

alcune specie e habitat trofici per gran parte degli<br />

animali, anche per quelli che si riproducono<br />

nei boschi e nei cespuglieti sottostanti.<br />

Durante la bella stagione, tra giugno ed agosto, la<br />

passeggiata potrà essere molto fruttuosa. In questo<br />

periodo è possibile osservare i Gracchi corallini<br />

(Pyrrhocorax pyrrhocorax), i Gheppi (Falco<br />

94<br />

95<br />

Il Fringuello alpino presenta una colororazione criptica che<br />

maschera la sua silouhette tra le rocce dei brecciai


Le radure svolgono un ruolo ecologico-funzionale<br />

molto importante, il loro mantenimento risulta<br />

vitale per molte specie animali.<br />

96<br />

97<br />

tinnunculus), le Aquile reali (Aquila chrysaetos),<br />

le Tor<strong>del</strong>e (Turdus viscivorus), le Coturnici (Alectoris<br />

graeca) e le lepri (Lepus sp.), intenti a cercare<br />

cibo in questi spazi aperti. Inoltre si possono<br />

incontrare numerose altre specie simbolo <strong>del</strong>le<br />

alte quote <strong>del</strong>le montagne mediterranee, quali<br />

il Fringuello alpino (Montifringilla nivalis), un<br />

Passeridae a distribuzione ristretta, limitata alle<br />

Alpi ed all’Appennino centrale. Il maschio e la<br />

femmina sono facilmente riconoscibili in quanto<br />

presentano gran parte <strong>del</strong>le ali bianche. E’ possibile<br />

osservarli passando nel tratto di strada che<br />

collega la Sella di Leonessa con il Rifugio Sebastiani<br />

anche se la sua presenza in questo settore<br />

<strong>del</strong> <strong>La</strong>zio si è estremamente ridotta. Sempre tra<br />

le specie caratteristiche è poi da segnalare, la presenza<br />

numerosa <strong>del</strong>lo Spioncello (Anthus spinoletta)<br />

e nelle cime più elevate <strong>del</strong> Sordone (Prunella<br />

collaris), un Passeriforme dal becco sottile e<br />

dalla gola lunettata di bianco e nero.<br />

Nelle aree in cui le praterie vengono interrotte da<br />

rocce e macigni è facile inoltre osservare i Culbianchi<br />

(Oenanthe oenanthe) ed i Codirossi spazzacamini<br />

(Phoenichurus ochruros), entrambi Turdidi<br />

di medio-piccole dimensioni. Il primo deve il<br />

suo nome al sopraccoda bianco ed il secondo alla<br />

sua abitudine di frequentare anche i tetti <strong>del</strong>le abitazioni.<br />

Se si è fortunati, è anche possibile osservare<br />

uno degli uccelli più colorati <strong>del</strong>la montagna,<br />

il Codirossone (Monticola saxatilis), un Turdidae<br />

<strong>del</strong>le dimensione di un merlo; il maschio presenta<br />

dei colori netti e sgargianti, con il capo grigio-azzurro<br />

e il petto e la pancia intensamente aranciati.<br />

Quasi assenti i mammiferi o almeno quelli caratteristici,<br />

le uniche specie discretamente frequenti<br />

sono il Topo selvatico (Apodemus sylvaticus), presente<br />

con popolazioni abbondanti, recente rilevate<br />

(2011) nel corso di trappolamenti svolti dall’Agenzia<br />

regionale per i Parchi (Capizzi D., com.<br />

pers.) e le lepri. Come già accennato in precedenza,<br />

in Italia peninsulare esistono due specie di<br />

Leporidi: nel settore centro-settentrionale è presente<br />

la Lepre europea (Lepus europaeus), specie<br />

eurasiatica ad ampia distribuzione, autoctona<br />

solo nelle regioni settentrionali; mentre in Italia<br />

centrale e Sicilia è presente la Lepre italica anche<br />

se probabilmente in forte declino. Quando in sintopia<br />

la Lepre italica adotta abitudini più montane<br />

<strong>del</strong>la sua congenere. Nel complesso montuoso<br />

la prima <strong>del</strong>le due specie è con molta probabile<br />

stata introdotta a seguito di immissioni venatorie.<br />

Alle specie sopra richiamate se ne potrebbe aggiungere<br />

una ulteriore, tipica di questi ambienti<br />

cacuminali oromediterranei, l’Arvicola <strong>del</strong>le nevi<br />

(Chionomys nivalis), un roditore dalla folta pelliccia<br />

grigia, di cui si hanno alcune generiche segnalazioni<br />

che necessitano conferma.<br />

<strong>La</strong> fauna degli ambienti rupestri<br />

Le scarpate e le balze rocciose sono luoghi inaccessibili<br />

e di spettacolare bellezza, presenti un<br />

po’ dappertutto su queste montagne.


Vi sono tuttavia alcune valli che racchiudono<br />

complessi rupestri particolarmente estesi, ne sono<br />

un esempio la Valle Scura, il Vallone di Lisciano,<br />

il Vallone di Cantalice, la Valle di Poggio<br />

Bustone, l’alta Vallonina ed i versanti <strong>del</strong>le gole<br />

<strong>del</strong> Velino. Sono questi ambiti estremamente<br />

sensibili in cui si concentrano gran parte dei siti<br />

riproduttivi <strong>del</strong>le specie rupicole. Sui Reatini infatti<br />

sono presenti ben due coppie nidificanti di<br />

Aquila reale (Aquila chrysaetos), una specie simbolo<br />

dei comprensori montani. Anche il Falco<br />

pellegrino (Falco peregrinus), nidifica nel gruppo<br />

con almeno due-tre coppie.<br />

Tra le specie rupicole vi è poi il Gracchio corallino<br />

(Pyrrhocorax pyrrhocorax), un Corvide d’alta<br />

quota, gregario, che forma degli stormi costituiti<br />

da decine di individui. Generalmente la mattina<br />

i gruppi abbandonano i dormitori situati sulle<br />

pareti rocciose e si dirigono verso le praterie,<br />

dove pascolano a caccia di insetti. Il nero lucente<br />

<strong>del</strong> piumaggio ed il lungo becco arcuato arancione,<br />

lo rendono inconfondibile.<br />

Queste caratteristiche si associano anche ad un<br />

comportamento poco elusivo che ne permette<br />

facilmente l’osservazione. <strong>La</strong> Sella di Leonessa e<br />

la cresta di Sassetelli nonché le praterie che ricoprono<br />

i versanti di Monti Porcini sono località<br />

ideali per osservarlo. Almeno altre tre specie<br />

rupicole sono presenti sulle montagne reatine, la<br />

Rondine montana (Ptyonoprogne rupestris), lo-<br />

calizzata in pochi siti, il Picchio muraiolo (Tichodroma<br />

muraria) ed il Rondone maggiore (Apus<br />

melba); queste ultime due specie, tra l’altro, non<br />

sono state rilevate negli ultimi anni.<br />

Gli invertebrati di particolare interesse<br />

Il Massiccio <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> rappresenta uno dei<br />

comprensori montani più rilevanti sotto il profilo<br />

faunistico e naturalistico <strong>del</strong>l’intera area laziale-abruzzese<br />

sia a causa di fattori bioclimatici<br />

sia a seguito <strong>del</strong> suo relativo isolamento geografico<br />

essendo collocato in posizione marginale rispetto<br />

alla dorsale che include gli altri principali<br />

gruppi montuosi <strong>del</strong>l’Appennino Centrale. Un<br />

primo dato emergente è la ricchezza in specie di<br />

molti gruppi faunistici, che si manifesta soprattutto<br />

tra gli Insetti fitofagi (Ortotteri, Coleotteri<br />

Nitidulidi, Lepidotteri), come d’altronde era<br />

prevedibile in funzione <strong>del</strong>la notevole ricchezza<br />

e diversificazione floristica e vegetazionale <strong>del</strong><br />

comprensorio.<br />

Tra l’entomofauna fitofaga, vi sono un cospicuo<br />

contingente di specie orofile a distribuzione per<br />

lo più medio-sud-europea nelle fasce vegetazionali<br />

caratteristiche <strong>del</strong>le quote maggiori (oltre<br />

i 1100-1300 m s.l.m.), a fianco di una notevole<br />

componente di elementi schiettamente mediterranei,<br />

xerotermofili o perfino caratteristici <strong>del</strong>la<br />

vegetazione mediterranea costiera, che colonizzano<br />

i settori di media e bassa quota, e che rag-<br />

98<br />

99<br />

Le faggete in quota, con alberi di notevoli dimensioni, sono un<br />

ambiente di grande valore ambientale perchè ospitano specie<br />

animali caratteristiche e poco diffuse.


Il Massiccio dei Monti Reatini visto da ovest.<br />

100<br />

101<br />

giungono in queste località altezze <strong>del</strong> tutto inconsuete. Relativamente modesto<br />

appare invece il numero di elementi più tipicamente settentrionali (alpini<br />

o centro-nordeuropei s.l.), che raggiungono il <strong>Terminillo</strong> solo nei suoi<br />

settori più elevati; per questa sola categoria di specie il comprensorio appare<br />

distintamente più povero rispetto ai più elevati massicci montuosi <strong>del</strong>l’ Appennino<br />

centrale (Gran Sasso e Monti <strong>del</strong>la <strong>La</strong>ga, in particolare).<br />

Per quanto riguarda i Lepidotteri, i dati sono stati estratti dai cataloghi di Prola,<br />

Provera, Racheli e Sbordoni (1978 a, 1978 b) e di Prola e Racheli (1979,<br />

1980), relativi ai Macrolepidotteri <strong>del</strong>l’ Appennino centrale; un primo dato<br />

rilevante è rappresentato dalla numerosità <strong>del</strong>le specie presenti; 580 specie sicuramente<br />

note nell’ambito <strong>del</strong> Massiccio <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> su un totale di 1259<br />

entità presenti complessivamente in Italia centrale (Audisio & Vigna Taglianti,<br />

1988). In particolare, tra i ropaloceri, che sono certamente i meglio conosciuti<br />

sotto il profilo faunistico, sono presenti almeno 109 specie su 153, ossia oltre i<br />

due terzi <strong>del</strong>l’intera fauna <strong>del</strong>l’Italia centrale.<br />

Tra i Coleotteri Carabidi (Magistretti, 1965; Audisio & Vigna Taglianti, 1988)<br />

sono note circa 100 specie per il <strong>Terminillo</strong>, non poche <strong>del</strong>le quali caratteristiche<br />

ed endemiche <strong>del</strong>le aree centro-appenniniche e più o meno strettamente<br />

localizzate in stazioni montane di media e alta quota.<br />

Di grande rilievo è inoltre la presenza di Duvalius sp. cfr. straneoi Jeannel, elemento<br />

endemico dei Monti Reatini, presente nell’ambiente sotterraneo superficiale<br />

<strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> alle quote più elevate, sia nelle faggete che al limite dei<br />

piccoli nevai primaverili-estivi presso la vetta, da 1600 a 2200 m di quota (Vigna<br />

Taglianti, 1970, 1982; Audisio & Vigna Taglianti, 1988).<br />

Tra i Coleotteri Scarabeoidei, sono significative le presenze <strong>del</strong> Melolontide<br />

Amphimallon fuscus (Scop.), caratteristico elemento dei pascoli appenninici<br />

di alta quota, <strong>del</strong> raro Rutelide Anisoplia bromicola Germ. e <strong>del</strong> Glafiride<br />

Anthypna carceli (Cast.). Di grande rilievo è senza dubbio la fauna<br />

ortotterologica, attentamente studiata da Baccetti (1971); questo Autore


segnala ben 66 specie di Ortotteroidei nell’ambito <strong>del</strong> comprensorio dei<br />

Monti Reatini, tra le quali alcune specie di Ortotteri orofili endemici di<br />

questo massiccio montuoso.<br />

Da rilevare l’interessante presenza <strong>del</strong> Crostaceo Anostraco Chirocephalus<br />

diaphanus (Prev.) nel <strong>La</strong>go Tilia (1680 m s.l.m.), ove è rappresentato<br />

da una popolazione costituita da esemplari di dimensioni inconsuete e alquanto<br />

cospicue (Cottarelli, 1966, sub C. stagnalis Shaw). mente i meglio<br />

conosciuti sotto il profilo faunistico, sono presenti almeno 109 specie su<br />

153, ossia oltre i due terzi <strong>del</strong>l’intera fauna <strong>del</strong>l’Italia centrale.<br />

Tra i Coleotteri Carabidi (Magistretti, 1965; Audisio & Vigna Taglianti,<br />

1988) sono note circa 100 specie per il <strong>Terminillo</strong>, non poche <strong>del</strong>le quali<br />

caratteristiche ed endemiche <strong>del</strong>le aree centroappenniniche e più o meno<br />

strettamente localizzate in stazioni montane di media e alta quota. Di<br />

grande rilievo è inoltre la presenza di Duvalius sp. cfr. straneoi Jeannel,<br />

elemento endemico dei Monti Reatini, presente nell’ambiente sotterraneo<br />

superficiale <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> alle quote più elevate, sia nelle faggete che al limite<br />

dei piccoli nevai primaverili-estivi presso la vetta, da 1600 a 2200 m<br />

di quota (Vigna Taglianti, 1970, 1982; Audisio & Vigna Taglianti, 1988).<br />

Tra i Coleotteri Scarabeoidei, è da rilevare la presenza <strong>del</strong> Melolontide<br />

Amphimallon fuscus (Scop.), caratteristico elemento dei pascoli appenninici<br />

di alta quota, <strong>del</strong> raro Rutelide Anisoplia bromicola Germ. e <strong>del</strong> Glafiride<br />

Anthypna carceli (Cast.).<br />

Di grande rilievo è senza dubbio la fauna ortotterologica, attentamente<br />

studiata da Baccetti (1971); questo Autore segnala ben 66 specie di Ortotteroidei<br />

nell’ambito <strong>del</strong> comprensorio dei Monti Reatini, tra le quali le specie<br />

di Ortotteri orofili endemici di questo massiccio montuoso<br />

Da rilevare l’interessante presenza <strong>del</strong> Crostaceo Anostraco Chirocephalus<br />

diaphanus (Prev.) nel <strong>La</strong>go Tilia (1680 m s.l.m.), ove è rappresentato<br />

da una popolazione costituita da esemplari di dimensioni inconsuete e alquanto<br />

cospicue (Cottarelli, 1966, sub C. stagnalis Shaw).<br />

102<br />

103<br />

Le pareti scoscese sono<br />

il luogo preferito per la<br />

nidificazione dei falco<br />

pellegrino Falco peregrinus.


