La Biodiversità del Terminillo - Lynx - Natura & Ambiente
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1<br />
<strong>La</strong> <strong>Biodiversità</strong> <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong><br />
Alla scoperta <strong>del</strong>la vegetazione, <strong>del</strong>la fauna e degli habitat dei Monti Reatini
LA BIODIVERSITÀ DEL TERMINILLO<br />
ALLA ScoPERtA dELLA VEGEtAzioNE, dELLA fAuNA E dEGLi hABitAt dEi MoNti REAtiNi<br />
REGIONE LAZIO<br />
PROVINCIA DI RIETI<br />
Accordo di programma multiregionale in materia<br />
di biodiversità nella ZPS Monti Reatini, nei<br />
SIC Gruppo Monte <strong>Terminillo</strong>, Vallone <strong>del</strong> Rio<br />
Fuggio, Valle Avanzana Fuscello e interventi di<br />
riqualificazione ambientale a tutela <strong>del</strong>la Batracofauna.<br />
Con la collaborazione di<br />
Si ringraziano<br />
l’Arch. Roberta Galluzzi e<br />
l’Ing. Mariangela Guerrieri.<br />
Citazione bibliografica consigliata:<br />
Cammerini Giancarlo (Ed), 2012.<br />
<strong>La</strong> <strong>Biodiversità</strong> <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>.<br />
Alla scoperta <strong>del</strong>la vegetazione, <strong>del</strong>la fauna e degli<br />
habitat dei Monti Reatini.<br />
Regione <strong>La</strong>zio, Amministrazione Provinciale di Rieti.<br />
Regione <strong>La</strong>zio<br />
Amministrazione Provinciale di Rieti<br />
Coordinamento editoriale<br />
Giancarlo Cammerini<br />
Testi:<br />
Giancarlo Cammerini<br />
Enrico Calvario<br />
Silvia Sebasti<br />
Francois Salomone<br />
Stefano Sarrocco<br />
Cartografia:<br />
Giancarlo Cammerini<br />
Foto:<br />
Mauro Bernoni: pagg. 83,84,113,114 alto.<br />
Fabrizio Bartolucci: pagg. 69, 106.<br />
Enrico Calvario: pagg. 95, 112 basso,115.<br />
Giuliano Cappelli (panda Photo): pagg. 90,112.<br />
Gabriele Casciani: pag. 81.<br />
Giancarlo Cammerini: pagg. 10,14,19,20,21,22,23,24,25,26,27,28,31,33, 34, 35, 37, 38,39,40,<br />
42,43,45,47,48,51,55,57,58,61,63,65,66,71,73,75,76,77,78,96, 99,100,103,105,118,121,123,124 alto,<br />
130,134,145,153,155,159,160,163,164,166,177.<br />
Andrea Capponi: pagg. 5,9.<br />
Romano Fabi: pag. 13.<br />
Roberta Galluzzi: pagg. 135,136,137,138,139,140,141,142,143,144,145,171.<br />
Mariangela Guerrieri: pagg. 146,147,148,149,150,151,152,153,173.<br />
Domenico Marchetti: pagg. 5,9.<br />
Gianpaolo Montinaro pagg.108,126 alto.<br />
Guido Prola: pagg. 89,93,109,110,111,116,117.<br />
Stefano Sarrocco: pagg. 126basso, 125 basso.<br />
Silvia Sebasti: pag. 127 alto.<br />
Francois Salomone: pag. 107.<br />
Alberto Venchi: pagg. 109,123 basso .<br />
2<br />
3<br />
INDICE<br />
4 Presentazione<br />
8 Scoperta e difesa <strong>del</strong>la biodiversità<br />
16 <strong>La</strong> Rete Ecologica <strong>Natura</strong> 2000<br />
30 Geografie e paesaggi<br />
50 Vegetazione e habitat<br />
80 <strong>La</strong> fauna<br />
104 Specie di valore europeo<br />
120 Progetto laghetti e fontanili<br />
124 Gli anfibi presenti nei laghetti e fontanili ripristinati<br />
132 Gli interventi per la tutela e valorizzazione di laghetti e fontanili<br />
154 <strong>La</strong> cultura <strong>del</strong>la montagna<br />
168 Buone pratiche e gestione dei fontanili<br />
174 Bibliografia
Presentazione<br />
Michele Beccarini - Assessore alle Politiche Ambientali<br />
Quale è il futuro <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>? Sono molti anni, oramai, che amministratori,<br />
operatori, ambientalisti e semplici abitanti dei paesi<br />
pedemontani dibattono intorno a questa domanda, provando a<br />
trovare soluzioni e proposte interessanti. Una <strong>del</strong>le risposte che la nostra<br />
Amministrazione vuole dare è racchiusa in questo volume, che prova a<br />
far emergere l’evidenza scientifica <strong>del</strong> valore ambientale e naturalistico dei<br />
Monti Reatini.<br />
Un patrimonio fino a oggi poco considerato, ma che è parte <strong>del</strong> mosaico di<br />
proposte che vedono la montagna reatina protagonista in tutti i suoi aspetti<br />
e in tutte le stagioni. Un progetto ideato per la tutela e la valorizzazione<br />
di specie peculiari e poco conosciute, come gli anfibi, ci ha consentito di<br />
curare la manutenzione, a volte la ristrutturazione e certamente la valorizzazione,<br />
di diciotto fontanili e due laghetti ma, soprattutto, ci ha permesso<br />
di dimostrare come sia possibile conciliare le esigenze <strong>del</strong>l’uomo con quelle<br />
<strong>del</strong>la natura. I fontanili, per esempio, hanno un ruolo strategico per le specie<br />
animali; ma la scelta ha dovuto tenere conto <strong>del</strong>le esigenze degli allevatori<br />
che quotidianamente vi fanno riferimento per l’abbeveraggio <strong>del</strong> bestiame<br />
allevato allo stato brado e anche di offrire ai turisti luoghi di ristoro.<br />
Ecco, nello sviluppo dei Monti Reatini si devono tenere in considerazione<br />
molti ambiti di intervento e tra questi, sicuramente, la tutela <strong>del</strong>la biodiversità<br />
deve essere messa al primo posto. <strong>La</strong> politica ha il dovere di impegnarsi<br />
nel coniugare le esigenze <strong>del</strong>la tutela ambientale con lo sviluppo<br />
economico, magari scoprendo e mostrando, come si fa in questo progetto,<br />
che possono viaggiare sullo stesso binario.<br />
4<br />
5
<strong>La</strong> conservazione è uno stato di armonia<br />
fra gli uomini e le terre.<br />
Aldo Leopold<br />
6<br />
7
I crocus dipingono di viola<br />
i prati nel passaggio tra<br />
l’inverno a la primavera.<br />
Scoperta e difesa <strong>del</strong>la <strong>Biodiversità</strong><br />
di Giancarlo Cammerini<br />
Parlare <strong>del</strong>la <strong>Biodiversità</strong> dei Monti Reatini, <strong>del</strong>la ricchezza naturalistica<br />
<strong>del</strong>le montagne che sovrastano la città di Rieti, è probabilmente<br />
una novità rispetto alle decine di pubblicazioni che la celebrano per<br />
la sua storia legata alla costruzione <strong>del</strong>la stazione turistica di Pian dé Valli<br />
alle piste da sci, all’urbanizzazione capillare che nel corso di cinquanta anni<br />
ha portato il segno tangibile, a volte sconsiderato <strong>del</strong>l’uomo su queste montagne<br />
più che in tutti gli altri gruppi montuosi appenninici.<br />
Certamente questo tipo di sviluppo ha contribuito a dare un largo palcoscenico<br />
al <strong>Terminillo</strong> più per i suoi aspetti mondani che per il suo ambiente<br />
naturale. Tuttavia questa è solo una visione parziale, perché su quelle rocce,<br />
tra i boschi, nei prati ci sono persone che sono state e sono interessate soprattutto<br />
a osservare boschi e rocce, prati e farfalle, lupi e aquile; scienziati,<br />
naturalisti o semplici appassionati che hanno percorso le valli e i versanti<br />
dei Monti Reatini, decifrando il grande valore <strong>del</strong>la loro biodiversità.<br />
Fin dal XVI secolo sono iniziate le prime descrizioni cartografiche e relazioni<br />
scientifiche sul mondo naturale dei Monti Reatini. Nel secolo XVII,<br />
il botanico francese Jacques Barrelier fu il primo naturalista a esplorare le<br />
pendici <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>. In seguito, considerata anche la vicinanza alla Capitale,<br />
decine di scienziati hanno continuato ad approfondire la conoscenza<br />
<strong>del</strong>le caratteristiche ambientali <strong>del</strong>la montagna. Il botanico ligure Paolo<br />
Boccone nel 1682 analizzò molte piante, specialmente quelle in quota, individuando<br />
una pianta rara come Potentilla appenninica.<br />
Nel 1818, con grandi capacità escursionistiche, il naturalista danese Joakim<br />
Frederik Schouw giunse sino in cima dove compì la prima misurazio-<br />
8<br />
9
10<br />
11<br />
I costoni <strong>del</strong>la Valle Scura conservano gli ambienti<br />
più preziosi <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong><br />
ne barometrica <strong>del</strong>la vetta, risultò di 2150 metri<br />
e la chiamò <strong>Terminillo</strong> grande, (R. Marinelli-Il<br />
<strong>Terminillo</strong>, storia di una montagna - Il Velino).<br />
Con lui inizia un nuovo sistematico studio <strong>del</strong>la<br />
geologia, <strong>del</strong>la flora e <strong>del</strong>la fauna reatina, anche<br />
se le scienze naturali ancora non avevano la divisione<br />
disciplinare che avrebbe iniziato a distinguerle<br />
dai primi <strong>del</strong> Novecento.<br />
Così negli anni venti il geologo Lotti, Presidente<br />
<strong>del</strong>la Società Geologica Italiana, avviò lo studio<br />
<strong>del</strong>la geologia dei Monti Reatini secondo la concezione<br />
moderna <strong>del</strong>le scienze <strong>del</strong>la terra, Giuliano<br />
Montelucci sistematizzò la conoscenza <strong>del</strong>la<br />
flora dei Monti Reatini. Sempre nell’immediato<br />
dopoguerra fu fondato il Centro Appenninico<br />
<strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>, per iniziativa <strong>del</strong>lo scienziato reatino<br />
Carlo Jucci; il primo erbario custodito presso<br />
il museo di quella che in seguito sarebbe diventata<br />
la foresteria <strong>del</strong> Centro di ricerca reatino,<br />
conteneva già mille esemplari e, di fatto catalizzò<br />
l’interesse di molti studiosi, entomologi, erpetologi,<br />
ornitologi che cominciarono a riempire le<br />
lacune di conoscenza, ma anche a meravigliarsi<br />
<strong>del</strong>la varietà di ambienti, a volte rari, presenti su<br />
queste montagne. Per quanto concerne lo studio<br />
<strong>del</strong>l’ornitofauna va ricordato il contributo, sia in<br />
termini scientifici sia culturali, <strong>del</strong> Dott. A. Augusto<br />
Di Carlo che per alcuni anni fu medico<br />
condotto a Leonessa.<br />
Arriviamo ai giorni nostri in cui alla consapevolezza<br />
<strong>del</strong> valore <strong>del</strong>la biodiversità si unisce il rischio<br />
<strong>del</strong>la sua scomparsa. Negli anni Ottanta<br />
anche a Rieti la parola ecologia comincia a farsi<br />
sentire attraverso l’impegno degli ambientalisti.<br />
Oltre alla strenua difesa <strong>del</strong>la montagna dagli ultimi<br />
attacchi “cementificatori”, questi cercano di<br />
divulgare i valori <strong>del</strong>la biodiversità per far conoscere<br />
alla grande massa di turisti che sarebbe stato<br />
sufficiente fare capolino dietro i casermoni di<br />
Pian dé Valli per scorgere quella natura che ormai<br />
appare solo nei documentari televisivi.<br />
Infatti, già nel 1988 con la pubblicazione <strong>del</strong> volume<br />
<strong>Terminillo</strong> Anno Zero, da parte di W.W.F e<br />
CAI, veniva rilevato come la percezione <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong><br />
doveva essere più legato agli aspetti naturali<br />
che a quelli di “Montagna di Roma”.<br />
Tuttavia, a livello planetario, si stava affermando<br />
una nuova visione nella gestione <strong>del</strong>l’ambiente<br />
che a breve avrebbe portato a una riformulazio-
Una <strong>del</strong>le farfalle diurne più comuni è il Tabacco di Spagna<br />
Argynnis paphia, nell’immagine posata su una pianta di cardo<br />
rosso Cardus nutans.<br />
ne <strong>del</strong>le politiche di conservazione e alla reinterpretazione<br />
di una legislazione ormai inadeguata.<br />
Il 5 giugno 1992 a Rio de Janeiro è sottoscritta<br />
la Convenzione Internazionale sulla Diversità<br />
Biologica, ratificata poi nel 1993 dalla Comunità<br />
Europea. Quest’accordo sancisce un concetto<br />
fondamentale: la tutela <strong>del</strong>la biodiversità è una<br />
parte inscindibile <strong>del</strong> processo economico e sociale<br />
di un territorio. L’Unione Europea crea la<br />
Rete <strong>Natura</strong> 2000, un programma per lo studio,<br />
la tutela e la valorizzazione <strong>del</strong>le specie e degli<br />
habitat più importanti. Anche nei Monti Reatini<br />
sono individuati gli elementi naturali più sensibili<br />
o rari e sulla base di questi create le aree<br />
di tutela. Su alcuni di essi sono stati sviluppati<br />
Piani di Gestione e progetti di studio e divulgazione<br />
per far conoscere la biodiversità ma anche<br />
per promuovere un nuovo e più coinvolgente approccio<br />
alla conservazione.<br />
Così oggi, in termini di biodiversità, c’è una visione<br />
chiara sia sulla conoscenza degli elementi<br />
naturali sia sulle azioni da attuare per la loro tutela.<br />
Simboli rappresentativi di questa tutela sono<br />
le specie d’interesse comunitario e in particolare<br />
quelle che nell’immaginario collettivo rappre-<br />
sentano la natura selvaggia: dai lupi alle faggete<br />
monumentali, dai fiori che crescono in alta quota<br />
agli anfibi, dalla miriade di farfalle e coleotteri ai<br />
rapaci che nidificano tra le pareti di roccia.<br />
Tuttavia ci sono due specie che richiamano più di<br />
ogni altro elemento la sensazione di wilderness<br />
nei Monti Reatini: nel panorama vegetale la Betulla,<br />
in quello animale l’Aquila reale. <strong>La</strong> Betulla, specie<br />
relitta diffusasi in Italia durante le glaciazioni<br />
è presente solo nel versante nord <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>,<br />
tra i massi <strong>del</strong>la morena postglaciale (Pleistocene<br />
sup.) e la faggeta. Le betulle sopravvivono in formazioni<br />
arbustive, sotto la parete nord <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong><br />
e ci riportano ad un periodo in cui i Monti<br />
Reatini erano ricoperti dai ghiacci e, tra i boschi<br />
di faggio, acero, abete bianco e betulla, ancora si<br />
aggiravano orsi, lupi, cavalli selvatici e mammut.<br />
L’Aquila reale invece, ci testimonia ancora oggi<br />
un ambiente sano, il suo nido ricavato su pareti<br />
strapiombanti è il simbolo chiaro di una montagna<br />
affascinante e severa, di una natura incontaminata<br />
che in parte oggi è scomparsa, ma che<br />
guardando questo superbo rapace volteggiare<br />
sulle alte valli è possibile richiamare, consapevoli<br />
che per la regina di questi cieli nulla è cambiato.<br />
12<br />
13
<strong>La</strong> salvezza <strong>del</strong> mondo sta<br />
nella natura selvaggia<br />
Henry David Thoreau<br />
14<br />
15
L’area dei Monti Reatini<br />
è oggetto <strong>del</strong>le Direttive<br />
emanate dall’Unione Europea<br />
e incardinate nel sistema di<br />
tutela da parte <strong>del</strong>la<br />
Regione <strong>La</strong>zio.<br />
<strong>La</strong> Rete Ecologica <strong>Natura</strong> 2000<br />
di Enrico Calvario SIC<br />
<strong>La</strong> Rete <strong>Natura</strong> 2000 è un sistema europeo coordinato e coerente di<br />
aree (Siti di Interesse Comunitario – SIC e Zone di Protezione Speciale<br />
– ZPS) che devono essere adeguatamente tutelate dagli Stati<br />
membri <strong>del</strong>l’Unione Europea, per conservare una serie di habitat e di<br />
specie animali e vegetali indicate negli allegati <strong>del</strong>la Direttiva 92/43/CEE<br />
“Habitat” e <strong>del</strong>la Direttiva 79/409/CEE “Uccelli” (sostituita dalla Direttiva<br />
2009/147/CE). Le due direttive non solo hanno colto l’importanza di<br />
tutelare gli habitat per proteggere le specie, recependo in pieno i principi<br />
<strong>del</strong>l’ecologia che vedono le specie animali e vegetali strettamente connesse<br />
con le componenti biotiche e abiotiche che le circondano ma, per la prima<br />
volta, hanno dato rilevanza agli habitat “seminaturali”, la cui presenza<br />
e conservazione dipendono strettamente dalle attività umane “sostenibili”<br />
che in essi si svolgono.<br />
Per assicurare il mantenimento di uno stato di conservazione soddisfacente<br />
degli habitat e <strong>del</strong>le specie di flora e fauna di importanza comunitaria,<br />
che sono stati alla base <strong>del</strong>la designazione dei Siti <strong>Natura</strong> 2000, la Direttiva<br />
individua sostanzialmente i seguenti strumenti:<br />
• la definizione di misure di conservazione;<br />
• l’attuazione <strong>del</strong>la procedura di valutazione d’incidenza per tutti i piani<br />
ed i progetti che insistono all’interno dei siti <strong>Natura</strong> 2000 o che, anche se<br />
esterni, possono produrre effetti che si ripercuotono all’interno dei siti;<br />
• la conduzione <strong>del</strong>le attività di monitoraggio;<br />
• L’individuazione dei Siti <strong>Natura</strong> 2000 comporta l’impegno da parte <strong>del</strong>la<br />
Regione <strong>del</strong> mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente degli<br />
16<br />
17<br />
SIC<br />
VALLE AVANZANA<br />
FUSCELLO<br />
LEGENDA<br />
Siti di Interesse Comunitario<br />
Zona di Protezione Speciale<br />
MONTE<br />
FAUSOLA<br />
SIC<br />
RIO FUGGIO<br />
ZPS<br />
MONTI REATINI<br />
SIC<br />
VALLONINA<br />
SIC<br />
MONTE TERMINILLO
habitat e <strong>del</strong>le specie per cui essi sono stati individuati,<br />
nonché il ripristino di ambienti compromessi.<br />
Nel <strong>La</strong>zio la Valutazione di incidenza va<br />
effettuata tenendo conto <strong>del</strong>le Linee Guida emanate<br />
dalla Regione con DGR 64/2010, pubblicata<br />
nel supplemento n°38 al BURL <strong>del</strong> 27/02/2010,<br />
con le quali vengono definiti in modo chiaro gli<br />
elaborati tecnici da produrre e le modalità di attivazione<br />
<strong>del</strong>la procedura.<br />
Per quanto riguarda le Misure di Conservazione,<br />
il Ministero <strong>del</strong>l’<strong>Ambiente</strong> ha emanato il Decreto<br />
<strong>del</strong> 17 ottobre 2007, recante “Criteri minimi per<br />
la definizione di misure di conservazione relative<br />
a Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e a Zone<br />
di Protezione Speciale (ZPS)”, pubblicato sulla<br />
Gazzetta Ufficiale n. 258 <strong>del</strong> 6 novembre 2007,<br />
che individua una serie di obblighi, divieti ed<br />
azioni wda incentivare all’interno dei siti <strong>Natura</strong><br />
2000; esso è stato adottato anche per replicare alla<br />
Procedura di Infrazione comunitaria 2131/2006,<br />
ove si eccepiscono evidenti carenze di misure di<br />
protezione nei confronti <strong>del</strong>le Zone di Protezione<br />
Speciale presenti sul territorio nazionale.<br />
<strong>La</strong> Regione <strong>La</strong>zio ha provveduto all’adeguamento<br />
<strong>del</strong>la propria normativa al citato DM 17 ottobre<br />
2007, emanando la DGR 363/2008, successivamente<br />
modificata con DGR 928/2008 ed entrambe<br />
sostituite dalla DGR n° 612 <strong>del</strong> 16 dicembre<br />
2011 denominata “Rete Europea <strong>Natura</strong> 2000:<br />
misure di conservazione da applicarsi nelle Zone<br />
di protezione Speciale e nelle Zone Speciali<br />
di Conservazione”. Infine per quanto riguarda il<br />
Monitoraggio, <strong>La</strong> Regione <strong>La</strong>zio, per adempiere<br />
all’obbligo normativo previsto dalla Direttiva Habitat,<br />
si è dotata di una Rete Regionale di Monitoraggio<br />
(DGR n. 497 <strong>del</strong> 3/07/2007) che consiste<br />
in una vera e propria rete diffusa sul territorio<br />
regionale organizzata in un Centro Regionale<br />
(“Focal Point”), alcuni centri tematici (“Topic<br />
Center”) e una rete capillare di laboratori territoriali<br />
(ubicati presso le Aree Protette regionali). <strong>La</strong><br />
gestione operativa <strong>del</strong> Focal Point è affidata all’Agenzia<br />
Regionale Parchi. L’ARP, con la Direzione<br />
Regionale <strong>Ambiente</strong> e con l’Osservatorio per la<br />
<strong>Biodiversità</strong> <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio, dovrà mettere a punto l’architettura<br />
relativa alle banche dati, agli standard<br />
e a tutti gli aspetti tecnico scientifici <strong>del</strong>le attività<br />
di monitoraggio. I Monti Reatini fanno parte<br />
<strong>del</strong>la Rete <strong>Natura</strong> 2000, essendo stati designati come<br />
ZPS “Monti Reatini”, al cui interno sono stati<br />
individuati ben cinque SIC: Vallone <strong>del</strong> Rio Fuggio,<br />
Gruppo <strong>del</strong> Monte <strong>Terminillo</strong>,Valle Avanzana–Fuscello,<br />
Monte Fausola, Bosco Vallonina.<br />
Questo sistema di aree è un riconoscimento al<br />
valore “monumentale” <strong>del</strong>la biodiversità <strong>del</strong>le<br />
montagne reatine, anche da considerare come<br />
una straordinaria opportunità di studio e promozione<br />
turistica.<br />
18<br />
19<br />
Il moscardino è un gliride<br />
stabilmente presente sui<br />
Monti Reatini.<br />
<strong>La</strong> Peonia<br />
Paeonia officinalis è una<br />
specie floristica localizzata<br />
nei versanti erbosi occidentali<br />
dei Monti Reatini.
<strong>La</strong> cascata di Malopasso<br />
nella Valle Scura.<br />
20<br />
21<br />
Il Monte <strong>Terminillo</strong> visto<br />
dalle sponde <strong>del</strong> <strong>La</strong>go di<br />
Ventina al confine tra<br />
<strong>La</strong>zio e Umbria.
Monti Reatini<br />
ZPS IT6020005<br />
Comuni: Morro Reatino,<br />
Rivodutri, Poggio<br />
Bustone, Cantalice, Castel<br />
Sant’Angelo, Borgo Velino,<br />
Micigliano, Leonessa, Posta,<br />
Rieti<br />
Estensione: 24.446,00 ha.<br />
Monti Reatini Valle Avanzana-Fuscello<br />
Questo comprensorio montano ospita comunità vegetali e animali tipiche<br />
<strong>del</strong>la regione appenninica. Numerose le specie animali a elevato valore zoogeografico<br />
e le specie vegetali endemiche <strong>del</strong>l’Appennino centrale; presenti<br />
anche 12 habitat di interesse comunitario, fra cui 5 prioritari. Gli habitat<br />
maggiormente rappresentati sono costituiti da “Faggeti degli Appennini<br />
a Taxus e Ilex” e “Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine”, estesi<br />
secondo il Formulario Standard rispettivamente sul 25% e sul 14% <strong>del</strong>la<br />
superficie <strong>del</strong>la ZPS. L’ambiente naturale è di tipo altomontano, con faggete<br />
di quota e forme di vegetazione al di sopra <strong>del</strong> limite dei boschi. Di notevole<br />
valenza botanica sono le praterie submontane, quelle subalpine e la<br />
vegetazione <strong>del</strong>le rupi e dei brecciai. <strong>La</strong> composizione floristica rivela una<br />
notevole diversificazione e ricchezza, con una elevata residualità e relittualità.<br />
Presente la specie floristica di interesse comunitario bivonea di Savi<br />
Jonopsidium savianum.<br />
I monti Reatini ospitano due specie di anfibi di interesse comunitario, la<br />
salamadrina dagli occhiali e l’ululone dal ventre giallo appenninico, e una<br />
popolazione estremamente localizzata di Vipera di Orsini. Presente anche<br />
il lepidottero Euphydrias aurinia. Di notevole interesse sono i mammiferi<br />
di medie e grandi dimensioni, tra cui un nucleo stabile di lupo e alcune<br />
segnalazioni recenti di orso bruno. Rilevante il numero di specie ornitiche.<br />
Sul gruppo montuoso vi sono 2 coppie nidificanti di aquila reale, alcune<br />
decine di coppie di coturnice e di gracchio corallino, e infine 3-4 coppie<br />
di falco pellegrino. Nelle faggete d’alto fusto vi sono due specie d’interesse<br />
legate alle comunità degli alberi vetusti, come la balia dal collare e il picchio<br />
dorsobianco. Nidificano inoltre il biancone, la tottavilla, l’averla piccola e il<br />
calandro.<br />
22<br />
23<br />
Valle Avanzana-Fuscello<br />
SIC IT6020004<br />
Comuni: Morro Reatino,<br />
Rivodutri, Leonessa,<br />
<strong>La</strong>bro.<br />
Estensione: 1151,3 ha<br />
<strong>La</strong> Valle Avanzana - Fuscello prende origine dai versanti montuosi di<br />
Monte Tilia e Collelungo e <strong>del</strong>imita la parte nord-occidentale dei Monti<br />
Reatini.<br />
Si tratta di una valle situata al confine con l’Umbria che si sviluppa da quota<br />
1100 a quota 600 m s.l.m., interamente ricoperta di formazioni forestali<br />
montane e submontane, dalle faggete ai boschi di roverella. Nel torrente di<br />
fondovalle, fosso di Leonessa, lo scorrimento idrico superficiale, a causa<br />
<strong>del</strong>le captazioni <strong>del</strong>le sorgenti, è discontinuo ed irregolare e si mantiene<br />
più o meno permanente soltanto nella parte alta <strong>del</strong>la valle, lungo il rio<br />
Fuscello. A quote elevate è presente una faggeta che verso valle rimane<br />
solo a ridosso <strong>del</strong>l’alveo. I versanti <strong>del</strong>la media valle sono occupati da una<br />
foresta mista costituita da aceri, carpini neri e, subordinatamente cerri. Il<br />
fondo valle e alcune vallecole laterali ospitano una cospicua popolazione<br />
di salamandrina dagli occhiali e alcuni nuclei di ululone a ventre giallo,<br />
tra le specie faunistiche di Direttiva. Le scarpate rocciose che bordano<br />
i versanti <strong>del</strong>la valle sono occupati da una coppia nidificante di falco<br />
pellegrino. Un problema ambientale che presenta la valle è la quasi totale<br />
assenza <strong>del</strong>lo scorrimento idrico superficiale, se non nella parte alta di<br />
Fuscello, a seguito <strong>del</strong>la captazione quasi integrali <strong>del</strong>le sorgenti. Infatti<br />
il torrente Avanzana ha un regime torrentizio molto pronunciato, nei<br />
mesi di maggiore piovosità e scioglimento <strong>del</strong>le nevi ha una portata che<br />
consente la riproduzione di alcune specie di anfibi ma nel resto <strong>del</strong>l’anno<br />
resta asciutto, sfocia nel lago di Piediluco. <strong>La</strong> valle Avanzana nei secoli ha<br />
rappresentato un passaggio importante sia come corridoio faunistico che<br />
per la transumanza <strong>del</strong>le greggi, un collegamento tra le montagne umbre<br />
e la pianura reatina certamente utilizzato anche da carovane e pellegrini.
