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Manuale di olivicoltura<br />
Nelle aree olivicole vocate in presenza di oliveti disetanei con scarsa densità di piantagione<br />
è consigliab<strong>il</strong>e la sostituzione della coltura in atto con nuovi impianti al fine<br />
di ottenere risultati migliori dal punto di vista economico, seguendo le attuali innovazioni<br />
tecnologiche. È noto che a ciò si opponevano normative nazionali che vietavano<br />
o limitavano al massimo l’estirpazione dell’impianto esistente vincolandola, dove<br />
possib<strong>il</strong>e, a norme piuttosto complesse. Una recentissima disposizione comunitaria<br />
eliminerebbe tale vincolo consentendo <strong>il</strong> rinnovamento di oliveti in precaria condizioni<br />
produttive, lasciando comunque, -almeno così sembra- alle regioni iniziative di<br />
attuare nell’ambito dei Programmi di Sv<strong>il</strong>uppo Rurale piani di rinnovamento dei vecchi<br />
impianti. Questi nuovi impianti verrebbero ad ut<strong>il</strong>izzare l’attuale normativa comunitaria<br />
OCM per olivicoltura, oltre ad usufruire di contributi all’impianto.<br />
Vari tentativi di attuare un piano olivicolo nazionale di fatto sono falliti; in essi si prevedeva<br />
la deroga al divieto di abbattimento di vecchi oliveti con sostituzione di nuovi<br />
impianti per <strong>il</strong> rinnovamento della coltura data la precaria situazione di circa 350.000<br />
ettari di impianti a livello nazionale; le scelte politiche effettuate del nostro Paese<br />
hanno seguito vie diverse e la realizzazione di nuovi impianti, fatto salvo l’intervento<br />
attuato nelle aree colpite dalle gelate del 1985, ha riguardato poche migliaia di ettari<br />
alle quali si aggiungono, in numero comunque modesto, altri nuovi oliveti realizzati<br />
nel corso degli ultimi 15 anni anche in area meridionale attraverso interventi comunitari.<br />
Non mancano comunque esempi di nuovi oliveti realizzati su terreno libero<br />
da parte di imprenditori interessati alla coltura a seguito di r<strong>il</strong>ancio del mercato dell’olio<br />
a livello nazionale ed internazionale. Anche in questo caso si tratta di superfici<br />
limitate che interessano principalmente <strong>il</strong> centro nord; per riguarda l’Umbria i casi al<br />
riguardo sono limitati e comunque da ricondurre ad oliveti di tipo fam<strong>il</strong>iare.<br />
Se è auspicab<strong>il</strong>e <strong>il</strong> rinnovamento di larga parte della olivicoltura italiana in aree vocate,<br />
in considerazione dell’età avanzata delle piante ma anche delle strutture produttive<br />
tecnologicamente arretrate rispetto ai moderni sistemi di coltivazione, non è possib<strong>il</strong>e<br />
fare altrettanto nelle aree marginali.<br />
L’Umbria, come tutte le altre regioni olivicole italiane, non sfugge alla presenza di larghe<br />
fasce di olivicoltura in ambiente marginale; infatti ad aree vocate di media collina<br />
orograficamente compatib<strong>il</strong>i con la meccanizzazione si alternano zone marginali quali<br />
ad esempio l’ampia fascia olivicola preappenninica che va da Assisi fino a Spoleto o<br />
la zona olivicola della Valnerina, entrambe caratterizzate da terreni sostanzialmente superficiali<br />
ricchi di scheletro spesso sistemati con gradonamenti o terrazzamenti la cui<br />
risposta produttiva oltre certi limiti, appare problematica mentre la gestione dell’oliveto<br />
richiede elevato impiego di mano d’opera. Date le condizioni in tali aree e di altri<br />
consim<strong>il</strong>i la coltura dal punto di vista strettamente economico esprime tutta la sua<br />
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