Specie di valore europeo<br />

di Enrico Calvario e Stefano Sarrocco<br />

I<br />

Monti Reatini ospitano diverse specie di flora e di fauna di interesse comunitario.<br />

I Formulari Standard dei siti <strong>Natura</strong> 2000 <strong>del</strong> comprensorio<br />

elencano la presenza di 17 specie di rilevanza europea, cui si devono aggiungere<br />

il Tritone crestato italiano Triturus carnifex ed il coleottero Rosalia<br />

alpina Rosalia alpina, per un totale di 19 specie di valore conservazionistico.<br />

Tra gli Uccelli sono presenti e nidificanti, l’Aquila reale Aquila chrysaetos, il<br />

Biancone Circaetus gallicus, il Falco pellegrino Falco peregrinus, la Coturnice<br />

Alectoris greca, il Picchio dorsobianco Dendrocopos leucotos, la Tottavilla<br />

Lullula arborea, il Calandro Anthus campestris, la Balia dal collare Ficedula<br />

albicollis, l’Averla piccola <strong>La</strong>nius collurio ed il Gracchio corallino Pyrrhocorax<br />

pyrrhocorax. Tra i Mammiferi sono segnalate due specie emblematiche,<br />

il Lupo Canis lupus e l’Orso bruno marsicano Ursus arctos. Passando agli<br />

Anfibi e Rettili il Formulario Standard riporta la presenza di Ululone ventre<br />

giallo Bombina variegata (ora pachypus), Salamandrina dagli occhiiali<br />

Salamandrina terdigitata, Vipera di Orsini Vipera ursinii ai quali si deve<br />

aggiungere il Tritone crestato italiano Triturus carnifex ritrovato nel corso<br />

<strong>del</strong> Progetto di ripristino dei fontanili. Tra gli invertebrati sono segnalati il<br />

Lepidottero Euphydryas aurinia, una farfalla le cui larve si nutrono all’interno<br />

di una coppia di foglie, unite con la seta, e, successivamente, costruiscono<br />

nidi di seta collettivi dove svernano e il coleottero Rosalia alpina, la<br />

cui presenza nel comprensorio è stata messa in luce nel corso <strong>del</strong>la stesura<br />

<strong>del</strong> Piano di Gestione <strong>del</strong> SIC di Vallonina (Biscaccianti in verbis).<br />

Occorre infine ricordare la presenza di una rara pianta montana, la Bivonea<br />

di Savi Jonopsidium savianum che vede sul Monte Fausola, la popolazione<br />

più significativa <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio. Tra queste “19 perle”, abbiamo scelto di<br />

decrivere quelle che hanno anche un forte valore simbolico.<br />

104<br />

105


Bivonea di Savi<br />

Jonopsidium savianum è una rara pianta erbacea a ciclo annuale appartenente<br />

alla famiglia <strong>del</strong>le Crucifere, con distribuzione mediterraneo-occidentale<br />

e a fioritura primaverile (marzo-aprile). In Italia è segnalata per<br />

Toscana, Umbria e <strong>La</strong>zio, dove è stata indicata in tre stazioni in provincia<br />

di Rieti,(Colle i Tre Confini, Monte Fausola e Monte Tancia). In Umbria<br />

e <strong>La</strong>zio è stata rinvenuta in prati aridi e sassosi, fenditure rocciose e margini<br />

di sentieri a quote comprese fra i 900 e i 1300 m. In Toscana è stata<br />

ritrovata in radure boschive e <strong>del</strong>la macchia mediterranea su suolo acido,<br />

a quote comprese fra i 300 e i 650 m. Nel territorio dei Monti Reatini, va<br />

considerata, come una estrema propaggine <strong>del</strong>le popolazioni <strong>del</strong>la Toscana<br />

metallifera, livornese e campigliese, là accantonate in siti su rocce intrusive,<br />

vulcaniche, e, quindi, coda di una lenta erosione di un precedente<br />

margine orientale <strong>del</strong>l’areale, avvenuta negli ultimi millenni di miglioramento<br />

climatico postglaciale a favore di foreste montane. <strong>La</strong> stazione di<br />

Monte Fausola, che rientra nell’omonimo SIC, raccoglie una popolazione<br />

che costituisce più <strong>del</strong> 15% <strong>del</strong>l’intera popolazione nazionale. Presso la<br />

stazione di Colle i Tre Confini la specie risulta essere molto rara, mentre<br />

sul Monte Tancia si presenta localmente abbondante. Le principali minacce<br />

per questa specie sono costituite dal pascolo eccessivo, dai cambiamenti<br />

di uso <strong>del</strong> suolo e dalle raccolte botaniche. Considerata la ristrettezza<br />

<strong>del</strong>l’areale <strong>del</strong>la specie e la sua endemicità, occorre assicurare la protezione<br />

attiva <strong>del</strong>le stazioni attualmente note. Sarebbe utile, inoltre, programmare<br />

una campagna di raccolta dei semi da donare a differenti banche <strong>del</strong> germoplasma<br />

italiane.<br />

106<br />

107<br />

Rosalia alpina<br />

Coleottero Cerambicide di aspetto inconfondibile e particolarmente vistoso,<br />

per le dimensioni medio-grandi (tra 20 e 38 mm di lunghezza), il colore<br />

azzurro cenere, con nette macchie nere su pronoto ed elitre, le antenne lunghe,<br />

azzurre, con un folto ciuffo di peli neri all’apice di ciascun segmento.<br />

Specie montano subalpina, legata al faggio, da 500 a 1800 m di quota.<br />

Le uova vengono deposte su faggi morti o deperienti, parti morte di piante<br />

sane, ceppi e tronchi caduti, di preferenza esposti al sole. Occasionalmente<br />

è stata rinvenuta su altre latifoglie (noce, castagno, quercia, salice, tiglio,<br />

acero, olmo, frassino). Lo sviluppo larvale dura di solito tre anni, l’impupamento<br />

avviene in primavera, l’adulto compare in giugno-agosto ed è attivo<br />

di giorno. Si osserva su piante morte o su tronchi abbattuti di recente, spesso<br />

in pieno sole. Al contrario di altre specie di Cerambicidi, gli adulti non<br />

si rinvengono sulle infiorescenze di piante erbacee o legnose. Dopo l’accoppiamento<br />

le femmine depongono le uova nel legno <strong>del</strong>le piante ospiti.<br />

<strong>La</strong> conservazione di questa “specie bandiera” dipende dalla tutela <strong>del</strong>le<br />

faggete mature e dal ripristino <strong>del</strong>la loro complessità strutturale, soprattutto<br />

con la conservazione dei vecchi alberi, <strong>del</strong> legno morto, con il mantenimento<br />

<strong>del</strong>le radure e con la istituzione di riserve integrali ed orientate,<br />

che possano ridurre la ceduazione, la “pulizia” <strong>del</strong> bosco e la eccessiva<br />

fruizione antropica, con i conseguenti rischi di incendi, calpestio e prelievo<br />

di esemplari. Dati inediti (A.B. Biscaccianti), segnalano la specie per il<br />

Monte <strong>Terminillo</strong>, Bosco Vallonina e Vallescura.


Ululone appenninico<br />

Si tratta di un anuro raro e localizzato in forte decremento, nel <strong>La</strong>zio, assieme<br />

alla Salamandra giallo nera, è la specie di anfibio maggiormente minacciata<br />

di estinzione. Numerose popolazioni note fino agli anni ’70 <strong>del</strong> XX<br />

secolo non sono più state confermate soprattutto nelle aree planiziali in cui<br />

l’intervento antropico è risultato più intenso. <strong>La</strong> vulnerabilità di gran parte<br />

<strong>del</strong>le popolazioni <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio, come ad esempio di alcune <strong>del</strong> Reatino, è dettata,<br />

inoltre, dal modesto numero di individui adulti di cui sono costituite.<br />

Specie diurna, eliofila e termofila, attiva da marzo ad ottobre con un picco<br />

di attività, nel <strong>La</strong>zio, concentrato nel bimestre maggio-giugno. I siti riproduttivi<br />

consistono prevalentemente in piccole raccolte d’acque poco profonde,<br />

spesso soleggiate e caratterizzate da prosciugamenti estivi. Si rinviene<br />

anche nell’alto corso di ruscelli ed in abbeveratoi. Le uova sono deposte<br />

in gruppi di qualche decina di unità e lo sviluppo larvale può eccezionalmente<br />

completarsi in poco più di un mese. <strong>La</strong> colorazione addominale particolarmente<br />

vistosa <strong>del</strong>la specie costituisce un segnale di avvertimento per<br />

i suoi potenziali predatori; infatti, qualora disturbato o attaccato, assume<br />

una strana posizione difensiva, coprendo gli occhi con gli arti anteriori,<br />

inarcando la schiena e sollevando gli arti anteriori verso l’alto e rendendo<br />

visibile quindi la colorazione ventrale giallo-nera. Inizia quindi a secernere<br />

dalle ghiandole cutanee una secrezione bianca vischiosa, dal vago odore<br />

di aglio, che per contatto, può causare ulcerazioni e irritazioni alla pelle e<br />

alle mucose <strong>del</strong> momentaneo “nemico”, facendolo desistere dall’attacco. Nei<br />

Monti Reatini, è stato segnalato presso Valle Avanzana e Pian de’Valli (AA.<br />

VV., 2004a). Le piccole e frammentate popolazioni laziali sono sottoposte a<br />

potenziali fenomeni di inbreeding e di isolamento riproduttivo.<br />

108<br />

109<br />

Vipera di Orsini<br />

E’ una <strong>del</strong>le specie di serpenti maggiormente minacciata di estinzione in<br />

Italia. Esclusiva dei pascoli di alta quota, ove vive intorno ai pulvini prostrati<br />

di ginepro. In particolare, predilige le aree dove i cespugli di ginepro<br />

sono molto aggregati, di ampio diametro (> 6 m), e interconnessi tra loro<br />

(Filippi & Luiselli, 2004). Esclusivamente diurna, esce di rado dai pulvini<br />

di ginepro ed è pertanto di solito difficile da osservare anche in aree dove<br />

è ancora abbondante. Il ciclo riproduttivo è biennale, e le femmine partoriscono<br />

in agosto 3-4 piccoli vivi. L’accoppiamento avviene in maggio,<br />

e i maschi lottano per il possesso <strong>del</strong>le femmine mediante ‘danze rituali’<br />

piuttosto spettacolari. Il ciclo trofico è costituito da due fasi (Agrimi &<br />

Luiselli, 1992): in primavera si nutrono solo le femmine, che catturano<br />

lucertole e arvicole neonate mentre in estate si nutrono sia i maschi che le<br />

femmine e le prede principali sono gli ortotteri atteri. <strong>La</strong> specie è rarissima<br />

nel <strong>La</strong>zio, dove sono conosciute solo tre popolazioni (Luiselli 2004). <strong>La</strong><br />

popolazione <strong>del</strong>le Montagne <strong>del</strong>la Duchessa è costituita da poche decine<br />

di individui adulti; quella <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> è quasi estinta (non sono stati<br />

catturati esemplari vivi negli ultimi cinque anni) e quella <strong>del</strong> versante laziale<br />

<strong>del</strong> Parco Nazionale d’ Abruzzo è a status sconosciuto, essendo stato<br />

catturato un solo esemplare a circa 2000 m di altitudine. Tutte le misure<br />

tese a salvaguardare le aree di pascolo d’alta quota ove la specie vive sono<br />

direttamente utili alla tutela di questo viperide. Particolare attenzione deve<br />

essere posta al contenimento <strong>del</strong> sovrappascolo e <strong>del</strong> traffico veicolare in<br />

alta quota. <strong>La</strong> popolazione presente sul <strong>Terminillo</strong> vive in un’area attraversata<br />

da una strada d’alta quota abbastanza trafficata e uno degli ultimi<br />

esemplari raccolti fu trovato investito nel luglio <strong>del</strong> 1997 (Luiselli, 2008).