Vallone <strong>del</strong> Rio Fuggio<br />
SIC IT6020006<br />
Comuni: Leonessa.<br />
Estensione: 292,9 ha<br />
Vallone <strong>del</strong> Rio Fuggio Gruppo Monte <strong>Terminillo</strong><br />
Il Vallone <strong>del</strong> Rio Fuggio corrisponde al bacino idrografico <strong>del</strong> fosso omonimo,<br />
un affluente in riva sinistra <strong>del</strong> fosso Tascino di Leonessa. Il sito è<br />
situato ad una altezza media di 1298 m s.l.m. ed è ricoperto per buona parte<br />
da faggete ad alto fusto. Le faggete a tasso che ricoprono i versanti <strong>del</strong>la<br />
stretta valle, rappresentano una vegetazione montana relitta, sviluppatasi<br />
nel corso <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> Terziario, ridotta progressivamente dalle crisi glaciali<br />
quaternarie. Lungo il vallone <strong>del</strong> Rio Fuggio, sul fondo <strong>del</strong>la stretta<br />
valle, si rinvengono anche dei nuclei di foresta mista, da riferire all’habitat<br />
prioritario <strong>del</strong>le “Foreste di versanti, ghiaioni e valloni <strong>del</strong> Tilio-Acerion”.<br />
Lungo la valle, in corrispondenza <strong>del</strong>le confluenze di piccoli rii laterali alla<br />
valle principale, è presente l’habitat prioritario denominato “Sorgenti pietrificanti<br />
con formazioni di travertino”. Sono inoltre presenti altri 3 habitat<br />
di interesse comunitario, quali “Faggeti degli Appennini a Taxus e Ilex” ,<br />
“Pareti rocciose calcaree con vegetazione casmofitica” e “Bordure planiziali<br />
montane e alpine di megaforbie idrofile”. Tra le specie <strong>del</strong>la Direttiva<br />
segnalate nel sito vi sono la balia dal collare, nidificante nella faggeta, e la<br />
tottavilla, un alaudide presente nelle radure di quota. Il Piano di Gestione<br />
ha evidenziato la necessità di migliorare l’utilizzo <strong>del</strong>le risorse idriche, evitando<br />
ulteriori captazioni e cementificazioni <strong>del</strong>le rive e <strong>del</strong>l’alveo, prevedendo,<br />
inoltre, un regime speciale di protezione che escluda tutti gli<br />
interventi di taglio forestale e di trasformazione territoriale che possano<br />
provocare l’alterazione <strong>del</strong>le condizioni di efficienza <strong>del</strong> flusso <strong>del</strong>le sorgenti.<br />
Risulta inoltre necessario prevedere un’adeguata regolamentazione<br />
<strong>del</strong> transito carrabile. <strong>La</strong> risalita di questa valle conduce nei vasti prati in<br />
quota verso i monti Tilia e Corno.<br />
24<br />
25<br />
Gruppo Monte <strong>Terminillo</strong><br />
SIC IT20007<br />
Comuni: Leonessa,<br />
Cantalice, Micigliano.<br />
Estensione: 3185,7 ha<br />
Il sito include tutte le principali cime <strong>del</strong> gruppo <strong>del</strong> monte <strong>Terminillo</strong>.<br />
Sono presenti molti degli habitat degli orizzonti montano superiore, subalpino<br />
ed alpino, tipici <strong>del</strong>la regione appenninica: faggete, cespuglieti e<br />
praterie d’altitudine, ghiaioni e brecciai. Nell’alternarsi <strong>del</strong>le diverse morfologie,<br />
si rinvengono alcune tra le cenosi vegetali più tipiche e peculiari<br />
<strong>del</strong>l’Appennino centrale come le brughiere altomontane, corrispondenti<br />
all’habitat di interesse comunitario <strong>del</strong>le “<strong>La</strong>nde alpine e boreali” con popolamenti<br />
di mirtillo nero, che nel comprensorio si trova al limite meridionale<br />
<strong>del</strong> suo areale. Le praterie subalpine, corrispondenti agli habitat<br />
<strong>del</strong>le “Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine”, <strong>del</strong>le “Formazioni<br />
erbose a Nardus, ricche di specie, su substrato siliceo <strong>del</strong>le zone montane”,<br />
e le comunità vegetali colonizzatrici dei brecciai e dei liscioni calcarei che<br />
caratterizzano gli habitat dei “Ghiaioni calcarei e scisto-calcarei montani<br />
ed alpini (Thlaspietea rotundifolii)” e dei “Pavimenti calcarei”. Il sito è l’unico<br />
<strong>del</strong> comprensorio montano dove sono distribuite le formazioni arbustive<br />
a ginepro nano, una specie rara al limite meridionale <strong>del</strong> suo areale.<br />
Ai limiti superiori <strong>del</strong>la faggeta è segnalata la presenza di popolazioni di<br />
betulla, specie assai rara nel <strong>La</strong>zio. Per quel che riguarda le specie faunistiche<br />
di Direttiva, nel sito sono segnalate le principali aree di alimentazione<br />
e di riproduzione <strong>del</strong> calandro, <strong>del</strong> gracchio corallino, <strong>del</strong>la coturnice e<br />
l’unico nucleo presente nel comprensorio di fringuello alpino. Nell’area<br />
è inoltre presente una coppia di aquila reale. Segnalata anche la Vipera<br />
di Orsini, un serpente di piccole dimensioni, dalle abitudine schive, che<br />
si alimenta di cavallette montane. Questa è la parte sommitale dei monti<br />
Reatini che comprende la vetta principale e la cresta Sassetelli che rappresentano<br />
uno dei paesaggi più suggestivi e di carattere realmente montano.
Monte Fausola<br />
SIC IT20008<br />
Comuni: Rivodutri<br />
Estensione: 143,2 ha<br />
Monte Fausola Bosco Vallonina<br />
Situato nel comune di Rivodutri, il sito è localizzato nel settore nordoccidentale<br />
dei monti Reatini e include versanti e la parte sommitale di<br />
monte Fausola. Il paesaggio <strong>del</strong> monte Fausola, che raggiunge i 1325 m<br />
s.l.m., è caratterizzato da praterie montane ricche di specie endemiche. Da<br />
segnalare la presenza di “Formazioni erbose secche seminaturali e facies<br />
coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia)(*notevole<br />
fioritura di orchidee)”, habitat di importanza prioritario esteso sull’80%<br />
<strong>del</strong>la superficie. È altresì presente il Jonopsidium savianum, una crucifera<br />
anche nota come bivonea di Savi, in genere considerata rara, sebbene negli<br />
ultimi anni sia stata segnalata in nuove località. Sarebbe infatti necessaria<br />
una gestione controllata <strong>del</strong> pascolo per evitare sia l’eccesso di pascolamento,<br />
sia l’abbandono totale <strong>del</strong>le attività pastorali. <strong>La</strong> specie vegeta prevalentemente<br />
in aree a morfologia dolce, poco inclinate e subpianeggianti,<br />
nelle radure boschive su suolo acido dai 300 ai 1300 m s.l.m. Si tratta di<br />
un paleoendemismo relitto, molto raro e localizzato, con areale limitato a<br />
poche stazioni distribuite nell’Appennino Umbro-<strong>La</strong>ziale e in Toscana. Le<br />
principali cause di minaccia per questa entità risultano essere l’evoluzione<br />
<strong>del</strong>la vegetazione rappresentata dall’espansione <strong>del</strong>la macchia che colonizza<br />
le praterie dove vive la specie, e la presenza di cinghiali che distruggono<br />
continuamente le radure dove la specie è preferenzialmente presente. Sulla<br />
strada, dal paesino di Cepparo verso Monte Fausola si trova il Faggio di<br />
San Francesco, un esemplare monumentale di Fagus sylvatica dall’età di<br />
circa 250 anni. <strong>La</strong> leggenda narra che la rarissima conformazione ad ombrello<br />
sia stata assunta, miracolosamente, per proteggere il Santo da un<br />
temporale, in realtà si tratta di una mutazione genetica.<br />
26<br />
27<br />
Bosco Vallonina<br />
SIC IT6020009<br />
Comuni: Leonessa.<br />
Estensione: 1125,3 ha<br />
Situato a un’altezza media di 1471 m s.l.m., il sito include l’intera valle <strong>del</strong>la<br />
Meta e gran parte <strong>del</strong>la Vallonina, nonché l’alta valle <strong>del</strong> fosso Tascino di<br />
Leonessa. I boschi di faggio rappresentano la tipologia vegetazionale più<br />
frequente nell’area, rivestendo quasi ininterrottamente le pendici dei monti<br />
tra i 1000 e i 1900 m circa. Alle quote più elevate si rinvengono prevalentemente<br />
faggete pure, accompagnate sporadicamente da aceri, sorbi e salici.<br />
In alcune località la faggeta si arricchisce anche di tasso e di agrifoglio, costituendo<br />
l’habitat prioritario “Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex”. Il<br />
tasso è presente soprattutto sugli affioramenti di roccia calcarea <strong>del</strong>le pareti<br />
<strong>del</strong>le forre, in stazioni generalmente più umide, ombreggiate e con scarse<br />
oscillazioni termiche. I nuclei di megaforbie idrofile, caratterizzanti l’habitat<br />
<strong>del</strong>le “Bordure planiziali montane e alpine di megaforbie idrofile” si<br />
rinvengono nella fascia <strong>del</strong>la faggeta in prossimità di corsi d’acqua, nelle<br />
radure e sui margini <strong>del</strong> bosco. È inoltre presente l’habitat “Fiumi alpini<br />
con vegetazione riparia legnosa di Salix eleagnos”. Tra le specie faunistiche,<br />
il lupo è presente nell’area <strong>del</strong>la Vallonina in buona parte <strong>del</strong>l’anno. Tra le<br />
specie ornitiche nidificanti, oltre alla balia dal collare, sono state recentemente<br />
segnalate tre ulteriori specie di interesse comunitario. Si tratta di un<br />
picide, il picchio dorsobianco, e due passeriformi, il gracchio corallino e<br />
la tottavilla. <strong>La</strong> captazione <strong>del</strong>le sorgenti <strong>del</strong> fosso di Tascino di Leonessa<br />
e gli interventi idraulici di risistemazione in alveo hanno distrutto parte<br />
<strong>del</strong>la fascia di salici preesistente. Sarebbe inoltre necessario mantenere la<br />
massima varietà di situazioni qualitative <strong>del</strong> legno morto in quanto questi<br />
elementi forniscono sia cavità disponibili per la nidificazione <strong>del</strong>la balia<br />
dal collare e <strong>del</strong> picchio dorsobianco sia il substrato alle comunità animali<br />
saproxiliche di cui queste due specie si alimentano.
Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto,<br />
l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato,<br />
vi accorgerete che non si può mangiare<br />
il denaro.<br />
Anonimo<br />
28<br />
29
A Roma, dalle alture <strong>del</strong><br />
Gianicolo, nelle giornate<br />
con vento di tramontana è<br />
possibile ammirare il profilo<br />
<strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> al fianco <strong>del</strong><br />
Cupolone.<br />
Geografie e paesaggi<br />
di Giancarlo Cammerini<br />
Quando si parla dei Monti Reatini si ha sempre un piccolo disagio<br />
a non riuscire comunicare con completezza a quali montagne ci<br />
si riferisce, tanto la loro conoscenza è legata alla sua vetta più alta<br />
e famosa, il monte <strong>Terminillo</strong>. In effetti, le vette, pur rappresentando una<br />
sintesi orografica, quasi mai ci offrono la complessità <strong>del</strong>le montagne di<br />
cui sono il punto culminante.<br />
Così è anche per i Monti Reatini, dove i paesaggi talvolta nascondono una<br />
geografia articolata, a volte sorprendente che, anche nell’era <strong>del</strong>la cartografia<br />
satellitare, può riservare piacevoli sorprese al viaggiatore curioso.<br />
Infatti, se la percezione <strong>del</strong> paesaggio <strong>del</strong>le montagne reatine normalmente<br />
lo fa apparire come familiare, domestico, tanto siamo abituati a osservarlo<br />
velocemente tra le strade che lo attraversano, così non è per la visione geografica<br />
che ha sempre bisogno di uno sforzo per conquistare una conoscenza<br />
più approfondita, per scoprire il Genius Loci che inevitabilmente si<br />
nasconde tra l’evoluzione storica e la natura dei luoghi.<br />
Così, se l’immagine paesaggistica <strong>del</strong> Mons Tetricus appare già nelle fonti<br />
classiche, la sua rappresentazione cartografica ha il proprio battesimo in<br />
una pergamena <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> XIII secolo (anche se con rappresentazioni<br />
fantasiose), con caratteristiche che in seguito saranno una costante anche<br />
nelle definite carte <strong>del</strong> XVIII e XIX sec. Queste caratteristiche mostrano<br />
il gruppo dei Monti Reatini come una serie di aspri pinnacoli, isolati e<br />
rivolti verso sud, verso la Capitale, orientati verso il paesaggio visivo che<br />
s’incrocia percorrendo la via consolare Salaria. Ancora oggi, percorrendo<br />
l’antica Via <strong>del</strong> Sale, già dalle colline <strong>del</strong>la Sabina il <strong>Terminillo</strong> appare<br />
30<br />
31
imponente rispetto a tutte le altre alture vicine.<br />
Così la visione da sud dei tre “coni” di Terminilletto,<br />
Terminilluccio e <strong>Terminillo</strong> nel corso<br />
dei secoli ha fissato l’icona geografica e mentale<br />
di tutto il gruppo montuoso. Un’immagine<br />
cuneiforme che in antichità ha fatto pensare a<br />
un vulcano spento: in realtà non è così, infatti, è<br />
sufficiente girargli intorno per scoprire i versanti<br />
a nord-est e capire immediatamente che la loro<br />
conformazione è quella tipica dei massicci calcarei<br />
<strong>del</strong>l’Appennino.<br />
<strong>La</strong> vetta <strong>del</strong> Monte <strong>Terminillo</strong> è alta 2.217 m.s.l.m.,<br />
questa quota, rilevata recentemente dalle apparecchiature<br />
satellitari <strong>del</strong>la Facoltà d’Ingegneria<br />
<strong>del</strong>l’Università <strong>La</strong> Sapienza, è stata misurata in un<br />
punto poco più a nord rispetto alla storica vetta<br />
dove ancora oggi è ubicata la colonnina <strong>del</strong>l’Istituto<br />
Geografico Militare. Ecco dalla vetta, e dalle circostanti<br />
alture l’orizzonte è sempre quello di altri<br />
gruppi montuosi, alcuni più imponenti, altri che<br />
degradano verso la pianura e il mare.<br />
A nord, dal sistema montuoso umbro si stagliano<br />
i monti Sibillini fino a giungere nelle marche<br />
con il M.te Vettore 2.476 m.s.l.m. Il fiume Tronto<br />
segna lo spartiacque dal quale s’innalzano le<br />
montagne abruzzesi che rappresentano certamente<br />
l’orografia più rappresentativa degli Appennini.<br />
I Monti <strong>del</strong>la <strong>La</strong>ga (M.te Gorzano 2.458<br />
m.s.l.m.) aprono il panorama che tuttavia è rimpicciolito<br />
dalla vicinanza <strong>del</strong> Gran Sasso (Corno<br />
Grande 2.912 m.s.l.m.), la più alta <strong>del</strong>le vette degli<br />
Appennini. Poi lo sguardo si sposta verso le<br />
montagne <strong>del</strong> Velino-Sirente (M.te Velino 2.487<br />
m.s.l.m.). A sud-ovest si apre la grande pianura<br />
reatina contornata dai monti Sabini che degradano<br />
nel sistema collinare <strong>del</strong>la Sabina fino alla<br />
pianura fluviale <strong>del</strong> Tevere. Questi gruppi montuosi<br />
hanno altezze e uno sviluppo orografico<br />
molto ampio, fanno da quinta teatrale alle montagne<br />
più vicine ai Monti Reatini, nella provincia<br />
di Rieti. Sempre partendo da nord abbiamo<br />
monte Pozzoni (1.903 m.s.l.m.) dalle cui pendici<br />
nasce il fiume Velino, poi a est monte Giano<br />
(1.820 m.s.l.m.) che con i suoi scoscesi versanti<br />
da origine alle gole di Antrodoco; al fianco si ergono<br />
il monte Nuria (1.888 m.s.l.m.) e il sistema<br />
montuoso <strong>del</strong> Cicolano che si estende fino<br />
alle montagne <strong>del</strong>la Duchessa. A sud troviamo i<br />
gruppi montuosi che circondano le valli dei fiumi<br />
Salto e Turano, prima con i rilievi di monte<br />
Cervia e Navegna (1.508 m.s.l.m.), più a sud con<br />
i monti Lucretili (M.te Pellecchia 1.368 m.s.l.m.).<br />
A sud-ovest si apre la pianura reatina, attraversata<br />
dal fiume Velino, stretta tra i rilievi dei monti<br />
Sabini (M.te Tancia 1.292 m.s.l.m.) e i Monti Reatini<br />
per questo può essere anche definita come<br />
conca intramontana.<br />
Il gruppo dei Monti Reatini ha un’estensione ben<br />
circoscritta: i crinali, le valli, gli spartiacque definiscono<br />
nei dettagli la sua forma ed è possibile<br />
32<br />
33<br />
Versante Nord-est dei Monti Reatini in estate<br />
Versante sud Monti dei Reatini in inverno
Le caratteristiche climatiche dei Monti Reatini sono spiegate dalla posizione geografica “aperta” verso il Tirreno e pertanto esposta<br />
agli influssi dei venti caldo-umidi provenienti dai quadranti occidentali che incontrandosi con le minori temperature determinano<br />
copiose precipitazioni. Il rigoglio <strong>del</strong>la vegetazione ne è una conseguenza. Nella foto il Terminilletto visto dalla cresta Sassetelli.<br />
34<br />
35<br />
<strong>La</strong> parete est <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> ricoperta da una copiosa nevicata dalla colorazione marrone. Tali eventi sono dovuti all’influsso dei venti<br />
caldo-umidi provenienti da sud-ovest, normalmente dal nord Africa, che hanno caricato di sabbia e polvere le formazioni nuvolose<br />
che successivamente si spostano a grande velocità verso nord.
compiere il periplo attraverso strade asfaltate in<br />
meno di cento chilometri. Da Rieti, si risale la<br />
valle <strong>del</strong> fiume Velino fino ad Antrodoco, poi le<br />
gole omonime dominanti a est, da monte Giano<br />
fino al paese di Posta, quindi ci si orienta ad ovest<br />
percorrendo la strada che, attraverso il paese di<br />
Albaneto, giunge a Leonessa. Da qui si gira nuovamente<br />
a sud verso la Forca <strong>del</strong> Fuscello, poi la<br />
strada costeggia i versanti fino a scoprire di nuovo<br />
il panorama <strong>del</strong>la pianura reatina per tornare<br />
al punto di partenza, Rieti.<br />
Riprendendo il percorso in senso antiorario troviamo<br />
le principali valli, articolate su un profilo<br />
altimetrico che va dalla base <strong>del</strong>la montagna<br />
(500-1000 metri) fino alle aree sommitali: sono<br />
il Vallone di Lisciano, Valle Ravara, Valle Scura,<br />
Vallonina e la Valle di Cantalice. Da queste è possibile<br />
risalire la montagna fino alle vette maggiori,<br />
incontrando le diramazioni di altre valli boscose<br />
e circhi glaciali, creste, pratoni scoscesi, pascoli<br />
in uno scenario paesaggistico di rilievo che, pur<br />
nella limitatezza spaziale <strong>del</strong> gruppo montuoso,<br />
riesce a offrire una bella articolazione di scenari<br />
di montagna.<br />
Le vette che superano i 2.000 metri sono individuate<br />
nel <strong>Terminillo</strong> e la Cresta Sassetelli<br />
(2.217 m.s.l.m.), il M.te Elefante (2.015 m.s.l.m.)<br />
con la cresta dei M.ti Valloni e il M.te Cambio<br />
(2.081 m.s.l.m.) che si prolunga con una cresta<br />
su M.teCatabio fino alla pianura di Leonessa. Le<br />
dorsali e le creste sommitali descrivono i perimetri<br />
<strong>del</strong>le valli in quota che sono uno degli elementi<br />
più interessanti <strong>del</strong>la geografia, in particolare<br />
la Cresta Sassetelli che separa la Valle <strong>del</strong>la Meta<br />
dalla Valle degli Angeli, e tra <strong>Terminillo</strong> e Terminilletto<br />
la valle <strong>del</strong>l’Inferno, sopra Leonessa la<br />
vall’Organo e numerose altre valli I crocus meno dipingoconosciute, nascoste dai i boschi e dalla<br />
no<br />
morfologia<br />
di viola i prati<br />
e<br />
<strong>del</strong>la primavera<br />
forse per questo più attraenti da visitare.<br />
Tutte le altre cime non superano gli 1.800 metri,<br />
le più importanti sono Colle Leprino (1.746<br />
m.s.l.m.), Cima d’Arme (1.678 m.s.l.m.) che insieme<br />
a Monte Rosato <strong>del</strong>imitano il versante<br />
ovest, poi il settore leonessano con monte Corno<br />
e Tilia (1.775 m.s.l.m.) e quello <strong>del</strong>la valle <strong>del</strong> Velino<br />
con Cimata di Castello e Colle <strong>del</strong>le Porrare<br />
(1.603 m.s.l.m.). Tutte queste cime sono intervallate<br />
da valichi e passi montani alcuni dei quali<br />
sono una chiave fondamentale per capire la geografia<br />
dei Monti Reatini. Certamente il più famoso<br />
di questi è il passo di Sella di Leonessa (1.900<br />
m.s.l.m.), oggi percorribile in estate da una comoda<br />
strada panoramica, collega i due versanti<br />
nell’asse sud-nord, la città di Rieti con il paese di<br />
Leonessa. Questa strada (da Rieti S.S. bis Salaria)<br />
ha facilitato l’accesso in quota e al fianco <strong>del</strong>la<br />
quale sono nate le stazioni turistiche di Pian dé<br />
Valli e Campoforogna. Un altro valico strategico<br />
per capire la geografia dei Monti Reatini, ma anche<br />
la storia, è il Passo <strong>La</strong> Fara, tra i comuni di<br />
36<br />
37<br />
<strong>La</strong> città di Rieti si trova alla base dei Monti Reatini sulla pianura reatina. Dal binomio pianura- montagna e acque-boschi deriva la<br />
bellezza e la biodiversità di questo territorio.
Le rocce calcaree sono sottoposte ad una costante erosione sia ad opera degli agenti atmosferici che per l’accentuato fenomeno <strong>del</strong><br />
carsismo che opera la dissoluzione <strong>del</strong> carbonato di calcio.<br />
38<br />
39<br />
I Monti Reatini comprendono anche una rilevante geodiversità. Da Sella di Leonessa si trovano le imponenti megabrecce, ad elementi<br />
di Calcare Massiccio (sulla sinistra <strong>del</strong>la foto), presenti all’interno <strong>del</strong>la formazione <strong>del</strong>la Corniola. Questa formazione denominata<br />
Megabrecce nella Corniola è uno dei geositi individuati dalla Regione <strong>La</strong>zio nel territorio <strong>del</strong> Montepiano Reatino.
Versante nord di Valle Scura con la spaccatura <strong>del</strong> Fosso dei Cavalli, sovrastati da Monte di Cambio e Monte Iazzo .<br />
Questa è una <strong>del</strong>le aree meglio conservate <strong>del</strong> comprensorio montano.<br />
40<br />
41<br />
Leonessa e Poggio Bustone-Cantalice-Rivodutri,<br />
infatti fin dal medioevo è stato uno dei passaggi<br />
che collegavano l’Umbria con la pianura reatina.<br />
Certamente vi ha camminato San Francesco e<br />
oggi sono ancora visibili le tracce di quel passato<br />
medievale, in seguito è diventata linea di confine<br />
tra Stato Pontificio e Regno <strong>del</strong>le Due Sicilie.<br />
<strong>La</strong> geografia dei luoghi ha comunemente il destino<br />
che le rocce e la loro formazione gli hanno<br />
assegnato. Nel massiccio <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>, analogamente<br />
a quanto accade in gran parte <strong>del</strong>l’Appennino,<br />
le rocce sono di origine sedimentaria.<br />
<strong>La</strong> dorsale montuosa dei Monti Reatini è racchiusa<br />
tra due ampie depressioni, che molti sostengono<br />
essere, tuttora in lento abbassamento: il bacino<br />
di Rieti e quello di Leonessa, originatisi tra il<br />
Pleistocene e l’Olocene durante una fase tettonica<br />
distensiva. Le formazioni rocciose più antiche <strong>del</strong><br />
gruppo montuoso sono costituite da calcari massicci<br />
e da successioni calcaree e calcareo-dolomitiche<br />
di piattaforma carbonatica sub-tropicale, intensamente<br />
tagliate da faglie e tra loro accavallate.<br />
Stratigraficamente sovrastanti vi sono altre formazioni<br />
di natura calcarea e marnosa originatesi<br />
in un ambiente marino pelagico.<br />
Il mo<strong>del</strong>lamento <strong>del</strong> paesaggio è quello dovuto<br />
in parte alla presenza <strong>del</strong> ghiaccio ed è rilevabile<br />
in corrispondenza <strong>del</strong> massiccio <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>,<br />
dove sono ancora visibili i segni <strong>del</strong>l’ultima<br />
glaciazione, quella di Würm, risalente a 10.000<br />
anni fa. A quote più elevate sono evidenti i circhi<br />
glaciali e le piccole valli sospese; scendendo<br />
lungo il versante occidentale s’incontrano le Valli<br />
degli Angeli e <strong>del</strong>l’Inferno, mentre su quello settentrionale<br />
la Vall’Organo e la Valle <strong>del</strong>la Meta<br />
che presentano tutte una tipica conformazione<br />
a “U”, dovuta all’azione erosiva di lingue glaciali.<br />
A quote minori, dove lo scorrimento <strong>del</strong>le acque<br />
superficiali non ha rimo<strong>del</strong>lato completamente il<br />
paesaggio, è possibile rintracciare i resti <strong>del</strong>le antiche<br />
morene. Anche la Vallonina e la Valle Scura<br />
sono di origine glaciale, ma la loro forma attuale<br />
è stata fortemente condizionata dalla presenza di<br />
corsi d’acqua che, erodendo il fondo, hanno conferito<br />
loro un profilo a “V”. Altre forme presenti<br />
sono connesse per lo più all’erosione operata dallo<br />
scorrimento <strong>del</strong>le acque superficiali.<br />
Tuttavia se si vuole capire veramente la storia geologica<br />
di queste montagne bisogna andare nelle<br />
gole di Antrodoco, lì si trova un’importante struttura<br />
geologica <strong>del</strong>l’Appennino centrale: la linea di<br />
faglia “Ancona-Anzio”. Si tratta di una profonda<br />
frattura che divide gli appennini a metà, e che è<br />
alla base di alcune odierne differenze ambientali.<br />
Ad esempio l’area di monte Nuria fino alle montagne<br />
<strong>del</strong>la Duchessa, si è originata in un ambiente<br />
marino con acque basse, con clima subtropicale,<br />
con vaste aree di barriera corallina (Piattaforma<br />
Carbonatica) e oggi ci appare con successioni<br />
rocciose calcaree, che lasciano infiltrare gran par-
<strong>La</strong> vetta <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> non è più di 2216 metri come riporta la cartografia ufficiale. Infatti, nel 2006 il Prof. Mattia Crespi, <strong>del</strong>la<br />
Facoltà di Ingegneria <strong>del</strong>l’Università <strong>La</strong> Sapienza ha compiuto il rilevamento altimetrico <strong>del</strong>la montagna con la strumentazione<br />
satellitare. Il punto dove è collocato il segnale trigonometrico ha fornito quota 2215,41, vicina al 2.216 ufficiale. In quell’occasione fu<br />
verificata anche l’altezza <strong>del</strong>la vicina cima Nord, quella con la piramide di sassi, che risultò quota di 2217,13, di 1 metro più alta.<br />
Così, la vetta <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> oltre ad avere cambiato luogo e quota oggi si trova nel Comune di Leonessa.<br />
42<br />
43<br />
Due classiche panoramiche dal <strong>Terminillo</strong>, la catena dei Monti Sibillini, con la vetta Monte Vettore (2.476 metri) e in basso i Monti<br />
<strong>del</strong>la <strong>La</strong>ga con il Monte Gorzano (2.458 metri) la più alta vetta <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio. Questi gruppi montuosi appenninci confinano con la<br />
catena dei Monti Reatini.
te <strong>del</strong>l’acqua impedendo lo sviluppo di una coltre<br />
vegetale arborea diffusa e uniforme.<br />
In quest’area le rocce, per effetto <strong>del</strong> carsismo si<br />
sciolgono, e sviluppano inghiottitoi, grotte e lunghi<br />
reticoli carsici, per questo motivo la presenza<br />
di acquiferi sotterranei in quota è molto scarsa,<br />
mentre nel fondovalle c’è una straordinaria concentrazione<br />
di sorgenti, prima fra tutte quelle <strong>del</strong><br />
Peschiera. Questa sorgente, con una portata di<br />
circa 20.000 l/sec e che rifornisce di acque sorgive<br />
una metropoli come Roma, ha il suo bacino<br />
di alimentazione proprio dalle montagne che si<br />
estendono dal Cicolano fino alla Marsica.<br />
Per contro i Monti Reatini, pur essendo un massiccio<br />
sostanzialmente calcareo, presentano una<br />
maggiore diversità sedimentologica dovuta alla<br />
presenza di sabbie, marne, selce e argille. Questo<br />
si riflette in una minore permeabilità dei suoli e<br />
in una maggiore presenza di acqua in prossimità<br />
<strong>del</strong>la superficie che consente alla vegetazione di<br />
giungere a quote elevate. Per tali caratteristiche il<br />
massiccio dei Monti Reatini alimenta, oltre a falde<br />
sospese che danno origine a piccole sorgenti<br />
poste in alta quota contiene anche una potente<br />
ed estesa falda basale è una <strong>del</strong>le più ricche <strong>del</strong>la<br />
regione.<br />
Guardando la vegetazione è facile capire anche la<br />
geologia <strong>del</strong>la montagna. Ad esempio nelle valli<br />
dove l’erosione carsica drena le acque nel sottosuolo<br />
troviamo una vegetazione meno rigogliosa,<br />
certamente non arborea; mentre nei versanti con<br />
una stratigrafia meno permeabile si trovano le<br />
faggete, talvolta fino a quote considerevoli. Proprio<br />
in queste aree, le rocce calcaree sono inframezzate<br />
dalle marne pertanto hanno la capacità<br />
di sostenere acquiferi, dando origine a sorgenti<br />
puntuali, anche a quote elevate. Tra queste ultime,<br />
le più conosciute e frequentate sono quelle di Acquasanta,<br />
sotto la cresta Sassetelli, e di Capo Scura,<br />
nella valle Scura, rispettivamente a 1745 e 1490<br />
metri di quota. È soprattutto a quote meno elevate,<br />
in prossimità <strong>del</strong> paesaggio morfologico dal rilievo<br />
alla Piana Reatina e alla valle <strong>del</strong> Velino, che<br />
le acque emergono in una miriade di sorgenti la<br />
cui portata può arrivare anche a qualche migliaio<br />
di litri/secondo, come nel caso <strong>del</strong>la sorgente di<br />
Santa Susanna, in prossimità di Rivodutri.<br />
Infatti, sui Monti Reatini hanno sede due bacini<br />
idrografici che danno origine rispettivamente ai<br />
fiumi Corno e Velino entrambi appartenenti al<br />
bacino idrografico <strong>del</strong> fiume Tevere e tributari<br />
<strong>del</strong> fiume Nera. Il Corno, attraversa il paese di<br />
Leonessa, poi scorre verso la Valnerina in Umbria.<br />
Il fiume Velino invece circonda quasi completamente<br />
i Monti Reatini rappresentandone<br />
sia il confine geografico che il corridoio ecologico<br />
per i territori circostanti e insieme rappresentano<br />
l’elemento storico-geografico e ambientale<br />
più importante. <strong>La</strong> rete ecologica collega le aree<br />
umide <strong>del</strong>la pianura, al sistema collinare, alle<br />
44<br />
45<br />
Il versante nord <strong>del</strong>la cresta Sassetelli conserva le tracce più evidenti <strong>del</strong>l’erosione glaciale. In alto la parete nord <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>,<br />
in primo piano la morena residuale <strong>del</strong> ghiacciaio di epoca quaternaria risalente a circa 20.000 anni fa.
Nelle giornate particolarmente limpide, da Campoforogna è possibile vedere Roma e fino al mar<br />
Tirreno (la striscia chiara che attraversa l’immagine) proprio per l’assenza di montagne nel settore<br />
sud-ovest <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio<br />
aree di alta montagna, insieme conferiscono a tutto il comprensorio <strong>del</strong><br />
Montepiano Reatino un alto valore di biodiversità. <strong>La</strong> Valle <strong>del</strong> Velino e<br />
la Pianura Reatina raccolgono un sistema di acquiferi e di sorgenti straordinarie<br />
che insieme ai boschi rappresentano la principale alleanza naturale<br />
di questo territorio. <strong>La</strong> diffusione capillare <strong>del</strong>le acque ci regala una<br />
vegetazione rigogliosa anche nelle estati siccitose, il tutto si trasforma in<br />
virtù estetica che fa annoverare questo territorio tra i più belli e suggestivi<br />
paesaggi d’Italia, certamente meritevole di tutela e valorizzazione.<br />
Certo, alla formazione <strong>del</strong> paesaggio attuale hanno contribuito molti elementi,<br />
naturali e generati dalla storia <strong>del</strong>l’uomo, ma il vero volto di questi<br />
luoghi, il Genius loci dei Monti Reatini nonostante il passare dei secoli è<br />
rimasto lo stesso.<br />
Forse si può incontrare, osservando il massiccio da lontano, nel silenzio<br />
invernale <strong>del</strong>le valli in quota, percorrendo una <strong>del</strong>le creste da cui si scopre<br />
l’ampio panorama, arrampicandosi sulla gelida parete nord <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong><br />
o semplicemente percorrendo i tornanti <strong>del</strong>la strada statale che attraversa<br />
tutto il massiccio. Sì, forse l’immagine e la percezione non sono cambiate<br />
rispetto a 2000 anni fa, quando poco si sapeva di questa montagna.<br />
Così ancora oggi, nelle limpide giornate di tramontana, dal Gianicolo a<br />
Roma è possibile intravedere al fianco <strong>del</strong>la cupola di Michelangelo, all’orizzonte,<br />
il Monte <strong>Terminillo</strong>; e allora è facile capire che i Tetricae Horrentes<br />
rupes di Virgilio o i Gurgures alti montes narrati di Varrone non potevano<br />
non corrispondere a quel paesaggio oggi è impresso sui Monti Reatini.<br />
46<br />
47
Quanto monotona sarebbe la faccia <strong>del</strong>la<br />
terra senza le montagne<br />
(Immanuel Kant)<br />
48<br />
49
<strong>La</strong> Valle Scura è rimasta<br />
intatta per via dei suoi<br />
versanti scoscesi.<br />
Vegetazione ed habitat<br />
di Francois Salomone<br />
Il paesaggio vegetale che caratterizza i Monti Reatini è costituito prevalentemente<br />
da formazioni di tipo alto-montano, rappresentate in massima parte<br />
da faggete di quota e da forme di vegetazione che si sviluppano al di sopra<br />
<strong>del</strong> limite <strong>del</strong>la vegetazione forestale; queste ultime, in particolare, rivestono un<br />
ruolo chiave soprattutto da un punto di vista fitogeografico, in quanto evidenziano<br />
come questo sia uno dei territori più conservativi per la flora continentale<br />
a carattere boreale di tutta l’Italia Centrale.<br />
<strong>La</strong> maggior parte <strong>del</strong>le informazioni di seguito riportate sono tratte dal volume<br />
“Guida ai Monti Reatini” (AA.VV., 2002) e dai Piani di Gestione <strong>del</strong>la ZPS dei<br />
Monti Reatini (AA.VV., 2004 a) e <strong>del</strong> SIC di Vallonina (AA.VV., 2004 b).<br />
<strong>La</strong> relittualità, infatti, è uno degli aspetti che maggiormente caratterizza la flora<br />
e la vegetazione di questo comprensorio: recenti indagini sulla distribuzione<br />
altitudinale <strong>del</strong>la flora evidenziano come per questo territorio sia presente un<br />
generale fenomeno di persistenza di entità floristiche tipiche <strong>del</strong>la vegetazione<br />
steppica che durante l’ultima fase glaciale caratterizzava ampi settori <strong>del</strong>l’Italia<br />
peninsulare. Anche la presenza <strong>del</strong>la Bivonea di Savi (Jonopsidium savianum),<br />
una specie endemica estremamente rara in Italia, è altamente rappresentativa<br />
di una condizione di relittualità, riconducibile a nuclei di conservazione di flora<br />
di ambienti semidesertici sopravvissuti al cambiamento climatico postglaciale.<br />
Non meno rilevante è il valore <strong>del</strong>la vegetazione forestale e <strong>del</strong>le sue forme di<br />
transizione con la vegetazione <strong>del</strong>le praterie subalpine. Ampie e compatte sono<br />
ancor oggi le faggete di tipo mediterraneo-montano a tasso e agrifoglio, nelle<br />
quali si conservano popolazioni di betulla (Betula pendula), come residuo di<br />
più complesse forme di vegetazione forestale <strong>del</strong>l’Olocene medio. Un ulteriore<br />
elemento di relittualità e costituito dai nuclei di foresta temperata a tigli (Tilia<br />
platyphyllos, T. cordata) e aceri (Acer sp. pl.), diffusi su alcune pendici a clima<br />
relativamente caldo umido.<br />
50<br />
51
Carta <strong>del</strong>la Vegetazione<br />
e degli habitat di interesse<br />
comunitario.<br />
Fonte: Piano di Gestione <strong>del</strong>la ZPS dei<br />
Monti Reatini (AA.VV., 2004 a).<br />
52<br />
53
Formazioni boschive<br />
Boschi di faggio<br />
I boschi di faggio (Fagus sylvatica) dominano in assoluto il paesaggio vegetale<br />
<strong>del</strong> comprensorio, ricoprendo in modo pressoché continuo le pendici<br />
dei rilievi entro una fascia altimetrica compresa fra 800-1.000 e i 1.900<br />
metri circa. Si possono distinguere due aspetti principali:<br />
Faggeti d’alta quota<br />
Alle quote più elevate l’azione di pascolamento <strong>del</strong> bestiame domestico ha<br />
determinato nel corso dei secoli un abbassamento <strong>del</strong>la distribuzione altimetrica<br />
<strong>del</strong> faggio. Le faggete più elevate (in quota 1900 – 1600 m s.l.m.) sono<br />
costituite da popolamenti monostratificati a dominanza assoluta di Fagus<br />
sylvatica, in cui la presenza di aceri (Acer pseudoplatanus, A. obtusatum,<br />
A. platanoides) testimonia eventi passati di apertura e chiusura <strong>del</strong>la volta<br />
arborea. In corrispondenza di siti rupestri al limite superiore <strong>del</strong>la faggeta<br />
tendono ad accantonarsi nuclei di rosacee legnose dominate da sorbi (Sorbus<br />
aria, S. aucuparia), mentre in condizioni di ristagno idrico compaiono<br />
occasionalmente popolazioni di salice <strong>del</strong>le capre (Salix caprea), che, per<br />
la capacità di resistenza <strong>del</strong>la specie alle alte concentrazioni di zolfo nel<br />
terreno, si sviluppa spesso nei pressi di terreni caratterizzati dai resti <strong>del</strong>la<br />
combustione <strong>del</strong>le carbonaie che per secoli hanno costellato la foresta.<br />
Il sottobosco <strong>del</strong>la faggeta pura è di norma estremamente rarefatto e povero<br />
a causa <strong>del</strong>la competitività <strong>del</strong> faggio. Nello strato erbaceo si rinvengono<br />
la lattuga montana (Prenathes purpurea), la piroletta pendula (Orthilia<br />
secunda), la lattuga dei boschi (Mycelis muralis), la dentaria a nove foglie<br />
(Cardamine enneaphyllos) e la moehringia a tre nervi (Moehringia trinervia).<br />
<strong>La</strong> componente arbustiva è costituita dalla madreselva alpina (Lonicera<br />
alpigena), dal rovo ideo (Rubus idaeus), dal ranno alpino (Rhamnus<br />
alpinus) e dal ginepro nano (Juniperus nana); quest’ultimo tende spesso<br />
ad occupare ampie depressioni, dove pascolo, accumulo di neve, ristagno<br />
idrico o inversione termica rendano difficile la affermazione o la riaffer-<br />
54<br />
55<br />
Nel versante nord dei Monti Reatini le faggete giungono alla<br />
quota di 1900 metri ricoprendo i versanti fino alle praterie e alle<br />
rocce sommitali.
mazione <strong>del</strong>la faggeta. Studi di tipo dendrocronologico effettuati in aree<br />
limitrofe hanno evidenziato che le faggete di quote più elevate ospitano<br />
individui di faggio che, nonostante le dimensioni normali, hanno raggiunto<br />
età plurisecolari; questo costituisce un dato di estrema importanza<br />
scientifica sulle variazioni a scala secolare e millenaria <strong>del</strong>le condizioni<br />
ambientali a queste latitudini.<br />
Faggeti a tasso e agrifoglio<br />
A quote più basse, entro una fascia altitudinale compresa fra 800 e 1600 m<br />
s.l.m., si rinviene in tutto il comprensorio una faggeta più strutturata rispetto<br />
alla precedente, nella quale si riconosce uno strato dominato a tasso<br />
(Taxus baccata) e agrifoglio (Ilex aquifolium) e uno strato erbaceo costituito<br />
da numerose specie nemorali, quali l’erba laurella (Daphne laureola), la<br />
fusaria maggiore (Euonimus latifiolius), l’euforba <strong>del</strong>le faggete (Euphorbia<br />
amygdaloides), la melica comune (Melica uniflora), la cinquefoglia fragolasecca<br />
(Potentilla micrantha), l’erba fragolina (Sanicula europaea), il caglio<br />
odoroso (Galium odoratum), l’erba trinità (Hepatica nobilis), l’anemone<br />
<strong>del</strong>l’Appennino (Anemone apennina) e l’iva comune (Ajuga reptans).<br />
Il tasso e l’agrifoglio rappresentano gli ultimi rappresentanti (relitti) di un<br />
paesaggio vegetale di tipo subtropicale diffuso nelle ultime fasi <strong>del</strong> Terziario;<br />
questo era dominato da specie sempreverdi di ambiente temperato<br />
(laurifille). Progressivamente scomparso in seguito alle crisi glaciali quaternarie,<br />
i resti di questo paesaggio sono conservati all’interno <strong>del</strong>la vegetazione<br />
forestale diffusasi dall’ultimo postglaciale ad oggi lungo i monti<br />
<strong>del</strong>l’Europa meridionale.<br />
Attualmente in Europa la faggeta a tasso e agrifoglio si presenta poco diffusa<br />
e prevalentemente disturbata dall’azione <strong>del</strong>l’uomo: questo è dovuto<br />
soprattutto al regime d’uso a cui questa foresta è stata sottoposta nel corso<br />
dei secoli (pascolamento e utilizzazione <strong>del</strong> materiale ligneo e <strong>del</strong>la corteccia<br />
<strong>del</strong> tasso).<br />
56<br />
57<br />
Un esemplare di tasso<br />
(Taxus baccata), specie<br />
caratteristica <strong>del</strong>l’habitat<br />
di interesse comunitario<br />
prioritario Faggeti degli<br />
Appennini con Taxus e Ilex
<strong>La</strong> cresta Sassettelli e la parete nord <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> sono un vero<br />
monumento naturale, sovrastano i luoghi più preziosi <strong>del</strong>la<br />
montagna, Prato Sassi, Valle <strong>del</strong>la Meta, Vallonina e rappresentano<br />
uno scenario di alta montagna unico in provincia di Rieti.<br />
58<br />
59<br />
Ai Monti Reatini un fattore decisivo è stato il pascolo ovino e bovino, che ha<br />
determinato sia la frammentazione <strong>del</strong>le faggete sia la rarefazione <strong>del</strong>le popolazioni<br />
di tasso e agrifoglio, riducendo significativamente l’area di diffusione<br />
potenziale locale di tali consorzi a favore <strong>del</strong> bosco puro di faggio (impoverito).<br />
<strong>La</strong> faggeta con tasso e agrifoglio è tutelata dalla Direttiva 92/43/<br />
CEE “Habitat” ed è riferibile all’habitat di interesse comunitario prioritario<br />
9210* Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex).<br />
Foreste decidue mesofile<br />
Si tratta di nuclei di foresta mista accantonati su pendii acclivi a suolo relativamente<br />
maturo, presenti nei fondovalle <strong>del</strong> settore centro settentrionale<br />
<strong>del</strong> massiccio e in particolar modo lungo il Vallone <strong>del</strong> Rio Fuggio e in Vallonina.<br />
Questi sono costituiti dal tiglio nostrano (Tilia platyphyllos), dall’acero riccio<br />
(Acer platanoides), dall’acero di monte (A. pseudoplatanus) ,dall’acero di<br />
Ungheria (A. obtusatum), dall’olmo montano (Ulmus glabra), dal frassino<br />
comune (Fraxinus excelsior), dal ciliegio selvatico (Prunus avium) e dal cerro<br />
(Quercus cerris).<br />
Questo tipo di bosco ha una distribuzione prevalentemente centroeuropeocaucasica<br />
e si caratterizza per un’elevata ricchezza floristica: il piano subordinato<br />
vede la presenza <strong>del</strong> nocciolo (Corylus avellana) e <strong>del</strong> carpino nero<br />
(Ostrya carpinifolia), mentre nello strato erbaceo, oltre alle specie già citate<br />
per faggeta a tasso e agrifoglio, sono presenti la campanula maggiore (Campanula<br />
latifolia), la campanula di Tanfani (Campanula tanfanii), la billeri<br />
chelidonia (Cardamine chelidonia), la digitale appenninica (Digitalis micrantha),<br />
la balsamina minore (Impatiens parvi flora), il laserpizio <strong>del</strong> meridione<br />
(<strong>La</strong>serpitium garganicum), il giglio martagone (Lilium martagon), la linajola<br />
purpurea (Linaria purpurea), la sassifraga alpina (Saxifraga paniculata), il<br />
senecione alpino (Senecio cordatus), la lingua di cane appenninica (Solenanthus<br />
apenninus) e la gramigna <strong>del</strong>l’Appennino (Trisetum villosum).
Anche questa formazione forestale è tutelata dalla normativa comunitaria<br />
ed è riferibile all’habitat di interesse comunitario prioritario “9180 *-Foreste<br />
di versanti, ghiaioni e valloni <strong>del</strong> Tilio-Acerion”.<br />
Foreste decidue submediterranee<br />
Al di sotto dei 900 m di quota, si rinvengono consorzi di latifoglie decidue<br />
sub-mediterranee distinti nei seguenti tipi:<br />
Boschi dominati dal carpino nero<br />
Nel settore settentrionale <strong>del</strong> comprensorio, alla base dei pendii <strong>del</strong>la<br />
bassa Vallonina e bacino di Fosso Ranaro, con esposizione verso i quadranti<br />
meridionali, si accantonano formazioni dominate dal carpino nero<br />
(Ostrya carpinifolia). Questi ostrieti si sviluppano su pendii particolarmente<br />
scoscesi con roccia affiorante, in contesti dominati dalla cerreta<br />
mista.<br />
Querceti a cerro e roverella<br />
Nel territorio fra Rivodutri e Poggio Bustone e sulle pendici meridionali di<br />
M. Calcarone, al di sotto <strong>del</strong> bosco dominato dal carpino nero, sono diffusi<br />
querceti dominati da cerro e roverella. Cerrete a carattere zonale sembrano<br />
essere presenti esclusivamente lungo i distretti a NE <strong>del</strong> comprensorio<br />
di Cittareale: in alcuni siti, infatti, il cerro si associa ad Acer obtusatum<br />
in popolamenti misti che assumono aspetto di comunità durevole. I querceti<br />
dominati dalla roverella (Quercus pubescens s.l) costituiscono invece<br />
le boscaglie di sostituzione che hanno riconquistato parte dei pascoli abbandonati<br />
<strong>del</strong> settore occidentale <strong>del</strong> comprensorio.<br />
Rimboschimenti di conifere<br />
Le aree interessate dai rimboschimenti di conifere (prevalentemente Pinus<br />
nigra) ricadono esclusivamente in una fascia altitudinale compresa tra le<br />
quote medie e basse. Fenomeni di inselvatichimento sono di portata limitata<br />
e pertanto facilmente controllabili.<br />
60<br />
61<br />
In primo piano un semprevivo<br />
maggiore (Sempervivum<br />
tectorum) sullo sfondo<br />
il Monte di Cambio
Formazioni arbUsTive<br />
e cesPUGLieTi<br />
Ginepreti a ginepro nano<br />
Si tratta di comunità arbustive di alta quota dominate dal ginepro nano<br />
(Juniperus communis subsp. nana), a cui si accompagnano la codolina alpina<br />
(Phleum alpinum), la festuca dei nardeti (Festuca nigrescens) e il mirtillo<br />
nero (Vaccinium myrtillus). Queste formazioni arbustive in passato<br />
dovevano ricoprire gran parte <strong>del</strong>l’attuale estensione dei pascoli di alta<br />
quota, occupando le vette secondarie e lasciando alle praterie subalpine le<br />
sommità più elevate. Questo tipo di vegetazione può essere riferito all’habitat<br />
di interesse comunitario “5130 Formazioni a Juniperus communis su<br />
lande o prati calcicoli”. Nei Monti Reatini questi habitat sono abbsatanza<br />
comuni sopra i 1700 metri di quota.<br />
Brughiere altomontane: popolamenti a mirtillo nero<br />
Di estremo interesse nel comprensorio sono alcuni lembi residuali di brughiera<br />
altomontana a mirtillo nero (Vaccinium myrtillus); questa è presente<br />
in maniera discontinua in numerose località poste al di sopra <strong>del</strong> limite<br />
<strong>del</strong>la vegetazione forestale (Sella di Leonessa); rispetto a testimonianze<br />
relative a una sua precedente diffusione locale sembrerebbe in una fase di<br />
regresso, cosa che impone urgenti misure di tutela.<br />
I Monti Reatini possono essere considerati il limite meridionale <strong>del</strong> mirtillo<br />
nero nella nostra penisola, sebbene esistano popolazioni molto ridotte<br />
anche nel Parco Nazionale d’Abruzzo. Nel comprensorio reatino questa<br />
specie può costituire <strong>del</strong>le vere e proprie brughiere a Vaccinium myrtillus<br />
e può far parte di cespuglieti altomontani nei quali si accompagna al ginepro<br />
nano (Juniperus communis subsp. nana). Alcuni aspetti di questo tipo<br />
di vegetazione possono essere riferiti all’habitat di intereresse comunitario<br />
“4060 - <strong>La</strong>nde alpine e boreali”.<br />
Boscaglia alveale a salice ripaiolo<br />
Lungo le sponde <strong>del</strong> corso superiore dei torrenti si rileva la presenza abbastanza<br />
diffusa di saliceti a salice ripaiolo (Salix eleagnos); si tratta di un<br />
piccolo alberello, adattato al disturbo meccanico <strong>del</strong> regime torrentizio dei<br />
62<br />
63<br />
Paesaggio altomontano dei Monti Reatini, caratterizzato da<br />
estese faggete di quota, praterie montane e praterie subalpine<br />
diffuse oltre il limite degli alberi.
Formazioni PraTive<br />
corsi d’acqua in alta quota, comune sui rilievi <strong>del</strong>l’Europa centrale e meridionale.<br />
Nel comprensorio questa boscaglia ha andamento lineare parallelo<br />
al reticolo idrografico e si distribuisce in modo relativamente discontinuo<br />
su substrati ciottolosi, dove la vegetazione forestale dei pendii circostanti<br />
non riesce ad insediarsi. Questa formazione è riferibile all’habitat di<br />
interesse comunitario “3240 Fiumi alpini con vegetazione riparia legnosa<br />
a Salix eleagnos”.<br />
Praterie mesofitiche di alte erbe: i megaforbieti di alta quota<br />
Al limite superiore <strong>del</strong>la vegetazione legnosa su suoli umidi e ricchi di sostanza<br />
organica,si rinvengono lembi di praterie di alte erbe bienni e perenni;<br />
in corrispondenza di tali consorzi si rileva anche l’importante presenza<br />
di popolazioni di betulla (località Scangive). In questi siti la luminosità<br />
elevata, determinata dalla rarefazione <strong>del</strong>la copertura arborea, consente lo<br />
sviluppo di numerose specie erbacee: il cavolaccio meridionale (Adenostyles<br />
australis), il geranio a petali reflessi (Geranium reflexum), l’aconito<br />
di <strong>La</strong>marck (Aconitum lamarckii), il cerfoglio alpestre (Anthriscus nitida),<br />
la lattuga dei boschi (Mycelis muralis), la salvia vischiosa (Salvia glutinosa),<br />
l’alliaria comune (Alliaria petiolata), il garofanino di Dodonaeus (Epilobium<br />
dodonaei) e la lunaria comune (Lunaria rediviva).<br />
Digitazioni di queste comunità possono essere considerati i megaforbieti<br />
che colonizzano piccole radure all’interno <strong>del</strong>la faggeta ove si vengano a<br />
formare accumuli cospicui di sostanza organica Questa vegetazione rientra<br />
nell’ambito <strong>del</strong>l’habitat di interesse comunitario “6430 Bordure planiziali,<br />
montane e alpine di megaforbie idrofile”.<br />
Praterie subalpine<br />
Nonostante i Monti Reatini siano tra le montagne più elevate <strong>del</strong> territorio<br />
regionale, la fascia altitudinale di pertinenza <strong>del</strong>le praterie subalpine<br />
non è molto sviluppata: gran parte <strong>del</strong>le praterie sommitali al di sopra<br />
64<br />
65<br />
<strong>La</strong> Betulla verrucosa (Betula pendula), specie relitta diffusasi<br />
in Italia durante le glaciazioni, è presente solo lungo il versante<br />
nord <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>, tra i massi <strong>del</strong>la morena postglaciale e la<br />
faggeta, (nella foto la vegetazione con il verde più chiaro).
66<br />
67<br />
Da sinistra verso destra: la genziana maggiore (Gentiana lutea),<br />
campanula (Campanula sp.), la pulsatilla alpina (Pulsatilla<br />
alpina) e la primula orecchia d’orso (Primula auricula).<br />
<strong>del</strong> limite superiore dei boschi, infatti, si è originata in seguito all’azione <strong>del</strong><br />
pascolo su consorzi di arbusti contorti e suffruticeti. Vengono qui di seguito<br />
elencate le principali praterie sommitali presenti nel comprensorio dei<br />
Monti Reatini.<br />
Seslerieti<br />
Si tratta di comunità prative dominate dalla sesleria tenuifolia (Sesleria tenuifolia)<br />
presenti lungo le cenge rocciose <strong>del</strong> comprensorio, dove formano aggruppamenti<br />
di limitata estensione. Tra le specie più frequentemente associate<br />
compaiono la carice di Kitaibel (Carex kitaibeliana), la fienarola <strong>del</strong>le<br />
Alpi (Poa alpina), la festuca appenninica (Festuca dimorpha), la vulneraria<br />
montana (Anthyllis montana), l’eliantemo candido (Helianthemum canum),<br />
la campanula graminifolia (Edraianthus graminifolius) e la sassifraga alpina<br />
(Saxifraga paniculata); in aree caratterizzate da una elevata acclività e mobilità<br />
<strong>del</strong> substrato, compaiono il camedrio alpino (Dryas octopetala) e occasionalmente<br />
l’uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi). Queste praterie sono<br />
ascrivibili all’habitat di interesse comunitario “6170 Formazioni erbose calcicole<br />
alpine e subalpine”.<br />
Praterie a paleo genovese<br />
Lungo i versanti meridionali <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>, tra i 1.600 e i 2.100 metri di<br />
quota, su suoli argillosi caratterizzati da una maggiore ritenzione idrica, si<br />
formano comunità erbacee dominate dal paleo genovese (Brachypodium genuense).<br />
<strong>La</strong> flora più frequentemente associata a B. genuense annovera la festuca<br />
pannocchiuta (Festuca paniculata), la poligala di De Angelis (Polygala<br />
angelisii), la festuca rossa (Festuca rubra subsp. commutata), lo spillone bian-
castro (Armeria canescens subsp. majellensis), la crocettona glabra (Cruciata<br />
glabra), l’erba lucciola comune (Luzula campestris), il capellini <strong>del</strong>le<br />
praterie (Agrostis tenuis), la margherita digitata (Leucanthemum tridactylites),<br />
la genziana maggiore (Gentiana lutea) e la viola di Eugenia (Viola eugeniae).<br />
Scarsamente pabulabile, B. genuense, nella sua attuale tendenza<br />
locale all’espansione, potrebbe indicare un processo di rinaturalizzazione<br />
in atto nelle praterie cacuminali. Anche queste praterie sono riferibili<br />
all’habitat di interesse comunitario “6170 Formazioni erbose calcicole alpine<br />
e subalpine”.<br />
Nardeti<br />
Nei pressi di aree pianeggianti, fra 1700 e 2100 m s.l.m., si rinvengono<br />
lembi di praterie dominate dal nardo (Nardus stricta): si tratta di una<br />
graminacea a distribuzione boreale tipica di climi freddi; in Europa è<br />
diffusa nelle praterie montane e alpine e grazie alla sua inappetibilità da<br />
parte <strong>del</strong> bestiame bovino, estendendosi ampiamente al di fuori da proprio<br />
contesto ecologico primario; sui Monti Reatini, infatti, una buona<br />
parte dei nardeti presenti alle alte quote sembra di origine secondaria.<br />
Queste praterie rientrano nell’ambito <strong>del</strong>l’habitat di interesse comunitario<br />
prioritario “6230* Formazioni erbose a Nardus, ricche di specie, su<br />
substrato siliceo <strong>del</strong>le zone montane e <strong>del</strong>le zone submontane <strong>del</strong>l’Europa<br />
continentale”.<br />
Praterie montane: i brometi<br />
Nel comprensorio reatino le praterie continue che prevalgono al di sopra<br />
<strong>del</strong>l’attuale limite superiore degli alberi sono costituite prevalentemente da<br />
comunità erbacee dominate dal forasacco eretto Bromus erectus. I brometi<br />
sono presenti anche alle quote più basse, al di sotto <strong>del</strong> limite superiore degli<br />
alberi, in contiguità sia con la foresta mista decidua sia con la faggeta a<br />
tasso e agrifoglio. In tal caso costituiscono praterie secondarie caratterizzate<br />
dalla presenza di specie relativamente esigenti in fatto di umidità edafica<br />
(brometi mesofili) e si collocano pertanto sui substrati più ricchi di argilla.<br />
68<br />
69<br />
Jonopsidium savianum un paleoendemismo relitto, molto raro<br />
e localizzato, con areale limitato a poche stazioni distribuite<br />
nell’Appennino centrale, con una conspicua popolazione presente<br />
sul Monte Fausola.