Aquila reale Falco pellegrino<br />

L’ Aquila reale occupa nel <strong>La</strong>zio gli ambienti montani a scarsa antropizzazione<br />

con orografia movimentata e versanti fortemente acclivi. Ogni coppia<br />

nidificante possiede un territorio che può arrivare a 250 km 2 e comprende<br />

vari tipi di habitat quali le formazioni rupestri per lo più calcaree,<br />

le praterie cacuminali, i boschi e le aree con vegetazione arbustiva rada.<br />

Prevalentemente il periodo riproduttivo inizia nel mese di marzo e si conclude<br />

in quello di luglio. <strong>La</strong> specie preda elettiva è la Lepre (Lepus sp.) che<br />

può arrivare a coprire il 70% in biomassa <strong>del</strong>l’alimentazione <strong>del</strong> rapace<br />

(Borlenghi, 2008). Più in generale preda mammiferi di piccole e medie<br />

dimensioni, compresi alcuni ungulati domestici quali agnelli e capretti; la<br />

dieta comprende anche uccelli e rettili. Nella stagione invernale la specie<br />

è moderatamente necrofaga. Considerata minacciata nella Lista Rossa regionale<br />

(Calvario et al., 2011), nel <strong>La</strong>zio la consistenza <strong>del</strong>la specie è stimata<br />

in otto coppie nidificanti stabili e 2 di nuova formazione ed i Monti<br />

Reatini con le loro due coppie di adulti e la presenza di alcuni individui<br />

immaturi ne ospitano una consistente porzione <strong>del</strong>la popolazione regionale<br />

(Borlenghi, 2011). Una criticità rilevante per la specie è dovuta alla<br />

realizzazione di impianti eolici in vicinanza dei siti riproduttivi come anche<br />

importante è il mantenimento di significative estensioni di zone aperte<br />

in quota, utilizzate a scopi trofici dalla specie, libere da qualsiasi disturbo<br />

e/o attività sportiva. Per quanto riguarda il disturbo indiretto e gli abbattimenti<br />

illegali si deve operare verso un miglior controllo <strong>del</strong> territorio da<br />

parte degli organismi preposti. Infine, il rischio di elettrocuzione con gli<br />

elettrodotti deve trovare mitigazione in opere di modifica di alcune infrastrutture<br />

impiantistiche.<br />

110<br />

111<br />

Grande falcone dalla struttura compatta e robusta che nel <strong>La</strong>zio nidifica in<br />

vari ambienti: dalle falesie costiere alle pareti rocciose in zone montane, dalle<br />

scarpate tufacee a quelle di arenaria, nonché su edifici in aree urbane e industriali.<br />

<strong>La</strong> distribuzione altimetrica dei siti di nidificazione evidenzia una<br />

preferenza per le aree poste fino a 250 m s.l.m. e comunque entro i 1000 m<br />

s.l.m., oltre questa quota le segnalazioni subiscono un netto decremento, fino<br />

ad arrivare alla quota massima registrata nel <strong>La</strong>zio di 1300 metri s.l.m.<br />

Il nido è costituito da cavità o cenge poste nelle zone sommitali o mediane<br />

<strong>del</strong>le pareti rocciose, direttamente sul terreno o all’interno di nidi abbandonati<br />

di Aquila reale e Corvo imperiale. Gli adulti occupano il sito gia in gennaio-febbraio<br />

e la deposizione avviene in marzo-aprile. Le covate sono formate<br />

da 3-4 uova che vengono incubate principalmente dalla femmina per un<br />

periodo di 28-33 giorni. L’allevamento <strong>del</strong>la prole dura 40 giorni dopo i quali<br />

avviene l’involo, evento che si verifica generalmente nei mesi di maggio e giugno.<br />

Il successo riproduttivo medio è di 2,3 giovani involati per coppia che ha<br />

allevato giovani (Brunelli, 2007, 2008). <strong>La</strong> dieta è costituita quasi esclusivamente<br />

da uccelli, che cattura in volo, anche di taglia medio-grande. In passato<br />

i principali fattori di minaccia erano costituiti dalla persecuzione diretta e dal<br />

furto di piccoli e uova. Altri fattori limitanti sono costituiti dal disturbo provocato<br />

dall’attività venatoria presso i siti di nidificazione, dall’impatto con le<br />

linee elettriche, dall’arrampicata sportiva. Un ulteriore fattore di rischio può<br />

essere rappresentato dagli impianti eolici. Anche in termini di consistenza<br />

numerica vi è stato un forte incremento, passando dalle 25-30 coppie stimate<br />

negli anni’80 alle attuali 92-106 (Brunelli et al., 2007), sui Monti Reatini sono<br />

presenti 4 coppie nidificanti.


<strong>La</strong> Coturnice<br />

<strong>La</strong> Coturnice è un Galliforme <strong>del</strong>la famiglia dei Fasianidi appartenente al<br />

gruppo <strong>del</strong>le “pernici dalle zampe rosse”. Nidifica nei soli paesi <strong>del</strong> Mediterraneo<br />

centrale e orientale, con popolazioni cospicue in Italia. Nel <strong>La</strong>zio<br />

alla specie è stato dedicato un Piano di Azione (Sorace et al., 2011) che<br />

ha consentito di fare chiarezza sul suo stato di conservazione: sono state<br />

stimate 171-342 coppie e sui Monti Reatini sono state registrate le densità<br />

più elevate <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio (2,53 cp/km 2 ). L’altitudine media <strong>del</strong>le osservazioni<br />

è risultata di 1.663 m con solo l’11,1% <strong>del</strong>le osservazioni sotto i 1.300 m<br />

s.l.m. Si alimenta principalmente di parti vegetali (foglie, germogli, semi e<br />

frutti) e di invertebrati, in particolare insetti.<br />

Le attività territoriali <strong>del</strong>la Coturnice iniziano già alla fine <strong>del</strong>l’inverno;<br />

per esempio, il 10 marzo 2008 nelle Mainarde, due maschi hanno risposto<br />

all’emissione <strong>del</strong> canto territoriale mentre sui Monti Reatini, il canto<br />

territoriale <strong>del</strong>la specie era udibile già il 6 febbraio <strong>del</strong>lo stesso anno. Specie<br />

monogama, con alcune coppie che formano legami di lunga durata,<br />

occasionalmente bigama. Il nido, costituito da un’incavatura naturale <strong>del</strong><br />

suolo viene rivestito con materiale vegetale, Il periodo <strong>del</strong>la deposizione<br />

<strong>del</strong>le uova è compreso tra aprile e giugno e viene effettuata una sola covata<br />

annua (8-14 uova), con eventuale covata di sostituzione.<br />

<strong>La</strong> cova inizia dalla deposizione <strong>del</strong>l’ultimo uovo ed è effettuata dalla sola<br />

femmina per 24-26 giorni. I pulli sono nidifughi e vengono accuditi<br />

da entrambi i genitori. L’involo avviene a circa 21 giorni e le dimensioni<br />

<strong>del</strong>l’adulto vengono raggiunte a 50-60 giorni. I giovani sono in grado di<br />

riprodursi a un anno di età.<br />

112<br />

113<br />

Picchio dalmatino o dorsobianco<br />

Nonostante il nome, la sottospecie lilfordi non presenta il dorso bianco ma<br />

fittamente barrato. Il becco è lungo e scuro, il vertice è rosso nel maschio e<br />

nero nella femmina, la parte ventrale è bianca finemente barrata di scuro. I<br />

principali caratteri diagnostici sono quindi costituiti dalla barratura bianca<br />

e nera <strong>del</strong> dorso e dal vertice rosso <strong>del</strong> maschio. In considerazione <strong>del</strong>la<br />

frequenza <strong>del</strong>la specie, il principale rischio di confusione è con il comune<br />

Picchio rosso maggiore Dendrocopos major, frequente in tutti i tipi di bosco,<br />

ma leggermente più piccolo, provvisto di due ampie spalline bianche<br />

facilmente visibili anche in volo. Il tipico tambureggiare con la fase finale<br />

accelerata ed il verso, simile a quello di un Merlo, costituiscono utili caratteri<br />

di riconoscimento, dal momento che le osservazioni nel bosco risultano<br />

spesso difficoltose. Si tratta di una specie strettamente associata alle<br />

foreste mature di latifoglie montane dove si riproduce, scavando il nido<br />

nel tronco di piante di grandi dimensioni, solitamente morte od in forte<br />

stato di deperimento; in tal senso assume molta importanza la gestione<br />

<strong>del</strong> legno morto nell’ambito <strong>del</strong>le pratiche forestali. <strong>La</strong> distribuzione <strong>del</strong>la<br />

specie riguarda due ambiti geografici principali: l’area dei Monti Ernici-<br />

Simbruini-P.N. d’Abruzzo, <strong>La</strong>zio e Molise, che costituisce il più importante<br />

settore occupato dalla specie in Italia ed è collocato soprattutto in Abruzzo<br />

e l’area <strong>del</strong> Monte <strong>Terminillo</strong>-Monte Nuria-Monte Giano. Queste due aree<br />

rappresentano i soli territori sicuramente occupati dalla specie in Italia,<br />

dove complessivamente sono stimate 240-300 coppie nidificanti, 60-80<br />

<strong>del</strong>le quali nella regione <strong>La</strong>zio (Bernoni & De Sanctis, 2011) ed una decina<br />

nei Monti Reatini (Bernoni, 2004). In questo comprensorio montano occupa<br />

esclusivamente le faggete, tra i 1000 ed 1800 metri di quota.


Balia dal collare<br />

E’ un piccolo Passeriforme migratore, nidificante nei boschi di caducifoglie<br />

(principalmente faggete), con predilezione per quelli in buono stato di conservazione,<br />

maturi e ricchi di cavità naturali. Nel <strong>La</strong>zio la specie presenta<br />

una distribuzione ristretta al piano montano; nidifica lungo l’Appennino,<br />

nel settore nord-orientale e meridionale, e su parte <strong>del</strong>le dorsali <strong>del</strong>l’Antiappennino<br />

(Monti Lepini), tra i 1100 ed i 1800 metri di quota.<br />

Nel corso degli studi effettuati per la redazione <strong>del</strong> Piano di Gestione <strong>del</strong><br />

SIC “Bosco di Vallonina IT6020009” sono state effettuate <strong>del</strong>le stime <strong>del</strong>la<br />

specie nel sito che hanno consentito di valutare la consistenza <strong>del</strong>la popolazione<br />

nidificante tra le 157 e le 219 coppie, con densità di 0,28-0,30 coppie<br />

per ettaro (Sarrocco e Calvario, 2004).<br />

Nel <strong>La</strong>zio la popolazione nidificante è probabile che superi le 1.000 coppie<br />

riproduttive (Brunelli et al., 2011). <strong>La</strong> ridotta disponibilità di cavità naturali<br />

può rappresentare un fattore limitante per la specie; a tal riguardo la<br />

Regione <strong>La</strong>zio ha finanziato al Comune di Leonessa uno specifico progetto<br />

finalizzato all’installazione di nidi artificiali con l’obiettivo di rendere disponibili<br />

<strong>del</strong>le cavità artificiali in particelle forestali da sottoporre a tagli di<br />

utilizzo, quale misura di conservazione attiva prevista nel Piano di Gestione<br />

<strong>del</strong> sito. Nel corso <strong>del</strong> mese di novembre 2008 nella faggeta <strong>del</strong> SIC “Bosco<br />

Vallonina ” sono stati installati 300 nidi artificiali, collocati tra 1.100 e<br />

1.600 m di quota, ad una altezza di 3-5 metri dal suolo. Il controllo dei nidi<br />

ha evidenziato l’occupazione <strong>del</strong> 12,5% dei nidi. Le covate controllate erano<br />

costituite da un numero medio di 5,9 uova ed hanno prodotto una media<br />

di 4,6 giovani all’involo(Sarrocco et al., 2009).<br />

114<br />

115<br />

Gracchio corallino<br />

È il più raro Corvide europeo ed è in declino in buona parte <strong>del</strong> suo areale<br />

ove il decremento interessa circa il 90% <strong>del</strong>le popolazioni europee conosciute.<br />

È una specie tipica d’alta montagna che occupa le praterie montane<br />

e d’altitudine, utilizzate per la ricerca <strong>del</strong> cibo e le pareti rocciose sulle<br />

quali nidifica, in anfratti o cenge.<br />

È una specie dal comportamento gregario e, dove numerosa, tende a nidificare<br />

in forma coloniale. Nel <strong>La</strong>zio è nidificante, con una distribuzione<br />

ristretta, concentrata esclusivamente lungo l’Appennino. Frequenta le praterie<br />

montane e d’altitudine, dai 1000 m s.l.m. sino alle massime quote.<br />

<strong>La</strong> specie è sedentaria, con erratismi durante il periodo invernale che la<br />

portano a frequentare le pianure intramontane ed anche i gruppi montuosi<br />

più costieri (Antiappennino) dove non nidifica. Attualmente nel <strong>La</strong>zio<br />

la specie nidifica lungo la dorsale appenninica, occupando i monti <strong>del</strong>la<br />

<strong>La</strong>ga e i Reatini, la Duchessa, i monti Simbruini, Ernici e <strong>del</strong>la Meta e le<br />

Mainarde. In un recente lavoro sono state censite nella regione 65 coppie<br />

di cui 34 nidificanti certe e 31 probabili, 18 <strong>del</strong>le 65 coppie sono state rinvenute<br />

entro una fascia di 2 km dal confine regionale. Sui Monti Reatini<br />

sono state stimate dalle 11 alle 24 coppie nidificanti (Bernoni et al., 2009).<br />

Oltre a cause di livello globale (cambiamenti climatici), la specie potrebbe<br />

essere sottoposta anche a fattori limitanti di scala regionale, come la riforestazione<br />

naturale dei pascoli montani, in corso nelle aree sommatali<br />

<strong>del</strong>le montagne appenniniche e la diminuzione <strong>del</strong>l’intensità di pascolamento<br />

che sembra interferire con l’alimentazione <strong>del</strong>la specie.