Un esemplare di sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia).<br />
Nella foto piccola un particolare <strong>del</strong>le foglie <strong>del</strong> sorbo farinaccio<br />
(Sorbus aria).<br />
Questi sono spesso caratterizzati dalla presenza <strong>del</strong> paleo rupestre (Brachypodium<br />
rupestre), <strong>del</strong>la covetta dei prati (Cynosurus cristatus), <strong>del</strong> loglio<br />
comune (Lolium perenne), <strong>del</strong>la sonaglini comuni (Briza media), <strong>del</strong><br />
paleo odoroso (Anthoxanthum odoratum), <strong>del</strong>l’erba mazzolina comune<br />
(Dactylis glomerata), <strong>del</strong>la codolina comune (Phleum pratense), <strong>del</strong>la festuca<br />
dei prati (Festuca pratensis) e <strong>del</strong>la gramigna comune (Agropyron<br />
repens).<br />
A quote maggiori, in ambiente decisamente montano, in contatto con la<br />
faggeta pura e oltre i suoi limiti altitudinali, compaiono il garofano minore<br />
(Dianthus <strong>del</strong>toides), la festuca rossa (Festuca rubra),la festuca dei nardeti<br />
(Festuca nigrescens) e la cinquefoglia irta (Potentilla hirta). Salendo si ha la<br />
graduale scomparsa di Brachypodium rupestre che viene sostituito da Brachypodium<br />
genuense, specie maggiormente diffusa alle quote più elevate.<br />
Lungo le fasce altitudinali superiori, oltre il limite degli alberi, si sviluppano<br />
i brometi a carattere più “xerico” e continentale; questi costituiscono<br />
l’aspetto dominante <strong>del</strong>le praterie pascolate di alta quota con copertura<br />
<strong>del</strong>lo strato erbaceo a carattere discontinuo.<br />
In questi consorzi a Bromus erectus si associano la festuca debole (Festuca<br />
inops), la codolina meridionale (Phleum ambiguum), il paleo meridionale<br />
(Koeleria slendens), le vedovelle appenniniche (Globularia meridionalis),<br />
la peverina a foglie strette (Cerastium arvense), il lino montano<br />
(Linum tenuifolium), il camedrio comune (Teucrium chamaedrys), il<br />
timo con fascetti (Thymus longicaulis), la finocchiella abrotanina (Seseli<br />
montanum), la santoreggia montana (Satureja montana) e il citiso spi-<br />
70<br />
71
veGeTazione dei<br />
dePosiTi TraverTinosi<br />
veGeTazione deGLi<br />
ambienTi rocciosi<br />
noso (Chamaecytisus spinescens). Queste formazioni prative sono riferibili<br />
all’habitat di interesse comunitario “6210 Formazioni erbose secche<br />
seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-<br />
Brometalia)”.<br />
In prossimità <strong>del</strong>le sorgenti <strong>del</strong> Rio Fuggio, in alcuni tratti <strong>del</strong>l’alto corso<br />
<strong>del</strong>lo stesso fiume e lungo l’alto corso <strong>del</strong>la Valle Scura si verificano venute<br />
a giorno d’acqua con conseguente deposizione di depositi travertinosi.<br />
Questi costituiscono le aree di presenza potenziale per l’erba-unta di Reichenbach<br />
(Pinguicula reichenbachiana), specie <strong>del</strong>le sorgenti stillicidiose,<br />
già segnalata per i massicci limitrofi e <strong>del</strong>la quale si ipotizza a ragione la<br />
presenza nel comprensorio. Questo tipo di vegetazione rientra nell’habitat<br />
di interesse comunitario prioritario “7220* Sorgenti pietrificanti con<br />
formazione di tufi (Cratoneurion)”.<br />
Per quanto riguarda gli ambienti rocciosi <strong>del</strong> comprensorio dei Monti Reatini,<br />
di seguito se ne descrivono i principali tipi di vegetazione presenti.<br />
Vegetazione dei brecciai<br />
Le porzioni sommitali <strong>del</strong> gruppo di M. <strong>Terminillo</strong> sono caratterizzate da<br />
vaste superfici occupate da brecciai, ghiaioni e pietraie; si tratta di ambienti<br />
rocciosi instabili in continuo movimento, non adatti all’insediamento di<br />
vegetazione arbustiva e arborea e colonizzati in genere da comunità vegetali<br />
altamente specializzate.<br />
Nel comprensorio questa vegetazione è rappresentata da popolamenti più<br />
o meno radi a festuca appenninica (Festuca dimorpha), dripide comune<br />
(Drypis spinosa), glasto di Allioni (Isatis allionii), kummel rupestre (Carum<br />
heldreichii) e carice appenninica (Carex macrolepis). Questo tipo<br />
di vegetazione è riferibile all’habitat di interesse comunitario prioritario<br />
“8160* ghiaioni <strong>del</strong>l’Europa centrale calcarei di collina e montagna”.<br />
72<br />
73<br />
Agrifoglio sulle pendici di Monte Fausola, sullo sfondo Cima<br />
d’Arme. In quest’area è frequente incontrare raggruppamenti e<br />
esemplari arborei di Agrifoglio.
Boscaglia alveale a salice ripaiolo: lungo le sponde <strong>del</strong> torrente<br />
Scura c’è una presenza diffusa di saliceti a salice ripaiolo (Salix<br />
eleagnos); si tratta di un piccolo alberello, adattato al disturbo<br />
meccanico <strong>del</strong> regime torrentizio dei corsi d’acqua in alta quota.<br />
Vegetazione <strong>del</strong>le rupi sommitali<br />
Sulle vette più elevate <strong>del</strong> gruppo di Monte <strong>Terminillo</strong>, in condizioni di<br />
elevata acclività o su emergenze rocciose d’alta quota, si rinvengono aggruppamenti<br />
di specie capaci di colonizzare questi ambienti estremi. Si<br />
tratta di comunità erbacee costituite dalla campanula maggiore (Campanula<br />
latifolia), dalla campanula di Tanfanii (C. tanfanii), dalla sassifraga<br />
meridionale (Saxifraga lingulata), dalla sassifraga alpina (S. panicolata),<br />
dalla primula orecchio d’orso (Primula auricula), dalla cinquefoglia<br />
penzola (Potentilla caulescens) e dal ranno spaccasassi (Rhamnus<br />
pumilus). Questo tipo di vegetazione, poco diffuso ed estremamente localizzato<br />
all’interno <strong>del</strong> comprensorio, rientra nell’ambito <strong>del</strong>l’habitat<br />
di interesse comunitario “8210 Pareti rocciose calcaree con vegetazione<br />
casmofitica”.<br />
Vegetazione dei liscioni calcarei<br />
I liscioni e le spianate calcaree diffusi lungo le vette sommitali si caratterizzano<br />
per una flora adattata a suoli estremamente superficiali in grado di<br />
attecchire nei rari punti dove è possibile il radicamento. Si tratta di specie<br />
succulente o a ramificazione strisciante: la peverina di Thomas (Cerastium<br />
thomasii), la peverina tomentosa (C. tomentosum), e numerose specie <strong>del</strong><br />
genere Sedum. Questa forma di vegetazione, piuttosto rara e localizzata, è<br />
riferibile all’habitat di interesse comunitario prioritario “8240* Pavimenti<br />
calcarei”.<br />
74<br />
75
Faggio di San Francesco.<br />
<strong>La</strong> leggenda vuole che la<br />
sua forma così particolare<br />
sia dovuta al miracolo che<br />
piegò l’albero per riparare<br />
il Santo durante un temporale.<br />
In realtà si tratta di<br />
una rarissima mutazione<br />
genetica.<br />
76<br />
77<br />
I Monti Reatini,<br />
esposti a sud-ovest, sono<br />
oggetto di pertubazioni<br />
temporalesche che<br />
possono formare<br />
bizzarre formazione<br />
di ghiaccio.<br />
Nell’immagine un<br />
faggio su Cima d’Arme,<br />
colpito da una tempesta<br />
di neve.
<strong>La</strong> grandezza di una nazione e il suo<br />
progresso morale si possono giudicare<br />
dal modo in cui tratta gli animali.<br />
M. K. “Mahatma” Gandhi (1869-1948)<br />
Faggetta di Monte Cardito<br />
78<br />
79
Un Lupo attraversa di<br />
giorno la faggeta nel<br />
Vallone di Lisciano.<br />
L’immagine è stata<br />
scattata con una foto<br />
trappola.<br />
<strong>La</strong> Fauna<br />
di Stefano Sarrocco e Enrico Calvario<br />
Nel <strong>La</strong>zio, la Provincia di Rieti spicca per gli elevati valori di <strong>Biodiversità</strong><br />
faunistica e ciò soprattutto a causa <strong>del</strong>la presenza di significativi<br />
gruppi montuosi, di un sistema idrografico di importanza<br />
strategica per l’Italia centrale e di una bassa densità abitativa. In un documento<br />
preparato nel 2004 dal gruppo <strong>del</strong> Prof. Boitani per conto <strong>del</strong>la Regione<br />
<strong>La</strong>zio (Boitani et al., 2004), questo aspetto viene messo fortemente<br />
in evidenza, soprattutto in riferimento all’area dei Sabini, dei Monti Reatini<br />
e <strong>del</strong> Cicolano che raggiungono tra i più elevati valori <strong>del</strong>l’indice di<br />
biodiversità, riferito ai Vertebrati, <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio. Inoltre nel documento citato<br />
viene introdotto il concetto di “irreplaceability” (letteralmente “insostituibilità”),<br />
una misura legata all’importanza conservazionistica di un’area: se<br />
un’area è difficilmente sostituibile per i valori naturalistici che ospita e per<br />
il ruolo ecologico-funzionale che svolge, in uno schema di aree da sottoporre<br />
a conservazione, viene classificata con elevati valori di “irreplaceability”<br />
(cioè non può essere facilmente sostituita da nessun altra area nello<br />
schema di conservazione).<br />
Al contrario, bassi valori di “irreplaceability” indicano che l’area considerata<br />
è relativamente non importante (perché facilmente sostituibile da altre<br />
aree) per raggiungere l’obbiettivo di conservazione che ci si è prefissi.<br />
Ebbene, anche in questo caso la zona dei Monti Reatini (dei Sabini e <strong>del</strong><br />
Cicolano) hanno raggiunto i valori più elevati <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio, mettendo in luce<br />
la peculiarità di questo comprensorio.<br />
Le prime esplorazioni ed i conseguenti contributi scientifici ragionati sulla<br />
fauna a Vertebrati di questo gruppo montano sono riportati in alcuni studi<br />
80<br />
81
svolti da Di Carlo negli anni 1954-58 (Di Carlo<br />
1956, 1958); questo autorevole naturalista ci ha<br />
lasciato un quadro di riferimento notevolmente<br />
esauriente sugli uccelli presenti negli anni ’50<br />
su queste montagne, indispensabile per qualsiasi<br />
indagine successiva.<br />
In tempi più recenti, le informazioni su queste<br />
montagne e più in generale sull’Appennino Centrale<br />
si possono trovare nel volume pubblicato<br />
dalla Società Italiana di Biogeografia (AA.VV.,<br />
1971) in cui sono riportati per alcuni gruppi di<br />
Artropodi dei contributi organici ed esaurienti,<br />
quali quelli sugli Oribatei (Acarida) (Bernini,<br />
1971), sui Collemboli (Dallai, 1971) e sui Coleotteri<br />
Cicin<strong>del</strong>idi e Carabidi (Magistretti, 1965).<br />
Alla fine degli anni ’80 il WWF di Rieti ha raccolto<br />
e pubblicato, con l’aiuto di numerosi specialisti<br />
di diverse discipline, un articolato dossier<br />
sullo stato <strong>del</strong>l’ambiente <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> (AA.VV.,<br />
1988), riportando nei due volumi <strong>del</strong>l’opera anche<br />
una raccolta di informazioni sugli invertebrati e<br />
sui Vertebrati presenti sul gruppo montuoso (Audisio<br />
e Vigna Taglianti, 1988; Bagnoli, 1988; Sarrocco,<br />
1988). Nel 2002 la Provincia di Rieti, con<br />
il Patrocinio <strong>del</strong> CAI e <strong>del</strong> WWF Rieti, pubblicò<br />
una “Guida ai Monti Reatini” (AA.VV., 2002) che<br />
riportava tra l’altro una serie di informazioni faunistiche<br />
sul comprensorio. Il quadro <strong>del</strong>le cono-<br />
scenze <strong>del</strong> gruppo montuoso non sarebbe completo<br />
senza citare le numerose indagini settoriali<br />
su gruppi animali specifici, svolte nell’ambito di<br />
diversi progetti: gli studi sulle comunità ornitiche<br />
<strong>del</strong>le praterie di quota realizzato dall’Università di<br />
Roma “<strong>La</strong> Sapienza” nell’ambito <strong>del</strong> “Piano Pluriennale<br />
Regionale per la tutela e la difesa <strong>del</strong>la<br />
Fauna autoctona in via di estinzione ” (Calvario e<br />
Sarrocco, 1989) e le raccolte di dati faunistici per<br />
gli atlanti regionali degli uccelli (Brunelli et al.,<br />
2011), degli Anfibi e Rettili (Bologna et al., 2000)<br />
e dei Mammiferi (in corso di completamento).<br />
E’ inoltre opportuno sottolineare che i Monti Reatini<br />
sono inseriti tra le “Aree Importanti in Europa<br />
per gli Uccelli” (Important Birds Areas in Europe)<br />
e ritenuti per tale motivo tra i siti europei a<br />
priorità di conservazione secondo un censimento<br />
svolto dall’autorevole associazione internazionale<br />
BirdLife International (Heat & Evans, 2000).<br />
Successivamente gli studi sono continuati soprattutto<br />
grazie alla presenza <strong>del</strong>la Rete <strong>Natura</strong><br />
2000 ed alle politiche messe in campo dalla Regione<br />
<strong>La</strong>zio che ha finanziato una serie di Piani<br />
di Gestione di SIC e ZPS che sono stati l’occasione<br />
per reperire nuovi dati e mettere a sistema le<br />
conoscenze pregresse; e così sono stati realizzati<br />
il Piano di Gestione <strong>del</strong>la ZPS di Monti Reatini e<br />
82<br />
83<br />
Balia dal collare, un<br />
piccolo Passeriforme<br />
che nidifica nelle<br />
faggete dei Monti<br />
Reatini
84<br />
85<br />
Il Picchio dorsobianco,<br />
un picide associato alle<br />
foreste mature di latifoglie<br />
montane.<br />
di due SIC inclusi (AA.VV., 2004a) e il Piano di Gestione <strong>del</strong> SIC Vallonina<br />
(AA.VV., 2004b). Da questi documenti citati sono state tratte per lo più le<br />
informazioni necessarie a comporre questo capitolo.<br />
Nella descrizione che segue si è fatto esclusivo riferimento ai Vertebrati ed in<br />
particolare ad Anfibi, Rettili, Uccelli e Mammiferi, suddividendone la trattazione<br />
secondo le diverse fasce vegetazionali che si possono incontrare procedendo<br />
dagli ambiti collinari e submontani fino all’orizzonte alpino. Gli invertebrati<br />
sono stati trattati in una sezione separata e le informazioni sono<br />
state per lo più desunte dal Piano di Gestione <strong>del</strong>la ZPS dei Monti Reatini<br />
(AA.VV., 2004 a).<br />
<strong>La</strong> fauna dei querceti e dei boschi misti<br />
<strong>La</strong>sciati i coltivi che ricoprono gran parte <strong>del</strong>la Piana di Rieti, <strong>del</strong>l’Altopiano<br />
di Leonessa o <strong>del</strong>la Valle <strong>del</strong> Velino si incontrano le fasce arborate a querce<br />
caducifoglie ed i boschi misti a carpini ed aceri che bordano gran parte dei<br />
versanti <strong>del</strong> gruppo montuoso. Queste formazioni forestali si estendono in<br />
modo continuo dai 500-600 fino agli 800-1000 metri di quota. Le comunità<br />
forestali presenti sono quelle tipiche di gran parte dei boschi di caducifoglie<br />
dei piani collinare e submontano <strong>del</strong>la Penisola. Tra le specie maggiormente<br />
tipiche e visibili possiamo ricordare tra i Rettili la Lucertola muraiola (Podarcis<br />
muralis) che predilige soprattutto i versanti più soleggiati ed il Saettone<br />
(Elaphe longissima), un innocuo serpente dai costumi arboricoli.<br />
Gli uccelli comprendono numerose specie, soprattutto quando i boschi sono<br />
maturi e ben conservati (tipici esempi di queste formazioni sono i boschi<br />
presenti lungo Valle Avanzana di Morro Reatino e lungo i versanti <strong>del</strong>la Val<br />
Carpineto di Leonessa); tra i rapaci diurni possiamo ricordare la Poiana (Buteo<br />
buteo), frequente un po’ dappertutto e lo Sparviere (Accipiter nisus), difficile<br />
da osservare per le sue abitudini schive, ma con una distribuzione forse<br />
più vasta di quella che fanno supporre le sue sporadiche apparizioni.
Spesso, tra la fine <strong>del</strong>l’inverno e l’inizio <strong>del</strong>la primavera,<br />
lo si può osservare mentre svolge le sue<br />
parate nuziali, volteggiando al di sopra <strong>del</strong> bosco.<br />
Gli ambienti dove è più facile incontrarlo sono quelli<br />
di contatto tra il bosco di querce ed i boschi di conifere<br />
di impianto o tra i questi ed i faggeti; ad esempio<br />
lungo la Valle di Fuscello e lungo la Val Carpineto.<br />
I picchi tipici di questi boschi sono il Picchio<br />
rosso maggiore (Dendrocopos major), il Picchio verde<br />
(Picus viridis), il Torcicollo (Jynx torquilla) ed il<br />
Picchio rosso minore (Dendrocopos minor).<br />
Le prime tre specie sono molto frequenti, difficili<br />
da vedere, ma facili da sentire; mentre il Picchio<br />
rosso minore è alquanto localizzato ed ha abitudini<br />
più elusive. <strong>La</strong> presenza <strong>del</strong> Picchio rosso<br />
maggiore è spesso rilevata dal tipico tambureggiare<br />
sui tronchi, prodotto soprattutto all’inizio<br />
<strong>del</strong>la primavera, prima <strong>del</strong>la comparsa <strong>del</strong>le foglie.<br />
Questa specie frequenta soprattutto i boschi<br />
maturi, le fustaie ed i cedui composti. Le altre due<br />
specie hanno una maggiore diffusione, in quanto<br />
occupano anche i boschi aperti, intervallati da radure.<br />
Il Picchio verde è riconoscibile dal verso, caratteristico,<br />
simile ad una risata, emesso per gran<br />
parte <strong>del</strong>l’anno; il Torcicollo è un migratore estivo<br />
che produce un canto ripetuto, sonoro e nasale.<br />
Altre specie caratteristiche di questi boschi sono<br />
il Colombaccio (Columba palumbus) e la Tortora<br />
selvatica (Streptopelia turtur), entrambi appartenenti<br />
alla famiglia dei Columbidi. <strong>La</strong> comparsa<br />
<strong>del</strong> Biancone (Circaetus gallicus) con 1-2 coppie<br />
nidificanti è alquanto recente e nel corso <strong>del</strong>la<br />
tarda primavera è alquanto facile vedere, nelle<br />
stazioni di presenza, quest’aquila di medie dimensioni<br />
a caccia di serpenti nelle praterie <strong>del</strong>la<br />
fascia submontana e montana.<br />
Durante l’inverno nelle radure tra i boschi e nei<br />
cespuglieti si possono fare <strong>del</strong>le interessanti osservazioni.<br />
Infatti la disponibilità di bacche di<br />
ginepri rossi e comuni, di biancospini e di rose<br />
canine attirano una moltitudine di specie, prime<br />
tra tutte quelle appartenenti ai Turdidi; si possono<br />
osservare gruppi di Tordi comuni (Turdus<br />
philomelos) e sasselli (T. iliacus), Tor<strong>del</strong>e (T. viscivorus)<br />
e Cesene (T. pilaris); tra i Fringillidi vi<br />
sono stormi di Fringuelli (Fringilla coelebs) e di<br />
Frosoni (Coccothraustes coccothraustes).<br />
Tra i Mammiferi forestali si può citare la presenza<br />
<strong>del</strong> Quercino (Elyomis quercinus) e <strong>del</strong> Moscardino<br />
(Muscardinus avellanarius), due piccoli<br />
roditori, schivi e poco visibili, ma discretamente<br />
diffusi. Tra l’altro entrambe le specie sono presenti<br />
anche nella faggeta, infatti il Quercino è<br />
stato rinvenuto fino alla quota di 1700 m nella<br />
Vallonina ed il Moscardino fino a circa 1400 m<br />
sempre nella stessa località.<br />
86<br />
87<br />
Analoga è la distribuzione di un altro roditore<br />
arboricolo, il Ghiro (Glis glis), presente in modo<br />
regolare nei boschi <strong>del</strong> piano montano. Un po’<br />
dappertutto è anche visibile lo Scoiattolo (Sciurus<br />
vulgaris) con individui dal caratteristico mantello<br />
nero e dal ventre bianco, con una predilizione<br />
per le pinete a Pino nero (Pinus nigra) di<br />
impianto artificiale che bordano le medie quote<br />
<strong>del</strong>la dorsale montuosa.Nei boschi più termofili,<br />
fino ad almeno 700-800 metri, è anche presente<br />
l’Istrice (Istrix cristata) ed un po’ dappertutto<br />
compaiono la Faina (Martes foina), il Cinghiale<br />
(Sus scrofa), la Volpe (Vulpes vulpes), più localizzata<br />
la Puzzola (Mustela putorius).<br />
Nei boschi <strong>del</strong> gruppo è anche segnalata la Martora<br />
(Martes martes), un Mustelide forestale dal<br />
comportamento schivo, molto difficile da osservare<br />
in quanto di abitudini crepuscolari e notturne;<br />
la specie è presente con un numero di individui<br />
contenuto, ma verosimilmente in continuità<br />
ecologica con la popolazione appenninica; ciò<br />
dovrebbe assicurane il mantenimento nel lungo<br />
periodo (AA.VV., 2004).<br />
<strong>La</strong> fauna <strong>del</strong>le faggete<br />
<strong>La</strong> fauna <strong>del</strong>le faggete non è particolarmente numerosa<br />
sia in termini di ricchezza di specie che<br />
di abbondanza di individui. Generalmente nel<br />
corso di una passeggiata non sempre si riesco-<br />
no ad osservare specie significative; è invece più<br />
semplice rilevare la presenza degli onnipresenti<br />
Scriccioli (Troglodytes troglodytes), Pettirossi<br />
(Erithacus rubecula), Cinciarelle (Cyanistes caeruleus)<br />
), Cince more (Periparus ater) e Cince<br />
bigie (Poecile palustris). Tuttavia il gruppo dei<br />
Monti Reatini è un comprensorio che ospita numerose<br />
specie tipiche dei boschi montani. Nelle<br />
sue faggete è infatti presente il Picchio dorsobianco<br />
(Dendrocopos leucotos), un Picide distribuito<br />
in poche località <strong>del</strong>l’Appennino centrale<br />
e sul Promontorio <strong>del</strong> Gargano. Si tratta di una<br />
specie legata alle faggete mature, con un abbondante<br />
numero di alberi vestusti e marcescenti.<br />
Alcune coppie sono presenti nell’alta Vallonina e<br />
in altre comprensori caratterizzati dalla presenza<br />
di faggete in buono stato di conservazione .<br />
Di notevole interesse sempre nelle faggete <strong>del</strong><br />
gruppo è la presenza <strong>del</strong>la Balia dal collare (Ficedula<br />
albicollis), un Passeriforme di interesse<br />
conservazionistico tipico dei boschi montani,<br />
che presenta una distribuzione alquanto localizzata<br />
in Italia. Sempre tra gli uccelli tipicamente<br />
montani si possono inoltre ricordare il Luì verde<br />
(Phylloscopus sibilatrix) e il Ciuffolotto (Pyrrhula<br />
pyrrhula, tre Passeriformi frequenti nella faggeta.<br />
Inoltre, Di Carlo negli anni’50 (Di Carlo,<br />
1956) segnalava l’osservazione di Regoli (Regulus
L’Aquila reale nidifica con<br />
due coppie nel comprensorio<br />
dei Monti Reatini<br />
regulus) in periodo riproduttivo nel bosco <strong>del</strong>la Vallonina; purtroppo di<br />
questo interessante Silvide montano a distribuzione per lo più alpina, non<br />
vi sono più notizie di nidificazione sulle nostre montagne.<br />
<strong>La</strong> specie è comunque molto comune e numerosa durante l’inverno per<br />
l’arrivo <strong>del</strong>le popolazioni settentrionali migratrici; in questa stagione è facilmente<br />
visibile all’interno dei rimboschimenti a Pino nero. Altrettanto<br />
significativa la conferma <strong>del</strong>la nidificazione <strong>del</strong> Rampichino alpestre<br />
(Certhia familiaris), un piccolo Passeriforme dal becco rivolto all’ingiù,<br />
<strong>del</strong> peso di circa dieci grammi, con una distribuzione localizzata in poche<br />
aree <strong>del</strong>l’Appennino che necessita di una gestione forestale sostenibile<br />
(non solo produttiva), tale da conservare alberi vetusti e legno morto, tramite<br />
regolamentazione degli usi civici.<br />
<strong>La</strong> Salamandra giallo-nera (Salamandra salamandra) è un’altra <strong>del</strong>le entità<br />
da ricercare. Infatti le ultime osservazioni di questo raro anfibio si riferiscono<br />
agli anni’70, in cui Bruno (1973) lo segnalava nella Vallonina,<br />
mentre le successive ricerche effettuate hanno sempre dato esito negativo.<br />
Pochi sono i mammiferi tipici <strong>del</strong>la faggeta, ricordiamo, tra questi, il<br />
Topo selvatico collogiallo (Apodemus flavicollis), presente sulle montagne<br />
reatine ed il Lupo (Canis lupus); questo Canide sebbene frequenti<br />
un’ampia varietà di habitat, trova nelle zone montane densamente forestate<br />
e ben conservate, <strong>del</strong>le aree vitali per la sua sopravvivenza. <strong>La</strong> specie<br />
è distribuita con continuità dall’Aspromonte alle Alpi Marittime, con<br />
importanti espansioni in corrispondenza <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio settentrionale e <strong>del</strong>la<br />
Toscana centro-meridionale; la sua popolazione è stimata in circa 400-<br />
500 individui.<br />
I Reatini sono interessati dalla presenza stabile <strong>del</strong> Lupo ed il gruppo è<br />
frequentato da alcuni individui (Boitani, Fabbri, 1983; AA.VV., 2004;<br />
AA.VV., 2007). Per la Provincia di Rieti è stato pubblicato un volume su<br />
questa specie (Cammerini, 1998). L’Autore sottolinea che nel territorio<br />
88<br />
89
<strong>La</strong> Coturnice è presente nei<br />
Monti Reatini con le densità<br />
più elevate resgistrate nel<br />
<strong>La</strong>zio.<br />
90<br />
91<br />
provinciale, nel quinquennio 1991-1995, la tendenza all’incremento <strong>del</strong>la<br />
popolazione di Lupo si è mantenuta stabile e ne stima la presenza di 10-12<br />
individui: sui Monti Reatini, in particolare, dovrebbe essere presente un<br />
nucleo composto da non meno di tre individui.<br />
Un altro mammifero forestale presente è il Gatto selvatico (Felis sylvestris);<br />
di questo interessante Felide, minacciato di scomparsa in molti comprensori<br />
italiani, si hanno alcune notizie per il gruppo montuoso tra cui una<br />
segnalazione relativa ad una femmina catturata a Cantalice e conservata<br />
in pelle (Ragni,1974) ed una osservazione alle pendici di Monte Cambio<br />
all’inizio degli anni duemila (F.M. Angelici, com.pers.).<br />
Un’altra presenza estremamente significativa anche se saltuaria e irregolare<br />
è quella <strong>del</strong>l’Orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus). <strong>La</strong> presenza<br />
per l’area <strong>del</strong> Reatino è documentata fin dal secolo scorso con segnalazioni<br />
continue per l’area <strong>del</strong>la <strong>La</strong>ga, <strong>del</strong> Turano e <strong>del</strong>la Duchessa, registrate<br />
fino al febbraio 2003. <strong>La</strong> frequentazione è limitata, ma caratterizzata da<br />
continuità temporale, dovuta a fenomeni di dispersione ed erratismo, data<br />
la continuità territoriale ed ambientale con le porzioni centrali <strong>del</strong>l’areale<br />