Lupo<br />

Specie con abitudini prevalentemente notturne, vive in unità sociali stabili<br />

(branchi), fortemente gerarchizzate, che cacciano, allevano la prole e<br />

difendono un territorio di dimensioni variabili (in Italia 150-250 km2), in<br />

maniera integrata e coordinata. Il branco corrisponde ad una unità familiare<br />

che si forma quando due individui di sesso opposto si incontrano e<br />

si riproducono su un territorio idoneo. In Italia la dimensione <strong>del</strong> branco<br />

è di 2-7 individui. <strong>La</strong> dieta è costituita prevalentemente da ungulati selvatici<br />

ma anche da ungulati domestici, rifiuti organici e materia vegetale<br />

(Boitani, 2008).<br />

Complessivamente in Italia si stima la presenza di 500-800 lupi ma questo<br />

valore è puramente indicativo (Boitani, 2008). Nel <strong>La</strong>zio comunque<br />

la specie sembra discretamente ben conservata, come testimoniato dagli<br />

avvistamenti regolari e dai danni causati al bestiame domestico. Sui Monti<br />

Reatini la specie è presente stabilmente: nel periodo 1992-1995 nove<br />

lupi sono stati uccisi nell’area, 4 di questi tra Leonessa, Poggio Bustone e<br />

Rivodutri. Un esemplare è morto per un laccio, due esemplari sono stati<br />

investiti, tre sono morti avvelenati. Tra gli esemplari morti, due esemplari<br />

giovani di 6 e 12 mesi. <strong>La</strong> presenza nell’area viene stimata in non meno<br />

di 3 esemplari (Cammerini 1998). <strong>La</strong> principale misura di conservazione<br />

da attuare con urgenza è una credibile lotta all’uso dei bocconi avvelenati<br />

e una graduale modifica dei sistemi di caccia al cinghiale. Inoltre si deve<br />

espandere l’uso dei cani da guardia per le greggi e migliorare la gestione ed<br />

il controllo <strong>del</strong> pascolo brado per equini e bovini.<br />

116<br />

117<br />

Orso<br />

L’Orso bruno è presente in Italia con due popolazioni disgiunte, quella<br />

Alpina e quella <strong>del</strong>l’Appennino centrale (geneticamente separate). Negli<br />

anni ‘70 la popolazione appenninica di Orso bruno era oramai confinata<br />

al territorio <strong>del</strong> Parco Nazionale d’Abruzzo ed alle aree montane immediatamente<br />

circostanti. Attualmente l’areale <strong>del</strong>la popolazione si estende<br />

all’interno <strong>del</strong> Parco Nazionale Abruzzo <strong>La</strong>zio Molise (PNALM) che, con<br />

le aree contigue, comprende una superficie di 1.500–2.500 km 2 mentre,<br />

nelle zone periferiche a tale area, solo periodicamente si registra la presenza<br />

di individui erratici che presentano quindi densità estremamente<br />

contenute. Sui Monti Reatini, i Monti <strong>del</strong>la <strong>La</strong>ga ed i Monti <strong>del</strong>la Duchessa<br />

la sua presenza è limitata, ma caratterizzata da continuità temporale, ed<br />

è dovuta a fenomeni di dispersione ed erratismo data la continuità territoriale<br />

ed ambientale con le porzioni centrali <strong>del</strong>l’areale distributivo <strong>del</strong><br />

PNALM (Bologna e Vigna Taglianti, 1992). Le informazioni disponibili<br />

sulla dimensione <strong>del</strong>la popolazione hanno portato ad una prima stima<br />

(2004) di 43 orsi (min. 35 - max. 67) all’interno <strong>del</strong>l’area centrale di presenza,<br />

mentre una seconda stima (osservazioni dirette, catture) ha ridotto<br />

a 40 gli orsi presenti nell’area centrale, con una densità di 3,3 orsi/100 km 2 .<br />

<strong>La</strong> specie per il rifugio predilige aree con copertura forestale, ma frequenta<br />

anche praterie, zone rocciose e coltivi. L’alimentazione onnivora è basata<br />

su risorse trofiche vegetali (erba, frutti carnosi e secchi) e animali (insetti,<br />

carcasse). Un fattore limitante è la disponibilità di siti di svernamento su<br />

aree impervie e indisturbate. Il dato più recente di presenza <strong>del</strong>la specie<br />

riferito ai Monti Reatini è quello relativo al 2010 sul Monte <strong>Terminillo</strong><br />

(Banca Dati Progetto PATOM).


<strong>La</strong>udato si’, mi Signore, per sor’acqua, la quale<br />

è molto utile et hùmele et pretiosa et casta<br />

San Francesco<br />

118<br />

119


Progetto laghetti e fontanili<br />

di Enrico Calvario e Silvia Sebasti<br />

Sui Monti Reatini, come in numerose altre località appenniniche i<br />

“fontanili”, ossia gli abbeveratoi costruiti dall’uomo per dissetare il<br />

bestiame domestico al pascolo, rivestono una notevole importanza<br />

anche dal punto di vista ecologico per le comunità di Anfibi, che trovano<br />

in queste strutture un habitat ideale per l’approvvigionamento trofico di<br />

larve e adulti e per completare il loro ciclo riproduttivo. Ciascun fontanile<br />

è di solito composto da una o più vasche di raccolta <strong>del</strong>l’acqua, da un’<br />

opera di presa che ne garantisce l’adduzione idrica da pozzi o falde, da un<br />

“troppo pieno” che ne mantiene stabile il livello.<br />

Nel tempo però queste strutture, laddove non adeguatamente mantenute<br />

e restaurate, essendo soggette ai danni causati dalle gelate e all’usura da<br />

parte <strong>del</strong> bestiame, appaiono spesso deteriorate, fatiscenti, in alcuni casi<br />

dirute. Divengono così inadeguate sia all’abbeveraggio che alla riproduzione<br />

degli Anfibi, perdendo completamente il loro ruolo funzionale. In<br />

questo contesto, la Provincia di Rieti, mettendo in atto alcune azioni di<br />

conservazione previste dal Piano di Gestione relativo alla ZPS dei Monti<br />

Reatini ha ultimato i 2 progetti di seguito indicati, destinati a ripristinare<br />

la funzionalità di fontanili e laghetti montani per renderli di nuovo idonei<br />

per l’abbeveraggio <strong>del</strong> bestiame e, con l’aggiunta di piccoli accorgimenti<br />

tecnici e di migliorarne l’idoneità per l’utilizzo da parte degli Anfibi:<br />

• Interventi Urgenti per la conservazione dei siti <strong>Natura</strong> 2000 Monti Reatini,<br />

Vallone di Rio Fuggio e Gruppo Monte <strong>Terminillo</strong> - “Interventi Urgenti<br />

per la Riqualificazione dei <strong>La</strong>ghetti Montani” e “Interventi Urgenti per la<br />

Riqualificazione Ambientale a tutela <strong>del</strong>la batracofauna”. Docup 2000-2006.<br />

120<br />

121


• Accordo di programma multiregionale in materia di biodiversità (APQ)<br />

nella ZPS “Monti Reatini”, nel SIC“Vallone <strong>del</strong> Rio Fuggio”, nel SIC “Gruppo<br />

Monte <strong>Terminillo</strong>” e nel SIC “Valle Avanzana - Fuscello”; interventi di<br />

riqualificazione ambientale a tutela <strong>del</strong>la batracofauna.<br />

Le opere realizzate sono finalizzate al mantenimento in buono stato di<br />

conservazione e alla ristrutturazione dei fontanili montani presenti nel<br />

comprensorio dei Monti Reatini, per preservarli dal naturale degrado e<br />

ripristinarne la totale funzionalità.<br />

Il progetto ha apportato migliorie ecologiche e funzionali mediante:<br />

• interventi per il miglioramento <strong>del</strong>la capacità idrica dei fontanili (risistemazione<br />

<strong>del</strong>le opere di presa e <strong>del</strong>le tubature, impermeabilizzazione interna<br />

<strong>del</strong>le vasche);<br />

• interventi sulle strutture murarie danneggiate (rimozioni di vasche dirute<br />

o crollate e di vasche non idonee, ripresa di pareti in cemento armato);<br />

• interventi per permettere la fruizione <strong>del</strong>le strutture da parte <strong>del</strong>l’erpetofauna<br />

(creazione di piccole zone umide recintate a valle dei fontanili stessi<br />

e di rampe di risalita interne alle vasche);<br />

• interventi di miglioramento <strong>del</strong>la naturalità complessiva dei siti (risistemazione<br />

<strong>del</strong>la pavimentazione perimetrale, copertura in pietra locale<br />

<strong>del</strong>l’esterno <strong>del</strong>le vasche e <strong>del</strong>le spallette, consolidamento di argini tramite<br />

viminate);<br />

• monitoraggio <strong>del</strong>l’habitat e <strong>del</strong>le specie.<br />

Il progetto nel suo complesso ha agito nel pieno rispetto <strong>del</strong>le caratteristiche<br />

naturali <strong>del</strong> contesto territoriale in cui si inserivano i singoli interventi<br />

e utilizzando materiali locali. Si è operato secondo criteri che hanno tenuto<br />

in considerazione la biologia <strong>del</strong>le specie di Anfibi presenti o potenzialmente<br />

presenti nella zona.<br />

<strong>La</strong> direzione lavori si è avvalsa <strong>del</strong> supporto di un erpetologo al fine di<br />

evitare qualsiasi danneggiamento o disturbo alle specie di Anfibi presenti<br />

nell’area durante i lavori di ripristino.<br />

122<br />

123<br />

Sotto la cresta Sassetelli si trova la sorgente più alta di tutti i<br />

Monti Reatini, si tratta <strong>del</strong> fontanile di Acquasanta che nella<br />

foto si trova nella radura tra i due lembi di faggeta.


GLI ANFIBI PRESENTI NEL COMPRENSORIO<br />

DEI LAGHETTI E DEI FONTANILI RIPRISTINATI<br />

di Enrico Calvario e Silvia Sebasti<br />

Sulla base <strong>del</strong>le segnalazioni bibliografiche disponibili e <strong>del</strong>le presenze<br />

accertate durante il procedere dei lavori dei progetti, le specie di<br />

Anfibi che frequentano o possono potenzialmente frequentare i fontanili<br />

e i laghetti dei Monti Reatini sono le seguenti:<br />

- URODELI<br />

• Salamandrina dagli occhiali Salamandrina perspicillata (Savi, 1821)*<br />

• Tritone crestato italiano Triturus carnifex (<strong>La</strong>urenti, 1768)<br />

- ANURI<br />

• Ululone dal ventre giallo appenninico Bombina pachypus (Bonaparte,<br />

1838)<br />

• Rospo comune Bufo bufo (Linnaeus, 1758)<br />

• Rane verdi Pelophylax bergeri Günther, 1985 e Pelophylax kl. hispanica<br />

Bonaparte, 1839<br />

• Rana appenninica Rana italica Doubois, 1987<br />

Riportiamo di seguito qualche cenno sulla biologia di questo gruppo animale<br />

con l’obiettivo di contribuire a farne meglio comprendere le esigenze<br />

ecologiche. Di origine greca, la parola “Anfibio” significa letteralmente<br />

“doppia vita”. Il ciclo vitale degli Anfibi è infatti solo parzialmente adattato<br />

alla vita nell’ambiente subaereo; la dipendenza dall’acqua rimane più o<br />

meno marcata per la riproduzione, per lo sviluppo larvale e, in alcuni casi,<br />

anche per la sopravvivenza degli stessi adulti: in queste specie più nettamente<br />

acquatiche infatti la cute, che svolge anche un’importante funzione<br />

respiratoria, è ricoperta solo da un sottile strato corneo, che deve essere<br />

mantenuto umido per evitare la disidratazione.<br />

124<br />

125<br />

anFibi UrodeLi<br />

Salamandrina dagli occhiali<br />

Salamandrina perspicillata<br />

(Savi, 1821)*<br />

Tritone crestato italiano<br />

Triturus carnifex<br />

(<strong>La</strong>urenti, 1768)


anFibi anUri<br />

Ululone dal ventre giallo<br />

appenninico<br />

Bombina pachypus (Bonaparte,<br />

1838)<br />

Rospo comune<br />

Bufo bufo<br />

(Linnaeus, 1758)<br />

126<br />

127<br />

Rane verdi<br />

Pelophylax bergeri Günther,<br />

1985 e Pelophylax<br />

kl. hispanica Bonaparte,<br />

1839<br />

Rana appenninica<br />

Rana italica<br />

Doubois, 1987


Le uova degli Anfibi possono essere deposte:<br />

- in grosse masse globulari flottanti sulla superficie<br />

<strong>del</strong>l’acqua o sul fondo (rane rosse e rane verdi),<br />

- in cordoni, in piccoli gruppi o anche singolarmente<br />

adesi alla vegetazione acquatica, alle pareti<br />

dei pozzi o dei fontanili, a sassi (Ululone appenninico,<br />

Rospo comune, Salamandrina dagli<br />

occhiali).<br />

- singolarmente chiuse in foglie di vegetazione<br />

acquatica (tritoni).<br />

Dopo la schiusa, le larve hanno bisogno, a seconda<br />

<strong>del</strong>la specie, <strong>del</strong>la tipologia di raccolta d’acqua<br />

e <strong>del</strong>le condizioni atmosferiche stagionali, di un<br />

periodo di tempo abbastanza lungo (cfr. tabella 1)<br />

per raggiungere la metamorfosi (per metamorfosi<br />

si intende il processo graduale attraverso il quale,<br />

sotto il controllo degli ormoni tiroidei, le larve si<br />

trasformano in individui adulti).<br />

Negli Anfibi Uro<strong>del</strong>i (salamandrine e tritoni)<br />

sono presenti casi di “neotenia”, in cui gli individui<br />

mantengono la morfologia larvale (e continuano<br />

quindi a respirare in acqua attraverso le<br />

branchie) ma sono in grado di riprodursi come<br />

adulti veri e propri. In questi casi, il prolungarsi<br />

<strong>del</strong>lo stadio larvale consente alle specie neoteniche<br />

di raggiungere dimensioni corporee maggiori<br />

e di sfruttare meglio l’ambiente acquatico,<br />

almeno finché le condizioni ambientali rimangono<br />

favorevoli. In caso di presenza di individui<br />

neotenici, che non possono sopravvivere<br />

fuori dall’acqua, è necessario porre particolare<br />

attenzione durante eventuali lavori di restauro<br />

a lasciare sempre sufficiente disponibilità idrica<br />

nell’invaso.<br />

Fra le specie sopra elencate, talune (Salamandrina<br />

dagli occhiali, Rospo comune, Rana appenninica),<br />

una volta raggiunta l’età adulta, sono<br />

svincolate dall’ambiente acquatico e tornano<br />

all’acqua solo nel periodo riproduttivo, a volte<br />

attardandosi anche dopo la riproduzione (Rane<br />

appenninica). L’Ululone appenninico è anch’esso<br />

svincolato dall’ambiente acquatico al di fuori <strong>del</strong><br />

periodo riproduttivo, che però può durare diversi<br />

mesi (da aprile a ottobre), durante i quali gli<br />

animali permangono in acqua o nelle immediate<br />

vicinanze. I tritoni invece sono gli anfibi che restano<br />

maggiormente legati all’ambiente acquatico<br />

durante il loro ciclo vitale, permanendo spesso<br />

per tutto l’anno, con escursioni terrestri nei<br />

periodi estivi, quando i corpi idrici si possono<br />

prosciugare.<br />

A seconda poi <strong>del</strong>le caratteristiche climatiche di<br />

ogni area, è possibile che talune specie possano<br />

essere presenti in acqua in stagioni differenti, a<br />

seconda <strong>del</strong>la disponibilità di acqua, come per<br />

esempio la Salamandrina dagli occhiali, che può<br />

riprodursi anche in autunno o in inverno (vedi<br />

Tab. 1).<br />

128<br />

129<br />

TABELLA n.1<br />

Periodi di presenza e fasi biologiche <strong>del</strong>le specie di Anfibi presenti<br />

nel comprensorio dei Monti Reatini (secondo Bologna et<br />

al., 2000). I dati sotto riportati sono da intendersi puramente<br />

indicativi perché la fenologia subisce variazioni profonde<br />

a seconda <strong>del</strong>l’altitudine, <strong>del</strong>l’esposizione al sole e <strong>del</strong> clima<br />