distributivo nei monti <strong>del</strong> PN d’Abruzzo, <strong>La</strong>zio e Molise. Recentemente la<br />
specie è stata segnalata specificatamente per i Monti Reatini, nell’ambito<br />
<strong>del</strong>le ricerche effettuate per il Progetto PATOM (Piano d’Azione Nazionale<br />
per la tutela <strong>del</strong>l’Orso Bruno Marsicano).<br />
<strong>La</strong> fauna <strong>del</strong>le praterie montane e dei cespuglieti subalpini<br />
Le praterie montane sono costituite da radure più o meno ampie situate<br />
in aree dove originariamente erano presenti boschi montani. Ne sono<br />
un esempio tutte quelle aree che si trovano al di sopra dei 1000 metri<br />
di quota, come i versanti di Monte Tilia, le praterie di Monte Rosato e<br />
di Collelungo e i pascoli di Costa Piana, sopra Micigliano. Attualmente<br />
queste praterie, originatesi in seguito al taglio dei boschi per ricavarne
L’Orso bruno marsicano è<br />
una specie dal forte valore<br />
simbolico che frequenta<br />
irregolarmente le<br />
montagne reatine.<br />
legname, per farne pascoli o prati da fienagione, tendono a richiudersi,<br />
in quanto le attività agrosilvopastorali tradizionali stanno rapidamente<br />
scomparendo.<br />
Queste praterie seminaturali sono di grande interesse faunistico ed attraggono<br />
nel corso <strong>del</strong>la migrazione autunnale e durante l’inverno numerose<br />
specie di uccelli. In praterie quelle più cespugliate compaiono alcuni Alaudidi,<br />
Turdidi e Fringillidi; tra questi la Tottavilla (Lullula arborea), un Alaudide<br />
in decremento in tutta Europa, e salendo di quota, il Prispolone (Anthus<br />
trivialis), un piccolo uccello dalle tonalità marroni, tipico <strong>del</strong>le zone<br />
di margine tra il bosco e la prateria. I rettili che vivono in questi ambienti<br />
non sono particolarmente numerosi, un po’ dappertutto la solita Lucertola<br />
muraiola, il Ramarro (<strong>La</strong>certa bilineata) ed il Colubro liscio (Coronella austriaca);<br />
quest’ultima insieme alla Vipera comune (Vipera aspis) frequenta<br />
le praterie meglio esposte e con una discreta copertura di rocce.<br />
In queste praterie sono anche frequenti i piccoli cumuli di terra smossa<br />
dagli scavi <strong>del</strong>la Talpa romana (Talpa romana), un insettivoro localizzato<br />
in Italia centro meridionale. Particolarmente significativa inoltre appare la<br />
presenza <strong>del</strong>la Lepre italica (Lepus corsicanus) sul Monte Cambio, registrata<br />
nel corso <strong>del</strong>lo studio per la redazione Piano di Azione <strong>del</strong>la specie (Guglielmi<br />
et. al., 2011); una specie che presenta una distribuzione ristretta alla<br />
sola Italia centro meridionale e Sicilia, ritenuta estinta e riscoperta recentemente<br />
negli anni’90 <strong>del</strong> secolo scorso.<br />
Salendo di quota, oltre il limite degli alberi, compare una stretta fascia di praterie<br />
cespugliate, in gran parte ricoperte da Ginepro nano (Juniperus nana); un<br />
arbusto prostrato e dalle foglie poco coriacee, a cui si associano il Mirtillo nero<br />
(Vaccinium myrtillus), l’Uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi) ed il Ranno alpino<br />
(Rhamnus alpinus). Nell’insieme queste praterie cespugliate hanno dei lineamenti<br />
simili a quelli dei prati cespugliati descritti nella fascia dei querceti e dei<br />
boschi misti, ma occupano una fascia altitudinale superiore , intorno ai 1800-<br />
1900 metri di quota. Sono arbusteti originari <strong>del</strong>le montagne appenniniche in<br />
92<br />
93
quanto in equilibrio con le condizioni climatiche<br />
ed edafiche di questi territori.<br />
Come per la faggeta, le specie animali non sono<br />
numerose, ma in questo caso ciò è dovuto anche<br />
alle limitate estensioni di questi ambienti.<br />
Nonostante queste dimensioni ristrette, alcune<br />
specie presenti sono di notevole interesse zoologico,<br />
prima fra tutte la Vipera di Orsini (Vipera<br />
ursinii), un serpente di piccole dimensioni, dalle<br />
abitudine schive, scarsamente velenoso, che si<br />
alimenta di cavallette montane.<br />
<strong>La</strong> specie è stata segnalata solo recentemente sui<br />
Reatini (Capula, & Luiselli, 1992 in Bologna et<br />
al., 2000; Corti et. al, 2010), ma la segnalazione<br />
riveste un’indubbia significatività in quanto questo<br />
piccolo Viperide è minacciato in quasi tutto<br />
il suo areale europeo. In Italia è ritenuto raro,<br />
presente soltanto in pochi massicci montuosi<br />
<strong>del</strong>l’Appennino centrale.<br />
Nei cespuglieti subalpini è anche presente la Coturnice<br />
(Alectoris graeca), uno dei tipici Fasianidi<br />
<strong>del</strong>le aree di media ed alta montagna; frequenta<br />
le praterie acclivi, ricche di rocce e con presenza<br />
di arbusti di ginepro e mirtilli. Nel corso<br />
<strong>del</strong>l’inverno la specie diventa gregaria e forma<br />
dei gruppi composti di alcune decine di individui.<br />
Sui Reatini è ben rappresentata, grazie anche<br />
al vincolo venatorio vigente nel comprensorio<br />
(l’area rientra in un’Oasi di Protezione e Rifugio<br />
per la Fauna), e nel corso <strong>del</strong>la predisposi-<br />
zione <strong>del</strong> piano di azione regionale <strong>del</strong>la specie<br />
(Sorace et al., 2011), si è avuto modo di accertare<br />
che sui Monti Reatini sono state registrate le<br />
densità più elevate <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio (2,53 cp/kmq DS +<br />
- 2,02); tra l’altro uno dei motivi per l’istituzione<br />
<strong>del</strong>l’Oasi <strong>del</strong> Monte <strong>Terminillo</strong> è legata proprio<br />
alla conservazione di questa specie vulnerabile.<br />
<strong>La</strong> fauna <strong>del</strong>le praterie d’altitudine<br />
Tra gli ambienti che si possono visitare su queste<br />
montagne sicuramente le praterie di quota o d’altitudine<br />
sono gli ambiti di maggior pregio e valore,<br />
quelli che meglio esprimono i caratteri <strong>del</strong>le<br />
montagne appenniniche. Sulle cime più elevate,<br />
al di sopra <strong>del</strong> limite degli alberi e degli arbusteti<br />
subalpini, si estendono <strong>del</strong>le praterie naturali<br />
o primarie costituite per lo più da graminacee,<br />
composite, ombrellifere e orchideacee. Si tratta<br />
di estese praterie interrotte nella loro continuità<br />
morfologica da vallette nivali, brecciai, pareti<br />
rocciose, macigni e rocce. Una buona parte <strong>del</strong>le<br />
specie animali presenti sulle montagne reatine<br />
sono osservabili in questi ambienti aperti. Infatti<br />
le praterie costituiscono habitat riproduttivi per<br />
alcune specie e habitat trofici per gran parte degli<br />
animali, anche per quelli che si riproducono<br />
nei boschi e nei cespuglieti sottostanti.<br />
Durante la bella stagione, tra giugno ed agosto, la<br />
passeggiata potrà essere molto fruttuosa. In questo<br />
periodo è possibile osservare i Gracchi corallini<br />
(Pyrrhocorax pyrrhocorax), i Gheppi (Falco<br />
94<br />
95<br />
Il Fringuello alpino presenta una colororazione criptica che<br />
maschera la sua silouhette tra le rocce dei brecciai
Le radure svolgono un ruolo ecologico-funzionale<br />
molto importante, il loro mantenimento risulta<br />
vitale per molte specie animali.<br />
96<br />
97<br />
tinnunculus), le Aquile reali (Aquila chrysaetos),<br />
le Tor<strong>del</strong>e (Turdus viscivorus), le Coturnici (Alectoris<br />
graeca) e le lepri (Lepus sp.), intenti a cercare<br />
cibo in questi spazi aperti. Inoltre si possono<br />
incontrare numerose altre specie simbolo <strong>del</strong>le<br />
alte quote <strong>del</strong>le montagne mediterranee, quali<br />
il Fringuello alpino (Montifringilla nivalis), un<br />
Passeridae a distribuzione ristretta, limitata alle<br />
Alpi ed all’Appennino centrale. Il maschio e la<br />
femmina sono facilmente riconoscibili in quanto<br />
presentano gran parte <strong>del</strong>le ali bianche. E’ possibile<br />
osservarli passando nel tratto di strada che<br />
collega la Sella di Leonessa con il Rifugio Sebastiani<br />
anche se la sua presenza in questo settore<br />
<strong>del</strong> <strong>La</strong>zio si è estremamente ridotta. Sempre tra<br />
le specie caratteristiche è poi da segnalare, la presenza<br />
numerosa <strong>del</strong>lo Spioncello (Anthus spinoletta)<br />
e nelle cime più elevate <strong>del</strong> Sordone (Prunella<br />
collaris), un Passeriforme dal becco sottile e<br />
dalla gola lunettata di bianco e nero.<br />
Nelle aree in cui le praterie vengono interrotte da<br />
rocce e macigni è facile inoltre osservare i Culbianchi<br />
(Oenanthe oenanthe) ed i Codirossi spazzacamini<br />
(Phoenichurus ochruros), entrambi Turdidi<br />
di medio-piccole dimensioni. Il primo deve il<br />
suo nome al sopraccoda bianco ed il secondo alla<br />
sua abitudine di frequentare anche i tetti <strong>del</strong>le abitazioni.<br />
Se si è fortunati, è anche possibile osservare<br />
uno degli uccelli più colorati <strong>del</strong>la montagna,<br />
il Codirossone (Monticola saxatilis), un Turdidae<br />
<strong>del</strong>le dimensione di un merlo; il maschio presenta<br />
dei colori netti e sgargianti, con il capo grigio-azzurro<br />
e il petto e la pancia intensamente aranciati.<br />
Quasi assenti i mammiferi o almeno quelli caratteristici,<br />
le uniche specie discretamente frequenti<br />
sono il Topo selvatico (Apodemus sylvaticus), presente<br />
con popolazioni abbondanti, recente rilevate<br />
(2011) nel corso di trappolamenti svolti dall’Agenzia<br />
regionale per i Parchi (Capizzi D., com.<br />
pers.) e le lepri. Come già accennato in precedenza,<br />
in Italia peninsulare esistono due specie di<br />
Leporidi: nel settore centro-settentrionale è presente<br />
la Lepre europea (Lepus europaeus), specie<br />
eurasiatica ad ampia distribuzione, autoctona<br />
solo nelle regioni settentrionali; mentre in Italia<br />
centrale e Sicilia è presente la Lepre italica anche<br />
se probabilmente in forte declino. Quando in sintopia<br />
la Lepre italica adotta abitudini più montane<br />
<strong>del</strong>la sua congenere. Nel complesso montuoso<br />
la prima <strong>del</strong>le due specie è con molta probabile<br />
stata introdotta a seguito di immissioni venatorie.<br />
Alle specie sopra richiamate se ne potrebbe aggiungere<br />
una ulteriore, tipica di questi ambienti<br />
cacuminali oromediterranei, l’Arvicola <strong>del</strong>le nevi<br />
(Chionomys nivalis), un roditore dalla folta pelliccia<br />
grigia, di cui si hanno alcune generiche segnalazioni<br />
che necessitano conferma.<br />
<strong>La</strong> fauna degli ambienti rupestri<br />
Le scarpate e le balze rocciose sono luoghi inaccessibili<br />
e di spettacolare bellezza, presenti un<br />
po’ dappertutto su queste montagne.
Vi sono tuttavia alcune valli che racchiudono<br />
complessi rupestri particolarmente estesi, ne sono<br />
un esempio la Valle Scura, il Vallone di Lisciano,<br />
il Vallone di Cantalice, la Valle di Poggio<br />
Bustone, l’alta Vallonina ed i versanti <strong>del</strong>le gole<br />
<strong>del</strong> Velino. Sono questi ambiti estremamente<br />
sensibili in cui si concentrano gran parte dei siti<br />
riproduttivi <strong>del</strong>le specie rupicole. Sui Reatini infatti<br />
sono presenti ben due coppie nidificanti di<br />
Aquila reale (Aquila chrysaetos), una specie simbolo<br />
dei comprensori montani. Anche il Falco<br />
pellegrino (Falco peregrinus), nidifica nel gruppo<br />
con almeno due-tre coppie.<br />
Tra le specie rupicole vi è poi il Gracchio corallino<br />
(Pyrrhocorax pyrrhocorax), un Corvide d’alta<br />
quota, gregario, che forma degli stormi costituiti<br />
da decine di individui. Generalmente la mattina<br />
i gruppi abbandonano i dormitori situati sulle<br />
pareti rocciose e si dirigono verso le praterie,<br />
dove pascolano a caccia di insetti. Il nero lucente<br />
<strong>del</strong> piumaggio ed il lungo becco arcuato arancione,<br />
lo rendono inconfondibile.<br />
Queste caratteristiche si associano anche ad un<br />
comportamento poco elusivo che ne permette<br />
facilmente l’osservazione. <strong>La</strong> Sella di Leonessa e<br />
la cresta di Sassetelli nonché le praterie che ricoprono<br />
i versanti di Monti Porcini sono località<br />
ideali per osservarlo. Almeno altre tre specie<br />
rupicole sono presenti sulle montagne reatine, la<br />
Rondine montana (Ptyonoprogne rupestris), lo-<br />
calizzata in pochi siti, il Picchio muraiolo (Tichodroma<br />
muraria) ed il Rondone maggiore (Apus<br />
melba); queste ultime due specie, tra l’altro, non<br />
sono state rilevate negli ultimi anni.<br />
Gli invertebrati di particolare interesse<br />
Il Massiccio <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> rappresenta uno dei<br />
comprensori montani più rilevanti sotto il profilo<br />
faunistico e naturalistico <strong>del</strong>l’intera area laziale-abruzzese<br />
sia a causa di fattori bioclimatici<br />
sia a seguito <strong>del</strong> suo relativo isolamento geografico<br />
essendo collocato in posizione marginale rispetto<br />
alla dorsale che include gli altri principali<br />
gruppi montuosi <strong>del</strong>l’Appennino Centrale. Un<br />
primo dato emergente è la ricchezza in specie di<br />
molti gruppi faunistici, che si manifesta soprattutto<br />
tra gli Insetti fitofagi (Ortotteri, Coleotteri<br />
Nitidulidi, Lepidotteri), come d’altronde era<br />
prevedibile in funzione <strong>del</strong>la notevole ricchezza<br />
e diversificazione floristica e vegetazionale <strong>del</strong><br />
comprensorio.<br />
Tra l’entomofauna fitofaga, vi sono un cospicuo<br />
contingente di specie orofile a distribuzione per<br />
lo più medio-sud-europea nelle fasce vegetazionali<br />
caratteristiche <strong>del</strong>le quote maggiori (oltre<br />
i 1100-1300 m s.l.m.), a fianco di una notevole<br />
componente di elementi schiettamente mediterranei,<br />
xerotermofili o perfino caratteristici <strong>del</strong>la<br />
vegetazione mediterranea costiera, che colonizzano<br />
i settori di media e bassa quota, e che rag-<br />
98<br />
99<br />
Le faggete in quota, con alberi di notevoli dimensioni, sono un<br />
ambiente di grande valore ambientale perchè ospitano specie<br />
animali caratteristiche e poco diffuse.
Il Massiccio dei Monti Reatini visto da ovest.<br />
100<br />
101<br />
giungono in queste località altezze <strong>del</strong> tutto inconsuete. Relativamente modesto<br />
appare invece il numero di elementi più tipicamente settentrionali (alpini<br />
o centro-nordeuropei s.l.), che raggiungono il <strong>Terminillo</strong> solo nei suoi<br />
settori più elevati; per questa sola categoria di specie il comprensorio appare<br />
distintamente più povero rispetto ai più elevati massicci montuosi <strong>del</strong>l’ Appennino<br />
centrale (Gran Sasso e Monti <strong>del</strong>la <strong>La</strong>ga, in particolare).<br />
Per quanto riguarda i Lepidotteri, i dati sono stati estratti dai cataloghi di Prola,<br />
Provera, Racheli e Sbordoni (1978 a, 1978 b) e di Prola e Racheli (1979,<br />
1980), relativi ai Macrolepidotteri <strong>del</strong>l’ Appennino centrale; un primo dato<br />
rilevante è rappresentato dalla numerosità <strong>del</strong>le specie presenti; 580 specie sicuramente<br />
note nell’ambito <strong>del</strong> Massiccio <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> su un totale di 1259<br />
entità presenti complessivamente in Italia centrale (Audisio & Vigna Taglianti,<br />
1988). In particolare, tra i ropaloceri, che sono certamente i meglio conosciuti<br />
sotto il profilo faunistico, sono presenti almeno 109 specie su 153, ossia oltre i<br />
due terzi <strong>del</strong>l’intera fauna <strong>del</strong>l’Italia centrale.<br />
Tra i Coleotteri Carabidi (Magistretti, 1965; Audisio & Vigna Taglianti, 1988)<br />
sono note circa 100 specie per il <strong>Terminillo</strong>, non poche <strong>del</strong>le quali caratteristiche<br />
ed endemiche <strong>del</strong>le aree centro-appenniniche e più o meno strettamente<br />
localizzate in stazioni montane di media e alta quota.<br />
Di grande rilievo è inoltre la presenza di Duvalius sp. cfr. straneoi Jeannel, elemento<br />
endemico dei Monti Reatini, presente nell’ambiente sotterraneo superficiale<br />
<strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> alle quote più elevate, sia nelle faggete che al limite dei<br />
piccoli nevai primaverili-estivi presso la vetta, da 1600 a 2200 m di quota (Vigna<br />
Taglianti, 1970, 1982; Audisio & Vigna Taglianti, 1988).<br />
Tra i Coleotteri Scarabeoidei, sono significative le presenze <strong>del</strong> Melolontide<br />
Amphimallon fuscus (Scop.), caratteristico elemento dei pascoli appenninici<br />
di alta quota, <strong>del</strong> raro Rutelide Anisoplia bromicola Germ. e <strong>del</strong> Glafiride<br />
Anthypna carceli (Cast.). Di grande rilievo è senza dubbio la fauna<br />
ortotterologica, attentamente studiata da Baccetti (1971); questo Autore
segnala ben 66 specie di Ortotteroidei nell’ambito <strong>del</strong> comprensorio dei<br />
Monti Reatini, tra le quali alcune specie di Ortotteri orofili endemici di<br />
questo massiccio montuoso.<br />
Da rilevare l’interessante presenza <strong>del</strong> Crostaceo Anostraco Chirocephalus<br />
diaphanus (Prev.) nel <strong>La</strong>go Tilia (1680 m s.l.m.), ove è rappresentato<br />
da una popolazione costituita da esemplari di dimensioni inconsuete e alquanto<br />
cospicue (Cottarelli, 1966, sub C. stagnalis Shaw). mente i meglio<br />
conosciuti sotto il profilo faunistico, sono presenti almeno 109 specie su<br />
153, ossia oltre i due terzi <strong>del</strong>l’intera fauna <strong>del</strong>l’Italia centrale.<br />
Tra i Coleotteri Carabidi (Magistretti, 1965; Audisio & Vigna Taglianti,<br />
1988) sono note circa 100 specie per il <strong>Terminillo</strong>, non poche <strong>del</strong>le quali<br />
caratteristiche ed endemiche <strong>del</strong>le aree centroappenniniche e più o meno<br />
strettamente localizzate in stazioni montane di media e alta quota. Di<br />
grande rilievo è inoltre la presenza di Duvalius sp. cfr. straneoi Jeannel,<br />
elemento endemico dei Monti Reatini, presente nell’ambiente sotterraneo<br />
superficiale <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> alle quote più elevate, sia nelle faggete che al limite<br />
dei piccoli nevai primaverili-estivi presso la vetta, da 1600 a 2200 m<br />
di quota (Vigna Taglianti, 1970, 1982; Audisio & Vigna Taglianti, 1988).<br />
Tra i Coleotteri Scarabeoidei, è da rilevare la presenza <strong>del</strong> Melolontide<br />
Amphimallon fuscus (Scop.), caratteristico elemento dei pascoli appenninici<br />
di alta quota, <strong>del</strong> raro Rutelide Anisoplia bromicola Germ. e <strong>del</strong> Glafiride<br />
Anthypna carceli (Cast.).<br />
Di grande rilievo è senza dubbio la fauna ortotterologica, attentamente<br />
studiata da Baccetti (1971); questo Autore segnala ben 66 specie di Ortotteroidei<br />
nell’ambito <strong>del</strong> comprensorio dei Monti Reatini, tra le quali le specie<br />
di Ortotteri orofili endemici di questo massiccio montuoso<br />
Da rilevare l’interessante presenza <strong>del</strong> Crostaceo Anostraco Chirocephalus<br />
diaphanus (Prev.) nel <strong>La</strong>go Tilia (1680 m s.l.m.), ove è rappresentato<br />
da una popolazione costituita da esemplari di dimensioni inconsuete e alquanto<br />
cospicue (Cottarelli, 1966, sub C. stagnalis Shaw).<br />
102<br />
103<br />
Le pareti scoscese sono<br />
il luogo preferito per la<br />
nidificazione dei falco<br />
pellegrino Falco peregrinus.
Specie di valore europeo<br />
di Enrico Calvario e Stefano Sarrocco<br />
I<br />
Monti Reatini ospitano diverse specie di flora e di fauna di interesse comunitario.<br />
I Formulari Standard dei siti <strong>Natura</strong> 2000 <strong>del</strong> comprensorio<br />
elencano la presenza di 17 specie di rilevanza europea, cui si devono aggiungere<br />
il Tritone crestato italiano Triturus carnifex ed il coleottero Rosalia<br />
alpina Rosalia alpina, per un totale di 19 specie di valore conservazionistico.<br />
Tra gli Uccelli sono presenti e nidificanti, l’Aquila reale Aquila chrysaetos, il<br />
Biancone Circaetus gallicus, il Falco pellegrino Falco peregrinus, la Coturnice<br />
Alectoris greca, il Picchio dorsobianco Dendrocopos leucotos, la Tottavilla<br />
Lullula arborea, il Calandro Anthus campestris, la Balia dal collare Ficedula<br />
albicollis, l’Averla piccola <strong>La</strong>nius collurio ed il Gracchio corallino Pyrrhocorax<br />
pyrrhocorax. Tra i Mammiferi sono segnalate due specie emblematiche,<br />
il Lupo Canis lupus e l’Orso bruno marsicano Ursus arctos. Passando agli<br />
Anfibi e Rettili il Formulario Standard riporta la presenza di Ululone ventre<br />
giallo Bombina variegata (ora pachypus), Salamandrina dagli occhiiali<br />
Salamandrina terdigitata, Vipera di Orsini Vipera ursinii ai quali si deve<br />
aggiungere il Tritone crestato italiano Triturus carnifex ritrovato nel corso<br />
<strong>del</strong> Progetto di ripristino dei fontanili. Tra gli invertebrati sono segnalati il<br />
Lepidottero Euphydryas aurinia, una farfalla le cui larve si nutrono all’interno<br />
di una coppia di foglie, unite con la seta, e, successivamente, costruiscono<br />
nidi di seta collettivi dove svernano e il coleottero Rosalia alpina, la<br />
cui presenza nel comprensorio è stata messa in luce nel corso <strong>del</strong>la stesura<br />
<strong>del</strong> Piano di Gestione <strong>del</strong> SIC di Vallonina (Biscaccianti in verbis).<br />
Occorre infine ricordare la presenza di una rara pianta montana, la Bivonea<br />
di Savi Jonopsidium savianum che vede sul Monte Fausola, la popolazione<br />
più significativa <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio. Tra queste “19 perle”, abbiamo scelto di<br />
decrivere quelle che hanno anche un forte valore simbolico.<br />
104<br />
105
Bivonea di Savi<br />
Jonopsidium savianum è una rara pianta erbacea a ciclo annuale appartenente<br />
alla famiglia <strong>del</strong>le Crucifere, con distribuzione mediterraneo-occidentale<br />
e a fioritura primaverile (marzo-aprile). In Italia è segnalata per<br />
Toscana, Umbria e <strong>La</strong>zio, dove è stata indicata in tre stazioni in provincia<br />
di Rieti,(Colle i Tre Confini, Monte Fausola e Monte Tancia). In Umbria<br />
e <strong>La</strong>zio è stata rinvenuta in prati aridi e sassosi, fenditure rocciose e margini<br />
di sentieri a quote comprese fra i 900 e i 1300 m. In Toscana è stata<br />
ritrovata in radure boschive e <strong>del</strong>la macchia mediterranea su suolo acido,<br />
a quote comprese fra i 300 e i 650 m. Nel territorio dei Monti Reatini, va<br />
considerata, come una estrema propaggine <strong>del</strong>le popolazioni <strong>del</strong>la Toscana<br />
metallifera, livornese e campigliese, là accantonate in siti su rocce intrusive,<br />
vulcaniche, e, quindi, coda di una lenta erosione di un precedente<br />
margine orientale <strong>del</strong>l’areale, avvenuta negli ultimi millenni di miglioramento<br />
climatico postglaciale a favore di foreste montane. <strong>La</strong> stazione di<br />
Monte Fausola, che rientra nell’omonimo SIC, raccoglie una popolazione<br />
che costituisce più <strong>del</strong> 15% <strong>del</strong>l’intera popolazione nazionale. Presso la<br />
stazione di Colle i Tre Confini la specie risulta essere molto rara, mentre<br />
sul Monte Tancia si presenta localmente abbondante. Le principali minacce<br />
per questa specie sono costituite dal pascolo eccessivo, dai cambiamenti<br />
di uso <strong>del</strong> suolo e dalle raccolte botaniche. Considerata la ristrettezza<br />
<strong>del</strong>l’areale <strong>del</strong>la specie e la sua endemicità, occorre assicurare la protezione<br />
attiva <strong>del</strong>le stazioni attualmente note. Sarebbe utile, inoltre, programmare<br />
una campagna di raccolta dei semi da donare a differenti banche <strong>del</strong> germoplasma<br />
italiane.<br />
106<br />
107<br />
Rosalia alpina<br />
Coleottero Cerambicide di aspetto inconfondibile e particolarmente vistoso,<br />
per le dimensioni medio-grandi (tra 20 e 38 mm di lunghezza), il colore<br />
azzurro cenere, con nette macchie nere su pronoto ed elitre, le antenne lunghe,<br />
azzurre, con un folto ciuffo di peli neri all’apice di ciascun segmento.<br />
Specie montano subalpina, legata al faggio, da 500 a 1800 m di quota.<br />
Le uova vengono deposte su faggi morti o deperienti, parti morte di piante<br />
sane, ceppi e tronchi caduti, di preferenza esposti al sole. Occasionalmente<br />
è stata rinvenuta su altre latifoglie (noce, castagno, quercia, salice, tiglio,<br />
acero, olmo, frassino). Lo sviluppo larvale dura di solito tre anni, l’impupamento<br />
avviene in primavera, l’adulto compare in giugno-agosto ed è attivo<br />
di giorno. Si osserva su piante morte o su tronchi abbattuti di recente, spesso<br />
in pieno sole. Al contrario di altre specie di Cerambicidi, gli adulti non<br />
si rinvengono sulle infiorescenze di piante erbacee o legnose. Dopo l’accoppiamento<br />
le femmine depongono le uova nel legno <strong>del</strong>le piante ospiti.<br />
<strong>La</strong> conservazione di questa “specie bandiera” dipende dalla tutela <strong>del</strong>le<br />
faggete mature e dal ripristino <strong>del</strong>la loro complessità strutturale, soprattutto<br />
con la conservazione dei vecchi alberi, <strong>del</strong> legno morto, con il mantenimento<br />
<strong>del</strong>le radure e con la istituzione di riserve integrali ed orientate,<br />
che possano ridurre la ceduazione, la “pulizia” <strong>del</strong> bosco e la eccessiva<br />
fruizione antropica, con i conseguenti rischi di incendi, calpestio e prelievo<br />
di esemplari. Dati inediti (A.B. Biscaccianti), segnalano la specie per il<br />
Monte <strong>Terminillo</strong>, Bosco Vallonina e Vallescura.