<strong>del</strong>l’anno. <strong>La</strong> verifica da parte di un erpetologo è sempre auspicabile<br />

prima di qualunque intervento sulle raccolte d’acqua.<br />

Salamandrina<br />

dagli occhiali<br />

Trirone<br />

crestato italiano<br />

Ululone a<br />

ventre giallo<br />

Rospo<br />

comune<br />

Rane<br />

verdi<br />

Rane<br />

appenninica<br />

GEN fEB MAR APR MAG Giu LuG AGo SEt ott NoV dic<br />

A, U<br />

A, U<br />

-<br />

A, U<br />

-<br />

A<br />

A,U,L<br />

A, U<br />

LEGENDA: A:Adulti, U:Uova, L:<strong>La</strong>rve, N:Neometamorfosati<br />

-<br />

A,U,L<br />

-<br />

A, U<br />

A,U,L<br />

A,U,L<br />

A<br />

A,U,L<br />

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A,U,L<br />

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A,L,N<br />

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A<br />

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-<br />

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A, N<br />

-<br />

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-<br />

A,L,N<br />

-<br />

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A<br />

A<br />

-<br />

A,N<br />

-<br />

A<br />

A<br />

A<br />

-<br />

A<br />

-<br />

A<br />

A<br />

-<br />

A<br />

-<br />

A


Abbiamo la Terra non in eredità dai<br />

genitori, ma in affitto dai figli.<br />

Proverbio Indiano<br />

130<br />

131


GLI INTERVENTI PER LA TUTELA E VALORIZAZIONE<br />

DI FONTANILI E LAGHETTI<br />

Di seguito si riporta una descrizione sintetica dei 2 laghetti e dei 18<br />

fontanili ripristinati a seguito <strong>del</strong>la realizzazione dei progetti, la loro<br />

localizzazione, la potenzialità per le specie di Anfibi di interesse comunitario<br />

segnalate nei Siti <strong>Natura</strong> 2000 interessati. I fontanili e i laghetti<br />

interessati si trovavano, nel complesso, in uno stato di conservazione<br />

mediocre, presentavano alcuni difetti e/o cedimenti strutturali che si<br />

è ritenuto opportuno sistemare prima che ne venisse ulteriormente e<br />

definitivamente pregiudicata l’integrità ecologica. <strong>La</strong> presenza in quota<br />

di numerose risorgive sui Monti Reatini ha permesso la costruzione di<br />

molti fontanili alcuni dei quali presenti già in epoca medioevale, anche<br />

se la loro diffusione in tutto il territorio risale al “900. Inizialmente<br />

erano costruiti in legno, i trocchi, poi convertiti in pietra quindi in muratura.<br />

Dagli anni “80 con l’abbandono progressivo da parte di greggi<br />

e più in generale <strong>del</strong>le attività <strong>del</strong>l’uomo in montagna hanno perso<br />

di importanza e anno dopo anno si sono deteriorati, talvolta distrutti.<br />

Per questo il progetto di ristrutturazione dei fontanili, funzionale alla<br />

presenza di anfibi si è ampiamente guadagnato il merito di restituirci<br />

anche dei monumenti <strong>del</strong>la vita in montagna. <strong>La</strong> loro individuazione,<br />

avvenuta in collaborazione con i Comuni, si è anche basata sulla<br />

potenzialità <strong>del</strong>la presenza di anfibi segnalate. Tuttavia bisogna considerare,<br />

al fine <strong>del</strong>la conservazione di queste specie, che la rete dei<br />

fontanili presenti nei Monti Reatini supera le cento unità e quasi tutti<br />

sono collegati o raggiungibili dalla rete di sentieri <strong>del</strong> CAI. Il progetto<br />

si è occupato di quei fontanili particolarmente strategici in condizioni<br />

non ottimali sia da un punto di vista strutturale che per la necessaria<br />

funzionalità alla riproduzione degli Anfibi.<br />

LEGENDA<br />

LAGHETTI:<br />

1- LAGO DI MONTE TILIA<br />

2- LAGO DELLA CROCE<br />

FONTANILI:<br />

3- FONTE DELLA ROCCA 1200 m.<br />

4- FONTE FORCELLA 1200 m.<br />

5- FONTE MIGLIONICO 1.315 m .<br />

6- FONTE PORCINI 1482 m.<br />

7- FONTE DEL PERO 1300 m.<br />

8- FONTE CASALE D’ANTONI 1264 m.<br />

9- FONTE DEI CAVALLI 1580 m.<br />

10- FONTE PORCINI 1564 m.<br />

11- FONTE DI CAMBIO 1779 m.<br />

12- FONTE PORANA 1372 m.<br />

13- FONTE PACCE-GROTTA 600 m.<br />

14- FONTE DEL FAGGIO 990 m.<br />

15- FONTE TRONCHETTO 1200 m.<br />

16- GALAFONTE 1.153 m.<br />

17- FONTE DEL BOBB0 954 m.<br />

18- FONTE COLLE CROCE TOSTONE 1022 m.<br />

19- FONTE DEL PRATO SANTO 1206 m.<br />

20- FONTE ARACUCCA 1089 m.<br />

132<br />

133


<strong>La</strong> riqualificazione <strong>del</strong> laghetto<br />

e dei fontanili presenti su<br />

Monte Tilia (Fonte Forcella e<br />

Fonte <strong>del</strong>la Rocca) risponde<br />

alla strategia di realizzare una<br />

rete di raccolte d’acqua tale da<br />

supportare la diffusione degli<br />

individui nel territorio, offrendo<br />

loro la possibilità di<br />

raggiungere altre popolazioni<br />

già presenti oppure di rappresentare<br />

propaguli potenzialmente<br />

capaci di colonizzare<br />

nuovi siti riproduttivi.<br />

Il sentiero che parte da Leonessa<br />

(970 m.) è di facile percorrenza,<br />

sale attraversando la<br />

faggeta fino a giungere ai prati<br />

in quota, il lago di Monte Tilia<br />

si trova nel naturale catino formato<br />

dai versanti.<br />

LAGO DEL TILIA 1.600 m<br />

(Comune di Leonessa)<br />

134<br />

135<br />

Il laghetto <strong>del</strong>la Croce o <strong>del</strong>la<br />

Guardia è situato nel mezzo<br />

di un pascolo in quota,<br />

circondato da una faggeta.<br />

Come tutti i laghetti montani,<br />

è un habitat in rarefazione.<br />

L’importanza <strong>del</strong> recupero<br />

di queste tipologie di<br />

raccolte d’acqua, ormai sempre<br />

più rare, non è solo fin<br />

lizzata a mantenere siti riproduttivi<br />

di Anfibi, ma soprattutto<br />

a costituire una riserva<br />

idrica utilizzabile in<br />

quota, dalla fauna domestica<br />

e selvatica.<br />

Quello che giunge al Colle <strong>La</strong><br />

Croce (1.626 m.) e all’ omonimo<br />

laghetto, per i Leonessani,<br />

è molto più di un sentiero.<br />

Infatti rappresenta una<br />

sorta di pellegrinaggio che<br />

ogni anno, in agosto, compiono<br />

per onorare il loro patrono,<br />

San Giuseppe da Leonessa.<br />

Dal laghetto inizia una<br />

lunga dorsale che conduce ai<br />

Monti Catabio e Cambio.<br />

LAGO DELLA CROCE 1.550 m<br />

(Comune di Leonessa)


Proprio per la sua collocazione,<br />

all’interno di un matrice<br />

forestale ricca di arbusti, il<br />

fontanile costituisce un buon<br />

sito riproduttivo e di rifugio<br />

per gli Anfibi.<br />

Il fontanile si incrocia proprio<br />

su un tornante <strong>del</strong> sentiero<br />

che collega Leonessa (969 m.)<br />

a Monte Tilia (1.775 m.). Vale<br />

la pena percorrere la variante<br />

<strong>del</strong> sentiero che giunge alla<br />

Rocca di Leonessa, una fortificazione<br />

nata nel XIII sec. per<br />

volontà di re Carlo d’Angiò.<br />

Dalla rocca si gode una vista<br />

molto ampia su Leonessa e altopiano.<br />

FONTE DELLA ROCCA 1200 m.<br />

(Comune di Leonessa)<br />

136<br />

137<br />

Il fontanile insieme al <strong>La</strong>ghetto<br />

<strong>del</strong> Tilia ed alla Fonte<br />

<strong>del</strong>la Rocca forma una rete<br />

di raccolte d’aqua. Questo<br />

aspetto insieme alla presenza<br />

di vegetazione acquatica<br />

al suo interno e alla vicinanzacon<br />

il bosco lo rendono<br />

fortemente idoneo quale sito<br />

riproduttivo per Anfibi.<br />

Il sentiero è lo stesso che parte<br />

da Leonessa e attraversa i<br />

prati intorno al laghetto di<br />

Monte Tilia, infatti il fontanile<br />

si trova poco più a valle<br />

<strong>del</strong> lago. Il percorso continua<br />

verso Monte Corno e Collelungo,<br />

sullo storico confine<br />

tra Stato <strong>del</strong>la Chiesa e Regno<br />

di Napoli, segnalato dai cippi<br />

di confine, il sentiero scende<br />

alla Forca <strong>del</strong> Fuscello.<br />

FONTE FORCELLA 1551 m.<br />

(Comune di Leonessa)


<strong>La</strong> fonte, situata all’interno di<br />

una faggeta, presenta elevate<br />

potenziali biologiche per la<br />

riproduzione degli Anfibi. Lo<br />

stato di degrado in cui versava<br />

però la muratura <strong>del</strong> fontanile<br />

non consentiva la permanenza<br />

di adeguati livelli di acqua<br />

all’interno <strong>del</strong>le vasche.<br />

Il fontanile Miglionico si trova<br />

sull’omonimo fosso e si può<br />

raggiungere su un comodo sentiero<br />

che congiunge due <strong>del</strong>le<br />

località più frequentate dei<br />

Monti Reatini, Pian dé Valli e<br />

Pian dé Rosce.<br />

FONTE MIGLIONICO 1.315 m<br />

(Comune di Rieti)<br />

138<br />

139<br />

Il fontanile, privo di acqua a<br />

causa <strong>del</strong>la perdita <strong>del</strong>l’impermeabilità<br />

<strong>del</strong>levasche, si<br />

trovava in forte stato di degrado.<br />

<strong>La</strong> sua collocazione<br />

prossima ad un vasto sistema<br />

forestale lo rendeva idoneo<br />

quale sito riproduttivo<br />

di Anfibi e quindi meritevole<br />

di ristrutturazione.<br />

Al fontanile di Monte Porcini<br />

si può giungere attraverso<br />

una strada sterrata dalla località<br />

Cinque Confini. In inverno<br />

quest’area è percorsa<br />

da un’ottima rete di piste per<br />

lo sci di fondo.<br />

FONTE PORCINI 1482 m.<br />

(Comune di Borgovelino)


Il fontanile denotava segni<br />

di rottura in alcuni punti <strong>del</strong><br />

muretto di contenimento, sia<br />

a monte che a valle; ciò avrebbe<br />

potuto, nel tempo, pregiudicarne<br />

la stabilità e la funzionalità<br />

ecologica, quale sito<br />

riproduttivo di Anfibi.<br />

Al fontanile di Monte Porcini<br />

si può giungere attraverso<br />

una strada dalla località Cinque<br />

Confini.<br />

FONTE DEL PERO 1300 m.<br />

(Comune di Cittaducale)<br />

140<br />

141<br />

Anche in questo caso il fontanile<br />

mostrava segni di cedimento<br />

in alcuni punti <strong>del</strong><br />

muretto di contenimento<br />

con significativa perdita<br />

d’acqua che non lo rendeva<br />

idoneo ad ospitare popolazioni<br />

di Anfibi.<br />

Il fontanile si trova al fianco<br />

<strong>del</strong>l’omonimo casale. Si raggiunge<br />

da Cittaducale attraverso<br />

una comoda strada.<br />

FONTE CASALE D’ANTONI 1265 m.<br />

(Comune di Cittaducale)


Il fontanile, prima dei lavori<br />

completamente dismesso, presentava,<br />

per la sua collocazione,<br />

caratteristiche idonee alla<br />

colonizzazione da parte di<br />

Anfibi. Quest’area è infatti una<br />

<strong>del</strong>le più interne e intatte dei<br />

Monti Reatini.<br />

Quest’area è una <strong>del</strong>le più interne<br />

e intatte dei Monti Reatini.<br />

Si raggiunge attraverso<br />

un sentiero panoramico che<br />

parte dalla Sella di Jaccio Cru<strong>del</strong>e,<br />

scende al rifugio Porcini<br />

per poi risalire i costoni di<br />

Valle Scura.<br />

FONTE DEI CAVALLI 1580 m.<br />

(Comune di Posta)<br />

142<br />

143<br />

Il fontanile, prima <strong>del</strong> ripristino,<br />

non presentava caratteristiche<br />

idonee a svolgere<br />

il ruolo di sito riproduttivo<br />

per Anfibi.<br />

A fianco <strong>del</strong> fontanile si trova<br />

un rifugio montano un tempo<br />

utilizzato dai pastori. Infatti<br />

quest’area è stata sempre<br />

frequentata da greggi per la<br />

ricchezza dei pascoli e disponibilità<br />

di acqua.<br />

FONTE PORCINI 1564 m.<br />

(Comune di Posta)


Il fontanile si trova sul versante<br />

ovest <strong>del</strong> Monte di Cambio,<br />

al limite <strong>del</strong>la vegetazione boschiva.<br />

Sullo stesso gruppo<br />

montuoso sono presenti ulteriori<br />

raccolte d’acqua artificiali.<br />

<strong>La</strong> più vicina si trova nei pressi<br />

<strong>del</strong> vicino Rifugio di Vallebona,<br />

mentre, sul versante nord<br />

<strong>del</strong> Monte di Cambio, si trova<br />

la Fonte Porana e, a sud-est, la<br />

Fonte dei Cavalli. Vicino Monte<br />

Porcini è inoltre posizionata<br />

l’omonima fonte. <strong>La</strong> strategia<br />

di riqualificare un sistema<br />

di punti d’acqua spazialmente<br />

tra loro in relazione, tende<br />

a facilitare i contatti riproduttivi<br />

tra le popolazioni di Anfibi<br />

presenti sul territorio.<br />

Il fontanile si raggiunge percorrendo<br />

uno dei sentieri che<br />

conducono al Monte Cambio.<br />

Si trova dopao la faggeta<br />

prima dei pendii che conducono<br />

sulla vetta.<br />

FONTE DI CAMBIO 1779 m.<br />

(Comune di Leonessa)<br />

144<br />

145<br />

Fontanile particolare e suggestivo,<br />

formato da una serie<br />

di vasche posizionate all’interno<br />

di un vasto sistema forestale.<br />

<strong>La</strong> naturalità <strong>del</strong>l’area<br />

e la presenza di numerosi<br />

nascondigli caratterizza questa<br />

raccolta d’acqua, lasciando<br />

presupporre una elevata<br />

potenzialità quale sito riproduttivo<br />

per Anfibi.<br />

Questa fonte è raggiungibile<br />

sia dal paese di Albaneto,<br />

per un percorso più lungo,<br />

che attraversando i Monti<br />

Reatini partendo dalla Sella<br />

di Leonessa, salendo su<br />

Monte di Cambio per ridiscendere<br />

a Albaneto.<br />

FONTE PORANA 1372 m.<br />

(Comune di Leonessa)


Il fontanile, composto da 3<br />

vasche e una grotticina artificiale,<br />

si trovava in un discreto<br />

stato di conservazione ed ha<br />

necessitato di limitati interventi<br />

di ristrutturazione. Presenti<br />

Characee e numerose<br />

specie di Invertebrati acquatici:<br />

è stata inoltre accertata la<br />

presenza <strong>del</strong>la Salamandrina<br />

dagli occhiali.<br />

Il fontanile si trova in un contesto<br />

paesaggestico di grande<br />

bellezza, si può raggiungere<br />

attraverso una strada carrabile<br />

dal paese di Morro Reatino.<br />

Dal fontanile è possibile percorrere<br />

la valle sia verso Leonessa,<br />

attraverso il Passo <strong>del</strong><br />

Fuscello, che verso valle raggiungendo<br />

il lago di Piediluco.<br />

FONTE PACCE-GROTTA 600 m.<br />

(Comune di Morro Reatino )<br />

146<br />

147<br />

Il fontanile, composto da 5<br />

vasche, si trovava in un discreto<br />

stato di conservazione<br />

e presentava buone potenzialità<br />

per gli Anfibi.<br />

Questo fontanile si trova<br />

sulla strada provinciale che<br />

collega Morro Reatino a Leonessa.<br />

Si raggiunge dalla<br />

strada attraverso un facile<br />

sentiero.<br />

FONTE DEL FAGGIO 990 m.<br />

(Comune di Morro Reatino )


Il fontanile, composto da 11<br />

vasche, si trovava in un discreto<br />

stato di conservazione. L’apporto<br />

d’acqua era abbondante<br />

in tutte le vasche anche se era<br />

presente una forte perdita idrica.<br />

E’ stata accertata la presenza<br />

<strong>del</strong>la Salamandrina dagli<br />

occhiali<br />

L’interessante percorso che<br />

conduce al fontanile parte dal<br />

paese di Rivodutri, la strada<br />

sale alla località il Cepparo,<br />

poi continua verso l’area in<br />

cui si trova il Faggio di San<br />

Francesco.<br />

FONTE TRONCHETTO 1200 m.<br />

(Comune di Rivodutri )<br />

148<br />

149<br />

Il fontanile, composto da<br />

una lunga vasca, si trovava<br />

in un discreto stato di conservazione<br />

ed è stata accertata<br />

la presenza <strong>del</strong>la Salamandrina<br />

dagli occhiali. Fonte<br />

molto frequentata da bestiame<br />

domestico.<br />

Il fontanile si trova sulla<br />

strada sterrata che collega<br />

Cantalice al Rifugio Castiglioni.<br />

FONTE ARACUCCA 1089 m.<br />

(Comune di Cantalice )


Il fontanile, composto da 3 vasche<br />

in cemento, si trovava in<br />

cattivo stato di conservazione.<br />

L’apporto d’acqua era scarso e<br />

discontinuo, le vasche presentavano<br />

crepe e discontinuità<br />

che non permettevano una<br />

costante presenza <strong>del</strong>l’acqua<br />

all’interno.<br />

<strong>La</strong> strada per giungere aquesto<br />

fontanile è quella che da<br />

Poggio Bustone conduce quasi<br />

in cima a Monte Rosato. Il<br />

fontanile si trova sulla strada.<br />

GALAFONTE 1.153 m.<br />

(Comune di Poggio Bustone )<br />

150<br />

151<br />

Il fontanile, composto da<br />

una sola vasca, si trovava in<br />

un discreto stato di conservazione.<br />

Questa fonte è raggiungibile<br />

sempre da Poggio Bustone.<br />

Il toponimo “Bobbo” sta a significare<br />

spauracchio. Questi<br />

nomi erano tipici nelle<br />

aree di confine, come questa<br />

tra Rivodutri e Poggio Bustone.<br />

FONTE DEL BOBBO 954 m.<br />

(Comune di Poggio Bustone )


Il fontanile, composto da 5<br />

vasche in cemento e 1 vasca<br />

finale aggiunta, formata da<br />

una vasca da bagno casalinga<br />

(!), si trovava in uno stato di<br />

conservazione discreto. L’apporto<br />

d’acqua era molto abbondante<br />

ed era presente un<br />

cospicuo sversamento all’esterno.<br />

Un leggero dissesto<br />

<strong>del</strong> terreno a monte causava<br />

inoltre ingresso di terriccio e<br />

fango all’interno <strong>del</strong>le vasche.<br />

Questo itinerario può avere il<br />

suo inizio dal santuario francescano<br />

di Poggio Bustone, da<br />

dove una strada sterrata risale<br />

e attraversa la Valle Petrinara<br />

fino a giungere in un pianoro<br />

dove si trova il fontanile.<br />

Anche da qui vi sono ottimi<br />

panorami sia sulla pianura reatina<br />

che verso il <strong>Terminillo</strong>.<br />

FONTE COLLE CROCE TOSTONE 1022 m.<br />

(Comune di Poggio Bustone)<br />

152<br />

153<br />

Il fontanile è composto da 3<br />

vasche di cui la finale era completamente<br />

diruta. Buona la<br />

potenzialità per gli Anfibi.<br />

Per raggiungerlo si percorre<br />

la strada sterrata che sale su<br />

Monte Rosato fino a giungere<br />

ai Prati di San Giacomo. Da<br />

qui si osserva uno dei panorami<br />

più suggestivi sulla pianura<br />

reatina. Quest’area è anche<br />

frequentata come base di<br />

lancio per <strong>del</strong>taplani e parapendio.<br />

FONTE DEL PRATO SANTO 1206 m.<br />

(Comune di Poggio Bustone)


<strong>La</strong> cultura <strong>del</strong>la montagna<br />

di Giancarlo Cammerini<br />

Chi è stato il primo uomo a salire sul <strong>Terminillo</strong>, cima più alta dei<br />

Monti Reatini? <strong>La</strong> prima ascesa documentata risale al 1818, protagonista<br />

un botanico danese. Ma se pensiamo che la vetta <strong>del</strong> Gran<br />

Sasso – la più alpina di tutte le vette appenniniche – sia stata scalata nel<br />

1573, è facile supporre che i prati erbosi di Terminilletto e poi le rocce di<br />

Sassetelli siano stati scalati molti anni o secoli prima.<br />

Forse a salire per primo è stato un uomo <strong>del</strong>le popolazioni sabine che, nel<br />

celebrare il rito <strong>del</strong>la primavera sacra, offrendo sacrifici agli déi, ha pensato<br />

di violare la loro casa giungendo fino in cima. O forse è stato qualche<br />

uomo <strong>del</strong>le legioni romane, dopo aver disboscato i pendii boscosi, o qualche<br />

pellegrino medievale che nell’intento di trovare spiritualità, espiazione<br />

ha voluto toccare la vetta per sentirsi redento; o magari qualche viaggiatore<br />

rinascimentale desideroso di ammirare la bellezza <strong>del</strong> panorama nella<br />

sua massima ampiezza.<br />

A me piace credere che sia stato un semplice montanaro, di qualche epoca<br />

passata – non è importante quale – a valicare uno dei tanti passi che conducono<br />

alla vetta <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> e che abbia avuto, per scelta o per destino,<br />

la volontà di salire fino in cima; e vista la consuetudine di questi uomini<br />

nel valicare i passi e attraversare valli, può anche darsi che non gli abbia<br />

dato nemmeno importanza. Del resto, quello che noi chiamiamo escursionismo,<br />

per loro era soltanto la vita quotidiana. In questa, come in altre<br />

pubblicazioni, con dovizia di particolari, si cerca di fare una descrizione<br />

<strong>del</strong>le valli e <strong>del</strong>le cime dei nostri monti, descrizioni che non sarebbero servite<br />

ai montanari di allora, perché la montagna era il loro luogo nativo,<br />

dove vivere e lavorare.<br />

154<br />

155<br />

<strong>La</strong> scomparsa dei<br />

montanari ha portato<br />

via tremila anni di storia,<br />

ovvero da quando l’uomo<br />

inizio a valicare queste<br />

valli con greggi e mandrie.


156<br />

157<br />

Così se ci si domanda a chi appartiene la cultura <strong>del</strong>le montagne reatine, la<br />

risposta è semplice: senza dubbio alla gente che nei secoli ha popolato la corona<br />

di paesi che circonda i monti reatini. Gioielli che al viaggiatore restituiscono<br />

la lentezza e la saggezza <strong>del</strong>la cultura <strong>del</strong>la montagna, di quel modus<br />

vivendi che fino agli anni Sessanta ancora sussisteva incontrastato le valli e i<br />

boschi di questi monti.<br />

Fin dall’età <strong>del</strong> bronzo sono state rilevate tracce <strong>del</strong>l’uomo, almeno sulle pendici<br />

<strong>del</strong>la montagna. Con il passare <strong>del</strong> tempo la presenza umana è aumentata,<br />

grazie alla romanizzazione <strong>del</strong>la Sabina ad esempio, ma è con l’incastellamento<br />

medioevale che si evolve in una vera e propria occupazione di tutti i<br />

versanti dei Monti Reatini, le cui vestigia è possibile vedere ancora oggi. Dai<br />

paesi pedemontani, ci si spostava in alto con eremi, chiesette, stazzi, terrazzamenti,<br />

roccaforti, vedette e si attraversavano valichi fino ai 1900 metri, la<br />

presenza umana era paradossalmente più viva allora di quella di oggi.<br />

Poi, nel Settecento inizia una nuova frequentazione, c’è il Gran Tour, i rampolli<br />

<strong>del</strong>le nobili famiglie viaggiano cercando le bellezze artistiche ma anche<br />

avventure tra le montagne appenniniche. I Monti Reatini rimanevano fuori<br />

dai grandi circuiti più famosi, tuttavia anche qui giungono le pulsioni <strong>del</strong> romanticismo<br />

che vede nei paesaggi montani un’inesauribile fonte d’ispirazione,<br />

portò tra queste montagne viaggiatori, artisti, letterati e scienziati.<br />

Una <strong>del</strong>le figure che ci ha lasciato, con i suoi disegni e scritti, una testimonianza<br />

preziosa <strong>del</strong> tempo è l’inglese Edward Lear, fa un bellissimo racconto<br />

di queste montagne le descrive impervie, però guardandole da lontano,<br />

senza addentrarsi, altrimenti avrebbe scoperto che sui passi, nelle valli era<br />

un pullulare di attività e quei luoghi erano molto familiari alle popolazioni<br />

dei paesi pedemontani. Invece un uomo che farà una conoscenza più approfondita,<br />

e giungendo sino alla vetta più alta è il naturalista olandese Joakim<br />

Frederik Schouw, un autorevole botanico che farà una ricognizione naturalistica<br />

<strong>del</strong>l’area, di fatto iniziando l’esplorazione naturalistica dei Monti Reatini.<br />