Ululone appenninico<br />
Si tratta di un anuro raro e localizzato in forte decremento, nel <strong>La</strong>zio, assieme<br />
alla Salamandra giallo nera, è la specie di anfibio maggiormente minacciata<br />
di estinzione. Numerose popolazioni note fino agli anni ’70 <strong>del</strong> XX<br />
secolo non sono più state confermate soprattutto nelle aree planiziali in cui<br />
l’intervento antropico è risultato più intenso. <strong>La</strong> vulnerabilità di gran parte<br />
<strong>del</strong>le popolazioni <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio, come ad esempio di alcune <strong>del</strong> Reatino, è dettata,<br />
inoltre, dal modesto numero di individui adulti di cui sono costituite.<br />
Specie diurna, eliofila e termofila, attiva da marzo ad ottobre con un picco<br />
di attività, nel <strong>La</strong>zio, concentrato nel bimestre maggio-giugno. I siti riproduttivi<br />
consistono prevalentemente in piccole raccolte d’acque poco profonde,<br />
spesso soleggiate e caratterizzate da prosciugamenti estivi. Si rinviene<br />
anche nell’alto corso di ruscelli ed in abbeveratoi. Le uova sono deposte<br />
in gruppi di qualche decina di unità e lo sviluppo larvale può eccezionalmente<br />
completarsi in poco più di un mese. <strong>La</strong> colorazione addominale particolarmente<br />
vistosa <strong>del</strong>la specie costituisce un segnale di avvertimento per<br />
i suoi potenziali predatori; infatti, qualora disturbato o attaccato, assume<br />
una strana posizione difensiva, coprendo gli occhi con gli arti anteriori,<br />
inarcando la schiena e sollevando gli arti anteriori verso l’alto e rendendo<br />
visibile quindi la colorazione ventrale giallo-nera. Inizia quindi a secernere<br />
dalle ghiandole cutanee una secrezione bianca vischiosa, dal vago odore<br />
di aglio, che per contatto, può causare ulcerazioni e irritazioni alla pelle e<br />
alle mucose <strong>del</strong> momentaneo “nemico”, facendolo desistere dall’attacco. Nei<br />
Monti Reatini, è stato segnalato presso Valle Avanzana e Pian de’Valli (AA.<br />
VV., 2004a). Le piccole e frammentate popolazioni laziali sono sottoposte a<br />
potenziali fenomeni di inbreeding e di isolamento riproduttivo.<br />
108<br />
109<br />
Vipera di Orsini<br />
E’ una <strong>del</strong>le specie di serpenti maggiormente minacciata di estinzione in<br />
Italia. Esclusiva dei pascoli di alta quota, ove vive intorno ai pulvini prostrati<br />
di ginepro. In particolare, predilige le aree dove i cespugli di ginepro<br />
sono molto aggregati, di ampio diametro (> 6 m), e interconnessi tra loro<br />
(Filippi & Luiselli, 2004). Esclusivamente diurna, esce di rado dai pulvini<br />
di ginepro ed è pertanto di solito difficile da osservare anche in aree dove<br />
è ancora abbondante. Il ciclo riproduttivo è biennale, e le femmine partoriscono<br />
in agosto 3-4 piccoli vivi. L’accoppiamento avviene in maggio,<br />
e i maschi lottano per il possesso <strong>del</strong>le femmine mediante ‘danze rituali’<br />
piuttosto spettacolari. Il ciclo trofico è costituito da due fasi (Agrimi &<br />
Luiselli, 1992): in primavera si nutrono solo le femmine, che catturano<br />
lucertole e arvicole neonate mentre in estate si nutrono sia i maschi che le<br />
femmine e le prede principali sono gli ortotteri atteri. <strong>La</strong> specie è rarissima<br />
nel <strong>La</strong>zio, dove sono conosciute solo tre popolazioni (Luiselli 2004). <strong>La</strong><br />
popolazione <strong>del</strong>le Montagne <strong>del</strong>la Duchessa è costituita da poche decine<br />
di individui adulti; quella <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> è quasi estinta (non sono stati<br />
catturati esemplari vivi negli ultimi cinque anni) e quella <strong>del</strong> versante laziale<br />
<strong>del</strong> Parco Nazionale d’ Abruzzo è a status sconosciuto, essendo stato<br />
catturato un solo esemplare a circa 2000 m di altitudine. Tutte le misure<br />
tese a salvaguardare le aree di pascolo d’alta quota ove la specie vive sono<br />
direttamente utili alla tutela di questo viperide. Particolare attenzione deve<br />
essere posta al contenimento <strong>del</strong> sovrappascolo e <strong>del</strong> traffico veicolare in<br />
alta quota. <strong>La</strong> popolazione presente sul <strong>Terminillo</strong> vive in un’area attraversata<br />
da una strada d’alta quota abbastanza trafficata e uno degli ultimi<br />
esemplari raccolti fu trovato investito nel luglio <strong>del</strong> 1997 (Luiselli, 2008).
Aquila reale Falco pellegrino<br />
L’ Aquila reale occupa nel <strong>La</strong>zio gli ambienti montani a scarsa antropizzazione<br />
con orografia movimentata e versanti fortemente acclivi. Ogni coppia<br />
nidificante possiede un territorio che può arrivare a 250 km 2 e comprende<br />
vari tipi di habitat quali le formazioni rupestri per lo più calcaree,<br />
le praterie cacuminali, i boschi e le aree con vegetazione arbustiva rada.<br />
Prevalentemente il periodo riproduttivo inizia nel mese di marzo e si conclude<br />
in quello di luglio. <strong>La</strong> specie preda elettiva è la Lepre (Lepus sp.) che<br />
può arrivare a coprire il 70% in biomassa <strong>del</strong>l’alimentazione <strong>del</strong> rapace<br />
(Borlenghi, 2008). Più in generale preda mammiferi di piccole e medie<br />
dimensioni, compresi alcuni ungulati domestici quali agnelli e capretti; la<br />
dieta comprende anche uccelli e rettili. Nella stagione invernale la specie<br />
è moderatamente necrofaga. Considerata minacciata nella Lista Rossa regionale<br />
(Calvario et al., 2011), nel <strong>La</strong>zio la consistenza <strong>del</strong>la specie è stimata<br />
in otto coppie nidificanti stabili e 2 di nuova formazione ed i Monti<br />
Reatini con le loro due coppie di adulti e la presenza di alcuni individui<br />
immaturi ne ospitano una consistente porzione <strong>del</strong>la popolazione regionale<br />
(Borlenghi, 2011). Una criticità rilevante per la specie è dovuta alla<br />
realizzazione di impianti eolici in vicinanza dei siti riproduttivi come anche<br />
importante è il mantenimento di significative estensioni di zone aperte<br />
in quota, utilizzate a scopi trofici dalla specie, libere da qualsiasi disturbo<br />
e/o attività sportiva. Per quanto riguarda il disturbo indiretto e gli abbattimenti<br />
illegali si deve operare verso un miglior controllo <strong>del</strong> territorio da<br />
parte degli organismi preposti. Infine, il rischio di elettrocuzione con gli<br />
elettrodotti deve trovare mitigazione in opere di modifica di alcune infrastrutture<br />
impiantistiche.<br />
110<br />
111<br />
Grande falcone dalla struttura compatta e robusta che nel <strong>La</strong>zio nidifica in<br />
vari ambienti: dalle falesie costiere alle pareti rocciose in zone montane, dalle<br />
scarpate tufacee a quelle di arenaria, nonché su edifici in aree urbane e industriali.<br />
<strong>La</strong> distribuzione altimetrica dei siti di nidificazione evidenzia una<br />
preferenza per le aree poste fino a 250 m s.l.m. e comunque entro i 1000 m<br />
s.l.m., oltre questa quota le segnalazioni subiscono un netto decremento, fino<br />
ad arrivare alla quota massima registrata nel <strong>La</strong>zio di 1300 metri s.l.m.<br />
Il nido è costituito da cavità o cenge poste nelle zone sommitali o mediane<br />
<strong>del</strong>le pareti rocciose, direttamente sul terreno o all’interno di nidi abbandonati<br />
di Aquila reale e Corvo imperiale. Gli adulti occupano il sito gia in gennaio-febbraio<br />
e la deposizione avviene in marzo-aprile. Le covate sono formate<br />
da 3-4 uova che vengono incubate principalmente dalla femmina per un<br />
periodo di 28-33 giorni. L’allevamento <strong>del</strong>la prole dura 40 giorni dopo i quali<br />
avviene l’involo, evento che si verifica generalmente nei mesi di maggio e giugno.<br />
Il successo riproduttivo medio è di 2,3 giovani involati per coppia che ha<br />
allevato giovani (Brunelli, 2007, 2008). <strong>La</strong> dieta è costituita quasi esclusivamente<br />
da uccelli, che cattura in volo, anche di taglia medio-grande. In passato<br />
i principali fattori di minaccia erano costituiti dalla persecuzione diretta e dal<br />
furto di piccoli e uova. Altri fattori limitanti sono costituiti dal disturbo provocato<br />
dall’attività venatoria presso i siti di nidificazione, dall’impatto con le<br />
linee elettriche, dall’arrampicata sportiva. Un ulteriore fattore di rischio può<br />
essere rappresentato dagli impianti eolici. Anche in termini di consistenza<br />
numerica vi è stato un forte incremento, passando dalle 25-30 coppie stimate<br />
negli anni’80 alle attuali 92-106 (Brunelli et al., 2007), sui Monti Reatini sono<br />
presenti 4 coppie nidificanti.
<strong>La</strong> Coturnice<br />
<strong>La</strong> Coturnice è un Galliforme <strong>del</strong>la famiglia dei Fasianidi appartenente al<br />
gruppo <strong>del</strong>le “pernici dalle zampe rosse”. Nidifica nei soli paesi <strong>del</strong> Mediterraneo<br />
centrale e orientale, con popolazioni cospicue in Italia. Nel <strong>La</strong>zio<br />
alla specie è stato dedicato un Piano di Azione (Sorace et al., 2011) che<br />
ha consentito di fare chiarezza sul suo stato di conservazione: sono state<br />
stimate 171-342 coppie e sui Monti Reatini sono state registrate le densità<br />
più elevate <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio (2,53 cp/km 2 ). L’altitudine media <strong>del</strong>le osservazioni<br />
è risultata di 1.663 m con solo l’11,1% <strong>del</strong>le osservazioni sotto i 1.300 m<br />
s.l.m. Si alimenta principalmente di parti vegetali (foglie, germogli, semi e<br />
frutti) e di invertebrati, in particolare insetti.<br />
Le attività territoriali <strong>del</strong>la Coturnice iniziano già alla fine <strong>del</strong>l’inverno;<br />
per esempio, il 10 marzo 2008 nelle Mainarde, due maschi hanno risposto<br />
all’emissione <strong>del</strong> canto territoriale mentre sui Monti Reatini, il canto<br />
territoriale <strong>del</strong>la specie era udibile già il 6 febbraio <strong>del</strong>lo stesso anno. Specie<br />
monogama, con alcune coppie che formano legami di lunga durata,<br />
occasionalmente bigama. Il nido, costituito da un’incavatura naturale <strong>del</strong><br />
suolo viene rivestito con materiale vegetale, Il periodo <strong>del</strong>la deposizione<br />
<strong>del</strong>le uova è compreso tra aprile e giugno e viene effettuata una sola covata<br />
annua (8-14 uova), con eventuale covata di sostituzione.<br />
<strong>La</strong> cova inizia dalla deposizione <strong>del</strong>l’ultimo uovo ed è effettuata dalla sola<br />
femmina per 24-26 giorni. I pulli sono nidifughi e vengono accuditi<br />
da entrambi i genitori. L’involo avviene a circa 21 giorni e le dimensioni<br />
<strong>del</strong>l’adulto vengono raggiunte a 50-60 giorni. I giovani sono in grado di<br />
riprodursi a un anno di età.<br />
112<br />
113<br />
Picchio dalmatino o dorsobianco<br />
Nonostante il nome, la sottospecie lilfordi non presenta il dorso bianco ma<br />
fittamente barrato. Il becco è lungo e scuro, il vertice è rosso nel maschio e<br />
nero nella femmina, la parte ventrale è bianca finemente barrata di scuro. I<br />
principali caratteri diagnostici sono quindi costituiti dalla barratura bianca<br />
e nera <strong>del</strong> dorso e dal vertice rosso <strong>del</strong> maschio. In considerazione <strong>del</strong>la<br />
frequenza <strong>del</strong>la specie, il principale rischio di confusione è con il comune<br />
Picchio rosso maggiore Dendrocopos major, frequente in tutti i tipi di bosco,<br />
ma leggermente più piccolo, provvisto di due ampie spalline bianche<br />
facilmente visibili anche in volo. Il tipico tambureggiare con la fase finale<br />
accelerata ed il verso, simile a quello di un Merlo, costituiscono utili caratteri<br />
di riconoscimento, dal momento che le osservazioni nel bosco risultano<br />
spesso difficoltose. Si tratta di una specie strettamente associata alle<br />
foreste mature di latifoglie montane dove si riproduce, scavando il nido<br />
nel tronco di piante di grandi dimensioni, solitamente morte od in forte<br />
stato di deperimento; in tal senso assume molta importanza la gestione<br />
<strong>del</strong> legno morto nell’ambito <strong>del</strong>le pratiche forestali. <strong>La</strong> distribuzione <strong>del</strong>la<br />
specie riguarda due ambiti geografici principali: l’area dei Monti Ernici-<br />
Simbruini-P.N. d’Abruzzo, <strong>La</strong>zio e Molise, che costituisce il più importante<br />
settore occupato dalla specie in Italia ed è collocato soprattutto in Abruzzo<br />
e l’area <strong>del</strong> Monte <strong>Terminillo</strong>-Monte Nuria-Monte Giano. Queste due aree<br />
rappresentano i soli territori sicuramente occupati dalla specie in Italia,<br />
dove complessivamente sono stimate 240-300 coppie nidificanti, 60-80<br />
<strong>del</strong>le quali nella regione <strong>La</strong>zio (Bernoni & De Sanctis, 2011) ed una decina<br />
nei Monti Reatini (Bernoni, 2004). In questo comprensorio montano occupa<br />
esclusivamente le faggete, tra i 1000 ed 1800 metri di quota.
Balia dal collare<br />
E’ un piccolo Passeriforme migratore, nidificante nei boschi di caducifoglie<br />
(principalmente faggete), con predilezione per quelli in buono stato di conservazione,<br />
maturi e ricchi di cavità naturali. Nel <strong>La</strong>zio la specie presenta<br />
una distribuzione ristretta al piano montano; nidifica lungo l’Appennino,<br />
nel settore nord-orientale e meridionale, e su parte <strong>del</strong>le dorsali <strong>del</strong>l’Antiappennino<br />
(Monti Lepini), tra i 1100 ed i 1800 metri di quota.<br />
Nel corso degli studi effettuati per la redazione <strong>del</strong> Piano di Gestione <strong>del</strong><br />
SIC “Bosco di Vallonina IT6020009” sono state effettuate <strong>del</strong>le stime <strong>del</strong>la<br />
specie nel sito che hanno consentito di valutare la consistenza <strong>del</strong>la popolazione<br />
nidificante tra le 157 e le 219 coppie, con densità di 0,28-0,30 coppie<br />
per ettaro (Sarrocco e Calvario, 2004).<br />
Nel <strong>La</strong>zio la popolazione nidificante è probabile che superi le 1.000 coppie<br />
riproduttive (Brunelli et al., 2011). <strong>La</strong> ridotta disponibilità di cavità naturali<br />
può rappresentare un fattore limitante per la specie; a tal riguardo la<br />
Regione <strong>La</strong>zio ha finanziato al Comune di Leonessa uno specifico progetto<br />
finalizzato all’installazione di nidi artificiali con l’obiettivo di rendere disponibili<br />
<strong>del</strong>le cavità artificiali in particelle forestali da sottoporre a tagli di<br />
utilizzo, quale misura di conservazione attiva prevista nel Piano di Gestione<br />
<strong>del</strong> sito. Nel corso <strong>del</strong> mese di novembre 2008 nella faggeta <strong>del</strong> SIC “Bosco<br />
Vallonina ” sono stati installati 300 nidi artificiali, collocati tra 1.100 e<br />
1.600 m di quota, ad una altezza di 3-5 metri dal suolo. Il controllo dei nidi<br />
ha evidenziato l’occupazione <strong>del</strong> 12,5% dei nidi. Le covate controllate erano<br />
costituite da un numero medio di 5,9 uova ed hanno prodotto una media<br />
di 4,6 giovani all’involo(Sarrocco et al., 2009).<br />
114<br />
115<br />
Gracchio corallino<br />
È il più raro Corvide europeo ed è in declino in buona parte <strong>del</strong> suo areale<br />
ove il decremento interessa circa il 90% <strong>del</strong>le popolazioni europee conosciute.<br />
È una specie tipica d’alta montagna che occupa le praterie montane<br />
e d’altitudine, utilizzate per la ricerca <strong>del</strong> cibo e le pareti rocciose sulle<br />
quali nidifica, in anfratti o cenge.<br />
È una specie dal comportamento gregario e, dove numerosa, tende a nidificare<br />
in forma coloniale. Nel <strong>La</strong>zio è nidificante, con una distribuzione<br />
ristretta, concentrata esclusivamente lungo l’Appennino. Frequenta le praterie<br />
montane e d’altitudine, dai 1000 m s.l.m. sino alle massime quote.<br />
<strong>La</strong> specie è sedentaria, con erratismi durante il periodo invernale che la<br />
portano a frequentare le pianure intramontane ed anche i gruppi montuosi<br />
più costieri (Antiappennino) dove non nidifica. Attualmente nel <strong>La</strong>zio<br />
la specie nidifica lungo la dorsale appenninica, occupando i monti <strong>del</strong>la<br />
<strong>La</strong>ga e i Reatini, la Duchessa, i monti Simbruini, Ernici e <strong>del</strong>la Meta e le<br />
Mainarde. In un recente lavoro sono state censite nella regione 65 coppie<br />
di cui 34 nidificanti certe e 31 probabili, 18 <strong>del</strong>le 65 coppie sono state rinvenute<br />
entro una fascia di 2 km dal confine regionale. Sui Monti Reatini<br />
sono state stimate dalle 11 alle 24 coppie nidificanti (Bernoni et al., 2009).<br />
Oltre a cause di livello globale (cambiamenti climatici), la specie potrebbe<br />
essere sottoposta anche a fattori limitanti di scala regionale, come la riforestazione<br />
naturale dei pascoli montani, in corso nelle aree sommatali<br />
<strong>del</strong>le montagne appenniniche e la diminuzione <strong>del</strong>l’intensità di pascolamento<br />
che sembra interferire con l’alimentazione <strong>del</strong>la specie.
Lupo<br />
Specie con abitudini prevalentemente notturne, vive in unità sociali stabili<br />
(branchi), fortemente gerarchizzate, che cacciano, allevano la prole e<br />
difendono un territorio di dimensioni variabili (in Italia 150-250 km2), in<br />
maniera integrata e coordinata. Il branco corrisponde ad una unità familiare<br />
che si forma quando due individui di sesso opposto si incontrano e<br />
si riproducono su un territorio idoneo. In Italia la dimensione <strong>del</strong> branco<br />
è di 2-7 individui. <strong>La</strong> dieta è costituita prevalentemente da ungulati selvatici<br />
ma anche da ungulati domestici, rifiuti organici e materia vegetale<br />
(Boitani, 2008).<br />
Complessivamente in Italia si stima la presenza di 500-800 lupi ma questo<br />
valore è puramente indicativo (Boitani, 2008). Nel <strong>La</strong>zio comunque<br />
la specie sembra discretamente ben conservata, come testimoniato dagli<br />
avvistamenti regolari e dai danni causati al bestiame domestico. Sui Monti<br />
Reatini la specie è presente stabilmente: nel periodo 1992-1995 nove<br />
lupi sono stati uccisi nell’area, 4 di questi tra Leonessa, Poggio Bustone e<br />
Rivodutri. Un esemplare è morto per un laccio, due esemplari sono stati<br />
investiti, tre sono morti avvelenati. Tra gli esemplari morti, due esemplari<br />
giovani di 6 e 12 mesi. <strong>La</strong> presenza nell’area viene stimata in non meno<br />
di 3 esemplari (Cammerini 1998). <strong>La</strong> principale misura di conservazione<br />
da attuare con urgenza è una credibile lotta all’uso dei bocconi avvelenati<br />
e una graduale modifica dei sistemi di caccia al cinghiale. Inoltre si deve<br />
espandere l’uso dei cani da guardia per le greggi e migliorare la gestione ed<br />
il controllo <strong>del</strong> pascolo brado per equini e bovini.<br />
116<br />
117<br />
Orso<br />
L’Orso bruno è presente in Italia con due popolazioni disgiunte, quella<br />
Alpina e quella <strong>del</strong>l’Appennino centrale (geneticamente separate). Negli<br />
anni ‘70 la popolazione appenninica di Orso bruno era oramai confinata<br />
al territorio <strong>del</strong> Parco Nazionale d’Abruzzo ed alle aree montane immediatamente<br />
circostanti. Attualmente l’areale <strong>del</strong>la popolazione si estende<br />
all’interno <strong>del</strong> Parco Nazionale Abruzzo <strong>La</strong>zio Molise (PNALM) che, con<br />
le aree contigue, comprende una superficie di 1.500–2.500 km 2 mentre,<br />
nelle zone periferiche a tale area, solo periodicamente si registra la presenza<br />
di individui erratici che presentano quindi densità estremamente<br />
contenute. Sui Monti Reatini, i Monti <strong>del</strong>la <strong>La</strong>ga ed i Monti <strong>del</strong>la Duchessa<br />
la sua presenza è limitata, ma caratterizzata da continuità temporale, ed<br />
è dovuta a fenomeni di dispersione ed erratismo data la continuità territoriale<br />
ed ambientale con le porzioni centrali <strong>del</strong>l’areale distributivo <strong>del</strong><br />
PNALM (Bologna e Vigna Taglianti, 1992). Le informazioni disponibili<br />
sulla dimensione <strong>del</strong>la popolazione hanno portato ad una prima stima<br />
(2004) di 43 orsi (min. 35 - max. 67) all’interno <strong>del</strong>l’area centrale di presenza,<br />
mentre una seconda stima (osservazioni dirette, catture) ha ridotto<br />
a 40 gli orsi presenti nell’area centrale, con una densità di 3,3 orsi/100 km 2 .<br />
<strong>La</strong> specie per il rifugio predilige aree con copertura forestale, ma frequenta<br />
anche praterie, zone rocciose e coltivi. L’alimentazione onnivora è basata<br />
su risorse trofiche vegetali (erba, frutti carnosi e secchi) e animali (insetti,<br />
carcasse). Un fattore limitante è la disponibilità di siti di svernamento su<br />
aree impervie e indisturbate. Il dato più recente di presenza <strong>del</strong>la specie<br />
riferito ai Monti Reatini è quello relativo al 2010 sul Monte <strong>Terminillo</strong><br />
(Banca Dati Progetto PATOM).
<strong>La</strong>udato si’, mi Signore, per sor’acqua, la quale<br />
è molto utile et hùmele et pretiosa et casta<br />
San Francesco<br />
118<br />
119
Progetto laghetti e fontanili<br />
di Enrico Calvario e Silvia Sebasti<br />
Sui Monti Reatini, come in numerose altre località appenniniche i<br />
“fontanili”, ossia gli abbeveratoi costruiti dall’uomo per dissetare il<br />
bestiame domestico al pascolo, rivestono una notevole importanza<br />
anche dal punto di vista ecologico per le comunità di Anfibi, che trovano<br />
in queste strutture un habitat ideale per l’approvvigionamento trofico di<br />
larve e adulti e per completare il loro ciclo riproduttivo. Ciascun fontanile<br />
è di solito composto da una o più vasche di raccolta <strong>del</strong>l’acqua, da un’<br />
opera di presa che ne garantisce l’adduzione idrica da pozzi o falde, da un<br />
“troppo pieno” che ne mantiene stabile il livello.<br />
Nel tempo però queste strutture, laddove non adeguatamente mantenute<br />
e restaurate, essendo soggette ai danni causati dalle gelate e all’usura da<br />
parte <strong>del</strong> bestiame, appaiono spesso deteriorate, fatiscenti, in alcuni casi<br />
dirute. Divengono così inadeguate sia all’abbeveraggio che alla riproduzione<br />
degli Anfibi, perdendo completamente il loro ruolo funzionale. In<br />
questo contesto, la Provincia di Rieti, mettendo in atto alcune azioni di<br />
conservazione previste dal Piano di Gestione relativo alla ZPS dei Monti<br />
Reatini ha ultimato i 2 progetti di seguito indicati, destinati a ripristinare<br />
la funzionalità di fontanili e laghetti montani per renderli di nuovo idonei<br />
per l’abbeveraggio <strong>del</strong> bestiame e, con l’aggiunta di piccoli accorgimenti<br />
tecnici e di migliorarne l’idoneità per l’utilizzo da parte degli Anfibi:<br />
• Interventi Urgenti per la conservazione dei siti <strong>Natura</strong> 2000 Monti Reatini,<br />
Vallone di Rio Fuggio e Gruppo Monte <strong>Terminillo</strong> - “Interventi Urgenti<br />
per la Riqualificazione dei <strong>La</strong>ghetti Montani” e “Interventi Urgenti per la<br />
Riqualificazione Ambientale a tutela <strong>del</strong>la batracofauna”. Docup 2000-2006.<br />
120<br />
121
• Accordo di programma multiregionale in materia di biodiversità (APQ)<br />
nella ZPS “Monti Reatini”, nel SIC“Vallone <strong>del</strong> Rio Fuggio”, nel SIC “Gruppo<br />
Monte <strong>Terminillo</strong>” e nel SIC “Valle Avanzana - Fuscello”; interventi di<br />
riqualificazione ambientale a tutela <strong>del</strong>la batracofauna.<br />
Le opere realizzate sono finalizzate al mantenimento in buono stato di<br />
conservazione e alla ristrutturazione dei fontanili montani presenti nel<br />
comprensorio dei Monti Reatini, per preservarli dal naturale degrado e<br />
ripristinarne la totale funzionalità.<br />
Il progetto ha apportato migliorie ecologiche e funzionali mediante:<br />
• interventi per il miglioramento <strong>del</strong>la capacità idrica dei fontanili (risistemazione<br />
<strong>del</strong>le opere di presa e <strong>del</strong>le tubature, impermeabilizzazione interna<br />
<strong>del</strong>le vasche);<br />
• interventi sulle strutture murarie danneggiate (rimozioni di vasche dirute<br />
o crollate e di vasche non idonee, ripresa di pareti in cemento armato);<br />
• interventi per permettere la fruizione <strong>del</strong>le strutture da parte <strong>del</strong>l’erpetofauna<br />
(creazione di piccole zone umide recintate a valle dei fontanili stessi<br />
e di rampe di risalita interne alle vasche);<br />
• interventi di miglioramento <strong>del</strong>la naturalità complessiva dei siti (risistemazione<br />
<strong>del</strong>la pavimentazione perimetrale, copertura in pietra locale<br />
<strong>del</strong>l’esterno <strong>del</strong>le vasche e <strong>del</strong>le spallette, consolidamento di argini tramite<br />
viminate);<br />
• monitoraggio <strong>del</strong>l’habitat e <strong>del</strong>le specie.<br />
Il progetto nel suo complesso ha agito nel pieno rispetto <strong>del</strong>le caratteristiche<br />
naturali <strong>del</strong> contesto territoriale in cui si inserivano i singoli interventi<br />
e utilizzando materiali locali. Si è operato secondo criteri che hanno tenuto<br />
in considerazione la biologia <strong>del</strong>le specie di Anfibi presenti o potenzialmente<br />
presenti nella zona.<br />
<strong>La</strong> direzione lavori si è avvalsa <strong>del</strong> supporto di un erpetologo al fine di<br />
evitare qualsiasi danneggiamento o disturbo alle specie di Anfibi presenti<br />
nell’area durante i lavori di ripristino.<br />
122<br />
123<br />
Sotto la cresta Sassetelli si trova la sorgente più alta di tutti i<br />
Monti Reatini, si tratta <strong>del</strong> fontanile di Acquasanta che nella<br />
foto si trova nella radura tra i due lembi di faggeta.