Nell’Ottocento e poi in maniera più decisa nel Novecento inizia una<br />

frequentazione <strong>del</strong>la montagna completamente slegata dalle esigenze ma-


teriali, la montagna diviene luogo di ardimento, di svago, di studio e di<br />

contemplazione, inizia l’epoca <strong>del</strong>le salite alpinistiche, una forma di conoscenza<br />

e di cultura <strong>del</strong>lo stare in montagna incomprensibile per chi viveva<br />

di montagna. Per i montanari era già talmente dura la vita che non vi era<br />

motivazione di prendere altri rischi e fatiche, tuttavia i più validi e intraprendenti<br />

trasformarono in un lavoro extra quello di fare da guida a chi<br />

veniva dalla città offrendogli riparo, cibo e indicazioni per esplorare quelle<br />

valli e crinali che loro già conoscevano bene. Nel paese di Lisciano, la guida<br />

Giuseppe Munalli era una <strong>del</strong>le più rinomate. Questa attrazione per le<br />

vette e la voglia di conquista provenivano da chi le montagne le guardava<br />

da lontano, come sfida, gioco, rigenerazione per la stanca routine <strong>del</strong>la città,<br />

certamente un altro percorso culturale. (R. Marinelli, <strong>Terminillo</strong>. Storia<br />

di una montagna, cit.).<br />

Dal dopoguerra inzia un rapporto con la montagna sempre più funzionale<br />

al divertimento, inizia il turismo di massa. <strong>La</strong> montagna viene spogliata<br />

dei molti valori culturali e ambientali e viene allegerita la sua severità semplicemente<br />

ricostruendo un parco giochi cittadino sulla neve. Tutto inizia<br />

con una gita di Benito Mussolini che, aiutato dai valligiani, a dorso di mulo,<br />

giunse fino all’attuale Pian de Valli. Era il 22 gennaio 1933, una salita invernale<br />

che cambiò la storia <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>. Il Duce alla fine <strong>del</strong>l’escursione<br />

pronunciò la famosa frase: “<strong>La</strong> prossima volta tornerò in automobile”.<br />

Da quel momento nascono i progetti di urbanizzazione <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>; i<br />

reatini si sforzano di dare un nuovo volto alla montagna, di farla conoscere<br />

a coloro che avrebbero talmente fuorviato la cultura di quei luoghi da farla<br />

chiamare “Montagna di Roma”. Di seguito, la costruzione di alberghi e piste<br />

da sci ha dato il via al turismo, prima borghese, poi di massa <strong>del</strong>la Capitale.<br />

Probabilmente la montagna non è dei Romani ed è poco dei Reatini, da<br />

sempre legati più alla nebbiosa pianura che alle cime assolate <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>.<br />

Per questo hanno imparato a conoscere questa montagna insieme ai<br />

turisti romani e riconducono la sua storia principalmente agli eventi che<br />

hanno portato alla costituzione <strong>del</strong>la stazione sciistica e al conseguente svi-<br />

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160<br />

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luppo; a quei processi cioè che hanno definitivamente portato all’emarginazione<br />

<strong>del</strong>le genti di montagna e <strong>del</strong>la loro cultura. Certo, anche a Rieti si formò<br />

un gruppo di forti scalatori <strong>del</strong> CAI che nel corso degli anni sono stati<br />

protagonisti <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>l’alpinismo locale.<br />

Tuttavia, ancora oggi si tende a concepire lo spazio montano come un luogo<br />

privo di storia naturale e umana, a uso di un popolo di pendolari provenienti<br />

dalla città. Questi però ignorano i sentieri che attraversavano le valli, gli antichi<br />

ripari e la lentezza di una vita certamente più dura, ma soprattutto non<br />

comprendono la natura e il valore scientifico e culturale che essa contiene.<br />

Eppure il matrimonio tra uomo e montagna in tutte le culture ha rappresentato<br />

un elemento costante e vivo. Fin dall’antichità, con la loro bellezza, le<br />

montagne hanno conquistato artisti, filosofi e mistici, diventando simbolo di<br />

ascesi in senso fisico, morale e spirituale. Certo, anche altri ambienti offrono<br />

scenari “fantastici”, come i mari, le foreste, le pianure e i deserti che sono<br />

uno spettacolo <strong>del</strong>la natura. Come dice Dino Buzzati: <strong>La</strong> montagna ha due<br />

dimensioni eccezionali, la ripidezza e l’immobilità: la prima moltiplica la sensazione<br />

di lontananza e accresce il senso <strong>del</strong> mistero; la seconda crea una fatale<br />

tendenza <strong>del</strong>l’uomo a uno stato di tranquillità.<br />

Tuttavia l’idea <strong>del</strong>l’ascesa-ascesi, <strong>del</strong>la montagna come dimora degli dèi celesti<br />

o luogo eletto per l’iniziazione al mistero divino, <strong>del</strong>la congiunzione terracielo<br />

nella sublimità <strong>del</strong>le altezze, è costante in tutte le culture. È il Sinai di<br />

Mosè e, nel Nuovo Testamento, il Monte degli Olivi e il Golgota. Ma è anche<br />

l’Olimpo dei Greci, nella tradizione Indù, il monte Meru nella catena <strong>del</strong>l’Himalaya,<br />

è il luogo dove Shiva medita e si realizza spiritualmente; gli antichi<br />

ariani <strong>del</strong>l’India non avevano templi, era sulle cime dei monti che compivano<br />

i loro rituali. Nelle più antiche tradizioni elleniche, l’eroe sparisce tra le cime<br />

<strong>del</strong>le montagne; in quelle buddhiste si parla di una montagna, dove scompaiono<br />

gli uomini giunti al risveglio spirituale; in quelle taoiste c’è l’immagine <strong>del</strong><br />

monte Kuen-Lun, dove esseri regali bevono la bevanda <strong>del</strong>l’immortalità. Nelle<br />

civiltà precolombiane, gli imperatori, sacralizzati, si occultavano sui monti dopo<br />

la morte che, anche qui, non è vista come dissoluzione ma come apertura


verso l’aldilà. <strong>La</strong> montagna, che si configura come luogo di ascesa spirituale<br />

ma anche arena di azione e ardimento (l’uomo che si arrampica), secondo il<br />

filosofo René Dumal mette in opera una sorta di metafisica pratica, l’ascensione:<br />

quando diviene ascesi affranca i muscoli dalla fatica e si giunge alla<br />

conquista contemplativa <strong>del</strong>la vetta e di se stessi.<br />

Nel XII secolo San Bonaventura, autore di un Itinerarium mentis in Deum,<br />

notava Ascender in montem, id est in eminentiam mentis. Salire dunque voleva<br />

dire saggiare il corpo e lo spirito. Anche Dante dopo essersi tuffato<br />

nell’abisso infernale per conoscere il male e superarlo, opera la propria purificazione<br />

salendo, di grado in grado, su per il monte Purgatorio, verso il<br />

Paradiso terrestre che gli schiuderà la vista dei cieli; anch’egli cresce in salita,<br />

libero e leggero, tanto da avvertire sempre meno il far<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> proprio<br />

corpo. <strong>La</strong> montagna è il passaggio verso l’alto, <strong>del</strong>la rilevazione e <strong>del</strong> dono:<br />

sopra Poggio Bustone, San Francesco riceve da Dio conferme <strong>del</strong>la propria<br />

conversione, come Petrarca giungerà al momento risolutivo <strong>del</strong>la propria<br />

crisi spirituale ascendendo al monte Ventoso, in Provenza. Lo sguardo diviene<br />

puro di fronte al paesaggio montano, corre libero dalle stagnazioni<br />

e incrostazioni che la pianura ha creato. Il Discorso <strong>del</strong>la Montagna, il<br />

sermone rivolto da Gesù ai suoi discepoli, riportato nel Vangelo secondo<br />

Matteo 5,1-7,28 è uno dei messaggi più forti <strong>del</strong> Cristianesimo.<br />

Nel libro, Il Monte Analogo di Daumal, la montagna ha una cima inaccessibile<br />

ma una base accessibile. Questo incontro tra azione e contemplazione<br />

è uno dei principi guida di uno dei più grandi alpinisti, l’italiano Walter<br />

Bonatti. Recentemente scomparso, faceva la cronaca <strong>del</strong>le sue prodigiose<br />

scalate descrivendo la sintesi tra sforzo fisico e tensione morale, un infinito<br />

che è dentro e che utilizza le vette e l’ascesa per venire a galla. Sempre<br />

Daumal scriveva: Non si può restare sempre sulle vette, bisogna ridiscendere...<br />

A che pro, allora? Ecco: l’alto conosce il basso, il basso non conosce l’alto:<br />

salendo, devi prendere nota <strong>del</strong>le difficoltà <strong>del</strong> tuo cammino; finché sali, puoi<br />

vederle. Nella discesa, non le vedrai più, ma saprai che ci sono, se le avrai<br />

osservate bene. Si sale, si vede. Si ridiscende, non si vede più; ma si è visto.<br />

Esiste un’arte di dirigersi nelle regioni basse per mezzo <strong>del</strong> ricordo di quello<br />

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che si è visto quando si era più in alto. Quando non è più possibile vedere, almeno<br />

è possibile sapere.<br />

Questa filosofia <strong>del</strong>la montagna, forse si sposa più con una visione cittadina,<br />

meno con il duro lavoro <strong>del</strong> montanaro, tuttavia ci lascia una metafora molto<br />

efficace <strong>del</strong>la vita e un aspetto <strong>del</strong>la cultura alpinistica molto profondo.<br />

Tuttavia se la montagna è un Pantheon di miti e simboli arcaici, oggi questi<br />

simboli possono vivere anche attraverso la <strong>Natura</strong>, la montagna non solo come<br />

ascesa-ascesi ma anche come giardino <strong>del</strong>l’Eden popolato da migliaia di<br />

specie animali e vegetali. Anche qui la visione di una natura incontaminata<br />

da ammirare e tutelare spesso si è scontrata con la lotta che il montanaro ha<br />

sostenuto per proteggere i suoi greggi dai lupi: celebri i Lupari di Leonessa,<br />

che <strong>del</strong>la caccia al famoso mammifero ne fecero una professione. Una lotta<br />

che spesso si è trasformata in un abbraccio, perché non si può non amare<br />

l’ambiente in cui si nasce e si vive. <strong>La</strong> millenaria cultura <strong>del</strong>la montagna ha<br />

interpretato la difficile sfida <strong>del</strong> vivere in un ambiente tanto magnifico quanto<br />

severo, elaborando soluzioni di equilibrio tra le proprie esigenze e il mantenimento<br />

di quelle condizioni, senza di cui la vita stessa sarebbe diventata<br />

precaria, mediante una cura paziente, tenace e normalmente lungimirante<br />

che le ha consentito stabilità e perduranza fino a poche generazioni fa.<br />

Oggi questo mondo è quasi scomparso, come stanno scomparendo molte<br />

specie animali; la perdita di una cultura o di una forma vivente ci fa sempre<br />

sentire tutti più poveri. Per questo i Monti Reatini oggi sentono il bisogno<br />

di valori prima che di opere: non si tratta di recuperare la figura mitica <strong>del</strong><br />

montanaro o <strong>del</strong> buon selvaggio, ma di costruire una cultura <strong>del</strong>la montagna<br />

che abbia come fulcro la storia umana e la biodiversità, perché se riportare<br />

indietro la storia non è possibile, tutelare l’ambiente sì, cercando di coglierne<br />

non solo l’evidente valore scientifico, ma anche quello culturale. Infine, può<br />

esserci una sintonia, culturale, tra le esigenze degli uomini di oggi e “loro”,<br />

gli uomini <strong>del</strong>le montagne che mossero i primi passi attraversando queste<br />

catene montuose per andare a caccia, per guidare gli armenti, per prendere<br />

il ghiaccio o più semplicemente per soddisfare quell’insopprimibile esigenza<br />

di cercare, attraverso la montagna, l’armonia <strong>del</strong>la vita.


Abbiamo la Terra non in eredità dai genitori,<br />

ma in affitto dai figli.<br />

Proverbio Indiano<br />

166<br />

167


APPENDICE<br />

BUONE PRATICHE E GESTIONE DEI FONTANILI<br />

di Enrico Calvario e Silvia Sebasti<br />

Nel <strong>La</strong>zio, in particolar modo sulla dorsale appenninica e antiappenninica,<br />

è particolarmente importante sostenere con ogni mezzo possibile le<br />

attività di pascolo, oltre che per il profondo e radicato significato socioeconomico<br />

che rivestono e per le economie che possono indurre, anche in<br />

quanto esse contribuiscono in modo diretto e significativo a contrastare<br />

il fenomeno <strong>del</strong>la chiusura <strong>del</strong>le aree aperte e <strong>del</strong>le radure così importanti<br />

per il mantenimento di importanti elementi di biodiversità.<br />

In tale contesto e soprattutto se ci si trova in zone carsiche con limitata disponibilità<br />

di risorse idriche superficiali, i fontanili, le pozze e le cisterne<br />

per la raccolta <strong>del</strong>l’acqua piovana, rappresentano manufatti insostituibili<br />

necessari per l’abbeveraggio ed il ristoro <strong>del</strong> bestiame allevato. Essi inoltre<br />

rappresentano spesso una valida ed efficiente alternativa agli ambienti<br />

umidi naturali (sempre più rari) anche per la riproduzione, l’alimentazione<br />

e lo svernamento di diverse specie di Anfibi.<br />

Il mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente <strong>del</strong>le raccolte<br />

d’acqua naturali e artificiali appare perciò di fondamentale importanza<br />

sia per soddisfare le esigenze di abbeveraggio e ristoro per il bestiame<br />

domestico sia per la conservazione degli Anfibi. Occorre quindi trovare<br />

un necessario punto di equilibrio affinché le necessarie azioni di manutenzione<br />

di tali raccolte d’acqua (pulizia <strong>del</strong>le vasche, lavori di restauro)<br />

vengano condotte con modalità tali da garantirne la piena funzionalità<br />

per entrambe le componenti (bestiame ed anfibi) ed in modo da non causare<br />

danni diretti agli Anfibi che, lo ricordiamo, sono anche protetti da<br />

specifiche norme di tutela sia di carattere comunitario che regionale.<br />

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169<br />

normativa di riferimento sulla tutela degli anfibi.<br />

Alcune specie di Anfibi presenti nel Reatino (Salamandrina perspicillata, Triturus carnifex, Bombina pachypus, Rana dalmatina,<br />