GLI ANFIBI PRESENTI NEL COMPRENSORIO<br />
DEI LAGHETTI E DEI FONTANILI RIPRISTINATI<br />
di Enrico Calvario e Silvia Sebasti<br />
Sulla base <strong>del</strong>le segnalazioni bibliografiche disponibili e <strong>del</strong>le presenze<br />
accertate durante il procedere dei lavori dei progetti, le specie di<br />
Anfibi che frequentano o possono potenzialmente frequentare i fontanili<br />
e i laghetti dei Monti Reatini sono le seguenti:<br />
- URODELI<br />
• Salamandrina dagli occhiali Salamandrina perspicillata (Savi, 1821)*<br />
• Tritone crestato italiano Triturus carnifex (<strong>La</strong>urenti, 1768)<br />
- ANURI<br />
• Ululone dal ventre giallo appenninico Bombina pachypus (Bonaparte,<br />
1838)<br />
• Rospo comune Bufo bufo (Linnaeus, 1758)<br />
• Rane verdi Pelophylax bergeri Günther, 1985 e Pelophylax kl. hispanica<br />
Bonaparte, 1839<br />
• Rana appenninica Rana italica Doubois, 1987<br />
Riportiamo di seguito qualche cenno sulla biologia di questo gruppo animale<br />
con l’obiettivo di contribuire a farne meglio comprendere le esigenze<br />
ecologiche. Di origine greca, la parola “Anfibio” significa letteralmente<br />
“doppia vita”. Il ciclo vitale degli Anfibi è infatti solo parzialmente adattato<br />
alla vita nell’ambiente subaereo; la dipendenza dall’acqua rimane più o<br />
meno marcata per la riproduzione, per lo sviluppo larvale e, in alcuni casi,<br />
anche per la sopravvivenza degli stessi adulti: in queste specie più nettamente<br />
acquatiche infatti la cute, che svolge anche un’importante funzione<br />
respiratoria, è ricoperta solo da un sottile strato corneo, che deve essere<br />
mantenuto umido per evitare la disidratazione.<br />
124<br />
125<br />
anFibi UrodeLi<br />
Salamandrina dagli occhiali<br />
Salamandrina perspicillata<br />
(Savi, 1821)*<br />
Tritone crestato italiano<br />
Triturus carnifex<br />
(<strong>La</strong>urenti, 1768)
anFibi anUri<br />
Ululone dal ventre giallo<br />
appenninico<br />
Bombina pachypus (Bonaparte,<br />
1838)<br />
Rospo comune<br />
Bufo bufo<br />
(Linnaeus, 1758)<br />
126<br />
127<br />
Rane verdi<br />
Pelophylax bergeri Günther,<br />
1985 e Pelophylax<br />
kl. hispanica Bonaparte,<br />
1839<br />
Rana appenninica<br />
Rana italica<br />
Doubois, 1987
Le uova degli Anfibi possono essere deposte:<br />
- in grosse masse globulari flottanti sulla superficie<br />
<strong>del</strong>l’acqua o sul fondo (rane rosse e rane verdi),<br />
- in cordoni, in piccoli gruppi o anche singolarmente<br />
adesi alla vegetazione acquatica, alle pareti<br />
dei pozzi o dei fontanili, a sassi (Ululone appenninico,<br />
Rospo comune, Salamandrina dagli<br />
occhiali).<br />
- singolarmente chiuse in foglie di vegetazione<br />
acquatica (tritoni).<br />
Dopo la schiusa, le larve hanno bisogno, a seconda<br />
<strong>del</strong>la specie, <strong>del</strong>la tipologia di raccolta d’acqua<br />
e <strong>del</strong>le condizioni atmosferiche stagionali, di un<br />
periodo di tempo abbastanza lungo (cfr. tabella 1)<br />
per raggiungere la metamorfosi (per metamorfosi<br />
si intende il processo graduale attraverso il quale,<br />
sotto il controllo degli ormoni tiroidei, le larve si<br />
trasformano in individui adulti).<br />
Negli Anfibi Uro<strong>del</strong>i (salamandrine e tritoni)<br />
sono presenti casi di “neotenia”, in cui gli individui<br />
mantengono la morfologia larvale (e continuano<br />
quindi a respirare in acqua attraverso le<br />
branchie) ma sono in grado di riprodursi come<br />
adulti veri e propri. In questi casi, il prolungarsi<br />
<strong>del</strong>lo stadio larvale consente alle specie neoteniche<br />
di raggiungere dimensioni corporee maggiori<br />
e di sfruttare meglio l’ambiente acquatico,<br />
almeno finché le condizioni ambientali rimangono<br />
favorevoli. In caso di presenza di individui<br />
neotenici, che non possono sopravvivere<br />
fuori dall’acqua, è necessario porre particolare<br />
attenzione durante eventuali lavori di restauro<br />
a lasciare sempre sufficiente disponibilità idrica<br />
nell’invaso.<br />
Fra le specie sopra elencate, talune (Salamandrina<br />
dagli occhiali, Rospo comune, Rana appenninica),<br />
una volta raggiunta l’età adulta, sono<br />
svincolate dall’ambiente acquatico e tornano<br />
all’acqua solo nel periodo riproduttivo, a volte<br />
attardandosi anche dopo la riproduzione (Rane<br />
appenninica). L’Ululone appenninico è anch’esso<br />
svincolato dall’ambiente acquatico al di fuori <strong>del</strong><br />
periodo riproduttivo, che però può durare diversi<br />
mesi (da aprile a ottobre), durante i quali gli<br />
animali permangono in acqua o nelle immediate<br />
vicinanze. I tritoni invece sono gli anfibi che restano<br />
maggiormente legati all’ambiente acquatico<br />
durante il loro ciclo vitale, permanendo spesso<br />
per tutto l’anno, con escursioni terrestri nei<br />
periodi estivi, quando i corpi idrici si possono<br />
prosciugare.<br />
A seconda poi <strong>del</strong>le caratteristiche climatiche di<br />
ogni area, è possibile che talune specie possano<br />
essere presenti in acqua in stagioni differenti, a<br />
seconda <strong>del</strong>la disponibilità di acqua, come per<br />
esempio la Salamandrina dagli occhiali, che può<br />
riprodursi anche in autunno o in inverno (vedi<br />
Tab. 1).<br />
128<br />
129<br />
TABELLA n.1<br />
Periodi di presenza e fasi biologiche <strong>del</strong>le specie di Anfibi presenti<br />
nel comprensorio dei Monti Reatini (secondo Bologna et<br />
al., 2000). I dati sotto riportati sono da intendersi puramente<br />
indicativi perché la fenologia subisce variazioni profonde<br />
a seconda <strong>del</strong>l’altitudine, <strong>del</strong>l’esposizione al sole e <strong>del</strong> clima<br />
<strong>del</strong>l’anno. <strong>La</strong> verifica da parte di un erpetologo è sempre auspicabile<br />
prima di qualunque intervento sulle raccolte d’acqua.<br />
Salamandrina<br />
dagli occhiali<br />
Trirone<br />
crestato italiano<br />
Ululone a<br />
ventre giallo<br />
Rospo<br />
comune<br />
Rane<br />
verdi<br />
Rane<br />
appenninica<br />
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LEGENDA: A:Adulti, U:Uova, L:<strong>La</strong>rve, N:Neometamorfosati<br />
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Abbiamo la Terra non in eredità dai<br />
genitori, ma in affitto dai figli.<br />
Proverbio Indiano<br />
130<br />
131
GLI INTERVENTI PER LA TUTELA E VALORIZAZIONE<br />
DI FONTANILI E LAGHETTI<br />
Di seguito si riporta una descrizione sintetica dei 2 laghetti e dei 18<br />
fontanili ripristinati a seguito <strong>del</strong>la realizzazione dei progetti, la loro<br />
localizzazione, la potenzialità per le specie di Anfibi di interesse comunitario<br />
segnalate nei Siti <strong>Natura</strong> 2000 interessati. I fontanili e i laghetti<br />
interessati si trovavano, nel complesso, in uno stato di conservazione<br />
mediocre, presentavano alcuni difetti e/o cedimenti strutturali che si<br />
è ritenuto opportuno sistemare prima che ne venisse ulteriormente e<br />
definitivamente pregiudicata l’integrità ecologica. <strong>La</strong> presenza in quota<br />
di numerose risorgive sui Monti Reatini ha permesso la costruzione di<br />
molti fontanili alcuni dei quali presenti già in epoca medioevale, anche<br />
se la loro diffusione in tutto il territorio risale al “900. Inizialmente<br />
erano costruiti in legno, i trocchi, poi convertiti in pietra quindi in muratura.<br />
Dagli anni “80 con l’abbandono progressivo da parte di greggi<br />
e più in generale <strong>del</strong>le attività <strong>del</strong>l’uomo in montagna hanno perso<br />
di importanza e anno dopo anno si sono deteriorati, talvolta distrutti.<br />
Per questo il progetto di ristrutturazione dei fontanili, funzionale alla<br />
presenza di anfibi si è ampiamente guadagnato il merito di restituirci<br />
anche dei monumenti <strong>del</strong>la vita in montagna. <strong>La</strong> loro individuazione,<br />
avvenuta in collaborazione con i Comuni, si è anche basata sulla<br />
potenzialità <strong>del</strong>la presenza di anfibi segnalate. Tuttavia bisogna considerare,<br />
al fine <strong>del</strong>la conservazione di queste specie, che la rete dei<br />
fontanili presenti nei Monti Reatini supera le cento unità e quasi tutti<br />
sono collegati o raggiungibili dalla rete di sentieri <strong>del</strong> CAI. Il progetto<br />
si è occupato di quei fontanili particolarmente strategici in condizioni<br />
non ottimali sia da un punto di vista strutturale che per la necessaria<br />
funzionalità alla riproduzione degli Anfibi.<br />
LEGENDA<br />
LAGHETTI:<br />
1- LAGO DI MONTE TILIA<br />
2- LAGO DELLA CROCE<br />
FONTANILI:<br />
3- FONTE DELLA ROCCA 1200 m.<br />
4- FONTE FORCELLA 1200 m.<br />
5- FONTE MIGLIONICO 1.315 m .<br />
6- FONTE PORCINI 1482 m.<br />
7- FONTE DEL PERO 1300 m.<br />
8- FONTE CASALE D’ANTONI 1264 m.<br />
9- FONTE DEI CAVALLI 1580 m.<br />
10- FONTE PORCINI 1564 m.<br />
11- FONTE DI CAMBIO 1779 m.<br />
12- FONTE PORANA 1372 m.<br />
13- FONTE PACCE-GROTTA 600 m.<br />
14- FONTE DEL FAGGIO 990 m.<br />
15- FONTE TRONCHETTO 1200 m.<br />
16- GALAFONTE 1.153 m.<br />
17- FONTE DEL BOBB0 954 m.<br />
18- FONTE COLLE CROCE TOSTONE 1022 m.<br />
19- FONTE DEL PRATO SANTO 1206 m.<br />
20- FONTE ARACUCCA 1089 m.<br />
132<br />
133
<strong>La</strong> riqualificazione <strong>del</strong> laghetto<br />
e dei fontanili presenti su<br />
Monte Tilia (Fonte Forcella e<br />
Fonte <strong>del</strong>la Rocca) risponde<br />
alla strategia di realizzare una<br />
rete di raccolte d’acqua tale da<br />
supportare la diffusione degli<br />
individui nel territorio, offrendo<br />
loro la possibilità di<br />
raggiungere altre popolazioni<br />
già presenti oppure di rappresentare<br />
propaguli potenzialmente<br />
capaci di colonizzare<br />
nuovi siti riproduttivi.<br />
Il sentiero che parte da Leonessa<br />
(970 m.) è di facile percorrenza,<br />
sale attraversando la<br />
faggeta fino a giungere ai prati<br />
in quota, il lago di Monte Tilia<br />
si trova nel naturale catino formato<br />
dai versanti.<br />
LAGO DEL TILIA 1.600 m<br />
(Comune di Leonessa)<br />
134<br />
135<br />
Il laghetto <strong>del</strong>la Croce o <strong>del</strong>la<br />
Guardia è situato nel mezzo<br />
di un pascolo in quota,<br />
circondato da una faggeta.<br />
Come tutti i laghetti montani,<br />
è un habitat in rarefazione.<br />
L’importanza <strong>del</strong> recupero<br />
di queste tipologie di<br />
raccolte d’acqua, ormai sempre<br />
più rare, non è solo fin<br />
lizzata a mantenere siti riproduttivi<br />
di Anfibi, ma soprattutto<br />
a costituire una riserva<br />
idrica utilizzabile in<br />
quota, dalla fauna domestica<br />
e selvatica.<br />
Quello che giunge al Colle <strong>La</strong><br />
Croce (1.626 m.) e all’ omonimo<br />
laghetto, per i Leonessani,<br />
è molto più di un sentiero.<br />
Infatti rappresenta una<br />
sorta di pellegrinaggio che<br />
ogni anno, in agosto, compiono<br />
per onorare il loro patrono,<br />
San Giuseppe da Leonessa.<br />
Dal laghetto inizia una<br />
lunga dorsale che conduce ai<br />
Monti Catabio e Cambio.<br />
LAGO DELLA CROCE 1.550 m<br />
(Comune di Leonessa)
Proprio per la sua collocazione,<br />
all’interno di un matrice<br />
forestale ricca di arbusti, il<br />
fontanile costituisce un buon<br />
sito riproduttivo e di rifugio<br />
per gli Anfibi.<br />
Il fontanile si incrocia proprio<br />
su un tornante <strong>del</strong> sentiero<br />
che collega Leonessa (969 m.)<br />
a Monte Tilia (1.775 m.). Vale<br />
la pena percorrere la variante<br />
<strong>del</strong> sentiero che giunge alla<br />
Rocca di Leonessa, una fortificazione<br />
nata nel XIII sec. per<br />
volontà di re Carlo d’Angiò.<br />
Dalla rocca si gode una vista<br />
molto ampia su Leonessa e altopiano.<br />
FONTE DELLA ROCCA 1200 m.<br />
(Comune di Leonessa)<br />
136<br />
137<br />
Il fontanile insieme al <strong>La</strong>ghetto<br />
<strong>del</strong> Tilia ed alla Fonte<br />
<strong>del</strong>la Rocca forma una rete<br />
di raccolte d’aqua. Questo<br />
aspetto insieme alla presenza<br />
di vegetazione acquatica<br />
al suo interno e alla vicinanzacon<br />
il bosco lo rendono<br />
fortemente idoneo quale sito<br />
riproduttivo per Anfibi.<br />
Il sentiero è lo stesso che parte<br />
da Leonessa e attraversa i<br />
prati intorno al laghetto di<br />
Monte Tilia, infatti il fontanile<br />
si trova poco più a valle<br />
<strong>del</strong> lago. Il percorso continua<br />
verso Monte Corno e Collelungo,<br />
sullo storico confine<br />
tra Stato <strong>del</strong>la Chiesa e Regno<br />
di Napoli, segnalato dai cippi<br />
di confine, il sentiero scende<br />
alla Forca <strong>del</strong> Fuscello.<br />
FONTE FORCELLA 1551 m.<br />
(Comune di Leonessa)
<strong>La</strong> fonte, situata all’interno di<br />
una faggeta, presenta elevate<br />
potenziali biologiche per la<br />
riproduzione degli Anfibi. Lo<br />
stato di degrado in cui versava<br />
però la muratura <strong>del</strong> fontanile<br />
non consentiva la permanenza<br />
di adeguati livelli di acqua<br />
all’interno <strong>del</strong>le vasche.<br />
Il fontanile Miglionico si trova<br />
sull’omonimo fosso e si può<br />
raggiungere su un comodo sentiero<br />
che congiunge due <strong>del</strong>le<br />
località più frequentate dei<br />
Monti Reatini, Pian dé Valli e<br />
Pian dé Rosce.<br />
FONTE MIGLIONICO 1.315 m<br />
(Comune di Rieti)<br />
138<br />
139<br />
Il fontanile, privo di acqua a<br />
causa <strong>del</strong>la perdita <strong>del</strong>l’impermeabilità<br />
<strong>del</strong>levasche, si<br />
trovava in forte stato di degrado.<br />
<strong>La</strong> sua collocazione<br />
prossima ad un vasto sistema<br />
forestale lo rendeva idoneo<br />
quale sito riproduttivo<br />
di Anfibi e quindi meritevole<br />
di ristrutturazione.<br />
Al fontanile di Monte Porcini<br />
si può giungere attraverso<br />
una strada sterrata dalla località<br />
Cinque Confini. In inverno<br />
quest’area è percorsa<br />
da un’ottima rete di piste per<br />
lo sci di fondo.<br />
FONTE PORCINI 1482 m.<br />
(Comune di Borgovelino)
Il fontanile denotava segni<br />
di rottura in alcuni punti <strong>del</strong><br />
muretto di contenimento, sia<br />
a monte che a valle; ciò avrebbe<br />
potuto, nel tempo, pregiudicarne<br />
la stabilità e la funzionalità<br />
ecologica, quale sito<br />
riproduttivo di Anfibi.<br />
Al fontanile di Monte Porcini<br />
si può giungere attraverso<br />
una strada dalla località Cinque<br />
Confini.<br />
FONTE DEL PERO 1300 m.<br />
(Comune di Cittaducale)<br />
140<br />
141<br />
Anche in questo caso il fontanile<br />
mostrava segni di cedimento<br />
in alcuni punti <strong>del</strong><br />
muretto di contenimento<br />
con significativa perdita<br />
d’acqua che non lo rendeva<br />
idoneo ad ospitare popolazioni<br />
di Anfibi.<br />
Il fontanile si trova al fianco<br />
<strong>del</strong>l’omonimo casale. Si raggiunge<br />
da Cittaducale attraverso<br />
una comoda strada.<br />
FONTE CASALE D’ANTONI 1265 m.<br />
(Comune di Cittaducale)
Il fontanile, prima dei lavori<br />
completamente dismesso, presentava,<br />
per la sua collocazione,<br />
caratteristiche idonee alla<br />
colonizzazione da parte di<br />
Anfibi. Quest’area è infatti una<br />
<strong>del</strong>le più interne e intatte dei<br />
Monti Reatini.<br />
Quest’area è una <strong>del</strong>le più interne<br />
e intatte dei Monti Reatini.<br />
Si raggiunge attraverso<br />
un sentiero panoramico che<br />
parte dalla Sella di Jaccio Cru<strong>del</strong>e,<br />
scende al rifugio Porcini<br />
per poi risalire i costoni di<br />
Valle Scura.<br />
FONTE DEI CAVALLI 1580 m.<br />
(Comune di Posta)<br />
142<br />
143<br />
Il fontanile, prima <strong>del</strong> ripristino,<br />
non presentava caratteristiche<br />
idonee a svolgere<br />
il ruolo di sito riproduttivo<br />
per Anfibi.<br />
A fianco <strong>del</strong> fontanile si trova<br />
un rifugio montano un tempo<br />
utilizzato dai pastori. Infatti<br />
quest’area è stata sempre<br />
frequentata da greggi per la<br />
ricchezza dei pascoli e disponibilità<br />
di acqua.<br />
FONTE PORCINI 1564 m.<br />
(Comune di Posta)
Il fontanile si trova sul versante<br />
ovest <strong>del</strong> Monte di Cambio,<br />
al limite <strong>del</strong>la vegetazione boschiva.<br />
Sullo stesso gruppo<br />
montuoso sono presenti ulteriori<br />
raccolte d’acqua artificiali.<br />
<strong>La</strong> più vicina si trova nei pressi<br />
<strong>del</strong> vicino Rifugio di Vallebona,<br />
mentre, sul versante nord<br />
<strong>del</strong> Monte di Cambio, si trova<br />
la Fonte Porana e, a sud-est, la<br />
Fonte dei Cavalli. Vicino Monte<br />
Porcini è inoltre posizionata<br />
l’omonima fonte. <strong>La</strong> strategia<br />
di riqualificare un sistema<br />
di punti d’acqua spazialmente<br />
tra loro in relazione, tende<br />
a facilitare i contatti riproduttivi<br />
tra le popolazioni di Anfibi<br />
presenti sul territorio.<br />
Il fontanile si raggiunge percorrendo<br />
uno dei sentieri che<br />
conducono al Monte Cambio.<br />
Si trova dopao la faggeta<br />
prima dei pendii che conducono<br />
sulla vetta.<br />
FONTE DI CAMBIO 1779 m.<br />
(Comune di Leonessa)<br />
144<br />
145<br />
Fontanile particolare e suggestivo,<br />
formato da una serie<br />
di vasche posizionate all’interno<br />
di un vasto sistema forestale.<br />
<strong>La</strong> naturalità <strong>del</strong>l’area<br />
e la presenza di numerosi<br />
nascondigli caratterizza questa<br />
raccolta d’acqua, lasciando<br />
presupporre una elevata<br />
potenzialità quale sito riproduttivo<br />
per Anfibi.<br />
Questa fonte è raggiungibile<br />
sia dal paese di Albaneto,<br />
per un percorso più lungo,<br />
che attraversando i Monti<br />
Reatini partendo dalla Sella<br />
di Leonessa, salendo su<br />
Monte di Cambio per ridiscendere<br />
a Albaneto.<br />
FONTE PORANA 1372 m.<br />
(Comune di Leonessa)
Il fontanile, composto da 3<br />
vasche e una grotticina artificiale,<br />
si trovava in un discreto<br />
stato di conservazione ed ha<br />
necessitato di limitati interventi<br />
di ristrutturazione. Presenti<br />
Characee e numerose<br />
specie di Invertebrati acquatici:<br />
è stata inoltre accertata la<br />
presenza <strong>del</strong>la Salamandrina<br />
dagli occhiali.<br />
Il fontanile si trova in un contesto<br />
paesaggestico di grande<br />
bellezza, si può raggiungere<br />
attraverso una strada carrabile<br />
dal paese di Morro Reatino.<br />
Dal fontanile è possibile percorrere<br />
la valle sia verso Leonessa,<br />
attraverso il Passo <strong>del</strong><br />
Fuscello, che verso valle raggiungendo<br />
il lago di Piediluco.<br />
FONTE PACCE-GROTTA 600 m.<br />
(Comune di Morro Reatino )<br />
146<br />
147<br />
Il fontanile, composto da 5<br />
vasche, si trovava in un discreto<br />
stato di conservazione<br />
e presentava buone potenzialità<br />
per gli Anfibi.<br />
Questo fontanile si trova<br />
sulla strada provinciale che<br />
collega Morro Reatino a Leonessa.<br />
Si raggiunge dalla<br />
strada attraverso un facile<br />
sentiero.<br />
FONTE DEL FAGGIO 990 m.<br />
(Comune di Morro Reatino )
Il fontanile, composto da 11<br />
vasche, si trovava in un discreto<br />
stato di conservazione. L’apporto<br />
d’acqua era abbondante<br />
in tutte le vasche anche se era<br />
presente una forte perdita idrica.<br />
E’ stata accertata la presenza<br />
<strong>del</strong>la Salamandrina dagli<br />
occhiali<br />
L’interessante percorso che<br />
conduce al fontanile parte dal<br />
paese di Rivodutri, la strada<br />
sale alla località il Cepparo,<br />
poi continua verso l’area in<br />
cui si trova il Faggio di San<br />
Francesco.<br />
FONTE TRONCHETTO 1200 m.<br />
(Comune di Rivodutri )<br />
148<br />
149<br />
Il fontanile, composto da<br />
una lunga vasca, si trovava<br />
in un discreto stato di conservazione<br />
ed è stata accertata<br />
la presenza <strong>del</strong>la Salamandrina<br />
dagli occhiali. Fonte<br />
molto frequentata da bestiame<br />
domestico.<br />
Il fontanile si trova sulla<br />
strada sterrata che collega<br />
Cantalice al Rifugio Castiglioni.<br />
FONTE ARACUCCA 1089 m.<br />
(Comune di Cantalice )
Il fontanile, composto da 3 vasche<br />
in cemento, si trovava in<br />
cattivo stato di conservazione.<br />
L’apporto d’acqua era scarso e<br />
discontinuo, le vasche presentavano<br />
crepe e discontinuità<br />
che non permettevano una<br />
costante presenza <strong>del</strong>l’acqua<br />
all’interno.<br />
<strong>La</strong> strada per giungere aquesto<br />
fontanile è quella che da<br />
Poggio Bustone conduce quasi<br />
in cima a Monte Rosato. Il<br />
fontanile si trova sulla strada.<br />
GALAFONTE 1.153 m.<br />
(Comune di Poggio Bustone )<br />
150<br />
151<br />
Il fontanile, composto da<br />
una sola vasca, si trovava in<br />
un discreto stato di conservazione.<br />
Questa fonte è raggiungibile<br />
sempre da Poggio Bustone.<br />
Il toponimo “Bobbo” sta a significare<br />
spauracchio. Questi<br />
nomi erano tipici nelle<br />
aree di confine, come questa<br />
tra Rivodutri e Poggio Bustone.<br />
FONTE DEL BOBBO 954 m.<br />
(Comune di Poggio Bustone )
Il fontanile, composto da 5<br />
vasche in cemento e 1 vasca<br />
finale aggiunta, formata da<br />
una vasca da bagno casalinga<br />
(!), si trovava in uno stato di<br />
conservazione discreto. L’apporto<br />
d’acqua era molto abbondante<br />
ed era presente un<br />
cospicuo sversamento all’esterno.<br />
Un leggero dissesto<br />
<strong>del</strong> terreno a monte causava<br />
inoltre ingresso di terriccio e<br />
fango all’interno <strong>del</strong>le vasche.<br />
Questo itinerario può avere il<br />
suo inizio dal santuario francescano<br />
di Poggio Bustone, da<br />
dove una strada sterrata risale<br />
e attraversa la Valle Petrinara<br />
fino a giungere in un pianoro<br />
dove si trova il fontanile.<br />
Anche da qui vi sono ottimi<br />
panorami sia sulla pianura reatina<br />
che verso il <strong>Terminillo</strong>.<br />
FONTE COLLE CROCE TOSTONE 1022 m.<br />
(Comune di Poggio Bustone)<br />
152<br />
153<br />
Il fontanile è composto da 3<br />
vasche di cui la finale era completamente<br />
diruta. Buona la<br />
potenzialità per gli Anfibi.<br />
Per raggiungerlo si percorre<br />
la strada sterrata che sale su<br />
Monte Rosato fino a giungere<br />
ai Prati di San Giacomo. Da<br />
qui si osserva uno dei panorami<br />
più suggestivi sulla pianura<br />
reatina. Quest’area è anche<br />
frequentata come base di<br />
lancio per <strong>del</strong>taplani e parapendio.<br />
FONTE DEL PRATO SANTO 1206 m.<br />
(Comune di Poggio Bustone)
<strong>La</strong> cultura <strong>del</strong>la montagna<br />
di Giancarlo Cammerini<br />
Chi è stato il primo uomo a salire sul <strong>Terminillo</strong>, cima più alta dei<br />
Monti Reatini? <strong>La</strong> prima ascesa documentata risale al 1818, protagonista<br />
un botanico danese. Ma se pensiamo che la vetta <strong>del</strong> Gran<br />
Sasso – la più alpina di tutte le vette appenniniche – sia stata scalata nel<br />
1573, è facile supporre che i prati erbosi di Terminilletto e poi le rocce di<br />
Sassetelli siano stati scalati molti anni o secoli prima.<br />
Forse a salire per primo è stato un uomo <strong>del</strong>le popolazioni sabine che, nel<br />
celebrare il rito <strong>del</strong>la primavera sacra, offrendo sacrifici agli déi, ha pensato<br />
di violare la loro casa giungendo fino in cima. O forse è stato qualche<br />
uomo <strong>del</strong>le legioni romane, dopo aver disboscato i pendii boscosi, o qualche<br />
pellegrino medievale che nell’intento di trovare spiritualità, espiazione<br />
ha voluto toccare la vetta per sentirsi redento; o magari qualche viaggiatore<br />
rinascimentale desideroso di ammirare la bellezza <strong>del</strong> panorama nella<br />
sua massima ampiezza.<br />
A me piace credere che sia stato un semplice montanaro, di qualche epoca<br />
passata – non è importante quale – a valicare uno dei tanti passi che conducono<br />
alla vetta <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong> e che abbia avuto, per scelta o per destino,<br />
la volontà di salire fino in cima; e vista la consuetudine di questi uomini<br />
nel valicare i passi e attraversare valli, può anche darsi che non gli abbia<br />
dato nemmeno importanza. Del resto, quello che noi chiamiamo escursionismo,<br />
per loro era soltanto la vita quotidiana. In questa, come in altre<br />
pubblicazioni, con dovizia di particolari, si cerca di fare una descrizione<br />
<strong>del</strong>le valli e <strong>del</strong>le cime dei nostri monti, descrizioni che non sarebbero servite<br />
ai montanari di allora, perché la montagna era il loro luogo nativo,<br />
dove vivere e lavorare.<br />
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<strong>La</strong> scomparsa dei<br />
montanari ha portato<br />
via tremila anni di storia,<br />
ovvero da quando l’uomo<br />
inizio a valicare queste<br />
valli con greggi e mandrie.