Rana italica) sono incluse nell’Allegato IV <strong>del</strong>la Direttiva Habitat 92/43/CEE come “specie animali e vegetali di<br />

interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa”. Bombina pachypus, Salamandrina perspicillata e Triturus<br />

carnifex sono inclusi anche nell’Allegato II <strong>del</strong>la stessa Direttiva, come “specie animali d’interesse comunitario la cui conservazione<br />

richiede la designazione di Zone Speciali di Conservazione. <strong>La</strong> Direttiva sancisce che: “Gli Stati membri adottano<br />

i provvedimenti necessari atti ad istituire un regime di rigorosa tutela <strong>del</strong>le specie animali di cui all’allegato IV, lettera<br />

a), nella loro area di ripartizione naturale, con il divieto di:<br />

a) qualsiasi forma di cattura o uccisione <strong>del</strong>iberata di esemplari di tali specie nell’ambiente naturale;<br />

b) perturbare <strong>del</strong>iberatamente tali specie, segnatamente durante il periodo di riproduzione, di allevamento, di ibernazione<br />

e di migrazione;<br />

c) distruggere o raccogliere <strong>del</strong>iberatamente le uova nell’ambiente naturale;<br />

d) deterioramento o distruzione dei siti di riproduzione o <strong>del</strong>le aree di riposo.”<br />

Hyla intermedia e Rana dalmatina sono anche segnalate come specie “vulnerabili” sia nella Lista Rossa degli Anfibi e dei<br />

Rettili <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio (Bologna et al., 2000) sia nel “Libro Rosso degli animali d’Italia” (Bulgarini et al., 1998). Tre specie figurano<br />

inoltre nell’Annesso II <strong>del</strong>la Convenzione di Berna: Triturus carnifex, Hyla intermedia e Rana dalmatina.<br />

Nella Regione <strong>La</strong>zio tutte le specie di Anfibi, escluse le “rane verdi” (P. bergeri/hispanica), Rana temporaria e Ichthyosaura<br />

alpestris, sono protette dalla L.R. 18, 5/IV/1988 “Tutela <strong>del</strong>la fauna minore”, che vieta:<br />

a) qualsiasi forma di cattura, di detenzione e di uccisione;<br />

b) il deterioramento o la distruzione dei siti di riproduzione e di riposo;<br />

c) il molestare la fauna selvatica minore, specie nel periodo <strong>del</strong>la riproduzione, <strong>del</strong>l’allevamento e <strong>del</strong>l’ibernazione, nella<br />

misura in cui tali molestie siano significative in relazione al raggiungimento <strong>del</strong>le finalità di cui al precedente articolo 1;<br />

d) la distruzione o la raccolta di uova <strong>del</strong>l’ ambiente naturale o la loro detenzione quand’anche vuote;<br />

e) la detenzione, il trasporto ed il commercio di tali animali, vivi o morti, come pure imbalsamati, nonché di parti o prodotti<br />

facilmente identificabili ottenuti dall’animale, nella misura in cui ciò contribuisce a dare efficacia alle disposizioni <strong>del</strong><br />

presente articolo.”<br />

Per la conservazione di queste specie è fondamentale quindi la gestione appropriata <strong>del</strong>le raccolte d’acqua ristrutturate.<br />

Alcune di queste, principalmente quelle artificiali, assolvendo alla funzione di abbeveraggio <strong>del</strong> bestiame al pascolo, hanno<br />

bisogno di manutenzione regolare, non solo strutturale ma anche per ciò che concerne la pulizia interna.


Indicazioni sui criteri progettuali da seguire nella ristrutturazione dei fontanili<br />

e suggerimenti per la loro manutenzione e gestione<br />

Di seguito si riportano gli aspetti salienti su cui porre l’attenzione per far sì che le raccolte ristrutturate assolvano alla funzione di sito riproduttivo<br />

per Anfibi e di punto di abbeveraggio per il bestiame.<br />

1) MANTENIMENTO DEI MANUFATTI<br />

I manufatti esistenti che versano in buone condizioni strutturali e funzionali vanno preservati dal naturale degrado e da ulteriori ed accidentali<br />

ammaloramenti controllando periodicamente che:<br />

- non vi siano captazioni che alterino significativamente il livello <strong>del</strong>l’acqua nella vasca,<br />

- l’afflusso idrico sia garantito, monitorando eventuali ostruzioni alla sorgente, nei tubi di afflusso e/o nelle canaline di adduzione,<br />

- il pietrame (o altro materiale) che costituisce le pareti sia integro e non vi siano consistenti perdite d’acqua,<br />

- funzioni un sistema di “troppo pieno” verso una piccola zona umida,<br />

In siti ricadenti su sentieristica è possibile prevedere l’istallazione di cartellonistica informativa per la divulgazione di tematiche relative alla<br />

conservazione degli habitat e <strong>del</strong>le specie.<br />

2) OPERE DI RESTAURO DEI MANUFATTI<br />

Nella realizzazione <strong>del</strong>le vasche di raccolta <strong>del</strong>le acque si dovranno tenere in conto i criteri che prendano in considerazione la biologia <strong>del</strong>le specie<br />

di Anfibi (Scoccianti, 2001; Carpaneto et al., 2004), utilizzando materiali che permettano la fruizione <strong>del</strong> fontanile da parte <strong>del</strong>l’erpetofauna<br />

(principalmente pietra), assicurandosi che le superfici esterne abbiano una scabrosità idonea all’accesso e quelle interne siano adeguate all’ovodeposizione<br />

(ovvero non siano cementate e presentino uno strato adeso di vegetazione acquatica spontanea).<br />

Come nel caso precedente, qualora l’opera di restauro interessi fontanili/pozzi adiacenti a sentieristica, è possibile prevedere l’istallazione di cartellonistica<br />

informativa.<br />

3) COSTRUZIONE DI STRUTTURE ATTE A MIGLIORARE LA FUNZIONALITÀ DELLE RACCOLTE D’ACQUA COME SITI DI RIPRO-<br />

DUZIONE PER GLI ANFIBI<br />

• a. Rampe di risalita<br />

In alcune condizioni (ad es. repentino abbassamento <strong>del</strong> livello <strong>del</strong>le acque) i fontanili possono costituire vere e proprie “trappole ecologiche” per<br />

Anfibi e per altre specie animali (Scoccianti, 2001).<br />

Una semplice quanto efficace “rampa di risalita” potrà essere costruita, anche a fontanile funzionante, mediante una lastra in pietra ancorata sul<br />

bordo, larga circa 20 cm e inclinata di 45°.<br />

In alternativa, qualora si stia lavorando in un fontanile asciutto, la rampa può essere costruita anche mediante pietrame posto direttamente nella<br />

vasca, eventualmente stabilizzato con malta per rendere più solida la struttura.<br />

Per evitare che manufatti di tipologia differente dal fontanile (pozzi o cisterne) si trasformino in trappole ecologiche è possibile prevedere misure<br />

di salvaguardia quali la copertura <strong>del</strong>l’imbocco con una grata metallica a maglie sottili (ø < 1 cm) o la realizzazione di una rampa di risalita a<br />

gradoni lungo la parete interna <strong>del</strong> pozzo stesso.<br />

• b. Zone umide derivanti da “troppo pieno”<br />

Nell’area circostante i fontanili, antistante o laterale, nei casi in cui l’intervento sia ritenuto attuabile, si dovrà prevedere il mantenimento o il ripristino<br />

di una piccola zona umida idonea alla riproduzione di specie quali l’Ululone dal ventre giallo. <strong>La</strong> piccola zona umida potrà essere realizzata<br />

in un’area depressa mediante un piccolo canaletto per il deflusso <strong>del</strong>le acque <strong>del</strong> “troppo pieno” provenienti dal fontanile stesso. È importante che<br />

tale zona umida sia collocata in una zona franca dal calpestio o dal transito <strong>del</strong> bestiame; in tal senso si suggerisce, quale intervento migliorativo,<br />

la sua recinzione con una staccionata in legno (vedi punto successivo).<br />

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171<br />

Il fontanile dei Cavalli, posto in un’area di particolare pregio naturalistico<br />

è stato il fontanile che ha richiesto più lavoro sia nella ristrutturazione<br />

che per la collocazione difficilmente raggiungibile.


• c. Recinzioni<br />

Per preservare la zona umida derivante dal troppo pieno dal calpestio di bestiame domestico o da altri ungulati selvatici è opportuna una recinzione<br />

in legno (staccionata) <strong>del</strong>l’area umida. Tale recizione dovrà essere realizzata in legname locale, resistente e alta almeno 1,50 m.<br />

In alcuni casi, qualora il fontanile non sia utilizzato dal bestiame, è consigliabile apporre una recinzione attorno alla vasca, in modo da evidenziare<br />

che l’area è sottoposta a manutenzione e tutela.<br />

• d. Fasce di rispetto e creazione di microrifugi<br />

In previsione di una corretta ripresa <strong>del</strong>l’attività riproduttiva da parte <strong>del</strong>la comunità di Anfibi, è utile ricordare che questi necessitano non solo<br />

di un habitat acquatico (nel quale svolgono la fase trofica e riproduttiva) ma anche di un habitat terrestre dove adulti, giovani e metamorfosati<br />

possono trovare rifugio durante le fasi di prosciugamento degli invasi. Per aumentare l’idoneità <strong>del</strong>la raccolta d’acqua per scopi riproduttivi è<br />

bene prevedere una fascia di rispetto intorno al bacino, intesa come una zona lasciata libera di evolvere in modo spontaneo o parzialmente gestita<br />

secondo criteri coerenti con la conservazione <strong>del</strong>le specie animali e degli habitat. Per gli anfibi si dovrebbe prevedere una zona larga almeno 20<br />

metri (Scoccianti, 2001). Inoltre, qualora l’area ne sia sprovvista, è utile realizzare nelle immediate vicinanze <strong>del</strong>la raccolta d’acqua un’opera che<br />

comprenda dei microrifugi per anfibi, ad es. cataste di legna, vecchie ceppaie estirpate, piccoli tratti di muretto a secco, di dimensioni minime 5 x<br />

2 metri (altezza 1 metro). Il legno deve essere lasciato allo stato naturale e non deve essere stato precedentemente trattato. I rifugi devono essere<br />

esposti al sole, riparati dai venti ed elevati quanto basta perché non siano soggetti ad allagamento.<br />

4) TEMPI E MODALITÀ DI PULIZIA DI FONTANILI E POZZI<br />

• a. Periodo per la pulizia<br />

<strong>La</strong> pulizia deve essere effettuata nei mesi autunnali (fine ottobre-novembre). Si ritiene comunque sempre opportuno verificare l’effettiva assenza<br />

di anfibi: nel caso siano ancora presenti stadi larvali o adulti la pulizia deve essere rimandata di qualche settimana.<br />

• b. Modalità di pulizia:<br />

- le operazioni devono avvenire manualmente e non con mezzi meccanici;<br />

- non è consentito l’utilizzo di sostanze chimiche erbicide, corrosive o tossiche (inclusi candeggina e acidi), ricordiamoci che tali sostanze sono<br />

nocive anche per il bestiame domestico;<br />

- solo la vegetazione in eccesso deve essere rimossa, è opportuno infatti lasciarne una parte che costituirà la base <strong>del</strong>la ricrescita primaverile e il<br />

nascondiglio per gli esemplari che rimangono nella raccolta d’acqua; la rimozione non deve avvenire mediante raschiatura <strong>del</strong>le pareti;<br />

- si raccomanda di lasciare a lato <strong>del</strong>l’invaso il materiale asportato, in modo che eventuali individui, prelevati accidentalmente assieme alla vegetazione<br />

o al fango, possano uscire indenni e tornare nella zona umida.<br />

- è opportuno lasciare, durante le operazioni di pulizia, uno strato di almeno 10 cm di acqua sul fondo <strong>del</strong> fontanile; il rispetto di questa regola è<br />

fondamentale in quanto la mancanza d’acqua potrebbe lasciare all’asciutto le uova e/o le larve eventualmente presenti,condizionandone irreversibilmente<br />

la schiusa e lo sviluppo.<br />

5) NORME DI BUON SENSO<br />

• a. È vietata l’introduzione di ittiofauna e di altre specie di animali acquatici<br />

Alcune specie esotiche di Invertebrati (Gamberi di fiume americano e turco), di Anfibi (Rana toro), nonché numerose specie autoctone ed esotiche<br />

di Pesci sono potenziali predatori e competitori per le risorse trofiche per gli Anfibi. <strong>La</strong> loro introduzione va evitata al fine di non arrecare<br />

disturbo alle popolazioni locali (SHI, 2007).<br />

• b. Si sconsiglia il lavaggio di stoviglie, biancheria, automezzi ed il risciacquo di utensili da lavoro che possono compromettere la qualità <strong>del</strong>le<br />

acque con seri danni al bestiame domestico ed agli Anfibi. Si sconsigliano fortemente tutte quelle attività che possono determinare lo sversamento<br />

di detersivi, olii, solventi, vernici, polveri e altre sostanze inquinanti che possono alterare l’habitat acquatico con conseguenze anche letali per<br />

il bestiame domestico e la fauna selvatica.<br />

172<br />

173<br />

Fonte di Pacce, si trova nella Valle Avanzana, a lato un<br />

particolare costruttivo <strong>del</strong>la rampa di risalita, per<br />

permettere agli Anfibi di uscire dal fontanile,<br />

anche con livelli idrici molto bassi.


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<strong>La</strong> rete dei sentieri<br />

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Tipografia Nobili<br />

Stampata su carta FSC<br />

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