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Così se ci si domanda a chi appartiene la cultura <strong>del</strong>le montagne reatine, la<br />
risposta è semplice: senza dubbio alla gente che nei secoli ha popolato la corona<br />
di paesi che circonda i monti reatini. Gioielli che al viaggiatore restituiscono<br />
la lentezza e la saggezza <strong>del</strong>la cultura <strong>del</strong>la montagna, di quel modus<br />
vivendi che fino agli anni Sessanta ancora sussisteva incontrastato le valli e i<br />
boschi di questi monti.<br />
Fin dall’età <strong>del</strong> bronzo sono state rilevate tracce <strong>del</strong>l’uomo, almeno sulle pendici<br />
<strong>del</strong>la montagna. Con il passare <strong>del</strong> tempo la presenza umana è aumentata,<br />
grazie alla romanizzazione <strong>del</strong>la Sabina ad esempio, ma è con l’incastellamento<br />
medioevale che si evolve in una vera e propria occupazione di tutti i<br />
versanti dei Monti Reatini, le cui vestigia è possibile vedere ancora oggi. Dai<br />
paesi pedemontani, ci si spostava in alto con eremi, chiesette, stazzi, terrazzamenti,<br />
roccaforti, vedette e si attraversavano valichi fino ai 1900 metri, la<br />
presenza umana era paradossalmente più viva allora di quella di oggi.<br />
Poi, nel Settecento inizia una nuova frequentazione, c’è il Gran Tour, i rampolli<br />
<strong>del</strong>le nobili famiglie viaggiano cercando le bellezze artistiche ma anche<br />
avventure tra le montagne appenniniche. I Monti Reatini rimanevano fuori<br />
dai grandi circuiti più famosi, tuttavia anche qui giungono le pulsioni <strong>del</strong> romanticismo<br />
che vede nei paesaggi montani un’inesauribile fonte d’ispirazione,<br />
portò tra queste montagne viaggiatori, artisti, letterati e scienziati.<br />
Una <strong>del</strong>le figure che ci ha lasciato, con i suoi disegni e scritti, una testimonianza<br />
preziosa <strong>del</strong> tempo è l’inglese Edward Lear, fa un bellissimo racconto<br />
di queste montagne le descrive impervie, però guardandole da lontano,<br />
senza addentrarsi, altrimenti avrebbe scoperto che sui passi, nelle valli era<br />
un pullulare di attività e quei luoghi erano molto familiari alle popolazioni<br />
dei paesi pedemontani. Invece un uomo che farà una conoscenza più approfondita,<br />
e giungendo sino alla vetta più alta è il naturalista olandese Joakim<br />
Frederik Schouw, un autorevole botanico che farà una ricognizione naturalistica<br />
<strong>del</strong>l’area, di fatto iniziando l’esplorazione naturalistica dei Monti Reatini.<br />
Nell’Ottocento e poi in maniera più decisa nel Novecento inizia una<br />
frequentazione <strong>del</strong>la montagna completamente slegata dalle esigenze ma-
teriali, la montagna diviene luogo di ardimento, di svago, di studio e di<br />
contemplazione, inizia l’epoca <strong>del</strong>le salite alpinistiche, una forma di conoscenza<br />
e di cultura <strong>del</strong>lo stare in montagna incomprensibile per chi viveva<br />
di montagna. Per i montanari era già talmente dura la vita che non vi era<br />
motivazione di prendere altri rischi e fatiche, tuttavia i più validi e intraprendenti<br />
trasformarono in un lavoro extra quello di fare da guida a chi<br />
veniva dalla città offrendogli riparo, cibo e indicazioni per esplorare quelle<br />
valli e crinali che loro già conoscevano bene. Nel paese di Lisciano, la guida<br />
Giuseppe Munalli era una <strong>del</strong>le più rinomate. Questa attrazione per le<br />
vette e la voglia di conquista provenivano da chi le montagne le guardava<br />
da lontano, come sfida, gioco, rigenerazione per la stanca routine <strong>del</strong>la città,<br />
certamente un altro percorso culturale. (R. Marinelli, <strong>Terminillo</strong>. Storia<br />
di una montagna, cit.).<br />
Dal dopoguerra inzia un rapporto con la montagna sempre più funzionale<br />
al divertimento, inizia il turismo di massa. <strong>La</strong> montagna viene spogliata<br />
dei molti valori culturali e ambientali e viene allegerita la sua severità semplicemente<br />
ricostruendo un parco giochi cittadino sulla neve. Tutto inizia<br />
con una gita di Benito Mussolini che, aiutato dai valligiani, a dorso di mulo,<br />
giunse fino all’attuale Pian de Valli. Era il 22 gennaio 1933, una salita invernale<br />
che cambiò la storia <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>. Il Duce alla fine <strong>del</strong>l’escursione<br />
pronunciò la famosa frase: “<strong>La</strong> prossima volta tornerò in automobile”.<br />
Da quel momento nascono i progetti di urbanizzazione <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>; i<br />
reatini si sforzano di dare un nuovo volto alla montagna, di farla conoscere<br />
a coloro che avrebbero talmente fuorviato la cultura di quei luoghi da farla<br />
chiamare “Montagna di Roma”. Di seguito, la costruzione di alberghi e piste<br />
da sci ha dato il via al turismo, prima borghese, poi di massa <strong>del</strong>la Capitale.<br />
Probabilmente la montagna non è dei Romani ed è poco dei Reatini, da<br />
sempre legati più alla nebbiosa pianura che alle cime assolate <strong>del</strong> <strong>Terminillo</strong>.<br />
Per questo hanno imparato a conoscere questa montagna insieme ai<br />
turisti romani e riconducono la sua storia principalmente agli eventi che<br />
hanno portato alla costituzione <strong>del</strong>la stazione sciistica e al conseguente svi-<br />
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luppo; a quei processi cioè che hanno definitivamente portato all’emarginazione<br />
<strong>del</strong>le genti di montagna e <strong>del</strong>la loro cultura. Certo, anche a Rieti si formò<br />
un gruppo di forti scalatori <strong>del</strong> CAI che nel corso degli anni sono stati<br />
protagonisti <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>l’alpinismo locale.<br />
Tuttavia, ancora oggi si tende a concepire lo spazio montano come un luogo<br />
privo di storia naturale e umana, a uso di un popolo di pendolari provenienti<br />
dalla città. Questi però ignorano i sentieri che attraversavano le valli, gli antichi<br />
ripari e la lentezza di una vita certamente più dura, ma soprattutto non<br />
comprendono la natura e il valore scientifico e culturale che essa contiene.<br />
Eppure il matrimonio tra uomo e montagna in tutte le culture ha rappresentato<br />
un elemento costante e vivo. Fin dall’antichità, con la loro bellezza, le<br />
montagne hanno conquistato artisti, filosofi e mistici, diventando simbolo di<br />
ascesi in senso fisico, morale e spirituale. Certo, anche altri ambienti offrono<br />
scenari “fantastici”, come i mari, le foreste, le pianure e i deserti che sono<br />
uno spettacolo <strong>del</strong>la natura. Come dice Dino Buzzati: <strong>La</strong> montagna ha due<br />
dimensioni eccezionali, la ripidezza e l’immobilità: la prima moltiplica la sensazione<br />
di lontananza e accresce il senso <strong>del</strong> mistero; la seconda crea una fatale<br />
tendenza <strong>del</strong>l’uomo a uno stato di tranquillità.<br />
Tuttavia l’idea <strong>del</strong>l’ascesa-ascesi, <strong>del</strong>la montagna come dimora degli dèi celesti<br />
o luogo eletto per l’iniziazione al mistero divino, <strong>del</strong>la congiunzione terracielo<br />
nella sublimità <strong>del</strong>le altezze, è costante in tutte le culture. È il Sinai di<br />
Mosè e, nel Nuovo Testamento, il Monte degli Olivi e il Golgota. Ma è anche<br />
l’Olimpo dei Greci, nella tradizione Indù, il monte Meru nella catena <strong>del</strong>l’Himalaya,<br />
è il luogo dove Shiva medita e si realizza spiritualmente; gli antichi<br />
ariani <strong>del</strong>l’India non avevano templi, era sulle cime dei monti che compivano<br />
i loro rituali. Nelle più antiche tradizioni elleniche, l’eroe sparisce tra le cime<br />
<strong>del</strong>le montagne; in quelle buddhiste si parla di una montagna, dove scompaiono<br />
gli uomini giunti al risveglio spirituale; in quelle taoiste c’è l’immagine <strong>del</strong><br />
monte Kuen-Lun, dove esseri regali bevono la bevanda <strong>del</strong>l’immortalità. Nelle<br />
civiltà precolombiane, gli imperatori, sacralizzati, si occultavano sui monti dopo<br />
la morte che, anche qui, non è vista come dissoluzione ma come apertura
verso l’aldilà. <strong>La</strong> montagna, che si configura come luogo di ascesa spirituale<br />
ma anche arena di azione e ardimento (l’uomo che si arrampica), secondo il<br />
filosofo René Dumal mette in opera una sorta di metafisica pratica, l’ascensione:<br />
quando diviene ascesi affranca i muscoli dalla fatica e si giunge alla<br />
conquista contemplativa <strong>del</strong>la vetta e di se stessi.<br />
Nel XII secolo San Bonaventura, autore di un Itinerarium mentis in Deum,<br />
notava Ascender in montem, id est in eminentiam mentis. Salire dunque voleva<br />
dire saggiare il corpo e lo spirito. Anche Dante dopo essersi tuffato<br />
nell’abisso infernale per conoscere il male e superarlo, opera la propria purificazione<br />
salendo, di grado in grado, su per il monte Purgatorio, verso il<br />
Paradiso terrestre che gli schiuderà la vista dei cieli; anch’egli cresce in salita,<br />
libero e leggero, tanto da avvertire sempre meno il far<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> proprio<br />
corpo. <strong>La</strong> montagna è il passaggio verso l’alto, <strong>del</strong>la rilevazione e <strong>del</strong> dono:<br />
sopra Poggio Bustone, San Francesco riceve da Dio conferme <strong>del</strong>la propria<br />
conversione, come Petrarca giungerà al momento risolutivo <strong>del</strong>la propria<br />
crisi spirituale ascendendo al monte Ventoso, in Provenza. Lo sguardo diviene<br />
puro di fronte al paesaggio montano, corre libero dalle stagnazioni<br />
e incrostazioni che la pianura ha creato. Il Discorso <strong>del</strong>la Montagna, il<br />
sermone rivolto da Gesù ai suoi discepoli, riportato nel Vangelo secondo<br />
Matteo 5,1-7,28 è uno dei messaggi più forti <strong>del</strong> Cristianesimo.<br />
Nel libro, Il Monte Analogo di Daumal, la montagna ha una cima inaccessibile<br />
ma una base accessibile. Questo incontro tra azione e contemplazione<br />
è uno dei principi guida di uno dei più grandi alpinisti, l’italiano Walter<br />
Bonatti. Recentemente scomparso, faceva la cronaca <strong>del</strong>le sue prodigiose<br />
scalate descrivendo la sintesi tra sforzo fisico e tensione morale, un infinito<br />
che è dentro e che utilizza le vette e l’ascesa per venire a galla. Sempre<br />
Daumal scriveva: Non si può restare sempre sulle vette, bisogna ridiscendere...<br />
A che pro, allora? Ecco: l’alto conosce il basso, il basso non conosce l’alto:<br />
salendo, devi prendere nota <strong>del</strong>le difficoltà <strong>del</strong> tuo cammino; finché sali, puoi<br />
vederle. Nella discesa, non le vedrai più, ma saprai che ci sono, se le avrai<br />
osservate bene. Si sale, si vede. Si ridiscende, non si vede più; ma si è visto.<br />
Esiste un’arte di dirigersi nelle regioni basse per mezzo <strong>del</strong> ricordo di quello<br />
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che si è visto quando si era più in alto. Quando non è più possibile vedere, almeno<br />
è possibile sapere.<br />
Questa filosofia <strong>del</strong>la montagna, forse si sposa più con una visione cittadina,<br />
meno con il duro lavoro <strong>del</strong> montanaro, tuttavia ci lascia una metafora molto<br />
efficace <strong>del</strong>la vita e un aspetto <strong>del</strong>la cultura alpinistica molto profondo.<br />
Tuttavia se la montagna è un Pantheon di miti e simboli arcaici, oggi questi<br />
simboli possono vivere anche attraverso la <strong>Natura</strong>, la montagna non solo come<br />
ascesa-ascesi ma anche come giardino <strong>del</strong>l’Eden popolato da migliaia di<br />
specie animali e vegetali. Anche qui la visione di una natura incontaminata<br />
da ammirare e tutelare spesso si è scontrata con la lotta che il montanaro ha<br />
sostenuto per proteggere i suoi greggi dai lupi: celebri i Lupari di Leonessa,<br />
che <strong>del</strong>la caccia al famoso mammifero ne fecero una professione. Una lotta<br />
che spesso si è trasformata in un abbraccio, perché non si può non amare<br />
l’ambiente in cui si nasce e si vive. <strong>La</strong> millenaria cultura <strong>del</strong>la montagna ha<br />
interpretato la difficile sfida <strong>del</strong> vivere in un ambiente tanto magnifico quanto<br />
severo, elaborando soluzioni di equilibrio tra le proprie esigenze e il mantenimento<br />
di quelle condizioni, senza di cui la vita stessa sarebbe diventata<br />
precaria, mediante una cura paziente, tenace e normalmente lungimirante<br />
che le ha consentito stabilità e perduranza fino a poche generazioni fa.<br />
Oggi questo mondo è quasi scomparso, come stanno scomparendo molte<br />
specie animali; la perdita di una cultura o di una forma vivente ci fa sempre<br />
sentire tutti più poveri. Per questo i Monti Reatini oggi sentono il bisogno<br />
di valori prima che di opere: non si tratta di recuperare la figura mitica <strong>del</strong><br />
montanaro o <strong>del</strong> buon selvaggio, ma di costruire una cultura <strong>del</strong>la montagna<br />
che abbia come fulcro la storia umana e la biodiversità, perché se riportare<br />
indietro la storia non è possibile, tutelare l’ambiente sì, cercando di coglierne<br />
non solo l’evidente valore scientifico, ma anche quello culturale. Infine, può<br />
esserci una sintonia, culturale, tra le esigenze degli uomini di oggi e “loro”,<br />
gli uomini <strong>del</strong>le montagne che mossero i primi passi attraversando queste<br />
catene montuose per andare a caccia, per guidare gli armenti, per prendere<br />
il ghiaccio o più semplicemente per soddisfare quell’insopprimibile esigenza<br />
di cercare, attraverso la montagna, l’armonia <strong>del</strong>la vita.
Abbiamo la Terra non in eredità dai genitori,<br />
ma in affitto dai figli.<br />
Proverbio Indiano<br />
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APPENDICE<br />
BUONE PRATICHE E GESTIONE DEI FONTANILI<br />
di Enrico Calvario e Silvia Sebasti<br />
Nel <strong>La</strong>zio, in particolar modo sulla dorsale appenninica e antiappenninica,<br />
è particolarmente importante sostenere con ogni mezzo possibile le<br />
attività di pascolo, oltre che per il profondo e radicato significato socioeconomico<br />
che rivestono e per le economie che possono indurre, anche in<br />
quanto esse contribuiscono in modo diretto e significativo a contrastare<br />
il fenomeno <strong>del</strong>la chiusura <strong>del</strong>le aree aperte e <strong>del</strong>le radure così importanti<br />
per il mantenimento di importanti elementi di biodiversità.<br />
In tale contesto e soprattutto se ci si trova in zone carsiche con limitata disponibilità<br />
di risorse idriche superficiali, i fontanili, le pozze e le cisterne<br />
per la raccolta <strong>del</strong>l’acqua piovana, rappresentano manufatti insostituibili<br />
necessari per l’abbeveraggio ed il ristoro <strong>del</strong> bestiame allevato. Essi inoltre<br />
rappresentano spesso una valida ed efficiente alternativa agli ambienti<br />
umidi naturali (sempre più rari) anche per la riproduzione, l’alimentazione<br />
e lo svernamento di diverse specie di Anfibi.<br />
Il mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente <strong>del</strong>le raccolte<br />
d’acqua naturali e artificiali appare perciò di fondamentale importanza<br />
sia per soddisfare le esigenze di abbeveraggio e ristoro per il bestiame<br />
domestico sia per la conservazione degli Anfibi. Occorre quindi trovare<br />
un necessario punto di equilibrio affinché le necessarie azioni di manutenzione<br />
di tali raccolte d’acqua (pulizia <strong>del</strong>le vasche, lavori di restauro)<br />
vengano condotte con modalità tali da garantirne la piena funzionalità<br />
per entrambe le componenti (bestiame ed anfibi) ed in modo da non causare<br />
danni diretti agli Anfibi che, lo ricordiamo, sono anche protetti da<br />
specifiche norme di tutela sia di carattere comunitario che regionale.<br />
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normativa di riferimento sulla tutela degli anfibi.<br />
Alcune specie di Anfibi presenti nel Reatino (Salamandrina perspicillata, Triturus carnifex, Bombina pachypus, Rana dalmatina,<br />
Rana italica) sono incluse nell’Allegato IV <strong>del</strong>la Direttiva Habitat 92/43/CEE come “specie animali e vegetali di<br />
interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa”. Bombina pachypus, Salamandrina perspicillata e Triturus<br />
carnifex sono inclusi anche nell’Allegato II <strong>del</strong>la stessa Direttiva, come “specie animali d’interesse comunitario la cui conservazione<br />
richiede la designazione di Zone Speciali di Conservazione. <strong>La</strong> Direttiva sancisce che: “Gli Stati membri adottano<br />
i provvedimenti necessari atti ad istituire un regime di rigorosa tutela <strong>del</strong>le specie animali di cui all’allegato IV, lettera<br />
a), nella loro area di ripartizione naturale, con il divieto di:<br />
a) qualsiasi forma di cattura o uccisione <strong>del</strong>iberata di esemplari di tali specie nell’ambiente naturale;<br />
b) perturbare <strong>del</strong>iberatamente tali specie, segnatamente durante il periodo di riproduzione, di allevamento, di ibernazione<br />
e di migrazione;<br />
c) distruggere o raccogliere <strong>del</strong>iberatamente le uova nell’ambiente naturale;<br />
d) deterioramento o distruzione dei siti di riproduzione o <strong>del</strong>le aree di riposo.”<br />
Hyla intermedia e Rana dalmatina sono anche segnalate come specie “vulnerabili” sia nella Lista Rossa degli Anfibi e dei<br />
Rettili <strong>del</strong> <strong>La</strong>zio (Bologna et al., 2000) sia nel “Libro Rosso degli animali d’Italia” (Bulgarini et al., 1998). Tre specie figurano<br />
inoltre nell’Annesso II <strong>del</strong>la Convenzione di Berna: Triturus carnifex, Hyla intermedia e Rana dalmatina.<br />
Nella Regione <strong>La</strong>zio tutte le specie di Anfibi, escluse le “rane verdi” (P. bergeri/hispanica), Rana temporaria e Ichthyosaura<br />
alpestris, sono protette dalla L.R. 18, 5/IV/1988 “Tutela <strong>del</strong>la fauna minore”, che vieta:<br />
a) qualsiasi forma di cattura, di detenzione e di uccisione;<br />
b) il deterioramento o la distruzione dei siti di riproduzione e di riposo;<br />
c) il molestare la fauna selvatica minore, specie nel periodo <strong>del</strong>la riproduzione, <strong>del</strong>l’allevamento e <strong>del</strong>l’ibernazione, nella<br />
misura in cui tali molestie siano significative in relazione al raggiungimento <strong>del</strong>le finalità di cui al precedente articolo 1;<br />
d) la distruzione o la raccolta di uova <strong>del</strong>l’ ambiente naturale o la loro detenzione quand’anche vuote;<br />
e) la detenzione, il trasporto ed il commercio di tali animali, vivi o morti, come pure imbalsamati, nonché di parti o prodotti<br />
facilmente identificabili ottenuti dall’animale, nella misura in cui ciò contribuisce a dare efficacia alle disposizioni <strong>del</strong><br />
presente articolo.”<br />
Per la conservazione di queste specie è fondamentale quindi la gestione appropriata <strong>del</strong>le raccolte d’acqua ristrutturate.<br />
Alcune di queste, principalmente quelle artificiali, assolvendo alla funzione di abbeveraggio <strong>del</strong> bestiame al pascolo, hanno<br />
bisogno di manutenzione regolare, non solo strutturale ma anche per ciò che concerne la pulizia interna.
Indicazioni sui criteri progettuali da seguire nella ristrutturazione dei fontanili<br />
e suggerimenti per la loro manutenzione e gestione<br />
Di seguito si riportano gli aspetti salienti su cui porre l’attenzione per far sì che le raccolte ristrutturate assolvano alla funzione di sito riproduttivo<br />
per Anfibi e di punto di abbeveraggio per il bestiame.<br />
1) MANTENIMENTO DEI MANUFATTI<br />
I manufatti esistenti che versano in buone condizioni strutturali e funzionali vanno preservati dal naturale degrado e da ulteriori ed accidentali<br />
ammaloramenti controllando periodicamente che:<br />
- non vi siano captazioni che alterino significativamente il livello <strong>del</strong>l’acqua nella vasca,<br />
- l’afflusso idrico sia garantito, monitorando eventuali ostruzioni alla sorgente, nei tubi di afflusso e/o nelle canaline di adduzione,<br />
- il pietrame (o altro materiale) che costituisce le pareti sia integro e non vi siano consistenti perdite d’acqua,<br />
- funzioni un sistema di “troppo pieno” verso una piccola zona umida,<br />
In siti ricadenti su sentieristica è possibile prevedere l’istallazione di cartellonistica informativa per la divulgazione di tematiche relative alla<br />
conservazione degli habitat e <strong>del</strong>le specie.<br />
2) OPERE DI RESTAURO DEI MANUFATTI<br />
Nella realizzazione <strong>del</strong>le vasche di raccolta <strong>del</strong>le acque si dovranno tenere in conto i criteri che prendano in considerazione la biologia <strong>del</strong>le specie<br />
di Anfibi (Scoccianti, 2001; Carpaneto et al., 2004), utilizzando materiali che permettano la fruizione <strong>del</strong> fontanile da parte <strong>del</strong>l’erpetofauna<br />
(principalmente pietra), assicurandosi che le superfici esterne abbiano una scabrosità idonea all’accesso e quelle interne siano adeguate all’ovodeposizione<br />
(ovvero non siano cementate e presentino uno strato adeso di vegetazione acquatica spontanea).<br />
Come nel caso precedente, qualora l’opera di restauro interessi fontanili/pozzi adiacenti a sentieristica, è possibile prevedere l’istallazione di cartellonistica<br />
informativa.<br />
3) COSTRUZIONE DI STRUTTURE ATTE A MIGLIORARE LA FUNZIONALITÀ DELLE RACCOLTE D’ACQUA COME SITI DI RIPRO-<br />
DUZIONE PER GLI ANFIBI<br />
• a. Rampe di risalita<br />
In alcune condizioni (ad es. repentino abbassamento <strong>del</strong> livello <strong>del</strong>le acque) i fontanili possono costituire vere e proprie “trappole ecologiche” per<br />
Anfibi e per altre specie animali (Scoccianti, 2001).<br />
Una semplice quanto efficace “rampa di risalita” potrà essere costruita, anche a fontanile funzionante, mediante una lastra in pietra ancorata sul<br />
bordo, larga circa 20 cm e inclinata di 45°.<br />
In alternativa, qualora si stia lavorando in un fontanile asciutto, la rampa può essere costruita anche mediante pietrame posto direttamente nella<br />
vasca, eventualmente stabilizzato con malta per rendere più solida la struttura.<br />
Per evitare che manufatti di tipologia differente dal fontanile (pozzi o cisterne) si trasformino in trappole ecologiche è possibile prevedere misure<br />
di salvaguardia quali la copertura <strong>del</strong>l’imbocco con una grata metallica a maglie sottili (ø < 1 cm) o la realizzazione di una rampa di risalita a<br />
gradoni lungo la parete interna <strong>del</strong> pozzo stesso.<br />
• b. Zone umide derivanti da “troppo pieno”<br />
Nell’area circostante i fontanili, antistante o laterale, nei casi in cui l’intervento sia ritenuto attuabile, si dovrà prevedere il mantenimento o il ripristino<br />
di una piccola zona umida idonea alla riproduzione di specie quali l’Ululone dal ventre giallo. <strong>La</strong> piccola zona umida potrà essere realizzata<br />
in un’area depressa mediante un piccolo canaletto per il deflusso <strong>del</strong>le acque <strong>del</strong> “troppo pieno” provenienti dal fontanile stesso. È importante che<br />
tale zona umida sia collocata in una zona franca dal calpestio o dal transito <strong>del</strong> bestiame; in tal senso si suggerisce, quale intervento migliorativo,<br />
la sua recinzione con una staccionata in legno (vedi punto successivo).<br />
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Il fontanile dei Cavalli, posto in un’area di particolare pregio naturalistico<br />
è stato il fontanile che ha richiesto più lavoro sia nella ristrutturazione<br />
che per la collocazione difficilmente raggiungibile.
• c. Recinzioni<br />
Per preservare la zona umida derivante dal troppo pieno dal calpestio di bestiame domestico o da altri ungulati selvatici è opportuna una recinzione<br />
in legno (staccionata) <strong>del</strong>l’area umida. Tale recizione dovrà essere realizzata in legname locale, resistente e alta almeno 1,50 m.<br />
In alcuni casi, qualora il fontanile non sia utilizzato dal bestiame, è consigliabile apporre una recinzione attorno alla vasca, in modo da evidenziare<br />
che l’area è sottoposta a manutenzione e tutela.<br />
• d. Fasce di rispetto e creazione di microrifugi<br />
In previsione di una corretta ripresa <strong>del</strong>l’attività riproduttiva da parte <strong>del</strong>la comunità di Anfibi, è utile ricordare che questi necessitano non solo<br />
di un habitat acquatico (nel quale svolgono la fase trofica e riproduttiva) ma anche di un habitat terrestre dove adulti, giovani e metamorfosati<br />
possono trovare rifugio durante le fasi di prosciugamento degli invasi. Per aumentare l’idoneità <strong>del</strong>la raccolta d’acqua per scopi riproduttivi è<br />
bene prevedere una fascia di rispetto intorno al bacino, intesa come una zona lasciata libera di evolvere in modo spontaneo o parzialmente gestita<br />
secondo criteri coerenti con la conservazione <strong>del</strong>le specie animali e degli habitat. Per gli anfibi si dovrebbe prevedere una zona larga almeno 20<br />
metri (Scoccianti, 2001). Inoltre, qualora l’area ne sia sprovvista, è utile realizzare nelle immediate vicinanze <strong>del</strong>la raccolta d’acqua un’opera che<br />
comprenda dei microrifugi per anfibi, ad es. cataste di legna, vecchie ceppaie estirpate, piccoli tratti di muretto a secco, di dimensioni minime 5 x<br />
2 metri (altezza 1 metro). Il legno deve essere lasciato allo stato naturale e non deve essere stato precedentemente trattato. I rifugi devono essere<br />
esposti al sole, riparati dai venti ed elevati quanto basta perché non siano soggetti ad allagamento.<br />
4) TEMPI E MODALITÀ DI PULIZIA DI FONTANILI E POZZI<br />
• a. Periodo per la pulizia<br />
<strong>La</strong> pulizia deve essere effettuata nei mesi autunnali (fine ottobre-novembre). Si ritiene comunque sempre opportuno verificare l’effettiva assenza<br />
di anfibi: nel caso siano ancora presenti stadi larvali o adulti la pulizia deve essere rimandata di qualche settimana.<br />
• b. Modalità di pulizia:<br />
- le operazioni devono avvenire manualmente e non con mezzi meccanici;<br />
- non è consentito l’utilizzo di sostanze chimiche erbicide, corrosive o tossiche (inclusi candeggina e acidi), ricordiamoci che tali sostanze sono<br />
nocive anche per il bestiame domestico;<br />
- solo la vegetazione in eccesso deve essere rimossa, è opportuno infatti lasciarne una parte che costituirà la base <strong>del</strong>la ricrescita primaverile e il<br />
nascondiglio per gli esemplari che rimangono nella raccolta d’acqua; la rimozione non deve avvenire mediante raschiatura <strong>del</strong>le pareti;<br />
- si raccomanda di lasciare a lato <strong>del</strong>l’invaso il materiale asportato, in modo che eventuali individui, prelevati accidentalmente assieme alla vegetazione<br />
o al fango, possano uscire indenni e tornare nella zona umida.<br />
- è opportuno lasciare, durante le operazioni di pulizia, uno strato di almeno 10 cm di acqua sul fondo <strong>del</strong> fontanile; il rispetto di questa regola è<br />
fondamentale in quanto la mancanza d’acqua potrebbe lasciare all’asciutto le uova e/o le larve eventualmente presenti,condizionandone irreversibilmente<br />
la schiusa e lo sviluppo.<br />
5) NORME DI BUON SENSO<br />
• a. È vietata l’introduzione di ittiofauna e di altre specie di animali acquatici<br />
Alcune specie esotiche di Invertebrati (Gamberi di fiume americano e turco), di Anfibi (Rana toro), nonché numerose specie autoctone ed esotiche<br />
di Pesci sono potenziali predatori e competitori per le risorse trofiche per gli Anfibi. <strong>La</strong> loro introduzione va evitata al fine di non arrecare<br />
disturbo alle popolazioni locali (SHI, 2007).<br />
• b. Si sconsiglia il lavaggio di stoviglie, biancheria, automezzi ed il risciacquo di utensili da lavoro che possono compromettere la qualità <strong>del</strong>le<br />
acque con seri danni al bestiame domestico ed agli Anfibi. Si sconsigliano fortemente tutte quelle attività che possono determinare lo sversamento<br />
di detersivi, olii, solventi, vernici, polveri e altre sostanze inquinanti che possono alterare l’habitat acquatico con conseguenze anche letali per<br />
il bestiame domestico e la fauna selvatica.<br />
172<br />
173<br />
Fonte di Pacce, si trova nella Valle Avanzana, a lato un<br />
particolare costruttivo <strong>del</strong>la rampa di risalita, per<br />
permettere agli Anfibi di uscire dal fontanile,<br />
anche con livelli idrici molto bassi.
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